Ricorso n. 31 del 4 marzo 2015 (Regione Veneto)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 4 marzo 2015 (della Regione Veneto).
(GU n. 14 del 2015-04-08)
Ricorso proposto dalla Regione Veneto (codice fiscale n.
…, Partita I.V.A. n. …), in persona del
Presidente della Giunta Regionale dott. Luca Zaia (codice fiscale
…), autorizzato con delibera della Giunta regionale n.
152 del 10 febbraio 2015 (all. 1), rappresentato e difeso, per
mandato a margine del presente atto, tanto unitamente quanto
disgiuntamente, dagli avv.ti Ezio Zanon (codice fiscale
…) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof. Luca
Antonini (codice fiscale …) del Foro di Milano e Luigi
Manzi (codice fiscale …) del Foro di Roma, con
domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via
Confalonieri, n. 5 (per eventuali comunicazioni: fax 06/3211370,
posta elettronica certificata …
Contro
Il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti
disposizioni della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 recante:
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)», pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 300 del 29 dicembre 2014 - Suppl. Ordinario n. 99:
articolo 1, comma 359;
articolo 1, comma 398, lett. a) e b);
articolo 1, comma 398, lett. c), comma 414 e comma 556;
articolo 1, commi 431, 432, 433 e 434;
articolo 1, comma 609;
articolo 1, commi 611 e 612;
articolo 1, comma 629, lettera b), comma 632, comma 633;
Con istanza di sospensione dell'art. 1, commi 398, lett. a), b) e
c), 414 e 556, nonche' dell'art. 1 comma 629, lettera b), comma 632,
comma 633, ai sensi dell'art. 35 della legge n. 87/53, come
sostituito dall'art. 9 della legge n. 131/2003, che tanto consente in
presenza di un rischio di pregiudizio grave e irreparabile
all'interesse pubblico o per i diritti dei cittadini.
Motivi
1) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 359, della
legge 23 dicembre 2014, n. 190, per violazione degli art 3, 97, 117,
III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio
di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.
L'art. 1, comma 359, riduce di 8,9 milioni di euro per l'anno
2015 e di 10 milioni di euro a decorrere dal 2016 l'autorizzazione di
spesa di cui all'articolo 13, comma 12, della legge n. 67 del 1988,
finalizzata al finanziamento, per capitale e interessi, dei mutui che
sono autorizzati a contrarre le ferrovie in regime di concessione e
in gestione commissariale governativa (oggetto di delega, in quanto
servizi ferroviari di interesse regionale, alle Regioni, per quanto
concerne i compiti di programmazione e di amministrazione, in base
all'art.8, comma 1, del decreto legislativo n. 422/1997).
In questi termini la disposizione riduce il contributo statale
per gli ammortamenti dei mutui per investimenti in infrastrutture
ferroviarie, risultando applicabile anche a investimenti gia'
effettuati dalla Regione.
Infatti, ai sensi dell'art. 2, comma 3, della legge 22 dicembre
1986, n. 910, era stata prevista la concessione di contributi a
carico dello Stato in misura pari agli oneri per capitali e interessi
derivanti dall'ammortamento dei mutui garantiti dallo Stato che le
ferrovie in regime di concessione ed in gestione commissariale
governativa potevano contrarre nel limite complessivo di L.
5.000.000.000.000 per la realizzazione di investimenti ferroviari.
Con decreto del Ministero dei Trasporti e della Navigazione n. 1334
del 9 luglio 1987 erano state fissate le modalita' per l'attivazione
dei mutui in funzione di un piano di riparto preventivo relativo alle
entita' degli interventi previsti per le varie ferrovie. Ai sensi
dell'art. 1, comma 3 del decreto legge 4 ottobre 1996, n. 517 recante
«Interventi nel settore dei trasporti», convertito con modificazioni
nella legge 4 dicembre 1996, n. 611, al fine di consentire il
completamento dei programmi di potenziamento ed ammodernamento delle
ferrovie in concessione ed in gestione commissariale governativa di
cui al predetto articolo 2, comma 3, della predetta legge n. 910 del
1986, era stata autorizzata l'accensione di ulteriori mutui. Ai sensi
degli articoli 8 e 15 del decreto legislativo n. 422/1997 era stata
quindi prevista la facolta' di stipulare accordi di programma tra le
Regioni ed i Ministeri competenti per la delega di funzioni in
materia di servizi ferroviari di interesse locale. In particolare
l'art. 15, comma 2-ter del decreto legislativo n. 422/1997 aveva
disposto che le risorse necessarie all'attuazione degli accordi di
programma erano state depositate presso conti di tesoreria
infruttiferi intestati al Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti con vincolo di destinazione alla Regione. Ai sensi
dell'articolo 54 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 erano stati
autorizzati ulteriori limiti di impegno per la prosecuzione degli
interventi previsti dalla legge 4 dicembre 1996, n. 611. Con
deliberazioni della Giunta regionale 22 novembre 2002, n. 3334 e 13
dicembre 2002, n. 3613 era stato approvato lo schema di Accordo di
Programma Stato - Regione Veneto per disciplinare realizzazione degli
interventi di ammodernamento e di potenziamento della linea
ferroviaria Adria-Mestre. Tale Accordo di Programma ex art. 15 del
decreto legislativo n. 422/1997 e' stato poi sottoscritto in data 17
dicembre 2002 tra il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e
la Regione del Veneto. Il valore complessivo degli interventi inclusi
nel richiamato Accordo di Programma e' ammontato ad € 49.162.101,68,
da quanto risulta dall'ultima rimodulazione apportata al relativo
piano con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti
del 6 ottobre 2005, n. 4090. Per finanziare una parte degli
investimenti la regione Veneto e' ricorsa al mercato finanziario,
contraendo in data 24 dicembre 2003 tre contratti di mutuo per
l'ammontare complessivo di € 34.033.213,30, con atti ai rogiti
dell'Ufficiale Rogante della Regione Veneto Giunta Regionale Rep. n.
5504, Rep. n. 5503 e Rep. n. 5502 (registrati a Venezia il 30
dicembre 2003, rispettivamente ai numeri 4236, 4238 e 4237 Atti
Pubblici) a fronte dei seguenti tre limiti di impegno pluriennali.
Piu' precisamente:
il contratto rep. n. 5504 e' stato sottoscritto per l'importo di
€ 11.343.190,09 a fronte del primo limite d'impegno di €
1.285.276,54;
il contratto rep. n. 5503 e' stato sottoscritto per l'importo di
€ 14.529.952,71 a fronte del secondo limite di impegno di €
1.224.002,85;
il contratto rep. n. 5502 e' stato sottoscritto per l'importo
di € 8.160.070,50 a fronte del terzo limite di impegno di €
687.404,13.
Sulla scorta del finanziamento ottenuto, in data 8 aprile 2004 la
Regione del Veneto ha potuto sottoscrivere con la Sistemi
Territoriali S.p.a., soggetto gestore della linea Adria-Mestre,
nonche' attuatore degli interventi, giusta D.G.R. n. 899 del 6 aprile
2004, una convenzione per disciplinare le modalita' di realizzazione
degli interventi previsti dal citato Accordo di Programma. Tale
convenzione e' stata successivamente modificata ed integrata con atti
del 16 novembre 2004 del 13 luglio 2005 e del 17 novembre 2009. Gli
interventi programmati sono stati completamente realizzati dal
soggetto attuatore e rimangono a carico della regione Veneto.
Attualmente sono ancora in essere i contratti di mutui rep. n. 5503
del 24 dicembre 2003 e rep. 5502 del 24 dicembre 2003, entrambi
scadenti il 31 dicembre 2016, per i quali devono essere ancora
corrisposte le annualita' 2015 e 2016.
La riduzione dell'autorizzazione di spesa operata dall'art. 1,
comma 359, incide quindi retroattivamente su impegni gia' assunti
dalla regione Veneto e determina una irragionevole alterazione della
programmazione gia' compiuta dalla Regione. Rende in tal modo carenti
di provvista le obbligazioni da questa assunte e, violando il
legittimo affidamento, incide sull'equilibrio finanziario della
Regione, senza peraltro che sia stata prevista alcuna partecipazione
della Conferenza Stato-Regioni, con lesione, anche sotto questo
particolare profilo, del principio di leale collaborazione.
E' utile ricordare che questa ecc.ma Corte nella sentenza n. 326
del 2010, nel tutelare i principi di certezza delle entrate e di
affidamento delle Regioni ha dichiarato la parziale illegittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 187, della legge 23 dicembre 2009,
n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2010) perche' la norma
«palesa una irragionevolezza che si riverbera sulla autonomia
finanziaria delle Regioni e degli enti locali come ridisegnata
dall'art. 119 Cost. ... lasciando privo di copertura finanziaria e,
comunque, di una regolamentazione sia pure transitoria, un settore di
rilievo, qual e' quello degli investimenti strutturali a medio e
lungo termine effettuati mediante la stipulazione di mutui
originariamente "garantiti" dal finanziamento statale».
Non rileva, invece, nel caso in esame, quanto precisato da questa
ecc.ma Corte nella sentenza n. 207 del 2011 dal momento che in quella
situazione «oggetto dell'intervento sono (erano) risorse del bilancio
dello Stato non ancora impegnate», motivo per cui «non e' sostenibile
che esse abbiano dato vita a rapporti gia' consolidati, mentre
proprio la mancanza di concreti atti di impegno, in presenza di
risorse assegnate ma non utilizzate in un arco di tempo circoscritto,
non breve, giustifica che l'intervento sia stato effettuato proprio
su quelle risorse».
Anzi, al contrario, dato che nel caso di specie si tratta proprio
di somme gia' impegnate e programmate dalla Regione, anche
quest'ultima pronuncia conferma la violazione, da parte dell'art. 1
comma 359 qui impugnato, degli art. 3 e 97 per lesione del principio
di affidamento della Regione e del principio di proporzionalita', con
una lesione che ridonda sulle competenze regionali, peraltro anche
direttamente violate, di cui agli artt. 117, III e IV comma, 118, in
tema di servizi ferroviari di interesse regionale e dell'art. 119
Cost in relazione all'autonomia finanziaria, nonche' del principio di
leale collaborazione di cui all'art.120 Cost.
2) Illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 398, lett. a)
e b) della legge 23 dicembre 2014, n. 190 per violazione degli
articoli 3,117, II, III e IV comma, 118 e 119 Cost. e del principio
di leale collaborazione di cui all'art.120 Cost.
L'art. 1, comma 398, lettere a) e b) della legge 23 dicembre
2014, n. 190, ha disposto la modifica dell'art. 46, comma 6, del
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni,
dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, che stabilisce le modalita' e il
periodo di riferimento della riduzione della spesa per beni e servizi
delle Regioni disposta dall'art. 8, comma 4, dello stesso
decreto-legge n. 66/2014.
In particolare la lettera a), oltre a espungere il riferimento
alle Regioni speciali e alla Province autonome di Trento e Bolzano,
modifica in questi termini l'art.46, comma 6, del decreto legge
66/2014:
"la parola: «2017» e' sostituita dalla seguente: «2018»; le
parole: «tenendo anche conto del rispetto dei tempi di pagamento
stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonche' dell'incidenza degli
acquisti centralizzati,» sono soppresse".
Con la lettera b) si dispone che, in merito allo stesso comma 6
dell'art. 46 del decreto legge 66/2014:
"al secondo periodo, la parola: «eventualmente» e' soppressa"
rendendo quindi certo che, a seguito della distribuzione statale del
taglio, sono rideterminati i livelli di finanziamento regionali e le
modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato.
In questi termini, quindi, oltre al contributo alla finanza
pubblica pari a 500 milioni di euro per l'anno 2014, viene imposto
alle Regioni a statuto ordinario un contributo, a valere sulla spesa
per beni e servizi, di 750 milioni di euro per ciascuno degli anni
dal 2015 al 2018.
In sintesi: l'art. 1, comma 398, lettera a), allunga quindi di un
anno, estendo anche al 2018, il periodo originariamente stabilito
dalle disposizioni dell'articolo 46 del decreto legge n. 66 del 2014
per il taglio alla spesa per beni e servizi previsto dall'art. 8 di
quest'ultimo decreto legge; la lett. b) dispone la conseguente
rideterminazione del finanziamento degli ambiti individuati e le
modalita' di acquisizione delle risorse da parte dello Stato.
Le violazioni costituzionali sono evidenti sotto diversi profili.
i) Va in primo luogo precisato che tale inserimento di
un'annualita' aggiuntiva e' disposto all'interno di un contesto
normativo gia' caratterizzato dall'evidente lesione del principio di
leale collaborazione.
L'articolo 42, comma 1, del decreto legge n. 133/2014, convertito
con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, aveva infatti
anticipato in modo del tutto arbitrario e irragionevole (e questa
Regione ha provveduto a impugnare tale disposizione con la DGR n.
