Ricorso n. 32 del 4 marzo 2015 (Regione Campania)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 4 marzo 2015 (della Regione Campania).
(GU n. 14 del 2015-04-08)
Ricorso proposto dalla Regione Campania (codice fiscale n.
…), in persona del Presidente della Giunta regionale pro
tempore, On. Dott. Stefano Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi
della delibera della Giunta regionale n. 50 del 13 febbraio 2015,
giusta procura a margine del presente atto, unitamente e
disgiuntamente, dagli Avv.ti Maria D'Elia (codice fiscale:
…) e Almerina Bove (codice fiscale: …)
dell'Avvocatura regionale, e dal prof. Avv. Beniamino Caravita di
Toritto (codice fiscale: …), del libero foro, ed
elettivamente domiciliata presso l'Ufficio di rappresentanza della
Regione Campania sito in Roma alla via Poli n. 29 (fax: …;
pec abilitata: ...);
Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
122, 202, 224, 421, 422, 427, 552, lett. b), 554 e 580 della legge 23
dicembre 2014, n. 190, avente ad oggetto "Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilita' 2015)", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie
Generale, n. 300 del 29 dicembre 2014, per violazione degli articoli
5, 114, 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118, 119, primo,
quarto e quinto comma, 120, e 3 e 97 della Costituzione.
Fatto
Con l'art. 1, della legge n. 190 del 29 dicembre 2014, il
Parlamento ha adottato "Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato", ovvero la legge di stabilita'
2015, la quale, tuttavia, reca alcune disposizioni gravemente lesive
dell'autonomia regionale.
In particolare, per quanto qui di interesse, il comma 122 del
predetto art. 1 - che presenta criticita' analoghe a quelle gia'
evidenziate con riferimento all'impugnativa della Regione degli
articoli 18 e 19 del D.L. n. 91/2014 (r.r. n. 86/2014) - dispone, del
tutto illegittimamente, che al finanziamento degli incentivi di cui
ai commi 118 e 121 - relativi a contributi previdenziali a carico dei
datori di lavoro - si provveda, quanto a 1 miliardo di euro per
ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017 e a 500 milioni di euro per
l'anno 2018, a valere sulle risorse del Fondo di rotazione per
l'attuazione delle politiche comunitarie di cui alla legge n.
183/1987 gia' destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione,
che risultino non ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014.
Il comma 202 detta poi disposizioni per la realizzazione delle
azioni relative al piano straordinario per la promozione del made in
Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia di cui all'art. 30,
comma 1, del D.L. n. 133/2014. Tale disposizione stabilisce lo
stanziamento, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero
dello sviluppo economico, di ulteriori 130 milioni di euro per l'anno
2015, 50 milioni per l'anno 2016 e 40 milioni per l'anno 2017, da
assegnare all'ICE - Agenzia per la promozione all'estero e
l'internazionalizzazione delle imprese italiane.
Ancora, la norma censurata prevede, per la realizzazione delle
azioni di cui al citato art. 30, D.L. n. 133/2014 relative alla
valorizzazione e alla promozione delle produzioni agricole e
agroalimentari italiane nell'ambito del piano di cui al medesimo art.
30, l'istituzione del Fondo per le politiche per la valorizzazione,
la promozione, la tutela, in Italia e all'estero, delle imprese e dei
prodotti agroalimentari, con una dotazione iniziale di 6 milioni di
euro. Sempre per la realizzazione delle menzionate azioni, il comma
202 prevede poi che una quota delle risorse stanziate per l'ICE sia
destinata all'Associazione delle camere di commercio italiane
all'estero, e un'ulteriore quota ai consorzi per
l'internazionalizzazione previsti dall'art. 42 e ss. del D.L. n.
83/2012 "per il sostegno alle piccole e medie imprese nei mercati
esteri e la diffusione internazionale dei loro prodotti e servizi
nonche' per incrementare la presenza e la conoscenza delle autentiche
produzioni italiane presso i mercati e presso i consumatori
internazionali, al fine di contrastare il fenomeno dell'Italian
sounding e della contraffazione dei prodotti agroalimentari
italiani".
I successivi commi 223 e 224 contengono disposizioni in materia
di trasporto pubblico locale. In particolare, il comma 223 stabilisce
che le risorse di cui all'art. 1, comma 83, della legge n. 147/2013,
finalizzate a favorire il rinnovo dei parchi automobilistici
destinati ai servizi di trasporto regionale e interregionale, sono
destinate all'acquisto di materiale rotabile su gomma.
Conseguentemente ed in modo del tutto lesivo delle prerogative
regionali, il comma 224 stabilisce che con decreto del Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero
dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato - Regioni,
sono stabilite le modalita' di attuazione dei commi 223 e 227 e la
ripartizione delle risorse su base regionale secondo i criteri ivi
indicati.
Sotto diverso profilo, i commi da 421 a 428 dell'art. 1, l. n.
190/2014 disciplinano la progressiva riduzione della spesa dei
personale sostenuta da province e citta' metropolitane, attraverso
una ricollocazione del personale in mobilita' presso le
amministrazioni titolari delle funzioni non fondamentali in
attuazione della legge n. 56/2014 e in altre amministrazioni
pubbliche.
A tal proposito, il comma 421 prevede che la dotazione organica
delle citta' metropolitane e delle province delle regioni a statuto
ordinario e' stabilita, a decorrere dall'entrata in vigore della
legge di stabilita' (1° gennaio 2015), in misura pari alla spesa del
personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge n.
56/2014, ridotta, rispettivamente, tenuto conto delle funzioni
attribuite ai predetti enti dalla medesima legge n. 56, in misura
pari al 30 e al 50 per cento.
Ai sensi del comma 422, tenuto conto del procedimento di riordino
delle funzioni di cui alla citata legge n. 56/2014, e' individuato,
entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il
personale che rimane assegnato agli enti di cui al precedente comma
421 e quello da destinare alle procedure di mobilita', nel rispetto
delle forme di partecipazione sindacale previste dalla normativa
vigente.
Infine, il comma 427 precisa che, nelle more della conclusione
delle procedure di mobilita' di cui ai commi da 421 a 428, il
relativo personale rimane in servizio presso le citta' metropolitane
e le province con possibilita' di avvalimento da parte delle regioni
e degli enti locali, attraverso apposite convenzioni che tengano
conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell'ente
utilizzatore. A conclusione del processo di riallocazione di cui ai
commi da 421 e 425, continua erroneamente la norma, le regioni e i
comuni, in caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di
affidamento di funzioni agli enti di cui al comma 421 o ad altri enti
locali, dispongono contestualmente l'assegnazione del relativo
personale con oneri a carico dell'ente delegante e affidante, previa
convenzione con gli enti destinatari.
Sotto profilo ancora ulteriore, il comma 554, sostituisce il
comma 1-bis, dell'art. 38, del D.L. n. 133/2014 ("Misure per la
valorizzazione delle risorse energetiche nazionali") gia' oggetto
dell'impugnativa della Regione Campania (r.r. n. 13/2015), prevedendo
che "Il piano, per le attivita' sulla terraferma, e' adottato previa
intesa con la Conferenza unificata". Tuttavia, del tutto
illegittimamente, il comma prosegue statuendo che in caso di mancato
raggiungimento dell'intesa, si provvede con le modalita' di cui
all'art. 1, comma 8-bis, della l. n. 239 del 2004, secondo il quale
"in caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni
regionali degli atti di assenso o di intesa [...] entro il termine di
150 giorni dalla richiesta [...], il MISE invita le medesime a
provvedere entro un termine non superiore a 30 giorni. In caso
ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali
interessate, lo stesso ministero rimette gli atti alla presidenza del
consiglio dei ministri, la quale, entro 60 giorni dalla remissione,
provvede in merito con la partecipazione della regione interessato".
