Ricorso n. 29 del 9 giugno 2007 (Regione Lombardia)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 9 giugno 2007 , n. 29
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 9 giugno 2007 (dalla Regione Lombardia)
(GU n. 29 del 25-7-2007)
Ricorso della Regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, on. dott. Roberto Formigoni, autorizzato con delibere di giunta regionale n. VIII/004745 del 18 maggio 2007 e n. VIII/004776 del 30 maggio 2007, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dagli avv. Pio Dario Vivone e prof. Beniamino Caravita di Toritto e presso lo studio del secondo elettivamente domiciliata in Roma, via di Porta Pinciana n. 6; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dei commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, 1-quinquies, 1-sexies, 2, 3, 8-bis, 8-ter dell'art. 13 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7 ("Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attivita' economiche, la nascita di nuove imprese, la valorizzazione dell'istruzione tecnico-professionale e la rottamazione di autoveicoli") recante "Misure urgenti in materia di istruzione tecnico-professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica. Misure in materia di rottamazione di autoveicoli. Semplificazione del procedimento di cancellazione dell'ipoteca per i mutui immobiliari. Revoca delle concessioni per la progettazione e la costruzione di linee ad alta velocita' e nuova disciplina degli affidamenti contrattuali nella revoca di atti amministrativi. Clausola di salvaguardia. Entrata in vigore", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 1° febbraio 2007, n. 26, cosi' come convertito con modificazioni dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2007, supplemento ordinario, per violazione degli artt. 117, 118, 119, 70, 76 e 77 della Costituzione, nonche' dei principi costituzionali di leale collaborazione (art. 120), di buon andamento (art. 97) e di ragionevolezza (art. 3). F a t t o Il Governo, con il d.l. n. 7 del 2007, ha ritenuto di dover intervenire in modo immediato con "talune misure urgenti, necessarie a rimediare ad ostacoli che limitano lo sviluppo economico del Paese, i diritti dei consumatori e la concorrenza, in relazione all'attuale contingenza economica, nonche' in relazione alla presenza di situazioni di grave anomalia rispetto ai principi comunitari e costituzionali, piu' volte segnalate anche dalle istituzioni comunitarie e dall'Autorita' garante della concorrenza e del mercato" (cfr. Relazione presentata dal Governo al disegno di legge di conversione). L'art. 13 del d.l. 31 gennaio 2007, n. 7 (c.d. decreto Bersani-bis), recante "Disposizioni urgenti in materia di istruzione tecnico-professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica", presenta diversi e pregnanti profili di illegittimita' costituzionale. Esso, infatti, contiene una serie di norme che modificano in modo significativo alcune disposizioni del d.lgs. n. 226 del 2005, di attuazione della legge delega n. 53 del 2003, avente ad oggetto il riordino del secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione. In via preliminare e' opportuno mettere a fuoco il quadro che si verrebbe a delineare a seguito di tale atto governativo profondamente illegittimo. All'interno di un complesso di norme eterogenee, inerenti ad ambiti materiali estremamente differenziati, l'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 40 del 2007, reca alcune disposizioni relative alla "valorizzazione dell'istruzione tecnico-professionale". In particolare si tratta dei commi dall'1 all'8-ter contenenti "Disposizioni urgenti in materia di istruzione tecnico-professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica". 1. - Il primo comma ridefinisce il sistema dell'istruzione secondaria superiore (gia' disciplinato dal d.lgs. n. 226 del 2005, e successive modificazioni), comprendendovi ora i licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali finalizzati al conseguimento di un diploma di istruzione secondaria. Si tratta degli istituti tecnici e professionali gia' menzionati e disciplinati dal comma 2 dell'art. 191 del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione di cui al d.lgs. n. 297 del 1994. Il comma 1 dell'art. 13 del d.l. n. 7 provvede inoltre a rimodellare il primo periodo del comma 6 dell'art. 2 del d.lgs. n. 226 del 2005. Sopprime le parole "economico" e "tecnologico" e sostituisce il precedente comma 8 con una nuova norma cosi' concepita: "i percorsi del liceo artistico si articolano in indirizzi per corrispondere ai diversi fabbisogni formativi"; abroga infine il comma 7 dell'art. 2 e gli artt. 6 e 10. Dal coordinamento delle modifiche e delle abrogazioni ne risulta un sistema dei licei che comprende ora i licei artistico, classico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico e delle scienze umane e non piu' i licei economico e tecnologico. Conseguentemente, viene meno la previsione per i licei economico e tecnologico "di una consistente area di discipline e attivita' tecnico-professionali tale da assicurare il perseguimento delle finalita' e degli obiettivi inerenti alla specificita' dei licei medesimi" prevista dall'abrogato comma 7 e sono abrogate le previsioni contenute negli artt. 6 e 10 dedicate ai soppressi licei economico e tecnologico. Il comma 1-bis dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come convertito con modifiche dalla legge n. 40 del 2007, stabilisce poi che gli istituti tecnici e gli istituti professionali ricompresi nel sistema dell'istruzione secondaria superiore, di cui al comma 1, sono "riordinati e potenziati come istituti tecnici e professionali finalizzati istituzionalmente al conseguimento del diploma". Inoltre, e' precisato che gli istituti di istruzione secondaria superiore devono attivare ogni opportuno collegamento con il mondo del lavoro e dell'impresa, compresi il "volontariato" e il "privato sociale", con la formazione professionale, con l'universita' e la ricerca e con gli enti locali, al fine di predisporre il "Piano dell'offerta formativa" secondo quanto previsto dall'art. 3 delle "Norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche", poste dal d.P.R. 8 marzo 1999, n. 275. Il comma 1-ter, nell'ambito del complessivo riordino e potenziamento disposto dal provvedimento, prevede inoltre l'adozione di regolamenti adottati con decreto del Ministro della pubblica istruzione (ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988), previo parere delle competenti Commissioni parlamentari da rendere entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione dei relativi schemi, decorso il quale i regolamenti possono comunque essere adottati, i suddetti regolamenti definiscono: la riduzione del numero degli attuali indirizzi; l'ammodernamento degli stessi nell'ambito di ampi settori tecnico-professionali, articolati in un'area di "istruzione generale, comune a tutti i percorsi", e in aree di "indirizzo"; i regolamenti devono altresi' prevedere: la scansione temporale dei percorsi e i relativi risultati di apprendimento; la previsione di un monte ore annuale delle lezioni sostenibile per gli allievi nei limiti del monte ore complessivo annuale gia' previsto per i licei economico e tecnologico dal d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, e del monte ore complessivo annuale da definire ai sensi dell'art. 1, comma 605, lettera f), della legge 27 dicembre 2006, n. 296; la coerente riorganizzazione delle discipline di insegnamento al fine di potenziare le attivita' laboratoriali, di stage e di tirocini; l'orientamento agli studi universitari e ai sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore. Secondo quanto disposto dal comma 1-quater, i regolamenti sono adottati entro il 31 luglio 2008; viene quindi stabilita la decorrenza dei nuovi percorsi formativi a partire dall'anno scolastico e formativo 2009-2010 invece che dall'anno 2008-2009 (modificando cosi' la precedente previsione dell'art. 27, comma 4, primo periodo del d.lgs. n. 226 del 2005, e successive modificazioni). Al fine di realizzare raccordi organici tra i percorsi degli istituti tecnico-professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale finalizzati al conseguimento di qualifiche e diplomi professionali di competenza delle regioni compresi in un apposito repertorio nazionale, viene prevista (dal comma 1-quinquies) l'adozione di apposite linee guida, predisposte dal Ministro della pubblica istruzione d'intesa con la Conferenza unificata Stato-citta' ed autonomie locali. Il comma 1-sexies precisa che l'attuazione delle previsioni normative recate dai commi da 1-bis a 1-quinquies dell'art. 13 del decreto deve avvenire senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. 2. - Il comma 2 dell'art. 13 prevede la possibilita', nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche e delle competenze degli enti locali e delle regioni, di costituire in ambito provinciale o sub-provinciale, "poli tecnico-professionali" tra gli istituti tecnici e gli istituti professionali, le strutture della formazione professionale accreditate ai sensi dell'art. 1, comma 624, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), e le strutture che operano nell'ambito del sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore, denominate "istituti tecnici superiori", nel quadro della riorganizzazione di cui all'art. 1, comma 631, della legge finanziaria 2007. I "poli", secondo le previsioni del decreto, "sono costituiti sulla base della programmazione dell'offerta formativa, comprensiva della formazione tecnica superiore, delle regioni, che concorrono alla loro realizzazione in relazione alla partecipazione delle strutture formative di competenza regionale". Le istituzioni scolastiche potranno costituire consorzi pubblici e privati (o aderire a consorzi gia' esistenti) per la costituzione dei "poli" (tra le cui finalita' il decreto individua la promozione "in modo stabile e organico" della "diffusione della cultura scientifica e tecnica" e il sostegno delle misure per la crescita sociale, economica e produttiva del Paese) al fine di garantire l'applicazione del Piano dell'offerta formativa e per l'acquisizione di beni e servizi idonei ad agevolare lo svolgimento dei propri compiti di carattere formativo. Viene altresi' precisato che i "poli" si doteranno di propri organi (da definire nelle relative convenzioni). Anche in questi casi le previsioni del decreto dovranno venir attuate nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e facendo salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, in conformita' ai loro statuti e alle relative norme di attuazione. 3. - Il comma 3 apporta alcune modifiche al testo unico delle imposte sui redditi (d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) e in particolare: viene prevista la detraibilita' ai fini fiscali di tutte che "le erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari senza scopo di lucro appartenenti al sistema nazionale di istruzione di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parita' scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione), e successive modificazioni, finalizzate all'innovazione tecnologica, all'edilizia scolastica e all'ampliamento dell'offerta formativa; la detrazione spetta a condizione che il versamento di tali erogazioni sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento previsti dall'art. 23 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241"; analogamente e' stabilita la deducibilita' per "le erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari senza scopo di lucro appartenenti al sistema nazionale di istruzione di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62, e successive modificazioni, finalizzate all'innovazione tecnologica, all'edilizia scolastica e all'ampliamento dell'offerta formativa, nel limite del 2 per cento del reddito d'impresa dichiarato e comunque nella misura massima di 70.000 euro annui; la deduzione spetta a condizione che il versamento di tali erogazioni sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento previsti dall'art. 23 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241. Il comma 4 da' conto della copertura finanziaria per gli oneri derivanti dalle modifiche introdotte dal comma 3 dell'art. 13 del decreto. Valutata l'entita' della spesa in 54 milioni di euro per l'anno 2008 e in 31 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009, il d.-l. precisa che si provvedera', per l'anno 2008, mediante utilizzo delle disponibilita' esistenti sulle contabilita' speciali di cui all'art. 5-ter del d.l. n. 452 del 2001 1) convertito, con modificazioni, dalla legge n. 16 del 2002, che a tale fine sono vincolate per essere versate all'entrata del bilancio dello Stato nel predetto anno. Vengono poi demandati ad un decreto del Ministro della pubblica istruzione (adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e emanato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto) "criteri e modalita' per la determinazione delle somme da vincolare su ciascuna delle predette contabilita' speciali ai fini del relativo versamento". Viene allo scopo autorizzato il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Il comma 6 attribuisce al Ministro dell'economia e delle finanze le funzioni di monitoraggio degli oneri determinati dai provvedimenti, anche ai fini dell'adozione dei correttivi previsti dalle norme relative alla contabilita' generale dello Stato in materia di bilancio e di copertura finanziaria delle leggi. La norma prevede inoltre che gli eventuali decreti correttivi emanati prima della data di entrata in vigore dei provvedimenti siano tempestivamente trasmessi alle Camere, corredati da apposite relazioni illustrative (secondo quanto previsto dalle richiamate norme in materia di bilancio e copertura finanziaria delle leggi e in particolare dall'art. 11-ter, commi 2 e 7, della legge n. 468 del 1978, e successive modificazioni). Coerentemente con quanto previsto in precedenza, e' stabilito inoltre che il Ministro della pubblica istruzione riferisce, dopo due anni di applicazione, alle competenti Commissioni parlamentari sull'andamento delle erogazioni liberali previste dal comma 3 dell'art. 13 del decreto. Il seguente comma 7 preclude ai soggetti che hanno effettuato donazioni alle istituzioni scolastiche la possibilita' di far parte del consiglio di istituto e della giunta esecutiva delle stesse. Il divieto tuttavia non si applica per le donazioni di valore non superiore a 2000 euro in ciascun anno scolastico. Il comma 7 chiarisce che i dati relativi alle dichiarazioni liberali di cui al comma 3 e in particolare quelli concernenti la persona fisica o giuridica che le ha effettuate sono dati personali ai sensi delle leggi vigenti in materia (in particolare del d.lgs. n. 196 del 2003). Il comma 8 stabilisce poi che le disposizioni fiscali hanno effetto a decorrere dal periodo di imposta in corso dal 1° gennaio 2007. 