2470 del 23 dicembre 2014), senza peraltro che esistesse alcun reale
presupposto di necessita' e urgenza, dal 31 ottobre al 31 settembre
2014, il termine originariamente previsto dall'art. 46, comma 6, del
decreto legge n. 66 del 2014, per l'intesa sul riparto dei tagli in
Conferenza Stato-Regioni. Tale disposizione, quindi, entrata in
vigore il 13 settembre 2014, ha improvvisamente anticipato di un mese
- rendendola quindi abnormemente breve: 17 giorni e quindi
impossibile concretamente da rispettare - la scadenza originariamente
prevista per una delicatissima e rilevante intesa. Questa doveva
evitare, attraverso l'autocoordinamento regionale, l'applicazione del
criterio di riparto di riduzione della spesa pubblica stabilito dal
comma 6 dell'art.46 del decreto legge 66/2014, che individua come
criteri il Pil e la popolazione residente, particolarmente
penalizzanti per la regione Veneto.
Ma non solo.
L'originaria previsione del comma 6 dell'art. 46 del decreto
legge 66/2014 (peraltro anch'essa gia' impugnata da questa Regione
deducendo molteplici violazioni costituzionali con la DGR n. 1322 del
28 luglio 2014) e' diventata ora il contenitore di una nuova manovra
(realizzata includendo un'altra annualita' di taglio al periodo
originariamente previsto), rispetto alla quale e' pero' preclusa
completamente la possibilita' dell'intesa, perche' il termine
previsto dal comma 6 dell'art. 46 (peraltro appunto arbitrariamente
anticipato) e' appunto da tempo decorso (31 settembre 2014).
In altre parole, l'intervento legislativo qui impugnato inserisce
nuove misure di taglio in un testo normativo che reca ancora la
previsione di un'intesa, i termini per la cui conclusione sono
tuttavia da tempo spirati: in questo modo il legislatore usa il
riferimento all'intesa (ormai impossibile) per imporre nuovi tagli
solo prima facie oggetto di leale cooperazione.
Risulta quindi violato, sotto questo profilo, il principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.
ii) Il secondo aspetto che deve essere considerato e' poi il
carattere elusivo dell'intervento rispetto ai principi enucleati
dalla giurisprudenza di questa ecc.ma Corte in relazione alla
funzione di coordinamento della finanza pubblica.
Infatti, nella sentenza n. 193 del 2012 (e nella successiva
sentenza n. 79 del 2014) e' affermata con cristallina chiarezza
l'incostituzionalita', per violazione dell'articolo 119 Cost., di
«misure restrittive in riferimento alle Regioni ordinarie, alle
Province ed ai Comuni senza indicare un termine finale di
operativita' delle misure stesse», in quanto possono essere ritenute
principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza
pubblica, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., le norme che
"si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza
pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento
complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non
prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il
perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenza n. 148 del 2012;
conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010)».
La sentenza aveva quindi fissato in un triennio il limite temporale
massimo delle manovre di contenimento della spesa pubblica a carico
delle Regioni. Ora e' evidente che risulta del tutto elusiva di
questa giurisprudenza la tecnica normativa di fissare un termine
triennale ai tagli (1) , ma poi estenderlo - peraltro, come detto, a
intesa «chiusa»: si rimanda al riguardo a quanto argomentato sub a) -
con successivi interventi normativi, ad annualita' ulteriori: tale
tecnica, infatti, rende tamquan non esset quel limite temporale che
costituisce la condizione di legittimita' costituzionale
dell'intervento statale di coordinamento della finanza pubblica.
Il carattere potenzialmente permanente del taglio (e in ogni caso
l'arbitraria estensione di un'annualita') che deriva da tale
disposizione risulta quindi violare sia la previsione dell'art. 117,
III comma, sul coordinamento della finanza pubblica, sia menomare
l'autonomia di spesa della Regione violando l'art.119 della
Costituzione.
iii) Il terzo aspetto che deve essere considerato e' poi il
carattere meramente lineare del taglio, imposto, come detto,
aggiungendo un'ulteriore annualita' a quanto originariamente previsto
dagli artt. 8 e 46 del decreto legge n. 66 del 2014.
Come gia' questa difesa ha evidenziato nell'impugnativa relativa
al decreto legge n. 66 del 2014, nessuna distinzione qualitativa
viene, infatti, effettuata in merito all'obbligo di contenimento, in
ogni settore, della spesa pubblica regionale per acquisti di beni e
servizi. Questa viene, infatti, incisa da una misura dal carattere
assolutamente generico, idoneo a ricomprendere non solo la cosiddetta
«spesa cattiva» (quella spesa cioe' la cui riduzione, nell'ambito
delle manovre e' senz'altro opportuna), ma anche la cosiddetta «spesa
buona»; ad esempio, la misura di contenimento ricomprende sia la
spesa corrente che quella in conto capitale (che dal 2010 al 2013 in
Italia, per l'effetto di manovre di taglio lineare analoghe a quella
in oggetto, si e' ridotta di circa 20 miliardi (allegato n. 2) , che
erano gestiti, per oltre il 70% a livello sub statale: si' tratta di
un dato sintomatico, che evidenzia il perverso effetto prodotto dalle
manovre che hanno scacciato la «spesa buona» e sono risultate poco
efficaci sulla «spesa cattiva»).
Inoltre, il taglio che viene realizzato e' potenzialmente idoneo
a interferire in ambiti inerenti a fondamentali diritti civili e
soprattutto sociali (date le competenze, ad esempio in materia di
assistenza sociale, costituzionalmente assegnate alle Regioni), dove
lo Stato dovrebbe, invece, esplicare la propria fondamentale funzione
di coordinamento attraverso la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni, proprio al fine di evitare la messa a repentaglio
quel livello di erogazione dei servizi che deve essere uniformemente
garantito su tutto il territorio nazionale.
Sulla necessita' che il coordinamento della finanza pubblica si
strutturi attraverso la predeterminazione normativa da parte dello
Stato dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali codesta ecc.ma Corte e' peraltro piu' volte
intervenuta, gia' dalla sentenza n. 320 del 2004 e fino alla recente
sentenza n. 273 del 2013 dove si evidenzia la gravita' della
inattuazione, da parte dello Stato, della individuazione dei livelli
essenziali delle prestazioni relative all'assistenza, all'istruzione
e al trasporto pubblico locale che «costituiscono pertanto condizione
necessaria ai fini della compiuta attuazione del sistema di
finanziamento delle funzioni degli enti territoriali previsto
dall'art. 119 Cost.».
Mancando la determinazione dei livelli essenziali nelle materie
(come appunto l'assistenza sociale) interessate dal nuovo taglio,
risulta quindi evidente che lo Stato non ha effettuato alcuna
verifica sulla sostenibilita' del taglio stesso rispetto alla
erogazione dei servizi, anche se connessi a fondamentali diritti
civili e sociali. Ne deriva quindi che la misura di contenimento
viene scaricata sulle Regioni senza l'esercizio di alcuna reale ed
effettiva funzione di coordinamento della finanza pubblica da parte
dello Stato.
Inoltre, da un altro punto di vista, il mancato corretto
esercizio della funzione statale di coordinamento e' confermato dalla
circostanza che la previsione di ulteriore contenimento della spesa
regionale non contiene alcun riferimento a livelli standard di spesa
efficiente, applicandosi invece in modo generalizzato senza alcuna
considerazione dei livelli di spesa storica sostenuti dalle singole
Regioni e senza alcuna valutazione sulla relativa appropriatezza
(eppure i bilanci delle Regioni riclassificati in modo omogeneo -
permettendo quindi l'analisi delle singole voci di spesa - sono ormai
disponibili (2) dal 2009 in base alla previsione di cui all'art.
19-bis del decreto legge n. 135 del 2009).
In questo modo il nuovo taglio lineare e' potenzialmente idoneo,
dal momento che nessuna verifica di sostenibilita' e' stata
effettuata a livello centrale, a compromettere l'erogazione dei
servizi, soprattutto in quelle realta' regionali che hanno adottato
da tempo misure di contenimento della spesa riducendola a livelli
difficilmente ulteriormente comprimibili senza un vulnus al sistema
dei servizi sociali.
In questi termini le disposizioni impugnate travalicano la
funzione del «coordinamento» della finanza pubblica e si
concretizzano in misure di indiscriminato «contenimento», cosi'
risultando pero' prive degli indispensabili elementi di razionalita',
di efficacia e di sostenibilita' che dovrebbero quantomeno informare
la funzione di coordinamento della finanza pubblica. E' quindi
singolare dover constatare che la mancata individuazione dei livelli
essenziali delle prestazioni (la cui determinazione era stata
prevista in Costituzione per garantirne una tutela a livello
centrale), e' quindi paradossalmente divenuta un'occasione per
introdurre misure di contenimento finanziario in grado di
compromettere quegli stessi livelli.
Da questo punto di vista risultano violati: il principio di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. con una diretta ricaduta
sull'autonomia regionale che risulta limitata nella propria capacita'
organizzativa e finanziaria; l'art. 117, II e III comma, Cost. in
quanto sono indebitamente travalicate la funzione di coordinamento
della finanza pubblica e le regole che presiedono alla garanzia dei
livelli essenziali; gli articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 Cost.
in quanto e' indebitamente incisa l'autonomia di spesa della Regione
e conseguentemente anche la funzione legislativa della stessa che si
deve svolgere nel rispetto degli equilibri di un quadro finanziario
che viene illegittimamente alterato.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 398, lett. c),
comma 414 e comma 556 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, per
violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e
119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui
all'art.120 Cost.
La lettera c) dello stesso comma 398 dell'art. 1 della legge 23
dicembre 2014, n. 190, ha poi ulteriormente modificato il comma 6
dell'art.46 del decreto legge 66/2014, aggiungendo in fine i seguenti
periodi:
«Per gli anni 2015-2018 il contributo delle regioni a statuto
ordinario, di cui al primo periodo, e' incrementato di 3.452 milioni
di euro annui in ambiti di spesa e per importi complessivamente
proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, in sede
di autocoordinamento dalle regioni da recepire con intesa sancita
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio
2015. A seguito della predetta intesa sono rideterminati i livelli di
finanziamento degli ambiti individuati e le modalita' di acquisizione
delle risorse da parte dello Stato. In assenza di tale intesa entro
il predetto termine del 31 gennaio 2015, si applica quanto previsto
al secondo periodo, considerando anche le risorse destinate al
finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale».
In questi termini, per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018 e'
incrementato, a carico delle Regioni a statuto ordinario, di 3.452
milioni di euro annui il taglio, sulla spesa per beni e servizi, di
750 milioni di euro gia' stabilito dalle precedenti disposizioni,
disponendo che il relativo riparto tra le Regioni avvenga per importi
complessivamente proposti, nel rispetto pero' dei livelli essenziali
di assistenza, da una intesa da raggiungere entro il 31 gennaio 2015
in sede di Conferenza Stato Regioni.
Qualora invece tale intesa non venga raggiunta - e al momento non
e' stata raggiunta - la norma dispone che tale ulteriore contributo
e' ripartito dallo Stato tra le Regioni (e' tale l'effetto del
rimando, operato dalla norma, al secondo periodo del comma 6
dell'art. 46 del decreto legge n. 66/2014), tenendo anche conto del
Pil e della popolazione residente. In questo caso, la disposizione
prevede, da un lato, che siano considerate anche le risorse destinate
al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale e,
dall'altro, che rimanga pero' in ogni caso fermo il vincolo, a carico
delle Regioni, del rispetto dei Lea, dal momento che la disposizione
non ne prevede alcuna rideterminazione. Il comma 414 prevede,
infatti, che comunque le Regioni assicurino il finanziamento dei
livelli essenziali di assistenza, sebbene eventualmente rideterminato
ai sensi del comma 398, e il comma 556 prevede l'eventuale
rimodulazione del livello del finanziamento del Servizio sanitario
nazionale a cui concorre lo Stato.
Tali disposizioni realizzano anch'esse un sistema di ulteriori
tagli sulla spesa per acquisti di beni e servizi della Regione che
risulta costituzionalmente illegittimo sotto diversi profili,
analiticamente esposti qui di seguito.
Quanto al primo periodo della lettera c) del comma 398, e'
preliminare ribadire il carattere meramente lineare del taglio,
rispetto al quale viene meno il criterio, per effetto
dell'abrogazione disposta dalla lett. a) dello stesso comma,
originariamente previsto nel comma 6 dell'art.46 del decreto legge n.
66/2014 che comportava, in sede di intesa con le Regioni, la
considerazione «del rispetto dei tempi di pagamento stabiliti dalla
direttiva 2011/7/UE, nonche' dell'incidenza degli acquisti
centralizzati». Valgono quindi pienamente anche in relazione a questa
disposizione le argomentazioni esposte, in relazione al carattere
meramente lineare del taglio, al punto precedente (sub 1 c).
Ma vi e' di piu'.
La disposizione impugnata prevede, infatti, che solo qualora
venga raggiunta l'intesa, il taglio non riguardi anche le risorse
destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale.
