Ricorso n. 33 del 30 aprile 2014 (Regione Lombardia)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale del Presidente
del Consiglio dei ministri contro la Regione Lombardia del 30 aprile
2014.
(GU n. 25 del 11.6.2014)
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici e'
legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Contro la Regione Lombardia, in persona del suo Presidente p.t.
per la declaratoria della illegittimita' costituzionale dell'articolo
3, comma 1, lettera g); dell'articolo 4, comma 1; dell'articolo 6,
commi 1, 2, 4, 5 e 13; dell'articolo 7, comma 6, lettera b) e comma
7, della legge della Regione Lombardia 19.2.2014, n. 11, pubblicata
nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n. 8 del 20.2.2014,
come da delibera del Consiglio dei ministri in data 18.4.2014.
Fatto
In data 20.2.2014, sul n. 8 del Bollettino Ufficiale della
Regione Lombardia. e' stata pubblicata la legge regionale n. 11 del
19.2.2014, recante: «Impresa Lombardia: per la liberta' di impresa,
il lavoro e la competitivita'».
In particolare, al fine di promuovere la crescita e le
innovazioni del sistema produttivo regionale, «nell'ambito delle
potesta' e delle competenze regionali di cui alla parte II, titolo V,
della Costituzione», l'art. 3 individua gli strumenti a mezzo dei
quali perseguire i fini indicati prevedendo, tra l'altro (comma 1,
lett. g)), la istituzione del «riconoscimento del "made in Lombardia"
finalizzato alla certificazione della provenienza del prodotto, da
attribuirsi secondo i requisiti definiti dalla Giunta previo parere
della commissione consiliare competente».
Con il successivo art. 4, con riferimento alle facilitazioni di
accesso al credito, si disciplina poi la possibilita' da parte della
Regione di promuovere «la costituzione, in forma sperimentale, di un
circuito di moneta complementare, da intendersi esclusivamente quale
strumento elettronico di compensazione multimediale locale per lo
scambio di beni e servizi».
Indi, all'art. 6, in un'ottica di semplificazione dei
procedimenti idonea a facilitare l'attivita' imprenditoriale, il
legislatore regionale, regolamentando la comunicazione unica e
l'efficacia degli accordi per la competitivita', prevede poi, ai
commi l, 2, 4, 5 e 13, che «1. I procedimenti amministrativi relativi
all'avvio, svolgimento, trasformazione e cessazione di attivita'
economiche, nonche' per l'installazione, attivazione, esercizio e
sicurezza di impianti e agibilita' degli edifici funzionali alle
attivita' economiche, il cui esito dipenda esclusivamente dal
rispetto di requisiti e prescrizioni di leggi, regolamenti o
disposizioni amministrative vigenti, sono sostituiti da una
comunicazione unica regionale resa al SUAP, sotto forma di
dichiarazione sostitutiva di certificazione o dichiarazione
sostitutiva dell'atto di notorieta', dal proprietario dell'immobile o
avente titolo, ovvero dal legale rappresentante dell'impresa ovvero
dal titolare dell'attivita' economica che attesti il possesso dei
documenti sulla conformita' o la regolarita' degli interventi o delle
attivita'. L'avvio dell'attivita' e' contestuale alla comunicazione
unica regionale alla quale non devono essere allegati documenti
aggiuntivi, il cui onere di conservazione in fase di prima attuazione
resta in capo al dichiarante presso l'unita' locale ovvero depositato
nel fascicolo informatico d'impresa conservato presso la camera di
commercio a seguito della piena attuazione del principio
dell'interoperativita' entro sei mesi dall'entrata in vigore della
presente legge. Nel caso in cui tale comunicazione risulti
formalmente incompleta l'ufficio competente, per il tramite del SUAP,
richiede le integrazioni necessarie da trasmettersi a cura del
richiedente entro i successivi quindici giorni, pena la decadenza
della comunicazione unica regionale. 2. Entro sessanta giorni dal
ricevimento della comunicazione unica regionale, le amministrazioni
competenti, verificata la regolarita' della stessa, effettuano i
controlli almeno nella misura minima indicata dalla Giunta regionale
e fissano, ove necessario, un termine non inferiore a centottanta
giorni per ottemperare alle relative prescrizioni, salvo non
sussistano irregolarita' tali da determinare gravi pericoli per la
popolazione, con riferimento alla salute pubblica, all'ambiente e
alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Qualora l'interessato non
provveda nel termine assegnato, l'amministrazione competente emette
il provvedimento di inibizione al proseguimento dell'attivita'. [...]