4. - Il seguente comma 8-bis dispone alcune modifiche al d.lgs. n. 226 del 2005 in materia di "Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53". In particolare, il testo del comma 1 dell'art. 1 coordinato con le modifiche apportate risulta cosi' formulato: "Il secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione e' costituito dal sistema dell'istruzione secondaria superiore e dal sistema dell'istruzione e formazione professionale. Assolto l'obbligo di istruzione di cui all'art. 1, comma 622 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nel secondo ciclo si realizza, in modo unitario, il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione di cui al d.lgs. 15 aprile 2005, n. 76". 5. - Infine, il comma 8-ter espressamente esclude dalle abrogazioni previste dall'art. 31, comma 2 del d.lgs. n. 226 del 2005, quelle disposizioni del d.lgs. n. 197 del 1994 che fanno riferimento agli istituti tecnici e professionali. In sostanza, tali istituti sono salvati dall'abrogazione. Alla luce della descrizione fin qui svolta emerge con chiarezza un assetto normativo connotato da un'unica volonta' di fondo: quella di riscrivere in modo illegittimo l'intera struttura del secondo ciclo dell'istruzione determinando effetti sostanziali non solo su questo specifico percorso, ma nel sistema formativo considerato nella sua interezza. Una illegittimita' resa ancor piu' grave dal metodo unilaterale scelto dal Governo e dallo strumento, un d.l., dunque strutturalmente inadeguato per una riforma di sistema e peraltro caratterizzato dall'essere un decreto omnibus, cioe' un enorme contenitore di una serie eterogenea di disposizioni rivolte alla modifica dei settori piu' disparati (giova sul punto far presente come il comma 8-quater, successivo all'ultimo che si occupa del settore dell'istruzione, lungi da una sorta di continuita' col filone precedente, affronta il tema del contenimento delle emissioni inquinanti dei veicoli!). Il provvedimento, gravemente lesivo delle competenze costituzionalmente garantite alla Regione Lombardia, e' illegittimo per le seguenti ragioni di D i r i t t o 1. - Illegittimita' costituzionale dei commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, 1-quinquies, 1-sexies, 2, 3, 8, 8-bis, 8-ter dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla legge di conversione n. 40 del 2007, per violazione degli artt. 117, 118, 119, 120, e dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e buon andamento (art. 97 Cost.). La portata "innovativa" e del tutto illegittima, oltre che irragionevole, dell'intervento del legislatore statale riesce a palesarsi in modo definitivo a seguito della ricostruzione della disciplina normativa del processo di riforma del settore istruzione, con uno sguardo particolare rivolto alla formazione professionale. 1.1. - La formazione professionale nel sistema dell'istruzione. 1.1.1. - Lo scenario pre-riforma costituzionale. Il settore della "formazione professionale" si e', da sempre, mosso in una dimensione distinta rispetto a quella della istruzione. Gia' nella pre-unitaria Legge Casati (legge n. 3725 del 1859), la formazione professionale era inserita entro l'area dell'"istruzione tecnica" che rappresentava un canale di istruzione professionale post-elementare costituito da "scuole tecniche" (biennali), finalizzate alla preparazione per lo svolgimento di mestieri "semplici", e (in secondo grado) da "istituti tecnici", rivolti alle attivita' di livello intermedio. Le une e gli altri avevano un forte radicamento nelle realta' economiche locali e, anzi, nascevano e operavano per iniziativa e con il sostegno finanziario - spesso congiunto - di associazioni industriali, camere di commercio, fondazioni, enti locali. Di qui, la loro "autonomia" dal sistema scolastico statale, con ordinamenti didattici largamente autodeterminati in funzione dell'addestramento alle professioni richieste dall'economia locale. Con la legge n. 889 del 1931, le "scuole tecniche" e gli "istituti tecnici" furono annessi all'ordinamento scolastico statale, con una marcata accentuazione della loro strumentalita' alle esigenze della produzione e con l'eliminazione di ogni possibile accesso all'istruzione universitaria (prima consentito tramite la sezione fisico-matematica degli istituti tecnici). 1.1.2. - L'avvento della Costituzione nel 1947 segno' profondamente anche il settore de quo: da un lato, infatti, si riconobbe il diritto dei lavoratori alla formazione e all'elevazione professionale (art. 35, comma 2) e, dall'altro, si attribui' alla competenza delle costituende regioni la materia dell'"istruzione artigiana e professionale" (art. 117, comma 1 del testo originario). Senonche', l'ordinamento italiano non conosceva, all'epoca, un tale ordine di istruzione, onde si ritenne che il costituente non potesse che riferirsi alla formazione professionale extrascolastica. Su questo presupposto, il Ministero della pubblica istruzione, in attesa dell'attuazione dell'ordinamento regionale, prima in via sperimentale e poi - a partire dal 1950 - in via sistematica, ha provveduto a trasformare le "scuole tecniche" in "istituti professionali", collocati nell'istruzione secondaria statale di secondo grado e abilitati (dopo un corso di due o tre anni) a rilasciare titoli di studio riconosciuti sul mercato del lavoro. Sul presupposto che la Costituzione, nell'attribuire alle regioni l'"istruzione artigiana e professionale" si fosse riferita alla sola formazione professionale extrascolastica, il decentramento alle regioni della materia "formazione artigiana e professionale" - operato, prima, dal d.P.R. n. 10/1972 e, poi, dal d.P.R. n. 616/1977 e dalla legge n. 845/1978 (legge-quadro sulla formazione professionale) - ha riguardato tutte le attivita' formative che non si concludessero con il rilascio di un titolo di studio. Sia nell'ambito della formazione professionale, svolta con finalita' "addestrative" al di fuori del sistema scolastico e con sbocchi unicamente lavorativi, sia nell'ambito dell'istruzione professionale, svolta all'interno del sistema scolastico e con possibili sbocchi nel mondo del lavoro, ovvero - dopo il "prolungamento" a cinque anni dei corsi degli istituti professionali (1969-1970) - nella frequenza di una facolta' universitaria, insiste un'attivita' regionale significativa. Tale competenza ha fondato la sua giustificazione nella necessita' che il complicato rapporto tra dimensione formativa e dimensione pratico-lavorativa dovesse trovare gestione e coordinamento ad un livello istituzionale vicino alla realta' territoriale, e quindi economica-produttiva, di riferimento. 1.1.3. - Il processo di decentramento a favore delle regioni di una serie di funzioni amministrative anche in materia di istruzione muove i primi passi, come poc'anzi accennato, all'inizio degli anni Settanta. In attuazione della legge delega n. 281 del 1970, nel 1972 vengono emanati diversi decreti delegati: il d.P.R. n. 3 del 1972, in materia di assistenza scolastica, trasferisce alle regioni le funzioni di tipo economico-gestionale, con l'eccezione di tutto il settore universitario. Il d.P.R. n. 10 del 1972, recante "Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di istruzione artigiana e professionale e del relativo personale", ha attribuito alle regioni (art. 1): i corsi di addestramento professionale; i corsi aziendali di riqualificazione; l'addestramento professionale degli artigiani; la formazione professionale degli apprendisti; l'istruzione artigiana e professionale negli istituti e servizi dipendenti dalla Direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena del Ministero di grazia e giustizia; la formazione professionale diretta allo svolgimento di professioni sanitarie ausiliarie e di arti sanitarie ausiliarie; l'orientamento e la qualificazione professionale degli invalidi del lavoro e degli invalidi civili; ogni altra funzione in ordine alla formazione e addestramento professionale attualmente svolta dagli organi centrali o periferici dello Stato, ferme restando le competenze di cui al successivo art. 7. Nelle funzioni amministrative trasferite sono comprese anche: 1) la vigilanza tecnica ed amministrativa sullo svolgimento delle attivita'; 2) la concessione di sovvenzioni e finanziamenti a favore delle attivita' stesse; 3) l'erogazione di contributi a favore di enti ed istituti che hanno per scopo l'addestramento e l'istruzione artigiana e professionale; 4) l'acquisto, la locazione, la costruzione, l'ampliamento e la gestione dei centri di addestramento ed istruzione artigiana e professionale ivi comprese le relative attrezzature, ad eccezione di quelli destinati all'espletamento delle funzioni di cui ai successivi artt. 7 e 8. In materia di formazione professionale codesta ecc.ma Corte, in riferimento alle scuole per terapisti per la riabilitazione, ha dichiarato che l'art. 5 della legge n. 118 del 1971 ha si' previsto (comma 1) che presso le universita' e presso enti pubblici e privati possono essere istituite scuole per la formazione di assistenti educatori, di assistenti sociali specializzati e di personale paramedico, e che (comma 2) il riconoscimento delle scuole presso enti avviene con decreto del Ministro per la pubblica istruzione di concerto con il Ministro per la sanita'; ma una volta attuato l'ordinamento regionale "cesseranno di avere efficacia le disposizioni di quella legge, limitatamente alle materie di cui all'art. 117 della Costituzione" (Corte cost., sent. n. 111 del 1975). Pertanto "essendo stato attuato l'ordinamento regionale ed effettuato il trasferimento alle regioni a statuto ordinario dei poteri amministrativi spettanti agli organi statali... proprio in materia di formazione di personale paramedico, il secondo comma del citato art. 5 della legge n. 118 del 1971 ha perso la sua efficacia". E cosi' la Corte ha dichiarato che "non spetta allo Stato il riconoscimento delle scuole per terapisti della riabilitazione gestite da enti pubblici o privati diversi dalle Universita', aventi sede nel territorio di regioni a statuto ordinario". Il d.P.R. n. 616 del 1977, attuativo della legge delega n. 382 del 1975, ha proseguito il percorso di decentramento verso le regioni e all'art. 37 ha previsto che "le istituzioni di istruzione artigiana o professionale, non abilitate al rilascio dei titoli di studio di cui al precedente art. 35 ed aventi personalita' giuridica di diritto pubblico, ad eccezione degli istituti professionali e degli istituti d'arte statali, sono trasferite alle regioni ed assumono la qualifica di regionali". E' in questo momento storico che si colloca un'altra importante sentenza di codesta ecc.ma Corte nella quale la Corte ha ricostruito "la portata della "materia"... "istruzione professionale", quale presente al legislatore all'atto del trasferimento alle Regioni delle funzioni relative, in adempimento del precetto costituzionale. Il nucleo essenziale di tale concetto emerge, con sufficiente chiarezza, dal dibattito sviluppatosi in sede dottrinale e nelle varie occasioni di progettazioni normative. In sostanza, deve ritenersi che l'istruzione in parola superi l'ambito del concetto comunemente accolto in precedenza, in quanto ora si caratterizza per la diretta finalizzazione all'acquisizione di nozioni necessarie sul piano operativo per l'immediato esercizio di attivita' tecnico-pratiche, anche se non riconducibili ai concetti tradizionali di arti e mestieri. E sotto tale profilo si distingue dalla istruzione in senso lato, attinente all'ordinamento scolastico e - tranne le limitate e transitorie competenze regionali ex art. 4, d.P.R. 1972, n. 10 -, di competenza statale; la quale, pur se impartisce conoscenze tecniche utili per l'esercizio di una o piu' professioni, ha come scopo la complessiva formazione della personalita'. Tale, dunque, essendo la portata della materia "istruzione professionale" di competenza regionale, e' evidente come non possa considerarsi ad essa estranea la regolamentazione dei corsi ex lege 1971, n. 426; i quali appunto, non risultano rivolti ad una formazione culturale di tipo generale, sibbene a fornire precisamente quelle cognizioni tecnico-pratiche (come le conoscenze merceologiche) necessarie per l'esercizio dell'attivita' di commerciante" (Corte cost., sent. n. 89 del 1977). Su tali premesse codesta ecc.ma Corte ha quindi dichiarato che "spetta alle regioni... l'istituzione e il riconoscimento dei corsi professionali ... sulla disciplina del commercio", annullando conseguentemente un decreto del Ministro per l'industria, il commercio e l'artigianato. Merita una nota, a conclusione di questo excursus normativo, la legge n. 845 del 1978, legge-quadro in materia di formazione professionale, dove innanzitutto e' stato ribadito (art. 2, comma 2, successivamente abrogato) che "le iniziative di formazione professionale sono rivolte a tutti i cittadini che hanno assolto l'obbligo scolastico o ne siano stati prosciolti, e possono concernere ciascun settore produttivo, sia che si tratti di lavoro subordinato, di lavoro autonomo, di prestazioni professionali o di lavoro associato"; quindi e' stato previsto che "le regioni esercitano, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, la potesta' legislativa in materia di orientamento e di formazione professionale" (art. 3), in conformita' ad alcuni principi, tra cui spiccano il rispetto della "coerenza tra il sistema di formazione professionale, nelle sue articolazioni