Ricorso n. 33 del 28 febbraio 2012 (Regione Trentino-Alto-Südtirol)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 28 febbraio 2012 (della Regione Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol).
(GU n. 13 del 28.03.2012 )
Ricorso della Regione Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol (cod. fiscale ...), in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 30 del 14 febbraio 2012 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 5555 del 15 febbraio 2012 (doc. 2), rogata dall'avv. Edith Engl, Ufficiale rogante della Regione, dal prof. avv. Giandomenico Falcon di Padova (cod. fisc. ...) e dall'avv. Luigi Manzi di Roma (cod. fisc. ...), con domicilio eletto presso quest'ultimo in Roma, via Confalonieri, 5,
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale
dell'articolo 22, comma 3;
dell'articolo 28, comma 3;
dell'articolo 48,
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici, come convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, pubblicata nella G.U. n. 300 del 27 dicembre 2011, per
violazione:
degli articoli 4, n. 1), e 16 dello Statuto speciale;
del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare degli articoli 69 e 79;
degli articoli 103, 104 e 107 del medesimo Statuto speciale;
delle relative norme di attuazione, tra le quali il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e 4), il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare articoli 9, 10 e 10-bis);
degli artt. 117, 118 e 119 Cost., in combinato disposto con l'art. 10 1. cost. 3/2001;
dell'art. 2, co. 108, 1. 191/2009;
del principio di leale collaborazione,
nei modi e per i profili di seguito illustrati.
Fatto
Il decreto-legge n. 201 del 2011, come risultante dalla legge di conversione n. 214 del 2011, contiene disposizioni di vario tipo, distribuite in quattro titoli: Sviluppo ed equita', Rafforzamento del
sistema finanziario nazionale e internazionale, Consolidamento dei conti pubblici, Disposizioni per la promozione e la tutela della concorrenza.
Tutte sono rivolte - come rivela il soprannome di decreto "salva Italia" che il Governo ha attribuito ad esso - a produrre un risultato utile per l'economia del Paese: e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol, come parte del Paese, non puo' che augurarsi che le misure producano i risultati sperati. Allo sforzo collettivo necessario al conseguimento di tali risultati essa non intende certo sottrarsi.
Al tempo stesso, tuttavia, essa non puo' rinunciare a chiedere che ogni contributo ad essa richiesto sia richiesto legittimamente, nel quadro e nel rispetto delle regole che disciplinano sotto il profilo finanziario - come sotto ogni altro profilo - i rapporti con lo Stato.
Ed essa Ritiene che nei punti che formano oggetto della presente impugnazione le regole costituzionali e statutarie di tali rapporti non siano rispettate.
In questa prospettiva, vengono qui in considerazione due disposizioni del Titolo III ("Consolidamento dei conti pubblici") ed una del Titolo IV ("Disposizioni per la promozione e la tutela della concorrenza").
Quanto al Titolo III, si tratta dell'art. 22, recante Altre disposizioni in materia di enti e organismi pubblici, facente parte del Capo terzo (Riduzioni di spesa. Costi degli apparati), nonche' dell'art. 28, recante Concorso alla manovra degli Enti territoriali e ulteriori riduzioni di spese, che forma ed esaurisce il capo VI (Concorso alla manovra degli Enti territoriali).
Quanto al Titolo IV si tratta dell'art. 48, recante Clausola di finalizzazione, facente parte del Capo IV, Misure per lo sviluppo infrastrutturale.
Ad avviso della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino¬Südtirol, le disposizioni succitate risultano lesive delle proprie prerogative costituzionali e statutarie per le seguenti ragioni di
Diritto
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 22, comma 3.
L'art. 22 e' inserito nel capo III (Riduzioni di spesa. Costi degli apparati) del titolo III. Il comma 3 di esso, qui impugnato, stabilisce che "le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e gli Enti locali, negli ambiti di rispettiva competenza, adeguano i propri ordinamenti a quanto previsto dall'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, . con riferimento alle Agenzie, agli enti e agli organismi strumentali, comunque denominati, sottoposti alla loro vigilanza entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto".
L'art. 6, co. 5, d.l. 78/2010, cosi' richiamato, dispone che "tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi pubblici, anche con personalita' giuridica di diritto privato, provvedono all'adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore
del presente decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non gia' costituiti in forma monocratica, nonche' il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero non superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti". Dispone ancora che in ogni caso, "le Amministrazioni vigilanti provvedono all'adeguamento della relativa disciplina di organizzazione, mediante i regolamenti di cui all'articolo 2, comma 634, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, con riferimento a tutti gli enti ed organismi pubblici rispettivamente vigilati, al fine di apportare gli adeguamenti previsti ai sensi del presente comma". Dispone infine che "la mancata adozione dei provvedimenti di adeguamento statutario o di organizzazione previsti dal presente comma nei termini indicati determina responsabilita' erariale e tutti gli atti adottati dagli
organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli".
