Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria  il  28  febbraio  2012  (della   Regione   Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol).

 

 

 

(GU n. 13 del 28.03.2012 ) 

 

 

 

    Ricorso  della  Regione   Trentino-Alto   Adige/Autonome   Region Trentino-Südtirol  (cod.  fiscale  ...),   in   persona   del Presidente  della  Giunta  regionale  pro  tempore  Lorenzo   Dellai, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale  n.  30  del  14 febbraio 2012 (doc. 1),  rappresentata  e  difesa,  come  da  procura speciale n. rep. 5555 del 15 febbraio 2012 (doc. 2), rogata dall'avv. Edith  Engl,  Ufficiale  rogante  della  Regione,  dal   prof.   avv. Giandomenico  Falcon  di  Padova  (cod.  fisc.  ...)   e dall'avv. Luigi Manzi di  Roma  (cod.  fisc.  ...),  con domicilio eletto presso quest'ultimo in Roma, via Confalonieri, 5,

    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la dichiarazione di illegittimita' costituzionale

        dell'articolo 22, comma 3;

        dell'articolo 28, comma 3;

        dell'articolo 48,

        del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201,  Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti pubblici, come convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, pubblicata nella G.U. n. 300 del 27 dicembre 2011,  per

violazione:

        degli articoli 4, n. 1), e 16 dello Statuto speciale;

        del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare  degli articoli 69 e 79;

        degli articoli 103, 104 e 107 del medesimo Statuto speciale;

        delle relative norme di attuazione, tra le quali  il  decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e  4),  il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare articoli 9, 10 e 10-bis);

        degli artt. 117, 118 e 119 Cost., in combinato  disposto  con l'art. 10 1. cost. 3/2001;

        dell'art. 2, co. 108, 1. 191/2009;

        del principio di leale collaborazione,

    nei modi e per i profili di seguito illustrati.

 

                                Fatto

 

    Il decreto-legge n. 201 del 2011, come risultante dalla legge  di conversione n. 214 del 2011, contiene  disposizioni  di  vario  tipo, distribuite in quattro titoli: Sviluppo ed equita', Rafforzamento del

sistema finanziario nazionale e  internazionale,  Consolidamento  dei conti pubblici, Disposizioni per la  promozione  e  la  tutela  della concorrenza.

    Tutte sono rivolte - come rivela il soprannome di decreto  "salva Italia" che il  Governo  ha  attribuito  ad  esso  -  a  produrre  un risultato utile per l'economia  del  Paese:  e  la  Regione  autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol, come parte del Paese, non puo' che augurarsi che le  misure  producano  i  risultati sperati. Allo sforzo collettivo necessario al conseguimento  di  tali risultati essa non intende certo sottrarsi.

    Al tempo stesso, tuttavia, essa non puo'  rinunciare  a  chiedere che ogni contributo ad essa richiesto sia  richiesto  legittimamente, nel quadro e nel rispetto delle  regole  che  disciplinano  sotto  il profilo finanziario - come sotto ogni altro profilo - i rapporti  con lo Stato.

    Ed essa Ritiene che nei punti che formano oggetto della  presente impugnazione le regole costituzionali e statutarie di  tali  rapporti non siano rispettate.

    In  questa  prospettiva,  vengono  qui  in   considerazione   due disposizioni del Titolo III ("Consolidamento dei conti pubblici")  ed una del Titolo IV ("Disposizioni per la promozione e la tutela  della concorrenza").

    Quanto al Titolo III,  si  tratta  dell'art.  22,  recante  Altre disposizioni in materia di enti e organismi pubblici,  facente  parte del Capo terzo (Riduzioni di spesa. Costi  degli  apparati),  nonche' dell'art. 28, recante Concorso alla manovra degli Enti territoriali e ulteriori riduzioni di spese, che  forma  ed  esaurisce  il  capo  VI (Concorso alla manovra degli Enti territoriali).

    Quanto al Titolo IV si tratta dell'art. 48, recante  Clausola  di finalizzazione, facente parte del Capo IV,  Misure  per  lo  sviluppo infrastrutturale.

    Ad avviso della  Regione  autonoma  Trentino-Alto  Adige/Autonome Region Trentino¬Südtirol, le disposizioni succitate risultano  lesive delle proprie prerogative costituzionali e statutarie per le seguenti ragioni di

 

                               Diritto

 

    1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 22, comma 3.

