N. 31 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 marzo 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 27 marzo 2003 (della Regione Veneto)
(GU n. 21 del 28-5-2003)

Ricorso della Regione del Veneto, in persona del presidente pro
tempore della giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione
della giunta stessa 10 marzo 2003, n. 580, rappresentata e difesa,
come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv.
prof. Maria Bertolissi di Padova, Romano Morra di Venezia e Luigi
Manzi di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, via E.
Confalonieri 5,
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e'
domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, per la
declaratoria di illegittimita' costituzionale per violazione degli
artt. 2, 3, 5, 81, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost. - degli
artt. 4, 7, 9, 42, 43 e 46 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, recante
«Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione»,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 2003, S.O.
n. 5.

Fatto e diritto

1. - Con la legge 16 gennaio 2003, n. 3, pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 2003, S.O. n. 5, sono state
dettate disposizioni ordinamentali in materia di pubblica
amministrazione, alcune delle quali (e segnatamente quelle contenute
negli artt. 4, 7, 9, 42, 43 e 46) la Regione del Veneto ritiene non
rispettino l'autonomia regionale e siano, di conseguenza,
costituzionalmente illegittime.
Si evidenzia per altro che la Regione del Veneto ha
precedentemente impugnato, con ricorso del 21 febbraio 2003, gli
artt. 2, 3, 5, 19, 23, 24, 25, 34 e 91 della legge 27 dicembre 2002,
n. 289 (finanziaria 2003), denunciando la violazione di precetti
costituzionali per motivi e con argomentazioni in parte analoghi a
quelli che si illustreranno in questa sede.
2. - Venendo all'analisi puntuale dei profili di illegittimita'
costituzionale delle disposizioni impugnate, va subito detto che la
minuziosa disciplina contenuta negli artt. 4, 7, 9, 42, 43 e 46 della
legge 16 gennaio 2003, n. 3, sembra sia stata posta in essere
ignorando l'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
Per quanto riguarda, piu' in particolare, i primi tre articoli
citati, la violazione del dettato costituzionale appare
particolarmente evidente, poiche' l'oggetto di queste disposizioni
rientra nell'ambito dell'ordinamento del personale della Regione,
materia di competenza regionale ai sensi del quarto comma
dell'art. 117.
Ad ogni modo, per comprendere quanto siano dettagliate le
disposizione contenute negli artt. 4 e 7 e' utile riportarne qui di
seguito il testo.
Con l'art. 4 e' stato aggiunto un articolo 7-bis al decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante alcune disposizioni in
materia di formazione del personale, in cui si prescrive alla quasi
totalita' delle amministrazioni pubbliche, comprese le Regioni e gli
enti regionali, di predisporre un piano di formazione del personale,
disciplinandone peraltro anche il contenuto.
Si legge, infatti, al primo comma dell'articolo citato che «le
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, con esclusione delle
Universita' e degli enti di ricerca, nell'ambito delle attivita' di
gestione delle risorse umane e finanziarie, predispongono annualmente
un piano di formazione del personale, compreso quello in posizione di
comando o fuori ruolo, tenendo conto dei fabbisogni rilevati, delle
competenze necessarie in relazione agli obiettivi, nonche' della
programmazione delle assunzioni e delle innovazioni normative e
tecnologiche. Il piano di formazione indica gli obiettivi e le
risorse finanziarie necessarie, nei limiti di quelle, a tale scopo,
disponibili, prevedendo l'impiego delle risorse interne, di quelle
statali e comunitarie, nonche' le metodologie formative da adottare
in riferimento ai diversi destinatari».
Nel successivo secondo comma si precisa poi che «le
amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, nonche'
gli enti pubblici non economici, predispongono entro il 30 gennaio di
ogni anno il piano di formazione del personale e lo trasmettono, a
fini informativi, alla Presidenza del Consiglio dei ministri -
Dipartimento della funzione pubblica e al Ministro dell'economia e
delle finanze. Decorso tale termine e, comunque, non oltre il 30
settembre, ulteriori interventi in materia di formazione del
personale, dettati da esigenze sopravvenute e straordinarie, devono
essere specificatamente comunicati alla Presidenza del Consiglio dei
ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministro
dell'economia e delle finanze. Il Dipartimento della funzione
pubblica assicura il raccordo con il Dipartimento per l'innovazione e
le tecnologie relativamente agli interventi di formazione connessi
all'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione».