Censure analoghe possono essere sollevate con riguardo al comma
552, lett. b), che introduce il comma 3-bis, all'art. 57, del D.L. n.
5/2015. Il predetto comma disciplina il caso in cui non vengano
raggiunte le intese con le regioni interessate relative alle
autorizzazioni per le infrastrutture energetiche strategiche
rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico, stabilendo che in
tale circostanza "si provvede con le modalita' di cui all'art. 1,
comma 8-bis, della legge n. 239/2004, nonche' con le modalita' di cui
all'art. 14-quater, comma 3, della legge n. 241/1990".
Da ultimo, viene in rilievo il comma 580, dell'art. 1, L. n.
190/2014. In particolare, il precedente comma 579 prevede che le
regioni e le province provvedano alla costituzione dei nuovi organi
degli istituti zooprofilattici sperimentali entro il termine di sei
mesi dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali di
riordino degli istituti, adottate in applicazione dell'art. 10, comma
1, del D.L. n. 106/2012. Il citato comma 580 stabilisce poi che, in
caso di mancato rispetto del termine sopra riportato, il Ministro
della salute provveda alla nomina di un commissarioad acta.
Le richiamate disposizioni della legge n. 190 del 2014 risultano
gravemente lesive delle prerogative della Regione ricorrente, in
quanto viziate da manifesta illegittimita' costituzionale per i
seguenti motivi di
Diritto
1. Illegittimita' dell'art. 1, comma 122, della l. n. 190 del 2014,
per contrasto con l'art. 119, quinto comma, Cost.
Come visto nella parte in "fatto", l'art. 1, comma 122, della l.
n. 190/2014 prevede che al finanziamento degli incentivi previsti dai
commi 118 e 121 si provveda a valere sulle risorse del Fondo di
rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie (l. n.
183/1987) gia' destinate agli interventi del Piano Azione Coesione
che non risultino ancora impegnate alla data del 30 settembre 2014.
In via preliminare, occorre evidenziare come le disposizioni di
cui al citato comma presentino criticita' analoghe a quelle gia'
evidenziate dalla Regione Campania con riferimento agli articoli 18
comma 9 e 19 comma 3, lett. a) del D.L. n. 91/2014, nonche' agli
articoli 3 comma 4 lett. f) e 7, comma 9-septies del D.L. n. 133/2014
(r.r. n. 86/2014 e 13/2015).
Ebbene, in assenza di ogni indice da cui possa desumersi che le
risorse indicate siano esclusivamente indirizzate a favore dei
medesimi territori sottoutilizzati gia' destinatari degli interventi
del Piano azione e coesione, il comma censurato si pone in aperta
violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost.
Il piano sopra menzionato si inserisce, infatti, all'interno
della piu' generale politica di Azione e Coesione comunitaria,
finalizzata a ridurre le disparita' in materia di sviluppo
socioeconomico fra le varie Regioni europee, promuovendo la crescita
di quelle meno favorite. L'azione intrapresa dalla Comunita' nel
campo della politica regionale trova il suo fondamento giuridico
negli artt. 158-162 contenuti nel titolo XVII del Trattato
istitutivo. In particolare, l'art. 158, dopo aver affermato che la
Comunita' per promuovere una crescita armoniosa del suo insieme,
sviluppa e prosegue la propria azione intesa a rafforzare la sua
coesione economica e sociale, chiarisce che la stessa Comunita' "mira
a ridurre il divario fra le diverse regioni e il ritardo delle
regioni meno favorite".
Gli Stati membri hanno dunque l'obbligo di condurre e coordinare
la loro politica economica indirizzandola ad uno sviluppo equilibrato
dell'intera Comunita', mentre quest'ultima contribuisce alla
realizzazione di tale obiettivo attraverso l'utilizzazione coordinata
dei suoi vari fondi e strumenti finanziari.
Come noto, la politica di coesione e' ripartita in cicli di
programmazione della durata di sette anni, e si fonda sul principio
di solidarieta' che e' alle radici dell'Unione europea.
Uno dei principali strumenti di attuazione di tale politica nel
nostro ordinamento si rinviene pertanto nel Fondo per lo sviluppo e
la coesione - precedentemente Fondo aree sottoutilizzate istituito
con l'art. 61, della l. n. 289/2002 (legge finanziaria 2003) e cosi'
rinominato ai sensi dell'art. 4, del d.lgs. n. 88/2011 - nel quale, a
decorrere dal 2003, confluiscono le risorse destinate agli interventi
nelle aree sottoutilizzate e sono iscritte tutte le risorse
aggiuntive nazionali, destinate a finalita' di riequilibrio economico
e sociale.
Tale fondo rinviene la propria ratio e disciplina nell'art. 119,
comma 5, Cost., in virtu' del quale gli interventi perequativi degli
squilibri economici in ambito regionale devono garantire risorse
aggiuntive rispetto a quelle ordinarie ed essere rivolti a favore di
aree territoriali determinate in base a criteri di differenziazione
regionale (cosi' Corte cost., sent. n. 46/2013 e 284/2009).
Orbene, la legge n. 147 del 2013 (legge di stabilita' 2014) ha
disposto, all'art. 1, comma 6, che "In attuazione dell'art. 119,
quinto comma, della Costituzione e in coerenza con le disposizioni di
cui all'art. 5, comma 2, del decreto legislativo 31 maggio 2011, n.
88, la dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione
e' determinata, per il periodo di programmazione 2014/2020, in 54.810
milioni di euro. Il complesso delle risorse e' destinato a sostenere
esclusivamente interventi per lo sviluppo, anche di natura
ambientale, secondo la chiave di riparto 80 per cento nelle aree del
Mezzogiorno e 20 per cento nelle aree del Centro-Nord. Con la
presente legge si dispone l'iscrizione in bilancio dell'80 per cento
del predetto importo secondo la seguente articolazione annuale: 50
milioni per l'anno 2014, 500 milioni per l'anno 2015, 1.000 milioni
per l'anno 2016; per gli anni successivi la quota annuale e'
determinata ai sensi dell'art. 11, comma 3, lettera e), della legge
31 dicembre 2009, n. 196".
Sempre nell'ottica della Politica di Coesione e sulla base delle
menzionate previsioni, il Governo ha poi presentato alle autorita'
dell'Unione europea - secondo quanto previsto dal Regolamento UE n.
1303/2013 di disciplina dei Fondi strutturali - la proposta di
Accordo di partenariato per il periodo di programmazione 2014/2020,
dapprima in versione provvisoria (nel mese di dicembre 2013), e
quindi nel testo definitivo, in data 24 aprile 2014.