    L'art. 22 e' inserito nel capo III  (Riduzioni  di  spesa.  Costi degli apparati) del titolo III. Il comma 3 di  esso,  qui  impugnato, stabilisce che "le Regioni, le Province autonome di Trento e  Bolzano e gli Enti locali, negli ambiti di rispettiva competenza, adeguano  i propri ordinamenti a quanto previsto dall'articolo 6,  comma  5,  del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, . con riferimento alle  Agenzie, agli  enti  e  agli  organismi  strumentali,   comunque   denominati, sottoposti alla loro vigilanza entro un anno dall'entrata  in  vigore del presente decreto".

    L'art. 6, co. 5, d.l.  78/2010,  cosi'  richiamato,  dispone  che "tutti gli enti pubblici, anche economici, e gli organismi  pubblici, anche con  personalita'  giuridica  di  diritto  privato,  provvedono all'adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare  che,  a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore

del presente decreto, gli  organi  di  amministrazione  e  quelli  di controllo, ove non gia' costituiti in forma monocratica,  nonche'  il collegio dei revisori, siano costituiti da un numero  non  superiore, rispettivamente, a cinque e a tre componenti". Dispone ancora che  in ogni caso, "le Amministrazioni vigilanti  provvedono  all'adeguamento della relativa disciplina di organizzazione, mediante  i  regolamenti di cui all'articolo 2, comma 634, della legge 24  dicembre  2007,  n. 244,  con  riferimento  a  tutti  gli  enti  ed  organismi   pubblici rispettivamente  vigilati,  al  fine  di  apportare  gli  adeguamenti previsti ai sensi del presente comma". Dispone infine che "la mancata adozione  dei  provvedimenti   di   adeguamento   statutario   o   di organizzazione previsti  dal  presente  comma  nei  termini  indicati determina responsabilita' erariale e tutti gli  atti  adottati  dagli

organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli".

    In sostanza, l'art. 22, co. 3, impone alle Regioni  e  agli  enti locali situati nel loro territorio di adeguare i  propri  ordinamenti in modo che gli enti pubblici (o comunque gli organismi  strumentali) sottoposti alla loro vigilanza abbiano organi  di  amministrazione  e controllo costituiti da un numero fisso e ridotto di componenti.

    Tale vincolo  appare  di  per  se'  illegittimo  gia'  in  quanto riferito alle autonomie regionali in generale.

    Le ragioni di tale  illegittimita'  risultano  chiaramente  sent. 182/2011  di  codesta  ecc.ma  Corte   costituzionale,   riferita   a fattispecie corrispondente a quella oggetto  della  disposizione.  In tale sentenza codesta ecc. Corte ha rilevato "interventi analoghi per i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni  dell'art.  6 del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni  trascorsi  dal legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di legittimita' costituzionale,    data    l'indebita    compressione dell'autonomia  finanziaria  delle  Regioni  che  con   essi   veniva realizzata", e che in particolare, "sono state ritenute  illegittime, nella parte in cui pretendevano  di  imporsi  al  sistema  regionale, rigide misure concernenti il numero massimo degli  amministratori  di societa' partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008)".

    Secondo  la  Corte,  l'art.  6  "puo'   rispettare   il   riparto concorrente della potesta' legislativa in tema di coordinamento della finanza pubblica, solo a condizione di  permettere  l'estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di  principi  rispettosi  di  uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale".

    Ne risulta che l'art. 6 del decreto-legge n.  78  del  2010  "non intende imporre alle Regioni l'osservanza puntuale ed  incondizionata dei  singoli  precetti  di  cui  si  compone  e   puo'   considerarsi espressione di un principio fondamentale della  finanza  pubblica  in quanto stabilisce,  rispetto  a  specifiche  voci  di  spesa,  limiti puntuali che si applicano integralmente allo Stato, mentre  vincolano le Regioni, le Province autonome e gli enti  del  Servizio  sanitario nazionale solo come limite complessivo di  speso".  In  sostanza,  il comma 20 dell'art. 6 "autorizza le Regioni, le  Province  autonome  e

gli enti del Servizio sanitario nazionale. a determinare, sulla  base di una valutazione globale  dei  limiti  di  spesa  puntuali  dettati dall'art. 6, l'ammontare complessivo dei risparmi  da  conseguire  e, quindi, a modulare in modo discrezionale, tenendo fermo quel vincolo, le percentuali di riduzione delle singole voci di  spesa  contemplate nell'art. 6".

