Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 13 giugno 2016 (del Presidente del Consiglio dei ministri).

 

 

(GU n. 29 del 2016-07-20)

 

Ricorso ex art. 127 Cost. del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, C.F. …, n. fax .. ed indirizzo P.E.C. per il ricevimento degli atti …, presso i cui uffici domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12; Contro la Regione Campania (Codice fiscale …) in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, con sede in via S. Lucia n. 81 - 80132 Napoli;

Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 8, 17 commi 3, 4, 5 e 6, 19 comma 10, 21 comma 1 lettera d), 22 comma 4, lettera a) della legge della Regione Campania del 5 aprile 2016, n. 6, intitolata «Prime misure per la razionalizzazione della spesa e il rilancio dell'economia campana - Legge collegata alla legge regionale di stabilita' per l'anno 2016», pubblicata nel Bollettino ufficiale della regione del 5 aprile 2016, n. 22, per contrasto con l'art. 3, l'art. 9, l'art. 81 terzo comma, l'art. 97 secondo comma, l'art. 117 primo comma, secondo comma lett. e) l) s) e terzo comma, nonche' con l'art. 120 secondo comma della Costituzione.

 In forza della delibera di impugnativa assunta dal Consiglio dei

ministri nella seduta del 31 maggio 2016.

 La Regione Campania ha emanato la legge regionale in epigrafe indicata contenente alcune disposizioni che presentano profili di illegittimita' costituzionale per i seguenti

 

M o t i v i

 

1. - Illegittimita' dell'art. 8 legge della Regione Campania del 5 aprile 2016, n. 6 per contrasto con l'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 e conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma della Costituzione, nonche' per violazione degli articoli 3 e 97 secondo comma della Costituzione.

L'art. 8 della legge regionale in epigrafe, recante «Misure in materia di piano casa», apporta modifiche alla legge regionale 28 dicembre 2009, n. 19 («Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa») la quale e' gia' stata piu' volte modificata.

In primo luogo, con il predetto art. 8, comma 1, lettere b), e), f), g), si estende alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 1/2016 (ossia al giorno successivo alla pubblicazione nel BUR della stessa legge regionale n. 1/2016 avvenuta il 18 gennaio 2016 - cfr. art. 16) l'applicabilita' delle misure incentivanti di cui alla citata legge regionale n. 19/2009 relative:

alla disciplina degli interventi straordinari di ampliamento, in deroga agli strumenti urbanistici, di cui all'art. 4, comma 2, lettera g) della legge regionale n. 19/2009 (lettera aggiunta dalla legge regionale n. 1/2011);

alla disciplina degli interventi edilizi in zona agricola (da potersi realizzare anche con ampliamenti di volumetria in deroga agli strumenti urbanistici), di cui all'art. 6-bis, comma 4 della legge regionale n. 19/2009 (comma aggiunto dalla legge regionale n. 1/2011 e modificato dalla legge regionale n. 16/2014);

alla disciplina degli interventi di riqualificazione di aree urbane degradate, in deroga agli strumenti urbanistici e ai parametri edilizi, con riguardo a immobili dismessi, di cui all'art. 7, comma 5, della legge regionale n. 19/2009 (modificato dalle leggi regionali n. 1/2011, n. 5/2013, n. 16/2014);

alla disciplina degli interventi di recupero edilizio, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, di edifici diruti e ruderi, di cui all'art. 7, comma 8-bis della legge regionale n. 19/2009 (aggiunto dalla legge regionale n. 1/2011).

In secondo luogo, con l'art. 8, comma 1, lettera h), numeri 1), 2), 3) e 4) della legge regionale impugnata, viene modificata la disciplina di cui all'art. 7-bis («Recupero dei complessi produttivi dismessi») della legge regionale n. 19/2009 (aggiunto dalla legge regionale n. 16/2014). Con tale intervento viene conferita ai comuni la facolta' di autorizzare interventi di recupero e riutilizzo di complessi industriali e produttivi dismessi (in applicazione dell'art. 5, comma 9, del decreto legge n. 70/2011, convertito dalla legge n. 106/2011) eliminando il previgente vincolo di destinazione ad attivita' produttive.

