Ricorso n. 33 del 5 marzo 2015 (Regione Lombardia)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 5 marzo 2015 (della Regione Lombardia).
(GU n. 15 del 2015-04-15)
Ricorso della Regione Lombardia (C.F. …), con sede in
Milano (20124), Piazza Citta' di Lombardia, n. 1, in persona del
Presidente pro tempore, Roberto Maroni, rappresentata e difesa, in
forza di procura a margine del presente atto ed in virtu' della
Deliberazione di Giunta regionale n. 3150 del 18 febbraio 2015 (doc.
1), dal Prof. Avv. Francesco Saverio Marini del foro di Roma (CF.
…; pec:…
fax. …), presso il cui studio in Roma, via dei Monti
Parioli, 48, ha eletto domicilio;
-ricorrente-
Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del
Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo
Chigi - Piazza Colonna, 370, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, con domicilio in Roma (00186), via dei
Portoghesi, 12;
-resistente-
Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del
Bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilita'
2015)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana, n. 300, Suppl. Ordinario n. 99, del 29 dicembre 2014,
limitatamente all'art. 1, commi 20, 398, 421, 424, 555, 556, 557, di
tale atto normativo.
Fatto
1. La legge 23 dicembre 2014, n. 190, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana n. 300, Suppl. Ordinario n. 99,
del 29 dicembre 2014, reca «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita'
2015)».
2. Molte delle norme contenute nella citata legge, tuttavia,
incidono indebitamente su sfere di competenza e attribuzioni che la
Costituzione riserva alla Regione, nonche' alle Province e Citta'
metropolitane situate sul territorio di quest'ultima.
Si tratta, in particolare, delle seguenti previsioni normative:
l'art. 1, comma 20, che, a decorrere dal periodo d'imposta
successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, aggiunge all'art.
11 del d.lgs. n. 446 del 1997 (recante "Istituzione dell'imposta
regionale sulle attivita' produttive, revisione degli scaglioni,
delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una
addizionale regionale a tale imposta, nonche' riordino della
disciplina dei tributi locali") il nuovo comma 4-septies. La norma in
questione, nel disciplinare le modalita' di calcolo della base
imponibile ai fini IRAP, ammette in deduzione - per le societa' di
capitali, gli enti commerciali, i produttori agricoli titolari di
reddito agrario di cui all'articolo 32 del TUIR, gli esercenti
attivita' d'allevamento d'animali di cui all'art. 78 del predetto
TUIR - la differenza tra il costo complessivo per il personale
dipendente con contratto a tempo indeterminato e le deduzioni gia'
spettanti ai sensi dei commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis.1 e 4-quater
dello stesso art. 11. Per i produttori agricoli titolari di reddito
agrario di cui all'articolo 32 del TUIR, la deduzione e' ammessa
altresi' per ogni lavoratore agricolo dipendente avente i requisiti
di cui al comma 1.1 dell'art. 11.
l'art. 1, comma 398, che novella il comma 6 dell'art. 46 del
d.l. n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89
del 2014.
Per cio' che qui rileva, la disposizione incrementa il contributo
alla finanza pubblica dovuto dalle Regioni ordinarie, per gli anni
2015-2018, di 3.452 milioni di euro annui, in ambiti di spesa e per
importi complessivamente proposti, fermi i livelli essenziali di
assistenza, in sede di autocoordinamento dalle Regioni. La posizione
espressa dalle Regioni, ai sensi della norma in questione, deve
successivamente essere recepita in un'intesa, adottata in sede di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio 2015.
In caso non si addivenga ad intesa nel termine da ultimo menzionato,
gli importi sono determinati con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri, adottato previa deliberazione del Consiglio dei
ministri, e sono assegnati ad ambiti di spesa nonche' alle singole
Regioni, tenendo conto del PIL, della popolazione residente e delle
risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio Sanitario
Nazionale.
l'art. 1, comma 421, che stabilisce la dotazione organica
delle Citta' metropolitane e delle Province, a decorrere dalla data
di entrata in vigore della legge di stabilita' 2015, in misura pari
alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore
della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta del 30% per le Citta'
metropolitane, del 50% per le Province, del 30% per le Province con
territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri di
cui all'art. 1, comma 3, secondo periodo, della legge n. 56 del 2014.
l'art. 1, comma 424, che, per gli anni 2015-2016, vincola le
Regioni e gli enti locali a destinare le risorse per le assunzioni a
tempo indeterminato all'immissione nei ruoli dei vincitori di
concorso pubblicato collocati nelle proprie graduatorie vigenti o
approvate alla data di entrata in vigore della legge di stabilita'
2015, nonche' alla ricollocazione in ruolo delle unita'
soprannumerarie destinate ai processi di mobilita'. La norma prevede
altresi' che siano affette da nullita' tutte le assunzioni effettuate
in violazione della previsione.