    Da tali  considerazioni  ed  argomentazioni  risulta  chiaramente l'illegittimita' di una norma che pretende di  vincolare  le  Regioni specificamente al rispetto di uno  dei  vincoli  posti  dall'art.  6, cioe' a quello risultante dal comma 5 di esso: infatti, si tratta  di un limite ad una voce minuta di spesa,  non  transitorio  e  che  non lascia margine di scelta alle Regioni, indicando  gia'  il  modo  per conseguire il risparmio.

    E'  dunque  evidente  che  l'art.  6,  co.  5,  non  puo'  essere considerato principio di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e, dunque, non puo' far  scattare  un  dovere  di  adeguamento  anche  a prescindere da quanto disposto dall'art. 79 dello Statuto speciale.

    L'illegittimita' della norma e' altrettanto palese se considerata in relazione allo Statuto speciale.

    L'art. 79 dello Statuto, introdotto dalla legge n. 191  del  2009 con la procedura prevista dall'art.  104  dello  Statuto,  disciplina esaustivamente il concorso  della  Regione  "al  conseguimento  degli obiettivi di perequazione  e  di  solidarieta'  e  all'esercizio  dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'  all'assolvimento degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti   dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa statale" (comma 1), stabilendo che "le  misure  di  cui  al  comma  1 possono essere modificate esclusivamente con  la  procedura  prevista dall'articolo  104  e  fino   alla   loro   eventuale   modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui al comma 1" (comma 2).

    Il comma 3 aggiunge che, "al fine di assicurare il concorso  agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e  le  province  concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli  obblighi  relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi  di  bilancio da conseguire in ciascun periodo". Si ribadisce inoltre che  "non  si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti  nel restante territorio nazionale".

    Anche dal comma 4 risulta che "le disposizioni  statali  relative all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal presente articolo". Infine, lo stesso comma 4 precisa, per i rapporti con le norme statali che non siano  direttamente  misure  di  finanza pubblica, che "la regione e le province provvedono alle finalita'  di coordinamento  della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche disposizioni  legislative   dello   Stato,   adeguando   la   propria legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5".

    Dunque, poiche' l'art. 22, co.  3,  contiene  una  norma  che  e' chiaramente volta al  coordinamento  finanziario,  l'applicazione  di essa alla Regione  si  pone  in  contrasto  con  l'art.  79  St.:  in particolare, con il comma 1, con il comma 2 e con il comma  3,  terzo periodo, perche' si introduce per la Regione  un'ulteriore  modalita' di concorso agli obiettivi di finanza pubblica, diversa ed aggiuntiva rispetto a quelle previste dal predetto articolo 79, e si parifica la Regione     autonoma     Trentino-Alto     Adige/Autonome      Region

Trentino-Südtirol alle Regioni ordinarie, mentre l'art.  79  in  piu' punti esclude l'applicazione alla Regione delle misure  valevoli  per le altre Regioni. Il contrasto tra l'art. 22, co.  3,  dell'impugnato decreto-legge e l'art. 79 St.  comporta  anche  la  violazione  degli artt. 103,  104  e  107  dello  Statuto  e  del  principio  di  leale collaborazione,  perche'  una  fonte  primaria  ordinaria,   adottata unilateralmente, non e' abilitata a derogare ad una norma statutaria, adottata con la speciale procedura di cui all'art. 104 St.

    Ne' le conclusioni muterebbero qualora si considerasse prevalente la materia "organizzazione amministrativa". E' da ricordare, infatti, che  la  Regione   autonoma   Trentino-Alto   Adige/Autonome   Region Trentino-Südtirol e' titolare di competenza legislativa  primaria  in materia di' organizzazione amministrativa, compresa quella degli enti

collegati (art. 4, n. 1, St.). L'art. 22, co. 3, viola questa  norma, perche' pretende di vincolare la Regione, in  materia  regionale,  ad una norma di dettaglio, che - come visto nella prima parte di  questo motivo - non puo' essere qualificata come principio  fondamentale  e, dunque, non puo' condizionare la potesta' concorrente  e  tanto  meno quella primaria.

    2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 3.

    L'art. 28 ha ad oggetto  il  Concorso  alla  manovra  degli  Enti territoriali e ulteriori riduzioni di spese. Il  comma  3  stabilisce quanto segue: "Con le  procedure  previste  dall'articolo  27,  della legge 5 maggio 2009, n. 42,  le  Regioni  a  statuto  speciale  e  le Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  assicurano,  a  decorrere

dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui.  Con  le  medesime  procedure  le  Regioni  Valle  d'Aosta   e Friuli-Venezia Giulia e le Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano assicurano, a decorrere dall'anno  2012,  un  concorso  alla  finanza

pubblica di 60 milioni di euro annui, da parte dei  Comuni  ricadenti nel proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo complessivo di 920  milioni e' accantonato, proporzionalmente alla  media  degli  impegni  finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio  2007-2009,  a  valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali".