ai vari livelli, e il sistema scolastico generale quale risulta dalle leggi della Repubblica" (lettera a); l'organizzazione del sistema di formazione professionale sviluppando le iniziative pubbliche e rispettando la molteplicita' delle proposte formative (lettera c). In definitiva, la formazione professionale, intesa ancora come extrascolastica, inizia a coordinarsi con l'istruzione scolastica, ma la sua organizzazione e gestione rimane di pertinenza regionale. Ad ulteriore riprova di cio', nella sentenza n. 180 del 1987, codesta ecc.ma Corte ha dichiarato che "l'attivita' di formazione, sia pure finalizzata alla costituzione di un rapporto di lavoro, in attuazione dello scopo precipuo della legge, cioe' l'occupazione dei giovani, e' stata inserita in un contesto di programmazione regionale e di esecuzione facente capo, direttamente o indirettamente, alle Regioni". Con la sentenza n. 391 del 1991 codesta ecc.ma Corte ha annullato alcuni artt. di un decreto ministeriale una volta acquisito che "non vi e' dubbio che siano state lese le competenze delle regioni e sottratti alla sfera della competenza regionale momenti essenziali dell'organizzazione di corsi professionali, che sicuramente spetta alle regioni mentre allo Stato e' riservato solo il controllo preventivo sulle materie d'insegnamento (sent. Corte cost. n. 89 del 1977 e n. 165 del 1989). La materia dell'istruzione professionale infatti e' stata delegata alle regioni dagli artt. 35 e 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977. In essa si comprendono tutte le attivita' destinate alla formazione, al perfezionamento, alla riqualificazione e all'orientamento professionale per qualsiasi attivita' professionale e per qualsiasi finalita'. La legge-quadro in materia di formazione professionale 21 dicembre 1978, n. 845, ha attribuito alle regioni la potesta' legislativa in materia di orientamento e di formazione professionale (art. 3) indicando le finalita' da realizzare e i principi da osservarsi". Anche la giurisprudenza amministrativa, chiamata a giudicare in materia di formazione professionale (si veda tra le ultime anche C.d.S., sez. IV, sent. n. 862 del 2005, dove la formazione professionale e' stata riconosciuta quale compito istituzionale delle Regioni) per l'esercizio delle arti ausiliarie delle professioni sanitarie, ha limpidamente riconosciuto che la competenza in materia di formazione e istruzione professionale e' da ritenere ... interamante devoluta alla sfera delle attribuzioni regionali" (C.d.S., sez. IV, sent. n. 510 del 1989). Questa pronuncia e' particolarmente rilevante anche perche' risolve eventuali dispute circa la differenza concettuale tra istruzione professionale e formazione professionale, dal momento che, sotto il profilo della loro attribuzione, esse costituiscono un unicum di spettanza regionale. E d'altronde che si tratti di un unicum e' dimostrato anche dal dato letterale del testo costituzionale novellato nel 2001: al comma 3 dell'art. 117, infatti, si parla di istruzione e formazione professionale e cioe' si utilizza l'aggettivo professionale declinato al singolare e non al plurale, come invece sarebbe stato necessario nel caso si fosse intesa una istruzione professionale distinta dalla formazione professionale. Anche l'argomento letterale dunque rende evidente come "istruzione e formazione professionale" rappresenti chiaramente un'endiadi attraverso la quale si fa riferimento ad un concetto di carattere unitario. 1.1.4. - Nell'ambito del generale disegno di riforme e ammodernamento del sistema amministrativo delineato dalla legge n. 59 dei 1997, il settore dell'istruzione e della formazione e' stato tra quelli maggiormente coinvolti anche in virtu' di una serie di interventi specifici volti alla modernizzazione degli ordinamenti didattici, nonche' ad una nuova configurazione sia del sistema pubblico dell'istruzione sia della formazione professionale. Il d.lgs. n. 112 del 1998 e' lo specchio di siffatta nuova impostazione. E' innanzitutto da segnalare quanto stabilito dall'art. 138, comma 1, che, tra le funzioni amministrative delegate alle regioni, ai sensi dell'art. 118, comma secondo, della (allora vigente) Costituzione, ha individuato espressamente la programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale (lettera a). Il Capo IV, dedicato alla "formazione professionale", ha fornito ulteriori elementi di potenziamento delle funzioni regionali. In primo luogo, si sono ribaditi i confini della "formazione professionale", da intendersi come "il complesso degli interventi volti al primo inserimento, compresa la formazione tecnico professionale superiore, al perfezionamento, alla riqualificazione e all'orientamento professionali, ossia con una valenza prevalentemente operativa, per qualsiasi attivita' di lavoro e per qualsiasi finalita', compresa la formazione impartita dagli istituti professionali, nel cui ambito non funzionano corsi di studio di durata quinquennale per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore, la formazione continua, permanente e ricorrente e quella conseguente a riconversione di attivita' produttive" (art. 141, comma 1). In secondo luogo (art. 141, comma 3), si precisa che la "istruzione artigiana e professionale si identifica con la formazione professionale". Quindi l'art. 143 ha conferito alle regioni "tutte le funzioni e i compiti amministrativi nella materia formazione professionale, salvo quelli espressamente mantenuti allo Stato dall'art. 142". E a ben guardare, tali ultime funzioni, cioe' quelle rimaste allo Stato, sono tutte di natura generale, di indirizzo e di coordinamento. Vi rientrano, solo a titolo di esempio: l'individuazione degli standard delle qualifiche professionali, ivi compresa la formazione tecnica superiore e dei crediti formativi e delle loro modalita' di certificazione; la definizione dei requisiti minimi per l'accreditamento delle strutture che gestiscono la formazione professionale; la definizione degli obiettivi generali del sistema complessivo della formazione professionale, in accordo con le politiche comunitarie; la definizione dei criteri e parametri per la valutazione quanti-qualitativa dello stesso sistema. Il successivo art. 144, comma 1, ha poi trasferito alle regioni: a) la formazione e l'aggiornamento del personale impiegato nelle iniziative di formazione professionale; b) le funzioni e i compiti svolti dagli organi centrali e periferici del Ministero della pubblica istruzione nei confronti degli istituti professionali, trasferiti ai sensi del comma 2 del presente articolo, ivi compresi quelli concernenti l'istituzione, la vigilanza, l'indirizzo e il finanziamento, limitatamente alle iniziative finalizzate al rilascio di qualifica professionale e non al conseguimento del diploma. Il comma 2 ha poi disposto che "con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la pubblica istruzione, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, da emanare entro sei mesi dall'approvazione del presente d.lgs., sono individuati e trasferiti alle regioni gli istituti professionali di cui all'art. 141". Su questo trasferimento fu previsto un regime transitorio (comma 3) finalizzato alla "salvaguardia della prosecuzione negli studi degli alunni gia' iscritti nell'anno precedente". La regionalizzazione degli istituti professionali ha trovato definitiva consacrazione nel successivo comma 4, dove essi hanno assunto la qualifica di enti regionali. Non va dimenticato, ancora che l'art. 68, comma 1, della legge n. 144 del 1999 (poi abrogato) ha non solo trasformato l'obbligo scolastico sino a 15 anni in diritto di formazione sino a 18 anni, ma ha stabilito che esso "puo' essere assolto in percorsi anche integrati di istruzione e formazione" nel "sistema della formazione professionale di competenza regionale" (lettera b). Il forte ruolo regionale rispetto alla formazione professionale e' stato avvalorato anche da codesta ecc.ma Corte. In una pronuncia di poco precedente all'entrata in vigore della Riforma del Titolo V del 2001 si legge che "il legislatore statale affida dunque alla legislazione regionale il compito di favorire l'integrazione tra funzioni delegate dallo Stato (quelle relative al collocamento e alle politiche attive del lavoro) e attribuzioni costituzionalmente spettanti alle regioni ex art. 117, primo comma, Cost., quali sono le funzioni ed i compiti in materia di formazione professionale. La direzione finalistica in tal modo impressa all'esercizio della potesta' legislativa regionale, con il coinvolgimento di competenze proprie, postula che sia conservata alle Regioni quella discrezionalita' organizzativa che deve essere ad esse riconosciuta nelle materie e per le funzioni di cui all'art. 117, primo comma, Cost." (Corte cost., sent. 74 del 2001). 1.2. - Lo scenario post-riforma del Titolo V della Costituzione. 1.2.1. - La riforma del 2001. Emerge sin qui come l'assetto istituzionale delle competenze in materia di istruzione e formazione abbia subito nell'ultimo decennio una serie di rilevanti trasformazioni. La logica che le ha guidate si e' sviluppata lungo due percorsi tra loro coordinati: da un lato, nel campo dell'istruzione, la netta opzione per l'accentuazione dell'autonomia scolastica finalizzata alla definitiva realizzazione di un sistema di istruzione policentrico e destatalizzato; dall'altro, un costante rafforzamento del ruolo regionale nel settore della formazione professionale, gia' spettante formalmente alle regioni sulla base del testo costituzionale originario. La legge cost. n. 3 del 2001, nel consolidamento dell'indirizzo riformatore precedente, ha inserito, per quanto riguarda la materia che qui ci interessa, tre novita' di rilievo: la competenza concorrente sulla materia "istruzione"; la costituzionalizzazione dell'autonomia delle istituzioni scolastiche; il riconoscimento della competenza residuale, quindi esclusiva, delle Regioni in materia di "istruzione e formazione professionale". Sembra opportuno soffermarsi, brevemente, sul dato testuale dell'art. 117, comma 3 Cost., nel quale sono esplicitati i suddetti principi. Si legge nel comma 3 che, tra le materie di legislazione concorrente, vi e' l'"istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale". Secondo una regola ermeneutica tradizionale, le disposizioni devono essere interpretate secondo il senso "fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse" (art. 12, comma 1, delle Disp. sulla legge in generale). Davvero pochi, pertanto, sono i dubbi circa la reale portata semantica dei termine "esclusione", che non puo' essere la stessa di (fare) "salva" utilizzata in riferimento alle istituzioni scolastiche. L'istruzione e' dunque materia concorrente, sulla quale insistono sia lo Stato (con i principi fondamentali) sia le regioni (con le norme di dettaglio). Ma entrambi, nel disciplinare tale materia, non possono non tener conto della presenza di un altro soggetto, le istituzioni scolastiche, cui vengono riconosciute determinate funzioni e la cui autonomia, di tipo funzionale (come riconosciuto espressamente dal d.P.R. n. 275 del 1999 di attuazione dell'art. 21 della legge n. 59 del 1997), e' tutelata a livello costituzionale. Questo deve intendersi quando l'istruzione diviene materia concorrente, "fatta salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche". Con "esclusione" dell'istruzione e formazione professionale, invece, significa operare una netta separazione tra l'ambito dell'istruzione e quello dell'istruzione e formazione professionale. La prima, l'istruzione, e' soggetta ad un triplice intervento statale: a) le "norme generali sull'istruzione" (ex art. 117, comma 2, lettera n); la "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (ex art. 117, comma 2, lettera e) i principi fondamentali, in quanto trattasi appunto di competenza di tipo concorrente. La seconda, al contrario, in rapporto con la prima, e' una materia su cui insiste la competenza esclusiva delle Regioni, soggetta ai soli LEP statali. Questa interpretazione e' peraltro pienamente conforme alla storia normativa della IFP. 1.2.2. - La legge delega n. 53 del 2003. Sulla base di questo nuovo quadro costituzionale si e' mosso il successivo legislatore ordinario, che con la legge delega n. 53 del 2003 (Legge "Moratti") e i conseguenti decreti delegati, ha disegnato un nuovo sistema educativo di istruzione e di formazione. L'aderenza della legge n. 53 rispetto al riformato dettato costituzionale emerge in modo inequivocabile gia' dal Titolo della stessa: essa, infatti, reca la "Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale". Cio' vuol dire che in forza di tale legge il Governo e' stato delegato ad emanare, per l'istruzione, prima ancora dei principi fondamentali, le norme generali, ma per l'istruzione e formazione professionale (materia esclusiva regionale) i soli livelli essenziali delle prestazioni. Con la legge n. 53 il concetto di obbligo scolastico viene sostituito da quello di diritto/dovere di istruzione. L'art. 2, comma 1, lettera c) recita: "e' assicurato a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di eta'; l'attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e in quello di istruzione e formazione professionale, secondo livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione..." Piu' avanti, si legge che "nei termini anzidetti di diritto all'istruzione e formazione e di correlativo dovere viene ridefinito ed ampliato l'obbligo scolastico di cui all'art. 34 della Costituzione, nonche' l'obbligo formativo introdotto dall'art. 