l'art. 1, comma 555, che, in attuazione del Patto per la
salute per gli anni 2014-2016 di cui all'intesa 10 luglio 2014,
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, dichiara
applicabili le disposizioni di cui ai commi da 556 a 588 del medesimo
art. 1 della legge n. 190 del 2014.
l'art. 1, comma 556, che fissa il livello del finanziamento
del SSN cui concorre lo Stato in 112.062.000.000 euro per l'anno 2015
e in 115.444.000.000 euro per l'anno 2016, salve eventuali
rideterminazioni in attuazione dell'articolo 46, comma 6, del d.l. n.
66 del 2014, come modificato dal comma 398 della legge di stabilita'
2015.
l'art. 1, comma 557, il quale novella il terzo periodo
dell'art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 118 del 2011, prevedendo che gli
eventuali risparmi nella gestione del SSN conseguiti dalle Regioni
rimangono nella disponibilita' delle Regioni stesse per finalita'
sanitarie.
3. Tutto cio' premesso, la Regione Lombardia, come sopra
rappresentata e difesa, ritenuta la lesione della proprie competenze
costituzionali per effetto della richiamata disciplina statale,
impugna l'art. 1, commi 20, 398, 421, 424, 555, 556, 557 della legge
n. 190 del 2014, alla luce dei seguenti motivi di
Diritto
Preliminarmente, per quanto riguarda la legittimazione della
Regione a far valere in sede di giudizio in via principale
l'interesse degli enti locali situati sul suo territorio, deve
ricordarsi la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale,
secondo cui "le Regioni sono legittimate a denunciare la legge
statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali,
indipendentemente dalla progettazione della violazione della
competenza legislativa regionale. Questa Corte, infatti, ha piu'
volte affermato il principio che la suddetta legittimazione sussiste
in capo alle Regioni, in quanto da stretta connessione, in
particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le
attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di
ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente
idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali»
(sentenze n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del
2004). Tale giurisprudenza si riferisce, in modo evidente, a tutte le
attribuzioni costituzionali delle Regioni e degli enti locali e
prescinde, percio', dal titolo di competenza legislativa esclusivo,
concorrente o residuale eventualmente invocabile nella fattispecie.
Essa, in particolare, non richiede, quale condizione necessaria per
la denuncia da parte della Regione di un vulnus delle competenze
locali, che sia dedotta la violazione delle attribuzioni legislative
regionali (cfr. sent. n. 298 del 2009, e, negli stessi termini anche
la piu' recente sent. n. 220 del 2013).
Cio' chiarito, si passera' ora all'analisi dei singoli profili di
illegittimita' costituzionale delle norme impugnate.
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 20, della legge
n. 190 del 2014, in relazione agli artt. 81, 119 e al principio di
leale collaborazione di cui all'art. 120 cost.
1. Come anticipato in narrativa, il comma 20, a decorrere dal
periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014,
aggiunge all'art. 11 del d.lgs. n. 446 del 1997, il nuovo comma
4-septies. La norma in questione, nel disciplinare le modalita' di
calcolo della base imponibile ai fini IRAP, ammette in deduzione -
per le societa' di capitali, gli enti commerciali, i produttori
agricoli titolari di reddito agrario di cui all'articolo 32 del TUIR,
gli esercenti attivita' d'allevamento d'animali di cui all'art. 78
del predetto TUIR - la differenza tra il costo complessivo per il
personale dipendente con contratto a tempo indeterminato e le
deduzioni gia' spettanti ai sensi dei commi 1, lettera a), 1-bis,
4-bis.1 e 4-quater dello stesso art. 11. Per i produttori agricoli
titolari di reddito agrario di cui all'articolo 32 del TUIR, la
deduzione e' ammessa altresi' per ogni lavoratore agricolo dipendente
avente i requisiti di cui al comma 1.1 dell'art. 11.
Cosi' disponendo, il comma 20 determina una grave compressione
della finanza regionale, illegittima ai sensi degli artt. 81, 119 e
120 Cost.
2. In particolare, la disposizione censurata importa una
decurtazione del gettito IRAP atteso compresa fra il 20,15% e il
23,7% del totale, per importi che oscillano fra i 18 e i 24 milioni
di Euro (doc. 2, p. 1). Ora, se si considera che l'IRAP rappresenta
una delle principali fonti di gettito regionale, pari al 4-5% del
totale delle entrate, e che la decurtazione ridurra' dell'1%
l'ammontare degli introiti complessivi previsti (doc. 2, p. 4),
emerge con evidenza come il comma 20 produca un significativo
squilibrio nella finanza regionale, su base annuale e pluriennale.