Tuttavia, riguardo a questa ipotesi (esclusione quindi della spesa
sanitaria), occorre considerare che la spesa extra sanitaria delle
Regioni e' quella che ha maggiormente subito l'impatto delle manovre
di finanza pubblica. Come risulta, infatti, dal Primo rapporto Copaff
(Commissione tecnica per l'attuazione del federalismo fiscale),
Condivisione tra i livelli di governo dei dati sull'entita' e la
ripartizione delle misure di consolidamento della finanza pubblica,
del 16 gennaio 2014, approvato (allegato n. 3) dalla Conferenza
permanente per il coordinamento della finanza pubblica (istituita
dall'art. 5 della legge n. 42 del 2009) in data 14 febbraio 2014, il
comparto della spesa extra sanitaria delle Regioni ha subito, per
effetto cumulato delle manovre di finanza pubblica dal 2008 al 2013,
una riduzione pari al 38,7% (contro il 13,4 dello Stato, il 14,3 dei
Comuni, il 27,8 delle Province).
La situazione e' tale che al momento l'importo stabilito della
lettera c) del comma 398 non trova capienza all'interno
dell'ammontare della spesa primaria (extra sanitaria) per beni e
servizi delle Regioni.
Come si evince dalla tabella (allegato n. 4: elaborazione Cinsedo
su dati Copaff 2013) la spesa complessiva per beni e servizi delle
Regioni nel 2013 ammonta a € 5.323.938.776,02. Dal momento che tale
aggregato di spesa comprende, per un importo pari a 1.529 milioni di
Euro, i corrispettivi riconosciuti dalle Regioni per garantire il
contratto di servizio stipulato con Trenitalia, al netto di tale
importo, pertanto, l'ammontare di spesa per beni e servizi sostenuta
nel 2013 dalle RSO risulta pari a 3.795 milioni di Euro, da cui si
devono detrarre gli ulteriori tagli strutturali 2014 e 2015 (art. 16
del decreto legge n. 95/2012 e dell'art. 8 del decreto legge
66/2014). Per assolvere al maggiore contributo richiesto dal comma
398 (maggiori tagli per 3.452 milioni di euro), le Regioni dovrebbero
pertanto ridurre, considerando il dato al 2013 (esposto nell'allegato
4), del 91% la spesa sostenuta per l'acquisto di beni e servizi;
mentre si supera nettamente la capienza stessa della spesa per beni e
servizi se si considera anche il dato comprensivo dei tagli gia'
disposti, sulla spesa per beni e servizi, per il 2014 e il 2015.
Da cio' discende la palese irragionevolezza della disposizione
impugnata, la cui attuazione comporterebbe di fatto la compromissione
della stessa potesta' legislativa e amministrativa regionale nelle
materie, extra sanita', di propria competenza, ridondando pertanto
sull'autonomia regionale. Peraltro, qualora, invece, si intendesse -
ma il testo della disposizione non legittima tale interpretazione -
il taglio previsto dal suddetto primo periodo della lett. c) del
comma 398, come inerente anche alla spesa relativa alla sanita',
valgono in questo caso le argomentazioni esposte, in relazione ai
profili di incostituzionalita' per irragionevolezza, violazione dei
criteri di determinazione e finanziamento dei livelli essenziali e
per la mancata considerazione dei costi standard, qui di seguito al
successivo punto del ricorso in relazione a quanto disposto dal
secondo periodo della lettera c) del comma 398.
Ne deriva quindi la violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, II,
III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost.
Quanto al secondo periodo della lettera c) del comma 398, i
profili di incostituzionalita' si evidenziano su diversi versanti.
i) In primo luogo in questo caso (assenza di intesa e
inclusione della spesa sanitaria) il criterio di riparto del taglio
viene commisurato tenendo anche conto del Pil regionale e della
popolazione residente (come detto e' tale l'effetto del rimando,
operato dalla norma, al secondo periodo del comma 6 dell'art. 46 del
decreto legge n. 66/2014). E' di tutta evidenza non solo come tali
criteri non abbiano una attinenza costituzionalmente corretta con lo
scopo della norma che e' quello del coordinamento (rectius:
contenimento) della spesa regionale, ma soprattutto che addossare, in
questi termini, un maggiore onere alle Regioni con un Pil piu'
elevato travalica l'ambito dell'art. 119 della Costituzione.
Codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di precisare con chiarezza
nella sentenza n. 79 del 2014, in relazione all'art. 16 del d.l. n.
95 del 2012, che un taglio alle risorse regionali applicato in misura
proporzionale anche alle spese sostenute per i consumi intermedi, nel
senso di imporre maggiori riduzioni a quelle Regioni che abbiano
effettuato maggiori spese per i suddetti consumi intermedi, realizza
«un effetto perequativo implicito, ma evidente, che discende dal
collegare la riduzione dei trasferimenti statali all'ammontare delle
spese per i consumi intermedi, intese quali manifestazioni, pur
indirette, di ricchezza delle Regioni». In questi termini la sentenza
n. 79 del 2014 ha ritenuto che «una simile misura perequativa,
tuttavia, contrasta con l'art. 119 Cost. in quanto non soddisfa i
requisiti ivi prescritti, in particolare al terzo ed al quinto
comma».
Nel richiamare la propria consolidata giurisprudenza, la suddetta
sentenza ha precisato, infatti, che «gli interventi statali fondati
sulla differenziazione tra Regioni, volti a rimuovere gli squilibri
economici e sociali, devono seguire le modalita' fissate dall'art.
119, quinto comma, Cost., senza alterare i vincoli generali di
contenimento della spesa pubblica, che non possono che essere
uniformi (sentenze n. 46 del 2013 e n. 284 del 2009)». Ha quindi
ribadito "che, ove le risorse acquisite siano destinate ad un
apposito fondo perequativo, esse devono essere indirizzate ai soli
«territori con minore capacita' fiscale per abitante» (art. 119,
terzo comma, Cost.)".
Nella previsione del secondo periodo della lett. c) del comma 398
qui impugnata, il legislatore statale ha sostituito il riferimento ai
consumi intermedi con quello al Pil regionale (e alla popolazione).
Tale riferimento, tuttavia, non vale in alcun modo a superare la
sostanza della censura che era contenuta nella sentenza n. 79 del
2014, ma ricade anzi pienamente nella stessa medesima logica
censurata.
Nella sentenza n. 79 del 2014, infatti, codesta Corte ha
precisato che «mentre il concorso agli obiettivi di finanza pubblica
e' un obbligo indefettibile di tutti gli enti del settore pubblico
allargato di cui anche le Regioni devono farsi carico attraverso un
accollo proporzionato degli oneri complessivi conseguenti alle
manovre di finanza pubblica (ex plurimis, sentenza n. 52 del 2010),
la perequazione degli squilibri economici in ambito regionale deve
rispettare le modalita' previste dalla Costituzione, di modo che il
loro impatto sui conti consolidati delle amministrazioni pubbliche
possa essere fronteggiato ed eventualmente redistribuito attraverso
la fisiologica utilizzazione degli strumenti consentiti dal vigente
ordinamento finanziario e contabile (sentenza n. 176 del 2012)».
La previsione del secondo periodo del comma 398, addossando un
maggiore onere a carico delle Regioni che abbiano un Pil piu'
elevato, determina pertanto, dal punto di vista sostanziale, la
stessa alterazione dei corretti criteri costituzionali della
perequazione che codesta ecc.ma Corte ha censurato nella sentenza n.
79 del 2014 (e' di tutta evidenza, ad esempio, che il dato del Pil
sia, in ogni caso, cosa diversa dalla capacita' fiscale - cui fa
riferimento l'art.119 Cost - che implica invece il riferimento ai
dati standardizzati di gettito delle imposte e che quindi non
sussiste una correlazione necessaria tra Pil e capacita' fiscale,
esistendo elementi che concorrono a determinare il Pil che non
rientrano necessariamente, o nello stesso modo, nella dinamica
impositiva).
Anche in relazione alla disposizione del comma 398 qui impugnata
non risultano quindi in alcun modo rispettate le condizioni richieste
della sentenza n. 79 del 2014, le cui conclusioni ben possono essere
specularmente riportate in relazione al caso di specie, posto che le
disposizioni qui censurate, anch'esse "non contengono alcun indice da
cui possa trarsi la conclusione che le risorse in tal modo acquisite
siano destinate ad un fondo perequativo indirizzato ai soli
«territori con minore capacita' fiscale per abitante» (art. 119,
terzo comma, Cost), ne' che esse siano volte a fornire quelle
«risorse aggiuntive», che lo Stato - dal quale, peraltro, dovrebbero
provenire - destina esclusivamente a «determinate» Regioni per «scopi
diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119, quinto
comma, Cost.: ex plurimis, sentenze n. 273 del 2013; n. 451 del 2006;
n. 107 del 2005; n. 423, n. 320, n. 49 e n. 16 del 2004), con
riferimento a specifici ambiti territoriali e/o a particolari
categorie svantaggiate".
La suddetta disposizione del comma 398 risulta quindi violare,
sotto questo profilo, l'art.117, III comma e l'art. 119 e in
particolare i commi III e V.
ii) Ma non solo. Come detto in caso di mancata intesa la
disposizione del comma 398 qui impugnata prevede che siano
considerate anche le risorse destinate al finanziamento corrente del
Servizio sanitario nazionale. Tuttavia essa profila anche in questo
caso un carattere meramente lineare del taglio, che assume in questa
fattispecie un carattere tanto piu' grave quanto si consideri che per
il riparto del fondo sanitario nazionale, il decreto legislativo n.
68 del 2011, articoli da 25 a 32, prevede il riferimento ai costi e i
fabbisogni standard regionali. Tale criterio, nonostante le richieste
avanzate dalle regioni nel corso dei lavori parlamentari sulle legge
di stabilita', e' stato completamente trascurato.
E' opportuno precisare, al riguardo, che tra gli emendamenti
trasmessi al Parlamento con nota del 6 novembre 2014, le Regioni
avevano chiesto di sostituire la disposizione impugnata con la
seguente: «In assenza di tale Intesa entro il predetto termine del 31
gennaio 2015, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,
da adottarsi, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, entro
20 giorni dalla scadenza dei predetti termini, i richiamati importi
sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singole Regioni
e Province autonome di Trento e Bolzano, tenendo conto dei costi
standard:» (allegato n. 5 Nota Cinsedo 6 novembre 2014).
Nessun adeguato criterio di razionalizzazione della distribuzione
del taglio viene invece previsto dalla disposizione impugnata, che
quindi si presta a incidere in modo indiscriminato tanto sulle
realta' efficienti, dove minimo e' il livello di spreco e quindi la
possibilita' di razionalizzazione della spesa, tanto su quelle
inefficienti, dove invece elevato e' il livello di spreco e alta la
possibilita' di razionalizzazione.
Questo prevede la disposizione impugnata, nonostante la forte
disomogeneita' che caratterizza, sotto questo profilo, il sistema
della sanita' regionale italiana sia stata piu' volte messa in
evidenza dai numerosi interventi della Corte dei Conti, dai piu'
autorevoli studi (3) e da, anche recenti, indagini conoscitive
concluse dal Parlamento (4)
Ma vi e' di piu'.
Il comma 414 prevede che comunque le Regioni assicurino il
finanziamento dei livelli essenziali di assistenza e il comma 556
prevede la rideterminazione, in conseguenza del taglio, del livello
del finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre lo
Stato.
Nel loro complesso, quindi, tali disposizioni mantengono a carico
delle Regioni l'obbligo di garantire il finanziamento dei Lea, la cui
determinazione risale pero' al lontano 2001 - DPCM 29 novembre 2001,
poi modificato dal DPCM 5 marzo 2007 - senza che, ad oggi, l'art. 5
del decreto legge n. 158 del 2012 che ne aveva prevista la revisione
entro il 31 dicembre 2012 sia stato ancora attuato.
E' evidente quindi lo scollamento che si realizza tra un livello
di finanziamento che viene pesantemente ridotto e una determinazione
dei livelli essenziali che non e' stata rivista da parte dello Stato.
In cio' si realizza una arbitraria violazione, per
irragionevolezza e difetto di proporzionalita', anche del comma II
dell'art.117 Cost. e dell'art. 32 essendo in questo modo compromessa
la possibilita' di garantire i livelli essenziali in materia di
diritto alla salute.
E' significativo al riguardo citare le conclusioni del documento
finale delle Commissioni riunite V e XII della Camera dei Deputati,
approvato nell'ambito dell'Indagine conoscitiva sulla sfida della
tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e
obiettivi di finanza pubblica, del 4 giugno 2014, dove si afferma:
«Peraltro, negli ultimi anni alla riduzione delle risorse destinate
al Fondo sanitario nazionale si e' sommata la riduzione di quelle per
le politiche socio assistenziali e per le non autosufficienze. Tutto
cio' ha fatto emergere la piena consapevolezza che il Servizio
Sanitario Nazionale non puo' sopportare ulteriori definanziamenti,
pena l'impossibilita' di garantire i libelli di assistenza e quindi
l'equita' nell'accesso alle prestazioni socio sanitarie». (allegato
n. 6).