In sostanza, l'art. 22, co. 3, impone alle Regioni e agli enti locali situati nel loro territorio di adeguare i propri ordinamenti in modo che gli enti pubblici (o comunque gli organismi strumentali) sottoposti alla loro vigilanza abbiano organi di amministrazione e controllo costituiti da un numero fisso e ridotto di componenti.
Tale vincolo appare di per se' illegittimo gia' in quanto riferito alle autonomie regionali in generale.
Le ragioni di tale illegittimita' risultano chiaramente sent. 182/2011 di codesta ecc.ma Corte costituzionale, riferita a fattispecie corrispondente a quella oggetto della disposizione. In tale sentenza codesta ecc. Corte ha rilevato "interventi analoghi per i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni dell'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni trascorsi dal legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di legittimita' costituzionale, data l'indebita compressione dell'autonomia finanziaria delle Regioni che con essi veniva realizzata", e che in particolare, "sono state ritenute illegittime, nella parte in cui pretendevano di imporsi al sistema regionale, rigide misure concernenti il numero massimo degli amministratori di societa' partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008)".
Secondo la Corte, l'art. 6 "puo' rispettare il riparto concorrente della potesta' legislativa in tema di coordinamento della finanza pubblica, solo a condizione di permettere l'estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale".
Ne risulta che l'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 "non intende imporre alle Regioni l'osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e puo' considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica in quanto stabilisce, rispetto a specifiche voci di spesa, limiti puntuali che si applicano integralmente allo Stato, mentre vincolano le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale solo come limite complessivo di speso". In sostanza, il comma 20 dell'art. 6 "autorizza le Regioni, le Province autonome e
gli enti del Servizio sanitario nazionale. a determinare, sulla base di una valutazione globale dei limiti di spesa puntuali dettati dall'art. 6, l'ammontare complessivo dei risparmi da conseguire e, quindi, a modulare in modo discrezionale, tenendo fermo quel vincolo, le percentuali di riduzione delle singole voci di spesa contemplate nell'art. 6".
Da tali considerazioni ed argomentazioni risulta chiaramente l'illegittimita' di una norma che pretende di vincolare le Regioni specificamente al rispetto di uno dei vincoli posti dall'art. 6, cioe' a quello risultante dal comma 5 di esso: infatti, si tratta di un limite ad una voce minuta di spesa, non transitorio e che non lascia margine di scelta alle Regioni, indicando gia' il modo per conseguire il risparmio.
E' dunque evidente che l'art. 6, co. 5, non puo' essere considerato principio di coordinamento della finanza pubblica e, dunque, non puo' far scattare un dovere di adeguamento anche a prescindere da quanto disposto dall'art. 79 dello Statuto speciale.
L'illegittimita' della norma e' altrettanto palese se considerata in relazione allo Statuto speciale.
L'art. 79 dello Statuto, introdotto dalla legge n. 191 del 2009 con la procedura prevista dall'art. 104 dello Statuto, disciplina esaustivamente il concorso della Regione "al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' e all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" (comma 1), stabilendo che "le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1" (comma 2).
Il comma 3 aggiunge che, "al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo". Si ribadisce inoltre che "non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale".
Anche dal comma 4 risulta che "le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo". Infine, lo stesso comma 4 precisa, per i rapporti con le norme statali che non siano direttamente misure di finanza pubblica, che "la regione e le province provvedono alle finalita' di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5".
Dunque, poiche' l'art. 22, co. 3, contiene una norma che e' chiaramente volta al coordinamento finanziario, l'applicazione di essa alla Regione si pone in contrasto con l'art. 79 St.: in particolare, con il comma 1, con il comma 2 e con il comma 3, terzo periodo, perche' si introduce per la Regione un'ulteriore modalita' di concorso agli obiettivi di finanza pubblica, diversa ed aggiuntiva rispetto a quelle previste dal predetto articolo 79, e si parifica la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region
Trentino-Südtirol alle Regioni ordinarie, mentre l'art. 79 in piu' punti esclude l'applicazione alla Regione delle misure valevoli per le altre Regioni. Il contrasto tra l'art. 22, co. 3, dell'impugnato decreto-legge e l'art. 79 St. comporta anche la violazione degli artt. 103, 104 e 107 dello Statuto e del principio di leale collaborazione, perche' una fonte primaria ordinaria, adottata unilateralmente, non e' abilitata a derogare ad una norma statutaria, adottata con la speciale procedura di cui all'art. 104 St.