Squilibrio che assume un carattere di indiscussa gravita', tale da
ingenerare una consistente alterazione del rapporto tra risorse e
bisogni regionali, ove lo si ponga in rapporto con tutti gli altri
oneri imposti alle Regioni - cui non corrisponde alcuna forma di
compensazione - dalla legge n. 190 del 2014. Il riferimento,
ovviamente, non e' solo agli incrementati obblighi di contribuzione
alla finanza pubblica, ma pure, fra l'altro, all'obbligo (di cui al
comma 424) di riassorbire, a valere su risorse proprie, il personale
sovrannumerario delle Province. Senza contare, poi, che nell'ambito
del processo di riordino avviato dalla legge n. 56 del 2014, e' assai
verosimile che alla Regione vengano intestate nuove ed ulteriori
funzioni.
Tutto cio' si pone in contrasto sia con l'obbligo di copertura
delle spese, di cui all'art. 81, comma 3, Cost.; sia con l'art. 119
Cost., il quale prescrive che siano assicurate alle Regioni le
risorse necessarie all'integrale finanziamento delle funzioni. Non e'
senza significato, del resto, che l'art. 11 del d.lgs. n. 68 del 2011
- nell'attuare quanto gia' prescritto dall'art. 2, comma 2, lett. t)
della legge n. 42 del 2009 - disponga a chiare lettere che "gli
interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi
regionali di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2),
della citata legge n. 42 del 2009 sono possibili, a parita' di
funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la contestuale
adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di
aliquota o attribuzione di altri tributi".
La disciplina di cui al comma 20 e' altresi' illegittima in
relazione al principio di leale collaborazione, sancito dall'art. 120
Cost. e costituente il perno del federalismo fiscale, a partire dalla
summenzionata legge n. 42 del 2009, infatti, l'intervento sull'IRAP
e' stato deliberato dallo Stato al di fuori di qualunque forma, pur
minima, d'interlocuzione con le Regioni. Anzi: di fronte alla
rilevazione, in sede di Conferenza Unificata del 10 dicembre 2014,
della mancata copertura delle minori entrate IRAP, lo Stato non ha
alcun modo dato seguito alle proposte regionali (doc. 3, pp. 6-7).
3. Per i suesposti motivi, si insiste per la dichiarazione
d'incostituzionalita' del comma censurato.
II. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 398, 555, 556 e
557 della legge n. 190 del 2014, in relazione al principio di
ragionevolezza di cui all'art. 3, nonche' agli artt. 117, comma 6, e
119 cost.
1. Con il comma 398, il legislatore statale novella il comma 6
dell'art. 46 del d.l. n. 66 del 2014, convertito con modificazioni
dalla legge n. 89 del 2014.
La disposizione incrementa il contributo alla finanza pubblica
dovuto dalle Regioni ordinarie, per gli anni 2015-2018, di 3.452
milioni di euro annui, in ambiti di spesa e per importi
complessivamente proposti, fermi i livelli essenziali di assistenza,
in sede di autocoordinamento dalle Regioni. La posizione espressa
dalle Regioni, ai sensi della norma in questione, deve
successivamente essere recepita in un'intesa, adottata in sede di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio 2015.
In caso non si addivenga ad intesa nel termine da ultimo menzionato,
gli importi sono determinati con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri, adottato previa deliberazione del Consiglio dei
ministri, e sono assegnati ad ambiti di spesa nonche' alle singole
Regioni, tenendo conto del PIL e della popolazione residente, nonche'
considerando le risorse destinate al finanziamento corrente del
Servizio sanitario nazionale (SSN).
La previsione in questione si mostra illegittima in relazione
agli artt. 3, 117, comma 6, e 119 Cost. Essa si rivela, inoltre,
contraddittoria rispetto al disposto di cui all'art. 1, commi 555,
556 e 557 della medesima legge di stabilita' 2015, in forza dei quali
- come rilevato in narrativa - gli eventuali risparmi nella gestione
del SSN conseguiti dalle Regioni rimangono nella disponibilita' di
queste per scopi sanitari.
2. Il comma 398 contrasta, innanzitutto, con l'art. 117, comma 6
Cost., che, nelle materie concorrenti quale e' il coordinamento della
finanza pubblica, assegna alle Regioni la potesta' regolamentare:
essa, infatti, attribuisce ad una fonte normativa secondaria dello
Stato - nel caso di mancato raggiungimento dell'intesa in sede di
Conferenza - sia l'individuazione degli importi e dei relativi ambiti
di destinazione, sia la rideterminazione dei "livelli di
finanziamento degli ambiti individuati e [del]le modalita' di
acquisizione delle risorse da parte dello Stato scelta degli ambiti
di assegnazione".