Ma anche la Corte dei Conti nella delibera del 29 dicembre 2014,
Relazione sulla gestione finanziaria degli enti territoriali,
(allegato n. 7) ha chiaramente precisato che al comparto degli enti
territoriali e' stato richiesto, nelle manovre degli ultimi anni,
«uno sforzo di risanamento non proporzionato all'entita' delle loro
risorse», in base a scelte andate «a vantaggio degli altri comparti
che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni
pubbliche.» Ed ha quindi auspicato (ma evidentemente non e' avvenuto)
che «futuri interventi di contenimento della spesa assicurino mezzi
di copertura finanziaria in grado di salvaguardare il corretto
adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni nonche' delle
funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali» (5)
Nella dinamica di questo sviluppo normativo della legislazione
statale e' evidente un fenomeno di abnorme deresponsabilizzazione
dello Stato, che, chiamato ad assumersi la responsabilita' di una
riduzione dei Lea a seguito del venir meno delle risorse disponibili,
ha scelto invece la strada di lasciare, da un lato, invariati i Lea,
e dall'altro di perpetrare un sistema di tagli lineari, in cio'
venendo meno - come si e' argomentato anche sub 1.c (in questo caso
anziche' l'omessa definizione, si deve riscontrare l'omesso
aggiornamento per oltre dieci anni) - ad un corretto esercizio di
quella funzione di coordinamento della finanza pubblica che e' invece
richiesto dall'art. 117, III, comma.
Le disposizioni impugnate, per i motivi esposti, contrastano
quindi con gli art. 3, 32, 97 Cost., secondo una violazione che
ridonda in una lesione delle competenze riconosciute alle Regioni,
anche direttamente lese per violazione degli articoli 117, II e III
comma, 118 e 119, Cost. e del principio di leale collaborazione di
cui all'art. 120 Cost.
A cio' va aggiunto, a ulteriore dimostrazione della violazione
del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost., che,
sia nella fattispecie di cui al punto 1 che in quella del punto 2,
nessun coinvolgimento, nonostante le espresse richieste della regione
Veneto (allegato n. 8), e' avvenuto della (pur istituita: la prima
convocazione e' avvenuta il 10 ottobre 2013) Conferenza permanente
per il coordinamento della finanza pubblica, il cui coinvolgimento
nella definizione della manovre di finanza pubblica e' imposto
dall'art. 5, comma 1, della legge n. 42 del 2009: «a) la Conferenza
concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per
comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di
indebitamento;» e poi ribadito dall'art. 33 del decreto legislativo
n. 68 del 2011 che la definisce quale «organismo stabile di
coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, citta'
metropolitane, regioni e Stato».
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 431, 432, 433,
434 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 per violazione degli
articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche'
del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.
I commi 431, 432, 433, 434 dell'art. 1 della Legge n. 190 del 23
dicembre 2014, disciplinano la predisposizione e il relativo
meccanismo di finanziamento di un Piano nazionale per la
riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate.
In particolare, il comma 431 prevede che: «i comuni elaborano
progetti di riqualificazione costituiti da un insieme coordinato di
interventi diretti alla riduzione di fenomeni di marginalizzazione e
degrado sociale, nonche' al miglioramento della qualita' del decoro
urbano e del tessuto sociale ed ambientale. Entro il 30 giugno 2015,
i comuni interessati trasmettono i progetti di cui al precedente
periodo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo le
modalita' e la procedura stabilite con apposito bando, approvato con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dei beni e
delle attivita' culturali e del turismo, da adottare entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge».
Il comma 432, invece, definisce il complesso contenuto che il
suddetto d.P.C.M. viene ad assumere all'interno della realizzazione
del Piano.
Esso infatti dovra' istituire e disciplinare il funzionamento,
presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un Comitato per
la valutazione dei progetti di riqualificazione sociale e culturale
(lett. a); tale comitato e' costituito da:
due rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei ministri,
di cui uno con funzioni di presidente,
due rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti,
due rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze,
due rappresentanti del Ministero dei beni e delle attivita'
culturali e del turismo;
nonche' da:
un rappresentante dei Dipartimenti della Presidenza del Consiglio
dei ministri per gli affari regionali, le autonomie e lo sport e per
la programmazione e il coordinamento della politica economica,
un rappresentante dell'Agenzia del demanio,
un rappresentante dell'Associazione nazionale dei comuni
italiani,
un rappresentante della Conferenza delle regioni e delle
province autonome.
Dovra' poi definire la documentazione che i comuni devono
allegare ai progetti (lett. b) e la procedura per la presentazione
dei progetti (lett. c).
Soprattutto al d.P.C.M. viene affidato il compito di definire i
criteri di valutazione dei progetti, tra i quali in ogni caso, il
comma 432 individua direttamente i seguenti (lett. d):
1) la riduzione di fenomeni di marginalizzazione e degrado
sociale;
2) il miglioramento della qualita' del decoro urbano e del
tessuto sociale ed ambientale, anche mediante interventi di
ristrutturazione edilizia, con particolare riferimento allo sviluppo
dei servizi sociali ed educativi e alla promozione delle attivita'
culturali, didattiche e sportive;
3) la tempestiva esecutivita' degli interventi;
4) la capacita' di coinvolgimento di soggetti e finanziamenti
pubblici e privati e di attivazione di un effetto moltiplicatore del
finanziamento pubblico nei confronti degli investimenti privati.
La procedura per la selezione dei progetti comunali da inserire
nel Piano e' poi disciplinata dal successivo comma 433 che
stabilisce: «con uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei
ministri sono individuati i progetti da inserire nel Piano ai fini
della stipulazione di convenzioni o accordi di programma con i comuni
promotori dei progetti medesimi. Tali convenzioni o accordi di
programma definiscono i soggetti partecipanti alla realizzazione dei
progetti, le risorse finanziarie, ivi incluse quelle a valere sul
Fondo di cui al comma 434, e i tempi di attuazione dei progetti
medesimi, nonche' i criteri per la revoca dei finanziamenti in caso
di inerzia realizzativa. Le Amministrazioni che sottoscrivono le
convenzioni o gli accordi di programma si impegnano a fornire alla
Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti i dati e le informazioni necessarie
all'espletamento della attivita' di monitoraggio degli interventi».
Il comma 434 istituisce, invece, il Fondo per l'attuazione del
Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle
aree urbane degradate, a decorrere dall'esercizio finanziario 2015 e
fino al 31 dicembre 2017, nello stato di previsione del Ministero
dell'economia e delle finanze, contenente le somme da trasferire alla
Presidenza del Consiglio dei ministri. A tal fine e' autorizzata la
spesa di 50 milioni di euro per l'anno 2015 e 75 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2016 e 2017.
Si tratta di disposizioni la cui illegittimita' si deduce in
relazione ai seguenti motivi.
Nei termini sopra descritti, infatti, i commi 431, 432, 433 e 434
dell'art. 1, senza alcun adeguato coinvolgimento delle Regioni,
istituiscono un Piano nazionale per la riqualificazione sociale e
culturale delle aree urbane degradate e un correlativo fondo statale
a destinazione vincolata nell'ambito di materie non riconducibili
alle competenze statali di cui all'art. 117, II comma, Cost.
Quanto alle materie infatti, sia il Piano che il Fondo,
attengono, come si evince dai commi 431 e 432, al: «miglioramento
della qualita' decoro urbano e del tessuto sociale ed ambientale,
interventi di ristrutturazione edilizia, con particolare riferimento
allo sviluppo dei servizi sociali ed educativi e alla promozione
delle attivita' culturali, didattiche e sportive».
E' evidente, quindi che il Piano e il Fondo attengono a materie
concorrenti (governo del territorio, promozione delle attivita'
culturali, istruzione) e soprattutto residuali regionali come
«assistenza sociale».
In questo modo viene istituita, in materie di competenza
concorrente e residuale regionale, una forma di intervento statale
che prescinde completamente dall'adeguato coinvolgimento delle
Regioni, in violazione degli artt. 117, III e IV, comma; 118; 119, V
comma, Cost.
Questa ecc.ma Corte, infatti, nella sent. n. 49 del 2004
particolare, ha precisato che "per quanto attiene alle funzioni
amministrative, la legge statale puo' solo disciplinare le «funzioni
fondamentali» degli enti locali territoriali e puo' dettare norme
nelle sole materie di competenza esclusiva elencate nell'art. 117,
secondo comma, e principi fondamentali in quelle di competenza
concorrente elencate nell'art.117, terzo comma».
E' utile precisare che materie come «promozione delle attivita'
culturali e sportive», nel cui ambito anche verte il Piano nazionale
per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane
degradate, non rientrano nelle funzioni fondamentali dei comuni,
cosi' come definite dall'art. 19 del decreto legge n. 95 del 2012.
Inoltre, piu' genericamente le materie cui inerisce il Piano
rientrano, come detto, nella competenza concorrente e in quella
regionale residuale.
Diventa quindi dirimente considerare che la predisposizione del
Piano avviene senza alcuna forma di intesa con le Regioni, la cui
partecipazione al Comitato (che potrebbe assumere una funzione semmai
aggiuntiva, ma non sostitutiva dell'intesa), anziche' rivestire
natura paritetica, e' peraltro limitata ad un solo rappresentante a
fronte dei dieci assegnati all'amministrazione statale.
In piu' occasioni questa ecc.ma Corte ha affermato che il
principio di leale collaborazione deve necessariamente intervenire in
ipotesi tipiche, che spaziano dai casi di c.d. chiamata in
sussidiarieta', a quelli in cui vi sia un intreccio inestricabile di
materie non risolvibile con il criterio della prevalenza. L'intesa,
quindi, costituisce la «condizione minima e imprescindibile per la
legittimita' costituzionale della disciplina legislativa statale che
effettui la "chiamata in sussidiarieta'" di una funzione
amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale»
(sent. n. 383 del 2005; ma cfr. anche n. 179 del 2012, 39 del 2013).
Ma vi e' di piu'.
Il comma 434 istituisce un Fondo per l'attuazione del Piano
nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree
urbane degradate.
Si tratta quindi di un trasferimento a destinazione vincolata che
viene istituito in violazione degli art.117, III e IV comma, e
dell'art.119, V comma, Cost.
E' utile ricordare che secondo la Costituzione lo Stato puo' solo
destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi finanziari
speciali «in favore di determinati Comuni, Province, Citta'
metropolitane e Regioni» per gli scopi indicati nel comma 5
dell'art.119, o «diversi dal normale esercizio delle loro funzioni».
In cio' le norme impugnate disattendono palesemente le
indicazioni di questa ecc.ma Corte costituzionale che, nella sentenza
n. 16 del 2004, che aveva gia' dichiarato l'incostituzionalita' del
Fondo statale per la riqualificazione urbana dei Comuni, che per
oggetto e' del tutto simile al fondo in questione; cosi' come quelle
della sentenza n. 49 del 2004, che aveva dichiarato
l'incostituzionalita' del Fondo per il sostegno alla progettazione
delle opere pubbliche delle Regioni e degli enti locali, che
strutturava una forma di intervento statale del tutto analoga, per
procedura, a quella prefigurata dalle norme impugnate (nello
specifico si trattava dell'istituzione del Fondo nazionale per il
sostegno alla progettazione delle opere pubbliche delle Regioni e
degli enti locali, cui questi enti potevano accedere presentando
apposita domanda venendo poi selezionati dal Ministero dell'economia
e finanze gli interventi da finanziare).
Nel caso di specie al Fondo in oggetto, cosi' come nella
fattispecie oggetto della sentenza n. 49 del 2004, possono
«astrattamente accedere tutti gli enti», quindi i) non e'
pregiudicato il carattere della generalita' e ii) per quanto riguarda
l'oggetto del finanziamento non si tratta di funzioni chiaramente
inquadrabili al fuori dal normale esercizio cui fa riferimento il V
comma dell'art. 119, Cost.
Proprio in relazione al V comma dell'art. 119 Cost. questa ecc.ma
Corte, infatti, nella sentenza n. 16 del 2004 ha precisato che «non
possono trovare oggi spazio interventi finanziari diretti dello Stato
a favore dei Comuni, vincolati nella destinazione, per normali
attivita' e compiti di competenza di questi ultimi, fuori dall'ambito
dell'attuazione di discipline dettate dalla legge statale nelle
materie di propria competenza, o della disciplina degli speciali
interventi finanziari in favore di determinati Comuni, ai sensi del
nuovo articolo 119, quinto comma. Soprattutto non sono ammissibili
siffatte forme di intervento nell'ambito di materie e funzioni la cui
disciplina spetta invece alla legge regionale, pur eventualmente nel
rispetto (quanto alle competenze concorrenti) dei principi
fondamentali della legge dello Stato».
Inoltre, la sentenza n. 49 del 2004 questa ecc.ma Corte ha
ribadito: «gli interventi di cui alle norme impugnate si atteggiano -
conformemente a quanto rilevato dalla sentenza di questa Corte in
precedenza richiamata - come prosecuzione di una pratica di
trasferimento diretto di risorse dal bilancio dello Stato agli enti
locali in base a criteri stabiliti dall'amministrazione centrale,
senza tenere presente che, per quanto riguarda la disciplina della
spesa ed il trasferimento di risorse dal bilancio statale, lo Stato
deve agire in conformita' al nuovo riparto di competenze e alle nuove
regole, disponendo i trasferimenti senza vincoli di destinazione
specifica, passando, se del caso, attraverso il filtro dei programmi
regionali e coinvolgendo le regioni interessate nei processi
decisionali concernenti il riparto e la destinazione dei fondi, nel
rispetto dell'autonomia di spesa degli enti locali». Cfr. anche n.