4. L'accordo di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), previa
comunicazione al comitato congiunto di cui all'articolo 3, comma 2,
ha efficacia sostitutiva di tutti i provvedimenti autorizzativi
comunque denominati necessari all'esercizio dell'attivita' di
impresa. In sede di controllo le autorita' amministrative competenti,
qualora rilevino delle difformita', invitano il titolare dell'impresa
a regolarizzare la sua posizione entro un congruo termine, comunque
non inferiore a centottanta giorni. Qualora l'interessato non
provveda nel termine assegnato, l'amministrazione competente emette
il provvedimento di inibizione al proseguimento dell'attivita'. 5.
Resta salvo quanto previsto sulle dichiarazioni mendaci ai sensi
degli articoli 75 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di documentazione amministrativa). [...] 13.
Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano ai
procedimenti riguardanti le medie e grandi strutture di vendita
disciplinate dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del
commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo
1997, n. 59) e dalla legge regionale 2 febbraio 2010, n. 6 (Testo
unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere), nonche'
ai procedimenti in cui la necessita' di un regime di autorizzazione
sia giustificata dai motivi di interesse generale di cui all'articolo
8, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59
(Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel
mercato interno)».
L'art. 7 (Amministrazione unica), infine, nel disciplinare taluni
profili del funzionamento dello Sportello Unico per le Attivita'
Produttive-SUAP, dispone che, «1. Al fine di uniformare sul
territorio regionale i livelli di servizio per le imprese dei SUAP,
di facilitare l'interscambio informativo tra questi e il registro
delle imprese tenuto dalle camere di commercio, nonche' di dare piena
attuazione all'informatizzazione dei processi amministrativi, la
Giunta regionale, in accordo con il Ministero dello sviluppo
economico, verifica il possesso dei requisiti previsti dall'allegato
tecnico al D.P.R. n. 160/2010 presso tutti i SUAP iscritti all'elenco
del relativo portale e provvede alla trasmissione dei dati di
monitoraggio al Ministero dello sviluppo economico. 2. La Regione
favorisce l'adeguamento dei SUAP e promuove la riqualificazione
professionale, con particolare riferimento ai sistemi informatici non
conformi alle specifiche inerenti le funzioni di compilazione in via
telematica, creazione, invio e accettazione telematica della pratica,
pagamento telematico degli oneri connessi, invio automatico della
ricevuta e implementazione dell'interscambio informativo con il
registro delle imprese. La Regione favorisce e promuove
l'interoperabilita' tra i sistemi informativi delle amministrazioni
coinvolte anche mediante la stipulazione di convenzioni. 3. Al fine
di dare completa attuazione alla previsione dell'articolo 19 del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la
revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai
cittadini) convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,
n. 135, la Giunta regionale, sulla base degli esiti del monitoraggio
del sistema dei SUAP, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge individua i parametri organizzativi per
garantire la massima efficienza, efficacia ed economicita' degli
sportelli unici associati per le attivita' produttive e definisce gli
interventi per la riqualificazione professionale del personale. 4. La
Giunta regionale, entro sei mesi dall'approvazione dei parametri
organizzativi di cui al comma 3, verifica il rispetto dei requisiti
individuati dalle disposizioni regionali, promuovendo l'adozione di
appositi piani di adeguamento. I comuni che, alla scadenza del
termine stabilito dal relativo piano di adeguamento, non hanno
istituito il SUAP associato nel rispetto dei requisiti individuati
dalle disposizioni regionali, esercitano le relative funzioni
delegandole alle camere di commercio, nel rispetto dell'articolo 4,
comma 11, del D.P.R. n. 160/2010. 5. La domanda di avvio del
procedimento e' presentata esclusivamente in via telematica al SUAP.