Sul testo di tale Accordo - che definisce, a livello di ciascuno
Stato membro, i fabbisogni di sviluppo, gli obiettivi tematici della
programmazione, i risultati attesi e le azioni da realizzare tramite
l'impiego dei fondi strutturali - e' stata acquisita la preventiva
intesa della Conferenza unificata, ai sensi dell'art. 8, comma 6,
della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale fa espresso riferimento
alle citate risorse del FSC, nell'importo stanziato nella legge di
stabilita' per l'anno 2013.
Ebbene, cosi' ricostruito il quadro normativo di riferimento, e
tenuto conto degli obiettivi della piu' volte menzionata Politica di
Coesione e dei relativi strumenti di attuazione, appare del tutto
evidente come le previsioni di cui all'art. 1, comma 122, della l. n.
190 del 2014 siano del tutto lesive dei principi di cui all'art. 119,
comma quinto, Cost.
In particolare, tali disposizioni, nella parte in cui prevedono
che a copertura degli oneri correlati agli incentivi previsti dai
commi 118 e 121 ci si avvalga della corrispondente riprogrammazione
delle risorse del fondo di rotazione gia' destinate agli interventi
del Piano di Azione Coesione e non impegnate al 30 settembre 2014,
determinano una riduzione del complesso delle risorse esclusivamente
destinate a sostenere interventi per lo sviluppo delle aree
sottoutilizzate.
Ed infatti, nella norma censurata non si riviene alcuna
indicazione da cui possa desumersi che le risorse distratte per
finanziare gli incentivi ai datori di lavoro siano esclusivamente
indirizzate a favore dei medesimi territori sottoutilizzati, e con la
medesima chiave percentuale di riparto prevista per il predetto Fondo
per lo Sviluppo e la Coesione (80% per le aree del Mezzogiorno e 20%
per le aree del Centro-Nord).
Invero, la rideterminazione dell'ammontare delle risorse da
destinare agli interventi per lo sviluppo e la coesione delle aree
sottoutilizzate deve conformarsi alle previsioni del d.lgs. n.
88/2011, in base al quale questa puo' essere effettuata dalle leggi
annuali di stabilita' successive a quella che ha preceduto l'avvio
del ciclo pluriennale di programmazione, qualora si renda necessario
soltanto "in relazione alle previsioni macroeconomiche, con
particolare riferimento all'andamento del PIL, e di finanza pubblica"
(art. 5) e a condizione che la nota di aggiornamento del DEF indichi
i nuovi "obiettivi di convergenza economica delle aree del Paese a
minore capacita' fiscale (...) valutando l'impatto macroeconomico e
gli effetti, in termini di convergenza, delle politiche di coesione e
della spesa ordinaria destinata alle aree svantaggiate", previa
acquisizione del parere della Conferenza permanente per il
coordinamento della finanza pubblica di cui all'art. 5, comma 1,
lett. a), della legge n. 42/2009.
Il rispetto del "principio di tipicita' delle ipotesi e dei
procedimenti attinenti la perequazione regionale" (Corte Cost. sent.
n. 176/2012) impone, inoltre, al legislatore statale di osservare -
come normativa di attuazione dell'art. 119, quinto comma, Cost. - la
legge n. 42/2009 in materia di federalismo fiscale, secondo la quale
(art. 16, comma 1, lett. d)) "l'azione per la rimozione degli
squilibri strutturali di natura economica e sociale a sostegno delle
aree sottoutilizzate si attua attraverso interventi speciali
organizzati in piani organici finanziati con risorse pluriennali,
vincolate nella destinazione".
In ulteriore specificazione dei principi della richiamata legge
n. 42/2009, poi, il d.lgs. n. 88/2011 stabilisce poi che la politica
di riequilibrio economico e sociale e' perseguita prioritariamente
con le risorse del FSC e con i finanziamenti a finalita' strutturale
dell'UE "e i relativi cofinanziamenti nazionali" (art. 2, comma 1).
Alla luce di tutto quanto sopra, dunque, risulta del tutto
evidente come nella riduzione delle risorse destinate agli interventi
del Piano di azione e coesione lo Stato non possa legittimamente
invocare il titolo competenziale relativo al coordinamento della
finanza pubblica, in ragione di un'incidenza sproporzionata degli
oneri derivanti dall'applicazione dell'art. 1, comma 122, della l. n.
190/2014 a danno dei territori interessati dagli interventi di
perequazione e del conseguente effetto sperequativo implicito nella
disposta riduzione, in mancanza di ogni indice da cui possa trarsi la
conclusione che le risorse in tal modo rifinalizzate siano
esclusivamente indirizzate a favore dei territori sottoutilizzati.
2. Illegittimita' dell'art. 1, commi 202 e 224 della l. n. 190 del
2014, per contrasto con gli articoli 117, quarto comma, 119, quinto
comma, 5 e 120 Cost.
2.1 Come sopra visto, il comma 202 detta disposizioni per la
realizzazione delle azioni relative al piano straordinario per la
promozione del made in Italy e l'attrazione degli investimenti in
Italia, stanziando ulteriori finanziamenti nell'ambito dello stato di
previsione del Ministero dello sviluppo economico, e istituendo un
Fondo per le politiche per la valorizzazione, la promozione, la
tutela, in Italia e all'estero, delle imprese e dei prodotti agricoli
e agroalimentari.
La norma in questione e' costituzionalmente illegittima per
violazione degli articoli 117, quarto comma, e 119 Cost.
Ed infatti, l'ambito materiale nel quale interviene la
disposizione denunciata e' riconducibile all'agricoltura la quale,
non annoverata tra le materie tassativamente riservate alla
legislazione statale o a quella concorrente, e' implicitamente
demandata alla potesta' legislativa residuale delle regioni.
Appartiene dunque alla competenza legislativa residuale regionale
l'adozione di misure di sviluppo e sostegno dell'agricoltura, e, in
quest'ambito, la disciplina dell'erogazione di agevolazioni,
contributi, finanziamenti e sovvenzioni di ogni genere.
A tal proposito, il costante e consolidato orientamento di
Codesta Ecc.ma Corte ha piu' volte ribadito come "l'art. 119 della
Costituzione ponga precisi limiti al legislatore statale nella
disciplina delle modalita' di finanziamento delle funzioni spettanti
al sistema delle autonomie.
Innanzitutto, non sono consentiti finanziamenti a destinazione
vincolata, in materie e funzioni la cui disciplina spetti alla legge
regionale, siano esse rientranti nella competenza esclusiva delle
Regioni ovvero in quella concorrente, pur nel rispetto, per
quest'ultima, dei principi fondamentali fissati con legge statale
(sentenze numeri 16 del 2004 e 370 del 2003)" (Corte cost., sent. n.
423/2004).
D'altronde, ove non fossero osservati tali limiti e criteri, il
ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire "uno
strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato
nell'esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali,
nonche' di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati
centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli
ambiti materiali di propria competenza" (Cosi', Corte cost., sent. n.
254/2013 e le ivi richiamate sentt. nn. 168/2008, 50/2008, 201/2007 e
118/2006).
In applicazione dei suindicati principi, pertanto, Codesta Ecc.ma
Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di diverse norme
con le quali, successivamente all'entrata in vigore della legge
costituzionale n. 3 del 2001, sono stati istituiti nuovi Fondi
vincolati (in particolare e a titolo esemplificativo, il Fondo
nazionale per il sostegno alla progettazione delle opere pubbliche
delle Regioni e degli enti locali, nonche' il Fondo nazionale per la
realizzazione di infrastrutture di interesse locale (sentenza n. 49
del 2004); il Fondo per la riqualificazione urbana dei comuni
(sentenza n. 16 del 2004); il Fondo per gli asili nido (sentenza n.