254 del 2013: «Tali misure, infatti, possono divenire strumenti
indiretti, ma pervasivi, di ingerenza dello Stato nell'esercizio
delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonche' di
sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a
quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di
propria competenza» (sentenza n. 168 del 2008, nonche', in termini
sostanzialmente coincidenti, ex plurimis, sentenze n. 50 del 2008, n.
201 del 2007 e n. 118 del 2006)».
Ma anche a prescindere da questa considerazione, va rilevato che
quand'anche si rientri - ma questo non avviene nel caso del fondo in
oggetto - nell'ambito degli interventi speciali di cui al V comma
dell'articolo 119, la stessa sentenza n. 16 del 2004 ha in ogni caso
sottolineato «l'esigenza di rispettare il riparto costituzionale
delle competenze legislative fra Stato e Regioni» con la conseguenza
che «quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle
Regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti di
programmazione e di riparto dei fondi all'interno del proprio
territorio».
Orbene, non vi e' dubbio, come si e' visto, che la disposizione
attiene a materie concorrenti e residuali regionali, poiche' il
finanziamento in esame e' finalizzato, infatti, in parte alla
promozione di progetti di riqualificazione diretti alla riduzione di
fenomeni di degrado sociale e in parte al miglioramento della
qualita' del tessuto sociale ed ambientale, con particolare
riferimento allo sviluppo dei servizi sociali, educativi, culturali,
e sportivi.
Quindi, come affermato dalla giurisprudenza di questa ecc.ma
Corte, il rispetto dei compiti di programmazione delle regioni
comporterebbe quantomeno la previsione dell'intesa, se non un
procedimento di erogazione dei fondi articolato su un duplice
passaggio: in primis, l'erogazione delle risorse dallo Stato in
favore delle Regioni, e successivamente, il riparto, da parte delle
Regioni medesime, di tali risorse fra gli Enti locali interessati.
Detti profili, pertanto, per loro stessa natura, nell'attuale
assetto costituzionale della ripartizione delle competenze tra Stato
e Regioni non possono non comportare un diretto coinvolgimento delle
Regioni, in quanto anche esse titolari di potesta' legislativa nelle
specifiche materie. Di tale esigenza non tiene, evidentemente, conto
l'impugnata norma di cui all'art. 1, commi 431, 432, 433, 434, della
legge n. 190 del 2014. Non viene infatti prevista alcuna intesa ne'
riguardo alla definizione del Piano, ne' alla emanazione del d.P.C.M.
di cui al comma 431, ne' riguardo ai successivi d.P.C.M. di cui al
comma 433.
In cio' la disciplina contraddice anche quanto affermato nella
sentenza n. 79 del 2011 dove questa ecc.ma Corte ha nuovamente
sottolineato come solo la chiamata in sussidiarieta' possa
legittimare l'istituzione di un fondo statale con vincolo di
destinazione in materia di competenza regionale concorrente o
residuale ex art. 117, commi 3 e 4, Cost., solo ed esclusivamente se
siano previsti meccanismi preventivi di intesa con le regioni sui
relativi criteri di riparto (nello stesso senso, la sentenza n. 16
del 2010).
E' evidente quindi nelle disposizioni impugnate il vulnus
all'autonomia regionale, con violazione degli artt. 117, III e IV
comma, e 119 Cost., data l'inerenza delle materie alle competenze
legislative regionali in cui sia il piano che il fondo intervengono,
espropriando la Regione della possibilita' di esercitare
correttamente i compiti di normazione e programmazione all'interno
del proprio territorio, sovrapponendo ad essi politiche e indirizzi
governati centralmente.
Da ultimo, e' opportuno precisare che non fa, invece, testo, nel
caso oggetto della presente impugnativa, la sent. n. 307 del 2004 di
questa ecc. ma Corte che riguardava una forma di intervento
finanziario statale del tutto differente (a favore dei privati) e che
si concretizzava «nella mera previsione di contributi finanziari, da
parte dello Stato, erogati con carattere di automaticita' in favore
di soggetti individuati in base all'eta' o al reddito e finalizzati
all'acquisto di personal computer abilitati alla connessione ad
"internet", in un'ottica evidentemente volta a favorire la
diffusione, fra i giovani e nelle famiglie, della cultura
informatica. Siffatto intervento, non accompagnato da alcuna
disciplina sostanziale riconducibile a specifiche materie, non
risulta invasivo di competenze legislative regionali».
In quel caso questa ecc.ma Corte non ha rilevato alcuna
interferenza con le competenze legislative regionali, in quanto si
trattava di fondi statali messi a disposizione di privati; in questo
caso, invece la disciplina impugnata si sovrappone chiaramente a
quella regionale impedendone l'esercizio.
5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 609, della legge
n. 190 del 23 dicembre 2014 per violazione degli artt. 3, 117, III e
IV comma, 118, 123 della Costituzione, nonche' dell'art. 3, comma 2,
dello Statuto della regione Veneto.
Il comma 609 contiene disposizioni in materia di servizi pubblici
locali che apportano modifiche alla disciplina di cui all'art. 3-bis
del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14
settembre 2011, n. 148, al fine di «promuovere processi di
aggregazione e di rafforzare la gestione industriale dei servizi
pubblici locali a rete di rilevanza economica».
E' utile rilevare che la disposizione del comma 1 dell'art. 3-bis
del decreto legge d.l. n. 138/2011 conteneva gia' l'obbligo per le
Regioni di istituire o designare gli enti di governo degli ambiti o
bacini territoriali ottimali e omogenei per l'organizzazione dei
servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica entro il 30
giugno 2012.
L'aggiunta operata dal comma 609 dell'art. 1 della legge n.
190/2014 modifica in questi termini (indicati in neretto) il
successivo comma 1-bis: «Le funzioni di organizzazione dei servizi
pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli
appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di
gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di
competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono
esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini
territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del
comma 1 del presente articolo cui gli enti locali partecipano
obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1,
comma 90, della legge 7 aprile 2019, n. 56» (nuovo comma 1-bis
dell'art. 3-bis, d.l. n. 138/2011).
La novella apportata dalla legge n. 190/2014 introduce quindi
l'obbligatorieta' dell'adesione degli enti locali agli enti di
governo degli ATO. Tale obbligatorieta' viene peraltro rafforzata da
un procedimento sostitutivo posto in capo al Presidente della
Regione. Il comma 1-bis dell'art. 3-bis dispone infatti: «Qualora gli
enti locali non aderiscano ai predetti enti di governo entro il 1°
marzo 2015 oppure entro sessanta giorni dall'istituzione o
designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale
ai sensi del comma 2 dell'articolo 13 del decreto-legge 30 dicembre
2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio
2014, n. 15, il Presidente della regione esercita, previa diffida
all'ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni, i
poteri sostitutivi.»
I profili d'illegittimita' costituzionale della disposizione,
cosi' come strutturata, sono molteplici.
In primo luogo, occorre rilevare che la previsione
dell'obbligatorieta', per gli enti locali, di aderire agli enti di
governo degli ATO e' da ritenersi illegittima per violazione delle
competenze costituzionalmente riconosciute alle Regioni ai sensi
degli artt. 117, III e IV comma, Cost.
E invero, se il decreto legge n. 138/2011 rimetteva alle Regioni
la perimetrazione degli ambiti e l'istituzione o designazione dei
relativi enti di governo, lasciando alle stesse piena
discrezionalita' in ordine alla forma organizzativa degli stessi, il
comma 609 impone, invece, un modello di governance che deve
necessariamente includere tutti gli enti locali.
Giova peraltro precisare che per enti locali, secondo il disposto
di cui all'art. 2, decreto legislativo n. 267/2000 (c.d. Tuel) si
intendono «i comuni, le province, le citta' metropolitane, le
comunita' montane, le comunita' isolane e le unioni di Comuni».
Pertanto, l'obbligatoria adesione agli enti di governo degli ATO
viene a riguardare, a ben vedere, tutti gli enti locali ricadenti nel
perimetro degli ambiti definiti a livello regionale, coinvolgendo non
solo le Province e i Comuni, ma anche le loro unioni, le comunita'
montane e isolane e le Citta' metropolitane.
L'estensione dell'obbligo non solo a comuni e province, ma anche
a tutti gli enti locali, incluse ad esempio le comunita' montane,
esula dalla competenza statale inerente l'elencazione di cui all'art.
117, comma 2, lett. p), Cost. e risulta quindi violare la competenza
residuale delle Regioni di cui all'art. 117, IV comma, Cost. come
precisato da questa ecc.ma Corte nelle sentenze nn. 237 del 2009 e 91
del 2011.
Quanto sopra, oltre a difettare di ogni ragionevolezza, contrasta
inoltre, evidentemente, anche con i principi sussidiarieta',
adeguatezza e di differenziazione di cui all'art. 118, comma 1, Cost.
e con l'art. 3 dello Statuto della Regione Veneto secondo cui: «La
Regione riconosce, promuove e garantisce l'autonomia degli enti
locali nelle sue diverse manifestazioni» (art. 3, comma 2, legge
regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1).
In base alle norme sopra richiamate, dovrebbe riconoscersi
infatti ai suddetti enti locali ampia discrezionalita' sul percorso
da intraprendere, in ordine alle forme di organizzazione gli enti di
governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali ed omogenei.
E questa e' stata la scelta operata dalla Regione Veneto con
riferimento alle discipline introdotte con la propria legislazione in
merito ai servizi di trasporto pubblico locale, idrico integrato e
gestione dei rifiuti.
Infatti, in attuazione della Legge regionale 30 ottobre 1998, n.
25 recante Disciplina ed organizzazione del trasporto pubblico
locale, la Delibera di Giunta regionale n. 2048 del 19 novembre 2013
(allegato n. 9), oltre a definire il perimetro dei bacini
territoriali ottimali e omogenei dei servizi di trasporto pubblico
locale, ha infatti individuato la convenzione di cui all'art. 30,
decreto legislativo n. 267/2000 quale modalita' organizzativa per la
costituzione volontaria di un ente di governo per ciascuno dei
bacini, da designare quale soggetto di cui all'art. 3-bis, d.l. n.
138/2011. (6)
E' dirimente a questo punto ricordare che la materia del
trasporto pubblico locale e' assegnata, come ha riconosciuto in piu'
occasioni questa ecc.ma Corte, alla competenza regionale residuale
(cfr., per tutte, sentenza n. 222 del 2005 dove si afferma che la
materia del trasporto pubblico locale rientra nell'ambito delle
competenze residuali delle Regioni di cui al quarto comma dell'art.
117 Cost., "come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della
riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto legislativo 19
novembre 1997, n. 422 [...] aveva ridisciplinato l'intero settore,
conferendo alle Regioni ed agli enti locali funzioni e compiti
relativi a tutti i «servizi pubblici di trasporto di interesse
regionale e locale con qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi
forma affidati» ed escludendo solo i trasporti pubblici di interesse
nazionale").
La legislazione regionale, pertanto, nell'ambito della propria
autonomia ha optato per diverse formule organizzative, come la
sottoscrizione di una convenzione tra gli enti, quale strumento
prodromico per la successiva costituzione dell'ente di governo.
La normativa statale qui impugnata, invece, stabilendo un
immediato obbligo di partecipazione agli organi di governo
indebitamente incide e interferisce sulle scelte attuate dalla
legislazione regionale di settore.
In secondo luogo, il censurato comma 609 contraddice quanto
stabilito dall'art. 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014 n. 56, la
cui previsione viene esplicitamente salvaguardata dalla norma
impugnata.
Tale norma prevede che: «Nello specifico caso in cui disposizioni
normative statali o regionali di settore riguardanti servizi di
rilevanza economica prevedano l'attribuzione di funzioni di
organizzazione dei predetti servizi, di competenza comunale o
provinciale, ad enti o agenzie in ambito provinciale o
sub-provinciale, si applicano le seguenti disposizioni, che
costituiscono principi fondamentali della materia e principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi
dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione: a) il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 92 ovvero le
leggi statali o regionali, secondo le rispettive competenze,
prevedono la soppressione di tali enti o agenzie e l'attribuzione
delle funzioni alle province nel nuovo assetto istituzionale, con
tempi, modalita' e forme di coordinamento con regioni e comuni, da
determinare nell'ambito del processo di riordino di cui ai commi da
85 a 97, secondo i principi di adeguatezza e sussidiarieta', anche
valorizzando, ove possibile, le autonomie funzionali» (art. 1, comma
90, lett. a), legge n. 56/2014).