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni". La struttura di base del sistema e' tracciata dalla successiva lettera d): "il sistema educativo di istruzione e di formazione si articola nella scuola dell'infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell'istruzione e della formazione professionale". Esiste, dunque, un'articolazione in due cicli: il primo ciclo comprende la scuola primaria, della durata di cinque anni, e la scuola secondaria di primo grado, della durata di tre anni; il secondo ciclo comprende il sistema dei licei e il sistema dell'istruzione e della formazione professionale. La vera novita' riguarda il secondo ciclo: esso e' costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e della formazione professionale (art. 2, comma 1, lettera g). Il sistema dei licei comprende i licei artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, tecnologico, delle scienze umane. Ciascun liceo, composto da due bienni e da un quinto anno dedicato all'approfondimento disciplinare, si conclude con un esame di stato, il cui superamento e il conseguente possesso del Diploma di scuola superiore secondaria permette l'accesso all'universita', all'alta formazione artistica, musicale e coreutica e all'istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS). Il sistema dell'istruzione e della formazione professionale, alternativo al sistema dei licei, prevede una durata almeno quadriennale. I titoli e le qualifiche conseguiti al termine dei quattro anni consentono di sostenere l'esame di stato, utile anche ai fini dell'accesso all'universita' e all'alta formazione artistica, musicale e coreutica, previa frequenza di un apposito corso annuale e ferma restando la possibilita' di sostenere, come privatista, l'esame anche senza tale frequenza (art. 2, comma 1, lettera h). Al termine del terzo anno gli studenti ottengono una prima qualifica spendibile nel mondo del lavoro e riconosciuta a livello europeo. E' questo, dunque, il sistema costruito dalla legge delega n. 53 del 2003. Al termine dei ciclo di base comune a tutti i preadolescenti (8 anni di scolarita), gli studenti hanno la possibilita' di scegliere tra i percorsi liceali mirati alla formazione culturale e aperti all'universita' e i percorsi di istruzione e formazione professionale, aperti alla formazione superiore, ma con finalita' professionalizzanti e percio' con la possibilita' di immediata apertura al mondo del lavoro dopo il conseguimento di una qualifica triennale. La previsione di un percorso educativo diversificato al termine del primo ciclo risponde alla differenziazione nell'approccio alla cultura che viene a delinearsi a quella eta'. La differenziazione dei percorsi mira ad un obiettivo comune, vale a dire, l'acquisizione di un adeguato livello culturale di base, che attraverso un sistema di crediti, permetta passaggi tra i due sottosistemi. La legge da' la possibilita' di cambiare indirizzo all'interno del sistema dei licei, nonche' di passare dal sistema dei licei al sistema dell'istruzione e della formazione professionale e viceversa, attraverso apposite iniziative didattiche, finalizzate all'acquisizione di una preparazione adeguata alla nuova scelta. La frequenza con esiti positivi di qualsiasi segmento del secondo ciclo determina l'acquisizione di crediti certificati che possono essere utilizzati nei passaggi tra i diversi percorsi. L'elemento caratterizzante la "Riforma Moratti" sta dunque nello sdoppiamento del secondo ciclo: un sistema dei licei, appartenente all'istruzione, e sul quale insiste la competenza concorrente Stato-regioni, e un sistema di istruzione e formazione professionale, di competenza regionale esclusiva. Ennesima riprova di quest'ultima competenza residuale regionale la si trova nella gia' citata lettera h) dell'art. 2, comma 1, della legge n. 53, dove il legislatore statale precisa che "ferma restando la competenza regionale in materia di formazione e istruzione professionale, i percorsi del sistema dell'istruzione e della formazione professionale realizzano profili educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione di cui alla lettera c)". 1.2.3. - Giova ricordare come, nelle more dell'approvazione del decreto delegato sul secondo ciclo di cui al d.lgs. n. 226 del 2005, gia' nell'anno 2002-2003 sono state avviate, da parte di alcune regioni, sperimentazioni dei percorsi formativi di istruzione e formazione professionale. Ad estendere a tutte le regioni le sperimentazioni ha provveduto l'Accordo quadro, raggiunto in sede di Conferenza Unificata il 19 giugno 2003 tra il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca scientifica, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, le regioni, le province, i comuni e le comunita' montane "per la realizzazione dall'anno scolastico 2003/2004 di un'offerta formativa sperimentale di istruzione e formazione professionale nelle more dell'emanazione dei decreti legislativi di cui alla legge 28 marzo 2003, n. 53". Nella Premessa dell'Accordo e' ribadito, da un lato, che tale offerta formativa "non predetermina l'assetto a regime dei percorsi del sistema dell'istruzione e della formazione professionale", che sara' stabilito dai "decreti delegati previsti per l'attuazione del diritto-dovere di istruzione e formazione"; dall'altro, la titolarita' in capo alle regioni "della programmazione delle attivita' inerenti l'attuazione del presente Accordo", cioe' quelle di istruzione e formazione professionale. Le sperimentazioni hanno avuto il merito di verificare la concreta possibilita' di far nascere percorsi di istruzione e formazione professionale e di cominciare a delimitare alcuni aspetti. In base a questi principi tali percorsi sperimentali devono essere riportati alle seguenti caratteristiche comuni: "avere durata almeno triennale; contenere, con equivalente valenza formativa, discipline ed attivita' attinenti sia alle aree professionali interessate; consentire il conseguimento di una qualifica professionale riconosciuta a livello nazionale e corrispondente almeno al secondo livello europeo (decisione del Consiglio 85/368/CEE)" (punto 3). Sono queste le uniche caratteristiche che debbono essere assicurate a tali percorsi su tutto il territorio nazionale. Sulle modalita' operative di realizzazione di tali percorsi lo stesso Accordo (punto 7) ha rinviato a formali accordi tra le regioni e gli Uffici scolastici regionali *). 1.2.4. - Il d.lgs. n. 226 del 2005. Con il d.lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, recante "Definizione delle norme generali e del livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53", il Governo ha realizzato un secondo ciclo di istruzione e formazione pienamente aderente al disegno tracciato dalla legge delega n. 53 del 2003, infatti: "il secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione e' costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e formazione professionale (art. 1, comma 1), che ha ripreso quanto stabilito dall'art. 2, comma 1, lett. d) e g) della legge n. 53; "il sistema dei licei comprende i licei artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, tecnologico e delle scienze umane" (art. 2, comma 7), ancora secondo quanto gia' affermato dall'art. 2, comma 1, lettera g) della legge n. 53; "nell'esercizio delle loro competenze legislative esclusive in materia di istruzione e formazione professionale e nella organizzazione del relativo servizio le regioni assicurano i livelli essenziali delle prestazioni definiti dal presente Capo" (art. 15, comma 2), insieme a quanto disposto nei successivi commi 5 e 6, in piena sintonia con quanto stabilito dall'art. 2, comma 1, lettera h) della legge n. 53. Il d.lgs. compie un passo in avanti rispetto alla legge delega: nel momento in cui l'art. 1, comma 5 dichiara che "i percorsi liceali e i percorsi di istruzione e formazione professionale nei quali si realizza il diritto-dovere all'istruzione e formazione sono di pari dignita", afferma in maniera espressa un principio, quello appunto della pari dignita' tra i percorsi del secondo ciclo, che nella legge delega era "soltanto" desumibile. Coerentemente con la sua funzione attuativa, il d.lgs. agli artt. 4-11 ha disciplinato in modo piu' dettagliato i percorsi dei singoli licei, "limitandosi", per i percorsi di istruzione e formazione professionale, ad individuare i livelli essenziali delle prestazioni che le regioni devono garantire (artt. 15-21). Ed, infine, va segnalato l'art. 31, comma 2, a norma del quale "le seguenti disposizioni del Testo unico approvato nel d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, continuano ad applicarsi limitatamente alle classi di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore ancora funzionanti secondo il precedente ordinamento, ed agli alunni ad essi iscritti, e sono abrogate a decorrere dall'anno scolastico successivo al completo esaurimento delle predette classi: art. 82, esclusi commi 3 e 4; art. 191, escluso comma 7; art. 192, esclusi commi 3, 4, 9, 10, e 11; art. 193; art. 194; art. 195; art. 196; art. 198; art. 199; art. 206. L'articolo che qui interessa e' il 191 del d.lgs. n. 297 del 1994 che ha individuato come istituti e scuole dell'istruzione secondaria superiore "il ginnasio-liceo classico, il liceo scientifico, gli istituti tecnici, il liceo artistico, l'istituto magistrale, la scuola magistrale, gli istituti professionali e gli istituti d'arte" (comma 2), disciplinati di seguito nei commi successivi. Ebbene rispetto a questi istituti il d.lgs. n. 226, con la norma ex art. 31, comma 2, ha predisposto un regime transitorio volto alla soppressione degli stessi una volta che le classi "ancora funzionanti" si fossero esaurite. A decorrere, quindi, dall'anno successivo a quello del "completo esaurimento delle predette classi", gli istituti ex art. 191 avrebbero dovuto essere abrogati. In definitiva, il d.lgs. n. 226 del 2005 ha: ribadito la separazione dei percorsi del secondo ciclo; sancito espressamente la pari dignita' degli stessi; riaffermato la piena ed esclusiva competenza regionale sul binario dell'istruzione e formazione professionale. 1.3. - La giurisprudenza costituzionale sull'istruzione e formazione professionale dopo la Riforma del Titolo V. La posizione assunta da codesta ecc.ma Corte rispetto alla istruzione e formazione professionale a seguito dell'evoluto quadro costituzionale e' stata netta ed uniforme: ogni qualvolta si e' presentata l'opportunita', ha riconfermato la competenza esclusiva regionale. Nella sentenza n. 34 del 2005, dopo aver ribadito l'importanza di un "sistema integrato istruzione/formazione professionale, in armonia con orientamenti invalsi in ambito comunitario, nel quale si e' andata rafforzando sempre piu' una politica indirizzata alla riqualificazione dell'istruzione e della formazione professionale quale fattore di sviluppo e di coesione sociale ed economica", viene "salvato" un articolo di una legge regionale (l'art. 41 della l.r. Emilia-Romagna n. 12 del 2003) la cui disciplina, sull'"educazione degli adulti", "senza contrastare con quanto stabilito dalla legge statale, si muove sul versante del sostegno all'acquisizione o al recupero di conoscenze necessarie o utili per il reinserimento sociale e lavorativo e, dunque, in un ambito riconducibile a quello affidato alla competenza regionale in materia di istruzione e formazione professionale". Ancora piu' specifica e' la successiva pronuncia n. 50 del 2005 dove, dopo aver specificato che "questioni di legittimita' costituzionale possono quindi anzitutto insorgere per le interferenze tra norme rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti alcune allo Stato ed altre, come l'istruzione e formazione professionale, alle regioni", codesta ecc.ma Corte ha affermato che "la competenza esclusiva delle regioni in materia di istruzione e formazione professionale riguarda la istruzione e la formazione professionale pubbliche che possono essere impartite sia negli istituti scolastici a cio' destinati, sia mediante strutture proprie che le singole regioni possano approntare in relazione alle peculiarita' delle realta' locali, sia in organismi privati con i quali vengano stipulati accordi"; di conseguenza "la disciplina dei tirocini estivi di orientamento, dettata senza alcun collegamento con rapporti di lavoro, e non preordinata in via immediata ad eventuali assunzioni, attiene alla formazione professionale di competenza esclusiva delle regioni" (stessi principi si ritrovano nella pronuncia n. 51 del 2005). Tale orientamento si rafforza nelle sentenze successive: nella n. 384 del 2005 si legge che "sulla base della giurisprudenza di questa Corte, la competenza esclusiva delle regioni in materia di istruzione e formazione professionale non concerne le attivita' formative e di aggiornamento predisposte dal datore di lavoro per il personale dipendente"; nella sentenza n. 253 del 2006, la Corte ha ancora una volta "salvato" dalla declaratoria di incostituzionalita' delle norme regionali (artt. 3 e 4, comma 1 della l.r. Toscana n. 63 del 2004) sulle pari opportunita' nell'accesso ai percorsi di formazione e di riqualificazione rispetto a persone che risultino discriminate e esposte al rischio di esclusione sociale per motivi derivanti dall'orientamento sessuale o dall'identita' di genere, perche' "a prescindere dalla natura di mero indirizzo delle disposizioni in esame, esse costituiscono espressione dell'esercizio della competenza legislativa esclusiva regionale in materia di istruzione e formazione professionale che la regione puo' offrire mediante strutture pubbliche o private per soddisfare le esigenze delle varie realta' locali; le norme regionali impugnate, percio', non incidono sulla disciplina dei singoli contratti di lavoro e non invadono la competenza dello Stato in materia di ordinamento civile". E' recentissima una pronuncia (Corte cost., sent. n. 21 del 2007) nella quale la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 38, comma 2, della legge della regione Sardegna n. 20 del 2005 in quanto ha ritenuto che "nello stabilire che la formazione dalla legge definita formale debba essere prevalentemente esterna, non alteri i rapporti tra formazione interna, la cui disciplina compete allo Stato, e formazione esterna di competenza regionale, mantenendosi percio' conforme al sistema delle competenze concorrenti e del concorso di competenze che si verifica in tema di apprendistato". Si deve altresi' evidenziare come in altri casi, codesta ecc.ma Corte abbia dichiarato incostituzionali norme regionali proprio perche' le loro previsioni non erano riconducibili "alla materia della "formazione professionale" di competenza legislativa residuale delle regioni" (cosi' Corte cost., sent., n. 31 del 2005, ma anche n. 9 del 2004). 