N. 32 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 27 marzo 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 27 marzo 2003 (della Regione Emilia-Romagna)
(GU n. 21 del 28-5-2003)

Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della giunta regionale pro-tempore, autorizzato con deliberazione
della giunta regionale n. 426 del 17 marzo 2003 (doc. 1),
rappresentata e difesa - come da procura rogata dal notaio dott.
Federico Stame in data 18 marzo 2003, n. rep. 47041 (doc. 2) -
dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi
di Roma, con domicilio eletto in Roma nello studio dell'avv. Manzi,
via Confalonieri n. 5.
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 16 gennaio
2003, n. 3, recante «Disposizioni ordinamentali in materia di
pubblica amministrazione», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 15
del 20 gennaio 2003, Suppl. ordinario n. 5, con riferimento agli
articoli 4, 7, 9, comma 1; 27, comma 8; 42, 43 e 46, per violazione
degli articoli 3, 117 e 118 Cost., e dei principi costituzionali di
ragionevolezza e proporzionalita', nei modi e per i profili di
seguito indicati.

F a t t o

Nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20
gennaio 2003 e' stata pubblicata la legge 16 gennaio 2003, n. 3
«Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione».
La legge contiene disposizioni riguardanti materie diverse, ma tutte
attinenti all'organizzazione o all'attivita' della pubblica
amministrazione.
Le norme impugnate con il presente ricorso si possono dividere in
due gruppi: il primo riguarda piu' direttamente e piu' generalmente
l'organizzazione della pubblica amministrazione, mentre il secondo
attiene piu' specificamente all'ambito della salute.
Sotto il primo profilo, vengono qui in rilievo (in quanto, ad
avviso della Regione Emilia-Romagna, lesivi delle proprie competenze
costituzionali), innanzi tutto, gli articoli 4, 7 e 9, compresi nel
capo I, intitolato «Disposizioni in materia di pubbliche
amministrazioni». L'art. 4 apporta modifiche al d.lgs. n. 165/2001
(t.u. in materia di pubblica impiego), aggiungendo l'art. 7-bis
(Formazione del personale), che regola in dettaglio i piani di
formazione del personale delle Regioni, degli enti locali e degli
enti da essi dipendenti, violando la competenza regionale in materia
di organizzazione e di formazione; l'art. 7 (Disposizioni in materia
di mobilita' del personale delle pubbliche amministrazioni) aggiunge
l'art. 34-bis sempre al d.lgs. n. 165/01, regolando in dettaglio
l'assegnazione di personale in disponibilita' alle Regioni che
vogliano avviare procedure concorsuali, in violazione dell'art. 117,
commi 3 e 4; infine, l'art. 9 disciplina l'Utilizzazione degli idonei
di concorsi pubblici, prevedendo un regolamento statale in materia di
competenza regionale, in contrasto con l'art. 117, sesto comma, Cost.
Nell'ambito del capo VI, concernente l'«innovazione», risulta poi
lesivo l'art. 27, recante «Disposizioni in materia di innovazione
tecnologica nella pubblica amministrazione».
Sotto il secondo profilo, vengono in rilievo le norme del capo
IX, «Disposizioni in materia di tutela della salute», e precisamente
- oltre all'art. 46, riguardante le sedi farmaceutiche - gli articoli
42 e 43, rispettivamente disciplinanti «Delega per la trasformazione
degli istituti di ricovero e cura o carattere scientifico in
fondazioni e organizzazione a rete di istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico dedicati a parti colori discipline». Si tratta
di disposizioni che, come risulta gia' dalla rubrica dello stesso
capo IX, Incidono inequivocabilmente su materie di competenza
regionale.
In effetti, le disposizioni volte al riordino degli istituti di
ricovero e cura a carattere scientifico, anziche' tenere conto della
potesta' legislativa concorrente sia in tema di assistenza sanitaria
che in tema di ricerca scientifica, stabilita dall'art. 117, terzo
comma, della Costituzione, affidano al Governo l'integrale disciplina
della materia.
Con riferimento specifico agli Istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico, puo' essere qui ricordato che gia' l'art. 28,
comma 8, della legge n. 448/2001 (legge finanziaria per il 2002) -
avversa il quale la ricorrente Regione ha ugualmente presentato
ricorso a a codesta ecc.ma Corte costituzionale - aveva conferito al
Governo il compito di riordinare la materia per il tramite di un
regolamento di delegificazione. Ora, lo strumento del regolamento era
di per se' incostituzionale - essendo pacifico che non e' ammessa la
disciplina regolamentare di materie regionali (v. da ultimo la
sentenza n. 376 del 2002); ma da un punto di vista contenutistico la
lesivita' sostanziale non e' dissimile neppure per il nuovo strumento
del decreto legislativo ora previsto. Infatti, la lesione deriva dal
fatto che il Governo viene delegato non a stabilire «principi
fondamentali» per il riordino di tali istituti da parte delle
Regioni, ma a provvedere esso stesso al riordino.
Che tale sia il senso della delega nella nuova legge appare
evidente sin dal comma 1 dell'art. 42, secondo il quale «il Governo
e' delegato ad adottare ... un decreto legislativo recante norme per
il riordino della disciplina degli istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico di diritto pubblico, di cui al decreto
legislativo 30 giugno 1993, n. 269», ma e' reso poi ulteriormente
evidente dai singoli principi e criteri direttivi di seguito dettati,
sui quali ci si soffermera' nella parte in diritto.
Puo' essere qui ricordato che, in corrispondenza al dovere di
leale collaborazione cui tutte le articolazioni della Repubblica
devono ispirare il proprio comportamento, le Regioni hanno in questi
anni piu' volte sollecitato il Governo ad un confronto sul futuro
assetto della materia degli istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico, anche con particolare attenzione al tema
dell'organizzazione a «rete» degli istituti stessi; e che il Governo,
anziche' corrispondere a tale richiesta (pienamente conforme agli
impegni assunti con l'intesa interistituzionale sancita tra Stato,
regioni ed enti locali dall'Accordo in sede di Conferenza unificata
20 giugno 2002, nella Gazzetta Ufficiale n. 159 del 9 luglio 2002),
ha semplicemente posto in essere prima la normativa dell'art. 28
della menzionata legge n. 448/2001, poi le disposizioni qui
impugnate.
Tutte le disposizioni sopra indicate risultano illegittime e
invasive per la seguenti ragioni di

D i r i t t o

A) Illegittimita' delle disposizioni comprese nel capo I e nel capo
VI.
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 4 per violazione
dell'art. 117, comma 4, Cost.
L'art. 4 della legge n. 3/03 inserisce nel corpo del d.lgs.
n. 165/01 un nuovo art. 7-bis.