Cio' premesso, si rileva che l'art. 8, comma 1, lettera l) della legge regionale n. 6/2016, nel sostituire il comma 4-bis dell'art. 12 (Norma finale e transitoria) della legge regionale n. 19/2009, cosi' recita: «l) il comma 4-bis dell'art. 12 e' sostituito dal seguente: «4-bis. Le disposizioni di cui all'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 si applicano anche agli interventi previsti dalla presente legge e realizzati dopo la sua entrata in vigore, privi di titolo abilitativo o in difformita' da esso, ma che risultano conformi alla stessa legge sia al momento della realizzazione degli stessi interventi, sia al momento della presentazione della domanda.».

Tali disposizioni sono in contrasto con l'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 il quale, ai fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, richiede la doppia conformita' alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, cioe' la conformita' dell'intervento alla disciplina in vigore sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione della domanda.

Infatti, a seguito della suddetta modifica, la portata derogatoria della legge regionale n. 19 del 2009 e successive modifiche, diviene applicabile anche ad interventi che, essendo stati eseguiti nei periodi intercorrenti tra le varie modifiche ad opera delle leggi regionali succedutesi nel tempo ed ora fino alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 1/2016, avrebbero dovuto essere realizzati in conformita' alla disciplina urbanistica ed edilizia medio-tempore in vigore. Invece, attraverso il nuovo comma 4-bis dell'art. 12 legge regionale n. 19/2009, viene consentito il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria sul presupposto che gli interventi siano «conformi alla stessa legge» (ossia la legge Regionale n. 19 del 2009 nel testo risultante dalla modifica).

Com'e' noto, il rilascio del titolo in sanatoria di cui all'art. 36 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 e' diretto a sanare solo violazioni «formali» in quanto occorre che l'intervento realizzato in assenza di titolo abilitativo abbia la suddetta doppia conformita' alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, mentre attraverso l'impugnata norma regionale (che introduce la conformita' dell'opera alla legge regionale n. 19/2009 cosi' come da ultimo modificata) esso viene utilizzato per sanare anche violazioni «sostanziali», ovvero interventi non conformi alla disciplina vigente alla data della loro realizzazione.

la giurisprudenza amministrativa e' consolidata nel ritenere che, ai sensi dell'art. 36 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, le opere devono essere assentibili alla stregua non solo della disciplina urbanistica vigente al momento della domanda di sanatoria, ma anche di quella in vigore alla data di esecuzione degli interventi, (Cons. Stato, IV, 21 dicembre 2012, n. 6657; sezione IV, 2 novembre 2009, n. 6784; sezione V, 29 maggio 2006, n. 3267; sezione IV, 26 aprile 2006, n. 2306; nonche' Cons. Stato, IV, n. 32/2013, dove si precisa che la disciplina urbanistica non ha effetto retroattivo; Cons. Stato, V, n. 3220/2013).

Inoltre, non v'e' dubbio che la c.d. «doppia conformita'» di cui all'art. 36 decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 costituisca principio fondamentale vincolante per la legislazione regionale, siccome finalizzato a garantire l'assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'operae la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformita' (in tal senso Corte costituzionale n. 101/2013). Si tratta di un principio di legislazione statale che ha una portata generale perche' riguarda sia gli interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformita' da esso, ovvero in assenza di DIA alternativa o in difformita' da essa (art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001), sia gli interventi eseguiti in assenza della (o in difformita' dalla) SCIA (art. 37, comma 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001).

La norma regionale in questione si pone in contrasto con il suddetto principio perche' ha l'effetto di legittimare ex post, attraverso il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria ex art. 36 decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, interventi ai quali la legge regionale n. 19/2009, nella sua stesura originaria e nelle versioni antecedenti alle modifiche via via introdotte, non era applicabile con la conseguenza di consentire il rilascio del permesso in sanatoria ad opere che non erano conformi alla legislazione urbanistica ed edilizia vigente alla data della loro realizzazione (sulla illegittimita' di deroghe regionali si vedano le sentenze nn. 64/2013, 254/2010 e 248/2009).

Un esempio evidente e' costituito dalle modifiche dell'art. 7-bis («Recupero dei complessi produttivi dismessi») della legge regionale n. 19/2009, introdotte dall'art. 8, comma 1, lettera h), n. 1), 2), 3) e 4) della legge regionale impugnata. La previgente disposizione (aggiunta dalla legge regionale n. 16/2014) consentiva il recupero dei complessi produttivi dismessi, purche' si mantenesse la loro destinazione ad attivita' produttive. Tale condizione e' stata eliminata dalla legge regionale impugnata, pertanto gli interventi di recupero di complessi produttivi diventano ora conformi alla legge n. 19/2009, ancorche' non sia stato rispettato il previgente vincolo di destinazione ad attivita' produttive, e quindi (per effetto del nuovo comma 4-bis dell'art. 12 legge regionale n. 19/2009 introdotto dall'art. 8, comma 1 lettera l) legge regionale impugnata) diventano sanabili ai sensi dell'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 benche' non fossero conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia in vigore all'epoca della loro realizzazione.