    Siamo, dunque, di fronte ad una ulteriore  rilevante  sottrazione di risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a  quelle  previsti dall'art. 14 d.l.  78/2010,  dall'art.  20,  co.  5,  di.  98/2011  e dall'art. 1, co. 8, di. 138/2011, come sintetizzati e  ripartiti  dal comma 10 dell'art. 32 della  legge  n.  183  del  2011  (quest'ultimo

oggetto di impugnazione da parte della Regione).

    La sottrazione di risorse qui contestata non ha in effetti alcuna base statutaria.

    Al contrario,  le  disposizioni  dello  Statuto,  a  partire  dal fondamentale art. 69, sono rivolte  ad  assicurare  alla  Regione  le finanze necessarie all'esercizio delle funzioni: ed e' chiaro che  la devoluzione statutaria di  percentuali  dei  tributi  riscossi  nella regione non avrebbe alcun senso, se poi fosse consentito  alla  legge ordinaria dello Stato di riportare all'erario tali  risorse,  per  di piu' con determinazione unilaterale e meramente potestativa.

    Per di piu', come gia' piu'  volte  ricordato,  l'art.  79  dello Statuto di autonomia disciplina ormai in modo preciso,  esaustivo  ed esclusivo  le  regole  secondo   le   quali   la   Regione   autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome  Region  Trentino-Südtirol  assolve  gli "obblighi   di   carattere   finanziario    posti    dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa statale" (comma 1): e - come lo stesso art. 79 esplicitamente precisa - tali  regole  "possono  essere  modificate  esclusivamente  con  la procedura  prevista  dall'articolo  104",  mentre  "fino  alla   loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli  obiettivi  di

finanza pubblica di cui  al  comma  1"  (comma  2).  Ed  il  comma  4 ribadisce che "le disposizioni statali relative all'attuazione  degli obiettivi  di  perequazione  e   di   solidarieta'...   non   trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e  sono  in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente  articolo".  Con

le disposizioni statutarie sopra ricordate l'impugnato art. 28, comma 3, si pone in insanabile conflitto.

    Le  risorse   spettanti   alla   Regione   non   possono   essere semplicemente "acquisite"  dallo  Stato,  mentre  la  Regione  stessa concorre al risanamento della finanza pubblica nei modi  direttamente previsti dall'art. 79 o comunque in quelli regolati dall'art. 79  (v. il comma 3). Si tratta di un regime speciale,  che  non  puo'  essere

alterato unilateralmente dal legislatore ordinario.

    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente riconosciuto  nella  giurisprudenza  costituzionale:  v.  le   sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010.

    Non puo' ingannare, in questo come negli altri  casi,  il  rinvio alle norme di attuazione dello Statuto.

    In primo luogo, l'accantonamento previsto in attesa  delle  norme di attuazione e'  gia'  autonomamente  lesivo,  traducendosi  in  una sottrazione delle risorse disponibili per la  Regione,  al  di  fuori delle regole di coordinamento finanziario stabilite dall'art. 79  (v. anche argomenti esposti sopra).

    In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione,  l'art. 79 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art.  104  St.  e non in sede  di  attuazione.  In  terzo  luogo,  l'art.  28,  co.  3, determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme  di

attuazione,  per  cui  il  rinvio  alla  fonte  "concertata"   appare fittizio. Inoltre, "fino all'emanazione delle  norme  di  attuazione.

l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato. a  valere  sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali". Dunque, la riduzione delle  risorse  e'  operata  direttamente   e   unilateralmente   dal legislatore statale, in contrasto con lo Statuto e con  il  principio consensuale che domina i rapporti tra Stato  e  Regioni  speciali  in materia finanziaria (v. le sentt. sopra citate).

    In definitiva, come detto, l'art. 28, co. 3, viola l'art. 79 St., co. 1, 2, e 4, primo periodo,  perche'  i  modi  in  cui  la  Regione concorre al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica o sono fissati direttamente dallo stesso art.  79  o  vanno  concordati  tra Stato e Regione, sempre in base all'art. 79.

    Corrispondentemente, e'  violato  l'art.  104,  che  richiede  il consenso della Regione per la modifica  delle  norme  del  Titolo  VI dello Statuto.