In base a tale nuova disposizione, «le amministrazioni di cui
all'art. 1, comma 2, con esclusione delle universita' e degli enti di
ricerca, nell'ambito delle attivita' di gestione delle risorse umane
e finanziarie, predispongono annualmente un piano di formazione del
personale, compreso quello in posizione di comando o fuori ruolo,
tenendo conto dei fabbisogni rilevati, delle competenze necessarie in
relazione agli obiettivi, nonche' della programmazione delle
assunzioni e delle innovazioni normativa e teonologiche»; si precisa
anche che «il piano di formazione indica gli obiettivi e le risorse
finanziarie necessarie, nei limiti di quelle, a tale scopo,
disponibili, prevedendo l'impiego delle risorse interne, di quelle
statali e comunitarie, nonche' le metodologie formative da adottare
in riferimento ai diversi destinatari» (Comma 1). Il comma 2, poi,
prevede che «le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento
autonomo, nonche' gli enti pubblici non economici, predispongono
entro il 30 gennaio di ogni anno il piano di formazione del personale
e lo trasmettono, a fini informativi, alla Presidenza del Consiglio
dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero
dell'economia e delle finanze». Tuttavia, «decorso tale termine e,
comunque, non oltre il 30 settembre, ulteriori interventi in materia
di formazione del personale, dettati da esigenze sopravvenute o
straordinarie, devono essere specificamente comunicati alla
Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione
pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze indicando gli
obiettivi e le risorse utilizzabili, interne, statali o comunitarie»;
e si prevede altresi' che ai predetti interventi formativi si da'
corso qualora, entro un mese dalla comunicazione, non intervenga il
diniego della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento
della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e
delle finanze».
Il comma 1, con tutta evidenza, interviene nelle materie
dell'organizzazione delle Regioni, degli enti locali e degli enti da
essi dipendenti, e della formazione, entrambe materie spettanti alla
potesta' piena delle Regioni ai sensi dell'art 117, comma 4, Cost. In
tali materie nessuna potesta' legislativa compete allo Stato, ove non
vi sia un titolo di intervento a termini dell'art. 117, comma
secondo: ed a maggior ragione risulta lesiva una disciplina quale
quella del comma 1, che regola addirittura in dettaglio i piani di
formazione del personale delle Regioni, degli enti locali e degli
enti da essi dipendenti.
Quanto al comma 2, esso e' letteralmente riferito a tutti gli
enti pubblici, compresi dunque le Regioni, gli enti locali e gli enti
comunque regionali: mentre la competenza statale, a termini
dell'art. 117, comma secondo, lett. g), e' limitata agli «enti
pubblici nazionali». In questi termini, esso e' lesivo (sempre per
violazione dell'art. 117, comma 4, la' dove condiziona gli interventi
in materia di formazione al limite del 30 settembre e al mancato
diniego «della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento
della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e
delle finanze»: organi che nessuna competenza hanno e possono avere
in materia.
Si noti che la disposizione in questione non potrebbe essere
giustificata invocando la competenza statale in materia di
coordinamento della finanza pubblica. Il potere di diniego statale
non e' limitato a ragioni di equilibrio finanziario (del resto, se
fosse cosi', non si vede perche' tale potere sussisterebbe solo dopo
il 30 gennaio) e, comunque, il «coordinamento della finanza»
legittima lo Stato a tutelare l'equilibrio complessivo della finanza
stessa, non ad incidere sulle singole politiche delle Regioni.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, per
violazione dell'art. 117, commi 3 e 4 Cost.
L'art. 7, legge n. 3/03 aggiunge l'art. 34-bis (Disposizioni in
materia, di mobilita' del personale) nel d.lgs. n. 165/01. La nuova
disposizione stabilisce che tutte le amministrazioni, «prima di
avviare le procedure di assunzione di personale, sono tenute a
comunicare ai soggetti di cui all'art. 34, commi 2 e 3, l'area, il
livello e la sede di destinazione per i quali si intende bandire il
concorso nonche', se necessario, le funzioni e le eventuali
specifiche idoneita' richieste» (comma 1). I «soggetti» richiamati
sono quelli che formano e gestiscono gli elenchi del personale in
disponibilita' (per il personale statale o parastatale, si tratta del
Dipartimento della funzione pubblica, per il restante personale si
tratta delle «strutture regionali e provinciali» di cui al d. lgs.
n. 469/1997).
Il comma 2 dispone come segue:
«La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento
della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e
delle finanze e le strutture regionali e provinciali di cui all'art.
34, comma 3, provvedono, entro quindici giorni dalla comunicazione,
ad assegnare il personale collocato in disponibilita' ai sensi degli
articoli 33 e 34, ovvero interessato ai processi di mobilita'
previsti dalle leggi e dai contratti collettivi. Le predette
strutture regionali e provinciali, accertata l'assenza negli appositi
elenchi di personale da assegnare alle amministrazioni che intendono
bandire il concorso, comunicano tempestivamente alla Presidenza del
Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, le
informazioni inviate dalle stesse amministrazioni. Entro quindici
giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, la Presidenza
del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di
concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, provvede ad
assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso il
personale inserito nell'elenco previsto dall'art. 34, comma 2,
nonche' collocato in disponibilita' in forza di specifiche
disposizioni normative».
Il comma 4, poi, prevede che «le amministrazioni, decorsi due
mesi dalla comunicazione di cui al comma 1, possono procedere
all'avvio della procedura concorsuale per le posizioni per le quali
non sia intervenuta l'assegnazione di personale ai sensi del comma
2», mentre il comma 5 stabilisce che «le assunzioni effettuate in
violazione del presente articolo sono nulle di diritto».
Tale disciplina presenta diversi profili: attiene senz'altro e
principalmente all'organizzazione delle Regioni, degli enti locali e
degli da essi dipendenti (materia di potesta' piena delle Regioni, ai
sensi dell'art. 117, comma 4), riguarda anche la tutela del lavoro
(materia di potesta' concorrente) ed e' animata da un fine di
contenimento della spesa pubblica, imponendo l'utilizzo del personale
in disponibilita' in luogo di nuove assunzioni. Dunque, al massimo,
la legge statale doveva limitarsi a dettare principi fondamentali in
materia di tutela del lavoro e di coordinamento della finanza: in
particolare, il principio della previa verifica della possibilita' di
coprire i posti vacanti con personale posto in disponibilita', prima
di avviare la procedure selettive. In questi termini, alle Regioni
sarebbe rimasta la possibilita' di disciplinare, nell'esercizio della
propria potesta' primaria in materia di organizzazione e nel rispetto
del principio fondamentale di cui sopra, le modalita' con cui
procedere a tale verifica (prevedendo, ad es., che essa riguardi
prima il personale presente nell'elenco di cui all'art. 34, comma 3,
d.lgs. n. 165/01 e poi il personale compreso nell'elenco di cui
all'art. 34, comma 2) e le modalita' di selezione del personale
disponibile.
Al contrario, la disposizione qui impugnata detta norme di
dettaglio sulla procedura da seguire, prevedendo l'assegnazione
«d'autorita» del personale alle Regioni, senza che queste possano
selezionare in alcun modo il personale, e addirittura la nullita'
delle assunzioni effettuate in violazione della disposizione stessa.
Ne risulta una rilevante compressione dell'autonomia legislativa ed
organizzativa della Regione, nient'affatto giustificata da esigenze
di coordinamento della finanza, che potevano essere soddisfatte -
come detto - dal semplice principio della necessaria verifica del
personale in disponibilita' (in questo senso, gia' l'art. 34, comma
6, d.lgs. n. 165/01, prevede che, «nell'ambito della programmazione
triennale del personale di cui all'art. 39 della legge 27 dicembre
1997, n. 449, e successive modificazioni ed integrazioni, le nuove
assunzioni sono subordinate alla verificata impossibilita' di
ricollocare il personale la disponibilita' iscritto nell'apposito
elenco»).