In altri termini, tale disposizione della legge n. 56 del 2014
prevede l'avvio di un deciso processo di semplificazione
istituzionale diretto a far si' che qualora con riferimento a
specifici servizi di rilevanza economica di competenza comunale e
provinciale siano stati delimitati ambiti o bacini provinciali o
sub-provinciali e le funzioni di organizzazione siano state
attribuite ad enti o agenzie, questi ultimi debbano essere oggetto di
soppressione con contestuale attribuzione delle funzioni alle
Province.
Tanto viene sollecitato dalla suddetta norma questo processo di
semplificazione che si stabilisce nella successiva lett. b) del comma
90 dell'art. 1 della legge n. 56/2014: «per le regioni che approvano
le leggi che riorganizzano le funzioni di cui al presente comma,
prevedendo la soppressione di uno o piu' enti o agenzie, sono
individuate misure premiali con decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali,
previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica».
In questi termini si evidenzia un insanabile contrasto della
norma impugnata con riferimento alla tale disposizione della legge n.
56/2014, che pure viene espressamente fatta salva.
Difatti, mentre il comma 90 dell'art. 1 della legge n. 56/2014
avvia - al punto addirittura di prevedere misure premiali per le
Regioni che dispongano in tal senso - un processo di soppressione di
enti o agenzie con funzioni di organizzazione di servizi a rilevanza
economica di competenza comunale o provinciale e l'attribuzione delle
relative funzioni alle Province, il comma 609 rafforza invece
l'adesione degli enti locali (tutti, ovvero Comuni, Province,
Comunita' montane, comunita' isolane e Citta' metropolitane) agli
enti di governo degli ATO prevedendone persino la partecipazione
obbligatoria.
Ma non solo: l'obbligatorieta' e' pure presidiata da una
sanzione, costituita, come si ha gia' avuto modo di precisare,
dall'esercizio del potere sostitutivo da parte del Presidente della
Regione.
In questi termini la disposizione impugnata configura un vizio di
ragionevolezza (al punto da rendere anche impossibile stabilire la
portata normativa derivante dalla coesistenza delle due discipline)
che ridonda nella lesione della sfera costituzionalmente garantita
alle Regione dagli articoli 117, III e IV comma e 118 Cost.
6) Illegittimita' costituzionale art. 1, commi 611 e 612, per
violazione degli artt. 3, 97, 117, III e IV comma, 118 e 119 della
Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 Cost.
Il comma 611 dell'art. 1 della legge n. 190/2014 prevede che: «le
regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti
locali, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura,
le universita' e gli istituti di istruzione universitaria pubblici e
le autorita' portuali, a decorrere dal 1° gennaio 2015, avviano un
processo di razionalizzazione delle societa' e delle partecipazioni
societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da
conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015».
Tale processo, per espressa previsione normativa, deve tenere
conto «anche» dei seguenti criteri:
«a) eliminazione delle societa' e delle partecipazioni
societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie
finalita' istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o
cessione;
b) soppressione delle societa' che risultino composte da soli
amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello
dei dipendenti;
c) eliminazione delle partecipazioni detenute in societa' che
svolgono attivita' analoghe o similari a quelle svolte da altre
societa' partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante
operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni;
d) aggregazione di societa' di servizi pubblici locali di
rilevanza economica;
e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante
riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle
strutture aziendali, nonche' attraverso la riduzione delle relative
remunerazioni.»
Quanto sopra al fine espresso di «assicurare il coordinamento
della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon
andamento dell'azione amministrativa e la tutela della concorrenza e
del mercato».
Per raggiungere l'obiettivo di razionalizzazione, il successivo
comma 612 dispone che: «I presidenti delle regioni e delle province
autonome di Trento e di Bolzano, i presidenti delle province, i
sindaci e gli altri organi di vertice delle amministrazioni di cui al
comma 611, in relazione ai rispettivi ambiti di competenza,
definiscono e approvano, entro il 31 marzo 2015, un piano operativo
di razionalizzazione delle societa' e delle partecipazioni societarie
direttamente o indirettamente possedute, le modalita' e i tempi di
attuazione, nonche' l'esposizione in dettaglio dei risparmi da
conseguire.»
La norma prevede, altresi', l'intervento di un organo terzo
individuato nella competente sezione regionale di controllo della
Corte dei conti, stabilendo che il suindicato piano operativo di
razionalizzazione delle societa' e delle partecipazioni societarie
«corredato di un'apposita relazione tecnica, e' trasmesso alla
competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti e
pubblicato nel sito internet istituzionale dell'amministrazione
interessata. Entro il 31 marzo 2016, gli organi di cui al primo
periodo predispongono una relazione sui risultati conseguiti, che e'
trasmessa alla competente sezione regionale di controllo della Corte
dei conti e pubblicata nel sito internet istituzionale
dell'amministrazione interessata. Con la precisazione che: «La
pubblicazione del piano e della relazione costituisce obbligo di
pubblicita' ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33».
Le disposizioni impugnate, sebbene in astratto dirette
all'obiettivo pienamente condivisibile di razionalizzare il
preoccupante e ingiustificato fenomeno di abnorme proliferazione
delle societa' partecipate, si palesano in concreto come viziate di
incostituzionalita' sotto molteplici profili, al punto da inficiarne
la stessa idoneita' rispetto al raggiungimento di tale obiettivo.
E' preliminare, infatti, precisare che la regione Veneto, ha gia'
da tempo avviato processi di razionalizzazione delle partecipazioni
regionali, sia dirette che dirette.
Quanto alle prime e' opportuno ricordare che gia' la DGR n. 138
del 2010, poi adottata con Deliberazione Consiglio regionale n.
44/2011 (allegato n. 10), ha concretizzato un processo che ha
portato: i) alla ricognizione di tutte le partecipazioni detenute,
ii) alla valutazione, per ciascuna societa' partecipata, della
presenza dei requisiti della stretta necessarieta' per il
perseguimento dei fini istituzionali dell'ente o della produzione di
servizi d'interesse generale; iii) alla cessione, secondo procedure
ad evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute in quelle
societa' che non presentavano i requisiti suddetti.
Ad essa sono seguite azioni concrete che hanno condotto sia alla
dismissione di societa' non necessarie, sia ad accorpamenti e
razionalizzazioni di societa' necessarie che svolgevano finalita'
analoghe o similari.
Quanto alle seconde, la Giunta Regionale ha adottato le DGR n.
259 del 5 marzo 2013 (allegato n. 11) e n. 1931 del 28 ottobre 2013
(allegato n. 12), con le quali sono state emanate direttive rivolte
alle societa' a partecipazione diretta per la dismissione delle loro
partecipate, determinando la soppressione di trentotto di queste, con
una riduzione quindi del numero delle partecipate indirette da
settantuno a trentatre'.
E' stata poi approvata recentemente la legge regionale n. 24 del
2014, recante Norme in materia di societa' partecipate da enti
regionali, che ha ulteriormente implementato il processo di
razionalizzazione disponendo, fra l'altro che: «Agli enti pubblici
regionali ivi comprese le aziende, gli enti del Servizio sanitario
nazionale e le amministrazioni controllate dalla Regione, non e'
consentito costituire societa' e detenere partecipazioni in societa',
salvo espressa autorizzazione della Giunta regionale, sentite le
competenti commissioni consiliari, esclusivamente in ragione della
accertata convenienza economica della detenzione stessa» (art. 1,
comma 2, l.r. n. 24/2014).
Vieppiu', il medesimo provvedimento normativo, oltre a stabilire
una serie di misure volte al contenimento delle spese di
funzionamento e alla dismissione delle partecipazioni precisa che:
«Entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge,
gli enti regionali di cui all'articolo 1, comma 2, presentano al
Consiglio regionale e alla Giunta regionale l'elenco di tutte le
partecipazioni societarie detenute direttamente ed indirettamente,
con una motivata proposta di mantenimento di quelle ritenute
strategiche, indicando altresi' il valore nominale e il valore
stimato di ciascuna di esse, nonche' la relazione tra l'attivita'
della societa' partecipata e la specifica funzione istituzionale
dell'ente regionale partecipante» e «a partire dal sessantunesimo
giorno dalla ricezione della proposta, tutte le partecipazioni, fatta
eccezione per quelle espressamente confermate, sono dismesse senza
indugio» (art. 3, commi 1 e 3, l.r. n. 24/2014).
Le disposizioni impugnate, pertanto, non considerano in alcun
modo questo processo gia' avviato a livello regionale e impongono
invece un ulteriore e generalizzato percorso, dove sono stabiliti
criteri e modalita' che impongono alla Regione oneri aggiuntivi (come
l'obbligo di trasmissione della relazione tecnica e della relazione
sui risultati conseguiti alla competente sezione regionale di
controllo della Corte dei conti) e impongono termini perentori per
l'adozione di piani da parte delle Regioni e per la dismissione delle
partecipazioni detenute. Stabilendo, ad esempio, il criterio della
«soppressione delle societa' che risultino composte da soli
amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello
dei dipendenti» - criterio in se' e in astratto del tutto
ineccepibile -, in realta' le norme impugnate non permettono in alcun
modo di considerare quelle situazioni in cui le societa' presentano
si' tali caratteristiche, ma solo perche' dirette alla gestione, per
conto della Regione, di consistenti patrimoni (e non necessitando
quindi di numeroso personale dipendente), generando utili e non
presentando, quindi, alcuno di quei profili di inefficienza che
potrebbero giustificarne la soppressione.
Ma non solo.
Nel definire i tempi delle dismissioni, le disposizioni censurate
non tengono minimamente conto della critica situazione economica
generale che rende difficile attuare, per le condizioni del mercato e
il rischio di speculazioni private, - in un contenuto lasso temporale
e in termini vantaggiosi per le Pubbliche Amministrazioni coinvolte -
ogni sforzo gia' intrapreso a seguito dei provvedimenti
amministrativi sopra citati adottati dalla Regione del Veneto negli
ultimi sette anni.
Sotto questo profilo, e' opportuno peraltro segnalare che la
Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, con
la Deliberazione n. 48/2008 (allegato n. 13) ha gia' avuto modo di
intervenire sul problema: «Il cedere obbligatoriamente le
partecipazioni vietate entro un termine legale, produrrebbe occasioni
di speculazione privata tesa al ribasso del prezzo di acquisto, in
una prospettiva del tutto contraria all'interesse pubblico alla sana
e corretta gestione del patrimonio e delle risorse della
collettivita'. Inoltre, a seguito dell'attivita' ricognitiva in
materia di partecipazioni vietate, le grandi realta' territoriali o
gli enti istituzionali di maggiori dimensioni, potrebbero trovarsi a
dover contemporaneamente gestire un elevato numero di dismissioni,
senza poter oggettivamente approdare in tempi brevi al
perfezionamento delle procedure di cessione. In tali evenienze, in
conformita' con la delibera autorizzativa, occorrera' stilare un
accurato programma che scandisca i tempi e le modalita' delle
previste dismissioni».
Da questo punto di vista le disposizioni dell'art. 1, commi 611 e
612, qui impugnate si dimostrano irragionevoli e lesive del canone
del buon andamento della pubblica amministrazione, la cui violazione
si riflette nelle competenze costituzionalmente riconosciute alle
Regioni, ledendone anche l'autonomia finanziaria di cui all'art.119
Cost.
Inoltre, non prevedendo alcuna differenziata considerazione dei
processi gia' avviati da alcune realta' regionali (come invece
richiederebbero i principi di differenziazione e adeguatezza di cui
all'art. 118 Cost.) e nessun coinvolgimento delle Regioni nella
definizione del processo di razionalizzazione (in violazione quindi
del principio di leale collaborazione di cui all'art.120 Cost.), le
norme impugnate risultano lesive della materia di competenza
residuale regionale «organizzazione e funzionamento della Regione»,
riconducibile al quarto comma dell'art. 117 della Costituzione (fatte
salve le competenze che l'art. 123 Cost. assegna in tale ambito
materiale alla fonte statutaria).
Invero, come questa Ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di rilevare:
«Non si puo' evidentemente negare la competenza del legislatore
statale in tema di organizzazione amministrativa dello Stato e degli
enti pubblici nazionali (art. 117, secondo comma, lettera g, della
Costituzione) (...) Per cio' che concerne, invece, i profili
organizzativi delle Regioni e delle Province autonome, sembra
evidente che il legislatore statale non dispone in materia di una
propria competenza, la quale appartiene, invece, alle stesse Regioni
e Province autonome.» (sent. n. 159/2008).
La compressione della competenza legislativa regionale, peraltro,
non puo' nemmeno giustificarsi in quanto volta a garantire il
rispetto di principi di coordinamento della finanza pubblica, posto
che le norme impugnate (che peraltro nemmeno si autoqualificano come
norme di principio) invece recano disposizioni dettagliate e puntuali
non riconducibili ai predetti principi.
Come precisato dalla citata sentenza, infatti, «quand'anche la
norma impugnata venga collocata nell'area del coordinamento della
finanza pubblica, e' palese che il legislatore statale, vincolando
Regioni e Province autonome all'adozione di misure analitiche e di
dettaglio, ne ha compresso illegittimamente l'autonomia finanziaria,
esorbitando dal compito di formulare i soli principi fondamentali
della materia».