1.4. - E' alla luce di tutto quanto sin qui detto che risulta, in tutta la sua evidenza, la incostituzionalita' delle norme statali oggetto della presente impugnativa. Con i commi dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla conversione avvenuta con la legge n. 40 del 2007, il legislatore statale ha interamente ignorato la linea stabilita dal legislatore costituzionale sia come emerge dal testo originario della Costituzione che, a maggior ragione, da quello risultante dalla Riforma del 2001. Una linea che ha definitivamente riconosciuto l'istruzione e formazione professionale quale unicum materiale confluito definitivamente nella competenza esclusiva regionale. 1.5. - Ed invece i commi dell'art. 13 che in questa sede si censurano compiono una improvvisa e violenta sterzata puntando verso una direzione che vede lo Stato riappropriarsi di porzioni rilevanti di istruzione e formazione professionale. Uno scenario completamente contrario in primis rispetto al dettato costituzionale, quindi rispetto all'intera legislazione statale precedente, che di tale dettato e' rigorosa e coerente attuazione. L'incipit del primo comma recita "fanno parte del sistema dell'istruzione secondaria superiore di cui al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, e successive modificazioni...". Non sfugge la prima modifica lampante: il "sistema dei licei", cioe' uno dei due percorsi del secondo ciclo cosi' come individuato sia dalla legge n. 53 del 2003 che dal d.lgs. n. 226 del 2005, e' sostituito dal sistema "dell'istruzione secondaria superiore". Si tratta di una modifica non certo di poco conto giacche' e' evidente la connotazione certamente piu' ampia di quest'ultima rispetto al sistema dei licei. Del sistema dei licei, infatti, non possono che far parte solo e soltanto i licei. Utilizzare un'espressione come istruzione secondaria superiore e' il chiaro segnale della volonta' di allungare la coperta per coprire qualcosa che il solo sistema dei licei non copriva. Ed infatti, fanno parte di tale sistema, prosegue il comma "i licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali di cui all'art. 191, comma 2, del testo unico di cui al d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297". Si tratta, secondo quanto previsto nel successivo comma 3 del d.lgs. n. 297, gli istituti che hanno come fine precipuo "quello di preparare all'esercizio di funzioni tecniche od amministrative, nonche' di alcune professioni, nei settori commerciale e dei servizi, industriale, delle costruzioni, agrario, nautico ed aeronautico" (i tecnici) e quello di "fornire la specifica preparazione teorico-pratica per l'esercizio di mansioni qualificate nei settori commerciale e dei servizi, industriale ed artigiano, agrario e nautico" (i professionali). A prescindere dalle differenze che intercorrono tra istituti tecnici e istituti professionali, e' di tutta evidenza che entrambi svolgono attivita' di istruzione e formazione professionale. L'intento del legislatore statale, per nulla velato, e' quello di riattrarre a se' in modo improprio ed illegittimo rilevanti porzioni dell'istruzione e formazione professionale. Difatti una volta che questi istituti (di vera e propria istruzione e formazione professionale!) vengono inseriti nel percorso di "istruzione secondaria superiore" (che sostituisce il precedente sistema dei licei) divengono componenti di quel binario del secondo ciclo del sistema educativo appartenente alla materia "istruzione" e cioe' un ambito materiale su cui insistono le norme generali dello Stato, i LEP fissati dallo Stato e i principi fondamentali dello Stato: tradotto, significa una materia certamente "piu" statale rispetto alla istruzione e formazione professionale esclusivamente regionale. A riprova di tale intento attrattivo vi sono, da un lato la soppressione dei licei economico e tecnologico attraverso l'abrogazione degli artt. 6 e 10 del d.lgs. n. 226, con conseguente soppressione di ogni riferimento agli stessi; dall'altro, il riordino ed il potenziamento degli istituti tecnici e professionali come "istituti tecnici e professionali" (secondo quanto si legge al comma 1-bis, primo periodo, dell'art. 13) che, oltre ad una ridondanza poco apprezzabile, manifesta in modo inequivocabile la scelta di rafforzare il profilo professionale di tali istituti. Un profilo che si deve attuare anche attraverso "ogni opportuno collegamento con il mondo del lavoro e dell'impresa, ivi compresi il volontariato e il privato sociale, con la formazione professionale, con l'universita' e la ricerca e con gli enti locali" (comma 1-bis, ultimo periodo). 1.6. - La "statalita" di questi istituti tecnici e professionali trova ulteriore conferma nel comma 1-ter, dove si stabilisce che saranno dei "regolamenti adottati con decreto del Ministro della pubblica istruzione... previo parere delle competenti Commissioni parlamentari" - senza alcuna forma di coinvolgimento assicurato alle regioni e quindi in spregio anche dei livelli minimi del principio di leale collaborazione - a disciplinare il loro funzionamento attraverso interventi in ordine alla riduzione e ai contenuti degli indirizzi, alla scansione temporale dei percorsi, ai risultati di apprendimento, al monte ore annuale, alla riorganizzazione delle discipline di insegnamento, all'orientamento agli studi superiori. Gia' questo sarebbe sufficiente a dimostrare come lo Stato abbia violato palesemente il riparto costituzionale di competenze cosi' come sancito negli artt. 117, commi terzo e quarto della Costituzione, oltre che vanificato tutto il lungo e partecipato lavoro di riforma del sistema educativo messo in atto in precedenza. In sostanza, ha ripristinato l'assetto precedente previsto dal Testo unico approvato con il d.lgs. n. 297 del 1994 e ricollocato gli istituti tecnici e professionali, assunti nella loro originaria natura di istituti di formazione professionale, non in quella che avrebbe dovuto essere la loro sede costituzionalmente legittima, cioe' l'istruzione e formazione professionale di competenza regionale, bensi' all'interno del sistema dell'istruzione secondaria superiore, al fianco dei licei, vale a dire in un'area che, rientrando nella materia "istruzione", e' soggetta ad una forte influenza statale. Ma vi e' di piu'. Gli istituti tecnici e professionali sono "tutti finalizzati al conseguimento di un diploma di istruzione secondaria superiore" (art. 13, comma 1, primo periodo). Essi hanno percio' durata quinquennale, come tra l'altro affermato dall'art. 191, comma 4, del d.lgs. n. 297 del 1994: rispetto a percorsi di istruzione e formazione professionale regionale che possono essere di durata quadriennale (art. 2, comma 1, lettera h), della legge n. 53/2003) e ai percorsi triennali cosi' come avviati dalle regioni in fase di sperimentazione, le previsioni ex commi 1 e 1-bis dell'art. 13 indeboliscono fortemente i percorsi di istruzione e formazione professionale, privilegiando la formazione professionale inserita all'interno dell'istruzione secondaria superiore. L'illegittimo intervento statale nel settore della formazione professionale ha altresi' l'effetto illegittimo di rendere residuali i percorsi regionali di istruzione e formazione professionale. 1.7. - Siffatto atteggiamento statale e' del tutto illegittimo e non puo' superare il vaglio di costituzionalita' da parte di codesta ecc.ma Corte. Il quadro normativo e giurisprudenziale sviluppatosi sino alla fine degli anni novanta ha chiaramente dato luogo ad un settore "formazione professionale" in cui la competenza spettava naturalmente alle regioni, seppur anche nelle forme piu' morbide della delega o del conferimento di funzioni. La Riforma del Titolo V nel 2001 ha comunque sciolto ogni dubbio in merito e ha attribuito la competenza esclusiva sull'istruzione e formazione professionale alle regioni, anche perche', come sostenuto da codesta ecc.ma Corte in una importante decisione, "e' (...) implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le regioni di una funzione che era gia' ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998". (Corte cost., sent. n. 13 del 2004). In definitiva, il legislatore nazionale, attraverso le norme che qui si impugnano, ha voluto in modo illegittimo, perche' contrario a quanto previsto dalla Riforma del Titolo V della Costituzione e alle posizioni della giurisprudenza costituzionale, ripristinare una strutturata istruzione e formazione professionale statale a scapito dell'istruzione e formazione professionale regionale, relegata ad una connotazione residuale e di addestramento. 1.8. - Ennesima conferma del ripotenziamento dello Stato in materia di istruzione e formazione professionale la si ritrova nel comma 1-quinquies: qui, infatti, e' stabilito che il Ministro della pubblica istruzione, d'intesa con la Conferenza unificata, adottera' "apposite linee guida" tese a "realizzare organici raccordi tra i percorsi degli istituti tecnico-professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale finalizzati al conseguimento di qualifiche e diplomi professionali di competenza delle regioni compresi in un apposito repertorio nazionale". Dalla lettura di questa disposizione si percepisce come si sia invertito il rapporto di forze tra Stato e regioni in riferimento alla istruzione e formazione professionale: e' lo Stato, tramite il Ministro, che predispone, seppur d'intesa con la Conferenza unificata, le linee guida; sono i percorsi di istruzione e formazione professionali (cioe' quelli regionali) che devono essere raccordati a quelli degli istituti tecnico-professionali (cioe' quelli statali); e' statale il repertorio all'interno del quale vengono ricompresi le qualifiche e i diplomi professionali. In altri termini, e' lo Stato che riprende il timone della istruzione e formazione professionale, materia al contrario esclusivamente regionale, cercando con le regioni solo delle debolissime forme di raccordo e coinvolgimento. 2. - Illegittimita' costituzionale del comma 2 dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificato dalla legge di conversione n. 40 del 2007 per violazione della competenza esclusiva della regione in materia di istruzione e formazione professionale (art. 117, commi terzo e quarto Cost.), nonche' per interferenza in funzioni amministrative proprie della regione e per violazione del principio di leale collaborazione (artt. 118 e 120 Cost.). Un discorso a parte merita il comma 2 dell'art. 13. Qui, infatti, il legislatore statale non si ferma solo alla dimensione dell'istruzione e formazione professionale, ma invade, in maniera altrettanto illegittima, un altro terreno, quella della istruzione e formazione tecnica superiore. 2.1. - E' necessario, in via preliminare, inquadrare la materia. Come indicato dal Regolamento di attuazione dell'art. 69 della legge n. 144 del 1999, il sistema di istruzione e formazione tecnica superiore introdotto in Italia nel 1999, e' articolato in "percorsi" che hanno l'obiettivo di far raggiungere ai giovani e agli adulti occupati e non occupati un livello culturale elevato e una formazione tecnica e professionale approfondita. L'esigenza di figure professionali altamente specializzate proviene dal mondo del lavoro pubblico e privato, interessato in maniera sempre maggiore da innovazioni tecnologiche e dall'internazionalizzazione dei mercati. Gia' l'istitutiva legge n. 144 del 1999 ha fornito decisive indicazioni sulle competenze relative alla IFTS. All'art. 69, comma 2, si legge che "Le regioni programmano l'istituzione dei corsi dell'IFTS", che vengono realizzati "con modalita' che garantiscono l'integrazione tra sistemi formativi, sulla base di linee guida definite d'intesa tra i Ministri della pubblica istruzione, del lavoro e della previdenza sociale e dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica, la Conferenza unificata di cui al d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 e le parti sociali mediante l'istituzione di un apposito comitato nazionale". Lo stesso d.m. 28 gennaio 2000, che ha provveduto ad istituire il "Comitato nazionale per il sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore", ha stabilito che compito del Comitato e' quello di "formulare proposte per l'adozione di linee guida per l'accesso, la determinazione degli standard, il riconoscimento dei crediti, le modalita' di certificazione dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore, fermo restando il ruolo delle regioni nella programmazione dell'offerta formativa integrata" a norma dell'art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998. Il d.m. 31 ottobre 2000, n. 436, "Regolamento recante norme di attuazione dell'art. 