Ricorso n. 29 del 4 marzo 2005 (Regione Toscana)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 Marzo 2005 - 4 Marzo 2005 , n. 29
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 4 marzo 2005 (della Regione Toscana)
(GU n. 12 del 23-3-2005)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 272
del 14 febbraio 2005, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente atto, dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
36 lettera c) e comma 37 della legge 15 dicembre 2004, n. 308,
recante «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e
l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di
diretta applicazione».
Sulla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 2004, n. 302, S.O. e'
stata pubblicata la legge n. 308/2004; con essa il legislatore delega
il Governo ad emanare uno o piu' decreti legislativi per il riordino
delle norme in materia ambientale. Gli ambiti di intervento previsti
sono: la gestione dei rifiuti; la tutela delle acque e dell'aria; la
difesa del suolo; la gestione delle aree protette; la tutela
risarcitoria contro i danni all'ambiente; le procedure per la
valutazione di impatto ambientale, per la valutazione ambientale
strategica e l'autorizzazione ambientale integrata.
Nella definizione dei principi direttivi si prevede la necessita'
del rispetto delle attribuzioni regionali.
In due aspetti, tuttavia, la legge in oggetto appare
costituzionalmente illegittima per violazione delle competenze
regionali e viene pertanto impugnata per i seguenti motivi di
D i r i t t o
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 36, lett.
c), della legge n. 308/2004, per violazione degli artt. 117 e 118
della Costituzione.
L'art. 1, comma 36, lettera c) modifica l'art. 181 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del
paesaggio, avente ad oggetto le sanzioni penali per le opere eseguite
su beni paesaggistici, in assenza di autorizzazione o in difformita'
da essa.
Rilevano qui gli introdotti commi 1-ter e 1-quater. Il primo
prevede che le sanzioni penali, stabilite per il reato
contravvenzionale contemplato dal comma 1 dell'art. 181, non si
applicano per i lavori realizzati in assenza o in difformita'
dall'autorizzazione paesaggistica che non abbiano determinato
creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati; per l'impiego di materiali in difformita'
dell'autorizzazione paesaggistica e per gli interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria.
Per la inapplicabilita' delle sanzioni penali deve essere
accertata la compatibilita' paesaggistica dell'abuso da parte
dell'autorita' amministrativa competente (le funzioni amministrative
concernenti la gestione del vincolo paesaggistico sono state
attribuite alle Regioni gia' dall'art. 82 del d.P.R. n. 616/1977; la
competenza e' ora prevista dall'art. 146 del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42); a tal fine il comma 1-quater citato, anch'esso
introdotto dalla norma in esame, dispone che l'autorita' competente
si esprime nel termine perentorio di centottanta giorni, previo
parere vincolante della Soprintendenza, da rendersi nel termine
perentorio di novanta giorni.
I commi 1-ter e 1-quater introdotti dall'impugnata disposizione
ledono le attribuzioni regionali in materia di governo del territorio
e non rispettano gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
E' vero che il citato comma 1-ter incide sulla fattispecie
penale, prevedendo che resta ferma l'applicazione delle sanzioni
amministrative ripristinatorie e pecuniarie; tuttavia il rispetto
delle attribuzioni regionali e' solo formale.
Infatti la sanzione penale non si applica ove sia accertata la
compatibilita' ambientale dell'abuso: ebbene, se un'opera abusiva e'
valutata compatibile con il paesaggio non potra' essere oggetto di
ripristino (evidentemente, infatti, sarebbe viziato per eccesso di
potere il ripristino ordinato sul piano amministrativo a fronte della
mancata applicazione della sanzione penale in considerazione della
compatibilita' ambientale dell'abuso) e cio' anche se la normativa
regionale preveda la demolizione e la restituzione in ripristino
degli abusi nelle aree vincolate.
Percio' l'art. 1, comma 36, lett. c), ove introduce il citato
comma 1-ter, ha rilevanza anche sotto il profilo urbanistico ed
edilizio, venendo, di fatto, a limitare l'applicabilita' delle
sanzioni ripristinatorie previste dalla normativa regionale con
riferimento agli abusi commessi nelle aree vincolate. Cio' incide
sulla materia del governo del territorio, soggetta alla potesta'
legislativa concorrente, e determina una lesione dell'art. 117 della
Costituzione.