I commi 611 e 612, quindi, stabilendo in modo puntuale e
dettagliato (ma indifferenziato - senza quindi considerare i processi
gia' eventualmente avviati a livello regionale -) criteri, modalita'
e tempi del processo di razionalizzazione delle societa' e delle
partecipazioni societarie, risultano costituzionalmente illegittimi
per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, nonche' degli
articoli 117, III e IV comma, 118, 119 della Costituzione, in quanto
intersecano e interferiscono indebitamente con un processo di
razionalizzazione gia' avviato dalla regione Veneto.
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 629, lettera b),
comma 632, comma 633, per violazione degli articoli 3, 97, 117, comma
I, 118 e 119 della Costituzione.
Il comma 629, lettera b) dell'art.1 della Legge n. 190/2014
modifica il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972,
n. 633, inserendovi l'art. 17-ter «Operazioni effettuate nei
confronti di enti pubblici» che dispone: «1. Per le cessioni di beni
e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato,
degli organi dello Stato ancorche' dotati di personalita' giuridica,
degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi costituiti
ai sensi dell'articolo 31 del testo unico di cui al decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, delle
camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, degli
istituti universitari, delle aziende sanitarie locali, degli enti
ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente
carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e
beneficenza e di quelli di previdenza, per i quali i suddetti
cessionari o committenti non sono debitori d'imposta ai sensi delle
disposizioni in materia d'imposta sul valore aggiunto, l'imposta e'
in ogni caso versata dai medesimi secondo modalita' e termini fissati
con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze».
Si introduce in tal modo il meccanismo del cd. split payment, per
cui nelle cessioni di beni e le prestazioni di servizi eseguite nei
confronti di enti pubblici l'imposta sul valore aggiunto e' in ogni
caso versata dai medesimi soggetti pubblici allo Stato, secondo
modalita' e termini fissati con decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze. Pertanto, i fornitori di beni e servizi alla pubblica
amministrazione riceveranno l'importo del corrispettivo al netto
dell'Iva che verra' cosi' versata, dai soggetti pubblici cessionari,
direttamente all'erario.
In questi termini l'art. 1, comma 629, lett. b) impone anche alla
Regione e agli altri enti del sistema regionale (ad esempio le
aziende sanitarie locali) di versare l'IVA non piu' al proprio
fornitore ma direttamente allo Stato.
Tale misura e' stata adottata disponendone l'entrata in vigore
dal 1° gennaio 2015 senza il preventivo assenso del Consiglio
dell'Unione Europea. Il comma 632, infatti, dispone: «L'efficacia
delle disposizioni di cui al comma 629, lettera a), numero 3),
capoverso d-quinquies), e' subordinata al rilascio, da parte del
Consiglio dell'Unione europea, di una misura di deroga ai sensi
dell'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28
novembre 2006, e successive modificazioni. Le disposizioni di cui al
comma 629, lettera b), nelle more del rilascio, ai sensi
dell'articolo 395 della direttiva 2006/112/CE, della misura di deroga
da parte del Consiglio dell'Unione europea, trovano comunque
applicazione per le operazioni per le quali l'imposta sul valore
aggiunto e' esigibile a partire dal 1° gennaio 2015».
Il successivo periodo del comma 632 poi dispone: «In caso di
mancato rilascio delle suddette misure di deroga, con provvedimento
del direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, da adottare
entro il 30 giugno 2015, l'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla
benzina con piombo, nonche' l'aliquota dell'accisa sul gasolio usato
come carburante, di cui all'allegato I al testo unico delle
disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e
sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al
decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive
modificazioni, sono aumentate in misura tale da determinare maggiori
entrate nette non inferiori a 1.716 milioni di euro a decorrere dal
2015; il provvedimento e' efficace dalla data di pubblicazione nel
sito internet dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli».
Il comma 633 commina, infine, una sanzione amministrativa per
omessi o tardivi versamenti. Dispone, infatti: «Nei confronti degli
enti pubblici cessionari o committenti nei casi previsti dalle
disposizioni di cui al comma 629, lettera b), che omettono o
ritardano il versamento dell'imposta sul valore aggiunto, si
applicano le sanzioni di cui all'articolo 13 del decreto legislativo
18 dicembre 1997, n. 471, e successive modificazioni, e le somme
dovute sono riscosse mediante l'atto di recupero di cui all'articolo
1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311».
Da ultimo e' opportuno precisare che in attuazione dei citati
commi e' stato, emanato dal Ministero dell'economia e delle finanze
il decreto che disciplina le «Modalita' e termini per il versamento
dell'imposta sul valore aggiunto da parte delle pubbliche
amministrazioni» (Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 27 del 3
febbraio 2015).
In tale decreto si precisa, all'art. 9, comma 1 e 2, che «1. Le
disposizioni del presente decreto si applicano alle operazioni per le
quali e' stata emessa fattura a partire dal 1° gennaio 2015.
2. Fino all'adeguamento dei processi e dei sistemi informativi
relativi alla gestione amministrativo contabile e, comunque, non
oltre il 31 marzo 2015, le pubbliche amministrazioni individuate
nell'art. 1 del presente decreto sono tenute ad accantonare le somme
occorrenti per il successivo versamento dell'imposta, da effettuarsi
in ogni caso entro il 16 aprile 2015».
Si tratta di disposizioni viziate d'incostituzionalita' per i
profili che seguono.
Innanzitutto, le disposizioni impugnate risultano lesive
dell'art.117, I comma, della Costituzione la quale impone che «la
potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel
rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
Nel caso di specie, infatti, a fronte della presentazione da
parte del Dipartimento delle finanze alla Commissione europea della
richiesta di una misura in deroga (il meccanismo dello split payment
non e' infatti contemplato dalla normativa armonizzata contenuta
nella direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 o direttiva IVA) ai
sensi dell'art. 395 della direttiva 2006/112/CE, la normativa
impugnata ha previsto l'immediata applicabilita' della stessa a
partire dal 1° gennaio 2015, senza quindi, come detto, attendere la
preventiva autorizzazione del Consiglio dell'Unione europea.
L'art. 395 della direttiva 2006/112/CE, infatti dispone che il
Consiglio «puo' autorizzare ogni Stato membro ad introdurre misure
speciali di deroga alla presente direttiva allo scopo di semplificare
la riscossione dell'imposta o di evitare talune evasioni o elusioni
fiscali» senza prevedere in alcun modo la possibilita', per gli Stati
membri, di introdurre le suddette misure prima del rilascio della
suddetta autorizzazione (7)
E' utile precisare che nello stesso dossier n. 71, dicembre 2014,
del Servizio bilancio del Senato, Nota di Lettura. A.S. 1698:
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015), e' stato precisato che lo
split payment e' invero subordinato alla valutazione del Consiglio
dell'Unione europea (allegato n. 14).
E' quindi evidente la violazione delle regole procedimentali
previste dalla direttiva 2006/112/CE.
La violazione della suddetta direttiva e' stata, peraltro,
rilevata anche nella Documentazione per l'esame di Progetti di legge
- Profili finanziari del 20 dicembre 2014 predisposta dalla Camera
dei deputati dove si afferma: «in merito ai profili di
quantificazione appare opportuna una valutazione del Governo in
merito alla prudenzialita' della previsione, tenuto conto che in caso
di mancato rilascio dell'autorizzazione comunitaria, oltre al mancato
realizzo degli effetti positivi ascritti alla disposizione sullo
split payment a decorrere dal 2015, potrebbe essere attivata una
procedura di infrazione nei confronti dell'Italia» (allegato n. 15).
La suddetta violazione dell'art. 117, I comma, Cost. si riverbera
sulla sfera di competenze delle Regioni per due ordini di motivi.
i) In primo luogo perche' le disposizioni impugnate impongono
fin da subito alle Regione e agli enti del sistema regionale un
irragionevole onere e costo di adeguamento immediato dei sistemi
informativi relativi alla gestione amministrativo contabile,
destinato a rivelarsi inutile qualora non avvenga il rilascio delle
suddette misure di deroga da parte delle autorita' europee.
Si tratta di costi non irrilevanti, dato l'obbligo di operare
tramite fattura elettronica previsto dal decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze del 3 aprile 2013, n. 55, con il quale
e' stato adottato il regolamento in materia di emissione,
trasmissione e ricevimento della fattura elettronica da applicarsi
alle amministrazioni pubbliche Occorre peraltro considerare che detti
costi sono stati sopportati da tutto il sistema regionale, quindi non
solo dalla Regione, ma anche da tutte le aziende sanitarie locali
(oltre che da tutto il sistema degli enti locali), per cui l'impatto
finanziario complessivo dell'onere e' notevole.
Da questo punto di vista, oltre alla sopra evidenziata violazione
dell'art. 117, I comma, si evidenzia una lesione costituzionale anche
dei principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica
amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione. Si
tratta di violazioni che, nel caso di specie, ridondano in una
lesione dell'autonomia amministrativa e finanziaria regionale, di cui
agli artt. 118 e 119, costretta a far fronte, senza alcun contributo
statale, al nuovo costo di adeguamento dei sistemi informatici. Un
costo che, come visto, potrebbe rivelarsi del tutto inutile qualora
l'autorizzazione venisse negata.
ii) In secondo luogo, perche' la Regione, cosi' come gli
altri enti del sistema regionale, non potranno piu' compensare l'IVA
sugli acquisti con quella sulle vendite e dovranno chiederne il
rimborso allo Stato sostenendone l'onere (derivante dalla necessita'
di accompagnare la richiesta di rimborso, in base a quanto prevede in
via generale la normativa vigente, da fideiussione o da visto di
conformita'). Si determina quindi un'ulteriore lesione dell'autonomia
finanziaria regionale.
Questa evenienza si verifica in tutte quelle ipotesi in cui la
Regione si trova a dovere applicare l'IVA nei confronti di altri
soggetti pubblici: a titolo solo esemplificativo si consideri che,
nell'ambito della gestione del BUR regionale (legge regionale n. 29
del 27 dicembre 2011), la Regione vende gli spazi sul BUR a Comuni e
ad altri locali (8) per cui in questi casi non riscuotera' piu',
per effetto del meccanismo dello split payment, l'IVA sulla fatture
di vendita, che i suddetti Comuni ed enti locali verseranno invece
direttamente allo Stato. In tutti questi casi, quindi, la Regione e
gli altri enti del sistema regionale non possono piu' effettuare la
compensazione e dovranno richiedere rimborso alla Stato dell'Iva
sugli acquisti, con i relativi costi di cui sopra.
Da ultimo, riprendendo quando affermato in premessa sulla
violazione del diritto comunitario, occorre precisare come
nell'ipotesi appena descritta (trattandosi di operazioni tra enti
pubblici) non sia, peraltro, in alcun modo configurabile
l'applicabilita' del meccanismo del Quick Reation Mechanism - QRM di
cui all'art. l della Direttiva 2013/42/UE, che modificando la
direttiva 2006/112/CE ha introdotto l'art. 199-ter consentendo a uno
Stato membro di introdurre un meccanismo di reazione rapida (ma
sempre previo consenso della Commissione) per combattere le frodi in
materia di imposta sul valore aggiunto (IVA), notificando l'adozione
di una misura speciale che deroga alla norma generale prevista dalla
direttiva 2006/112/CE, relativa al soggetto debitore dell'IVA. La
suddetta misura, infatti, consiste nell'applicazione del meccanismo
d'inversione contabile dell'IVA per combattere le forme di frode
improvvisa e massiccia, che potrebbero condurre a perdite finanziarie
gravi e irreparabili.
Al riguardo occorre precisare che, in primo luogo il Governo
italiano non ha dichiarato di avvalersi, ne' a rigore nemmeno avrebbe
potuto, del meccanismo QRM, ne' ha effettuato notifiche in tal senso
alle autorita' europee.
In secondo luogo e' del tutto evidente che in ipotesi di
operazioni tra Enti pubblici la prospettazione della condizione delle
frodi massicce e improvvise e' del tutto impossibile da configurare.
In conclusione, quindi, e' evidente che la disciplina censurata
interviene al di fuori dell'ambito di operativita' del QRM e dunque
non puo' ritenersi in alcun modo legittimata in forza di
quest'ultimo.
Istanza di Sospensione
La Regione del Veneto chiede che codesta ecc.ma Corte, nelle more
del giudizio di legittimita' costituzionale delle disposizioni di
legge statale qui censurate, sospenda l'esecuzione dell'art. 1, commi
398, lett. a), b) e c), 414 e 556, nonche' dell'art. 1 comma 629,
lettera b), comma 632, comma 633, ai sensi dell'art. 35 della legge
n. 87/53, come sostituito dall'art. 9 della lgge n. 131/2003, che
tanto consente in presenza di un rischio di pregiudizio grave e
irreparabile all'interesse pubblico o per i diritti dei cittadini.