Non pare dubbio che il d.P.C.M. cui la disposizione censurata
rinvia sia atto sostanzialmente normativo, in quanto preordinato a
disciplinare in via generale e astratta sia i livelli di
finanziamento degli ambiti di spesa che le regole di acquisizione
delle risorse da parte dello Stato. Peraltro, l'assenza di criteri
stringenti cui il decreto deve attenersi nell'individuare tanto gli
importi quanto gli ambiti di assegnazione - fatta eccezione per i
vaghi riferimenti al PIL, alla popolazione residente e alle risorse
per il SSN - lasciano allo Stato amplissimi margini di
discrezionalita', rivelando la natura squisitamente politica, e non
meramente "tecnica", del decreto in parola.
Ebbene, se cosi' e', risulta chiara l'illegittimita' della norma
censurata rispetto all'art. 117 comma 6: per consolidata
giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, nelle materie concorrenti gli
atti statali sub-legislativi in tanto sono legittimi e vincolanti per
le Regioni, in quanto abbiano carattere amministrativo e contenuto
esclusivamente tecnico, ponendosi come immediatamente attuativi dei
principi fondamentali della materia; viceversa, ove l'atto abbia
contenuto normativo ed implichi ampi margini discrezionali, la sua
previsione e' illegittima alla luce dell'evocato parametro,
comportando una violazione del riparto costituzionale della potesta'
regolamentare (cfr., fra le molte, la sentt. nn. 39 del 2014 e 278
del 2010).
3.1. Il comma 398 della legge n. 190 del 2014 e' poi illegittimo
nella parte in cui, sempre nell'ipotesi di mancato raggiungimento
dell'intesa con le Regioni, vincola il d.P.C.M. ad individuare gli
ambiti e le Regioni beneficiarie del contributo aggiuntivo secondo i
(vaghissimi) criteri di cui al primo periodo dell'art. 46, comma 6,
del d.l. n. 66 del 2014: vale a dire, il PIL e la popolazione
residente, in aggiunta, poi, alle "risorse destinate al finanziamento
corrente del Servizio sanitario nazionale".
Come e' evidente, l'adozione di tali criteri - gli unici
legislativamente imposti ad un decreto altrimenti del tutto
discrezionale nei contenuti - porta ad una penalizzazione
irragionevole delle Regioni piu' virtuose, censuratile ex artt. 3 e
119 Cost.
Infatti, il PIL e la popolazione residente non possono in alcun
modo essere assunti a parametro per tagli ai fondi che finanziano i
livelli essenziali delle prestazioni: un'operazione di spending
review in questo settore non potrebbe che poggiare sul costo del
fabbisogno standard. Adottando, invece, i criteri censurati di cui al
comma 398, il legislatore statale ha ritenuto - per dirla con una
frase - che "se il territorio produce tanto PIL ed e' molto popolato
allora produce tanti sprechi": si tratta di un'equazione
assolutamente irragionevole, se non addirittura risibile.
Ad aggravare ulteriormente i profili d'irragionevole
penalizzazione delle Regioni piu' virtuose, peraltro, concorre anche
l'eliminazione dei criteri del "rispetto dei tempi di pagamento
stabiliti dalla direttiva 2011/7/UE, nonche' dell'incidenza degli
acquisti centralivati", contenuti nell'art. 46, comma 6, del d.l. n.
66 del 2014 e abrogati dal censurato comma 398. E' d'immediata
evidenza che il venir meno di tali criteri rende aggredibili
indistintamente dalla spending review anche le Regioni piu' attente
al contenimento degli sprechi e al corretto impiego delle risorse
pubbliche, disincentivando cosi' le gestioni virtuose.
Posto che il contributo aggiuntivo sia da un punto di vista
letterale, sia da un punto di vista logico-sistematico, non ha e non
potrebbe avere una finalita' perequativa - come dimostra, ad esempio,
la radicale inconciliabilita' fra strumento del taglio lineare e
scopo redistributivo - i vizi d'incostituzionalita' non verrebbero
meno, anche se si volesse far finta che si tratti di una forma di
perequazione. Infatti, il PIL e la popolazione residente non possono
ritenersi indici sintomatici oggettivi e inequivoci della capacita'
fiscale degli abitanti, la quale e' il parametro centrale - questo si
realmente espressivo della ricchezza e dei bisogni - del sistema di
perequazione disegnato dall'art. 119 Cost. Ancor piu' irragionevole e
distorsivo e' il riferimento alla spesa corrente per il SSN: l'indice
in questione non puo' che portare a premiare, attraverso
l'assegnazione dei fondi, le Regioni con una piu' ingente spesa
sanitaria, senza distinguere pero' - e in cio' sta il paradosso - fra
Regioni che spendono di piu' a causa di una piu' ingente mole di
servizi erogati, e Regioni che spendono di piu' a causa di
diseconomie e inefficienze organizzative e funzionali.