Entro quindici giorni lavorativi dal ricevimento, il SUAP, sulla base
delle verifiche effettuate in via telematica dagli uffici competenti,
puo' richiedere all'interessato la documentazione integrativa;
decorso tale termine la domanda si intende completa e correttamente
presentata. 6. Verificata la completezza della documentazione, il
SUAP: a) adotta il provvedimento conclusivo entro dieci giorni
lavorativi, decorso il termine di cui al comma 5 ovvero dal
ricevimento delle integrazioni, qualora non sia necessario acquisire,
esclusivamente in via telematica, pareri, autorizzazioni o altri atti
di assenso comunque denominati di amministrazioni diverse da quella
comunale; b) convoca entro sette giorni dal decorso del termine di
cui al comma 5, ovvero dal ricevimento delle integrazioni, la
conferenza di servizi da svolgersi in seduta unica anche in via
telematica entro i successivi quindici giorni lavorativi, qualora sia
necessario acquisire pareri, autorizzazioni o altri atti di assenso
comunque denominati, di amministrazioni diverse da quella comunale.
In caso di mancata partecipazione dei soggetti invitati, ovvero in
caso di mancata presentazione di osservazioni entro la data di
svolgimento della conferenza stessa i pareri, le autorizzazioni e gli
altri provvedimenti dovuti si intendono positivamente espressi, ferma
restando la responsabilita' istruttoria dei soggetti invitati alla
conferenza. 7. Qualora l'intervento sia soggetto a valutazione
d'impatto ambientale (VIA) o a valutazione ambientale strategica
(VAS), verifica di VIA, verifica di VAS, alle procedure edilizie di
cui agli articoli 38 e 42 della L.R. 12/2005, a quelle previste per
le aziende a rischio d'incidente rilevante (ARIR) di cui all'articolo
8 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334 (Attuazione della
direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti
rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose), a quelle
previste per gli impianti assoggettati ad autorizzazione integrata
ambientale (AIA) di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152
(Norme in materia ambientale), i termini di cui alla lettera b), del
comma 6, decorrono dalla comunicazione dell'esito favorevole delle
relative procedure. 8. Qualora i progetti presentati risultino in
contrasto con il piano di governo del territorio (PGT) ovvero con il
piano regolatore generale (PRG), si applicano le procedure di cui
all'articolo 97 della L. R. 12/2005. 9. Il procedimento e'
espressamente concluso con provvedimento di: a) accoglimento, che
costituisce titolo per la realizzazione dell'intervento o per lo
svolgimento dell'attivita'; b) accoglimento condizionato, quando il
progetto necessita di modifiche o integrazioni risolvibili mediante
indicazione specifica o rinvio al rispetto della relativa norma. Il
provvedimento costituisce titolo per la realizzazione dell'intervento
o per lo svolgimento dell'attivita' alla condizione del rispetto
delle prescrizioni poste; c) rigetto, che puo' essere adottato nei
soli casi di motivata impossibilita' ad adeguare il progetto
presentato per la presenza di vizi o carenze tecniche insanabili. 10.
Decorsi dieci giorni lavorativi dal termine di cui alla lettera a)
del comma 6, ovvero dalla seduta della conferenza di servizi di cui
alla lettera b) del comma 6, senza che sia stato emanato il
provvedimento conclusivo, il procedimento si intende concluso
positivaniente. L'efficacia del provvedimento conclusivo e'
subordinata al pagamento dei corrispettivi eventualmente dovuti. 11.
Sono escluse dall'applicazione del presente articolo le procedure
edilizie di cui agli articoli 38 e 42 della L.R. 12/2005 non connesse
alla realizzazione di insediamenti produttivi e, in ogni caso, quelle
afferenti le medie e le grandi strutture di vendita di cui agli
articoli 8 e 9 e alle disposizioni di cui alla L.R. 6/2010 e relativi
provvedimenti attuativi, nonche' quelle previste per gli impianti
assoggettati ad autorizzazione unica ambientale (AUA) di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2013, n. 59
(Regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica
ambientale e la semplificazione di adempimenti amministrativi in
materia ambientale gravanti sulle piccole e medie imprese e sugli
impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, a norma
dell'articolo 23 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito,
con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35)».
Le norme sopra riprodotte eccedono dalle competenze regionali e
sono violative di previsioni costituzionali e illegittimamente
invasive delle competenze dello Stato, come si chiarira'
dettagliatamente in prosieguo.