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, concernente l'istruzione e la formazione tecnica superiore (IFTS)", all'art. 2, comma 1, lettera a) ha confermato che i percorsi dell'IFTS "sono programmati dalle regioni sulla base della concertazione istituzionale e della partecipazione delle parti sociali". Al successivo art. 7, comma 1, e' ribadito che "le regioni programmano l'istituzione dei percorsi e delle relative misure di sistema di cui all'art. 1, comma 3, tenendo conto delle proposte degli enti locali, sulla base delle linee guida, adottate d'intesa con la Conferenza unificata secondo le modalita' previste dall'art. 69, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144". Ma il ruolo pregnante svolto dalle regioni sul fronte dell'IFTS e' testimoniato anche dai poteri ad esse attribuite in materia di certificazioni: a norma dell'art. 8, comma 1, "in esito ai percorsi dell'IFTS, le regioni... rilasciano, agli aventi titolo, il certificato di specializzazione tecnica superiore valido in ambito nazionale, con il quale sono attestate le competenze acquisite secondo il modello predisposto dal Comitato nazionale di cui all'art. 69, comma 2, della legge n. 144 del 1999, approvato dalla Conferenza unificata. Le regioni possono, altresi', rilasciare contemporaneamente un attestato di qualifica professionale di secondo livello ai sensi del decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 12 marzo 1996, valido anche ai fini dell'iscrizione al centro per l'impiego, redatto secondo il modello indicato con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 26 marzo 1996". Infine, l'art. 50 del d.lgs. n. 276 del 2003, recante "Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30", al comma 3 recita: "ferme restando le intese vigenti, la regolamentazione e la durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione e' rimessa alle regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le universita' e le altre istituzioni formative". Da questo rapida ricostruzione del quadro normativo si evince in maniera inequivocabile come i soggetti gestori e responsabili dei percorsi di IFTS siano in primis le regioni. Sono le regioni gli enti che danno il via ai percorsi di IFTS che poi, a seguito della programmazione regionale, vengono progettati e gestiti da quattro soggetti, scuola, formazione professionale, universita' ed impresa, ex art. 4, comma 2, lettera b) del d.m. n. 436 del 2000. Il ruolo centrale ricoperto dalle regioni nell'ambito dell'IFTS si ricava anche dal tipo di intervento statale nel settore. Ai sensi dell'art. 1, comma 4 del d.m. n. 436 del 2000, compito del decreto e' quello di definire "le condizioni di accesso ai percorsi dell'IFTS, i criteri per la definizione dei relativi standard, le modalita' per l'integrazione tra i sistemi formativi, i criteri per il riconoscimento dei crediti e le modalita' per la loro certificazione e utilizzazione". I successivi artt. 4 e 5 definiscono rispettivamente gli "standard di percorso", tra i quali a titolo di esempio, la durata minima e massima dei percorsi, il riferimento dei curricoli a competenze base, le esperienze professionali dei docenti, e gli "standard minimi delle competenze per l'accesso e la valutazione dell'esito", e cioe' i requisiti minimi per l'accesso al percorso formativo dell'IFTS e il risultato minimo conseguibile in esito ad esso, tra cui l'individuazione della figura professionale di riferimento, i criteri per l'eventuale equipollenza dei percorsi e dei titoli, etc. Da cio' appare evidente che il legislatore statale incide nell'area dell'IFTS esclusivamente per garantire delle condizioni standards e dei requisiti minimi per i relativi percorsi che devono valere su tutto il territorio nazionale: un intervento che ha tutte le sembianze della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e che conserva la sua piena legittimita' a fronte di un'ambito competenziale di esclusiva spettanza regionale, qual e' appunto quello dell'istruzione e formazione tecnica superiore. Quanto detto trova conferma nell'Accordo, raggiunto in sede di Conferenza unificata Stato-regioni e Stato-citta' ed autonomie locali il 25 novembre 2004, "Linee guida per la programmazione dei percorsi dell'IFTS e delle misure per l'integrazione dei sistemi formativi 2004/2006" che nasce dall'esigenza di stabilizzare l'offerta formativa di tali percorsi "attraverso la capacita' programmatoria delle singole regioni". I programmi regionali, prosegue la premessa del documento, "comprendono sia i percorsi formativi sia eventuali misure di accompagnamento e di sistema, da realizzare con la modalita' del partenariato"; "per favorire il collegamento e lo sviluppo della cooperazione in rete in ambito nazionale e comunitario, si conviene che i soggetti attuatori sopra citati assumano, in questa fase, la denominazione di "Poli formativi per l'istruzione e la formazione tecnica superiore", con l'indicazione del settore di riferimento, attraverso i quali le regioni, secondo le indicazioni della propria programmazione in ambito di alta formazione, attivano corsi IFTS, con priorita' per aree e settori del proprio territorio nelle quali siano individuate particolari esigenze connesse all'innovazione tecnologica e alla ricerca, in collaborazione con universita', imprese, istituti superiori, organismi di formazione e centri di ricerca". Ancora, "le regioni programmano i percorsi dell'IFTS (...) determinano i profili professionali in cui le figure professionali di riferimento possono essere articolate a livello territoriale"; "le regioni... possono promuovere... progetti pilota, ...riferiti a figure professionali non ancora definite a livello nazionale, corrispondenti a documentati fabbisogni dei mercati territoriali del lavoro"; "a livello regionale vanno assunte le iniziative ritenute piu' idonee dalle regioni e dagli enti locali delegati per promuovere progetti pilota sperimentali, che possono essere realizzati con riferimento a quanto previsto dal d.lgs. n. 276 del 2003, titolo VI, capo I, art. 50, comma 1, nell'ambito dell'apprendistato fuori obbligo"; "le regioni... individuano i profili professionali regionali e le relative competenze aggiuntive, che rispondono ai processi produttivi ed agli interventi di sviluppo locale, riferiti in particolare alle piccole e medie imprese". L'Accordo si conclude con la determinazione di alcune linee guida cui devono attenersi le regioni nella loro programmazione: si tratta, per lo piu', di criteri generali attinenti aspetti contabili e finanziari. E comunque, gia' quanto stabilito dall'art. 144 del d.lgs. n. 112 del 1998 (v. supra par. 1.1.4.) dimostra e rafforza la competenza delle regioni in materia di istruzione e formazione tecnica superiore. 2.2. - Il comma 2 dell'art. 13, invece, ancora una volta manifesta la volonta' di violare un assetto di competenze gia' acquisito conformemente al nuovo testo dell'art. 117, commi secondo, terzo e quarto. Esso infatti propone la possibilita' di costituire "in ambito provinciale o sub-provinciale, "poli tecnico-professionali" tra gli istituti tecnici e gli istituti professionali, le strutture della formazione professionale accreditate ai sensi dell'art. 1, comma 624, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e le strutture che operano nell'ambito del sistema dell'istruzione e formazione tecnica superiore denominate "istituti tecnici superiori" nel quadro della riorganizzazione di cui all'art. 1, comma 631 della legge 27 dicembre 2006, n. 296. In questo primo periodo vanno messi in evidenza due aspetti. In primo luogo, i componenti di tali poli tecnico-professionali: questi possono essere i tre diversi istituti abilitati ad esercitare attivita' di istruzione e formazione professionale (anche di tipo superiore) e cioe' gli istituti tecnici e gli istituti professionali (appartenenti all'istruzione secondaria superiore, percio' statali), le strutture di formazione professionale (regionali) e gli istituti tecnici superiori appartenenti al settore della IFTS. Ora, per un verso viene ribadita la distinzione, nell'ambito dell'istruzione e formazione professionale, tra istituti tecnici e istituti professionali da un lato e strutture della formazione professionale dall'altro. Per altro, gli istituti tecnici superiori di IFTS, lungi dall'essere di pertinenza regionale come dovrebbe essere per quanto detto sopra, sono sempre piu' destinati a rientrare nell'ambito statale anche sulla scia della riorganizzazione e del potenziamento gia' avviati con l'art. 1, comma 631 della legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007). In secondo luogo, certamente non sfugge la netta imposizione statale circa gli ambiti entro cui costituire tali poli: prescrivere che questi debbano essere provinciali o sub-provinciali significa limitare pesantemente l'autonomia organizzativa e gestionale delle regioni in una materia su cui hanno la competenza esclusiva. Ma la marginalizzazione di cui sono vittime le regioni in tale settore e' ancora piu' evidente nel secondo periodo del comma 2, laddove si stabilisce che "i "poli" sono costituiti sulla base della programmazione dell'offerta formativa, comprensiva della formazione tecnica superiore, delle regioni, che concorrono alla loro realizzazione in relazione alla partecipazione delle strutture formative di competenza regionale". Cio' vuol dire che le regioni, rispetto alla realizzazione di poli tecnici finalizzati a coordinare in modo piu' organico sul territorio le attivita' di formazione professionale, non saranno le attrici principali, ma il loro ruolo si misurera' in relazione alla effettiva partecipazione delle strutture formative regionali all'intero dei poli: in sostanza, qualora le strutture di formazione professionale regionali non dovessero prender parte al polo, le regioni, automaticamente, verrebbero estromesse da tutta l'attivita' di organizzazione degli stessi. Ne deriva la palese violazione dell'art. 117, quarto comma. 3. - Illegittimita' costituzionale dei commi 3, 4, 5, 6, 6-bis, 7, 8 dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla legge di conversione n. 40 del 2007, per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 della Costituzione. I commi 3, 4, 5, 6, 6-bis, 7 e 8 dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla legge di conversione n. 40 del 2007, si muovono lungo un solco di illegittimita' costituzionale diverso rispetto a quello che ha unito i precedenti. E' necessario da subito precisare come sia il comma 3 quello affetto dal vizio d'incostituzionalita' principale, laddove i successivi sono tutti applicativi dello stesso e quindi viziati da illegittimita' costituzionale derivata. Il comma 3 introduce alcune modifiche al Testo unico delle imposte sui redditi di cui al d.P.R. n. 917 del 1986. In particolare, le lettere a) e b) - aggiungendo rispettivamente la lettera i-octies all'art. 15, comma 1 e la lettera o-bis all'art. 100, comma 2 - hanno stabilito che "le erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari senza scopo di lucro appartenenti al sistema nazionale di istruzione di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62, e successive modificazioni, finalizzate all'innovazione tecnologica, all'edilizia scolastica e all'ampliamento dell'offerta formativa" sono detraibili per un importo pari al 19 per cento, se non deducibili nella determi-nazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo, e sono altresi' deducibili nel limite del 2 per cento del reddito d'impresa dichiarato e comunque nella misura massima di 70.000 euro annui. Si tratta, pertanto, della previsione di una serie di agevolazioni fiscali rispetto ad erogazioni liberali effettuate a favore degli istituti scolastici. Agevolazioni che si traducono in un forte incentivo verso le stesse erogazioni. Ora il fatto che le norme de quibus facciano espresso riferimento ai soli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari, costituisce l'ennesimo sintomo di una precisa volonta' da parte del legislatore statale: quella di privilegiare il percorso dell'istruzione secondaria superiore rispetto a quello, regionale, dell'istruzione e formazione professionale. Difatti, l'espressione "istituti scolastici di ogni ordine e grado" non e' affatto onnicomprensiva di tutti gli istituti di istruzione e formazione. Come risulta - a titolo di esempio, dal d.P.R. 2 giugno 1981, n. 271, recante "Corresponsione di miglioramenti economici al personale della scuola di ogni ordine e grado", dal d.P.R. 25 giugno 1983, n. 345, recante "Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 20 aprile 1983 concernente il personale della scuola di ogni ordine e grado, dal d.m. 15 luglio 1987, recante "Premio speciale unitario per l'assicurazione degli alunni, degli studenti e degli insegnanti delle scuole e degli istituti di istruzione di ogni ordine e grado, non statali", ma anche dallo stesso d.lgs. n. 297 del 1994 - gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, senza alcuna specificazione, sono quelli statali. E comunque le disposizioni che qui si censurano allargano le agevolazioni ai soli istituti scolastici paritari senza scopo di lucro ex legge n. 62 del 2000. In forza di cio' e' evidente lo scopo del legislatore: anche gli istituti tecnici e gli istituti professionali, rientrati nel percorso di istruzione secondaria superiore "statale" e quindi certamente appartenenti alla categoria istituti scolastici di ogni ordine e grado, saranno destinatari di erogazioni liberali detraibili o deducibili. Nessuna menzione e', invece, rivolta alle strutture di formazione professionale regionali. Sarebbe davvero ardua una loro ricomprensione all'interno della generica espressione "istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari": e', al contrario, palese come il legislatore statale, non inserendo anche le strutture di formazione professionale regionali tra quelle destinatarie di erogazioni agevolate, voglia non solo (per quanto visto nei paragrafi precedenti) ricostruire in modo illegittimo un percorso di istruzione e formazione professionale di natura statale, ma lo voglia fare a discapito di quello che e' il solo percorso costituzionalmente legittimo di istruzione e formazione professionale, e cioe' quello regionale. Nessun dubbio puo' residuare circa la natura assolutamente discriminatoria delle norme contenute nelle disposizioni del comma 3 (e di conseguenza in quelle dei commi 4, 5, 6, 6-bis, 7, 8) ex commi 3, lett. a), b), e c) dell'art. 13. Le strutture regionali di formazione professionale, non risultando beneficiarie di alcuna erogazione agevolata, diversamente da quanto previsto per gli istituti tecnici e gli istituti professionali, di fatto avranno a disposizione un patrimonio di risorse finanziarie naturalmente minore rispetto a quello cui potranno aspirare questi ultimi. Cio' comporta una inevitabile deminutio nella progettazione e nella elaborazione delle loro attivita' specifiche, ovvero quelle di formazione professionale. Il tutto, senza che sia rintracciabile il minimo elemento di ragionevolezza nella scelta del legislatore statale, che e', al contrario, esclusivamente dettata dalla volonta' di privilegiare, in aperta violazione dell'art. 3 della Costituzione, ancora una volta il sistema di istruzione secondaria superiore a scapito di quello dell'istruzione e formazione professionale regionale. 4. - Illegittimita' costituzionale dei commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, 1-quinquies, 1-sexies, 2, 3, 8, 8-bis, 8-ter dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla legge di conversione n. 40 del 2007, per eccesso di potere legislativo in relazione alla violazione degli artt. 3 e 70 della Costituzione. 