In proposito si rappresenta che:

l'intesa del 1° aprile 2009 tra Stato, regioni ed enti locali, sulle misure per il rilancio dell'economia attraverso l'attivita' edilizia, chiarisce espressamente che gli interventi di ampliamento, demolizione e ricostruzione degli edifici non possono riguardare opere abusive o site nei centri storici o in aree ad inedificabilita' assoluta;

l'art. 5, comma 10 del decreto legge n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011, recante (ai commi da 9 a 14) la disciplina di principio per la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente e per la promozione e agevolazione della riqualificazione di aree urbane degradate, prevede che «Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilita' assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.»

Un ulteriore profilo di incostituzionalita' della norma in esame deriva dal fatto che, a seguito delle varie modifiche via via apportate alla legge regionale n. 19 del 2016, le amministrazioni comunali si troveranno, con tutta probabilita', nella condizione di non essere in grado di verificare caso per caso la conformita' urbanistico-edilizia delle opere, distinguendo cio' che e' stato realizzato (o proseguito, o completato) nei diversi periodi intercorrenti tra le diverse modifiche legislative che si sono stratificate nel tempo. Pertanto, quand'anche si dovesse ritenere che la norma in questione faccia salvo il principio statale della doppia conformita', essa lo renderebbe di fatto inapplicabile e comunque sarebbe in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza e buon andamento con conseguente violazione degli articoli 3 e 97, secondo comma Cost.

2. - Illegittimita' dell'art. 17 commi 3, 4, 5 e 6 legge della Regione Campania del 5 aprile 2016, n. 6 per violazione dell'art. 9 e dell'art. 117, primo comma e secondo comma lettere e), l) e s) della Costituzione. L'art. 17 legge regionale n. 6/2016, contenente norme per lo sviluppo del turismo balneare, ai commi 3, 4, 5 e 6 prevede una procedura comparativa ad evidenza pubblica per il rinnovo delle concessioni demaniali marittime che presenta profili di contrasto con la normativa nazionale, comunitaria e con alcune disposizioni costituzionali.

Occorre innanzitutto ricordare che il legislatore nazionale (con l'art. 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009 «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative» convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25) ha modificato le modalita' di accesso alle concessioni demaniali marittime a seguito alla procedura d'infrazione comunitaria (n. 2008/4908) nei confronti dello Stato italiano per violazione dell'art. 12, comma 2, della direttiva n. 2006/123/CE che vieta qualsiasi forma di automatismo alla scadenza del rapporto concessorio, tale da favorire il precedente concessionario.

In particolare la Commissione europea (con lettera di costituzione in mora notificata il 2 febbraio 2009) aveva ritenuto che l'art. 37 del codice della navigazione fosse in contrasto con l'art. 43 del Trattato UE (ora art. 49 del TFUE) perche', prevedendo un diritto di preferenza a favore del concessionario uscente nell'ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo (c.d. diritto di insistenza), configurava una restrizione alla liberta' di stabilimento e una discriminazione dell'impresa in base al luogo di stabilimento rendendo estremamente difficile, se non impossibile, l'accesso di qualsiasi altro concorrente alle concessioni in scadenza e realizzando cosi' un'ingiustificata barriera all'entrata nel mercato.

A seguito dei suddetti rilievi della Commissione europea il Governo italiano e' intervenuto con l'art. 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009, che ha abrogato il secondo periodo del secondo comma dell'art. 37 cod. nav. nella parte in cui accordava la suddetta preferenza al concessionario in scadenza. Tuttavia, in sede di conversione del citato decreto-legge (con legge n. 25 del 2010) e' stato aggiunto un rinvio indiretto all'art. 1, comma 2, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 («Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime»), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, che produceva l'effetto di consentire il rinnovo automatico delle concessioni, di sei anni in sei anni.