La legge regionale n. 11 del 19.2.2014 della Regione Lombardia
deve pertanto essere impugnata, come con il presente atto
effettivamente la si impugna, affinche' ne sia dichiarata la
illegittimita' costituzionale con riferimento alle norme in epigrafe
specificate, con conseguente annullamento, sulla base delle seguenti
considerazioni in punto di
Diritto
1. Come visto, l'articolo 3, comma 1, lettera g) della legge
della Regione Lombardia 19.2.2014, n. 11, attribuisce alla Giunta
Regionale il compito di istituire «il riconoscimento del "Made in
Lombardia", finalizzato alla certificazione della provenienza del
prodotto».
Orbene, tale disposizione viola l'art. 117, comma 1, della
Costituzione, in quanto in contrasto con i «vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario».
Invero, disposizioni analoghe sono state in passato contenute in
altre disposizioni regionali, successivamente caducate:
la legge Regione Marche n. 7/2011 (Legge comunitaria regionale
2011), che, con l'articolo 21, sostituiva l'articolo 34 della L.R. n.
20/2003 sancendo il diritto di talune imprese artigiane «di avvalersi
del marchio di origine e di qualita' denominato «Marche Eccellenza
Artigiana (MEA)»;
la legge Regione Piemonte n. 10/2011 (Disposizioni collegate
alla legge finanziaria per l'anno 2011), istitutiva (art. 2, comma 7)
di un «marchio di valorizzazione» per i prodotti del territorio
regionale;
la legge Regione Lazio n. 9/2011 (Istituzione dell'elenco
regionale Made in Lazio - Prodotto in Lazio).
Invero, con la sentenza 5.11.2002 (C-325/00: Commissione contro
Repubblica Federale di Germania), la Corte di Giustizia dell'Unione
aveva ravvisato nella apposizione di un marchio di qualita' ai
prodotti di quel Paese da parte di un soggetto pubblico una
violazione dell'ordinamento comunitario, atteso che «un simile
sistema di marcatura, seppur facoltativo, nel momento in cui esso e'
imputabile ad autorita' pubblica, ha effetti, almeno potenzialmente,
restrittivi sulla libera circolazione delle merci tra Stati membri,
in quanto l'uso del marchio favorisce, o e' atto a favorire, lo
smercio dei prodotti in questione rispetto ai prodotti che non
possono fregiarsene».
Successivamente, codesta Ecc.ma Corte, con riferimento al sopra
richiamato marchio «Made in Lazio» (sentenza n. 191/2012), richiamata
la giurisprudenza comunitaria (oltre alla ora citata 5 novembre 2002,
in causa C-325/2000, anche Corte di giustizia, sentenze 6 marzo 2003,
in causa C-6/2002, Commissione delle Comunita' europee contro
Repubblica Francese), ha osservato che la detta legge, «mirando a
promuovere i prodotti realizzati in ambito regionale, garantendone
siffatta origine, produce, quantomeno "indirettamente" o "in
potenza", gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle
merci che, anche al legislatore regionale, e' inibito di perseguire
per vincolo dell'ordinamento comunitario».
Ne ha pertanto dichiarato la incostituzionalita' per contrasto
con l'ordinamento europeo.
Non vi e' ragione per discostarsi oggi da tale orientamento.
La norma impugnata, come altre analoghe, in quanto tesa a
promuovere i prodotti realizzati in ambito regionale, deve pertanto
essere dichiarata incostituzionale per contrasto con l'art. 117,
comma 1, della Carta, in quanto suscettibile di produrre effetti
restrittivi sulla libera circolazione delle merci.
2. L'articolo 4, comma 1 della legge della Regione Lombardia
19.2.2014, n. 11, come in precedenza richiamato, «promuove la
costituzione, in forma sperimentale, di un circuito di moneta
complementare».
Malgrado le limitazioni ivi previste, la disposizione prevede
innegabilmente la costituzione di un vero e proprio sistema monetario
su base locale.
Ma, come noto, la materia della moneta rientra, secondo quanto
previsto dall'art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione,
nell'ambito della potesta' legislativa esclusiva statale.