    Inoltre, e' violato l'art. 107 St., perche'  una  fonte  primaria pretende di vincolare il contenuto delle norme di attuazione.

    Ancora, il terzo periodo dell'art. 28, co.  3,  viola  l'art.  69 St., perche' diminuisce l'importo spettante alla Regione a titolo  di compartecipazioni, in base alla suddetta norma statutaria.

    E', poi, ulteriormente e specificamente illegittimo e  lesivo  il terzo periodo dell'art. 28, co. 3, la' dove prevede il  criterio  del riparto  dell'accantonamento  ("proporzionalmente  alla  media  degli impegni  finali  registrata  per  ciascuna  autonomia  nel   triennio 2007-2009").  Infatti,  tale  criterio  non  risulta  in  alcun  modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali, in contrasto con  il  principio  consensuale  di   cui   sopra,   oggi   stabilito espressamente nello Statuto speciale per la determinazione del  patto di stabilita' (e  comunque  sempre  seguito  nelle  precedenti  leggi finanziarie dello Stato).

    Infine, risulta illegittimo il quarto periodo dell'art.  28,  co. 3, secondo il  quale,  in  relazione  al  riparto  della  sottrazione complessiva di risorse tra le diverse  autonomie  speciali,  "per  la Regione Siciliana si tiene conto  della  rideterminazione  del  fondo sanitario nazionale per effetto del comma 2".

    Posto che il richiamato comma 2 stabilisce che "l'aliquota di cui al comma 1" (cioe' l'aumento dell'aliquota di  base  dell'addizionale regionale all'IRPEF, regolata dall'art. 6 d. lgs. 68/2011, da 0,9  a

1,23 ) "si applica anche alle Regioni  a  statuto  speciale  e  alle Province autonome  di  Trento  e  Bolzano",  la  disposizione  appare particolarmente oscura.

    Tuttavia, essa sembra interpretabile nel senso che la  quota  del taglio previsto nell'art. 28, co. 3  (? 860  milioni),  che  dovrebbe essere addossata alla  Regione  Siciliana,  deve  essere  ridotta  in corrispondenza alle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla Regione stessa.

    Posto che di cio' si tratti, e' chiaro che, in  questo  modo,  si altererebbe addirittura  in  peggio  per  la  ricorrente  Regione  il criterio proporzionale fissato dal terzo periodo del  comma  3  e  si  addosserebbe irragionevolmente  alle  altre  autonomie  speciali  una

quota parte del finanziamento della  spesa  sanitaria  della  Regione Siciliana.

    Ne risulterebbe la violazione dell'art.  3  cost.  e  la  lesione dell'autonomia finanziaria e amministrativa  della  Regione,  perche' essa verrebbe chiamata a contribuire al finanziamento parziale  della sanita' siciliana (v., per l'ammissibilita' di una censura ex art.  3 Cost.,  ad  es.,  la  sent.  16/2010,  punto  5.1),  con  inevitabili ripercussioni sulle proprie funzioni amministrative e  sulla  propria autonomia di spesa.

    3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 48.

    L'art. 48 contiene una generale "clausola di finalizzazione".

    In base al comma 1, "le maggiori entrate erariali  derivanti  dal presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di  cinque anni,   per   essere   destinate   alle   esigenze   prioritarie   di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea,  anche  alla  luce  della  eccezionalita'  della  situazione

economica internazionale". Si prevede poi che "con  apposito  decreto del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze.  sono  stabilite  le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso  separata contabilizzazione".

    Il comma 1-bis aggiunge  che,  "ferme  restando  le  disposizioni previste dagli articoli 13,  14  e  28,  nonche'  quelle  recate  dal presente articolo,  con  le  norme  di  attuazione  statutaria.  sono definiti le modalita' di applicazione e gli  effetti  finanziari  del presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le  province autonome di Trento e di Bolzano".

    Tale comma 1-bis, con il suo "rinvio" alle  norme  di  attuazione dello statuto, ha l'apparenza di una clausola di  salvaguardia  delle autonomie speciali e delle loro regole statutarie: ma al tempo stesso la disposizione ribadisce la  diretta  applicazione  non  solo  degli articoli 13, 14  e  28,  ma  anche  delle  disposizioni  "recate  dal presente articolo": dunque, il regime di cui all'art. 48, co.  1,  si

riferisce anche alle entrate percepite  nella  regione  Trentino-Alto Adige.

    Maggiori entrate erariali deriveranno, ad esempio,  dall'art.  10 (a seguito dell'emersione della base imponibile) e dall'art. 18  (che aumenta le aliquote Iva).