370 del 2003), il Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione
della pratica sportiva (sentenza n. 254/2013)).
Stessa sorte deve pertanto essere riservata al Fondo istituito
dal comma 202 qui censurato, con il quale l'amministrazione statale
attua politiche di sostegno che possono e devono essere decise e
gestite esclusivamente a livello regionale, in quanto investono
materie di competenza regionale piena (agricoltura), o al massimo
concorrente (commercio con l'estero).
Ne' varrebbe, quale argomento idoneo a far ritenere inapplicabile
al caso di specie il ricordato orientamento giurisprudenziale,
sostenere che l'intervento finanziario previsto dalla norma censurata
andrebbe attribuito al novero di quelli previsti dall'art. 119,
quinto comma, Cost., secondo il quale e' consentita allo Stato la
destinazione di risorse aggiuntive agli enti locali per
l'effettuazione di interventi speciali volti, fra l'altro, alla
rimozione degli esistenti squilibri economici e sociali.
Gli interventi speciali previsti dall'art. 119, quinto comma,
infatti, non solo devono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento
integrale (art. 119, quarto comma) delle funzioni spettanti ai comuni
o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione e di
garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi
diversi dal normale esercizio delle funzioni, ma devono essere
indirizzati a determinati enti o categorie di enti (comuni, province,
citta' metropolitane o regioni).
Ebbene, dalla analisi testuale della disposizione censurata non
emerge alcun indice da cui desumere l'esistenza di uno specifico
ambito territoriale di localizzazione dell'intervento indubbiato,
rivolto, al contrario, alla generalita' delle imprese e dei prodotti
agricoli e agroalimentari del Paese.
Pertanto, l'esigenza di rispettare il riparto costituzionale
delle competenze legislative fra Stato e Regioni comporta che, quando
tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle Regioni,
queste siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di
riparto dei fondi all'interno del proprio territorio.
Ne' tantomeno potrebbe invocarsi la giurisprudenza di Codesto
Ecc.mo Collegio sulla portata della "tutela della concorrenza",
attribuita alla competenza esclusiva dello Stato dall'art. 117,
secondo comma, lett. e), Cost.
Tale parametro, infatti, "evidenzia l'intendimento del
legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato
strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo
dell'intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un
carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri,
risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse
finanziarie inserite nel circuito economico. L'intervento statale si
giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica: solo in tale
quadro e' mantenuta allo Stato la facolta' di adottare sia specifiche
misure di rilevante entita', sia regimi di aiuto ammessi
dall'ordinamento comunitario (fra i quali gli aiuti de minimis),
purche' siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilita' a tutti
gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull'equilibrio
economico generale" (Corte cost., sent. n. 14/2004).
Differentemente, l'esame delle norme impugnate dimostra che i
finanziamenti in questione non possono rientrare in questo schema.
Questi ultimi sono, invero, del tutto inidonei ad «incidere
sull'equilibrio economico generale», poiche' privi del requisito
oggettivo dell'«impatto complessivo»: l'esiguita' dei mezzi economici
impegnati nel quadro della manovra disposta dalle previsioni
impugnate (6 milioni di euro annui fino al 2016) esclude infatti che
lo strumento prefigurato abbia rilevanza macroeconomica (cfr. sent.
n. 77/2005), ne' si intravede alcuna ipotetica esigenza unitaria tale
da giustificare la gestione centrale del finanziamento.
In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui Codesto Ecc.mo
Collegio dovesse ritenere l'intervento istitutivo del Fondo
giustificato per il suo carattere macroeconomico, e dunque per la
presenza della competenza statale in materia di tutela della
concorrenza, deve in ogni caso sottolinearsi l'illegittimita' della
disposizione impugnata per la mancata previsione, nella regolazione e
gestione del fondo, di una qualsivoglia forma di collaborazione con
le Regioni.
Infatti, incidendo la norma su una materia regionale, sarebbe
necessario che le funzioni statali di istituzione, gestione e
regolazione da essa previste fossero svolte in modo da tener conto
del punto di vista della Regione e da coordinarsi con l'azione che la
Regione stessa svolge.
Codesta Ecc.ma Corte, infatti, a piu' riprese ha precisato che
l'esercizio unitario che consente di attrarre insieme alla funzione
amministrativa anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il
vaglio di legittimita' costituzionale solo in presenza di una
disciplina che prefiguri un iter in cui assumono il dovuto risalto le
attivita' concertative e di coordinamento orizzontale, ovvero le
intese, che devono essere condotte in base al principio di leale
collaborazione (Cosi', ex multis, Corte cost., sentt. nn. 182 del
2013 e 331 del 2010). Pertanto, la norma censurata e' illegittima
nella parte in cui non prevede forme di cooperazione con le Regioni e
di incisivo coinvolgimento delle stesse (cfr. Corte cost., sent. n.
162 del 2005), essendo del tutto evidente che l'intervento dello
Stato debba rispettare la sfera di competenza spettante alle Regioni
in via residuale.
2.2 Considerazioni non dissimili devono essere svolte con
riferimento al comma 224, del citato art. 1, l. n. 190/2014.
Come visto nella parte in "fatto", il precedente comma 223
stabilisce che le risorse di cui all'art. 1, comma 83, della legge n.
147/2013, finalizzate a favorire il rinnovo dei parchi
automobilistici destinati ai servizi di trasporto pubblico locale,
regionale e interregionale, sono destinate all'acquisto di materiale
rotabile su gomma. Conseguentemente, il comma 224 stabilisce che, con
decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di
concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e Bolzano, sono stabilite le modalita' di
attuazione dei commi 223 e 227, e la ripartizione delle risorse su
base regionale secondo i criteri ivi indicati.
Ebbene, tali disposizioni si pongono in evidente contrasto con
gli articoli 117, quarto comma, e con l'art. 119 Cost.
Non e' revocabile in dubbio, infatti, che la materia del
trasporto pubblico locale rientri nell'ambito delle competenze
residuali delle regioni di cui al quarto comma dell'art. 117 Cost.,
come reso evidente anche dal fatto che, ancor prima della riforma del
Titolo V della Costituzione, il d.lgs. n. 422/1997 ("Conferimento
alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di
trasporto pubblico locale, a norma dell'art. 4, comma 4, della l. n.
59/1997") aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle
Regioni e agli enti locali funzioni e compiti relativi a tutti i
«servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con
qualsiasi modalita' effettuati ed in qualsiasi forma affidati», ed
escludendo solo i trasporti di pubblici di interesse nazionale.
In questo stesso testo normativo, l'art. 20, comma 5, prevede
espressamente che le risorse statali di finanziamento relative
all'espletamento delle funzioni conferite alle Regioni ed agli enti
locali siano «individuate e ripartite» tramite decreti del Presidente
del Consiglio dei Ministri «previa intesa con la Conferenza
permanente tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento
e Bolzano». Come gia' ampiamente sottolineato, con riguardo ai
finanziamenti statali Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha
ripetutamente affermato che il legislatore statale non puo' porsi «in
contrasto con i criteri e i limiti che presiedono l'attuale sistema
di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo art. 119
della Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per
finalita' non riconducibili a funzioni di spettanza statale» (Corte
cost., sent. n. 423 del 2004): nell'ambito del Titolo V della
Costituzione non e' dunque di norma consentito allo Stato prevedere
propri finanziamenti in ambiti di competenza delle Regioni, ne'
istituire fondi settoriali di finanziamento delle attivita'
regionali.