La Commissione europea, con nuova lettera di messa in mora del 5 maggio 2010 (nell'ambito della medesima procedura di infrazione 2008/4908) ha ritenuto che il suddetto rinvio introdotto in sede di conversione del decreto-legge finisse per privare di ogni effetto sostanziale l'adeguamento ai principi comunitari effettuato dal Governo in quanto contrario sia all'art. 12 della direttiva 2006/123/CE, sia all'art. 49 del TFUE.

In seguito a tali ulteriori rilievi, il legislatore statale con l'art. 11, comma 1, lettera a), della legge 15 dicembre 2011, n. 217 («Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee - Legge comunitaria 2010»), ha abrogato il citato comma 2 dell'art. 1 del decreto-legge n. 400 del 1993 delegando il Governo ad adottare un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione sulle concessioni demaniali marittime.

A seguito di tale intervento legislativo, la procedura di infrazione e' stata chiusa il 27 febbraio 2012.

Cio' premesso, si osserva che l'art. 17, commi 3, 4, 5 e 6 della

legge regionale n. 6/2016 dispone quanto segue:

comma 3: «Nel caso di rinnovo della concessione, il comune acquisisce dall'originario concessionario una perizia di stima asseverata da un professionista abilitato, da cui risulti l'ammontare del valore aziendale dell'impresa insistente sull'area oggetto della concessione; il comune pubblica la perizia nei termini e secondo le modalita' di cui al piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo (PUAD).»

comma 4: «Le domande di nuove concessioni devono essere corredate, a pena di esclusione dalla procedura comparativa, da atto unilaterale d'obbligo in ordine alla corresponsione, entro 30 giorni dalla comunicazione di aggiudicazione della concessione, di indennizzo determinato ai sensi del comma 5. Decorso tale termine senza la corresponsione dell'indennizzo, si procede all'aggiudicazione della concessione, condizionata al pagamento dell'indennizzo, nei confronti del soggetto utilmente collocato in graduatoria e fino all'esaurimento della stessa.»

comma 5: «Nell'ipotesi di concorso di domande, l'originario concessionario ha diritto ad un indennizzo pari al novanta per cento dell'ammontare del valore oggetto della perizia di cui al comma 3, da parte dell'eventuale nuovo aggiudicatario, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa comunitaria e nazionale in materia.»

comma 6: «La medesima procedura comparativa ad evidenza pubblica di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo si applica anche per il rilascio delle concessioni per lo sfruttamento delle acque minerali, naturali e termali e per le piccole utilizzazioni locali, in conformita' alla normativa comunitaria, nazionale e regionale in materia.»

 Ai sensi delle suddette disposizioni regionali, in caso di rinnovo della concessione, il concessionario subentrante deve corrispondere al concessionario uscente un indennizzo basato su di una stima del valore aziendale effettuata da quest'ultimo.

Tali norme violano l'art. 117, primo comma della Costituzione per contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e liberta' di stabilimento.

Infatti, introducono un trattamento di favore per il concessionario uscente che ostacola l'apertura del mercato traducendosi in una ingiustificata barriera all'ingresso. Sul punto si richiamano le sentenze Corte costituzionale n. 213 del 2011, nn. 180, 340 del 2010 in cui si sottolinea che la mancanza di una procedura di rinnovo che consenta di aprire il mercato, «e' del tutto contraddittoria rispetto al fine di tutela della concorrenza e di adeguamento ai principi

comunitari, violando il principio di parita' di trattamento, che si ricava dagli articoli 49 e ss. del Trattato 25 marzo 1957 sul funzionamento dell'Unione europea, in tema di liberta' di stabilimento, e favorendo i vecchi concessionari a scapito dei nuovi aspiranti.» (sent. 340 del 2010).

 In secondo luogo, le suddette norme regionali violano l'art. 9 e l'art. 117 secondo comma, lettere e), l) e s) della Costituzione, in quanto sono in contrasto con la riserva allo Stato in materia di tutela della concorrenza, ordinamento civile e tutela dell'ambiente.

Il legislatore regionale e' intervenuto in un ambito che attiene a rapporti di natura privatistica di competenza esclusiva statale in quanto la disciplina degli aspetti dominicali del demanio marittimo appartiene alla materia «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l) Cost.). Ed e' evidente che tale disciplina non puo' essere lasciata alla legislazione regionale in quanto v'e' l'esigenza, sottesa al principio costituzionale di uguaglianza, di garantire uniformita' di trattamento sull'intero territorio nazionale.