Nel complesso, dunque, i criteri latissimi fissati dal
legislatore statale non solo non sono espressivi della obiettiva
realta' economica delle diverse Regioni, ma producono dinamiche
irragionevoli, che premiano gli enti meno virtuosi e disincentivano
quelli piu' rispettosi del principio del buon andamento
amministrativo.
3.2. Ancora, sempre ai sensi degli artt. 3 e 119 Cost., il comma
398 si pone in irriducibile contrasto con i commi 555, 556 e 557,
attuativi del cd. "Patto per la salute" per gli anni 2014-2016, di
cui all'intesa 10 luglio 2014, sancita dalla Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano.
Il contrasto appare evidente ove si consideri che, da un lato, ai
sensi del comma 398, il d.P.C.M. individua importi e ambiti di
destinazione del contributo aggiuntivo delle Regioni "considerando
anche le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio
sanitario nazionale"; dall'altro lato, il comma 557, nel novellare
l'art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 118 del 2011, prevede che "fermo
restando quanto previsto dall'articolo 2, comma 80, della legge 23
dicembre 2009, n. 191, eventuali risparmi nella gestione del Servizio
sanitario nazionale e effettuati dalle regioni rimangono nella
disponibilita' delle regioni stesse per finalita' sanitarie".
Ebbene, non si vede come la norma introdotta dal comma 557 possa
razionalmente conciliarsi con quella recata dal comma 398, la' dove
la prima esclude il trasferimento allo Stato dei risparmi conseguiti
nella gestione del SSN; la seconda, invece, non solo li ricomprende
fra le risorse allocabili dal d.P.C.M. nell'ambito del contributo
regionale alla finanza pubblica, ma rimette altresi' allo Stato la
scelta circa la finalita' cui destinarli.
Tale discrasia determina una irragionevolezza interna che inficia
sia il comma 398, sia i commi 555-557, e produce una grave lesione
all'autonomia finanziaria regionale, dal momento che si rende del
tutto nebuloso e incerto il quadro delle risorse su cui impostare la
programmazione finanziaria.
4. Infine, il comma 398 e' illegittimo alla luce dell'art. 119,
comma 6 - nella denegata ipotesi in cui si ritenga che esso introduce
un contributo perequativo - poiche' impone alla Regione di riversare
allo Stato fondi, ma al di fuori delle forme e delle modalita'
prescritte dalla Costituzione.
In particolare, piu' volte codesta Ecc.ma Corte ha evidenziato
come «gli interventi perequativi e solidali devono garantire risorse
aggiuntive rispetto a quelle reperite per l'esercizio delle normali
funzioni", devono avere uno specifico ambito territoriale di
localizzazione" ed essere destinate a "particolari categorie
svantaggiate destinatarie" (cfr., fra le molte, sentt. nn. 79 del
2014, 254 del 2013, 176 del 2012).
Nel caso di specie, tali condizioni non sono rispettate. Infatti,
il comma 398 introduce un ulteriore obbligo di riversamento -
aggiuntivo e distinto rispetto agli importi di contribuzione alla
finanza pubblica - privo di qualsivoglia indicazione, sia rispetto
agli specifici ambiti territoriali interessati, sia rispetto ai
soggetti destinatari.
5. Per tutti i suesposti motivi, si insiste per la dichiarazione
d'incostituzionalita' sia del comma 398 che dei commi 555, 556 e 557.
III. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 421, della
legge n. 190 del 2014, in relazione agli artt. 3, 97, 117, 118 e 119
cost.
1. Come rilevato in narrativa, il comma 421 stabilisce la
dotazione organica delle Citta' metropolitane e delle Province, a
decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di stabilita'
2015, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di
entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta del 30%
per le Citta' metropolitane, del 50% per le Province, del 30% per le
Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi
stranieri di cui all'art. 1, comma 3, secondo periodo, della legge n.
56 del 2014.
