RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 Marzo 2004 - 3 Marzo 2004 , n. 31
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 3 marzo 2004 (della Regione Marche)
(GU n. 15 del 14-4-2004)


Ricorso della regione Marche, in persona del presidente pro
tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazioni
della giunta regionale n. 138 del 17 febbraio 2004 e n. 148 del 20
febbraio 2004, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi
del Foro di Firenze ed elettivamente domiciliato presso lo studio di
quest'ultimo, in Roma, piazza Barberini n. 12, come da procura
speciale per atto del notaio Simonetta Sabatini di Ancona n. rep.
39.501 del 20 febbraio 2004;

Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei
ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 16, 17, 18, 19, 20, 53, 60 e 65 e
dell'art. 4, comma 125 della legge 24 dicembre 2003 n. 350 (ýLegge
finanziaria 2004ý, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27
dicembre 2003 - Supplemento ordinario - n. 196), per violazione degli
artt. 117, 118 e 119 Cost.

F a t t o

1. - La legge 24 dicembre 2003, n. 350, contiene una serie di
disposizioni che la regione Marche ritiene lesive della propria sfera
di competenza costituzionalmente garantita.
Si tratta, in particolare, delle seguenti disposizioni:
l'art. 3, comma 16 per il quale ýai sensi dell'art. 119,
sesto comma, della Costituzione, le regioni a statuto ordinario, gli
enti locali, le aziende e gli organismi di cui agli articoli 2, 29 e
172, comma 1, lettera b) del testo unico di cui al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ad eccezione delle societa' di
capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici, possono
ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di
investimento. Le regioni a statuto ordinario possono, con propria
legge, disciplinare l'indebitamento delle aziende sanitarie locali ed
ospedaliere e degli enti e organismi di cui all'art. 12 del decreto
legislativo 28 marzo 2000, n. 76, solo per finanziare spese di
investimentoý;
l'art. 3, comma 17, che delimita la nozione di indebitamento
per gli enti di cui al comma 16, ricomprendendovi ýl'assunzione di
mutui, l'emissioni di prestiti obbligazionari, le cartolarizzazioni
di flussi futuri di entrata non collegati a un'attivita' preesistente
e le cartolarizzazioni con corrispettivo inferiore all'85 per cento
del prezzo di mercato dell'attivita' oggetto di cartolarizzazione
valutato da un'unita' indipendente e specializzataý, nonche' ýle
operazioni di cartolarizzazione accompagnate da garanzie fornite da
amministrazioni pubbliche e le cartolarizzazioni e le cessioni di
crediti vantati verso altre amministrazioni pubblicheý ed escludendo
ýagli effetti del citato art. 119, le operazioni che non comportano
risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite
massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea
carenza di liquidita' e di effettuare spese per le quali e' gia'
prevista idonea copertura di bilancio. Modiche alle predette
tipologie di indebitamento sono disposte con decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT, sulla base dei
criteri definiti in sede europeaý;
l'art. 3, comma 18, che, ai fini di cui all'art. 119, sesto
comma, delimita la nozione di investimenti, ricomprendendovi:
ýa) l'acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la
manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti da fabbricati
sia residenziali che non residenziali;
b) la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il
recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti;
c) l'acquisto di impianti, macchinari, attrezzature
tecnicoscientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad
utilizzo pluriennale;
d) gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale;
e) l'acquisizione di aree, espropri e servitu' onerose;
f) le partecipazioni azionarie e i conferimenti di
capitale, nei limiti della facolta' di partecipazione concessa ai
singoli enti mutuatari dai rispettivi ordinamenti;
g) i trasferimenti in conto capitale destinati
specificamente alla realizzazione degli investimenti a cura di un
altro ente od organismo appartenente al settore delle pubbliche
amministrazioni;
h) i trasferimenti in conto capitale in favore di soggetti
concessionari di lavori pubblici o di proprietari o gestori di
impianti, di reti o di dotazioni funzionali all'erogazione di servizi
pubblici o di soggetti che erogano servizi pubblici, le cui
concessioni o contratti di servizio prevedono la retrocessione degli
investimenti agli enti committenti alla loro scadenza, anche
anticipata. In tale fattispecie rientra l'intervento finanziario a
favore del concessionario di cui al comma 2 dell'art. 19 della legge
11 febbraio 1994, n. 109;
i) gli interventi contenuti in programmi generali relativi
a piani urbanistici attuativi, esecutivi, dichiarati di preminente
interesse regionale aventi finalita' pubblica volti al recupero e
alla valorizzazione del territorioý;
l'art. 3, comma 19, per il quale ýgli enti e gli organismi di
cui al comma 16 non possono ricorrere all'indebitamento per il
finanziamento di conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di
aziende o societa' finalizzata al ripiano di perdite. A tale fine
l'istituto finanziatore, in sede istruttoria, e' tenuto ad acquisire
dall'ente l'esplicazione specifica sull'investimento da finanziare e
l'indicazione che il bilancio dell'azienda o della societa'
partecipata, per la quale si effettua l'operazione, relativo
all'esercizio finanziario precedente l'operazione di conferimento di
capitale, non presenta una perdita di esercizioý;
l'art. 3, comma 20, per il quale ýle modifiche alle tipologie
di cui ai commi 17 e 18 sono disposte con decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTATý;
l'art. 3, comma 53 che (riformulando l'art. 34, comma 4 della
legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Finanziaria 2003), prevede che ýper
l'anno 2004, alle amministrazioni di cui agli articoli 1, comma 2 e
70, comma 4, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive
modificazioni, ivi comprese le Forze armate, i Corpi di polizia, il
Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e' fatto divieto di procedere
ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, fatte salve le
assunzioni di personale relative a figure professionali non fungibili
la cui consistenza organica non sia superiore all'unita', nonche'