Ne' le conclusioni muterebbero qualora si considerasse prevalente la materia "organizzazione amministrativa". E' da ricordare, infatti, che la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol e' titolare di competenza legislativa primaria in materia di' organizzazione amministrativa, compresa quella degli enti
collegati (art. 4, n. 1, St.). L'art. 22, co. 3, viola questa norma, perche' pretende di vincolare la Regione, in materia regionale, ad una norma di dettaglio, che - come visto nella prima parte di questo motivo - non puo' essere qualificata come principio fondamentale e, dunque, non puo' condizionare la potesta' concorrente e tanto meno quella primaria.
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 3.
L'art. 28 ha ad oggetto il Concorso alla manovra degli Enti territoriali e ulteriori riduzioni di spese. Il comma 3 stabilisce quanto segue: "Con le procedure previste dall'articolo 27, della legge 5 maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere
dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui. Con le medesime procedure le Regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza
pubblica di 60 milioni di euro annui, da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato, proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali".
Siamo, dunque, di fronte ad una ulteriore rilevante sottrazione di risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a quelle previsti dall'art. 14 d.l. 78/2010, dall'art. 20, co. 5, di. 98/2011 e dall'art. 1, co. 8, di. 138/2011, come sintetizzati e ripartiti dal comma 10 dell'art. 32 della legge n. 183 del 2011 (quest'ultimo
oggetto di impugnazione da parte della Regione).
La sottrazione di risorse qui contestata non ha in effetti alcuna base statutaria.
Al contrario, le disposizioni dello Statuto, a partire dal fondamentale art. 69, sono rivolte ad assicurare alla Regione le finanze necessarie all'esercizio delle funzioni: ed e' chiaro che la devoluzione statutaria di percentuali dei tributi riscossi nella regione non avrebbe alcun senso, se poi fosse consentito alla legge ordinaria dello Stato di riportare all'erario tali risorse, per di piu' con determinazione unilaterale e meramente potestativa.
Per di piu', come gia' piu' volte ricordato, l'art. 79 dello Statuto di autonomia disciplina ormai in modo preciso, esaustivo ed esclusivo le regole secondo le quali la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol assolve gli "obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" (comma 1): e - come lo stesso art. 79 esplicitamente precisa - tali regole "possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104", mentre "fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di
finanza pubblica di cui al comma 1" (comma 2). Ed il comma 4 ribadisce che "le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta'... non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo". Con
le disposizioni statutarie sopra ricordate l'impugnato art. 28, comma 3, si pone in insanabile conflitto.
Le risorse spettanti alla Regione non possono essere semplicemente "acquisite" dallo Stato, mentre la Regione stessa concorre al risanamento della finanza pubblica nei modi direttamente previsti dall'art. 79 o comunque in quelli regolati dall'art. 79 (v. il comma 3). Si tratta di un regime speciale, che non puo' essere
alterato unilateralmente dal legislatore ordinario.
Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale: v. le sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010.
Non puo' ingannare, in questo come negli altri casi, il rinvio alle norme di attuazione dello Statuto.
In primo luogo, l'accantonamento previsto in attesa delle norme di attuazione e' gia' autonomamente lesivo, traducendosi in una sottrazione delle risorse disponibili per la Regione, al di fuori delle regole di coordinamento finanziario stabilite dall'art. 79 (v. anche argomenti esposti sopra).
In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione, l'art. 79 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art. 104 St. e non in sede di attuazione. In terzo luogo, l'art. 28, co. 3, determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme di
attuazione, per cui il rinvio alla fonte "concertata" appare fittizio. Inoltre, "fino all'emanazione delle norme di attuazione.
l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato. a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali". Dunque, la riduzione delle risorse e' operata direttamente e unilateralmente dal legislatore statale, in contrasto con lo Statuto e con il principio consensuale che domina i rapporti tra Stato e Regioni speciali in materia finanziaria (v. le sentt. sopra citate).
In definitiva, come detto, l'art. 28, co. 3, viola l'art. 79 St., co. 1, 2, e 4, primo periodo, perche' i modi in cui la Regione concorre al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica o sono fissati direttamente dallo stesso art. 79 o vanno concordati tra Stato e Regione, sempre in base all'art. 79.