Ne' l'intervento statale in questione puo' ritenersi giustificato
ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. s).
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 382/1999, ha rilevato
che «la regione, come ente rappresentativo delle molteplicita' degli
interessi legati alla dimensione territoriale, non puo' non reputarsi
titolare anche del potere di verifica delle compatibilita' degli
interventi che, attuati dai vari soggetti, comportano effetti sul
territorio».
Tale giurisprudenza puo' essere utilmente richiamata nel nuovo
contesto del Titolo V, Parte II, della Costituzione, della
Costituzione come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del
2001, dal momento che la Corte costituzionale, gia' anteriormente
alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione, aveva
ricavato una configurazione dell'ambiente come «valore»
costituzionalmente protetto, ossia come ambito materiale la cui
tutela e' idonea a investire trasversalmente una pluralita' di
materie e al cui perseguimento sono chiamati a contribuire,
nell'ambito delle reciproche competenze, tutti i livelli territoriali
di governo. L'esigenza della tutela dell'ambiente puo' e deve essere
perseguita, non solo con specifici interventi tesi direttamente alla
tutela degli equilibri ecologici, ma anche trasversalmente con la
predisposizione e realizzazione concreta di interventi nei diversi
campi dell'agire umano (salute, territorio, lavoro, protezione
civile, etc.).
Le suddette conclusioni sono avvalorate dalla recente sentenza
della Corte costituzionale n. 407/2002, particolarmente rilevante nel
caso in esame, perche' successiva alla modifica del titolo V della
Costituzione. In tale pronuncia la Corte ha precisato «che non tutti
gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117
possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso
stretto, poiche', in alcuni casi, si tratta piu' esattamente di
competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralita'
di materie (cfr. sentenza n. 282 del 2002)», chiarendo che
«l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano
ad escludere, che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico,
in senso tecnico, qualificabile come, tutela dell'ambiente» dal
momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale
rigorosamente circoscritta e delimitata, giacche', al contrario, essa
investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e
competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte
antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione
e' agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come «valore»
costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta
di materia «trasversale», in ordine alla quale si manifestano
competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo
Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di
disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da
ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del
1998)».
La Corte costituzionale, sempre nella sentenza n. 407/2002,
accertata la trasversalita' della materia «tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema» e rilevato che «i lavori preparatori relativi alla
lettera s) del nuovo art. 117 della Costituzione inducono, d'altra
parte, a considerare che l'intento del legislatore sia stato quello
di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di
tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro
escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di
interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente
ambientali», ha affermato che «si puo' quindi ritenere che riguardo
alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso
eliminare la preesistente pluralita' di titoli di legittimazione per
interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente,
nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a
quelle di carattere unitario definite dallo Stato».
La stessa affermazione e' stata ribadita dalla successiva
giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 96/2003 e n. 259/2004),
per cui la competenza statale relativa alla tutela ambientale non
puo' limitare gli interventi del legislatore regionale attinenti alle
proprie attribuzioni, come quelle in materia di governo del
territorio.
Il comma 1-quater, introdotto dall'impugnata disposizione, si
pone anche in contrasto con l'art. 118 della Costituzione.
Infatti, come gia' rilevato, la compatibilita' paesaggistica e'
accertata previo parere, vincolante della Soprintendenza. Cio'
significa che l'autorita' preposta alla gestione del vincolo (regione
o enti locali cui le, regioni abbiano trasferito la funzione) non
potra' discostarsi da quel parere: com'e' noto, infatti, e' affermato
che i pareri vincolanti sono costitutivi del contenuto del
provvedimento.
Ne deriva che chi decide in merito alla compatibilita' dell'abuso
e' la Soprintendenza e che non vi e' possibilita' per la regione -
ovvero per gli enti locali cui le regioni abbiano trasferito le
funzioni - di far valere eventualmente diverse valutazioni in ordine
alla suddetta compatibilita' dell'abuso.
Attraverso la previsione del parere vincolante, in realta' la
funzione di valutare la compatibilita' dell'abuso viene allocata in
capo allo Stato.