La Corte costituzionale ha piu' volte affermato che la titolarita' di funzioni legislative e amministrative della regione riguardo all'utilizzo di determinati beni non puo' incidere sulle facolta' che spettano allo Stato in quanto proprietario e che la disciplina degli aspetti dominicali del demanio statale rientra nella materia dell'ordinamento civile di competenza esclusiva dello Stato (sentt. n. 102 e n. 94 del 2008, n. 286 del 2004, n. 343 del 1995, n. 370 del 2008). Con specifico riferimento al demanio marittimo, la Corte ha precisato che «la competenza della regione nella materia non puo' incidere sulle facolta' che spettano allo Stato in quanto proprietario. Queste infatti precedono logicamente la ripartizione delle competenze ed ineriscono alla capacita' giuridica dell'ente secondo i principi dell'ordinamento civile» (sent. n. 427 del 2004).

Per quanto riguarda le procedure concorsuali per l'affidamento delle concessioni, viene in rilievo la competenza statale in materia di tutela della concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e) Cost.), come affermato dalla Corte costituzionale nella sent. n. 401/2007: «La nozione comunitaria di concorrenza (...) che si riflette su quella di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., va definita [anche] come concorrenza «per» il mercato e impone che il contraente venga scelto mediante procedure di garanzia che assicurino il rispetto dei valori comunitari e costituzionali, quali in particolare, il rispetto dei principi di parita' di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalita' e di trasparenza. (...) Trattandosi di una materia avente natura trasversale, nello specifico settore degli appalti, la interferenza con competenze regionali si atteggia, in modo peculiare, non realizzandosi normalmente un intreccio in senso stretto con ambiti materiali di pertinenza regionale, bensi' la prevalenza della disciplina statale su ogni altra fonte normativa.»

 In materia di demanio marittimo il vigente quadro normativo prevede la competenza in capo alle regioni e ai comuni della sola gestione delle concessioni (tra cui il rilascio), mentre la disciplina relativa all'accesso ai beni demaniali non viene lasciata alla legislazione regionale essendo riconducibile alla tutela della concorrenza «per il mercato», di esclusiva competenza dello Stato.

Infine la norma regionale in esame presenta aspetti di incostituzionalita' anche sotto il profilo della tutela del paesaggio di cui all'art. 9 Cost.) e dell'ambiente (di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s) Cost.) nella parte in cui consente il permanere delle opere realizzate dal concessionario sul suolo demaniale in contrasto con la legislazione nazionale in materia di concessioni demaniali marittime, nella quale vige il principio della riduzione «in pristino» (sancito dall'art. 49 cod. nav.).

Al riguardo si evidenzia che il comma 6 dell'art. 17 legge regionale impugnata estende la procedura comparativa in questione anche alle concessioni per lo sfruttamento delle acque minerali, naturali e termali.

3. - Illegittimita' dell'art. 19, comma 10, legge della Regione Campania del 5 aprile 2016, n. 6 per violazione dell'art. 81, terzo comma della Costituzione.

L'art. 19, comma 10, legge regionale impugnata autorizza, nei limiti delle disponibilita' di bilancio, il finanziamento aggiuntivo pari ad euro 300.000,00 in favore della Citta' metropolitana di Napoli per l'intervento «Apertura svincoli SP I circonvallazione esterna di Napoli e SP 500» di cui al IV protocollo aggiuntivo stipulato in data 23 marzo 2007 tra Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Regione Campania ed ANAS.

Tale norma non individua puntualmente la necessaria fonte di copertura finanziaria del predetto onere aggiuntivo, inoltre la relativa autorizzazione di finanziamento risulta in contraddizione con la clausola di invarianza finanziaria prevista dall'art. 29 della medesima legge regionale.

Pertanto, la mancata previsione della copertura finanziaria contrasta con l'art. 81, terzo comma, della Costituzione.

4. - Illegittimita' dell'art. 21, comma 1, lettera d) legge della Regione Campania del 5 aprile 2016, n. 6 per contrasto con l'art. 44-bis del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 e conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma della Costituzione.