Particolarmente lesiva risulta poi la sanzione della nullita'
della assunzione fatta in violazione delle disposizioni ora esposte,
prevista dal comma 5. In effetti, posto che le amministrazioni
assumono sulla base di concorsi pubblici a cio' finalizzati, e' del
tutto inconcepibile, prima ancora che costituzionalmente illegittimo,
che sia considerata nulla l'assunzione del concorrente vincitore del
concorso bandito appositamente in vista di tale assunzione. Infatti,
il problema della legittinta' si pone, semmai, in relazione al bando
di concorso, e non puo' porsi isolatamente in relazione alla
assunzione che consegue al concorso. E' dunque evidente che la
sanzione della nullita' della assunzione da un lato vanifica
l'attivita' amministrativa compiuta, dall'altro palesemente viola
l'affidamento che i concorrenti hanno riposto nella possibilita' di
assunzione all'atto della partecipazione al concorso, a maggiore
ragione una volta che essi siano risultati vincitori.
In questi termini, la norma qui contestata costituisce una
impropria sanzione di presunte illegittimita' dei procedimenti
selettivi di assunzione delle Regioni e degli enti ai quali si
estende la potesta' legislativa regionale.
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art 9, comma 1, per
violazione dell'art. 117, comma 6, Cost.
L'art. 9 legge n. 3/03 riguarda l'Utilizzazione degli idonei di
concorsi pubblici. Esso stabilisce che, «a decorrere dal 2003,... con
regolamento emanato ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23
agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro per la funzione
pubblica, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
sono stabiliti le modalita' i criteri con i quali le amministrazioni
dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici non
economici possono ricoprire i posti disponibili, nel limiti della
propria dotazione organica, utilizzando gli idonei, delle graduatorie
di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del medesimo
comparto di contrattazione» (comma 1). Il comma 2 precisa, poi, che
«le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono
alle finalita' del presente capo secondo le rispettive competenze
previste dai relativi statuti e dalle norme di attuazione».
Quest'ultima disposizione non risulta chiara: da un lato, perche'
essa sembra far salve le competenze delle Regioni in riferimento a
tutte le norme «del presente capo», ma e' collocata nel secondo comma
di una singola disposizione, dall'altro perche' menziona le «Regioni»
in genere ma poi richiama le competenze «previste dai relativi
statuti e dalle norme di attuazione», il che puo' valere solo per le
Regioni speciali.
E' dunque incerto quale sia la portata del comma 2, mentre e'
certo il fatto che il comma 1 istituisce un potere regolamentare in
materia di potesta' regionale piena (organizzazione regionale, degli
enti locali e degli enti da essi dipendenti), in violazione dell'art.
117, comma 6. La conclusione, naturalmente, non cambierebbe volendo
dare rilievo al profilo della tutela del lavoro, che ricade nell'art.
117, comma 3, e dunque non e' disciplinabile da regolamenti statali.
La censura, invece, verrebbe meno se l'art 9, comma 1, fosse da
riferire ai soli enti pubblici nazionali.
4. - Illegittimita' costituzionale dell'art 27, comma 8, per
violazione dell'art. 117, comma 4, Cost.
L'art. 27, comma 8, 1egge n. 3/03 stabilisco che «entro un anno
dalla data di entrata in vigore della presente legge sono emanati uno
o piu' regolamenti, ai sensi dell'art. 117, sesto comma, della
Costituzione e dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988,
n. 400, per introdurre nella disciplina vigente le norme necessarie
ai fini del conseguimento dei seguenti obiettivi: a) diffusione dei
servizi erogati in via telematica ai cittadini e alle imprese, anche
con l'intervento dei privati, nel rispetto dei principi di cui
all'art. 97 della Costituzione e dei provvedimenti gia' adottati; b)
diffusione e uso della carta nazionale dei servizi; c) diffusione
dell'uso delle firme elettroniche; d) ricorso a procedure telematiche
da parte della pubblica amministrazione per l'approvvigionamento di
beni e servizi, potenziando i servizi forniti dal Ministero
dell'economia e delle finanze attraverso la CONSIP S.p.a.
(concessionaria servizi informativi pubblici); e) estensione dell'uso
della posta elettronica nell'ambito delle pubbliche amministrazioni e
dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e privati; f)
generalizzazione del ricorso a procedure telematiche nella
contabilita' e nella tesoreria; g) alfabetizzazione informatica dei
pubblici dipendenti; h) impiego della telematica nelle attivita' di
formazione dei dipendenti pubblici; i) diritto di accesso e di
reclamo esperibile in via telematica da parte dell'interessato nei
confronti delle pubbliche amministrazioni».
Tale disposizione incide - come mostrato dalla stessa rubrica
della disposizione, «Disposizioni in materia di innovazione
tecnologica nella pubblica amministrazione» - essenzialmente sulla
materia dell'organizzazione interna delle Regioni, degli enti locali
e degli enti pubblici di carattere regionale; inoltre, essa riguarda
anche la materia della formazione (lettere g e h). Comunque, si
tratta di materie di competenza regionale.
Dunque, risulta illegittima la previsione di un regolamento
statale (ex art. 117, comma 6, Cost.), e non si comprende a quale
competenza esclusiva statale intenda riferirsi il comma qui
impugnato, quando richiama l'art. 117, comma 6, e, dunque,
indirettamente, l'art. 117, comma 2. Sembra evidente che la
disciplina del regolamento dovra' invece valere per lo Stato e per
gli enti pubblici nazionali, mentre spetta alle Regioni la disciplina
per le amministrazioni cui si riferisce la legislazione regionale.
B) Illegittimita' delle disposizioni comprese nel capo IX.
Occorre ora illustrare l'illegittimita' costituzionale delle
disposizioni comprese nel capo IX, rubricato come «Disposizioni in
materia di tutela della salute». Vengono in rilievo, in primo luogo,
gli articoli 42 e 43, riguardanti, come gia' visto, gli IRCCS.
Premessa la disciplina degli Istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico e la sua evoluzione.
Secondo la definizione legislativa codificata nell'art 42 della
legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre
1978, n. 833), gli Istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico sono enti, con personalita' giuridica di diritto pubblico
o di diritto privato, «che insieme a prestazioni sanitarie di
ricovero e cura svolgono specifiche attivita' di ricerca scientifica
biomedica».
Proprio la compresenza di assistenza e ricerca fu, storicamente,
la ragione addotta per escludere l'assimilazione di tali istituti al
regime proprio degli enti e dei presidi ospedalieri. Poiche'
l'assistenza competeva alle Regioni e la ricerca competeva allo
Stato, si decise, con l'entrata in vigore del Servizio sanitario
nazionale, di attribuirne il regime giuridico-amministrativo alla
competenza statale e la «parte assistenziale» alle competenze
regionali (come gia' si esprimeva l'art. 1 della legge 12 febbbraio
1968, n. 132, c.d. legge Mariotti, ripreso sul punto dall'art. 28,
comma 2, del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616): secondo la formulazione
originaria della legge n. 833 tali istituti «per la parte
assistenziale sono considerati presidi multizonali delle unita'
sanitarie nel cui territorio sono ubicati»; secondo la formulazione
poi codificata dall'art. 8-bis, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992 (nel
testo introdotto dal d.lgs. a 229/1999), di essi la Regione si avvale
per l'erogazione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza.