La disposizione impugnata e' pertanto invasiva di tale competenza
e dovra' anch'essa essere dichiarata incostituzionale.
3. Con l'articolo 6 della legge della Regione Lombardia
19.2.2014, n. 11 il legislatore regionale introduce con distinti
interventi, misure atte a disciplinare una procedura semplificata per
l'avvio, lo svolgimento e la trasformazione di attivita' economiche a
livello regionale.
Le previsioni sopra richiamate (e, in particolare, i commi 1, 2,
4, 5, 13) presentano tuttavia evidenti profili di
incostituzionalita'.
3.1. I commi 1 e 2 dell'articolo 6 della legge della Regione
Lombardia 19.2.2014, n. 11 introducono un iter semplificato per
taluni aspetti delle attivita' economiche.
La disciplina statale in materia e' posta dall'art. 19, L. n.
241/1990, il quale prevede che la Segnalazione Certificata di Inizio
Attivita' (SCIA) sia corredata dalle dichiarazioni sostitutive di
certificazione e dell'atto di notorieta' per quanto riguarda gli
stati, le qualita' personali e i fatti previsti dagli articoli 46 e
47 del d.P.R. n. 445 del 2000, nonche', ove espressamente previsto
dalla normativa vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di
tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformita' da parte
dell'Agenzia delle imprese. Tali attestazioni e asseverazioni sono
corredate da elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche
di competenza dell'amministrazione.
Rispetto alla disciplina statale, il procedimento regionale
appare fortemente semplificato, essendo il complesso di attivita'
indicate nella richiamata legge da «una comunicazione unica regionale
resa al SUAP, sotto forma di dichiarazione sostitutiva di
certificazione o dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorieta'»
che attesta «il possesso dei documenti sulla conformita' o la
regolarita' degli interventi o delle attivita'», senza onere di
allegazione dei documenti medesimi.
La presentazione della comunicazione consente l'avvio contestuale
dell'attivita'.
La normativa regionale, inoltre, prevede che «entro sessanta
giorni dal ricevimento della comunicazione unica regionale», le
Amministrazioni competenti, verificata la regolarita' della stessa,
«effettuano i controlli almeno nella misura minima indicata dalla
Giunta regionale e fissano, ove necessario, un termine non inferiore
a centottanta giorni per ottemperare le relative prescrizioni».
L'art. 19, comma 3, della L. n. 241/1990, per contro, dispone che
«in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti ... nel
termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione»,
l'Amministrazione «adotta motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attivita' e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa, salvo che, ove cio' sia possibile, l'interessato
provveda a conformare alla normativa vigente detta attivita' ed i
suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni
caso non inferiore a trenta giorni».
E' dunque evidente il contrasto tra la normativa regionale e
quella contenuta nella disciplina statale regolante la SCIA.
Ma la materia rientra nella competenza esclusiva statale di cui
all'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione in
materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali.
Codesta Ecc.ma Corte, invero, con le sentenze nn.164 e 203 del
2012 ha chiarito che «la disciplina della SCIA ben si presta ad
essere ricondotta al parametro di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost. Tale parametro permette una restrizione
dell'autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di
assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e
sociali tutelati dalla stessa Costituzione» (sent. ult, cit.).
Conseguentemente, secondo quanto previsto dall'art. 29, comma
2-quater, della L. n. 241/1990, le Regioni possono discostarsi dalla
normativa nazionale solo per prevedere «livelli ulteriori di tutela».
Nel caso di specie, la comunicazione unica regionale, lungi dal
rappresentare un'ulteriore semplificazione, aggrava a ben vedere gli
adempimenti a carico dell'impresa, cui e' richiesto di attestare,
attraverso dichiarazioni sostitutive di certificazione o di atto di
notorieta', il possesso di documenti sulla conformita' o la
regolarita' degli interventi o delle attivita', che comunque devono
essere detenuti e conservati; inoltre, aggrava i controlli successivi
da parte delle amministrazioni, che per essere effettuati
presuppongono l'acquisizione dei documenti sulla conformita' o
regolarita' degli interventi di cui l'impresa ha attestato il
possesso.