Corrispondentemente, e' violato l'art. 104, che richiede il consenso della Regione per la modifica delle norme del Titolo VI dello Statuto.
Inoltre, e' violato l'art. 107 St., perche' una fonte primaria pretende di vincolare il contenuto delle norme di attuazione.
Ancora, il terzo periodo dell'art. 28, co. 3, viola l'art. 69 St., perche' diminuisce l'importo spettante alla Regione a titolo di compartecipazioni, in base alla suddetta norma statutaria.
E', poi, ulteriormente e specificamente illegittimo e lesivo il terzo periodo dell'art. 28, co. 3, la' dove prevede il criterio del riparto dell'accantonamento ("proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009"). Infatti, tale criterio non risulta in alcun modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali, in contrasto con il principio consensuale di cui sopra, oggi stabilito espressamente nello Statuto speciale per la determinazione del patto di stabilita' (e comunque sempre seguito nelle precedenti leggi finanziarie dello Stato).
Infine, risulta illegittimo il quarto periodo dell'art. 28, co. 3, secondo il quale, in relazione al riparto della sottrazione complessiva di risorse tra le diverse autonomie speciali, "per la Regione Siciliana si tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale per effetto del comma 2".
Posto che il richiamato comma 2 stabilisce che "l'aliquota di cui al comma 1" (cioe' l'aumento dell'aliquota di base dell'addizionale regionale all'IRPEF, regolata dall'art. 6 d. lgs. 68/2011, da 0,9 a
1,23 ) "si applica anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano", la disposizione appare particolarmente oscura.
Tuttavia, essa sembra interpretabile nel senso che la quota del taglio previsto nell'art. 28, co. 3 (? 860 milioni), che dovrebbe essere addossata alla Regione Siciliana, deve essere ridotta in corrispondenza alle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla Regione stessa.
Posto che di cio' si tratti, e' chiaro che, in questo modo, si altererebbe addirittura in peggio per la ricorrente Regione il criterio proporzionale fissato dal terzo periodo del comma 3 e si addosserebbe irragionevolmente alle altre autonomie speciali una
quota parte del finanziamento della spesa sanitaria della Regione Siciliana.
Ne risulterebbe la violazione dell'art. 3 cost. e la lesione dell'autonomia finanziaria e amministrativa della Regione, perche' essa verrebbe chiamata a contribuire al finanziamento parziale della sanita' siciliana (v., per l'ammissibilita' di una censura ex art. 3 Cost., ad es., la sent. 16/2010, punto 5.1), con inevitabili ripercussioni sulle proprie funzioni amministrative e sulla propria autonomia di spesa.
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 48.
L'art. 48 contiene una generale "clausola di finalizzazione".
In base al comma 1, "le maggiori entrate erariali derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione
economica internazionale". Si prevede poi che "con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze. sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione".
Il comma 1-bis aggiunge che, "ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle recate dal presente articolo, con le norme di attuazione statutaria. sono definiti le modalita' di applicazione e gli effetti finanziari del presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano".
Tale comma 1-bis, con il suo "rinvio" alle norme di attuazione dello statuto, ha l'apparenza di una clausola di salvaguardia delle autonomie speciali e delle loro regole statutarie: ma al tempo stesso la disposizione ribadisce la diretta applicazione non solo degli articoli 13, 14 e 28, ma anche delle disposizioni "recate dal presente articolo": dunque, il regime di cui all'art. 48, co. 1, si
riferisce anche alle entrate percepite nella regione Trentino-Alto Adige.
Maggiori entrate erariali deriveranno, ad esempio, dall'art. 10 (a seguito dell'emersione della base imponibile) e dall'art. 18 (che aumenta le aliquote Iva).
Ad avvisto della ricorrente Regione la riserva di tali maggiori entrate all'erario e' illegittima per le ragioni di seguito esposte.
L'art. 69 dello Statuto stabilisce che "sono devoluti alla regione i proventi delle imposte ipotecarie percette nel suo territorio, relative ai beni situati nello stesso" (co. 1). In base al comma 2, "sono altresi' devolute alla regione le seguenti quote del gettito delle sottoindicate entrate tributarie dello Stato, percette nel territorio regionale: a) i nove decimi delle imposte sulle successioni e donazioni e sul valore netto globale delle successioni; b) i due decimi dell'imposta sul valore aggiunto, esclusa quella relativa all'importazione.; c) i nove decimi del
provento del lotto, al netto delle vincite".