Cio' contrasta, pero', con l'art. 118 della Costituzione, perche'
tale allocazione non e' sorretta da esigenze di carattere unitario.
In denegata ipotesi la norma resterebbe comunque incostituzionale
per violazione dell'art. 118 della Costituzione perche' non sono
previste adeguate procedure d'intesa con le regioni, invece
imprescindibili, in caso di allocazione in capo allo Stato di
funzioni che interferiscono con materie di competenza regionale. Non
vi e' dubbio che nel caso in esame sussista detta interferenza, posto
che la valutazione della compatibilita' ambientate delle opere incide
anche, e in modo consistente, sull'assetto urbanistico e sulla
pianificazione territoriale, di competenza regionale.
Le valutazioni ora esposte in merito alla previsione del parere
vincolante della Soprintendenza evidenziano ancora maggiormente il
profilo di illegittimita' costituzionale sopra rilevato, concernente
la vanificazione delle norme regionali che prevedono il ripristino
dello stato dei luoghi.
Infatti, a fronte del parere vincolante positivo sulla
compatibilita' ambientale dell'abuso espresso dalla Soprintendenza in
possibile difformita' dalla valutazione regionale o degli enti
locali, risulta preclusa la possibilita' per le regioni e gli enti
locali di applicare la sanzione della rimessione in pristino dei beni
anche se prevista dalla legislazione regionale.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 37 della
legge n. 308/2004, per violazione degli artt. 117 e 118 della
Costituzione.
Il comma in questione prevede la possibile estinzione del reato
di cui all'art. 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e di ogni
reato in materia paesaggistica per i lavori compiuti sui beni
paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la
prescritta autorizzazione o in difformita' da essa. Detta estinzione
opera a condizione che le tipologie realizzate ed i materiali
utilizzati rientrino tra quelli previsti dagli strumenti di
pianificazione paesaggistica o siano giudicati comunque compatibili
con il contesto paesaggistico (anche in tale caso il successivo comma
39 prevede che sia acquisito il parere della Soprintendenza, ma
questa volta detto parere non e' vincolante).
Occorre inoltre che i trasgressori abbiano pagato le sanzioni
pecuniarie indicate ai punti 1 e 2 del medesimo comma 37.
La disposizione appare costituzionalmente illegittima per
argomentazioni analoghe a quelle di cui al precedente punto. In
particolare il condono penale opera ove sia accertata la
compatibilita' ambientate dell'abuso: ebbene, se un'opera abusiva e'
valutata compatibile con il paesaggio, non potra' essere oggetto di
ripristino (evidentemente, infatti, non si puo' ordinare il
ripristino sul piano amministrativo e, al tempo stesso, far condonare
il reato per la compatibilita' ambientale dell'abuso!) e cio' anche
se la normativa regionale preveda la demolizione e la restituzione in
ripristino degli abusi nelle aree vincolate.
Cio' determina pertanto una violazione delle attribuzioni
regionali in materia di governo del territorio, che non puo'
ritenersi giustificata neppure in nome di esigenze di carattere
unitario.
Inoltre la disposizione in esame contiene un aspetto di
ambiguita' che puo' determinare una ulteriore violazione delle
competenze regionali in materia di governo del territorio.
La norma, infatti, non fa salve - come invece il precedente comma
36 - le sanzioni amministrative ripristinatorie e pecuniarie e
percio' risulta illegittima per contrasto con l'art. 117 della
Costituzione ove venga interpretata nel senso di consentire
l'inapplicabilita' di dette sanzioni, incidendo cosi' direttamente
nell'ambito materiale riservato alla competenza regionale.
P. Q. M.
Si chiede che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 36 lettera c) e comma 37 della
legge 15 dicembre 2004, n. 308, perche' in contrasto con gli
artt. 117 e 118 della Costituzione.
Firenze - Roma, addi' 24 febbraio 2005
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 4 marzo 2005 (della Regione Toscana)
(GU n. 12 del 23-3-2005)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 272
del 14 febbraio 2005, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente atto, dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
36 lettera c) e comma 37 della legge 15 dicembre 2004, n. 308,
recante «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e
l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di
diretta applicazione».