Il comma 2 dell'art. 4 della legge impugnata non si applica alle
Regioni, ma qualora della dizione «enti pubblici non economici» si
volesse dare un'interpretazione estremamente lata ne deriverebbe una
grave violazione dell'autonomia regionale.
L'art. 7 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 detta alcune
disposizioni in materia di mobilita' del personale, aggiungendo un
art. 34-bis al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il cui
primo comma recita: «le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1,
comma 2, con esclusione delle amministrazioni previste dall'art. 3,
comma 1, ivi compreso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, prima
di avviare le procedure di assunzione di personale, sono tenute a
comunicare ai soggetti di cui all'art. 34, commi 2 e 3, l'area, il
livello e la sede di destinazione per i quali si intende bandire il
concorso nonche', se necessario, le funzioni e le eventuali
specifiche idoneita' richieste».
Il comma successivo disciplina la procedura di assegnazione del
personale in mobilita': «la Presidenza del Consiglio dei ministri -
Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero
dell'economia e delle finanze e le strutture regionali e provinciali
di cui all'art. 34, comma 3, provvedono, entro quindici giorni dalla
comunicazione, ad assegnare il personale collocato in disponibilita'
ai sensi degli articoli 33 e 34, ovvero interessato ai processi di
mobilita' previsti dalle leggi e dai contratti collettivi. Le
predette strutture regionali e provinciali, accertata l'assenza negli
appositi elenchi di personale da assegnare alle amministrazioni che
intendono bandire il concorso, comunicano tempestivamente alla
Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione
pubblica, le informazioni inviate dalle stesse amministrazioni. Entro
quindici giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, la
Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione
pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze,
provvede ad assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il
concorso il personale inserito nell'elenco previsto dall'art. 34,
comma 2, nonche' collocato in disponibilita' in forza di specifiche
disposizioni normative».
L'articolo prosegue stabilendo che le amministrazioni possono
provvedere a organizzare percorsi di qualificazione del personale
assegnato ai sensi del comma 2 e, decorsi due mesi dalla
comunicazione di cui al comma 1, possono procedere all'avvio della
procedura concorsuale per le posizioni per le quali non sia
intervenuta l'assegnazione di personale ai sensi del comma 2, e
sancisce la nullita' di tutte le assunzioni effettuate in violazione
dell'articolo stesso.
L'art. 9, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce
alcune regole relative all'utilizzazione degli idonei di concorsi
pubblici, che riteniamo non debbano applicarsi alle Regioni, ma che
se diversamente si dovesse opinare determinerebbero un'evidente
violazione del dettato costituzionale.
Il secondo comma del medesimo articolo precisa inoltre che «le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle
finalita' del presente capo secondo le rispettive competenze previste
dai relativi statuti e dalle norme di attuazione».
La disposizione che a prima vista potrebbe sembrare posta a
tutela dell'autonomia regionale, e' in realta' poco piu' che una
formula di stile che riecheggia espressioni utilizzate in passato in
varie leggi cornice statali.
La semplice lettura delle lunghe disposizioni ora riportate e'
sufficiente per comprendere come esse non rispettino certo il quadro
delle competenze legislative dello Stato e delle Regioni, tracciato
dall'art. 117 della nostra Costituzione.
Quest'ultimo prevede, infatti, al primo comma una serie di limiti
comuni alla potesta' legislativa statale e regionale (il rispetto
della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali), per poi indicare le
materie oggetto, rispettivamente al secondo e al terzo comma, di
competenza legislativa esclusiva dello Stato e di competenza
legislativa concorrente, mentre il quarto comma detta una sorta di
clausola di chiusura, in cui si stabilisce che «spetta alle Regioni
la potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non
espressamente riservata alla legislazione dello Stato».
Si tratta, quindi, di vedere se l'oggetto della disciplina
dettata dagli artt. 4, 7 e 9 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, sia
ricompresa negli elenchi delle materie di legislazione esclusiva
statale o concorrente.
Tra le materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva
troviamo, alla lettera g), «ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali».