quelle relative alle categorie protetteý;
l'art. 3, comma 60, che (riformulando l'art. 34, comma 11
della legge 27 dicembre 2002, n. 289), in particolare stabilisce che
ýai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto
degli obiettivi di finanza pubblica, con decreti del Presidente del
Consiglio dei ministri da emanare entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge, previo accordo tra Governo,
regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza
unificata, sono fissati per le amministrazioni regionali, per le
province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che
abbiano rispettato le regole del patto di stabilita' interno per
l'anno 2003 - l'art. 34, comma 11 aggiungeva ýper gli altri enti
localiý - e gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri e
limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2004. Tali
assunzioni, fatto salvo il ricorso alle procedure di mobilita',
devono, comunque, essere contenute, fatta eccezione per il personale
infermieristico del Servizio sanitario nazionale, entro percentuali
non superiori al 50 per cento delle cessazioni dal servizio
verficatesi nel corso dell'anno 2003, tenuto conto, in relazione alla
tipologia degli enti, della dimensione demografica, dei profili
professionali del personale da assumere, della essenzialita' dei
servizi da garantire e dell'incidenza delle spese del personale sulle
entrate correnti. Per gli enti del Servizio sanitario nazionale
possono essere disposte esclusivamente assunzioni, entro i limiti
predetti, di personale appartenente al ruolo sanitarioý e che ýi
singoli enti in caso di assunzioni di personale devono
autocertificare il rispetto delle disposizioni del patto di
stabilita' interno per l'anno 2003. Fino all'emanazione dei decreti
di cui al presente comma trovano applicazione le disposizioni di cui
al comma 53ý;
l'art. 3, comma 65, nella parte in cui (riformulando
l'art. 34, comma 13 della legge 27 dicembre 2002, n. 289), stabilisce
che ýper l'anno 2004 le amministrazioni di cui al comma 53 possono
avvalersi di - l'art. 34, comma 13, prevedeva "possono procedere
all'assunzione di" - personale a tempo determinato, ad eccezione di
quanto previsto all'art. 108 del testo unico di cui al d.lgs. 18
agosto 2000, n. 267, o con convenzioni ovvero con contratti di
collaborazione coordinata e continuativa, nei limiti di spesa
previsti dall'art. 34, comma 13, della legge 27 dicembre 2002, n. 289
e successive modificazioni. La spesa per il personale a tempo
determinato in servizio presso il Corpo forestale dello Stato
nell'anno 2004, assunto ai sensi della legge 5 aprile 1985, n. 124,
non puo' superare quella sostenuta per lo stesso personale nell'anno
2003. Le limitazioni di cui al presente comma non trovano
applicazione nei confronti delle regioni e delle autonomie locali,
fatta eccezione per le province e i comuni che per l'anno 2003 non
abbiano rispettato le regole del patto di stabilita' interno, cui si
applica quanto disposto dall'art. 29, comma 15, della legge 27
dicembre 2002, n. 289, nonche' nei confronti del personale
infermieristico del Servizio sanitario nazionale. Per il comparto
scuola trovano applicazione le specifiche disposizioni di settoreý;
l'art. 4, comma 125, che (intervenendo sul comma 27
dell'art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla
legge 24 novembre 2003, n. 326, che individua ipotesi specifiche di
opere abusive non suscettibili di sanatoria), prevede che ýla lettera
g) del comma 27 dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003,
n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003,
n. 326 - che le circoscriveva a quelle "realizzate nei porti e nelle
aree appartenenti al demanio marittimo di preminente interesse
nazionale in relazione agli interessi della sicurezza dello Stato ed
alle esigenze della navigazione marittima, quali identificate ai
sensi del secondo comma dell'art. 59 del decreto del Presidente della
Repubblica 24 luglio 1977, n. 616" -, e' sostituita dalla seguente:
g) siano state realizzate nei porti e nelle aree appartenenti al
demanio marittimo, lacuali e fluviale, nonche' nei terreni gravati da
diritti di uso civicoý.
2. - La regione Marche, con deliberazione della giunta n. 138 del
17 febbraio 2004 e n. 148 del 20 febbraio 2004, ha deliberato di
impugnare davanti a questa Corte le norme sopra richiamate, perche'
illegittime e lesive dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta e
garantita alla stessa regione ricorrente, per le seguenti ragioni di

D i r i t t o

3. - Illegittimita' dell'art. 3, commi 16, 17, 18, 19 20 della
legge 24 dicembre 2003 n. 350, per lesione della sfera di competenza
legislativa regionale, particolarmente per violazione dell'art. 117,
commi terzo, quarto e sesto e 119 Cost.
L'art. 3, comma 16 della legge 24 dicembre 2003, n. 350
stabilisce, in particolare, che le regioni a statuto ordinario, gli
enti locali, le aziende e gli altri organismi indicati nella stessa
norma possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese
di investimento e che le regioni a statuto ordinario possono, con
propria legge, disciplinare l'indebitamento delle aziende sanitarie
locali ed ospedaliere e degli enti di cui all'art. 12 d.lgs. n. 76
del 2000, solo per finanziare spese di investimento.
La norma nei commi successivi si preoccupa di delimitare la
nozione di indebitamento (comma 17) e, ai fini di cui all'art. 119,
sesto comma, quella di investimenti (comma 18), escludendo la
possibilita' di ricorrere all'ýindebitamento per il finanziamento di
conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di aziende o societa'
finalizzata al ripiano di perditeý (comma 19) ed assoggettando,
infine, ýle modifiche alle tipologie di cui ai commi 17 e 18ý,
all'adozione di un ýdecreto del Ministro dell'economia e delle
finanze, sentito l'ISTATý (comma 20).
3.1. - Si deve ritenere che i commi 16-20 dell'art. 3 della legge
24 dicembre 2003, n. 350 intendano dare attuazione e vogliano
integrare un principio presente nell'art. 119, ultimo comma Cost. Ma
si deve dubitare, in primo luogo, che il principio costituzionale di
cui all'art. 119, ultimo comma, Cost., possa essere oggetto di
autonoma interpretazione del legislatore nazionale e definito nei
suoi aspetti applicativi direttamente dalla legge finanziaria,
anziche' dalle norme di coordinamento e comunque al di fuori di un
intervento o una possibilita' di definizione da parte del legislatore
regionale.