Sulla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 2004, n. 302, S.O. e'
stata pubblicata la legge n. 308/2004; con essa il legislatore delega
il Governo ad emanare uno o piu' decreti legislativi per il riordino
delle norme in materia ambientale. Gli ambiti di intervento previsti
sono: la gestione dei rifiuti; la tutela delle acque e dell'aria; la
difesa del suolo; la gestione delle aree protette; la tutela
risarcitoria contro i danni all'ambiente; le procedure per la
valutazione di impatto ambientale, per la valutazione ambientale
strategica e l'autorizzazione ambientale integrata.
Nella definizione dei principi direttivi si prevede la necessita'
del rispetto delle attribuzioni regionali.
In due aspetti, tuttavia, la legge in oggetto appare
costituzionalmente illegittima per violazione delle competenze
regionali e viene pertanto impugnata per i seguenti motivi di
D i r i t t o
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 36, lett.
c), della legge n. 308/2004, per violazione degli artt. 117 e 118
della Costituzione.
L'art. 1, comma 36, lettera c) modifica l'art. 181 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del
paesaggio, avente ad oggetto le sanzioni penali per le opere eseguite
su beni paesaggistici, in assenza di autorizzazione o in difformita'
da essa.
Rilevano qui gli introdotti commi 1-ter e 1-quater. Il primo
prevede che le sanzioni penali, stabilite per il reato
contravvenzionale contemplato dal comma 1 dell'art. 181, non si
applicano per i lavori realizzati in assenza o in difformita'
dall'autorizzazione paesaggistica che non abbiano determinato
creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli
legittimamente realizzati; per l'impiego di materiali in difformita'
dell'autorizzazione paesaggistica e per gli interventi di
manutenzione ordinaria o straordinaria.
Per la inapplicabilita' delle sanzioni penali deve essere
accertata la compatibilita' paesaggistica dell'abuso da parte
dell'autorita' amministrativa competente (le funzioni amministrative
concernenti la gestione del vincolo paesaggistico sono state
attribuite alle Regioni gia' dall'art. 82 del d.P.R. n. 616/1977; la
competenza e' ora prevista dall'art. 146 del decreto legislativo 22
gennaio 2004, n. 42); a tal fine il comma 1-quater citato, anch'esso
introdotto dalla norma in esame, dispone che l'autorita' competente
si esprime nel termine perentorio di centottanta giorni, previo
parere vincolante della Soprintendenza, da rendersi nel termine
perentorio di novanta giorni.
I commi 1-ter e 1-quater introdotti dall'impugnata disposizione
ledono le attribuzioni regionali in materia di governo del territorio
e non rispettano gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
E' vero che il citato comma 1-ter incide sulla fattispecie
penale, prevedendo che resta ferma l'applicazione delle sanzioni
amministrative ripristinatorie e pecuniarie; tuttavia il rispetto
delle attribuzioni regionali e' solo formale.
Infatti la sanzione penale non si applica ove sia accertata la
compatibilita' ambientale dell'abuso: ebbene, se un'opera abusiva e'
valutata compatibile con il paesaggio non potra' essere oggetto di
ripristino (evidentemente, infatti, sarebbe viziato per eccesso di
potere il ripristino ordinato sul piano amministrativo a fronte della
mancata applicazione della sanzione penale in considerazione della
compatibilita' ambientale dell'abuso) e cio' anche se la normativa
regionale preveda la demolizione e la restituzione in ripristino
degli abusi nelle aree vincolate.
Percio' l'art. 1, comma 36, lett. c), ove introduce il citato
comma 1-ter, ha rilevanza anche sotto il profilo urbanistico ed
edilizio, venendo, di fatto, a limitare l'applicabilita' delle
sanzioni ripristinatorie previste dalla normativa regionale con
riferimento agli abusi commessi nelle aree vincolate. Cio' incide
sulla materia del governo del territorio, soggetta alla potesta'
legislativa concorrente, e determina una lesione dell'art. 117 della
Costituzione.
Ne' l'intervento statale in questione puo' ritenersi giustificato
ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. s).