Cosi' facendo, la previsione in parola da un lato realizza una
indebita ingerenza dello Stato nella materia "ordinamento e
organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali", la
quale rientra nella potesta' legislativa residuale delle Regioni ai
sensi dell'art. 117, comma 4, Cost.; dall'altro lato, introduce un
taglio lineare e indiscriminato della dotazione organica delle Citta'
metropolitane e delle Province, che non tiene conto delle funzioni
esercitate da tali enti, ponendoli di fatto nell'impossibilita' di
operare appieno.
2. In particolare, sotto il primo profilo, piu' volte codesta
Ecc.ma Corte ha evidenziato come l'organizzazione amministrativa
degli enti locali rientri nella potesta' legislativa residuale delle
Regioni (cfr. sentt. nn. 326 del 2008, 233 del 2006; cfr. altresi'
indicazioni in tal senso nelle sentt. nn. 397 del 2006, 456 e 244 del
2005): posto che il testo costituzionale - come noto - ha cura di
riservare al legislatore statale la sola disciplina dell'ordinamento
e dell'organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti
pubblici nazionali (art. 117, lett. g), nonche' degli organi di
governo e delle funzioni fondamentali degli enti locali (art. 117,
lett. p), la materia innominata in questione viene necessariamente a
rientrare, in forza della clausola di residualita', entro l'art. 117,
comma 4.
Peraltro, l'esorbitanza della norma impugnata rispetto all'ambito
di competenza del legislatore statale e' ulteriormente accentuata,
nel caso di specie, dalla circostanza che il comma 421 riduce anche
le dotazioni organiche da destinarsi alle funzioni non fondamentali
che la Regione ha allocato e allochera' a livello provinciale e
metropolitano. In altre parole, la disposizione censurata non solo
viola il riparto di competenze costituzionalmente stabilito, ma opera
anche un taglio drastico del personale da impiegare nell'esercizio
delle funzioni non fondamentali, che in base alla Costituzione spetta
alla Regione allocare: con la conseguenza che quest'ultima si vedra'
posta di fronte all'alternativa diabolica di riassumere le funzioni
che erano trasferite alle Province o di affidarle a enti
strutturalmente inidonei a esercitarle; scelta che, in ogni caso,
produce esiti contrari rispetto sia al principio del buon andamento
di cui all'art. 97 Cost., sia ai principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza di cui all'art. 118 Cost.
3. Sotto il secondo profilo, occorre subito osservare che la
norma, benche' operi un richiamo (puramente nominale) alla legge n.
56 del 2014, mostra, in effetti, di non tenere in alcun conto il
riordino delle funzioni di tali livelli di governo operato da
quest'ultima legge. Anzi, a ben vedere, almeno con riguardo alle
Citta' metropolitane, la rafia ispiratrice della legge n. 56 del 2014
e quella della disposizione censurata si pongono, fra loro, in
irriducibile contraddizione. E' del tutto paradossale e
irragionevole, infatti, che una riforma, la quale aumenta poteri e
funzioni delle Citta' metropolitane, sia "attuata" da una normativa
che, muovendosi in senso diametralmente opposto, riduce in modo
consistente le risorse organiche dell'ente. In altri termini: come
puo' ritenersi ragionevole la scelta di ridurre la dotazione organica
delle Citta' metropolitane, nell'ambito del medesimo disegno di
riforma che ne moltiplica le funzioni, configurandole quali enti
centrali del governo d'area vasta?
Venendo ad analizzare piu' nello specifico il comma 421, esso
opera una riduzione aprioristica, rigida e uguale per tutti gli enti
della dotazione organica, slegando la situazione di sovrannumero dei
dipendenti dal dato della loro afferenza a settori connessi alle
funzioni fondamentali degli enti, o a quelle che ad essi verranno
successivamente attribuite in aderenza ai principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza. E del resto, non essendo ancora
concluso il procedimento di individuazione delle funzioni non
fondamentali delle Province e delle Citta' metropolitane, non si vede
in che modo la legge di stabilita' 2015 possa pretendere di tener
conto del riordino avviato dalla legge n. 56 del 2014.
L'asimmetria che cosi' si determina fra risorse organiche e
funzioni implica tutta una serie di conseguenze costituzionalmente
illegittime.
Innanzitutto, l'imposizione di tagli uguali per tutti gli enti
esprime una pretesa di omogeneita' assolutamente priva di fondamento
razionale: infatti, la realta' strutturale e funzionale degli enti
locali italiani e' ben lungi dall'essere uniforme, presentando una
moltitudine di situazioni distinte e fra loro non commensurabili.
Tale situazione, peraltro, e' stata non solo espressamente recepita,
ma anche valorizzata dal legislatore costituzionale del 2001, che
all'art. 118 ha inserito il principio di differenziazione fra i
criteri guida per l'allocazione delle funzioni amministrative.