L'art. 21, comma 1, lettera d) legge regionale cit. (rubricato «Contrasto al lavoro irregolare nel settore edile») stabilisce che, per attivare azioni di contrasto al lavoro nero nel comparto delle costruzioni e al fine di promuovere la sicurezza nei cantieri, per i lavori edili privati oggetto di permesso di costruire, segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA), denuncia di inizio attivita' (DIA), comunicazione inizio lavori (CIL) o comunicazione inizio lavori asseverata (CILA), il direttore dei lavori provvede «a trasmettere allo Sportello unico dell'edilizia (SUE), all'inizio e alla fine dei lavori, il DURC dell'azienda esecutrice, attestante la sua regolarita' contributiva e le avvenute comunicazioni di inizio e di fine lavori effettuate agli enti previdenziali, assicurativi e infortunistici e alla Cassa edile competenti per territorio.»

Tale disposizione regionale contrasta con l'art. 44-bis del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, il quale prevede che «le informazioni relative alla regolarita' contributiva sono acquisite d'ufficio, ovvero controllate ai sensi dell'art. 71, dalle pubbliche amministrazioni procedenti, nel rispetto della specifica normativa di settore.»

Si tratta quindi di un'incombenza che, ai sensi della legislazione statale, grava sulla pubblica amministrazione procedente e che pertanto non puo' essere attribuita al direttore dei lavori, essendo soggetta ad una norma di principio che prevede un potere di intervento e di verifica d'ufficio.

Peraltro, occorre considerare che il DURC on line ha una validita' di 120 giorni dalla sua emissione e quindi potrebbe anche coprire l'intero periodo fra la data di inizio e la data di fine lavori, senza necessita' di dover ripetere la richiesta «all'inizio e alla fine dei lavori» come prescritto nella citata disposizione regionale.

Pertanto, la norma in esame viola l'art. 117, terzo comma della Costituzione, in materia di tutela e sicurezza del lavoro.

5. - Illegittimita' dell'art. 22, comma 4 legge della Regione Campania del 5 aprile 2016, n. 6 per contrasto con l'art. 8-quater del decreto legislativo n. 502/1992 e con l'art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191/2009 e conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma della Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 120, secondo comma della Costituzione.

La regione Campania e' sottoposta ad un piano di rientro, dal disavanzo sanitario e al conseguente commissariamento (con deliberazione del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2015 sono stati nominati il commissario ad acta e il sub commissario ad acta per l'attuazione del vigente piano di rientro).

L'art. 22, comma 4, lettera, a) legge regionale in questione modifica l'art. 1 della legge regionale 7 agosto 2014, n. 16, inserendo il comma 151-bis il quale prevede che «La Regione Campania, ferme restando le prerogative spettanti all'organo commissariale per

il piano di rientro della spesa sanitaria, assume le opportune azioni per l'incremento delle strutture accreditate con i sistemi PET/TC anche per superare gli attuali squilibri territoriali di offerta per l'utenza.».

Tale disposizione, autorizzando la regione ad adottare azioni per incrementare le strutture accreditate con i sistemi PET/TC - pur facendo salve le prerogative dell'organo commissariale - si pone in contrasto sia con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di autorizzazione e accreditamento, sia con il piano di rientro della Regione Campania e con le relative prerogative del commissario ad acta.

In primo luogo, la norma regionale in questione, nel disporre «l'incremento delle strutture accreditate con i sistemi PET/TC», prescinde dalla rilevazione del fabbisogno delle predette strutture. Il che e' in contrasto con l'art. 8-quater del decreto legislativo n. 502/1992, secondo il quale l'accreditamento istituzionale delle strutture autorizzate e' subordinato alla loro rispondenza ai requisiti ulteriori di qualificazione, alla loro funzionalita' rispetto agli indirizzi di programmazione regionale e alla verifica dell'attivita' svolta e dei risultati raggiunti.

Tale disposizione statale specifica che «al fine di individuare i criteri per la verifica della funzionalita' rispetto alla programmazione nazionale e regionale, la regione definisce il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie individuate dal Piano sanitario regionale per garantire i livelli essenziali e uniformi di assistenza, nonche' gli eventuali livelli integrativi locali e le esigenze connesse all'assistenza integrativa di cui all'art. 9.»

Nella fattispecie, il Commissario ad acta della Regione Campania (con decreto del 12 maggio 2016, n. 32) ha stabilito, in relazione alle apparecchiature PET/TC, che «il fabbisogno e la conseguenziale localizzazione sono soddisfatti per intero dalla dotazione di apparecchiature pubbliche e private gia' autorizzate» e che «allo stato, non e' possibile procedere a nuove installazioni di apparecchiature PET/TC». Infine, nel medesimo decreto si da' atto che «e' in fase di completamento il processo di accreditamento regionale, in esito al quale verra' effettuata una valutazione conclusiva dello status di accreditato, presupposto per l'installazione delle apparecchiature».