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 382/1999, ha rilevato
che «la regione, come ente rappresentativo delle molteplicita' degli
interessi legati alla dimensione territoriale, non puo' non reputarsi
titolare anche del potere di verifica delle compatibilita' degli
interventi che, attuati dai vari soggetti, comportano effetti sul
territorio».
Tale giurisprudenza puo' essere utilmente richiamata nel nuovo
contesto del Titolo V, Parte II, della Costituzione, della
Costituzione come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del
2001, dal momento che la Corte costituzionale, gia' anteriormente
alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione, aveva
ricavato una configurazione dell'ambiente come «valore»
costituzionalmente protetto, ossia come ambito materiale la cui
tutela e' idonea a investire trasversalmente una pluralita' di
materie e al cui perseguimento sono chiamati a contribuire,
nell'ambito delle reciproche competenze, tutti i livelli territoriali
di governo. L'esigenza della tutela dell'ambiente puo' e deve essere
perseguita, non solo con specifici interventi tesi direttamente alla
tutela degli equilibri ecologici, ma anche trasversalmente con la
predisposizione e realizzazione concreta di interventi nei diversi
campi dell'agire umano (salute, territorio, lavoro, protezione
civile, etc.).
Le suddette conclusioni sono avvalorate dalla recente sentenza
della Corte costituzionale n. 407/2002, particolarmente rilevante nel
caso in esame, perche' successiva alla modifica del titolo V della
Costituzione. In tale pronuncia la Corte ha precisato «che non tutti
gli ambiti materiali specificati nel secondo comma dell'art. 117
possono, in quanto tali, configurarsi come "materie" in senso
stretto, poiche', in alcuni casi, si tratta piu' esattamente di
competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralita'
di materie (cfr. sentenza n. 282 del 2002)», chiarendo che
«l'evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano
ad escludere, che possa identificarsi una "materia" in senso tecnico,
in senso tecnico, qualificabile come, tutela dell'ambiente» dal
momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale
rigorosamente circoscritta e delimitata, giacche', al contrario, essa
investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e
competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte
antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione
e' agevole ricavare una configurazione dell'ambiente come «valore»
costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta
di materia «trasversale», in ordine alla quale si manifestano
competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo
Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di
disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale (cfr., da
ultimo, sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del
1998)».
La Corte costituzionale, sempre nella sentenza n. 407/2002,
accertata la trasversalita' della materia «tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema» e rilevato che «i lavori preparatori relativi alla
lettera s) del nuovo art. 117 della Costituzione inducono, d'altra
parte, a considerare che l'intento del legislatore sia stato quello
di riservare comunque allo Stato il potere di fissare standards di
tutela uniformi sull'intero territorio nazionale, senza peraltro
escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di
interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente
ambientali», ha affermato che «si puo' quindi ritenere che riguardo
alla protezione dell'ambiente non si sia sostanzialmente inteso
eliminare la preesistente pluralita' di titoli di legittimazione per
interventi regionali diretti a soddisfare contestualmente,
nell'ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a
quelle di carattere unitario definite dallo Stato».
La stessa affermazione e' stata ribadita dalla successiva
giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 96/2003 e n. 259/2004),
per cui la competenza statale relativa alla tutela ambientale non
puo' limitare gli interventi del legislatore regionale attinenti alle
proprie attribuzioni, come quelle in materia di governo del
territorio.
Il comma 1-quater, introdotto dall'impugnata disposizione, si
pone anche in contrasto con l'art. 118 della Costituzione.
Infatti, come gia' rilevato, la compatibilita' paesaggistica e'
accertata previo parere, vincolante della Soprintendenza. Cio'
significa che l'autorita' preposta alla gestione del vincolo (regione
o enti locali cui le, regioni abbiano trasferito la funzione) non
potra' discostarsi da quel parere: com'e' noto, infatti, e' affermato
che i pareri vincolanti sono costitutivi del contenuto del
provvedimento.
Ne deriva che chi decide in merito alla compatibilita' dell'abuso
e' la Soprintendenza e che non vi e' possibilita' per la regione -
ovvero per gli enti locali cui le regioni abbiano trasferito le
funzioni - di far valere eventualmente diverse valutazioni in ordine
alla suddetta compatibilita' dell'abuso.