In effetti, i vari successivi interventi di «riordino» hanno
conservato l'assetto ora descritto, rafforzando pero'
progressivamente, sotto il profilo organizzativo, l'assimilazione
degli istituti ai corrispondenti enti svolgenti attivita'
ospedaliera.
Un passo particolarmente importante in questa direzione e' stato
compiuto con il decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 269, recante
riordinamento degli Istituti nel quadro della piu' generale delega
contenuta nella legge 23 ottobre 1992, n. 421, il quale ha disposto
un sostanziale allineamento degli istituti stessi, quanto a
organizzazione, compiti, personale, patrimonio e contabilita', alle
neocastituite Aziende sanitarie pubbliche - in particolare alle
Aziende ospedaliere - qualificandone espressamente le strutture ed i
presidi ospedalieri come «ospedali di rilievo nazionale e di alta
specializzazione» ed assoggettandoli alla disciplina per questi
prevista, con lo finalita' peculiari di ciascun istituto (art. 1,
comma 3 del citato d.lgs. n. 269/1993). Peraltro, la mancata
emanazione dei regolamenti di attuazione delle disposizioni del
d.lgs. n. 269/1993 ha fatto si che tale riordino non divenisse mai
operativo, con la conseguenza che gli Istituti sono rimasti
assoggettati alla disciplina contenuta nel d.p.r. 31 luglio 1980,
n. 617 (emanao a suo tempo in forza del menzionato art. 42 della
legge n. 833/1978), del quale il d.lgs. n. 269 aveva bensi' disposto
(all'art. 8) l'abrogazione espressa, condizionandola tuttavia
all'approvazione di detti regolamenti.
Da allora si e' aperto per gli Istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico un periodo di grande incertezza e precarieta'
normativa e un vero e proprio «stallo istituzionale», formalizzato a
partire dal decreto-legge 30 giugno 1994, n. 419, in una situazione
di commissariamento che, sulla base di ulteriori provvedimenti
nominato d'urgenza emanati allo scopo, perdura tuttora (si veda da
ultimo il decreto-legge 19 giugno 1997, n. 171).
La gia' accentuata tendenza alla assimilazione alle strutture del
servizio sanitario e' confermata in tempi piu' recenti dal decreto
legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (c.d. riforma-ter del Servizio
sanitario nazionale), che ha modificato l'art. 4 del d.lgs. 30
dicembre 1992, n. 502, prevedendo la possibilita' di costituire o
confermare gli Irccs in aziende, cui applicare la disciplina
organizzativa generale delle aziende del Servizio sanitario
nazionale, «con le particolarita' procedurali e organizzative
previste dalle disposizioni attuative dell'art. 11, comma 1, lettera
b) della legge 15 marzo 1997, n. 59» (peraltro anche in tal caso non
adottate) e prevedendo comunque che, sino all'emanazione ditali
disposizioni attuative, agli istituti stessi si applichino «le
disposizioni generali relative alla dirigenza sanitaria, ai
dipartimenti, alla direzione sanitaria e amministrativa aziendale e
al collegio di direzione». La stessa tendenza ha poi trovato
ulteriore conferma, sotto il profilo del finanziamento, nell'art. 10,
comma 1, lett. a) della legge n. 133/1999, come modificato
dall'art. 83, comma 1, della legge n. 388/2000.
L'esame dell'evoluzione della disciplina legislativa degli
istituti di ricovero e cura a carattere scientifico mostra dunque con
chiarezza la loro progressiva attrazione nell'ambito del servizio
sanitario, e dunque verso la competenza regionale, con la sola
perdurante eccezione del profilo dell'attivita' di ricerca, materia
nella quale le Regioni non avevano competenza costituzionale.
Tuttavia, la competenza anche in tale materia e' stata data alle
Regioni dalla nuova versione dell'art. 117 Cost, ove essa si trova
inserita nell'elenco delle materie in cui la Regione ha potere
legislativo, entro i principi fondamentali» definiti dalla legge
dello Stato.
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, nel suo
complesso, per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost. in quanto
delega il Governo al riordino degli Istituti anziche' fissare i
principi fondamentali per l'attuazione del riordino da parte delle
Regioni.
Come sopra esposto, dell'art. 42 della legge 16 gennaio 2003,
n. 3 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore della legge, un decreto legislativo recante norme
per un riordino della disciplina degli istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico. Si tratta di disciplina rientrante sia nella
materia tutela della salute - alla quale l'attivita' degli istituti
e' in larghissima e crescente misura finalizzata - sia nella materia
ricerca scientifica. Entrambe tali materie sono individuate
dall'art. 117, comma 3, della Costituzione, quali materie di
legislazione concorrente. Ed in tali materie, a termini della stessa
disposizione, «spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che
per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato».
Ne deriva, di conseguenza, che la legislazione statale, sia
espressa direttamente dal Parlamento, sia eventualmente posta nella
forma del decreto legislativo, sulla base di apposita delega, deve
avere quale proprio oggetto la determinazione dei principi
fondamentali, al cui interno le Regioni sono chiamate a dettare la
disciplina specifica ed operativa.
La disposizione impugnata delega invece il Governo al riordino
della disciplina degli istituti suddetti, e non alla sola
determinazione dei nuovi principi fondamentali. Inoltre, i principi e
criteri direttivi costituiscono gia' essi i principi fondamentali
della materia (pur se, come si dira', ad avviso della ricorrente
Regione in parte essi stessi incostituzionali): sicche' il Governo e'
in realta' delegato a porre la disciplina di dettaglio di competenza
delle Regioni. Di piu', l'esistenza stessa della competenza
legislativa regionale in tale materia risulta estranea al complessivo
impianto della delega.
Cosi', se anche non si volesse interpretare la formula
legislativa per quello che appare dal suo tenore letterale («riordino
della disciplina», appunto), ma intendere tale espressione come se si
riferisse ai «principi fondamentali per il riordino della
disciplina», tale interpretazione «adeguatrice» non troverebbe poi
riscontro concreto nei singoli criteri e principi della delega, come
si evince facilmente dai compiti affidati al legislatore delegato e
dal tenore stesso delle parole impiegate dal legislatore statale
delegante per indirizzarne l'attivita': disciplinare, individuare
misure, prevedere strumenti, rendere provvedimenti ministeriali,
disciplinare modalita', regolamentare procedimenti, trasferire
patrimonio e personale, e cosi' via.
Del resto, i principi e criteri direttivi che il legislatore
delegante ha posto per l'esercizio della delega sono in molti casi,
come si dira' appresso, di natura tale da consentire uno sviluppo
solo mediante una normativa di mero dettaglio, la quale costituisce
la soglia minima di cio' che spetta alle Regioni.
Quanto qui affermato non e' certo smentito dalla circostanza che
la lettera a) del comma 1 disponga che la trasformazione degli
Istituti (peraltro, come si dira', da parte del Ministro e in un
regime di vigilanza ministeriale) avvenga «nel rispetto delle
attribuzioni delle regioni». Invero, a parte il fatto che tale
rispetto avrebbe ovviamente dovuto essere riferito all'intera delega
e non solo a un suo pur importante principio, tale formula, letta
sistematicamente nel contesto di una delega all'emanazione di
disciplina dettagliata in un quadro di gestione accentrata,
costituisce una mera formula di stile, smentita dal contenuto stesso
della delega e dunque insuscettibile di guidare l'azione del
legislatore delegato.