I commi 16-20 dell'art. 3, nel disciplinare l'indebitamento delle
regioni e degli enti locali con previsioni di dettaglio non
riconducibili ai principi di coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario di cui all'art. 119 della Costituzione,
violano l'autonomia finanziaria garantita agli enti sub-statali
proprio dall'art. 119 della Costituzione.
L'art. 119, secondo comma Cost. prevede che l'autonomia
finanziaria delle regioni si muova ýsecondo i principi di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributarioý.
Principi che vengono dettati dal legislatore statale, ma - proprio
perche' diretti ad attuare il previsto coordinamento - tali principi
debbono essere inseriti in una disciplina che determini
contestualmente i ýprincipi generaliý, cosi' come ha previsto la
stessa legge finanziaria per il 2003 (n. 289 del 27 dicembre 2002,
che, all'art. 3, ha istituito un'Alta Commissione per indicare al
Governo il contenuto di tale normativa; anche la legge finanziaria
impugnata conferma questa scelta all'art. 2, comma 20, legge n. 350
del 2003, fissando il termine entro il quale l'Alta Commissione deve
concludere i suoi lavori). La determinazione di norme, per di piu' di
dettaglio, nell'ambito delle esigenze di coordinamento della finanza
pubblica, risulta - anche sotto questo profilo - illogica e lesiva
delle competenze regionali. Competenze regionali che vengono
compresse e comunque lese dalla puntuale elencazione degli
ýinvestimentiý e degli ýindebitamentiý ammessi, di cui, in
particolare, al comma 18 dell'art. 3 della legge impugnata:
elencazioni e precisazioni che finiscono per condizionare in termini
stringenti - e, come tali, inammissibili - la stessa capacita' di
esercizio autonomo delle competenze legislative ed amministrative
delle regioni.
La lesione e' particolarmente evidente per la parte in cui le
norme impugnate rendono illegittimo il finanziamento mediante ricorso
all'indebitamento di una serie di interventi destinati alla
realizzazione di investimenti e in particolare di quelli riferiti ai
trasferimenti in conto capitale a favore di privati: cio' significa
che tutte le spese relative ai contributi in conto capitale alle
imprese, alle famiglie, alle associazioni non sono piu' finanziabili
con il ricorso all'indebitamento. Lo stesso dicasi per la quasi
totalita' dei cofinanziamenti regionali di programmi comunitari. La
compressione della competenza regionale e', sotto questo profilo,
evidente, perche' si produce - in assenza di qualsiasi previo
meccanismo di coordinamento o di intesa - un'alterazione consistente
degli equilibri dei bilanci regionali: dati i ristretti margini di
autofinanziamento delle regioni, la quasi totalita' delle spese
regionali di investimento sono, infatti, finanziate con
l'indebitamento.
In definitiva, la disciplina posta dallo Stato si pone in
contrasto con il sistema costituzionale vigente che attribuisce alle
regioni potesta' normativa nel quadro dei principi fondamentali
stabiliti dalla legge statale, che deve essere pertanto legge di
coordinamento e non di dettaglio.
3.2. - La legge impugnata viola comunque l'art. 117, sesto comma
Cost., quando all'art. 3, comma 17, stabilisce che le ýmodifiche alle
predette tipologie di indebitamento sono disposte con decreto del
Ministro dell'economia e delle finanze, sentito l'ISTAT, sulla base
dei criteri definiti in sede europeaý, ed all'art. 3, comma 20,
precisa che ýle modifiche alle tipologie di cui ai commi 17 e 18 sono
disposte con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze,
sentito l'ISTATý.
E', infatti, evidente che viene cosi' attribuita al Ministro
dell'economia e delle finanze potesta' regolamentare in materia non
riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato laddove
ýdeve escludersi la possibilita' per lo Stato di intervenire in tale
materia con atti normativi di rango sublegislativoý (cosi' la
sentenza di questa Corte 27 ottobre 2003, n. 329, punto 4 della parte
In diritto).
Ne' la competenza ministeriale e' accompagnata da qualsiasi
garanzia procedurale, che consenta la partecipazione delle regioni
alla definizione delle variazioni delle tipologie degli investimenti
e degli indebitamenti. Di qui un ulteriore profilo di lesione delle
competenze regionali.
4. - Illegittimita' dell'art. 3, commi 53, 60, 65 della legge 24
dicembre 2003 n. 350, per lesione della sfera di competenza
legislativa regionale, particolarmente per violazione dell'art. 117,
terzo, quarto e sesto comma Cost.
4.1. - L'art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 stabilisce,
in particolare, per l'anno 2004 il ýdivieto di procedere ad
assunzioni di personale a tempo indeterminatoý (comma 53); nonche' la
fissazione di criteri e limiti per le assunzioni a tempo
indeterminato ýper le amministrazioni regionali, per le province e i
comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che abbiano
rispettato le regole del patto di stabilita' interno per l'anno 2003
e gli enti del Servizio nazionaleý, da stabilire ýcon decreti del
Presidente del Consiglio dei ministri ... previo accordo tra Governo,
regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza
unificataý (comma 60).
L'art. 3 prevede, inoltre, che ýper l'anno 2004 le
amministrazioni di cui al comma 53 possono avvalersi di personale a
tempo determinato, ad eccezione di quanto previsto all'art. 108 del
testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o
con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e
continuativa, nei limiti di spesa previsti dall'articolo 34, comma
13, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e successive modificazioniý
(comma 65).
Le disposizioni ora richiamate dispongono dunque un vero e
proprio blocco generalizzato della assunzione di personale, da parte
delle amministrazioni pubbliche.
E' necessario difatti sottolineare che le disposizioni
dell'art. 3 interessano ýle amministrazioni di cui agli artt. 1,
comma 2, e 70, comma 4 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 e successive
modificazioni, ivi comprese le Forze armate, i Corpi di polizia e il
Corpo nazionale dei vigili del fuocoý. L'art. 1, comma 2 del d.lgs.
n. 165 del 2001 si applica, in particolare, alle ýAmministrazioni
dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e
grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello
Stato ad ordinamento autonomo, le regioni le province, i comuni, le
comunita' montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni
universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di
commercio, industria artigianato e agricoltura e loro associazioni,
tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali,
le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario
nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni (ARAM) e le agenzie di cui al decreto legislativo 30
luglio 1999 n. 300ý.
4.2. - Si deve rilevare che la disciplina delle assunzioni e
delle dotazioni organiche delle amministrazioni regionali e degli
enti facenti parte del Servizio sanitario nazionale non rientra tra
le materie per le quali lo Stato puo' esercitare potesta' legislativa
esclusiva.
Nessuna delle materie elencate nella disposizione di cui
all'art. 117, secondo comma Cost. e' in grado di costituire per il
legislatore statale titolo legittimante all'esercizio di potesta'
legislativa nella disciplina delle assunzioni relative alle regioni,
agli enti territoriali regionali, e in particolare, agli enti del
Servizio sanitario.
Al legislatore statale e' riservata la sola disciplina di cui
all'art. 117, comma secondo, lettera g), Cost., relativa alla materia
ýordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti
pubblici nazionaliý, come affermato anche di recente da questa Corte
costituzionale (sentenza 19 dicembre 2003 n. 363, punto 4 della parte
In diritto); per cui la corrispondente materia ýordinamento e
organizzazione amministrativa delle regioni, degli enti locali e
degli enti pubblici substataliý, non essendo contemplata in nessuno
degli elenchi contenuti nello stesso art. 117, spetta
inequivocabilmente alla competenza residuale del legislatore
regionale.
Poiche' i meccanismi di contenimento delle dotazioni organiche
disciplinati con le norme impugnate attengono all'organizzazione
della funzione amministrativa regionale e locale, e' da ritenere che
la loro disciplina sia riservata alla competenza del legislatore
regionale; competenza che, nel caso di specie, risulta
inequivocabilmente lesa.
Le norme impugnate, in particolare, non possono essere ricondotte
alla ýdeterminazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionaleý, materia riservata allo Stato ai sensi
della lettera m) del secondo comma dell'art. 117 Cost. E', infatti,
evidente che la determinazione dei livelli essenziali per garantire
determinati diritti sul territorio nazionale, che, come afferma
questa Corte nella sentenza 282/2002, legittima il legislatore a
ýporre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero
territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come
contenuto essenziale di tali dirittiý, coincidente con il livello
minimo dei medesimi, deve comunque rispondere alla necessita' di
preservare le diversita' territoriali, e non puo' essere identificata
con la decisione sulla necessita' di bloccare le assunzioni e le
dotazioni organiche in particolar modo delle strutture del Servizio
sanitario nazionale.
In conclusione, le norme impugnate sono illegittime per la parte
in cui si riferiscono non solo allo Stato e o agli enti pubblici
nazionali, ma anche alle regioni, agli enti regionali e alle
strutture del Servizio sanitario.
4.3. - Anche qualora si dovesse ritenere che la disciplina
impugnata possa essere ricondotta ad ambiti di competenza legislativa
concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma Cost. - piu'
precisamente, alle materie ýtutela della saluteý e ýarmonizzazione
dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica del
sistema tributarioý - l'art. 3, commi 53, 60 e 65 della legge 24
dicembre 2003, n. 350, sarebbe comunque da ritenere
costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 117, terzo
comma, Cost., per la parte in cui disciplina, con norme non di
principio, direttamente applicabili da parte dei destinatari e
comunque non derogabili dal legislatore regionale, una materia
compresa tra quelle affidate alla legislazione concorrente dello
Stato e delle regioni.
Sotto questo profilo, la disciplina della legge impugnata si pone
chiaramente in contrasto con il ruolo specificamente riservato allo
Stato nella legislazione concorrente; ruolo che la norma
costituzionale limita alla determinazione dei principi fondamentali
della materia.
Si devono ritenere principi fondamentali ýsolo i nuclei
essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono
per i principi enunciati o da esse desumibiliý (Corte cost., sent. 7
novembre 1995, n. 482), con un ýlivello di maggior astrattezzaý
rispetto alle regole positivamente stabilite dal legislatore
regionale (Corte cost., 16 marzo 2001, n. 65).
Ora, pur considerando la funzione di tali principi in termini
ampi, di indirizzo e coordinamento delle competenze regionali per la
realizzazione di esigenze unitarie, la nuova formulazione
dell'art. 117, terzo comma, Cost., rispetto a quella previgente
dell'art. 117, primo comma, Cost., opera una netta distinzione fra la
competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza
statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della
disciplina, ýcomunque risultanti dalla legislazione statale gia' in
vigoreý (sentenza 26 giugno 2002, n. 282, in motivazione), fermo
restando che le norme per essere considerate principi fondamentali
devono essere ýespressive di scelte politico-legislative fondamentali
o, quantomeno, di criteri o modalita' generali tali da costituire un
saldo punto di riferimento in grado di orientare l'esercizio del
potere legislativo regionaleý (sentenza 18 febbraio 1988, n. 177,
punto 2.3.1 della parte In diritto) e che le regioni sono in ogni
caso responsabili nel proprio territorio delle norme di
organizzazione e di procedura (sentenza 14 novembre 2003, n. 338
punto 5.1 della parte In diritto).
Le norme impugnate sacrificano cioe', in maniera del tutto
illegittima ed incoerente, quel contenuto minimo dell'autonomia
legislativa regionale che, nelle materie attribuite alla competenza
legislativa concorrente delle regioni, il legislatore statale non
puo' viceversa comprimere o eliminare.
Anche a voler ammettere - ma la regione ricorrente contesta tale
interpretazione - che lo Stato abbia il potere di emanare discipline
autoapplicative o di dettaglio nelle materie di potesta' legislativa
concorrente, si deve ricordare che, per costante giurisprudenza di
questa Corte (v. Corte cost., 23 luglio 2002, n. 376, punto 6 parte
In diritto), tale potere si puo' estrinsecare solo attraverso norme a
carattere cedevole rispetto agli interventi del legislatore
regionale. Carattere, con tutta evidenza, da escludere per le norme
impugnate, che impongono limiti gravi e immediatamente efficaci alle
dotazioni di personale, disciplinando tali limiti in via esclusiva
(senza lasciare alcuno spazio di autonomia alla legislazione
regionale), in maniera dunque gravemente lesiva della competenza
legislativa della regione.
L'esclusione di una disciplina di dettaglio in materia di
dotazione organica e' stata del resto ribadita da questa Corte (cfr.
sentenza 13 gennaio 2004, n. 5, punto 3 parte In diritto, per la
quale, ad esempio, ýuna volta attribuita l'istruzione alla competenza
concorrente, il riparto imposto dall'art. 117 postula che, in tema di
programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo
servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare principi. E
la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, che
certamente non e' materia di norme generali sulla istruzione,
riservate alla competenza esclusiva dello Stato, in quanto
strettamente connessa alla programmazione della rete scolastica,
tuttora di competenza regionale, non puo' essere scorporata da questa
e innaturalmente riservata per intero allo Stato; sicche', anche in
relazione ad essa, la competenza statale non puo' esercitarsi altro
che con la determinazione dei principi organizzativi che spetta alle
regioni svolgere con una propria disciplinaý).
Non vi puo' d'altro canto essere dubbio sul carattere puntuale e
di dettaglio delle disposizioni recate dall'art. 3, commi 53, 60 e
65. Le norme impugnate non determinano semplici principi per il
contenimento della spesa in materia di personale degli enti regionali
e degli enti del Servizio sanitario nazionale, ma arrivano a
determinare il numero massimo di posti in dotazione organica e a
disporre un blocco generale e coattivo delle assunzioni, per di piu'
legato a date puntualmente individuate.
E' quindi evidente che, di fronte a questa disciplina, non esiste
da parte del legislatore regionale la possibilita' di intervenire a
livello legislativo e amministrativo in materie che, invece, sono
riconducibili alla sua competenza legislativa concorrente.
L'art. 3, commi 53, 60 e 65 cioe', in palese violazione di quanto
previsto dall'art. 117, terzo comma Cost., non contiene norme di
principio volte a definire il quadro normativo della materia che il
legislatore regionale dovrebbe rispettare nell'esercizio della sua
autonomia legislativa costituzionalmente garantita. Al contrario,
stabilisce norme puntuali rivolte direttamente ai soggetti
destinatari della disciplina, senza lasciare alcuno spazio alla
necessaria interposizione del legislatore regionale.
E' necessario anche sottolineare che, ai sensi dell'art. 2,
secondo comma, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 205 (rimasto invariato
a seguito della riforma operata dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229),
competono alle regioni, nel rispetto dei principi stabiliti dalle
leggi nazionali, le funzioni legislative ed amministrative in materia
di assistenza sanitaria ed ospedaliera. La norma prevede, in
particolare, che alle regioni spetti la ýdeterminazione dei principi
sull'organizzazione dei servizi e sull'attivita' destinata alla
tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle unita'
sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, le attivita' di
indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle predette
unita' sanitarie locali ed aziende, anche in relazione al controllo
di gestione ed alla valutazione della qualita' delle prestazioni
sanitarieý (art. 2, secondo comma).
Questa Corte, di recente, ha confermato che ýnei limiti dei
principi fondamentali, nulla vieta (...) che le regioni, responsabili
per il proprio territorio dei servizi sanitari, dettino norme di
organizzazione e di procedura, o norme concernenti l'uso delle
risorse pubbliche in questo campoý (sentenza 14 novembre 2003, n. 338
punto 5.1 della parte In diritto).
In conclusione, lo Stato puo' dettare principi generali di
carattere finanziario per le regioni e per le aziende sanitarie: ma
non puo' stabilire e determinare azioni strumentali puntuali e di
dettaglio, quali la determinazione delle dotazioni organiche e il
blocco delle assunzioni, al fine di realizzare tali principi.
4.4. - In questa prospettiva, e' evidente che anche un eventuale
riferimento all'ýinteresse nazionaleý non potrebbe giustificare
l'attribuzione allo Stato della potesta' di disciplinare il blocco
delle assunzioni e la determinazione delle dotazioni organiche delle
regioni, degli enti regionali e delle aziende del Servizio sanitario.
Indipendentemente dalla circostanza che, in nessun modo, il
limite dell'interesse nazionale e' oggi espressamente menzionato
nelle norme del Titolo V della Costituzione, si deve comunque
rilevare che l'eventuale richiamo ad interessi nazionali non puo' di
per se' escludere la potesta' legislativa regionale negli ambiti
materiali di competenza concorrente o residuale di cui all'art. 117
Cost., terzo e quarto comma. La scelta del legislatore di revisione
costituzionale e' stata, infatti, chiaramente quella di non
attribuire al rilievo nazionale della materia e agli interessi
nazionali da essa soddisfatti, il significato di un fattore di
esclusione della potesta' legislativa regionale (ýl'interesse
nazionale non e' piu', oggi, un limite autonomo della legislazione
regionale, ne' puo' essere autonomo fondamento di un intervento
legislativo statale in materie di competenza regionale [cfr.,
sentenze n. 303 e 370 del 2003]ý, cosi' la sentenza 16 gennaio 2004,
n. 16, punto 6, parte In diritto).
Il nuovo testo costituzionale, non prevedendo l'interesse
nazionale come limite alla potesta' legislativa delle regioni, non
prevede neppure l'esercizio di un generale potere di indirizzo e
coordinamento (che, nel contesto costituzionale previgente,
costituiva il corollario positivo dell'interesse nazionale). E,
infatti, la tutela degli interessi nazionali - o ultraregionali - e'
espressa, nel nuovo art. 117 Cost., solo in sede di elencazione
tassativa dei compiti specificatamente riservati alla potesta'
legislativa esclusiva dello Stato.
Tali affermazioni sono suffragate dalla giurisprudenza di questa
Corte, che ha, di recente, confermato che ýil nuovo art. 117, terzo
comma, della Costituzione, affida alla potesta' legislativa
concorrente delle regioni la materia della tutela della salute (...).
Pertanto, in tale materia le regioni possono esercitare le proprie
competenze legislative approvando una propria disciplina - anche
sostitutiva di quella statale - sia pure nel rispetto del limite dei
principi fondamentali posti dalle leggi dello Stato. D'altra parte,
deve escludersi la possibilita' per lo Stato di intervenire in tale
materia con atti normativi di rango sublegislativo, in considerazione
di quanto disposto dall'art. 117, sesto comma, della Costituzione; e
parimenti, e' da escludere la permanenza in capo allo Stato del
potere di emanare atti di indirizzo e coordinamento in relazione alla
materia de qua, anche alla luce di quanto espressamente disposto
dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni
per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale stabilisce che ýnelle
materie di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, della
Costituzione, non possono essere adottati gli atti di indirizzo e di
coordinamento di cui all'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e
all'art. 4 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112ý (sentenza 27 ottobre
2003, n. 329, punto 4 della parte In diritto).
5. - Illegittimita' dell'art. 3, commi 53, 60 e 65 della legge 24
dicembre 2003, n. 350, per lesione della sfera di competenza
regionale, particolarmente per la violazione degli artt. 117, terzo e
quarto comma e dell'art. 119 Cost.
5.1. - Le disposizioni impugnate - oltre a violare la competenza
legislativa piena o comunque concorrente delle regioni - prevista
dall'art. 117, terzo e quarto comma della Costituzione, violano
l'autonomia di spesa, costituzionalmente riconosciuta e garantita
alle regioni dal primo comma dell'art. 119 Cost.
La drastica limitazione delle dotazioni organiche e il blocco
delle assunzioni imposto dalle norme della legge 24 dicembre 2003,
n. 350 determina, nel caso delle amministrazioni regionali e degli
enti del Servizio sanitario regionale, una lesione della sfera di
autonomia finanziaria della regione, la quale non puo' che essere
l'unico soggetto abilitato a prevedere procedure e criteri di
controllo della propria spesa pubblica.
La ratio del disegno costituzionale ricavabile da quest'ultima
disposizione rende, infatti, inammissibile ritenere che allo Stato
sia consentito dettare norme che limitino direttamente tale
autonomia, introducendo specifiche forme di controllo dettate dal
livello centrale.
Le norme in esame violano quindi l'art. 119 Cost., nella parte in
cui, disconoscendo il carattere autonomo e non piu' prevalentemente
derivato della finanza regionale, pongono limiti al legislatore
regionale nella definizione delle proprie politiche di bilancio.
Infatti, la scelta circa l'eventuale ricorso a forme di blocco
delle assunzioni non puo' che spettare esclusivamente alla regione,
oltretutto nel perseguimento di finalita' autonomamente definite
nell'esercizio della propria funzione di indirizzo politico. Di qui
le denunciate lesioni dell'autonomia finanziaria della regione
ricorrente, riconosciuta dall'art. 119 Cost.
Questa Corte ha chiarito che ýin base al nuovo articolo 119, gli
enti locali e le regioni hanno ýautonomia finanziaria di entrata e di
spesaý (primo comma) e godono di ýrisorse autonomeý (secondo comma).
Tributi ed entrate proprie, da essi stessi stabiliti secondo i
principi, di coordinamento della finanza pubblica, compartecipazioni
al gettito di tributi statali riscossi sul loro territorio, e accesso
ad un fondo perequativo per i territori con minore capacita' fiscale,
da utilizzarsi ýsenza vincoli di destinazioneý, sono le risorse che
debbono consentire a regioni ed enti locali di ýfinanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuiteý (secondo, terzo
e quarto comma). Per il resto, e' prevista solo la possibilita' che
lo Stato destini risorse aggiuntive ed effettui interventi finanziari
speciali ýin favore di determinati comuni, province, citta'
metropolitane e regioniý per gli scopi indicati, o ýdiversi dal
normale esercizio delle loro funzioniý (quinto comma).
Non sono quindi ammesse forme di ýingerenza dello Stato
nell'esercizio delle funzioni degli enti locali, e di sovrapposizione
di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli
legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali di propria
competenzaý (sentenza 16 gennaio 2004, n. 16, punti 4 e 5 parte In
diritto; cfr., nello stesso senso, sentenza 29 gennaio 2004, n. 49,
punto 2 parte In diritto).
6. - Illegittimita' dell'art. 3, comma 60 della legge 24 dicembre
2003, n. 350, per lesione della sfera di competenza regionale,
particolarmente per la violazione degli artt. 117, terzo, quarto e
sesto comma e dell'art. 118 Cost.
6.1. - L'art. 3, comma 60, della legge 24 dicembre 2003, n. 350
prevede, in particolare - come gia' sottolineato - che ai fini del
concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli
obiettivi di finanza pubblica, con decreti del Presidente del
Consiglio dei ministri da emanare entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge, previo accordo tra Governo,
regioni e autonomie locali da concludere in sede di Conferenza
unificata, sono fissati per le amministrazioni regionali, per le
province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti che
abbiano rispettato le regole del patto di stabilita' interno per
l'anno 2003 e gli enti del Servizio sanitario nazionale, criteri e
limiti per le assunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2004ý.
Lo stesso art. 3, comma 60, determina la percentuale massima di
tali assunzioni (che ýfatto salvo il ricorso alle procedure di
mobilita', devono, comunque, essere contenute, fatta eccezione per il
personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale, entro
percentuali non superiori al 50 per cento delle cessazioni del
servizio verificatesi nel corso dell'anno 2003, tenuto conto, in
relazione alla tipologia degli enti, della dimensione demografica,
dei profili professionali del personale da assumere, della
essenzialita' dei servizi da garantire e dell'incidenza delle spese
del personale sulle entrate correntiý); esclude determinate categorie
di personale dalle possibili assunzioni (ýper gli enti del Servizio
sanitario nazionale possono essere disposte esclusivamente
assunzioni, entro i limiti predetti, di personale appartenente al
ruolo sanitarioý) e che ýi singoli enti in caso di assunzioni di
personale devono autocertificare il rispetto delle disposizioni del
patto di stabilita' interno per l'anno 2003. Fino all'emanazione dei
decreti di cui al presente comma trovano applicazione le disposizioni
di cui al comma 53ý.
In sostanza, la norma impugnata demanda ad un decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri la fissazione, in particolare
per le regioni e ýper gli enti del Servizio sanitario nazionaleý di
ýcriteri e limitiý - assolutamente puntuali e cogenti - per le
ýassunzioni a tempo indeterminato per l'anno 2004ý.
La norma statale impugnata prevede dunque un'ipotesi di
allocazione di decisioni amministrative presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri che incardina in organi statali le relative
funzioni ed attivita'.
In tal modo, le disposizioni richiamate si pongono in palese
contrasto con quanto stabilito dall'art. 117, sesto comma Cost., e
dall'art. 118 Cost., che fissano, rispettivamente, una ripartizione
rigida della potesta' regolamentare e i parametri costituzionali per
la corretta allocazione-distribuzione delle funzioni amministrative
tra gli enti che ýcostituisconoý la Repubblica.
Allo Stato la potesta' regolamentare spetta solo nella materia di
legislazione esclusiva statale; alle regioni spetta, invece ýin ogni
altra materiaý. Poiche' l'oggetto della disciplina del decreto
impugnato e' riconducibile a materie elencate nell'art. 117, commi
tre e quattro Cost., e' altrettanto innegabile che la potesta' di
dettare norme a contenuto regolamentare, in tale ambito disciplinare,
deve essere riconosciuta solo alla regione (si puo' citare la
sentenza di questa Corte 27 ottobre 2003, n. 329, punto 4 della parte
In diritto, per la quale ýdeve escludersi la possibilita' per lo
Stato di intervenire in tale materia con atti normativi di rango
sublegislativo, in considerazione di quanto disposto dall'art. 117,
sesto comma, della Costituzioneý).
6.2. - L'attribuzione di funzioni amministrative ad organi
dell'amministrazione statale viola, nel caso di specie, anche
l'art. 118 primo comma Cost. In proposito, l'art. 118, primo comma
Cost. stabilisce che ýle funzioni amministrative sono attribuite ai
comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano
conferite a province, citta' metropolitane, regioni e Stato, sulla
base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezzaý.
La norma costituzionale non contiene un'attribuzione diretta di
funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo;
fissa semplicemente, criteri e principi per la ripartizione di tali
funzioni da parte dell'ente che risulti, di volta in volta, titolare
di una potesta' legislativa nella specifica materia. Di conseguenza,
l'art. 118, primo comma, costituisce necessario parametro di
legittimita' costituzionale di ogni intervento normativo finalizzato
ad allocare funzioni amministrative.
Tale parametro e' individuato nell'esigenza che sussistano
specifiche ragioni di esercizio unitario della funzione, puntualmente
motivate in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezza, tali da giustificare nei singoli casi l'attrazione della
competenza ad un livello di governo superiore rispetto a quello ýpiu'
vicinoý al cittadino (in questo senso si puo' citare la sentenza di
questa Corte 1ý ottobre 2003, n. 303, punto 16 parte In diritto,
secondo cui la disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo
deve essere finalizzata ýad assicurare l'immediato svolgersi di
funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare
esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della
ineffettivitaý).
Di qui il necessario rigore nel valutare ogni norma dalla quale
consegua l'attribuzione delle competenze al livello di governo ýpiu'
lontanoý dal cittadino, ossia al livello statale.
Vi e' dunque un obbligo per il legislatore, particolarmente per
quello statale, di accompagnare qualunque scelta di allocazione di
funzioni amministrative ad un livello diverso da quello comunale, con
una analisi ed una verifica sostanziale dell'effettiva rispondenza
della scelta (pur sempre discrezionale) ai parametri indicati dalla
norma costituzionale. Cio' implica che la norma che alloca le
funzioni dovra' anche enunciare le circostanze e le finalita' che
rendono legittima la scelta effettuata.
Le disposizioni impugnate non soddisfano tali requisiti, non
essendo rinvenibile, neppure implicitamente o indirettamente, alcun
riferimento ad una qualunque ragione in grado di giustificare
l'attribuzione ad organi statali di funzioni amministrative relative
ai limiti delle assunzioni di personale negli enti regionali e negli
enti del Servizio sanitario nazionale.
Anche se questa Corte volesse ritenere che lo Stato possa
autoattribuirsi funzioni amministrative nella materia in oggetto (a
prescindere dall'illegittimita' del riconoscimento di una sua
potesta' legislativa, denunciata nei paragrafi precedenti) senza
sottostare ad alcun vincolo formale di espressa indicazione dei
presupposti che ne motivano la scelta, le disposizioni impugnate si
devono comunque ritenere costituzionalmente illegittime in quanto
lesive dei limiti sostanziali che l'art. 118, primo comma, stabilisce
per la distribuzione delle competenze amministrative
nell'ordinamento.
In altri termini, non si vede alcun motivo per allocare a livello
centrale funzioni amministrative che risultano collegate alla
specifica localizzazione sul territorio dei singoli enti e alla
concreta modalita' di realizzazione delle funzioni svolte da tali
enti. Tali funzioni, infatti, potrebbero adeguatamente essere svolte
dalle amministrazioni preposte alla cura degli interessi che
insistono sul territorio regionale.
6.3. - Il fatto che il decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri previsto dall'art. 3, comma 60 debba essere adottato previo
accordo tra Governo, regioni e autonomie locali in sede di conferenza
unificata, non puo' assumere decisivo rilievo.
La previsione di un accordo non supera la lesione delle
competenze legislative attribuite alla regione dalla Costituzione;
anche perche' - attraverso l'accordo - lo Stato acquisirebbe la
possibilita' di dettare norme di mero dettaglio, espropriando quindi
del tutto l'autonomia legislativa ed amministrativa della regione.
7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 53, 60 e 65
della legge 24 dicembre 2003, n. 350, per lesione della sfera di
competenza regionale, particolarmente per violazione degli artt. 117,
secondo, terzo e quarto comma e 119 Cost.
7.1. - Lo Stato non puo' fondare la propria competenza sulla
circostanza che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
previsto dalla disposizione impugnata (in particolare dal comma 60)
ha come finalita' quella di garantire il ýconcorso delle autonomie
regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblicaý.
L'obiettivo indicato dal legislatore statale non puo'
consentirgli di intervenire in settori materiali dell'ordinamento che
gli sono sottratti, come quello relativo all'organizzazione
amministrativa della regione e degli enti subregionali al quale deve
essere ascritto l'art. 3, comma 60 della legge 24 dicembre 2003,
n. 350.
Peraltro, un intervento dello Stato, potrebbe giustificarsi
solamente ove fosse rivolto alla determinazione dei principi di
coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli articoli 117,
terzo e quarto comma e 119 Cost.
In proposito, deve essere evidenziato che l'art. 3, in
particolare al comma 60, nel disporre che le ýassunzioni, fatto salvo
il ricorso alle procedure di mobilita', devono, comunque, essere
contenute, fatta eccezione per il personale infermieristico del
Servizio sanitario nazionale, entro percentuali non superiori al 50
per cento delle cessazioni del servizio verificatesi nel corso
dell'anno 2003, tenuto conto, in relazione alla tipologia degli enti,
della dimensione demografica, dei profili professionali del personale
da assumere, della essenzialita' dei servizi da garantire e
dell'incidenza delle spese del personale sulle entrate correnti. Per
gli enti del Servizio sanitario nazionale possono essere disposte
esclusivamente assunzioni, entro i limiti predetti, di personale
appartenente al ruolo sanitario. Non puo' essere, in ogni caso,
stabilita una percentuale superiore al 20 per cento per i comuni con
popolazione superiore a 5.000 abitanti e le province che abbiano un
rapporto dipendenti-popolazione superiore a quello previsto dall'art.
119, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77,
maggiorato del 30 per cento o la cui percentuale di spesa del
personale rispetto alle entrate sia superiore alla media nazionale
per fasce demograficheý, non introduce norme di coordinamento della
finanza pubblica, ma stabilisce dei vincoli alla politica delle
assunzioni di regioni ed enti locali; ne' tali vincoli possono essere
ricondotti per la loro intensita' normativa al rango di principi
della materia, apparendo ictu oculi puntuali e dettagliati.
7.2. - La previsione, gia' sopra censurata, della conclusione di
un accordo tra Governo, regioni ed autonomie locali per fissare
criteri e limiti per le assunzioni per l'anno 2004, indicati dal
comma 60 dellart. 3, non e' in grado di sanare l'illegittimita' della
norma denunciata.
Lo strumento dell'accordo e' certamente coerente con il principio
del coordinamento di cui allart. 119 Cost. Ma e' evidente che
l'accordo idoneo a consentire un coordinamento rispettoso
dell'autonomia costituzionale delle regioni non puo' intervenire come
strumento per definire le modalita' di applicazione di puntuali
limiti fissati unilateralmente dal legislatore statale che, in tal
modo, si pone in violazione dell'art. 119 Cost.
8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 125, della
legge 24 dicembre 2003, n. 350, per lesione della sfera di competenza
legislativa regionale, particolarmente per violazione dell'art. 117,
terzo e quarto comma, Cost.
8.1. - L'art. 4, comma 125 della legge 24 dicembre 2003 n. 350,
stabilisce che ýla lettera g) del comma 27 dell'art. 32 del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 e' sostituita
dalla seguente: g) siano state realizzate nei porti e nelle aree
appartenenti al demanio marittimo, lacuali e fluviale, nonche' nei
terreni gravati da diritti di uso civicoý.
La norma escludendo dalla sanatoria non solo le opere realizzate
sul demanio marittimo, ma anche lacuale, fluviale, nonche' sui
terreni gravati dal diritto di uso civico, legittima l'intervento
dello Stato con una disciplina di dettaglio, individuando le zone
escluse dalla sanatoria ed e', pertanto, lesiva della competenza
legislativa residuale di cui all'art. 117, quarto comma Cost., in
quanto riferita alla materia edilizia e comunque della competenza
concorrente di cui all'art. 117, terzo comma Cost., se si conviene
con l'opinione che ricomprende l'edilizia nella materia del governo
del territorio (essa infatti ýincide sulla materia del "governo del
territorio", dal comma tre del medesimo articolo attribuita alla
potesta' legislativa concorrente dello Stato (per la determinazione
dei principi fondamentali) e delle regioni (per ogni altro aspetto
della disciplina),ý - in particolare nell' - ýambito di materia
costituito dall'edilizia - che - va ricondotto al "governo del
territorio"ý. Cosi' la sentenza 19 dicembre 2003, n. 362, punti 5 e
5.1 della parte In diritto).


P. Q. M.
Si chiede la dichiarazione di illegittimita' costituzionale
dell'art. 3, commi 16, 17, 18, 19, 20, 53, 60 e 65, nonche'
dell'art. 4, comma 125 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, per
violazione degli artt. 117, 118, 119 Cost.
Firenze - Roma, addi' 24 febbraio 2004
Prof. avv. Stefano Grassi

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