    Ad avvisto della ricorrente Regione la riserva di  tali  maggiori entrate all'erario e' illegittima per le ragioni di seguito esposte.

    L'art. 69  dello  Statuto  stabilisce  che  "sono  devoluti  alla regione  i  proventi  delle  imposte  ipotecarie  percette  nel   suo territorio, relative ai beni situati nello stesso" (co. 1).  In  base al comma 2, "sono altresi' devolute alla regione  le  seguenti  quote del gettito  delle  sottoindicate  entrate  tributarie  dello  Stato, percette nel territorio regionale: a) i  nove  decimi  delle  imposte sulle successioni e  donazioni  e  sul  valore  netto  globale  delle successioni; b)  i  due  decimi  dell'imposta  sul  valore  aggiunto, esclusa quella relativa  all'importazione.;  c)  i  nove  decimi  del

provento del lotto, al netto delle vincite".

    L'art. 2, co. 108, legge 191/2009 (approvato ai  sensi  dell'art. 104 St.) regola  la  corresponsione  alla  Regione  delle  quote  dei tributi erariali ad essa spettanti.

    L'art. 48, co. 1,  dunque,  riservando  all'Erario  le  "maggiori entrate   erariali   derivanti   dal   presente   decreto",   risulta contrastante con l'art. 69,  co.  2,  lett.  b)  dello  Statuto,  che garantisce alla Regione una precisa compartecipazione all'Iva.

    Ne' si potrebbe  affermare  che  la  riserva  all'erario  di  cui all'art. 48 sia giustificata in virtu'  del  d.lgs.  268/1992.  Essa, infatti, non rispetta affatto i requisiti posti  dall'art.  9  d.lgs. 268/1992  per  la  riserva  all'erario  del  "gettito  derivante   da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi".

    Tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di  codesta Corte n. 182/2010, secondo la quale "tale articolo richiede,  per  la legittimita'  della  riserva  statale,  che:  a)  detta  riserva  sia giustificata da «finalita' diverse  da  quelle  di  cui  al  comma  6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992,  e  cioe'  da  finalita'  diverse  tanto  dal «raggiungimento  degli  obiettivi  di  riequilibrio   della   finanza pubblica» (art.  10,  comma  6)  quanto  dalla  copertura  di  «spese derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni  statali   delegate   alla regione» (art. 10-bis,  comma  1,  lettera  b);  b)  il  gettito  sia destinato per legge «alla copertura,  ai  sensi  dell'art.  81  della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione  o  delle province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali»;  c)  il gettito  sia  «temporalmente   delimitato,   nonche'   contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile»".

    Ora, l'assenza dei requisiti sub a) e b)  e'  evidente.  Infatti, l'art. 48 riserva all'Erario "le maggiori entrate erariali  derivanti dal presente decreto" (per un  periodo  di  cinque  anni,  attraverso separata contabilizzazione) per destinarle "alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica  concordati  in sede europea, anche alla luce della eccezionalita'  della  situazione economica internazionale". In questi termini, la norma  censurata  ha la medesima finalita' di cui all'art. 10, co.  6,  d.  lgs.  268/1992 («raggiungimento  degli  obiettivi  di  riequilibrio  della   finanza pubblica»), il che gia' da se' esclude la sussistenza  del  requisito indicato sub a) nella sent. 182/2010 (che la riserva sia giustificata da finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art.  10  e  al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992).

    Ugualmente la disposizione impugnata non  soddisfa  il  requisito sub b), in quanto essa non  destina  le  maggiori  entrate  a  "nuove specifiche spese": non si tratta  di  "spese",  ne'  la  destinazione allude a qualcosa di "nuovo" e di "specifico". E'da ricordare che  la sent. 182/2010 fece  salva  la  norma  impugnata  in  quell'occasione (l'art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge l°  luglio  2009,  n.  78) proprio  in  quanto  essa  destinava  il  gettito  dell'imposta   "al finanziamento  della  ripresa  economica,  quali:  il  sostegno  alle imprese, anche attraverso il finanziamento del timido di  garanzia  e l'alleggerimento del carico fiscale...; gli  interventi  sul  mercato del  lavoro,  anche  attraverso  il  finanziamento  del   fondo   per l'occupazione...; il finanziamento degli investimenti  pubblici,  con particolare riguardo alle infrastrutture e alle attivita' di  ricerca e sviluppo...; il supporto alle famiglie, con misure di  salvaguardia del potere  d'acquisto,  di  tutela  dei  piccoli  risparmiatori,  di risposta   all'emergenza   abitativa...;   il   finanziamento   della cooperazione internazionale allo sviluppo...; il finanziamento  delle opere di ricostruzione dell'Abruzzo". Si tratta, come si puo' vedere, di spese e finalita' nuove e  specifiche,  ben  diverse  dal  mero  e generale  "raggiungimento  degli  obiettivi   di   finanza   pubblica concordati in sede europea".