La disposizione censurata, inoltre, nella parte in cui omette di
escludere l'applicazione della comunicazione unica regionale ai casi
in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, si
pone in contrasto con l'art. 19, comma 1, L. n. 241/1990 e quindi
viola l'articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione (tutela
dell'ambiente e dei beni culturali).
E, invero, l'avvio contestuale dell'attivita', con la previsione
di un controllo minimo ed ex post, e' suscettibile di determinare la
grave ed irreversibile lesione del delicatissimo bene ambientale
tutelato, vanificando cosi' la funzione di tutela prevista dalla
normativa nazionale.
Il termine non inferiore a centottanta giorni che
l'amministrazione deve concedere all'interessato affinche' ottemperi
alle prescrizioni impartite, derogabile soltanto nel caso in cui
sussistano «gravi pericoli» per l'ambiente, appare eccessivamente
lungo e potenzialmente idoneo ad aggravare il danno ambientale.
Ne' la clausola di esclusione di cui al comma 13 (secondo cui la
comunicazione unica non si applica ai «procedimenti in cui la
necessita' di un regime di autorizzazione sia giustificata dai motivi
di interesse generale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera h) del
d.lgs. n. 59/2010») sembra idonea a ritenere esclusi dall'ambito di
applicazione della norma tutti i casi in cui vi siano vincoli
ambientali, visto il riferimento ai «motivi imperativi di interesse
generale».
Sotto tale aspetto, anzi, la previsione contenuta al comma 13 si
pone in contrasto con il principio della certezza del diritto,
poiche' risulta essere alquanto generica e di difficile applicazione,
attesa la mancata ricognizione dei regimi autorizzatori esistenti e
l'individuazione di quelli che possono essere mantenuti perche'
«giustificati da motivi imperativi di interesse generale», secondo
quanto disposto dall'art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 59/2010.
La disposizione, inoltre, contrasta con l'articolo 2, comma 4,
del D.P.R. n. 160/2010 nella parte in cui omette di escludere
dall'ambito di applicazione della comunicazione al SUAP i
procedimenti relativi a «gli impianti e le infrastrutture
energetiche, le attivita' connesse all'impiego di sorgenti di
radiazioni ionizzanti e di materie radioattive, gli impianti nucleari
e di smaltimento di rifiuti radioattivi, le attivita' di prospezione,
ricerca e coltivazione di idrocarburi, nonche' le infrastrutture
strategiche e gli insediamenti produttivi di cui agli articoli 161 e
seguenti del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163».
I commi 1 e 2 dell'art. 6 della legge della Regione Lombardia
19.2.2014, n. 11 devono pertanto essere dichiarati incostituzionali
per le ragioni fin qui illustrate.
3.2. Censure analoghe a quelle da ultimo svolte debbono essere
formulate con riferimento alla previsione di cui al successivo comma
4, che attribuisce ai su richiamati «accordi per la competitivita'»
disciplinati all'articolo 2, comma 1, lettera a), «efficacia
sostitutiva di tutti i provvedimenti amministrativi comunque
denominati, necessari per l'attivita' di impresa», senza tuttavia
escludere dall'ambito di applicabilita' dei suddetti accordi i casi
in cui sussistano vincoli ambientali.
E' evidente, infatti, che la discrezionalita' nel coinvolgimento
di amministrazioni diverse dalla Regione e la natura negoziale degli
accordi sono incompatibili con tutti quei casi nei quali sussistono i
detti vincoli, per la cui tutela esiste una competenza esclusiva
dello Stato.
Pertanto, anche in questo caso la disposizione viola l'art. 117,
comma 2, lettera s) della Costituzione.
3.3. Infine, il comma 5 dell'art. 6 della legge della Regione
Lombardia 19.2.2014, n. 11, prevedendo che «resta salvo quanto
previsto sulle dichiarazioni mendaci ai sensi degli articoli 75 e 76
del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.
445», contrasta con l'art. 19, comma 6, l. n. 241/1990, secondo il
quale «ove il fatto non costituisca piu' grave reato, chiunque, nelle
dichiarazioni o attestazioni che corredano la segnalazione di inizio
attivita', dichiara o attesta falsamente l'esistenza dei requisiti e
dei presupposti di cui al comma 1 e' punito con la reclusione da uno
a tre anni».