La materia dell'ordinamento del personale regionale non e'
indicata nemmeno nell'elenco del terzo comma dell'art. 117 Cost. ed
e', quindi, da considerare oggetto della piu' ampia potesta'
legislativa regionale.
Il legislatore statale non puo', dunque, dettare alcuna
disciplina relativa all'ordinamento e all'organizzazione del
personale di enti diversi dallo Stato o dagli enti nazionali.
Come si e' accennato supra, del resto, lo Stato ha violato sotto
il medesimo profilo l'art. 117 Cost. con l'art. 34 della legge
finanziaria 2003, prevedendo l'obbligo per tutte le pubbliche
amministrazioni, comprese le Regioni, di effettuare la
rideterminazione delle dotazioni organiche ed imponendo blocchi alle
assunzioni.
Solo per completezza si osserva che anche la disciplina dettata
dalla disposizione in discorso non ha nemmeno le caratteristiche
proprie di una normativa articolata per principi fondamentali, ma si
spinge al dettaglio con la fissazione di criteri molto rigidi.
In conclusione, le disposizioni di cui agli artt. 4, 7 e 9 della
legge 16 gennaio 2003, n. 3 si pongono in contrasto con gli
artt. 114, 117 e 118 Cost., nella misura in cui comprimono
l'autonomia legislativa e amministrativa regionale, da questi
sancita.
3. - Quanto alle disposizioni contenute negli artt. 42 e 43 della
legge 16 gennaio 2003, n. 3, concernenti la delega al Governo per la
trasformazione degli istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico in fondazioni, nonche' l'organizzazione a rete degli
stessi istituti dedicati a particolari discipline, esse chiaramente
violano l'ambito di competenza legislativa regionale in materia di
sanita'.
Si tratta di disposizioni che - gia' di per se' stesse molto
puntuali - delegano il Governo ad adottare un decreto legislativo che
dovra' disciplinare minutamente la trasformazione degli istituti di
cui si e' detto in fondazioni e l'organizzazione di queste ultime,
ponendo in essere una disciplina di ultimo dettaglio.
Quale spazio puo' essere, dunque, lasciato alla Regione per
legiferare sul punto?
La materia della tutela della salute, entro la quale va fatto
rientrare questo ordine di disposizioni, e' tra le materie, ex
art. 117, terzo comma Cost., di legislazione concorrente, nelle quali
«spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la
determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione
dello Stato».
Non si puo' certo dire che le disposizioni contenute negli
articoli 42 e 43 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, siano tali da
riservare allo Stato la produzione di soli «principi fondamentali».
Anche in passato, vigente il vecchio testo dell'art. 117 Cost.,
la giurisprudenza costituzionale definiva i principi che si impongono
alla legislazione regionale concorrente come quei generali criteri
che informano la disciplina legislativa statale del settore (sent.
n. 49 del 1958 e n. 46 del 1968) e precisava che questi «devono
riguardare in ogni caso il modo di esercizio della potesta'
legislativa regionale e non comportare l'inclusione o l'esclusione di
singoli settori della materia nell'ambito di essa» (sent. n. 70 del
1981).
Ora, la difesa della Regione del Veneto sa bene che il
legislatore statale puo' dettare, accanto ai principi fondamentali,
norme nell'ambito della tutela della salute a vario titolo: vuoi
invocando la propria competenza esclusiva nella determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
(art. 117, comma 2, lettera m), vuoi affermando di dover garantire il
rispetto del principio di eguaglianza (come ricordava, ad esempio, L.
Paladin, Diritto regionale, Padova, 2000, 142 s.), ma ritiene che
cio' non possa comportare l'annullamento di ogni ambito di autonomia
regionale.
Del resto, la trasformazione degli istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico in fondazioni e l'organizzazione a rete di
quelli dedicati a particolari discipline non rientra nell'ambito
della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui
alla lettera m del secondo comma dell'art. 117 e neppure sembra che
debba essere necessariamente il legislatore nazionale ad occuparsene
fin nel dettaglio per evitare violazioni del principio di
eguaglianza.
Ne' vale a superare le eccezioni di illegittimita' prospettate la
previsione di cui al secondo comma dell'art. 42, che prevede
l'acquisizione del parere della Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano sullo schema di decreto legislativo per la trasformazione
degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico in
fondazioni.