Non varrebbe poi apporre che la riserva allo Stato della
disciplina degli Istituti scientifici di ricovero e' tradizionale
nell'ordinamento italiano. Infatti, la ragione per la quale tali
istituti non erano stati riportati alla competenza piena delle
Ragioni consisteva, come detto, nell'intersecazione di due attivita',
quella di ricerca e quella di assistenza, rientranti la prima
(secondo le ricostruzioni prevalenti) nella competenza anche
amministrativa statale e la seconda fra le funzioni legislative e
amministrative regionali in materia di assistenza sanitaria e
ospedaliera.
Ne consegue che oggi, ricondotta anche la ricerca scientifica nel
novero delle materie di legislazione concorrente, la disciplina
dell'assetto degli istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico va considerata come compresa interamente nella competenza
regionale, fermi restando ovviamente i principi fondamentali posti
dalla legislazione statale.
Ne' a tale inevitabile conclusione puo' fare ostacolo la
competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento e
organizzazione amministrativa degli «enti pubblici nazionali», di cui
all'art. 117, comma 2, lett. g).
E' chiaro, infatti, che tale competenza non si riferisce a tutti
gli enti che nel precedente riparto costituzionale fossero soggetti
alla potesta' legislativa statale, ma esclusivamente a quelli che,
anche nell'ambito del nuovo riparto, non possano che continuare a
vivere quali enti nazionali: o perche' operano in materie esse stesse
riservate allo Stato (come ad esempio accade per la previdenza
sociale), o perche' fonti legittimate prevedano in altre materie
l'esistenza di enti nazionali, a tutela di interessi infrazionabili.
Questo non e' certamente il caso degli Istituti di ricovero e
cura a carattere scientifico, che al contrario hanno sempre operato
su base marcatamente territoriale. La qualifica di «nazionali» che
talora e' stata ad essi data (ad esempio, dall'art. 1 del citato
d.lgs. n. 269/1993, mentre l'art. 1, comma 1, lett. t) della legge
delega n. 421/1992 parlava di «istituti di rilievo nazionale»),
dipendeva dalla loro natura di enti di ricerca, funzione all'epoca
esclusivamente statale-nazionale. D'altronde, che le funzioni statali
concernenti il regime giuridico-amministrativo degli Irccs si
giustificassero proprio in forza della competenza in tema di ricerca
e' stato affermato a chiare lettere da codesta ecc.ma Corte
costituzionale nella sent. n. 338 del 1994 (punto 3, in fine, del
«considerato in diritto»; in senso conforme v. altresi' la sent.
n. 285 del 1974): in piena armonia, sulla questione, con quanto
affermato sia da parte regionale che da parte statale.
Tale qualifica non era peraltro ripresa dall'art. 121 del d.lgs.
n. 112/1998, il quale al contrario si occupa al primo comma delle
funzioni dello Stato nei confronti degli enti che operano su scala
nazionale, mentre al secondo comma affianca gli Irccs agli istituti
zooprofilattici sperimentali, pacificamente non rientranti tra gli
enti pubblici nazionali. Dunque, il carattere «nazionale» degli Irccs
non solo si ricollegava, del tutto pacificamente, all'idea che la
ricerca scientifica spettasse esclusivamente allo Stato (competenza
ribadita dagli art. 121 e 125 del menzionato decreto legislativo
112/1998), ma era gia' stato superato dalla legislazione di rango
primario ancor prima della riforma costituzionale operata dalla legge
costituzionale n. 3 del 2001.
Del resto, lo stesso art. 42, comma 1, lett. a), della legge qui
impugnata qualifica le fondazioni che verrebbero a risultare dalla
trasformazione degli IRCCS come «fondazioni di rilievo nazionale» e
non come enti nazionali.
Ma in denitiva, come sopra accennato, al di la' delle
qualificazioni legislative, e' chiaro che ai sensi dell'art. 117,
comma secondo, gli enti nazionali sono esclusivamente quelli che
abbiano necessariamente un ambito di operativita' e una
organizzazione di carattere nazionale; e che non possono essere
qualificati, al contrario, come enti nazionali enti che vivono ed
operano in un ambito territoriale localizzato.
Neppure varrebbe obiettare che, essendo stati finora gli IRCCS
soggetti alla sola disciplina statale, il legislatore statale puo'
intanto porre in essere una disciplina completa di riordino, fondata
sia su norme di principio che di dettaglio, e che le Regioni potranno
in futuro sostituire norme proprie a quelle statali di dettaglio.
In primo luogo, infatti, va ricordato che l'attuale testo
dell'art. 117, comma terzo, espressamente limita il potere
legislativo dello Stato alla posizione dei principi.
In secondo luogo, l'obiezione potrebbe avere consistenza, se si
superasse quanto ora detto, se i principi fondamentali posti dalla
legge statale fossero concepiti come principi regolatori di un
sistema regionale, con norme di dettaglio comunque adeguate a tale
sistema: mentre quelli posti dalle disposizioni qui impugnate sono al
contrario principi regolatori di un sistema a legislazione e in larga
misura anche ad amministrazione statale centralizzata.
In terzo luogo, nel momento in cui il legislatore pone norme che
costituiscono in realta', come detto, concrete e specifiche scelte
organizzative - e che dunque sono gia' eccessivamente dettagliate e
concrete rispetto alla attribuzione in materia di «tutela della
salute» - non vi e' alcuna ragione che possa giustificare una
ulteriore fase di legislazione statale (nella forma del decreto
legislativo) anziche' direttamente la fase della attuazione
regionale. Una simile ragione non puo' trovarsi neppure in una
eventuale urgenza di realizzare il nuovo ordinamento degli istituti:
perche' un termine non dissimile a quello concesso per l'esercizio
della delega puo' essere ugualmente dato alle Regioni per la loro
disciplina, all'interno dei principi stabiliti dalla legge statale.
Se dunque gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico
sono semplicemente enti pubblici operanti in materia ormai di
competenza concorrente delle Regioni, ne consegue la piena fondatezza
della censura qui rivolta all'art. 42, comma 1, della legge n. 3 del
2003, di avere delegato il Governo a dettare la disciplina integrale
del riordino di tali istituti, anziche' dettare i principi
fondamentali tenendo conto della potesta' legislativa concorrente
delle Regioni: come emerge dal tenore dei singoli principi e criteri
direttivi, e dalla mancanza, tra essi, di un criterio rivolto al
rispetto dei limiti derivanti dalla potesta' legislativa delle
Regioni. In sostanza, la legge pone per il Governo quegli stessi
principi fondamentali che avrebbe dovuto porre per le Regioni, e li
pone con il contenuto proprio di un sistema legislativo, e in parte
persino amministrativo, centralizzato anziche' conformarsi ai
principi costituzionali.