4.1. - Vi e', ancora, un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale che attraversa tutte le disposizioni che qui si impugnano e che emerge con chiarezza soprattutto nei commi 8-bis e 8-ter. In essi, infatti, il legislatore statale riepiloga formalmente quelle che sono le modificazioni apportate al d.lgs. n. 226 del 2005. Prima di entrare nel merito delle singole variazioni, e di evidenziarne quindi la portata, e' bene far presente a codesta ecc.ma Corte la successione nel tempo delle fonti: approvazione, in data 28 marzo 2003, della legge n. 53 del 2003 recante "Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di formazione professionale"; emanazione, in data 17 ottobre 2005, del d.lgs. n. 226 del 2005 recante "Definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53"; emanazione, in data 31 gennaio del 2007, del d.l. n. 7 del 2007, recante "Misure urgenti per... valorizzazione dell'istruzione tecnico-professionale...", il cui art. 13 prevede, tra le altre, "Disposizioni urgenti in materia di istruzione tecnico-professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica..."; approvazione, in data 2 aprile 2007, della legge n. 40 del 2007, di conversione del d.l. n. 7 del 2007. Riassumendo: approvazione della legge delega; emanazione, entro i termini, del decreto delegato; intervenuta scadenza della delega; approvazione di una legge che, successivamente, modifica il decreto delegato. 4.2. - Si prendano in considerazione le prime due fonti intervenute, cioe' la legge delega e il decreto delegato. Come messo in luce dalla piu' autorevole dottrina, "l'art. 76 Cost., ponendo come condizione necessaria per la stessa ammissibilita' costituzionale di una delega legislativa la determinazione dei principi e criteri direttivi... sembra considerare ogni ipotesi di legislazione delegata come una potesta' normativa di attuazione di principi e criteri direttivi. Sotto il profilo quindi della competenza delegabile sembra possibile considerare la legislazione governativa come una legislazione.. .intrinsecamente caratterizzata dalla necessita' di dare attuazione a statuizioni programmatiche e a direttive poste dal Parlamento all'atto del conferimento della delega" (cosi' A. Cervati, Legge delega e delegata, in Enc. dir., ad vocem). Cio' dimostra l'indissolubile legame che unisce la legge delega al decreto delegato, a tal punto che le norme delegate divergenti dalla delega si pongono indirettamente in contrasto con la Costituzione. Tale solco e' stato tracciato da codesta ecc.ma Corte nella prima sentenza che si e' pronunciata sulla legittimita' costituzionale di un decreto delegato, la n. 3 del 1957, dove e' stato chiaramente affermato che "la norma dell'art. 76 non rimane estranea alla disciplina del rapporto tra organo delegante e organo delegato, ma e' un elemento del rapporto di delegazione in quanto, sia il precetto costituzionale dell'art. 76, sia la norma delegante costituiscono la fonte da cui trae legittimazione costituzionale la legge delegata". Numerose sono poi le sentenze, anche recenti, che hanno confermato il nesso funzionale che unisce la legge delegata alla legge delega (sent. n. 224 del 1990 e le ivi richiamate sentt. nn. 243 del 1976, 158 del 1985, 48 e 128 del 1986; sent. n. 276 del 2000, e successive n. 425 del 2000 e n. 125 del 2003). Come gia' evidenziato nel dettaglio al paragrafo 1.2.4., il decreto n. 226/2005 da' piena attuazione a quei principi e criteri direttivi indicati dalla legge delega per quel che riguarda il secondo ciclo di istruzione: separazione dei percorsi, attraverso un sistema dei licei e un sistema di istruzione e formazione professionale di competenza esclusiva regionale; pari dignita' dei due percorsi; possibilita' di passaggio da un sistema all'altro etc. 4.3. - Giunti a questo punto si deve guardare alle rimanenti due fonti e cioe' all'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come convertito dalla legge n. 40 del 2007: vale a dire diviene indispensabile entrare nel merito delle modifiche apportate al decreto n. 226. A norma del comma 8-bis dell'art. 13, il sistema "dei licei" viene sostituito da quello "dell'istruzione secondaria superiore"; conseguentemente viene soppresso ogni riferimento al sistema "dei licei"; nel primo comma dell'art. 1, laddove si prevedeva che "esso (cioe' il secondo ciclo) e' il secondo grado in cui si realizza, in modo unitario, il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione di cui al d.lgs. 15 aprile 2005, n. 76", ora e' stabilito che "assolto l'obbligo di istruzione di cui all'art. 1, comma 622 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nel secondo ciclo si realizza, in modo unitario, il diritto- dovere all'istruzione e alla formazione di cui al d.lgs. 15 aprile 2005, n. 76"; vengono inoltre soppressi tutti i riferimenti al "liceo economico" e al "liceo tecnologico". Si tratta, a ben vedere, di modifiche sostanziali. Innanzitutto una volta che il sistema dei licei viene sostituto dal sistema dell'istruzione secondaria superiore, per quanto gia' detto nei paragrafi precedenti, di fatto rimangono due percorsi che pero' non sono piu' distinti, giacche' l'istruzione e formazione professionale, in piena violazione del dettato costituzionale, non e' piu' di competenza esclusiva regionale, ma viene svolta anche nel percorso di istruzione secondaria superiore attraverso gli istituti tecnici e gli istituti professionali che di esso fanno parte. Ma anche il richiamo alla disposizione della legge finanziaria suscita diverse perplessita': il comma 622 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006, infatti, aggiunge un concetto, quello dell'obbligo di istruzione, a quello piu' ampio di diritto-dovere all'istruzione e alla formazione introdotto dalla legge n. 53 del 2003 (art. 2, comma 1, lettera c). Un diritto-dovere "per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di eta", la cui attuazione si realizza "nel sistema di istruzione e in quello di istruzione e formazione professionale". Tale assetto del diritto-dovere ha trovato concreta e coerente attuazione nel d.lgs. n. 76 del 2005 ("Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, a norma dell'art. 2, comma 1, lettera c), della legge 28 marzo 2003, n. 53"), dove l'art. 1, comma 3 specifica che "la Repubblica assicura a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di eta'. Tale diritto si realizza nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione, costituite dalle istituzioni scolastiche e dalle istituzioni formative accreditate dalle regioni". Ora, grazie a quanto previsto dal successivo comma 1 dell'art. 2 del d.lgs. n. 76, secondo il quale "il diritto-dovere ha inizio con l'iscrizione alla prima classe della scuola primaria", risultano in modo chiaro e coerente le modalita' di attuazione del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione: nel primo ciclo di istruzione, comprensivo dei cinque anni della scuola primaria e dei tre anni della scuola secondaria di primo grado; nel secondo ciclo di istruzione, comprensivo, a livello minimo, dei quatto anni dei percorsi di istruzione e formazione professionale, o in alternativa dei cinque anni del sistema dei licei. In totale, un diritto-dovere per almeno dodici anni. Rispetto a questo quadro lineare, quello risultante dall'art. 1, comma 1 del d.lgs. n. 226 del 2005, cosi' come modificato dall'art. 8-bis de qua, si caratterizza per confusione e contraddittorieta'. Qui, infatti, si afferma, da un lato, che il secondo ciclo e' costituito dal sistema dell'istruzione secondaria superiore e dal sistema dell'istruzione e formazione professionale; dall'altro, che il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione si realizza, in modo unitario, "una volta assolto l'obbligo" di cui all'art. 1, comma 622 della legge finanziaria. Si tratta di un obbligo "per almeno dieci anni" e il cui adempimento "deve consentire, una volta conseguito il titolo di studio conclusivo del primo ciclo, l'acquisizione dei saperi e delle competenze previste dai curricula relativi ai primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore, sulla base di un apposito regolamento adottato dal Ministro della pubblica istruzione ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400". Alla luce di cio' che deve intendersi, grazie al comma 1 dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, per istruzione secondaria superiore, si evince in modo piu' chiaro anche il disegno abbozzato dal comma 622 dell'art. 1 della legge n. 296 del 2006 e portato a piena realizzazione con i commi che qui si impugnano: l'obbligo all'istruzione si realizzerebbe nel primo ciclo (cinque anni piu' tre anni) e nei primi (due anni, per un totale di dieci) non del secondo ciclo, ma solo di uno dei due percorsi del secondo ciclo, quello dell'istruzione secondaria superiore. Questo significherebbe che, nella sostanza, il secondo ciclo non si sdoppierebbe da subito, ma partirebbe con un biennio unitario la cui offerta e la relativa frequenza sarebbe possibile solo all'interno dell'istruzione secondaria superiore. Saremmo allora di fronte all'ennesimo squilibrio tra i percorsi del secondo ciclo che, dalla pari dignita' proclamata dal d.lgs. n. 226, giunge ad un palese privilegio per uno di essi (l'istruzione secondaria superiore, statale), svilendo l'altro (quello della istruzione e formazione professionale, regionale). Davvero vuota di significato, o totalmente contraddittoria, diverrebbe a questo punto, la parte finale del secondo periodo del comma 1 dell'art. 1 del d.lgs. n. 226 secondo cui ("assolto l'obbligo...") "nel secondo ciclo si realizza, in modo unitario, il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione di cui al d.lgs. 15 aprile 2005, n. 76". Ritorna infatti il concetto di diritto-dovere, tipico della legge delega n. 53 e dei suoi decreti delegati, ma non si comprende come possa integrarsi con l'obbligo all'istruzione e dove effettivamente si debba realizzare. Rimane nell'ordinamento, e addirittura viene richiamato dal comma 8-bis, una fonte, il decreto delegato n. 76 del 2005, che per quanto visto, disegna tempi e spazi del diritto-dovere diversi e chiaramente contraddetti dall'impugnato intervento statale. E' di solare evidenza, pertanto, come l'esito di quel fenomeno di successione tra fonti prima delineato, sia il seguente: il d.lgs. n. 226 del 2005, attuativo della legge delega n. 53 del 2003 sul secondo ciclo, permane nell'ordinamento giuridico, ma a seguito delle modifiche apportate dai commi oggetto della presente impugnazione, contiene una serie di disposizioni in aperto e palese contrasto con i principi ed i criteri direttivi stabiliti dalla legge delega che, peraltro, non venendo mai menzionata nelle disposizioni che qui si censurano, di fatto continua anch'essa a vivere nell'ordinamento. Ma vi e' di piu': la legge delega de qua - quella sul piano formale non toccata dall'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, ma su quello sostanziale profondamente elusa attraverso le modifiche apportate al suo decreto delegato - ha attuato sul piano legislativo ordinario il disegno costituzionale in materia di istruzione e formazione, cosi' come risultante dalla Riforma del Titolo V. Si legge, infatti, nel primo comma dell'art. 1 della legge n. 53 del 2003: "... in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione, il Governo e' delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e di comuni e province, in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali e dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, uno o piu' decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale". Tra i "principi sanciti dalla Costituzione" certamente vi e' quello di una istruzione fortemente destatalizzata e separata dalla istruzione e formazione professionale; tra le "competenze costituzionali delle regioni" rientra a titolo esclusivo quella sulla istruzione e formazione professionale, che, esclusa (ex art. 117, terzo comma) dalla legislazione concorrente, costituisce una materia a se' stante di competenza esclusiva regionale. Ecco che, allora, viene alla luce in tutta la sua gravita' la irrazionalita' che ha mosso il legislatore statale: egli ha operato con interventi chirurgici, frammentati e disorganici, su alcune disposizioni del decreto delegato n. 226, che nella sostanza ne hanno stravolto la linea, il senso e la sua piena sintonia con la legge delega. Sono irragionevoli e contraddittori gli effetti che questo intervento statale produce: nell'ordinamento, infatti, convivono una legge delega attuativa di precetti costituzionali, un decreto delegato oramai completamente svincolato da questa e per nulla rispondente ai suoi principi e criteri direttivi e una legge statale palesemente in contrasto con il riparto costituzionale di competenze in materia di istruzione e formazione professionale. Il provvedimento statale e', dunque, costituzionalmente illegittimo dal momento che si risolve in un vero e proprio eccesso di potere legislativo, perche' immette nell'ordinamento elementi di illogicita', di incoerenza e di palese contraddittorieta' (cfr. Corte cost., sent. n. 53 del 1974, ord. n. 62 del 1982, sent. n. 146 del 1996). Se il legislatore avesse voluto modificare la disciplina prevista dal decreto delegato n. 226, ben avrebbe potuto farlo nel pieno e legittimo esercizio della funzione legislativa. Ma avrebbe dovuto operare innanzitutto in modo omogeneo e coordinato - e non certo attraverso un provvedimento onnicomprensivo e destinato ad altre finalita' come quello ex art. 13 del d.l., approvato eludendo qualsiasi forma di dibattito parlamentare e di collaborazione interistituzionale; quindi abrogando completamente il decreto delegato per sganciarlo legittimamente dai principi e criteri della legge delega; o, infine, avrebbe potuto intervenire, modificandola, solo sulla legge delega. 