Eccezioni a tale divieto sono possibili, come gia' detto,
soltanto nell'ambito e negli stretti limiti di quanto previsto dagli
articoli 118, primo comma, 119, quinto comma, e 117, secondo comma,
lett. e), Cost.
Tuttavia, il quinto comma dell'art. 119 "autorizza semplicemente
lo Stato, per conseguire le molteplici finalita' ivi espressamente
indicate, ad attuare due specifiche e tipizzate forme di intervento
finanziario nelle materie di competenza delle Regioni e degli enti
locali: o l'erogazione di risorse aggiuntive rispetto alla ordinaria
autonomia finanziaria regionale o locale (modalita' questa, pero',
che presuppone che lo Stato abbia dato previa attuazione legislativa
a quanto previsto dai primi quattro commi dell'art. 119, cosi'
garantendo a Regioni, Province e Comuni che le loro entrate finanzino
«integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»); oppure la
realizzazione di «interventi speciali» «in favore di determinati
Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni» (cfr. sentenza n.
16 del 2004)" (Corte cost., sent. n. 222 del 2005).
Orbene, come evidente, l'art. 1, comma 224, della legge n. 190
del 2014 non e' riconducibile a quest'ultima tipologia di intervento
a sostegno della finanza regionale o locale, non essendo individuato
alcun particolare ente destinatario: la norma appare pertanto
illegittima poiche' interviene, finanziandolo, in un ambito di
competenza regionale.
Peraltro, e' altresi' opportuno sottolineare come anche tale
disposizione sia altresi' illegittima sotto il profilo
dell'inadeguatezza delle procedure concertative che involvono la
Regione.
Ed infatti, proprio perche' tale finanziamento interviene in un
ambito di competenza regionale, la necessita' di assicurare il
rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riconosciute alle
Regioni impone di prevedere che queste ultime siano pienamente
coinvolte nei processi decisionali concernenti il riparto dei fondi.
A tal riguardo, va dunque ritenuto insufficiente il meccanismo
previsto dalla disposizione censurata, che - ai fini della emanazione
del decreto ministeriale per stabilire le modalita' di attuazione dei
commi 223 e 227 e la ripartizione delle risorse su base regionale
secondo i criteri individuati dal comma 224 - si limita a richiedere
che sia «sentita» la Conferenza Stato-Regioni, cosi' riducendo gli
spazi di autonomia riconosciuti alle Regioni nel complessivo sistema
di finanziamento del trasporto pubblico locale.
E' invece costituzionalmente necessario che il decreto
ministeriale cui fa riferimento la disposizione impugnata sia
adottato sulla base di una vera e propria intesa con la Conferenza
unificata (cfr. la citata sentenza Corte cost. n. 222 del 2005),
strumento che meglio corrisponderebbe alle piu' intense modalita' di
leale collaborazione richieste dal costante orientamento
giurisprudenziale di Codesta Ecc.ma Corte.
Alla luce di quanto sopra detto, risulta evidente come le
disposizioni censurate violino altresi' il principio di leale
collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.
3. Illegittimita' dell'art. 1, commi 421, 422 e 427 della l. n. 190
del 2014, per contrasto con gli articoli 114, 117, 118, 119 e 120,
nonche' con gli articoli 3, 5 e 97 Cost.
3.1 Occorre sin da subito evidenziare come le norme oggi
impugnate ridondino in una grave illegittimita' per contrasto con il
principio di ragionevolezza, nonche' in riferimento agli articoli
114, 117, 118, 119 e 120, e con gli articoli 5 e 97 Cost.
Come esposto nella parte in fatto, la disposizione del comma 421
prevede che la dotazione organica delle citta' metropolitane e delle
province delle regioni a statuto ordinario e' stabilita, a decorrere
dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura pari
alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore
della legge n. 56/2014, ridotta, rispettivamente, tenuto conto delle
funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge n. 56/2014,
in misura pari al 30 e al 50 per cento.
In base al comma 422, il personale che - a conclusione del
processo di riordino - rimane assegnato agli enti locali di area
vasta (citta' metropolitane e nuove province) per lo svolgimento
delle funzioni non fondamentali ad essi attribuite dallo Stato o
dalle Regioni, secondo le rispettive competenze, tenuto conto
dell'art. 1, comma 89, della legge n. 56/2014, e' invece personale
che viene posto al di fuori della dotazione organica.
Da ultimo, secondo il comma 427 gli enti destinatari delle
funzioni non fondamentali, sulla base del riordino, si avvalgono del
predetto personale al di fuori della dotazione organica (che rimane
in servizio presso le citta' metropolitane e le province nelle more
della conclusione delle procedure di ricollocazione e mobilita') "in
caso di delega o di altre forme, anche convenzionali, di affidamento
di funzioni" con necessaria e contestuale "assegnazione del relativo
personale con oneri a carico dell'ente delegante o affidante, previa
convenzione con gli enti destinatari".
Orbene, e' del tutto evidente che le disposizioni statali
impugnate incidono illegittimamente sulla sfera di competenze
legislative che la Costituzione riserva alle Regioni in materia di
organizzazione delle funzioni.
Ed infatti, la regolamentazione della dotazione organica degli
enti locali costituisce il nucleo essenziale dell'area della
macro-organizzazione delle pubbliche amministrazioni (v. Corte cost.
sent. 133/1996), la cui disciplina viene affidata in primo luogo alla
legge statale o regionale, sulla base delle rispettive competenze.
Non e' dubbio, a questo riguardo, che il conferimento e
l'organizzazione dell'esercizio delle funzioni delle citta'
metropolitane e dei comuni spetti alla legge regionale, e che spetti
ai regolamenti dei medesimi enti locali la "disciplina
dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro
attribuite" (art. 117, sesto comma, Cost.).
Ed infatti, la competenza esclusiva statale relativamente
all'organizzazione degli enti locali deve limitarsi a quanto
disciplinato dall'art. 117, comma 2, lettera p), Cost., che vi
annovera «legislazione elettorale, organi di governo e funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane».
Codesta Ecc.ma Corte ha da tempo chiarito (da ultimo con la
citata sent. n. 44/2014) come il suddetto titolo competenziale debba
essere inteso nel senso che il riferimento deve ritenersi
tassativamente rivolto agli Enti locali elencati all'art. 114 Cost.,
cosi' come tassativo e' il contesto oggettivo interessato, che si
sostanzia esclusivamente nella disciplina del sistema elettorale,
della forma di governo e delle funzioni fondamentali di detti enti.
Di contro, al di fuori dell'ambito materiale come ora
circoscritto, la regolamentazione degli Enti locali deve essere di
certo ricondotta nella competenza residuale delle Regioni ex art.
117, comma 4, Cost., e cio' anche al fine di garantire la
possibilita' che la singola Regione, nel ruolo di ente
rappresentativo delle diverse istanze presenti sul proprio
territorio, provveda all'adozione di previsioni differenziate che
tengano in adeguata considerazione le esigenze espresse dalla
comunita' di riferimento, in osservanza dei principi di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione consacrati nell'art.