Attraverso la previsione del parere vincolante, in realta' la
funzione di valutare la compatibilita' dell'abuso viene allocata in
capo allo Stato.
Cio' contrasta, pero', con l'art. 118 della Costituzione, perche'
tale allocazione non e' sorretta da esigenze di carattere unitario.
In denegata ipotesi la norma resterebbe comunque incostituzionale
per violazione dell'art. 118 della Costituzione perche' non sono
previste adeguate procedure d'intesa con le regioni, invece
imprescindibili, in caso di allocazione in capo allo Stato di
funzioni che interferiscono con materie di competenza regionale. Non
vi e' dubbio che nel caso in esame sussista detta interferenza, posto
che la valutazione della compatibilita' ambientate delle opere incide
anche, e in modo consistente, sull'assetto urbanistico e sulla
pianificazione territoriale, di competenza regionale.
Le valutazioni ora esposte in merito alla previsione del parere
vincolante della Soprintendenza evidenziano ancora maggiormente il
profilo di illegittimita' costituzionale sopra rilevato, concernente
la vanificazione delle norme regionali che prevedono il ripristino
dello stato dei luoghi.
Infatti, a fronte del parere vincolante positivo sulla
compatibilita' ambientale dell'abuso espresso dalla Soprintendenza in
possibile difformita' dalla valutazione regionale o degli enti
locali, risulta preclusa la possibilita' per le regioni e gli enti
locali di applicare la sanzione della rimessione in pristino dei beni
anche se prevista dalla legislazione regionale.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 37 della
legge n. 308/2004, per violazione degli artt. 117 e 118 della
Costituzione.
Il comma in questione prevede la possibile estinzione del reato
di cui all'art. 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e di ogni
reato in materia paesaggistica per i lavori compiuti sui beni
paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la
prescritta autorizzazione o in difformita' da essa. Detta estinzione
opera a condizione che le tipologie realizzate ed i materiali
utilizzati rientrino tra quelli previsti dagli strumenti di
pianificazione paesaggistica o siano giudicati comunque compatibili
con il contesto paesaggistico (anche in tale caso il successivo comma
39 prevede che sia acquisito il parere della Soprintendenza, ma
questa volta detto parere non e' vincolante).
Occorre inoltre che i trasgressori abbiano pagato le sanzioni
pecuniarie indicate ai punti 1 e 2 del medesimo comma 37.
La disposizione appare costituzionalmente illegittima per
argomentazioni analoghe a quelle di cui al precedente punto. In
particolare il condono penale opera ove sia accertata la
compatibilita' ambientate dell'abuso: ebbene, se un'opera abusiva e'
valutata compatibile con il paesaggio, non potra' essere oggetto di
ripristino (evidentemente, infatti, non si puo' ordinare il
ripristino sul piano amministrativo e, al tempo stesso, far condonare
il reato per la compatibilita' ambientale dell'abuso!) e cio' anche
se la normativa regionale preveda la demolizione e la restituzione in
ripristino degli abusi nelle aree vincolate.
Cio' determina pertanto una violazione delle attribuzioni
regionali in materia di governo del territorio, che non puo'
ritenersi giustificata neppure in nome di esigenze di carattere
unitario.
Inoltre la disposizione in esame contiene un aspetto di
ambiguita' che puo' determinare una ulteriore violazione delle
competenze regionali in materia di governo del territorio.
La norma, infatti, non fa salve - come invece il precedente comma
36 - le sanzioni amministrative ripristinatorie e pecuniarie e
percio' risulta illegittima per contrasto con l'art. 117 della
Costituzione ove venga interpretata nel senso di consentire
l'inapplicabilita' di dette sanzioni, incidendo cosi' direttamente
nell'ambito materiale riservato alla competenza regionale.
P. Q. M.
Si chiede che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 36 lettera c) e comma 37 della
legge 15 dicembre 2004, n. 308, perche' in contrasto con gli
artt. 117 e 118 della Costituzione.
Firenze - Roma, addi' 24 febbraio 2005
Avv. Lucia Bora - Avv. Fabio Lorenzoni