2. - Specifica illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma
1, lettera a), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
Secondo l'art. 42, comma 1, lettera a) della legge 16 gennaio
2003, n. 3, il Governo dovra', come primo principio e criterio
direttivo della delega, «prevedere e disciplinare, nel rispetto delle
attribuzioni delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano, le modalita' e le condizioni attraverso le quali il Ministro
della salute, d'intesa con la regione interessata, possa trasformare
gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto
pubblico, esistenti alla data di entrata in vigore della presente
legge, in fondazioni di rilievo nazionale, aperte alla partecipazione
di soggetti pubblici e privati e sottoposte alla vigilanza del
Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze,
ferma restando la natura pubblica degli istituti medesimi».
La formulazione, che riprende quella del menzionato art. 28 della
legge n. 448/2001 (che peraltro ai riferiva ad un regolamento di
delegificazione), e' in primo luogo oscura e contraddittoria. Essa
dispone che si faccia salva la «natura pubblica degli istituti», ma
nel contempo altre lettere (vedi le lett. e ed l) qualificano le
neoistituite fondazioni come enti aventi una natura no-profit.
E' previsto il «rispetto delle attribuzioni delle Regioni», ed e'
altresi' prevista una «intesa con la regione interessata». Ma l'uno e
l'altra si riferiscono soltanto alla determinazione delle modalita' e
delle condizioni attraverso le quali il Ministro della salute
provvederebbe a «trasformare gli istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico di diritto pubblico, esistenti alla data di
entrata in vigore della presente legge, in fondazioni di rilievo
nazionale, aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati
e sottoposte alla vigilanza del Ministero della salute e del
Ministero dell'economia e delle finanze». Il presunto «rispetto» e'
dunque contraddetto dal tenore stesso del criterio direttivo.
E' palese che, anziche' disporre che il decreto legislativo
delegato stabilisca i principi per la legislazione regionale, la
lett. a) illegittimamente dispone la competenza del Ministro della
salute alla «trasformazione» e non meno illegittimamente dispone che
le nuove fondazioni pubbliche siano soggette alla vigilanza dello
stesso Ministero della salute oltre che a quella del Ministero
dell'economia e delle finanze, per vero del tutto estraneo ad ogni
competenza in materia.
Si noti che la disposizione, oltre che violare il riparto di
competenze legislative previsto dall'art. 117, comma terzo, viola
anche i criteri dati ai legislatori per la disciplina della
titolarita' delle funzioni amministrative dall'art. 118 Cost, posto
che - se pure vi fosse in materia una competenza statale alla
disciplina diretta - e' fuori di dubbio che la Regione sarebbe il
livello adeguato per deliberare e gestire l'eventuale trasformazione
casi come per esercitare la vigilanza, in connessione con i propri
compiti generali in materia di tutela della salute e di gestione del
servizio sanitario.
3. - Illegittimita' costiluzionale dell'art 42, comma 1, lettera
b), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
Secondo l'art. 42, comma 1, lettera b), il Governo dovrebbe
«prevedere che i nuovi enti adeguino la propria organizzazione al
principio di separazione tra le funzioni di indirizzo e controllo, da
un lato, e gestione e attuazione dall'altro, garantendo, nell'organo
di indirizzo, composto dal consiglio di amministrazione e dal
presidente eletto dal consiglio di amministrazione, la presenza
maggioritaria di membri designati dalle istituzioni pubbliche,
Ministero della salute, regioni e comuni, con rappresentanza
paritetica del Ministero della salute e della regione interessata, e
assicurando che la scelta di tutti i componenti del consiglio sia
effettuata sulla base di idonei requisiti di professionalita' e
onorabilita', periodicamente verificati; dell'organo di gestione
fanno parte il direttore generale-amministratore delegato, nominato
dal consiglio di amministrazione, e il direttore scientifico
responsabile della ricerca, nominato dal Ministero della salute,
sentita la regione interessata».
Si tratta, tipicamente, di un indirizzo che dovrebbe essere dato
non al Governo per la emanazione di un decreto legislativo, ma alle
Regioni per l'esercizio della potesta' legislativa loro spettante
nella materia: sicche' anche qui si manifesta quella generale
illegittimita' della delega di cui si e' detto al punto 1).
Premesso dunque che l'intero principio dovrebbe essere rivolto al
legislatore regionale e non al Governo, illegittimo poi nel contenuto
e' il vincolo posto di assicurare la rappresentanza paritetica del
Ministero della salute e della Regione «interessata» (in realta'
competente), che rappresenta una indebita ingerenza del Ministero in
compiti di gestione locali. Illegittima altresi', in quanto non
costituisce affatto norma di principio in materia di «tutela della
salute», la disciplina della composizione degli organi di
amministrazione, compresa la riserva della nomina del «direttore
generale amministratore delegato» al consiglio di amministrazione, ed
evidentemente ancora piu' illegittima la previsione che «il direttore
scientifico responsabile della ricerca» sia «nominato dal Ministero
della salute, sentita la regione interessata», anziche' dalla Regione
competente. Il mero ruolo consultivo della Regione in ordine alla
nomina del direttore scientifico, se poteva poi avere una qualche,
sia pur discutibile, giustificazione nel precedente assetto
costituzionale, non appare piu' rispondente all'inclusione della
ricerca scientifica tra le materie di legislazione concorrente.
Si tratta comunque, in generale, di norma di dettaglio sulla
composizione degli organi degli Irccs, che appare lesiva delle
competenze regionali.
4. - Specifica illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma
1, lettera c), per violazione degli artt. 3, 117, comma 3, e 118
Cost.
L'art. 42, comma 1, lettera c) della legge 16 gennaio 2003, n. 3
stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «di
trasferire ai nuovi enti, in assenza di oneri, il patrimonio, i
rapporti attivi e passivi e il personale degli istituti trasformati».
Inoltre «il personale gia' in servizio all'atto della trasformazione
puo' optare per un contratto di lavoro di diritto privato, fermi
restando, in ogni caso, i diritti acquisiti».
La previsione del trasferimento del personale ai nuovi enti con
disciplina statale concretizza un'evidente lesione di attribuzioni
regionali, tenuto conto che si tratta di personale regionale e il cui
stato giuridico e' del tutto assimilabile a quello del restante
personale delle aziende sanitarie regionali. Inoltre, la previsione
derogatoria di un diritto del personale in servizio ad un «contratto
di lavoro di diritto privato» - previsione davvero originale se si
considera che si tratta di personale gia' «privatizzato» - non puo'
che significare un'opzione per la fuoriuscita dall'ambito
disciplinato dal d.lgs. n. 165/2001.
Sembra evidente che si tratta non di un principio, ma di un
privilegio che si vorrebbe dare ad una specifica categoria di
personale regionale, in violazione dell'autonomia legislativa delle
Regioni e dello stesso art. 3 Cost. In ogni modo, nella misura in cui
si trattasse di una differenziazione legittima, si tratterebbe di una
scelta operativa e organizzativa necessariamente da riservare alla
Regione, anche considerato il riverbero che essa verrebbe ad avere
sul restante personale del Servizio sanitario regionale.
5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera
d), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
L'art. 42, comma 1, lettera d) della legge 16 gennaio 2003, n. 3,
stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di
«individuare, nel rispetto della programmazione regionale, misure
idonee di collegamento e sinergia con le altre strutture di ricerca e
di assistenza sanitaria, pubbliche e private, e con le universita',
al fine di elaborare e attuare programmi comuni di ricerca,
assistenza e formazione».