    Escluso che l'art. 48 possa trovare  fondamento  nell'art.  9  d. lgs. 268/1992, e'  anche  da  escludere  che  esso  possa  ricondursi all'art. 10 e all'art. 10-bis del medesimo decreto.

    In primo luogo, l'art. 10, co. 6, ha ad oggetto  "una  quota  del previsto incremento del gettito tributario. spettante  alle  province autonome", per cui esso non e' applicabile alla Regione.

    Inoltre, abrogato l'art. 78 dello Statuto e  soppressa  la  somma spettante in base ad esso (v. anche l'art. 79, co. 1, St.),  sono  da ritenere inapplicabili le norme attuative dell'art. 78, quale  l'art. 10 d, lgs.  268/1992.  Questo  vale  anche  per  l'art.  10,  co.  6, strettamente connesso alla disciplina dell'accordo (menzionato in due punti  del  comma  6)  relativo  alla  determinazione   della   quota variabile, ora soppressa.

    Ancora, l'art. 10, co. 6, prevedeva un meccanismo consensuale per far partecipare le Province "al  raggiungimento  degli  obiettivi  di riequilibrio della finanza pubblica", che e' stato ora sostituito  da quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo.

Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale  dell'art.  79, co. 4, secondo cui "le disposizioni statali  relative  all'attuazione degli  obiettivi  di  perequazione  e  di  solidarieta',  nonche'  al rispetto degli obblighi derivanti dal patto  di  stabilita'  interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal  presente articolo".

    Qualora, in denegata ipotesi, non si  ritenesse  superato  l'art. 10, co. 6, si dovrebbe perlomeno riconoscere  che  la  determinazione della quota in questione dovrebbe pur sempre rispettare il  principio di leale collaborazione e, in particolare, il  principio  consensuale che domina le  relazioni  finanziarie  fra  lo  Stato  e  le  Regioni speciali. In  altre  parole,  anche  venuto  meno  l'accordo  per  la determinazione della quota variabile, lo  Stato  avrebbe  pur  sempre dovuto  cercare  l'accordo  con  la  Regione  autonoma  Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol, non potendo  unilateralmente alterare le regole sulle compartecipazioni e gli strumenti con cui la Regione partecipa al risanamento finanziario, disciplinati  dall'art. 79 dello Statuto.

    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente riconosciuto nella  giurisprudenza  costituzionale  (v.  le  sentenze citate nel motivo 1 del ricorso).

    In effetti, e' assolutamente incongruo ed ad avviso della Regione illegittimo che lo Stato,  con  una  fonte  primaria  unilateralmente adottata, alteri  in  modo  cosi  rilevante  l'assetto  dei  rapporti finanziari tra Stato e Regione, laddove il principio  consensuale  e' da tempo riconosciuto in questa materia ed e' stato ribadito  proprio

con la recente riforma statutaria.

    Inoltre, la norma impugnata non rispetta l'art. l0, co. 6 (sempre nella denegata ipotesi che  esso  sia  ritenuto  applicabile),  anche perche' riserva all'erario tutte "le  maggiori  entrate",  mentre  la norma di attuazione limita ad "una quota del previsto incremento  del gettito   tributario"   la   possibilita'   di    destinazione    "al

raggiungimento  degli  obiettivi  di   riequilibrio   della   finanza pubblica".

    Ancora, l'art. 48, co. 1, del d.l. 201/2011 si pone in  contrasto con l'art. 79 dello Statuto, che - come visto -  stabilisce  che  "la regione e le province concorrono al conseguimento degli obiettivi  di perequazione e di solidarieta' e  all'esercizio  dei  diritti  e  dei doveri dagli stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere  finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,  dal patto di stabilita' interno e dalle  altre  misure  di  coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" nei modi di seguito indicati e "con le modalita' di coordinamento  della  finanza pubblica definite al comma 3" (co. 1), aggiungendo che "le misure  di cui al comma  1  possono  essere  modificate  esclusivamente  con  la procedura prevista dall'articolo  104  e  fino  alla  loro  eventuale modificazione costituiscono il concorso  agli  obiettivi  di  finanza pubblica di cui al comma 1" (co. 2).