Dunque, puo' ben dirsi che la radicale omogeneizzazione che la norma
censurata pretende di imporre e' irragionevole rispetto all'effettivo
assetto degli enti locali, ed illegittima alla luce dei principi di
struttura del sistema italiano delle autonomie territoriali.
In secondo luogo, il taglio netto e aprioristico delle risorse
organiche, operato a riassetto del complessivo quadro delle funzioni
non ancora compiuto, pone le Citta' metropolitane e le Province
nell'impossibilita' di esercitare le attribuzioni proprie e quelle
conferite in modo efficace ed efficiente: il che si pone in chiara
frizione rispetto al principio di buon andamento sancito dall'art. 97
Cost., riverberandosi anche in danno degli stessi enti territoriali -
specie le Regioni, come visto sopra - conferenti le funzioni.
Ma non e' tutto. Se si mettono a sistema la riduzione delle
dotazioni organiche di cui al censurato comma 421, con l'ingente
risparmio di spesa imposto dal comma 418 (pari a 1.000 milioni di
euro per l'anno 2015, a 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e a
3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017), risulta che la
legge n. 190 del 2014 lede gravemente l'autonomia finanziaria sia
delle Citta' metropolitane che delle Province: ai sensi dell'art.
119, tali enti devono infatti disporre di risorse tali da "finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite". La condizione
in discorso non puo' dirsi certo rispettata dalla legge di stabilita'
del 2015, che, al contrario, nell'imporre agli enti provinciali e
metropolitani oneri finanziari cosi' gravosi e sin die - in
contrasto, quindi, pure con il limite della necessaria transitorieta'
del vincolo piu' volte sancito dalla Corte (cfr. da ultimo sent. n.
79 del 2014) - finisce per "devitalizzarli" tramite un esasperato
drenaggio di risorse. Cio' non e' ovviamente possibile, giacche', a
Costituzione vigente, questi restano enti costituzionalmente
necessari e beneficiano di garanzie di esistenza non aggirabili in
modo surrettizio dal legislatore ordinario.
4. Per tutti i suesposti motivi, si insiste per la dichiarazione
d'incostituzionalita' del comma impugnato.
IV. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 424, della legge
n. 190 del 2014, in relazione agli articoli 117, commi 3 e 4, 118 e
119 cost.
1. Il comma 424 della legge n. 190 del 2014 - come si e' gia'
anticipato in narrativa - vincola le Regioni e gli enti locali, per
gli anni 2015-2016, a destinare le risorse per le assunzioni a tempo
indeterminato all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso
pubblicato collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate
alla data di entrata in vigore della legge di stabilita' 2015,
nonche' alla ricollocazione in ruolo delle unita' soprannumerarie
destinate ai processi di mobilita'. La norma prevede altresi' che
siano affette da nullita' tutte le assunzioni effettuate in
violazione della previsione.
Si deve osservare che il comma censurato - non diversamente dal
comma 421 - si pone ictu oculi in contraddizione rispetto alle linee
di riforma poste dalla legge 56 del 2014.
In particolare, l'art. 1, commi 92-96 della legge da ultimo
citata stabilisce che le Province devono trasferire, agli enti che ne
assorbano il personale sovrannumerario, le corrispondenti dotazioni
economiche. Tutto all'opposto, il comma 424 della legge n. 190 del
2014 sancisce che le Regioni e gli altri enti locali che assorbono il
personale in mobilita' devono far fronte ai relativi costi con
risorse proprie: precisamente, quelle destinate alle assunzioni a
tempo indeterminato, nelle percentuali fissate dalla normativa
vigente.
In disparte la paradossale e irragionevole distonia fra riforma e
attuazione della riforma, il comma 424 si espone a insuperabili
censure, in relazione agli artt. 117, commi 3 e 4, 118 e 119 Cost.
2. In primo luogo, nel prevedere in modo dettagliato
l'allocazione delle risorse regionali e locali destinate alle
assunzioni a tempo indeterminato, la norma realizza un intervento di
coordinamento della finanza pubblica che esorbita dalla potesta'
attribuita allo Stato dall'art. 117, comma 3, limitata alle sole
disposizioni di principio. Infatti, la legge statale vincola, in modo
puntuale e senza lasciare margine alcuno di discrezionalita',
l'impiego delle risorse a due sole "destinazioni": l'assorbimento dei
dipendenti provinciali in esubero e l'immissione "nei ruoli dei
vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie
vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della presente
legge". In questo modo, peraltro, il limite in discorso introduce
surrettiziamente un blocco generalizzato delle nuove assunzioni.