L'art. 2, co. 108, legge 191/2009 (approvato ai sensi dell'art. 104 St.) regola la corresponsione alla Regione delle quote dei tributi erariali ad essa spettanti.
L'art. 48, co. 1, dunque, riservando all'Erario le "maggiori entrate erariali derivanti dal presente decreto", risulta contrastante con l'art. 69, co. 2, lett. b) dello Statuto, che garantisce alla Regione una precisa compartecipazione all'Iva.
Ne' si potrebbe affermare che la riserva all'erario di cui all'art. 48 sia giustificata in virtu' del d.lgs. 268/1992. Essa, infatti, non rispetta affatto i requisiti posti dall'art. 9 d.lgs. 268/1992 per la riserva all'erario del "gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi".
Tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di codesta Corte n. 182/2010, secondo la quale "tale articolo richiede, per la legittimita' della riserva statale, che: a) detta riserva sia giustificata da «finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992, e cioe' da finalita' diverse tanto dal «raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto dalla copertura di «spese derivanti dall'esercizio delle funzioni statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); b) il gettito sia destinato per legge «alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali»; c) il gettito sia «temporalmente delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile»".
Ora, l'assenza dei requisiti sub a) e b) e' evidente. Infatti, l'art. 48 riserva all'Erario "le maggiori entrate erariali derivanti dal presente decreto" (per un periodo di cinque anni, attraverso separata contabilizzazione) per destinarle "alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale". In questi termini, la norma censurata ha la medesima finalita' di cui all'art. 10, co. 6, d. lgs. 268/1992 («raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica»), il che gia' da se' esclude la sussistenza del requisito indicato sub a) nella sent. 182/2010 (che la riserva sia giustificata da finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992).
Ugualmente la disposizione impugnata non soddisfa il requisito sub b), in quanto essa non destina le maggiori entrate a "nuove specifiche spese": non si tratta di "spese", ne' la destinazione allude a qualcosa di "nuovo" e di "specifico". E'da ricordare che la sent. 182/2010 fece salva la norma impugnata in quell'occasione (l'art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge l° luglio 2009, n. 78) proprio in quanto essa destinava il gettito dell'imposta "al finanziamento della ripresa economica, quali: il sostegno alle imprese, anche attraverso il finanziamento del timido di garanzia e l'alleggerimento del carico fiscale...; gli interventi sul mercato del lavoro, anche attraverso il finanziamento del fondo per l'occupazione...; il finanziamento degli investimenti pubblici, con particolare riguardo alle infrastrutture e alle attivita' di ricerca e sviluppo...; il supporto alle famiglie, con misure di salvaguardia del potere d'acquisto, di tutela dei piccoli risparmiatori, di risposta all'emergenza abitativa...; il finanziamento della cooperazione internazionale allo sviluppo...; il finanziamento delle opere di ricostruzione dell'Abruzzo". Si tratta, come si puo' vedere, di spese e finalita' nuove e specifiche, ben diverse dal mero e generale "raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea".
Escluso che l'art. 48 possa trovare fondamento nell'art. 9 d. lgs. 268/1992, e' anche da escludere che esso possa ricondursi all'art. 10 e all'art. 10-bis del medesimo decreto.
In primo luogo, l'art. 10, co. 6, ha ad oggetto "una quota del previsto incremento del gettito tributario. spettante alle province autonome", per cui esso non e' applicabile alla Regione.
Inoltre, abrogato l'art. 78 dello Statuto e soppressa la somma spettante in base ad esso (v. anche l'art. 79, co. 1, St.), sono da ritenere inapplicabili le norme attuative dell'art. 78, quale l'art. 10 d, lgs. 268/1992. Questo vale anche per l'art. 10, co. 6, strettamente connesso alla disciplina dell'accordo (menzionato in due punti del comma 6) relativo alla determinazione della quota variabile, ora soppressa.
Ancora, l'art. 10, co. 6, prevedeva un meccanismo consensuale per far partecipare le Province "al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica", che e' stato ora sostituito da quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo.
Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale dell'art. 79, co. 4, secondo cui "le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo".