4.4. - Quest'ultima ipotesi si e', in realta', gia' realizzata nell'ordinamento. E' il caso riguardante la composizione dell'istituto per il credito sportivo la cui attivita' e' stata definita, sin dalla legge n. 1295 del 1957, di natura bancaria. L'art. 1, comma 3, lettera h) della legge delega n. 59 del 1997 non ha sottratto alla delega delle funzioni amministrative quelle riconducibili alla materia delle banche, ma solo quelle inerenti la "moneta, perequazione delle risorse finanziarie e sistema valutario", che quindi rimanevano affidate allo Stato. In attuazione della delega, e' stato emanato il d.lgs. n. 112 del 1998 che, all'art. 157, sotto la rubrica "Competenze in materia di sport", al comma 3, ha disposto che restavano salve le funzioni statali di vigilanza sul CONI e sull'istituto per il credito sportivo, e al comma 4, che con l'apposito regolamento di cui all'art. 7, comma 3, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e nei termini ivi previsti, il Governo provvedesse al riordino dell'Istituto, anche garantendo una adeguata presenza nell'organo di amministrazione dei rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali. Subito dopo l'emanazione del decreto delegato, e' stata approvata una legge, la n. 191 del 1998, che ha modificato la disciplina in questione, riportando anche la materia "banche" tra quelle riservate allo Stato. Si e', a ben vedere, in presenza di una successione tra fonti esattamente speculare rispetto a quella oggetto della questione sottoposta a codesta ecc.ma Corte: una legge delega; l'emanazione del relativo decreto delegato; l'intervenuta scadenza del termine della delega; l'approvazione, successivamente, di una legge modificativa. Ebbene, nel caso ora riportato, a fronte di uno stesso rapporto successorio tra fonti, il legislatore statale si e' in realta' comportato in maniera completamente differente rispetto a quanto fatto con l'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007: egli e' infatti intervenuto, direttamente, modificandola, sulla legge delega. Codesta ecc.ma Corte, pronunciandosi sulla questione, ha affermato che "si e' qui in presenza di un fenomeno in cui il legislatore, per provocare la cessazione di vigenza del d.lgs., ha operato sulla legge di delegazione nel momento in cui il termine per l'esercizio della delega era scaduto, sicche' la complessa operazione non puo' essere intesa come conferimento di una nuova delega valida de futuro, diretta ad escludere l'attribuzione alle regioni e agli enti locali di compiti e funzioni inerenti alla gestione dell'istituto per il credito sportivo, ma puramente e semplicemente come intervento legislativo mirante a rendere priva di una base legale qualsiasi attribuzione medio tempore intervenuta, con immancabili riflessi sul piano della vigenza. La circostanza che il Parlamento, con la legge n. 191 del 1998 abbia operato nominalmente sulla legge di delegazione e sui poteri del Governo, anziche' agire direttamente sulle corrispondenti disposizioni del d.lgs. attuativo (...) non puo' essere altrimenti interpretata che come rimozione di queste disposizioni fin dall'origine" (Corte cost., sent., n. 241 del 2003). Ad ulteriore dimostrazione della razionalita' e della coerenza che ha guidato il legislatore nel caso che si sta esaminando, vi e' l'approvazione da parte del Parlamento di una nuova legge delega mirante a ridisciplinare in modo organico la materia. Nella succitata sentenza, prosegue la Corte "una ricostruzione, questa, che e' corroborata da quanto disposto dall'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 (Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonche' di enti pubblici), il quale, nel quadro delineato dal nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, ha nuovamente delegato il Governo a riordinare i compiti dell'istituto per il credito sportivo, assicurando negli organi anche la rappresentanza delle Regioni e delle autonomie locali". Ecco quindi dimostrato come il legislatore statale avrebbe dovuto muoversi volendo riscrivere, come ha fatto, la disciplina sul secondo ciclo dell'istruzione: con un azione complessiva e improntata alla ragionevolezza, tesa al riordino organico della disciplina. Cio' avrebbe dovuto tradursi o nell'abrogazione totale e diretta del decreto n. 226 ovvero nella sua abrogazione indiretta attraverso la modifica di alcune parti della legge delega. Il tutto finalizzato ad un nuovo, specifico e mirato intervento legislativo volto alla disciplina della materia. E, comunque, certamente non attraverso un'azione improvvisata, frammentata, per nulla partecipata e poco trasparente come quella realizzata attraverso i commi che qui si impugnano, i cui unici e gravi effetti sono stati la violazione del riparto costituzionale di competenze in materia di istruzione e formazione professionale e la creazione di imperdonabili elementi di contraddittorieta' ed incoerenza all'interno dell'ordinamento. 4.5. - Ma la illogicita' che pervade l'agire del legislatore emerge, per quanto si diceva all'inizio, anche dal comma 8-ter, dove interviene sulle abrogazioni previste dall'art. 31, comma 2, del decreto n. 226, disponendo che ne rimangono escluse "le disposizioni del testo unico di cui al d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, che fanno riferimento agli istituti tecnici e professionali". A norma del comma 2 dell'art. 31 del d.lgs. n. 226 "le seguenti disposizioni del Testo unico approvato nel d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297, continuano ad applicarsi limitatamente alle classi di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore ancora funzionanti secondo il precedente ordinamento, ed agli alunni ad essi iscritti, e sono abrogate a decorrere dall'anno scolastico successivo al completo esaurimento delle predette classi: art. 82, esclusi commi 3 e 4; art. 191, escluso comma 7; art. 192, esclusi commi 3, 4, 9, 10, e 11; art. 193; art. 194; art. 195; art. 196; art. 198; art. 199; art. 206". L'art. 191, comma 2, ricompreso in questo elenco, e' quello che disciplina gli istituti tecnici e gli istituti professionali. E tali istituti sono stati riproposti dai commi 1, 1-bis e 1-ter dell'art. 13. Ora, leggendo il comma 2 dell'art. 31 del d.lgs. n. 226 e' netta la consapevolezza che il legislatore delegato abbia voluto costruire un vero e proprio regime transitorio. E difatti, anche per gli istituti tecnici e professionali ex art. 191, comma 2 del d.lgs. n. 197/1994, e' stata allestita una disciplina ad esaurimento che predispone la loro soppressione una volta decorso l'anno scolastico successivo al completamento di tutte le classi. Da quel momento, invero, l'art. 191, ad esclusione del solo comma 7, verra' abrogato. Orbene, alcuna menzione di tale particolare regime transitorio e' presente nel comma 8-ter, che di fatto, in maniera superficiale e contraddittoria, fa rivivere disposizioni destinate ad essere abrogate. 5. - Illegittimita' costituzionale dei commi 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, 1-quinquies, 1-sexies, 2, 3, 8, 8-bis, 8-ter dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla legge di conversione n. 40 del 2007, per violazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione. I commi dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, convertito con modificazioni con legge n. 40 del 2007, sono, infine, costituzionalmente illegittimi anche perche' non presentano alcuna traccia di quei presupposti minimi di necessita' ed urgenza che sono i soli capaci di autorizzare il Governo ad emanare un decreto-legge. A nulla vale eccepire che tale carenza sia stata sanata dalla intervenuta legge di conversione giacche' e' recentissima la pronuncia di codesta ecc.ma Corte nella quale e' stato affermato che "se... nella disciplina costituzionale che regola l'emanazione di norme primarie (leggi e atti aventi efficacia di legge) viene in primo piano il rapporto tra gli organi - sicche' potrebbe ritenersi che, una volta intervenuto l'avallo del Parlamento con la conversione del decreto, non restino margini per ulteriori controlli - non si puo' trascurare di rilevare che la suddetta disciplina e' anche funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza la configurazione del sistema costituzionale nel suo complesso. Affermare che la legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie" (Corte cost., sent. n. 171 del 2007). Le "disposizioni della legge di conversione in quanto tali", ha proseguito la Corte, "... non possono essere valutate, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, autonomamente da quelle del decreto stesso. Infatti, l'immediata efficacia di questo, che lo rende idoneo a produrre modificazioni anche irreversibili sia della realta' materiale, sia dell'ordinamento, mentre rende evidente la ragione dell'inciso della norma costituzionale che attribuisce al Governo la responsabilita' dell'emanazione del decreto, condiziona nel contempo l'attivita' del Parlamento in sede di conversione in modo particolare rispetto alla ordinaria attivita' legislativa. Il Parlamento si trova a compiere le proprie valutazioni e a deliberare con riguardo ad una situazione modificata da norme poste da un organo cui di regola, quale titolare del potere esecutivo, non spetta emanare disposizioni aventi efficacia di legge". Ora, nella relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 7 del 2007, nella parte relativa all'art. 13 in materia di istruzione e formazione professionale, vengono enunciate in modo generico le ragioni delle modifiche apportate al decreto delegato n. 226. Cio' tuttavia non e' sufficiente a legittimare l'adozione del d.l. giacche' un conto e' giustificare la modifica, un conto e' rendere "ragione dell'esistenza della necessita' ed urgenza di intervenire sulla norma" (cosi' ancora Corte cost., sent. n. 171 del 2007). "L'utilizzazione del decreto-legge - e l'assunzione di responsabilita' che ne consegue per il Governo secondo l'art. 77 Cost.", conclude la Corte, "non puo' essere sostenuta dall'apodittica enunciazione dell'esistenza delle ragioni di necessita' e di urgenza, ne' puo' esaurirsi nella constatazione della ragionevolezza della disciplina che e' stata introdotta". 1) "Disposizioni urgenti in tema di accise, di gasolio per autotrazione, di smaltimento di oli usati, di giochi e scommesse, nonche' sui rimborsi IVA, sulla pubblicita' effettuata con veicoli, sulle contabilita' speciali, sui generi di monopolio, sul trasferimento di beni demaniali, sulla giustizia tributaria, sul funzionamento del servizio nazionale della riscossione dei tributi e su contributi ad enti ed associazioni". *) La Regione Lombardia e' stata tra le prime a recepire l'Accordo firmando il 25 settembre 2003 un Protocollo d'intesa con il MIUR e il MLPS nel quale si e' stabilito (art. 2, comma 1) che: I modelli sperimentali che coinvolgono l'istruzione e la formazione professionale.., nella regione Lombardia, sono articolati nelle seguenti tipologie di offerta: a) percorsi triennali sperimentali di formazione professionale ed eventuali successivi percorsi, collocati in un organico processo di sviluppo della formazione professionale superiore, da realizzarsi in strutture formative accreditate dalla regione. I percorsi triennali sono finalizzati al conseguimento di un titolo di Qualifica (attestato) secondo quanto previsto dalla normativa vigente, valido per l'assolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione fino ai diciotto anni e l'iscrizione ai centri per l'impiego, nonche' per l'acquisizione di crediti ai fini dell'eventuale passaggio nel sistema dell'istruzione; b) percorsi triennali sperimentali di formazione professionale ed eventuali successivi percorsi, collocati in un organico processo di sviluppo della formazione professionale superiore, da realizzarsi in Istituti tecnici e professionali individuati sulla base di criteri stabiliti d'intesa tra la regione Lombardia e l'Ufficio scolastico regionale. I percorsi triennali sono finalizzati al conseguimento di un titolo di Qualifica (attestato) secondo quanto previsto dalla normativa vigente, valido per Iassolvimento del diritto-dovere di istruzione e formazione fino ai diciotto anni e l'iscrizione ai centri per l'impiego, nonche' per l'acquisizione di crediti ai fini dell'eventuale passaggio nel sistema dell'istruzione; c) realizzazione di LARSA (Laboratori di Recupero e sviluppo degli apprendimenti atti a consentire i passaggi verticali ed orizzontali attraverso i percorsi attivati); d) realizzazione di azioni di orientamento, di personalizzazione dei percorsi e di sostegno agli allievi disabili; e) realizzazione delle iniziative di cui ai precedenti punti c) e d) svolti in modo integrato tra Istituti tecnici/professionali e strutture formative accreditate dalla regione. Il successivo comma 2 stabilisce che "I progetti relativi ai percorsi di cui al comma 1, lettere a) e b) comprendono la definizione di criteri e di strumenti per favorire la piu' ampia spendibilita' della formazione acquisita ai fini della prosecuzione degli studi nel sistema dell'istruzione.
P. Q. M. Chiede che codesta ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dei commi: 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, 1-quinquies, 1-sexies, 2 dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla legge di conversione n. 40 del 2007, per violazione degli artt. 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, oltre che per violazione dei principi di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.); 2 dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificato dalla legge di conversione n. 40 del 2007, per violazione dell'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, nonche' per violazione degli artt. 118 e 120 Cost.; 3, 4, 5, 6, 6-bis, 7, 8 dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla legge di conversione n. 40 del 2007, per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 della Costituzione; 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, 1-quinquies, 1-sexies, 2, 3, 4, 5, 6, 6-bis, 7, 8, 8-bis, 8-ter dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla legge di conversione n. 40 del 2007, per eccesso di potere legislativo in relazione alla violazione degli artt. 3, 70 e 76 della Costituzione; 1, 1-bis, 1-ter, 1-quater, 1-quinquies, 1-sexies, 2, 3, 4, 5, 6, 6-bis, 7, 8, 8-bis, 8-ter dell'art. 13 del d.l. n. 7 del 2007, cosi' come modificati dalla legge di conversione n. 40 del 2007, per violazione dell'art. 77, secondo comma della Costituzione, sotto il profilo della carenza dei presupposti della necessita' ed urgenza. Roma-Milano, addi' 30 maggio 2007 Avv. Pio Dario Vivone - Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto