Ricorso n. 31 del 3 marzo 2010 (Regione Toscana)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 marzo 2010 , n. 31
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 3 marzo 2010 (della Regione Toscana).
(GU n. 13 del 31-3-2010)
Ricorso della Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, autorizzato con delibera della Giunta Regionale n. 197 del 23 febbraio 2010, rappresentato e difeso, come da mandato in calce al presente atto, dall'Avv. Lucia Bora dell'Avvocatura regionale ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. Giovanni P. Mosca in Roma, Corso d'Italia, 102, contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 186, lett. a) ed e), comma 191, nonche' comma 240 della legge 23 dicembre 2009 n. 191 (legge finanziaria 2010), per contrasto con gli artt. 114, 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' per violazione del principio di leale collaborazione. Sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale n. 302, S.O. n. 243 del 30 dicembre 2009 e' stata pubblicata la legge n. 191/2009, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010). Il comma 186, lett. a) dell'art. 2 prevede - in relazione alla riduzione del contributo ordinario base spettante agli enti locali a valere sul fondo di cui all'art. 34, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 504/1992, riduzione disposta ai sensi del precedente comma 183 dello stesso art. 2 - la soppressione da parte dei comuni del difensore civico. Il comma 186, lett. e) dell'art. 2 prevede - sempre in relazione alla sopra richiamata riduzione del contributo ordinario - l'obbligo per i Comuni di sopprimere i consorzi di funzioni, con conseguente successione ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici ed a ogni altro effetto. Il comma 191 dell'art. 2, prevede per gli immobili militari - cosi' come individuati dal Ministero della difesa ai fini della valorizzazione ed alienazione degli stessi con lo scopo di costituire un fondo di investimento immobiliare (cfr. comma 189) - i quali siano oggetto di appositi accordi di programma di valorizzazione con i Comuni nel cui ambito sono ubicati (cfr. comma 190), che la delibera del consiglio comunale di approvazione del protocollo d'intesa e dell'accordo di programma costituisca autorizzazione alle varianti allo strumento urbanistico generale, per le quali si prescinde dalla verifica di conformita' agli atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni, salva l'ipotesi in cui la variante comporti variazioni volumetriche superiori al 30% dei volumi esistenti. Infine, il comma 240 dell'art. 2, stabilisce che le risorse assegnate per interventi di risanamento ambientale di cui alla delibera del CIPE del 6 novembre 2009 siano destinati ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a piu' elevato rischio idrogeologico: secondo quanto disposto dalla norma in esame, dette situazioni sono individuate dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorita' di bacino di cui all'art. 63 d.lgs. n. 152/06 e ss.mm., nonche' sentito il Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio. Le suddette norme sono incostituzionali per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 186, lett. a) ed e), legge n. 191/2009 nella parte in cui si impone ai comuni la soppressione della figura del difensore civico e dei consorzi di funzioni tra enti locali; per violazione degli articoli 114, 117, secondo, terzo, quarto, sesto comma e 119 Cost. La norma in esame si inserisce in un gruppo di norme della legge finanziaria che dichiarano di perseguire finalita' di coordinamento per il contenimento della spesa pubblica degli enti locali. In particolare, con il comma 183 e' innanzitutto stabilita la riduzione del contributo ordinario spettante a detti enti, ai sensi dell'art. 34, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 504/1992. A tal fine, tra le altre cose, e' previsto l'obbligo per i Comuni di sopprimere la figura del Difensore civico, nonche' i consorzi di funzioni tra gli enti locali (art. 2, comma 186, lett. a) ed e). Tali ultime disposizioni incidono in maniera lesiva sulle prerogative sia regionali che degli enti locali in materia di organizzazione e funzionamento degli stessi enti locali. La Corte costituzionale a riguardo ha gia' avuto modo di chiarire che l'art. 117, comma 2, lett. p) Cost., nella parte in cui assegna alla competenza esclusiva statale la materia relativa a «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane» deve essere letto in maniera tassativa, rientrando la restante disciplina nella competenza residuale delle Regioni (in tal senso: Corte cost. sent. n. 237/09; sent. n. 244/2005; 456/2005 ed infine la recente sentenza n. 27/2010). Le norme in esame, invece, non disciplinano ne' le funzioni fondamentali ne' gli organi di governo dei comuni. Con riguardo all'art. 2, comma 186 lett. a), si rileva, infatti, che il difensore civico non rientra tra gli organi dell'ente, tali essendo quelli elettivi di governo non burocratici, cui istituzionalmente competono le determinazioni di politica generale, di cui assumono la responsabilita'. In tale categoria non e' stato ricompreso il difensore civico regionale, al quale la Corte costituzionale ha riconosciuto la titolarita' di funzioni, non politiche, di tutela della legalita' e della regolarita' amministrativa (sentenze nn. 167/2005; 313/2003) e tale ragionamento vale anche per i difensori civici degli enti locali. Percio' lo Stato non e' legittimato ad intervenire con una norma come quella impugnata, imponendo la soppressione di una figura la cui disciplina e' rimessa alla potesta' statutaria e regolamentare degli enti locali (combinato disposto dell'art. 117, comma 2 lett. p) e comma 6 Cost.), con conseguente violazione dell'autonomia di detti enti sancita dall'art. 114 Cost.: tale violazione puo' essere legittimamente prospettata dalla Regione, come chiarito dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 196 del 2004 e n. 417 del 2005. In ogni caso la norma in esame lede anche la potesta' legislativa regionale di tipo residuale in materia di organizzazione dell'esercizio delle funzioni. Lo Statuto della Regione Toscana, all'art. 56, ha infatti stabilito che «la legge promuove l'istituzione della rete di difesa civica locale»; tale aspetto e' stato disciplinato con l'art. 19 della legge regionale n. 19 del 2009. L'art. 20 della stessa legge regionale, poi, ha anche istituito la conferenza permanente dei difensori civici locali per l'esame congiunto delle problematiche di interesse comune e la promozione di iniziative volte allo sviluppo e al miglioramento della difesa civica. Percio' la legge toscana istitutiva del Difensore civico ha disciplinato i rapporti di collaborazione con i difensori civici locali, per un piu' efficace esercizio delle competenze ai medesimi attribuite dal legislatore regionale; tale disciplina, legittimamente emanata nell'esercizio delle attribuzioni regionali, verrebbe vanificata dalla norma oggetto di impugnativa. Percio' l'art. 2 comma 186 lett. a) della legge n. 191 del 2009 viola l'art. 114 e l'art. 117, commi 2, 4 e 6 della Costituzione. L'art. 2 comma 186 lett. e) e' anch'esso incostituzionale perche', nella parte in cui prevede la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, lede l'autonomia statutaria e regolamentare dei comuni: l'art. 117 sesto comma Cost. dispone infatti che gli enti locali hanno potesta' regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e allo svolgimento delle funzioni loro attribuite. Conseguentemente la disposizione impugnata non rispetta l'autonomia di detti enti sancita dal citato art. 117 sesto comma, nonche' dall'art.114 Cost.: tale violazione, come sopra gia' rilevato, puo' essere legittimamente prospettata dalla Regione, come chiarito dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 196 del 2004 e n. 417 del 2005. Inoltre la disposizione lede, direttamente, la potesta' legislativa residuale delle Regioni. In particolare, la Corte costituzionale con la gia' citata sentenza n. 237/09, con riferimento alle comunita' montane - identificate quali unioni di comuni montani e/o enti autonomi proiezioni dei comuni che ad esse fanno capo - ha affermato che «La giurisprudenza costituzionale ha anche avuto modo di precisare (sentenza n. 229 del 2001), pronunciandosi su una ipotesi di soppressione di alcune comunita' montane, che queste ultime "contribuiscono a comporre il sistema delle autonomie sub-regionali, pur senza assurgere a enti costituzionalmente o statutariamente necessari" e che esse non sono enti necessari sulla base di norme costituzionali, sicche' rientra nella potesta' legislativa delle Regioni disporne anche eventualmente la soppressione». Tali principi possono evidentemente essere invocati anche con riferimento al comma 186 lett. e) in ordine alla prevista soppressione di consorzi tra enti locali, ove la norma sia interpretata nel senso della sua applicabilita' anche ai consorzi obbligatori costituiti in base alle previsioni della legge regionale. E' quindi evidente che prevedere un obbligo puntuale per i Comuni in ordine alla soppressione dei consorzi di funzioni si traduce in un inammissibile intervento dello Stato nell'ambito della disciplina dell'organizzazione locale, ben oltre i limiti previsti dalla Costituzione: infatti, la scelta di esercizio delle funzioni degli enti locali attraverso la forma del consorzio non rientra ne' nella disciplina dell'organizzazione degli enti di cui all'art. 117 comma 2 lett. g), in quanto detta disposizione si riferisce esclusivamente alla organizzazione degli enti nazionali, ne' nella disciplina, pure riservata in via esclusiva allo Stato, relativa agli «organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Citta' Metropolitane», di cui all'art. 117, comma 2, lett. p) Cost. Come visto, detta ultima norma deve essere interpretata in maniera restrittiva e, come non poteva essere riferita alle Comunita' montane, cosi' a maggior ragione non puo' essere invocata in ordine alla scelta in merito alla costituzione e/o alla soppressione dei consorzi tra enti locali. Cio' trova conferma nella piu' recente giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la disciplina delle forme associative tra enti locali rientra nella potesta' legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost. (cfr. le gia' citate sentenze n. 27/2010; 237/2009; sent. n. 244/2005; 456/2005), ed anche nella giurisprudenza precedente, perche' gia' con la pronuncia n. 343/1991, la Regione e' stata individuata come «il centro propulsore e di coordinamento dell'intero sistema delle autonomie locali», necessario a fronte di un tessuto organizzativo degli enti locali cosi' diversificato da richiedere un incisivo ruolo di coordinamento delle Regioni, nelle materie di loro spettanza, anche per quanto attiene all'organizzazione delle funzioni e all'individuazione, quindi, del livello ottimale di esercizio. Inoltre il comma in esame contiene anche una puntuale disciplina degli effetti della disposta soppressione dei consorzi, illegittima, perche' non lascia alcuno spazio al legislatore regionale, come ha rilevato la Corte costituzionale nella sentenza n. 237 del 2009 in relazione ad analoga norma. E' infatti affermato: «Quest'ultimo, pero', contiene una disciplina di dettaglio ed auto-applicativa che non puo' essere ricondotta all'alveo dei principi fondamentali della materia del coordinamento della finanza pubblica, in quanto non lascia alle Regioni alcuno spazio di autonoma scelta e dispone, in via principale, direttamente la conseguenza, anche molto incisiva, della soppressione delle comunita' che si trovino nelle specifiche e puntuali condizioni ivi previste»: tale principio vale anche per la norma impugnata che contiene, come rilevato, un'analitica e dettagliata disciplina degli effetti della prevista soppressione dei consorzi. Ne' possono invocarsi, a sostegno della legittimita' dell'intervento legislativo statale in esame, la competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, comma 3 e dell'art. 119 Cost. in funzione dell'obiettivo di riduzione della spesa pubblica corrente. A tal proposito, la Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 237/09 ha chiarito che, se pure il legislatore statale puo' intervenire, anche in materie riservate in via esclusiva alle Regioni, in funzione dell'obiettivo di riduzione della spesa corrente, l'intervento non deve incidere in modo particolare sull'autonomia delle Regioni, e deve limitarsi a fornire al legislatore regionale alcuni «indicatori» che si presentano non vincolanti, ne' dettagliati, ne' auto-applicativi, i quali devono essere tesi soltanto a dare un orientamento di massima alle modalita' con le quali deve essere attuato l'eventuale riordino degli enti sub-regionali. Detto principio e' stato ulteriormente confermato con la recente sentenza della Corte costituzionale n. 27/2010, gia' citata. Al contrario, la disposizione in esame, imponendo un obbligo preciso e puntuale di soppressione dei consorzi, interviene con una disciplina di estremo dettaglio, vincolante e per cio' stesso lesiva delle prerogative regionali, costituzionalmente garantite, in ordine alla potesta' di disciplinare l'esercizio in forma associata delle funzioni degli enti locali. Preme infine evidenziare che l'illegittimita' costituzionale della norma in esame permane anche alla luce dell'art. 1, comma 2, d.l. n. 2/2010 ai sensi del quale «Le disposizioni di cui ai commi 184, 185 e 186 dell'art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, si applicano a decorrere dal 2011 ai singoli enti per i quali ha luogo il rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo». La norma infatti ha solo l'effetto di posticipare la produzione degli effetti della norma in esame, che tuttavia risulta confermata dal punto di vista materiale e contenutistico. Per gli esposti motivi l'art. 2, comma 186, lett. e) e' incostituzionale per violazione degli artt. 114, 117, commi 2, 3, 4 e 6 cost. e 119 della Costituzione. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 191, legge n. 191/2009 nella parte in cui, dispone che la delibera del consiglio comunale di approvazione del protocollo d'intesa corredato dello schema dell'accordo di programma relativo agli immobili militari da trasferire costituisce variante allo strumento urbanistico generale che prescinde dalla verifica di conformita' con la pianificazione sovraordinata; per violazione dell'art. 117, comma terzo Cost. La norma in esame stabilisce che «Ai sensi di quanto previsto dall'art. 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del protocollo d'intesa corredato dello schema dell'accordo di programma, di cui al comma 190, costituisce autorizzazione alle varianti allo strumento urbanistico generale, per le quali non occorre la verifica di conformita' agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni, salva l'ipotesi in cui la variante comporti variazioni volumetriche superiori al 30 per cento dei volumi esistenti. Per gli immobili oggetto degli accordi di programma di valorizzazione che sono assoggettati alla disciplina prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e' acquisito il parere della competente soprintendenza del Ministero per i beni e le attivita' culturali, che si esprime entro trenta giorni». Detta norma richiama espressamente e riproduce la disposizione contenuta all'art. 58, comma 2, d.l. n. 112/2008, gia' impugnata dalla Regione Toscana, la quale prevedeva in senso del tutto analogo che «l'inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformita' agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni». In quella occasione, la Regione Toscana aveva censurato il suddetto art. 58, comma 2, in quanto lesivo delle competenze regionali in materia di governo del territorio, nella misura in cui consentiva che la variante, automaticamente apportata con l'approvazione del piano delle alienazioni da parte del consiglio comunale non necessitava di verifiche di conformita' rispetto agli atti della pianificazione provinciale e regionale, in tal modo incidendo sulla legislazione regionale in materia di governo del territorio, la quale nel disciplinare il procedimento di adozione ed approvazione degli atti di pianificazione territoriale, ha stabilito la necessaria conformita' urbanistica degli atti - piani e varianti - comunali, rispetto alle previsioni degli atti regionali indicati; cio' in violazione dell'art. 117 Cost. La Corte costituzionale ha deciso in senso favorevole alle Regioni la suddetta questione di legittimita' costituzionale, con sentenza n. 340/2009, affermando che «Ancorche' nella ratio dell'art. 58 siano ravvisabili anche profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in quanto finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare degli enti, non c'e' dubbio che, con riferimento al comma 2 qui censurato, assuma carattere prevalente la materia del governo del territorio, anch'essa rientrante nella competenza ripartita tra lo Stato e le Regioni, avuto riguardo all'effetto di variante allo strumento urbanistico generale, attribuito alla delibera che approva il piano di alienazione e valorizzazione. Ai sensi dell'art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., in tali materie lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio. La relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi (ex plurimis: sentenze nn. 237 e 200 del 2009). Orbene la norma in esame, stabilendo l'effetto di variante sopra indicato ed escludendo che la variante stessa debba essere sottoposta a verifiche di conformita', con l'eccezione dei casi previsti nell'ultima parte della disposizione (la quale pure contempla percentuali volumetriche e termini specifici), introduce una disciplina che non e' finalizzata a prescrivere criteri ed obiettivi, ma si risolve in una normativa dettagliata che non lascia spazi d'intervento al legislatore regionale, ponendosi cosi' in contrasto con menzionato parametro costituzionale (sentenza n. 401 del 2007). Alla stregua di queste considerazioni deve essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 58, comma 2, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, per contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost., restando assorbito ogni altro profilo». Le su richiamate considerazioni possono essere evidentemente richiamate con riferimento all'analoga norma di cui all'art. 2, comma 191 in esame. Anche il comma 191, infatti, prevede una specifica procedura per la vendita e la valorizzazione degli immobili militari, anche attraverso la sottoscrizione di appositi accordi di programma con i Comuni interessati. Nel caso si proceda tramite detti accordi di programma e' poi previsto che - ai sensi e per gli affetti dell'art. 58, comma 2, d.l. n. 112/08, si ripete gia' dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza n. 340/09 - l'approvazione da parte del Comune interessato del protocollo di intesa e dell'allegato accordo di programma costituisce variante che prescinde dalla valutazione di conformita' con la pianificazione sovraordinata di livello provinciale e regionale. Tale verifica di conformita' e' invece imposta dalla l.r. 1/2005, recante «Norme per il governo del territorio». In tal modo quindi viene incisa la legislazione regionale in materia di governo del territorio, la quale disciplina il procedimento di adozione ed approvazione degli atti di pianificazione territoriale e che stabilisce la necessaria conformita' urbanistica degli atti pianificazione comunali rispetto alle previsioni degli atti di programmazione e pianificazione provinciali e regionali, con conseguente violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 240, legge n. 191/2009 nella parte in cui dispone che l'individuazione delle situazioni a piu' elevato rischio idrogeologico da risanare attraverso le risorse di cui alla delibera del CIPE 2 novembre 2009, sono individuate dal Ministero dell'ambiente sentite le Autorita' di bacino ed il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio; per violazione dell'art. 117, terzo comma nonche' dell'art. 118, primo comma, Cost. e per contrasto con il principio di leale collaborazione ed il principio di sussidiarieta'. La norma in esame prevede che «Le risorse assegnate per interventi di risanamento ambientale con delibera del CIPE del 6 novembre 2009, pari a 1.000 milioni di euro, a valere sulle disponibilita' del Fondo infrastrutture e del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, di cui all'art. 18, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni, sono destinate ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a piu' elevato rischio idrogeologico individuate dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti le autorita' di bacino di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, nonche' all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, e il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri. Le risorse di cui al presente comma possono essere utilizzate anche tramite accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che definisce, altresi', la quota di cofinanziamento regionale a valere sull'assegnazione di risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'art. 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, che ciascun programma attuativo regionale destina a interventi di risanamento ambientale». La Regione ricorrente contesta la prima parte della disposizione in esame, perche' l'individuazione delle situazione a piu' elevato rischio idrogeologico da rimuovere e' effettuata dal Ministero dell'ambiente sentiti le Autorita' di bacino e la Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri. E' pertanto evidente che la Regione non e' chiamata a svolgere alcun ruolo in merito alla individuazione delle situazioni di criticita' da un punto di vista idrogeologico presenti nel proprio territorio ed alla conseguente ammissione ai contributi per il risanamento. Cio' appare lesivo delle indubbie competenze delle Regioni in materia di governo del territorio, ai sensi dell'art. 117 comma 3, Cost. che sono senz'altro coinvolte dalla previsione in esame. A riguardo si richiama la recente sentenza n. 232/2009, con cui la Corte costituzionale ha chiarito che le attivita' relative alla difesa del suolo, anche con specifico riguardo alla salvaguardia per i rischi derivanti dal dissesto idrogeologico, rientrano nell'ambito della materia della tutela dell'ambiente di competenza esclusiva statale. Pur tuttavia la Corte costituzionale con la stessa sentenza ha precisato che «In relazione alla possibile influenza dell'attivita' in questione su attribuzioni regionali in materie di competenza concorrente o residuale, e' bensi' necessario un coinvolgimento delle Regioni», quanto meno nella forma dell'espressione del parere da parte delle Regioni di volta in volta interessate ovvero attraverso il parere della Conferenza unificata. In particolare la Corte ha chiarito che le competenze in materia di difesa del suolo da parte dello Stato «sono sicuramente tali da produrre effetti indiretti sulla materia del governo del territorio e dunque il loro esercizio richiede un cointeressamento delle Regioni che deve essere realizzato nella forma del parere della Conferenza unificata». Ed ancora, sempre con la su citata sentenza la Corte ha ribadito «che anche se gli interventi in tema di difesa del suolo appartengono a pieno titolo alla materia della tutela dell'ambiente, le generali funzioni di programmazione e finanziamento che l'art. 58, comma 3, lettera a), assegna al Ministro dell'ambiente, sono tali da produrre effetti significativi sull'esercizio delle attribuzioni regionali in materia di governo del territorio. Nella fattispecie, pertanto, il principio di leale collaborazione impone un coinvolgimento delle Regioni e la norma va dichiarata illegittima nella parte in cui non stabilisce che la programmazione ed il finanziamento degli interventi in difesa del suolo avvengano sentita la Conferenza unificata, analogamente a quanto disposto in precedenza - per le stesse funzioni - dall'art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 112 del 1998». Infine, con specifico riferimento al risanamento delle situazioni di dissesto idrogeologico, la sentenza in esame ha ulteriormente precisato che «Quanto al principio di leale collaborazione, la sua salvaguardia e' assicurata dalla necessita' del parere della Conferenza unificata per l'esercizio delle funzioni di programmazione e finanziamento, quale risulta a seguito della declaratoria di parziale illegittimita' della lettera a) dello stesso art. 58, comma 3. Infatti, il parere sara' richiesto anche in caso di programmazione e finanziamento riguardanti la prevenzione del rischio idrogeologico». E' evidente pertanto che, alla luce di tutto quanto sopra, la norma in esame e' illegittima in quanto non prevede alcun coinvolgimento delle Regioni - competenti in materia di governo del territorio, materia, come visto, senz'altro incisa dalle previsioni in esame - coinvolgimento invece necessario al fine della corretta indicazione delle priorita' degli interventi proprio in virtu' delle specifiche competenze regionali in merito alle caratteristiche del proprio territorio e allo stretto rapporto con gli enti locali. Anche qualora si adducessero esigenze di sussidiarieta' per la rilevanza degli interventi in parola ai fini della tutela della sicurezza e dell'incolumita' dei cittadini, resterebbe pur sempre necessario garantire un meccanismo partecipativo delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze in materia di governo del territorio. La norma invece limita la partecipazione esclusivamente al Dipartimento della protezione civile nazionale e alle Autorita' di bacino di cui all'art. 63 del decreto legislativo n. 152 del 2006: queste ultime sono quelle dei bacini nazionali che, pero', non sono state istituite e quindi i piani straordinari introdotti dalla norma qui contestata saranno adottati dal Ministero dell'ambiente sentita la Protezione civile nazionale. Il dubbio di illegittimita' costituzionale della norma non appare superato ne' superabile neppure alla luce della previsione pur contenuta nell'ultimo periodo (che non si contesta) dello stesso comma, secondo cui «Le risorse di cui al presente comma possono essere utilizzate anche tramite accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che definisce, altresi', la quota di cofinanziamento regionale a valere sull'assegnazione di risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'art. 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, che ciascun programma attuativo regionale destina a interventi di risanamento ambientale». In altri termini, la disposizione da ultimo citata delinea un ruolo della Regione in materia che puo' a tal fine sottoscrivere un apposito accordo di programma, esclusivamente a fronte dell'impegno finanziario della Regione stessa nell'intervento di risanamento. Detta disposizione a ben vedere conferma l'illegittimita' costituzionale della prima parte contestata, in quanto consente alle Regioni di partecipare alla individuazione delle situazioni di dissesto idrogeologico da risanare, solo nel caso, in cui l'Amministrazione regionale proceda al cofinanziamento dell'intervento. Cio' ad esempio significa per le Regioni non avere alcun ruolo in ordine a quelle situazioni per le quali non si provveda tramite accordo di programma, ma per le quali la Regione abbia gia' provveduto a finanziare dei progetti di risanamento. Il comma 240 dell'art. 2 e' pertanto illegittimo per contrasto con gli artt. 117, comma 3 e 118, comma 1, della Costituzione, nonche' per violazione del principio di leale collaborazione e del principio di sussidiarieta'.
P. Q. M. Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni qui impugnate dell'art. 2, commi 186, lett. a) ed e), 191 e 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, per i motivi indicati nel presente ricorso. Si deposita la delibera della Giunta regionale Toscana di autorizzazione a stare in giudizio n. 197/2010. Firenze - Roma, addi' 24 febbraio 2010 Avv.: Lucia Bora