La disposizione concerne materia chiaramente rientrante nelle
competenze regionali di assistenza sanitaria e di ricerca e pertanto
spetta alla Regione l'esercizio dei compiti di coordinamento con le
altre strutture di ricerca e sanitarie locali. D'altronde, non si
vede come l'individuazione di «misure idonee di collegamento e
sinergia» possa concretizzarsi nella fissazione di un principio
fondamentale da attuarsi dalla legge regionale, laddove invece
proprio quanto disposto dalla lett. d) e' suscettibile di valere
direttamente quale principio guida della legge regionale attuativa.
6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42. comma 1, lettera
e), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
L'art. 42, comma 1, lettera e) della legge 16 gennaio 2003, n. 3,
stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere
strumenti che valorizzino e tutelino la proprieta' dei risultati
scientifici, ivi comprese la costituzione e la partecipazione ad
organismi ed enti privati, anche aventi scopo di lucro, operanti nel
settore della ricerca biomedica e dell'industria, con modalita' atte
a salvaguardare la natura no-profit delle fondazioni».
Si tratta, a tutta evidenza, di un oggetto rientrante nella
potesta' regionale concorrente.
Si noti infatti che non si tratta qui della disciplina
civilistica della proprieta' intellettuale scientifica, ma degli
strumenti organizzativi per la incentivazione e la migliore
utilizzazione delle proprieta' dei risultati scientifici.
Anche in questo caso, la disposizione puo' valere direttamente
come principio di indirizzo per la legislazione regionale, mentre
l'individuazione concreta degli strumenti organizzativi e delle
modalita' e' cio' che spetta alla legislazione regionale.
Tenuto conto che a tali «fondazioni» andrebbe pur sempre
assicurato un rilevante margine di autonomia gestionale, non appare
residuare alcuno spazio, per scelte ulteriori «di principio» del
legislatore delegato, le quali non potrebbero che occupare lo spazio
della legge regionale.
7. - Illegittimita' costituzionale dell'art 42. comma 1, lettera
f), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
L'art. 42, comma 1, lettera f) della legge 16 gennaio 2003, n. 3
stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere
che il Ministro della salute assegni a ciascuna fondazione, o a
fondazioni aggregata a rete, diversi e specifici progetti finalizzati
di ricerca, anche fra quelli proposti dalla comunita' scientifica,
sulla base dei quali aggregare scienziati e ricercatori considerando
la necessita' di garantire la qualita' della ricerca e valorizzando
le specificita' scientifiche gia' esistenti o nelle singole
fondazioni ovvero nelle singole realta' locali».
A parte l'oscurita' e la genericita' del riferimento alle
«singole realta' locali» (se si riferisse anche alle aziende
sanitarie, per le quali e' pacifico che la competenza oggetto di tale
principio di delega sia regionale, sarebbe certamente invasivo di
competenze gia' in essere in capo alle Regioni), la disposizione
conferisce compiti amministrativi allo Stato in sede di assegnazione
di progetti che gia' attualmente sono assegnati sulla base di
appositi bandi il cui testo e' definito mediante Accordo sancito in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni
e le Province autonome di Trento e di Bolzano (si veda, a titolo di
esempio, il verbale della seduta della suddeta Conferenza in data 18
aprile 2002). Una siffatta previsione, oltre a contrastare con la
situazione in atto, non tiene minimamente in considerazione la
circostanza che, in seguito alle modificazioni del sistema di
finanziamento del Fondo sanitario nazionale, la ricerca finalizzata,
compresa quella svolta dagli Irccs, e' oggi finanziata
prevalentemente su fondi di provenienza regionale e che pertanto si
impone una revisione della relativa disciplina in senso esattamente
apposto a quello del principio di delega in esame.
La disposizione censurata, in altre parole, viene a ridurre le
competenze dei livelli di governo regionali, rispetto a procedimenti
gia' attualmente in essere: mentre il compito del legislatore era
invece quello di dettare i principi in base ai quali le Regioni
possano esercitare la loro competenza legislativa e quella
amministrativa di coordinamento del sistema locale della ricerca
finalizzata agli obiettivi di salute.
8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera
g), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
L'art. 42, comma 1, lettera g), della legge 16 gennaio 2003,
n. 3, stabilisce, tra i pricipi e criteri direttivi, quello di
«disciplinare le modalita' attraverso le quali applicare i principi
di cui al presente articolo agli istituti di ricovero e cura a
carattere scientifico di diritto privato, salvaguardandone
l'autonomia giuridico-amministrativa».
Al pari della precedente lettera f), anche questo criterio di
delega invade direttamente le competenze legislative delle regioni,
come si evidenzia dalla stessa formula impiegata: «applicare i
principi» anziche' dettare o stabilire i principi. Si tratta in
realta' anche in questo caso di un principio di indirizzo che e'
suscettibile di essere attuato direttamente dal legislatore
regionale, mentre ogni ulteriore specificazione uscirebbe dall'ambito
della potesta' legislativa statale.
9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1, lettera
i), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
L'art. 42, comma 1, lettera i), della legge 16 gennaio 2003,
n. 3, stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di
«disciplinare le modalita' attraverso le quali le fondazioni, nel
rispetto degli scopi, dei programmi e degli indirizzi deliberati dal
consiglio di amministrazione, possono concedere ad altri soggetti,
pubblici e privati, compiti di gestione, anche di assistenza
sanitaria, in funzione della migliore qualita' e maggiore efficienza
del servizio reso».
Qui l'invasione del campo regionale e' per cosi' dire dichiarata
(ed enfatizzata, anche rispetto all'assetto precedente la riforma
costituzionale, dall'inciso «anche di assistenza sanitaria»). In tali
campi il legislatore statale deve limitarsi a porre una disciplina di
principio, che esclude in quanto tale la «disciplina delle modalita».
La disposizione potrebbe semmai valere direttamente quale principio
di indirizzo per il legislatore regionale.
10. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1,
lettera m), per violazione degli artt. 117, comma 3, e 118 Cost.
L'art. 42, comma 1, lettera m), della legge 16 gennaio 2003,
n. 3, stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di
«regolamentare i criteri generali per il riconoscimento delle nuove
fondazioni e le ipotesi e i procedimenti per la revisione e la
eventuale revoca dei riconoscimenti gia' concessi, sulla base di una
programmazione nazionale riferita ad ambiti disciplinari specifici
secondo criteri di qualita' ed eccellenza».
Il riconoscimento delle nuove fondazioni e la revoca dei
riconoscimenti concessi possono al piu' essere oggetto di principi
legislativi statali di livello generale, al cui interno trovi spazio
la legislazione specifica regionale. Inoltre, spetta alle Regioni,
come sembra evidente, tanto il riconoscimento di nuovi enti quanto la
revoca di tale riconoscimento.
Inoltre, la mancata menzione del rispetto delle attribuzioni
regionali consente che il ruolo delle Regioni venga persino ridotto
rispetto alla normativa vigente. Infatti, l'art. 2 del d.lgs.
n. 266/1993 prevede, nel testo risultante dalla sentenza
interpretativa di accoglimento n. 338 del 1994 di codesta ecc.ma
Corte, che per il riconoscimento del carattere scientifico degli
Irccs e la relativa revoca sia almeno sentita la Regione interessata.
11. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 42, comma 1,
lettera n), per violazione dell'art. 117, comma 3, Cost.
L'art. 42, comma 1, lettera n), della legge 16 gennaio 2003,
n. 3, pone, tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere,
in caso di estinzione, la devoluzione del patrimonio in favore di
altri enti pubblici disciplinati dal presente articolo aventi
analoghe finalita».
Si tratta di per se' di un criterio quasi ovvio, cui si ispira la
legislazione di altri settori, ad esempio nel campo della assistenza.
Come altri principi, esso potrebbe essere considerato legittimo in
quanto lo si considerasse come guida della legislazione regionale, ma
non certo come base di ulteriori disposizioni di dettaglio statali.
Va invece osservato che nella sua formulazione il principio
irrazionalmente gia' troppo rigido: sembra evidente infatti che, in
caso di estinzione di un istituto, sara' da valutare in concreto la
convenienza che le strutture maggiormente legate all'assistenza
sanitaria conservino tale destinazione nell'ambito del Servizio
sanitario generale, senza il vincolo alla devoluzione esclusiva in
favore di altri Istituti scientifici.
12. - Illegittimita' costituzionale dell'art 42, comma 1, lettera
p), per violazione dell'art 117, comma 3 Cost.
L'art. 42, comma 1, lettera p) della legge 16 gennaio 2003, n. 3,
stabilisce, tra i principi e criteri direttivi, quello di «prevedere
che gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di
diritto pubblico, non trasformati ai sensi della lettera a), adeguino
la propria organizzazione e il proprio funzionamento ai principi, in
quanto applicabili, di cui alle lettere d), e), h) e n), nonche' al
principio di separazione fra funzioni di cui alla lettera b),
garantendo che l'organo di indirizzo sia composto da soggetti
designati per la meta' dal Ministro della salute e per l'altra meta'
dal presidente della regione, scelti sulla base di requisiti di
professionalita' e di onorabilita', periodicamente verificati, e dal
presidente dell'istituto, nominato dal Ministro della salute, e che
le funzioni di gestione siano attribuite a un direttore generale
nominato dal consiglio di amministrazione, assicurando comunque
l'autonomia del direttore scientifico, nominato dal Ministro della
salute, sentito il presidente della regione interessata».
La disposizione si occupa degli istituti «non trasformati». Sia
consentito in primo luogo osservare che per «istituti non
trasformati» si puo' intendere quelli non ancora trasformati o quelli
che non sono oggetto di trasformazione. Nel primo caso si tratterebbe
di un regime transitorio in attesa della trasformazione, nel secondo
di una stabile categoria di enti, peraltro priva di precisi
riferimenti normativi. In entrambi i casi sembra violato il principio
della certezza del diritto.
Cio' premesso, la disposizione risulta illegittima sia in quanto
non pone un principio che possa essere sviluppato dalla legislazione
regionale, sia in quanto riserva al Ministro della salute la
designazione della meta' dei membri del consiglio di amministrazione
e in quanto attribuisce al Ministro la nomina del direttore
scientifico, in violazione sia dell'art. 117, comma terzo, sia
dell'art. 118 della Costituzione.
13. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 43 per violazione
degli artt. 117, comma 3 e comma 6, e 118 Cost.
L'art. 43 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, stabilisce che, «al
fine di favorire la ricerca nazionale e internazionale e poter
acquisire risorse anche a livello comunitario, il Ministro della
salute, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, individua,
con proprio decreto, l'organizzazione a rete degli istituti di
ricovero e cura a carattere scientifico dedicati a particolari
discipline».
La disposizione censurata conferisce un potere di natura
sostanzialmente regolamentare e praticamente di contenuto
indeterminato, in violazione dell'art. 117, sesto comma, della
Costituzione.
In subordine, il decreto dovrebbe essere assunto, trattandosi di
materia rientrante nella potesta' legislativa concorrente, in ogni
modo d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni (e non sulla base di un
mero parere): come era prescritto per gli atti di indirizzo e
coordinamento nel vigore del precedente Titolo V.
14. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 46, per violazione
dell'art 117, commi terzo e quarto Cost.
L'art. 46 e' dedicato alla Semplificazione in materia di sedi
farmaceutiche.
Precisamente, secondo il comma 1, i farmacisti che gestiscono in
via provvisoria una sede farmaceutica, «anche se hanno superato il
limite di eta' di cui all'art. 4, comma 2, della legge 8 novembre
1991, n. 362, hanno diritto a conseguire per una sola volta la
titolarita' della farmacia, purche' alla data di entrata in vigore
della presente legge risultino assegnatari della gestione provvisoria
da almeno due anni e non sia stata pubblicata la graduatoria del
concorso per l'assegnazione della relativa sede farmaceutica». Il
comma 2 esclude dal beneficio «il farmacista che, alla data di
entrata in vigore della presente legge, abbia gia' trasferito la
titolarita' di altra farmacia da meno di dieci anni ai sensi del
quarto comma dell'articolo 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475,
nonche' il farmacista che abbia gia' ottenuto, da meno di dieci anni,
altri benefici o sanatorie».
I commi 3 e 4 disciplina addirittura il procedimento per la
concessione del beneficio, prescrivendo, rispettivamente, che «le
domande devono pervenire, a pena di decadenza, alle regioni e alle
province autonome di Trento e di Bolzano entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore della presente legge», e che
«l'accertamento dei requisiti e delle condizioni previste dai commi
1, 2 e 3 e' effettuato entro un mese dalla presentazione delle
domande».
Tutte tali disposizioni sono lesive delle prerogative
costituzionali della Regione Emilia-Romagna, e disciplinano oggetti
dei quali solo la legge regionale puo' disporre. La materia incisa
e', essenzialmente, il commercio, che ricade nella competenza piena
regionale. Infatti, nonostante la collocazione della disposizione,
non si puo' dire che la disciplina statale abbia a che fare con la
«tutela della salute», nella quale pure spetta allo Stato la sola
determinazione dei principi fondamentali della materia. Sembra
evidente, infatti, che la tutela della salute non e' suscettibile di
essere incisa dalla circostanza che determinati farmacisti ottengano
o non ottengano la titolarita' della farmacia di cui hanno la
provvisoria gestione.
Comunque, se pure si trattasse di una materia di potesta'
concorrente, e' altresi' evidente che non si tratta di una disciplina
che detti alcun principio fondamentale in materia. Si tratta invece
di disciplina dettagliata di un aspetto particolare, rimesso ormai
alla competenza piena delle Regioni: alle quali, invece, la
disposizione qui impugnata riconosco solo il compito della gestione
amministrativa della legge statale, per di piu' stabilendo i termini
della presentazione delle domande, e persino i termini per la
risposta da parte delle Regioni.
La disposizione risulta dunque in tutte le sue parti
illegittimamente invasiva della competenza regionale.

P. Q. M.
Chiede voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiarare
l'illegittimita' delle disposizioni sopra indicate in epigrafe, nei
termini e per i profili esposti nei motivi di diritto del presente
ricorso.
Padova-Roma, addi' 20 marzo 2003
Avv. prof. Giandomenico Falcon - avv. Luigi Manzi

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