118, comma 1, Cost.
Ebbene, e' allora evidente come la competenza statale debba
ritenersi circoscritta all'attribuzione delle funzioni fondamentali,
mentre l'organizzazione della funzione, di cui la dotazione organica
e' fondamentale strumento, "rimane attratta alla rispettiva
competenza materiale dell'ente che ne puo' disporre in via
regolativa" (Corte Cost., sent. n. 22 del 2014).
Ne' varrebbe, ad escludere l'illegittimita' delle previsioni
impugnate, invocare esigenze di contenimento della spesa e
coordinamento della finanza pubblica.
In tal senso, e' stato costantemente affermato che l'obiettivo
del contenimento della spesa pubblica rientra nella finalita'
generale del coordinamento finanziario (Cfr. Corte cost., sentt. n.
27 e n. 156 del 2010, n. 237 e n. 284 del 2009, n. 159 e n. 289 del
2008, n. 417 del 2005 e n. 4 del 2004), e sono stati pertanto
ritenuti legittimi interventi del legislatore statale volti ad
imporre alle regioni vincoli alle politiche di bilancio - anche se
indirettamente incidenti sull'autonomia regionale di spesa, a
salvaguardia dell'equilibrio unitario della finanza pubblica
complessiva, e del perseguimento degli obblighi comunitari (cfr.
sentt. n. 237 e n. 284 del 2009).
Altrettanto consolidato, tuttavia, e' il principio secondo cui il
sopra citato titolo competenziale sia tale da escludere che un
intervento statale possa spingersi sino a dettare un disciplina di
carattere meramente ordinamentale, potendosi muovere esclusivamente
nei limiti di una solo parziale compressione delle competenze
regionali. In tal senso, Codesta Ecc.ma Corte ha infatti
espressamente chiarito che "Norme statali che fissano limiti alla
spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente
duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi
di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio
contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa
corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi"
(sent. n. 237 del 2009, citata; nello stesso senso, sent. n. 341 del
2009).
Di conseguenza, e' del tutto evidente che deve ritenersi
riservata alla potesta' statale la sola previsione di un limite
complessivo di spesa che faccia salva un'ampia discrezionalita' degli
enti territoriali nell'allocazione delle risorse tra i diversi ambiti
e obiettivi di spesa e nella scelta di eventuali tagli.
Peraltro, una manovra siffatta nell'ottica del contenimento della
spesa pubblica mostra tutta la sua irragionevolezza laddove dispone
una drastica riduzione del personale, "tenendo conto" del processo di
riordino delle funzioni disposto con la legge n. 56 del 2014. Ebbene,
non si vede come possa effettivamente tenersi conto di un
procedimento di riordino non ancora conclusosi, a fronte di un
obbligo di riduzione che, al contrario, ha acquistato efficacia a
partire dal 1° gennaio 2015. Si tratta, dunque, di un taglio lineare
della dotazione organica delle citta' metropolitane e delle province
disposta a priori e in maniera del tutto indipendente dal riordino
delle funzioni delle vecchie province, spettante al legislatore
regionale.
Peraltro, l'illegittimita' delle disposizioni censurate non
diminuirebbe ove le si interpretasse nel senso di ritenere che
riguardino non il personale adibito alla totalita' delle funzioni,
bensi' quello adibito esclusivamente a quelle fondamentali.
In tale prospettiva, apparirebbe totalmente irragionevole e
gravemente lesivo dei poteri regionali di organizzazione delle
funzioni degli enti locali sul territorio regionale e dei poteri di
auto-organizzazione di quest'ultimi (art. 35, comma 7, del d.lgs. n.
165/2001) disporre che la dotazione organica degli enti di area vasta
sia esclusivamente rivolta all'esercizio delle loro funzioni
fondamentali. Si impedirebbe in tal modo, infatti, l'esercizio dei
poteri di macro-organizzazione (art. 2, comma 1, e art. 6 del d.lgs.
n. 165/2001) necessari agli enti locali per svolgere in modo ottimale
i propri compiti istituzionali, che trovano fondamento nelle leggi
regionali di conferimento delle funzioni amministrative non
fondamentali.
Nel caso di specie, in particolare, il taglio della dotazione
organica, non limitandosi ad una riduzione percentuale della spesa
complessiva per il personale, ma pretendendo di riferirsi
selettivamente alle singole funzioni amministrative ai cui compiti
d'ufficio il personale di ruolo e' destinato (le sole funzioni
fondamentali attribuite agli enti di area vasta direttamente dalla
legge n. 56/2014) si trasformerebbe in uno strumento di definizione,
oltre che della provvista del personale (ai fine del contenimento dei
costi), anche del disegno organizzativo degli enti. Un simile
intervento si porrebbe in aperta violazione dei poteri di
auto-organizzazione degli enti locali, nonche' del principio di
determinazione delle dotazioni organiche complessive in funzione dei
compiti dell'amministrazione (art. 2, comma 1, lett. a, del d.lgs. n.
165/2001) cosi' come individuati dal legislatore competente, e del
principio di flessibilita' dell'organizzazione dei pubblici uffici
(art. 2, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 165/2001) in base al quale
la pubblica amministrazione, nell'esercizio dei poteri del datore di
lavoro, puo' variare la collocazione del personale sulla base delle
professionalita' possedute a dotazione organica complessiva immutata
(Cassazione civile, sez. lavoro, 15 maggio 2006, n. 11103).
Dalla collocazione del personale che svolge le funzioni non
fondamentali al di fuori della dotazione organica complessiva
conseguirebbe, dunque, oltre alla violazione degli articoli 114, 117
e 118 Cost., anche la violazione dei principi costituzionali di
ragionevolezza della legge e di buon andamento dell'amministrazione
di cui agli articoli 3 e 97 Cost.
Peraltro, sotto diverso profilo, dal combinato disposto di quanto
previsto dalle predette disposizioni della legge n. 190/2014 cosi'
come da ultimo interpretate, si ricaverebbe, inoltre, che il
personale che rimane assegnato alle citta' metropolitane e alle
province, sulla base del processo di' riordino delle funzioni non
fondamentali, e' collocato al di fuori della dotazione organica delle
rispettive amministrazioni.
Una norma sifatta appare del tutto irragionevole e
discriminatoria.
Essa, infatti, sarebbe del tutto irragionevole in quanto,
generalmente, la collocazione del personale delle pubbliche
amministrazioni al di fuori della dotazione organica si ha o per
incarichi ad alta specializzazione a tempo determinato (v. ad es.
art. 108 e art. 110, d.lgs. n. 267/2000) o in caso di ruoli speciali
ad esaurimento (v. ad es. art. 12, legge n. 730/1986), ma non
costituisce misura organizzativa adeguata e proporzionata per lo
svolgimento di funzioni e di compiti attribuiti o conferiti agli enti
per il normale adempimento dei propri compiti istituzionali conferiti
con legge regionale. E cio' conformemente a quanto previsto dall'art.
118, secondo comma, della Costituzione e in applicazione delle norme
generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche in necessaria attuazione dell'art. 97,
primo comma, della Costituzione (art. 1, comma 1, e art. 6, comma 1,
d.lgs. n. 165/2001).
La richiamata normativa apparirebbe, inoltre, discriminatoria in
quanto differenzia, in modo non giustificabile, l'organizzazione
degli uffici delle citta' metropolitane e delle province in base al
solo titolo di conferimento - statale o regionale - delle funzioni
assegnate, anziche' in funzione dei compiti da svolgere previa
verifica degli effettivi fabbisogni (art. 6, comma 1, d.lgs. n.
165/2001), in contrasto con gli articoli 3, 97, 117, secondo comma,
lett. p), 118, secondo comma, 117, sesto comma, della Costituzione.
3.2 Il richiamato comma 427 appare illegittimo anche sotto un
ulteriore profilo.
Infatti, esso dispone che i comuni (oltre le regioni) possono
"delegare" o "affidare" funzioni amministrative alle citta'
metropolitane e alle province, cosi' ponendosi in insanabile
contrasto - salve le forme di esercizio associato delle funzioni su
base convenzionale - con l'art. 118, secondo comma, della
Costituzione, che riserva alla legge, secondo le rispettive
competenze, il conferimento delle funzioni amministrative agli enti
locali.
Inoltre, la predetta norma, laddove qualifica in termini di
"delega" e "affidamento" i conferimenti delle funzioni e, allo stesso
tempo, in termini di "avvalimento" i correlativi trasferimenti di
personale, dispone - in evidente antinomia con quanto previsto
dall'art. 118, secondo comma, Cost. - che le regioni possono
"delegare" le funzioni amministrative alle citta' metropolitane e
alle province, senza trasferire a tali enti la titolarita' delle
funzioni, e dunque assegnando, il relativo personale a titolo di mero
avvalimento.
Che il termine "conferimento" si interpreti nel senso di
comprendere il trasferimento, la delega e l'attribuzione di funzioni
si ricava agevolmente dall'art. 1, comma 1, della legge n. 59/1997
che, per la prima volta, ha introdotto e definito il termine medesimo
(successivamente ripreso e riproposto dall'art. 4, della legge cost.
n. 3 del 2001 che ha sostituito l'art. 118 della Costituzione). E',
inoltre, l'art. 118, secondo comma (nel testo attualmente vigente),
che chiarisce, al di la' di ogni dubbio, che gli enti locali sono
titolari delle funzioni comunque conferite successivamente alla
riforma del Titolo V nel 2001 (risultando irrilevante che il
conferimento sia qualificato come attribuzione, trasferimento o
delega).
Ne deriva, sul piano della necessaria attuazione costituzionale
(art. 1, commi 89 e 92, della legge n. 56/2014), che per l'esercizio
delle funzioni e dei compiti conferiti debbano essere (o debbano
rimanere) trasferite le occorrenti risorse di personale con le
corrispondenti risorse finanziarie, gia' spettanti alle province
(art. 1, comma 96, legge n. 56/2014), necessarie a "finanziare
integralmente le funzioni pubbliche" attribuite (art. 119, quarto
comma, Cost.). Cio' anche al fine di impedire che possa essere
indotta artatamente dalla legge dello Stato, in forza del
sotto-finanziamento delle funzioni, una situazione di squilibrio nei
bilanci degli enti territoriali in violazione dell'art. 5 e dell'art.
119, primo comma, della Costituzione.
La legge statale non puo' dunque limitare il potere delle regioni
di conferire le funzioni con il conseguente trasferimento del
personale e delle risorse necessarie alle citta' metropolitane e alle
province per lo svolgimento delle funzioni medesime.
Peraltro, le richiamate disposizioni della legge n. 190/2014
risultano altresi' lesive del principio di leale collaborazione di
cui agli articoli 5 e 120, secondo comma, della Costituzione, nella
misura in cui si discostano da quanto gia' precedentemente
determinato, "per l'individuazione dei beni e delle risorse
finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse
all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite", dal DPCM
26 settembre 2014, adottato previa intesa con la Conferenza
unificata, in forza della legge n. 56/2014 (art. 1, commi 89 e 92).
4. Illegittimita' dell'art. 1, commi 552 e 554 della l. n. 190 del
2014, per contrasto con gli articoli 117 e 118, e col principio di
leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Cost.
Il comma 554 sostituisce il comma 1-bis, dell'art. 38, del D.L.
n. 133/2014, relativo ad attivita' di prospezione, ricerca e
coltivazione di idrocarburi e stoccaggio di gas naturali. Tale ultima
disposizione prevede che tali attivita' rivestano carattere di
interesse strategico e siano di pubblica utilita', urgenti e
indifferibili. I relativi titoli abilitativi, dunque, comprendono la
dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' ed urgenza
dell'opera e l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei
beni in essa compresi. Il comma 554 qui censurato, nell'inserire il
suddetto comma 1-bis a tale articolo, prevede che "Il Ministro dello
sviluppo economico, con proprio decreto, sentito il Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, predispone un
piano delle aree in cui sono consentite le attivita' di cui al comma
1. Il piano, per le attivita' sulla terraferma, e' adottato previa
intesa con la Conferenza unificata. In caso di mancato raggiungimento
dell'intesa, si provvede con le modalita' di cui all'art. 1, comma
8-bis, della legge 23 agosto 2004, n. 239".
In modo analogo, la lettera b) del comma 552, art. 1, della l. n.
190 del 2014 introduce il comma 3-bis all'art. 57 del D.L. n. 5/2012,
che disciplina il caso in cui non vengano raggiunte le intese con le
regioni interessate relative alle autorizzazioni per le
infrastrutture energetiche strategiche rilasciate dal Ministero per
lo sviluppo economico. Anche tale disposizione rinvia, in caso di
mancato raggiungimento delle intese suddette, alle modalita' di cui
all'art. 1, comma 8-bis, della legge n. 239/2004.
In primo luogo, e' necessario sottolineare che l'art. 38 del D.L.
n. 133/2014 e' stato oggetto di impugnativa da parte della Regione
Campania (delibera d'impugnativa n. 685 del 2014). La nuova
formulazione introdotta con il comma 554 oggi censurato e' dunque
evidentemente consequenziale a tale impugnativa (unitamente a quelle
di altre regioni), e appare volta a rimuovere un motivo di evidente
illegittimita' della disposizione.
Tuttavia, tale modifica non puo' in ogni caso dirsi satisfattiva.
Ed infatti, entrambe le disposizioni che qui ci occupano fanno
espresso richiamo, come visto, all'art. 1, comma 8-bis della l. n.
239/2004, il quale prevede che "nel caso di mancata espressione da
parte delle amministrazioni regionali degli atti di assenso o di
intesa, comunque denominati, inerenti alle funzioni di cui ai commi 7
e 8 del presente articolo, entro il termine di centocinquanta giorni
dalla richiesta nonche' nel caso di mancata definizione dell'intesa
di cui al comma 5, dell'art. 52-quinquies del testo unico di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e nei
casi di cui all'art. 3, comma 4, del decreto legislativo 1° giugno
2011, n. 93, il Ministero dello sviluppo economico invita le medesime
a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni. In caso
di ulteriore inerzia da parte delle amministrazioni regionali
interessate, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla
rimessione, provvede in merito con la partecipazione della regione
interessata".
Ebbene, e' opportuno sottolineare come tale ultima disposizione
ricalchi l'art. 49, comma 3, lett. b) del D.L. n. 78/2010, dichiarato
illegittimo da Codesta Ecc.ma Corte per violazione degli articoli 117
e 118 Cost., e del principio di leale collaborazione. Tale norma
prevedeva infatti che, nel caso di motivato dissenso da parte di
un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico -
territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della
salute e della pubblica incolumita', ove non fosse stata raggiunta
l'intesa entro il termine di trenta giorni il Consiglio dei Ministri
avrebbe potuto deliberare in esercizio del proprio potere sostitutivo
con la partecipazione dei presidenti delle regioni o delle province
autonome interessate.
Secondo il richiamato orientamento giurisprudenziale, infatti, il
soddisfacimento di esigenze unitarie legittima l'intervento del
legislatore statale anche in ordine alla disciplina di procedimenti
complessi estranei alla sfera di competenza esclusiva statale,
giustificando l'attrazione allo Stato, per ragioni di sussidiarieta',
sia dell'esercizio concreto della funzione amministrativa che della
relativa regolamentazione nelle materie di competenza regionale.
Tuttavia, tale intervento "deve obbedire alle condizioni stabilite
dalla giurisprudenza costituzionale, fra le quali questa Corte ha
sempre annoverato la presenza di adeguati strumenti di coinvolgimento
delle Regioni. In particolare, si e' affermato che «l'ordinamento
costituzionale impone il conseguimento di una necessaria intesa fra
organi statali e organi regionali per l'esercizio concreto di una
funzione amministrativa attratta in sussidiarieta' al livello statale
in materie di competenza legislativa» (sentenza n. 383 del 2005) e
che tali «intese costituiscono condizione minima e imprescindibile
per la legittimita' costituzionale della disciplina legislativa
statale che effettui la "chiamata in sussidiarieta'" di una funzione
amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale»
(Corte cost., sent. n. 179 del 2012). Deve trattarsi, dunque, di vere
e proprie intese "in senso forte", ossia di atti a struttura
necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione
unilaterale di una delle parti, che garantiscano "idonee procedure
per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze"
(ex plurimis, sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 339 del
2005)".
Alla luce di tali principi, non puo' dunque ritenersi legittima
una norma che contenga una "drastica previsione" della decisivita'
della volonta' di una sola parte, in caso di dissenso. Al contrario,
solo nell'ipotesi di ulteriore esito negativo dell'espletamento delle
"idonee procedure" di collaborazione potra' essere rimessa al Governo
la decisione unilaterale. Allorquando, invece, l'intervento
unilaterale dello Stato viene prefigurato come mera conseguenza
automatica del mancato raggiungimento dell'intesa, e' violato il
principio di leale collaborazione con conseguente sacrificio delle
sfere di competenza regionale.
Ebbene, anche l'art. 38, comma 1-bis del D.L. n. 133/2014 oggi
impugnato per come modificato dal comma 554, richiamando l'art. 1,
comma 8-bis della l. n. 239/2004 reca la «drastica previsione» della
decisivita' della volonta' di una sola parte, posto che il Consiglio
dei ministri delibera unilateralmente in materie di competenza
regionale, allorquando, a seguito del dissenso dell'amministrazione
regionale sull'intesa, il tentativo di addivenire all'accordo non sia
avvenuto entro ulteriori trenta giorni.
Non solo, infatti, il termine e' cosi' esiguo da rendere
oltremodo complesso e difficoltoso lo svolgimento di una qualsivoglia
trattativa, ma dal suo inutile decorso si fa automaticamente
discendere l'attribuzione al Governo del potere di deliberare, senza
che siano previste le necessarie «idonee procedure per consentire
reiterate trattative volte a superare le divergenze» (Corte cost.,
sent. n. 179 del 2012).
Ne', d'altro canto, la previsione che il Consiglio dei ministri
delibera, in esercizio del proprio potere sostitutivo, con la
partecipazione delle regioni interessate, «puo' essere considerata
valida sostituzione dell'intesa, giacche' trasferisce nell'ambito
interno di un organo costituzionale dello Stato un confronto tra
Stato e Regione, che deve necessariamente avvenire all'esterno, in
sede di trattative ed accordi, rispetto ai quali le parti siano poste
su un piano di parita'» (Corte cost., sent. n. 165 del 2011).
Per tali ragioni appare necessario rinnovare l'impugnativa
dell'art. 38, comma 1-bis, terzo periodo, del D.L. n. 133/2014, cosi'
come sostituito dal comma 554, dell'art. 1, della legge n. 190/2014.
5. Illegittimita' dell'art. 1, comma 580 della l. n. 190 del 2014,
per contrasto con gli articoli 5, 118 e 120 Cost.
Sotto diverso profilo, il comma 579 prevede che le regioni e le
province provvedano alla costituzione dei nuovi organi degli Istituti
zooprofilattici sperimentali entro il termine di sei mesi dalla data
di entrata in vigore delle leggi regionali di riordino di tali
Istituti, adottate in applicazione dell'art. 10, comma 1, del d.lgs.
n. 106 del 2012. Il successivo comma 580 stabilisce poi che, in caso
di mancato rispetto del termine indicato, il Ministro della salute
provveda alla nomina di un commissario.
La sostituzione del Ministro della salute alle diverse
amministrazioni titolari del potere di nomina appare ledere il
principio di leale collaborazione sancito dagli articoli 5 e 120
Cost.
Si evidenzia, infatti, che il ricorso al potere sostitutivo di
cui all'art. 120, secondo comma, Cost., rappresenta uno strumento
eccezionale di intervento che presuppone una voluta inerzia degli
enti titolari dei poteri non attuati.
Appaiono quindi lesi i principi di sussidiarieta' e di leale
collaborazione sanciti dagli articoli 118 e 120 Cost., per i quali la
coesistenza di vari livelli di governo sul territorio comporta
inevitabilmente la necessita' di individuare forme di collaborazione
e di concertazione, al fine di evitare ogni possibilita' di
insorgenza di conflitti sul piano amministrativo.
L'esercizio del potere amministrativo deve compiersi - sempre
secondo l'art. 120 - in base alle procedure stabilite dalla legge a
garanzia dei principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione
(Corte cost., sent. n. 165 del 2011).
La Regione inadempiente, infatti, nel vigente ordinamento
costituzionale, non perde la competenza a disciplinare la materia di
propria spettanza ne' prima - ancorche' il termine per provvedere sia
scaduto, ne' dopo l'effettivo esercizio del potere sostitutivo.
E' pacifico infatti che quest'ultimo non altera il quadro delle
competenze costituzionalmente previsto (diversamente, ad esempio,
dalla chiamata in sussidiarieta'), ma e' istituto pacificamente
rivolto a favorire l'applicazione delle legge da parte del soggetto
ordinariamente competente e non ad ostacolarne l'adempimento,
ancorche' tardivo. Ne deriva il carattere necessariamente cedevole
degli atti sostitutivi.
P. Q. M.
La Regione Campania, come sopra rappresentata e difesa, chiede
che Codesta Ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso,
voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
122, 202, 224, 421, 422, 427, 552, lett. b), 554 e 580 della legge 23
dicembre 2014, n. 190, per violazione degli articoli 5, 114, 117,
secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118, 119, primo, quarto e
quinto comma, 120, e 3 e 97 della Costituzione.
Roma-Napoli, 27 febbraio 2015
Avv. Caravita di Toritto
Avv. D'Elia
Avv. Bove