La disposizione regionale censurata, prevedendo un regime
sanzionatorio meno severo rispetto a quello statale per le medesime
fattispecie, viola l'art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione
(che pone una competenza statale esclusiva in materia di ordinamento
penale).
In proposito, giova rammentare che l'inasprito regime
sanzionatorio posto dalla normativa statale e' volto a bilanciare
l'ulteriore semplificazione procedimentale connessa alla SCIA.
Pertanto, se si considera che le sanzioni penali in caso di false
attestazioni sono funzionali a disincentivare abusi nel ricorso a
forme procedimentali semplificate, e' evidente che la disposizione
impugnata ha l'ulteriore conseguenza di determinare un livello
inferiore di tutela dell'interesse pubblico rispetto a quello
previsto dalla legge statale.
4. Da ultimo, non sfuggono a censura le disposizioni contenute
nell'articolo 7, comma 6, lettera b) e comma 7 della legge della
Regione Lombardia 19.2.2014, n. 11, le quali, nel disciplinare il
ricorso alla conferenza di servizi nell'ambito del procedimento
svolto dal SUAP, amplia l'ambito di applicazione del silenzio-assenso
ad ipotesi espressamente escluse dalla normativa statale in materia
di tutela dell'ambiente e dei beni culturali, e pertanto viola ancora
una volta l'articolo 117, comma 2, lettera s) della Costituzione.
La lettera b) del comma 6, in particolare, prevede come visto che
«in caso di mancata partecipazione dei soggetti invitati, ovvero in
caso di mancata presentazione di osservazioni entro la data di
svolgimento della conferenza stessa i pareri, le autorizzazioni e gli
altri provvedimenti dovuti si intendono positivamente espressi».
Il comma 7 precisa che i termini previsti dal comma 6, lettera
b), ai fini dell'indizione della conferenza di servizi decorrono
dalla comunicazione dell'esito favorevole delle procedure previste in
materia di VIA, VAS, verifica di VIA, verifica di VAS, delle
procedure edilizie di cui agli articoli 38 e 42 della L.R. n.
12/2005, delle procedure previste per le aziende a rischio di
incidenti rilevanti (ARIR) di cui all'articolo 8 del D.Lgs. n.
334/1999 e delle procedure in materia di Autorizzazione Integrata
ambientale di cui al D. Lgs. n. 152/2006.
Le disposizioni richiamate omettono tuttavia di escludere
l'applicazione del silenzio assenso per i procedimenti che
coinvolgano vincoli di tipo ambientale, paesaggistico o culturale (in
contrasto con l'art. 14-ter, comma 7 e 20, L. n. 241/1990), nel caso
di autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di
recupero dei rifiuti (articolo 208, comma 4, lettera b) del d.lgs. n.
152/2006), nonche' di autorizzazioni per gli impianti alimentati ad
energia rinnovabile (al riguardo, l'art. 5, D.Lgs. n. 28/2011,
assoggetta la costruzione e l'esercizio dei suddetti impianti di
energia e delle opere connesse all'autorizzazione unica di cui
all'articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003).
Appare dunque anche qui di piena evidenza la incostituzionalita'
della disposizione impugnata.
P.Q.M.
Si chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia
dichiarare costituzionalmente illegittimi e conseguentemente
annullare, per i motivi tutti ut supra specificati, l'articolo 3,
comma 1, lettera g); l'articolo 4, comma 1; l'articolo 6, commi 1, 2,
4, 5 e 13; l'articolo 7, comma 6, lettera b) e comma 7, della legge
della Regione Lombardia 19.2.2014, n. 11, pubblicata nel Bollettino
Ufficiale della Regione Lombardia n. 8 del 20.2.2014, come da
delibera del Consiglio dei ministri in data 18.4.2014, per contrasto
con l'art. 117, comma 1, comma 2, lettere e), l), m) ed s) come
meglio specificato nella parte in diritto che precede.
Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno:
1. estratto della delibera del Consiglio dei ministri
18.4.2014;
2. copia della legge regionale impugnata;
3. rapporto del Dipartimento degli affari regionali.
Con ogni salvezza.
Roma, 18 aprile 2014
L'Avvocato dello Stato: Salvatorelli