Qualora, in denegata ipotesi, non si ritenesse superato l'art. 10, co. 6, si dovrebbe perlomeno riconoscere che la determinazione della quota in questione dovrebbe pur sempre rispettare il principio di leale collaborazione e, in particolare, il principio consensuale che domina le relazioni finanziarie fra lo Stato e le Regioni speciali. In altre parole, anche venuto meno l'accordo per la determinazione della quota variabile, lo Stato avrebbe pur sempre dovuto cercare l'accordo con la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol, non potendo unilateralmente alterare le regole sulle compartecipazioni e gli strumenti con cui la Regione partecipa al risanamento finanziario, disciplinati dall'art. 79 dello Statuto.
Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale (v. le sentenze citate nel motivo 1 del ricorso).
In effetti, e' assolutamente incongruo ed ad avviso della Regione illegittimo che lo Stato, con una fonte primaria unilateralmente adottata, alteri in modo cosi rilevante l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Regione, laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa materia ed e' stato ribadito proprio
con la recente riforma statutaria.
Inoltre, la norma impugnata non rispetta l'art. l0, co. 6 (sempre nella denegata ipotesi che esso sia ritenuto applicabile), anche perche' riserva all'erario tutte "le maggiori entrate", mentre la norma di attuazione limita ad "una quota del previsto incremento del gettito tributario" la possibilita' di destinazione "al
raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica".
Ancora, l'art. 48, co. 1, del d.l. 201/2011 si pone in contrasto con l'art. 79 dello Statuto, che - come visto - stabilisce che "la regione e le province concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' e all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" nei modi di seguito indicati e "con le modalita' di coordinamento della finanza pubblica definite al comma 3" (co. 1), aggiungendo che "le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1" (co. 2).
Sia il comma 3 (" Non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale") che il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alla Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol delle norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni.
Poiche' l'art. 48 riserva le maggiori entrate "alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea", ne deriva la violazione delle norme - sopra citate - contenute nell'art. 79 St., che configurano un sistema completo di concorso della Regione agli obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se non con le modalita' previste dallo Statuto.
Infine, proprio perche' agli artt. 69 e 79 St. e al d. lgs. 268/1992 si e' derogato con una fonte primaria "ordinaria" (in realta', un d.l. convertito), l'art. 48 viola anche gli artt. 103 (che prevede il procedimento di revisione costituzionale per le modifiche dello Statuto), 104 (che prevede la possibilita' di modificare "le norme del titolo VI. con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province") e l'art. 107 (che disciplina la speciale procedura per l'adozione delle norme di' attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale.
Il secondo periodo dell'art. 48, co. 1, dispone che "con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze... sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione". Si tratta dunque di una norma volta a
regolare l'attuazione del primo periodo: la quale, pertanto, e' affetta dai medesimi vizi sopra illustrati.
In subordine, essa e' poi censurabile specificamente ed autonomamente sotto un ulteriore aspetto, cioe' per la mancata previsione dell'intesa con la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol in relazione al decreto che stabilisce le modalita' di individuazione del maggior gettito.
Infatti, poiche' si tratta di intervenire in relazione a risorse che spetterebbero alla Regione, in una materia dominata dal principio consensuale, risulta specificamente illegittima, per violazione del principio di leale collaborazione, la previsione di un decreto ministeriale senza intesa con la Regione.
Come gia' ricordato, il comma 1-bis dello stesso art. 48 statuisce che "ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle recate dal presente articolo, con le norme di attuazione statutaria di cui all'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, sono definiti le modalita' di applicazione e gli effetti finanziari del presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano".
Premesso che gli artt. 13 e 14 non riguardano la Regione, si sono gia' contestate singolarmente la disposizione dell'art. 28, nonche' quella dello stesso art. 48, comma 1. Ne' si vede - a parte quanto disposto gia' da tali articoli - che cosa d'altro rimarrebbe da
disciplinare quanto alle "modalita' di applicazione" ed agli "effetti finanziari" del decreto n. 201.
In ogni modo, anche tale ultima disposizione appare illegittima, in quanto non spetta alla legge ordinaria di disciplinare il contenuto delle norme di attuazione dello Statuto. Il solo senso legittimo che ad essa si puo' attribuire e' la conferma della non applicazione del decreto 201 alla Regione, per ogni aspetto per il quale l'applicazione non sia espressamente prevista: ferme restando, ovviamente, le contestazioni e le censure sopra esposte in relazione alle disposizioni di cui e' prevista l'applicazione.
P.Q.M.
Chiede, voglia codesta Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 22, comma 3;
dell'articolo 28, comma 3; dell'articolo 48 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici, nelle parti, nei termini,e sotto i profili esposti nel presente ricorso.
Padova-Roma, 23 febbraio 2012
Prof. Avv. Falcon - Avv. Manzi