Quanto all'art. 1, commi 398, lett. a), b) e c), 414 e 556, si
tratta di un taglio alla spesa per beni e servizi adottato, sotto
molteplici profili, in violazione dei criteri stabiliti dalla
giurisprudenza di questa ecc.ma Corte costituzionale, la cui
attuazione, data l'abnorme entita' della misura (oltre 3 miliardi di
euro) e sommandosi a quelle in precedenza attuate (rispetto alle
quali la Corte dei Conti, delibera n. 29 del 29 dicembre 2014, ha
gia' eppure evidenziato come alle Regioni sia stato richiesto «uno
sforzo di risanamento non proporzionato all'entita' delle loro
risorse»), determinerebbe, come piu' ampiamente motivato nel ricorso,
o il sostanziale azzeramento della spesa extra sanitaria per beni e
servizi delle Regioni, e/o la messa a repentaglio, come rilevato
dalla Corte dei Conti sempre nella delibera n. 29 del 29 dicembre
2014, dell'adempimento dei livelli essenziali delle prestazioni in
materia di diritto alla salute.
E' del tutto evidente (anche a prescindere dall'eventuale futuro
raggiungimento di un'intesa con alcune Regioni - al momento in ogni
caso non raggiunta nei termini previsti), l'irreparabilita' del danno
che si verrebbe a verificare nelle more ordinarie del giudizio di
legittimita' costituzionale posto che, qualora l'udienza si svolgesse
non prima della chiusura dell'esercizio finanziario in corso,
inevitabili ripercussioni si saranno verificate sui servizi erogati a
favore dei cittadini.
Quanto all'art. 1, comma 629, lettera b), comma 632, comma 633,
si tratta dell'introduzione di un meccanismo, il cd. split payment
adottato in violazione del diritto comunitario e la cui attuazione
costringerebbe tutto il sistema regionale a sostenere ingenti spese
per un inutile adeguamento di tutti i sistemi informativi e
contabili, con rilevanti danni ed irreparabili danni al sistema
regionale (regione e aziende sanitarie) anche in relazione al
rispetto dei tempi di pagamento delle imprese.
Risponde dunque all'interesse generale sospendere l'esecuzione
delle suddette disposizioni, nelle more del giudizio di legittimita'
costituzionale, dato il concreto rischio di un pregiudizio grave ed
irreparabile per i diritti dei cittadini, nonche' di un irreparabile
pregiudizio all'interesse pubblico.
E' appena il caso di notare come codesta ecc.ma Corte abbia
recentemente riconosciuto la cogenza di ragioni di tenuta
economico-finanziaria, nel contesto della sentenza n. 10 del 2015,
ove ha tenuto «in debita considerazione l'impatto che una tale
pronuncia determina su altri principi costituzionali, al fine di
valutare l'eventuale necessita' di una graduazione degli effetti
temporali della propria decisione sui rapporti pendenti.»
Se in quel caso codesta Corte ha rammentato la necessita' che «la
Costituzione sia garantita come un tutto unitario, in modo da
assicurare «una tutela sistemica e non frazionata» (sentenza n. 264
del 2012) di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione»,
al punto da graduare gli effetti delle proprie decisioni, in questo
caso la mancata sospensiva, e dunque le dinamiche meramente
processuali, potrebbero avere effetti ugualmente irreparabili sul
sistema finanziario regionale.
(1) In realta' nemmeno si poteva affermare con certezza che le
disposizioni del decreto legge n. 66 del 2014 avessero stabilito
un vero e proprio limite temporale ai tagli, tanto che il Dossier
n. 178 del 9 giugno 2014 del Servizio Bilancio della Camera dei
Deputati, a pag. 47 si afferma: «Si rileva, infine, che le norme
recate dall'ultimo periodo del comma 4 stabiliscono che le
riduzioni di spesa hanno natura permanente mentre l'articolo 47
(46), che include le riduzioni di spesa recate dall'articolo in
esame, fissa obiettivi di risparmio per gli enti territoriali
solo fino al 2017. Appare, pertanto, necessario che il Governo
chiarisca se la riduzione delle spese prevista dall'articolo in
esame abbia natura permanente»
(2) Sono annualmente pubblicati sul
sito http://www.mef.gov.it/ministero/commissioni/copaff/
(3) Cfr. per tutti, F. PAMMOLLI , G. PAPA, N. C. SALERNO, La spesa
sanitaria pubblica in Italia: dentro la 'scatola nera' delle
differenze regionali. Il modello SaniRegio, in
http://www.astrid-online.it/Politiche-/Documenti/CERM
Sanit-_26_10_09.pdf
(4) CAMERA DEI DEPUTATI, Commissioni riunite V (Bilancio) e XII
(Affari Sociali), Indagine conoscitiva sulla sfida della tutela
della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi
di finanza pubblica, 4 giugno 2014.
(5) CORTE DEI CONTI, Relazione sulla gestione finanziaria degli enti
territoriali, Deliberazione n. 29 del 29 dicembre 2014, p. VII.
(6) E ancora, la Legge regionale 27 aprile 2012, n. 17 recante
Disposizioni in materia di risorse idriche nell'istituire,
all'art. 3, i Consigli di bacino quali forme di cooperazione tra
i Comuni per la programmazione e organizzazione del servizio
idrico integrato ha stabilito che: 'Ai fini della costituzione
dei Consigli di bacino, i comuni ricadenti negli ambiti
territoriali ottimali di cui all'articolo 2 sottoscrivono la
convenzione per la cooperazione previa presa d'atto della stessa
da parte di ciascun comune, in conformita' al proprio statuto'
(art. 3, comma 2, l.r. n. 17/2012). Analogamente, la Legge
regionale 31 dicembre 2012, n. 52 recante Nuove disposizioni per
l'organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti
urbani ed attuative dell'articolo 2, comma 186 bis della legge 23
dicembre 2009, n. 191 'Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello stato (legge finanziaria
2010), nel costituire, all'art. 4, i consigli di bacino, ha
disposto che: 'gli enti locali ricadenti in ciascun bacino
territoriale approvano una apposita convenzione ai sensi e per
gli effetti dell'articolo 30 del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267'. La suindicata convenzione prevede inoltre la
costituzione di un'assemblea di bacino, presieduta da un
presidente espresso dalla maggioranza dei componenti l'assemblea
e formata dai rappresentanti degli enti locali partecipanti al
consiglio di bacino, o loro delegati (art. 4, commi 1 e 2, l.r.
n. 52/2012).
(7) Art. 395, direttiva 2006/112/CE: '1. Il Consiglio, deliberando
all'unanimita' su proposta della Commissione, puo' autorizzare
ogni Stato membro ad introdurre misure speciali di deroga alla
presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione
dell'imposta o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali. Le
misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione
dell'imposta non devono influire, se non in misura trascurabile,
sull'importo complessivo delle entrate fiscali dello Stato membro
riscosso allo stadio del consumo finale. 2. Lo Stato membro che
desidera introdurre le misure di cui al paragrafo 1 invia una
domanda alla Commissione fornendole tutti i dati necessari. Se la
Commissione ritiene di non essere in possesso di tutti i dati
necessari, essa contatta lo Stato membro interessato entro due
mesi dal ricevimento della domanda, specificando di quali dati
supplementari necessiti. Non appena la Commissione dispone di
tutti i dati che ritiene necessari per la valutazione, ne informa
lo Stato membro richiedente entro un mese e trasmette la domanda,
nella lingua originale, agli altri Stati membri. 3. Entro i tre
mesi successivi all'invio dell'informazione di cui al paragrafo
2, secondo comma, la Commissione presenta al Consiglio una
proposta appropriata o, qualora la domanda di deroga susciti
obiezioni da parte sua, una comunicazione nella quale espone tali
obiezioni. 4. La procedura di cui ai paragrafi 2 e 3 deve essere
completata, in ogni caso, entro otto mesi dal ricevimento della
domanda da parte della Commissione»
(8) Cfr. artt. 5, 11, 17 della Legge regionale n. 29 del 27 dicembre
2011: Art. 5, Articolazione - parte terza: "1. Nella parte terza
del BURVET sono pubblicati: a) le richieste di referendum
regionali e la proclamazione dei relativi risultati; b) le
sentenze e le ordinanze della Corte costituzionale sulle
questioni in cui la Regione e' parte; i ricorsi della Giunta e i
ricorsi del Governo o di altre regioni su questioni di
legittimita' costituzionale e per i conflitti di attribuzione
davanti alla Corte costituzionale in cui la Regione e' parte; c)
le ordinanze con cui gli organi giurisdizionali sollevino
questioni di legittimita' costituzionale di leggi regionali; d) i
bandi e gli avvisi di concorso della Regione e degli altri enti
pubblici, la cui pubblicazione sia disposta da leggi statali o
regionali; e) i bandi e gli avvisi relativi ad appalti della
Regione e degli altri enti pubblici, la cui pubblicazione sia
disposta da leggi statali o regionali; f) gli avvisi e i
comunicati la cui pubblicazione sia disposta dalla Giunta
regionale o dal suo Presidente; g) gli avvisi e i comunicati
finalizzati alla informazione, alla conoscenza o alla
partecipazione al processo di formazione della volonta' della
Regione, la cui pubblicazione sia disposta dal Presidente del
Consiglio regionale; h) gli avvisi e i comunicati di altri enti
pubblici e soggetti privati la cui pubblicazione sia prevista da
leggi statali o regionali.' Art. 11, Tariffe delle inserzioni:
«1. La pubblicazione degli atti della Regione effettuata nel
BURVET e' gratuita. 2. E', altresi', gratuita la pubblicazione
effettuata nel BURVET degli atti di altri enti ed amministrazioni
che siano stati adottati per conto della Regione o su incarico
della stessa. 3. Salvo le ipotesi di cui ai commi 1 e 2, la
pubblicazione degli atti nel BURVET e' subordinata al pagamento
di una tariffa stabilita dalla Giunta regionale." Art. 17, Norma
finanziaria: 1. Le entrate derivanti dall'applicazione
dell'articolo 11 sono introitate nell'upb E0040 "Vendita di Beni"
del bilancio di previsione 2011 e pluriennale 2011-2013
P. Q. M.
la Regione del Veneto chiede che 1'Ecc.ma Corte costituzionale
dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni
della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 recante: «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilita' 2015)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 29
dicembre 2014 - Suppl. Ordinario n. 99:
articolo 1, comma 359, per violazione degli art 3, 97, 117, III e
IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del principio di
leale collaborazione di cui all'art.120 Cost.;
articolo 1, comma 398, lett. a) e b) per violazione degli
articoli 3, 117, II, III e IV comma, 118 e 119 Cost. e del principio
di leale collaborazione di cui all'art.120 Cost.;
articolo 1, comma 398, lett. c) comma 414 e comma 556 per
violazione degli articoli 3, 32, 97, 117, II, III e IV comma, 118 e
119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui
all'art.120 Cost.;
articolo 1, commi 431, 432, 433, 434 per violazione degli
articoli 117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche'
del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost.;
articolo 1, comma 609, per violazione degli artt. 3, 117, III e
IV comma, 118, 123 della Costituzione, nonche' dell'art. 3, comma 2,
dello Statuto della regione Veneto;
articolo 1, commi 611 e 612, per violazione degli artt. 3, 97,
117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' del
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 cost.
articolo 1, comma 629, lettera b), comma 632, comma 633, per
violazione degli articoli 3, 97, 117, comma I, 118 e 119 della
Costituzione.
Si depositano:
1) delibera della Giunta Regionale n. 152 del 10 febbraio 2015,
di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento dell'incarico di
patrocinio per la difesa regionale;
2) Istat. I conti pubblici negli anni della crisi. Rapporto
annuale 2014;
3) Primo rapporto Copaff, Condivisione tra i livelli di governo
dei dati sull'entita' e la ripartizione delle misure di
consolidamento della finanza pubblica, del 16 gennaio 2014, approvato
dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica in data 14 febbraio 2014;
4) Cinsedo, Tabella sulla spesa complessiva per beni e servizi
delle Regioni, 2013;
5) Nota Cinsedo del 6 novembre 2014;
6) Documento finale delle Commissioni riunite V e XII della
Camera dei Deputati, approvato nell'ambito Indagine conoscitiva sulla
sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema
sanitario e obiettivi di finanza pubblica, del 4 giugno 2014;
7) Corte dei Conti, delibera del 29 dicembre 2014, Relazione
sulla gestione finanziaria degli enti territoriali.
8) Richiesta della regione Veneto di procedere alla convocazione
della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza
pubblica;
9) Delibera di Giunta regionale n. 2048 del 19 novembre 2013;
10) Deliberazione Consiglio regionale n. 44 del 2011;
11) Delibera di Giunta regionale n. 259 del 5/3/2013;
12) Delibera di Giunta regionale n. 1931 del 28/10/2013;
13) Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per la
Lombardia, Deliberazione n. 48/2008;
14) Dossier n. 71, dicembre 2014, del Servizio bilancio del
Senato, Nota di Lettura. A.S. 1698: Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita'
2015);
15) Camera dei deputati, Documentazione per l'esame di Progetti
di legge - Profili finanziari del 20 dicembre 2014.
Venezia-Roma, 23 febbraio 2015
avv. Zanon
avv. prof. Antonini
avv. Manzi