    Sia il comma 3 (" Non si applicano  le  misure  adottate  per  le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale")  che il comma 4,  poi,  stabiliscono  la  non  applicazione  alla  Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol  delle norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni.

    Poiche' l'art. 48 riserva  le  maggiori  entrate  "alle  esigenze prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica concordati in sede europea", ne deriva la violazione  delle  norme  - sopra citate - contenute nell'art. 79 St., che configurano un sistema completo  di  concorso  della  Regione  agli  obiettivi  di   finanza pubblica, non derogabile se  non  con  le  modalita'  previste  dallo Statuto.

    Infine, proprio perche' agli artt. 69 e  79  St.  e  al  d.  lgs. 268/1992 si e'  derogato  con  una  fonte  primaria  "ordinaria"  (in realta', un d.l. convertito), l'art. 48 viola  anche  gli  artt.  103 (che prevede il  procedimento  di  revisione  costituzionale  per  le modifiche  dello  Statuto),  104  (che  prevede  la  possibilita'  di modificare "le norme del titolo VI. con legge ordinaria  dello  Stato su concorde  richiesta  del  Governo  e,  per  quanto  di  rispettiva competenza, della regione o delle due province") e  l'art.  107  (che disciplina la speciale  procedura  per  l'adozione  delle  norme  di' attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale.

    Il secondo periodo dell'art. 48, co. 1, dispone che "con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze... sono stabilite le  modalita'  di  individuazione  del  maggior  gettito,  attraverso separata contabilizzazione". Si tratta dunque di una  norma  volta  a

regolare l'attuazione del  primo  periodo:  la  quale,  pertanto,  e' affetta dai medesimi vizi sopra illustrati.

    In  subordine,  essa  e'  poi   censurabile   specificamente   ed autonomamente sotto  un  ulteriore  aspetto,  cioe'  per  la  mancata previsione  dell'intesa  con  la   Regione   autonoma   Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Südtirol in relazione al  decreto  che stabilisce  le  modalita'  di  individuazione  del  maggior  gettito.

Infatti, poiche' si tratta di intervenire in relazione a risorse  che spetterebbero alla Regione, in una  materia  dominata  dal  principio consensuale, risulta specificamente illegittima, per  violazione  del principio di  leale  collaborazione,  la  previsione  di  un  decreto ministeriale senza intesa con la Regione.

    Come  gia'  ricordato,  il  comma  1-bis  dello  stesso  art.  48 statuisce che "ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle recate  dal  presente  articolo,  con  le norme di attuazione statutaria di cui all'articolo 27 della  legge  5 maggio 2009, n. 42, e  successive  modificazioni,  sono  definiti  le modalita' di applicazione  e  gli  effetti  finanziari  del  presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le province  autonome di Trento e di Bolzano".

    Premesso che gli artt. 13 e 14 non riguardano la Regione, si sono gia' contestate singolarmente la disposizione dell'art.  28,  nonche' quella dello stesso art. 48, comma 1. Ne' si vede -  a  parte  quanto disposto gia' da tali  articoli -  che  cosa  d'altro  rimarrebbe  da

disciplinare quanto alle "modalita' di applicazione" ed agli "effetti finanziari" del decreto n. 201.

    In ogni modo, anche tale ultima disposizione appare  illegittima, in  quanto  non  spetta  alla  legge  ordinaria  di  disciplinare  il contenuto delle norme di attuazione  dello  Statuto.  Il  solo  senso legittimo che ad essa si puo' attribuire e'  la  conferma  della  non applicazione del decreto 201 alla Regione, per ogni  aspetto  per  il quale l'applicazione non sia espressamente prevista: ferme  restando, ovviamente, le contestazioni e le censure sopra esposte in  relazione alle disposizioni di cui e' prevista l'applicazione. 

 

 

                                P.Q.M.

 

    Chiede,   voglia   codesta   Corte   costituzionale    dichiarare l'illegittimita'   costituzionale   dell'articolo   22,   comma    3;

dell'articolo 28, comma  3;  dell'articolo  48  del  decreto-legge  6 dicembre  2011,  n.  201,  Disposizioni  urgenti  per  la   crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici,  nelle  parti,  nei termini,e sotto i profili esposti nel presente ricorso.

      Padova-Roma, 23 febbraio 2012

 

                   Prof. Avv.  Falcon - Avv. Manzi

Menu

Contenuti