Nel caso di specie, dunque, e' ben lungi dall'esser rispettata la
regola, che codesta Ecc.ma Corte ha costantemente ribadito, secondo
cui le disposizioni statali devono limitarsi a porre solo criteri ed
obiettivi cui dovranno attenersi le Regioni e gli enti locali
nell'esercizio della propria autonomia finanziaria, senza invece
imporre loro precetti specifici, puntuali ed esaustivi (fra le molte,
si vedano le sentt. nn. 95 del 2007, 449 del 2005 e 390 del 2004).
Cio' anche ove si tratti di interventi di contenimento della spesa
del personale: in termini chiarissimi, codesta Ecc.ma Corte, nel
giudicare una norma statale che - con densita' prescrittiva analoga a
quella del comma 424 - limitava il ricorso alle procedure di
mobilita' entro percentuali non superiori al 50% delle cessazioni dal
servizio avvenute nel 2002, ha ritenuto che un'analoga previsione
"non si limita a fissare un principio di coordinamento della finanza
pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della
copertura delle vacanze verificatesi nel 2002, imponendo che tale
copertura non sia superiore al 50 per cento: precetto che, proprio
perche' specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una
indebita invasione, da parte della legge statale, dell'area
(organizzazione della propria struttura amministrativa) riservata
alle autonomie regionali e degli enti locali, alle quali la legge
statale puo' prescrivere criteri [...] ed obiettivi (ad esempio,
contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli
strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi
(cfr., la sent. n. 390 del 2004; ma si vedano altresi' le sentt. nn.
159 e 120 del 2008).
3. In secondo luogo, la normativa statale, proprio tramite i
vincoli di destinazione imposti alle risorse per i dipendenti e con
il blocco surrettizio delle assunzioni, incide profondamente sulle
dotazioni organiche delle Regioni e degli enti locali, invadendo la
materia "ordinamento e organizzazione amministrativa delle Regioni e
degli enti locali», la quale rientra nella potesta' legislativa
residuale delle Regioni ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost. (cfr.
ancora le sentt. nn. 326 del 2008, 233 del 2006; cfr. altresi'
indicazioni in tal senso nelle sentt. nn. 397 del 2006, 456 e 244 del
2005). Infatti - come si e' gia' avuto modo di dire in riferimento al
comma 421 - al legislatore statale spetta la sola disciplina
dell'ordinamento e dell'organizzazione amministrativa dello Stato e
degli enti pubblici nazionali (art. 117, lett. g), nonche' degli
organi di governo e delle funzioni fondamentali degli enti locali
(art. 117, lett. p).
4. Infine, il comma 424 crea un disallineamento fra ammontare
delle risorse, struttura organizzativa e funzioni, illegittimo sia
rispetto all'art. 118 che all'art. 119 Cost.
Quanto all'art. 118, la circostanza che le procedure di mobilita'
e il blocco della contrattazione siano imposti prima ancora che sia
completato il processo di allocazione delle funzioni osta ad una
distribuzione delle stesse coerente con i principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza. Tale distribuzione, infatti, si
trovera' a dover tener conto piu' della dislocazione delle risorse
organiche, che dei criteri sanciti dalla Costituzione.
Ben potra' accadere, poi, che i lavoratori in esubero assorbiti
da un ente in una situazione di totale incertezza in ordine alla
definitiva riarticolazione delle funzioni, debbano poi transitare,
una volta conclusosi il predetto processo, in un ente diverso, dando
cosi' - vita a una costosa e inefficiente catena di trasferimenti.
Con riguardo all'art. 119, i vincoli al personale assumibile e
l'obbligo di assunzione a valere sui fondi disponibili degli enti di
destinazione, oltre ad erodere i fondi per la contrattazione
integrativa, importano limiti finanziari e obblighi di riassorbimento
slegati dalla riallocazione delle funzioni: col rischio di produrre
oneri ingiustificati o, all'opposto, l'impossibilita' di assicurare
la integrale copertura, in termini economici e di risorse, delle
atttibuzioni regionali e locali.
5. Per tutti i suesposti motivi, si insiste per la dichiarazione
d'incostituzionalita' del comma impugnato.
P.Q.M.
Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita, ogni contraria
istanza, eccezione e deduzione disattesa, accogliere il presente
ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1, commi 20, 398, 421, 424, 555, 556, 557 della legge 23
dicembre 2014, n. 190, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117
commi terzo, quarto e sesto, 118, 119 e 120 della Costituzione, sotto
i profili e per le ragioni suesposte.
Roma, 26 febbraio 2015
Prof. Avv. Francesco Saverio Marini