Il rispetto dell'ambito di competenza regionale nella
legislazione concorrente si realizza, infatti, quando la Regione ha
la possibilita' di porre in essere norme di dettaglio accanto ai
principi fondamentali dettati dalle leggi statali e non puo' ridursi
ad una semplice espressione di un parere in sede di Conferenza
permanente per l'emanazione di un atto avente forza di legge del
Governo che va a disciplinare minutamente la materia.
Si noti peraltro come il Governo potrebbe anche emanare il
decreto legislativo senza aver acquisito il parere.
Afferma, sul punto, l'art. 42, comma 2: «sullo schema di decreto
legislativo di cui al comma 1 il Governo acquisisce il parere della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano, che si esprime entro
quaranta giorni dalla richiesta. Il Governo acquisisce altresi' il
parere delle competenti Commissioni parlamentari, che deve essere
espresso entro quaranta giorni dalla trasmissione dello schema di
decreto. Decorsi inutilmente i termini predetti, il decreto
legislativo e' emanato anche in mancanza dei pareri».
Gli articoli 42 e 43 della legge 16 gennaio 2003, n. 3
determinano, dunque, una violazione dell'autonomia legislativa e
amministrativa regionale, delineata dagli artt. 114, 117 e 118 della
nostra Costituzione.
4. - Le osservazioni svolte sulla illegittimita' costituzionale
degli artt. 42 e 43 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, possono essere
riprodotte anche per l'art. 46 della medesima legge, recante
disposizioni sulla semplificazione in materia di sedi farmaceutiche.
L'articolo citato prevede una sorta di sanatoria, stabilendo che
i farmacisti che gestiscono in via provvisoria una sede farmaceutica
rurale o urbana, ai sensi dell'art. 129 del testo unico delle leggi
sanitarie e i farmacisti a cui e' stata attribuita la gestione
provvisoria, nel rispetto di quanto disposto dalla legge 16 marzo
1990, n. 48, anche se hanno superato i limiti di eta' previsti,
«hanno diritto a conseguire per una sola volta la titolarita' della
farmacia, purche' alla data di entrata in vigore della presente legge
risultino assegnatari della gestione provvisoria da almeno due anni e
non sia stata pubblicata la graduatoria del concorso per
l'assegnazione della relativa sede farmaceutica».
Al secondo comma vengono poi previsti specificatamente i casi nei
quali tale «sanatoria» non opera: sono esclusi dal beneficio,
infatti, i farmacisti che, alla data di entrata in vigore della
stessa legge, abbiano gia' trasferito la titolarita' di altra
farmacia da almeno dieci anni, nonche' chi abbia gia' ottenuto, da
almeno dieci anni, altri benefici o sanatorie.
Non solo, l'art. 46 disciplina anche i termini di presentazione
delle domande e dell'accertamento necessario alla concessione del
beneficio.
Si legge nel terzo comma dell'articolo citato che «le domande
devono pervenire, a pena di decadenza, alle Regioni e alle Province
autonome di Trento e di Bolzano entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge», mentre al successivo comma 4
si precisa: «l'accertamento dei requisiti e delle condizioni previsti
dai commi 1, 2 e 3 e' effettuato entro un mese dalla presentazione
delle domande».
Il livello di dettaglio di queste disposizioni e' davvero estremo
e certo non c'e' alcuno spazio entro il quale la Regione possa
dettare una propria disciplina non solo di tipo legislativo, ma
finanche amministrativo.
Siamo, quindi, di fronte ad una concezione dei rapporti tra Stato
e Regioni in materia di tutela della salute estremamente
centralistica.

P. Q. M.
Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare,
nei termini e nelle proposizioni suindicati, l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 4, 7, 9, 42, 43 e 46 della legge 16
gennaio 2003, n. 3, recante «Disposizioni ordinamentali in materia di
pubblica amministrazione», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 15
del 20 gennaio 2003, S.O. n. 5, per violazione degli artt. 2, 3, 5,
81, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione.
Si allega:
deliberazione della giunta regionale del Veneto n. 580 del 10
marzo 2003, di autorizzazione alla proposizione del ricorso.
Padova - Roma, addi' 18 marzo 2003.
Avv. prof. Mario Bertolissi - avv. Romano Morra - avv. Luigi Manzi

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