L'art. 22, comma 4, lettera a) della legge regionale in esame

interferisce quindi con le valutazioni e i poteri del Commissario ad acta violando cosi' l'art. 120, secondo comma della Costituzione.

In secondo luogo, la disposizione regionale in questione interferisce con il piano di rientro della Regione Campania e quindi con l'art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191/2009, secondo cui «gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la regione, che e' obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro». Ne consegue la violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute e di coordinamento della finanza pubblica, rappresentati dai richiamati commi 80 e 95 dell'art. 2 della legge n. 191/2009.

 Sul punto si richiama la costante giurisprudenza costituzionale (tra le piu' recenti, sent. n. 28/2013) secondo la quale «l'operato del commissario ad acta, incaricato dell'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la regione interessata, sopraggiunge all'esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti ad un'attivita' che pure e' imposta dalle esigenze della finanza pubblica. E, dunque, proprio tale dato - in uno con la constatazione che l'esercizio del potere sostitutivo e', nella specie, imposto dalla necessita' di assicurare la tutela dell'unita' economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), qual e' quello alla salute - a legittimare la conclusione secondo cui le funzioni amministrative del Commissario, ovviamente fino all'esaurimento dei suoi compiti di attuazione del Piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, senza che possa essere evocato il rischio di fare di esso l'unico soggetto cui spetti di provvedere per il superamento della situazione di emergenza sanitaria in ambito regionale» (Sent. n. 78 del 2011).

Pertanto, «la semplice interferenza da parte del legislatore regionale con le funzioni del Commissario ad acta, come definite nel mandato commissariale, determina di per se' la violazione dell'art.

120, secondo comma, Cost., laddove, come nella specie, il Commissario sia l'organo esclusivo incaricato dell'attuazione del Piano di rientro» (tra le tante, sent. n. 2 del 2010).».

 Nella fattispecie, e' evidente che la clausola di salvaguardia contenuta nella disposizione regionale in esame (che fa salve le «prerogative spettanti all'organo commissariale per il piano di rientro della spesa sanitaria») non basta per scongiurare le suddette censure di incostituzionalita', essendo essa contraddetta dalla norma precettiva immediatamente successiva secondo la quale la Regione «assume le opportune azioni per l'incremento delle strutture accreditate, con i sistemi PET/TC».

 Sul punto si richiama la sent. n. 28/2013 in cui codesta ecc.ma Corte ha ritenuto «priva di reale significato normativo una generica clausola di salvaguardia delle competenze commissariali [...] che e' contraddetta proprio dalle specifiche e precise disposizioni che la seguono».

 

 

P. Q. M.

 

Per le considerazioni esposte, il Presidente del Consiglio dei ministri, come sopra rappresentato e difeso chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli 8, 17 commi 3, 4, 5 e 6, 19 comma 10, 21 comma 1 lettera d), 22 comma 4 della legge della Regione Campania del 5 aprile 2016, n. 6, intitolata «Prime misure per la razionalizzazione della spesa e il rilancio dell'economia campana - Legge collegata alla legge regionale di stabilita' per l'anno 2016», pubblicata nel Bollettino ufficiale della regione del 5 aprile 2016, n. 22, per contrasto con l'art. 3, l'art. 9, l'art. 81 terzo comma, l'art. 97 secondo comma, l'art. 117 primo comma, secondo comma lett. e) l) s) e terzo comma, nonche' con l'art. 120 secondo comma della Costituzione.

Con l'originale notificato del presente ricorso si deposita:

1) originale estratto della determinazione del Consiglio dei ministri, assunta nella seduta del 31 maggio 2016 e della relazione allegata al verbale;

2) copia dell'impugnata legge della Regione Campania 5 aprile 2016, n. 6, intitolata «Prime misure per la razionalizzazione della spesa e il rilancio dell'economia campana - Legge collegata alla legge regionale di stabilita' per l'anno 2016», pubblicata nel Bollettino ufficiale della regione del 5 aprile 2016, n. 22.

 

Roma, 3 giugno 2016

 

L'Avvocato dello Stato: Francesca Sclafani

 

Menu

Contenuti