Ricorso n. 34 del 26 luglio 2007 (Regione Lombardia)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 26 luglio 2007 , n. 34
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 26 luglio 2007 (della Regione Lombardia)
(GU n. 37 del 26-9-2007)
Ricorso della Regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, on. dott. Roberto Formigoni, autorizzato con delibera di giunta regionale n. VIII/004878 del 15 giugno 2007 e con delibera di giunta regionale n. VIII/005091 del 18 luglio 2007, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dall'avv. Pio Dario Vivone e dall'avv. prof. Beniamino Caravita di Toritto e presso lo studio del secondo elettivamente domiciliata in Roma, via di Porta Pinciana, 6; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 66 del 20 marzo 2007, come modificato dalla legge di conversione 17 maggio 2007, n. 64 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 115 del 19 maggio 2007, recante "Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonche' in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale", per violazione degli artt. 3, 32, 77, secondo comma, 81, quarto comma, 117, terzo e quarto comma, 118, 119, 120 della Costituzione, oltre che per violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), dell'obbligo di partecipare alle spese pubbliche in ragione della capacita' contributiva (art. 53 Cost.) e della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali (art. 23 Cost.). Il decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 2007, n. 64 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 115 del 19 maggio 2007), reca "Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonche' in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale". Scopo primario del provvedimento e' l'adozione di un meccanismo di subentro statale finalizzato al ripiano dei disavanzi sanitari di alcune regioni; inoltre, con disposizioni aggiuntive introdotte dalla legge di conversione, il provvedimento ha abolito fino al 31 dicembre 2007 il pagamento del ticket di 10 euro dovuto per ogni ricetta relativa a prestazioni ambulatoriali specialistiche, riducendo cosi' il livello di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie richiesto agli utenti. Com'e' noto, il dissesto finanziario che caratterizza il sistema sanitario nazionale ha assunto caratteri gravi e strutturali per effetto di una costante divaricazione tra i costi previsti per l'erogazione delle prestazioni sanitarie, con oneri a carico del servizio sanitario nazionale, e l'effettiva spesa sostenuta nei vari distretti sanitari; tale situazione si e' tradotta, da molti anni ormai, in una radicata condizione di indebitamento. Con la riforma del Titolo V della Costituzione tutta la materia "tutela della salute", di maggiore ampiezza della precedente materia "assistenza sanitaria e ospedaliera", e' ricaduta nell'ambito della competenza legislativa concorrente regionale; a questo ampliamento delle competenze e' corrisposta anche l'attribuzione alle regioni della complessiva responsabilita' per il contenimento dei costi e il mantenimento di una situazione di gestione economicamente efficiente, fatta salva sempre la necessita' di non compromettere l'erogazione di prestazioni attinenti ai livelli essenziali di assistenza. In attuazione del generale principio di leale collaborazione tra i differenti livelli di Governo, e in una visione istituzionale improntata al principio di responsabilita', nonche' alla necessita' di salvaguardare i livelli essenziali di assistenza, nel corso degli ultimi anni sono state stipulate intese tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano al fine di assumere impegni vincolanti per il ripiano del disavanzo. Nell'accordo dell'8 agosto 2001 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 207 del 6 settembre 2001), appena prima dell'entrata in vigore del nuovo Titolo V, "allo scopo di rendere realistica l'entita' dei finanziamenti statali eliminando gli inconvenienti derivanti da sottostime delle esigenze finanziarie e conferire stabilita' alla spesa in un arco almeno triennale, nell'ambito delle compatibilita' di finanza pubblica e nel quadro di un rinnovato patto di stabilita' interno, e' incrementata la quantificazione delle risorse previste per l'anno 2001 a chiusura definitiva tra Governo e regioni della partita finanziaria e sulla base del principio della corrispondenza delle risorse alle responsabilita". A fronte di questo impegno del Governo, le regioni si erano impegnate a risolvere ulteriori eventuali esigenze finanziarie con mezzi propri, adottando, in ogni caso, tutte le iniziative possibili per la corretta ed efficiente gestione del servizio al fine di contenere le spese. La validita' dell'accordo e' stata peraltro subordinata all'adozione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), successivamente definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001. Alle relative disposizioni e' stato poi attribuito valore di legge dall'art. 54 della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003), che ha altresi' specificato che eventuali modifiche ai LEA (cosi' come individuati negli allegati del d.P.C.m. 29 novembre 2001) sono definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Coerentemente con questa impostazione (nonche' con alcune pronunce della Corte costituzionale, come la n. 89 del 2000, che individuavano nelle regioni i soggetti tenuti anche alla estinzione delle situazioni debitorie pregresse relative alle precedenti USL, attraverso la costituzione delle gestioni a stralcio, trasformate poi in gestioni liquidatorie dall'art. 2, comma 14, della legge 28 dicembre 1995, n. 549), il decreto-legge n. 347 del 2001, convertito con modificazioni dalla legge n. 405 del 2001, ha previsto che alla copertura dei disavanzi di gestione fossero tenute le regioni mediante norme regionali che disponessero, alternativamente o cumulativamente, l'introduzione di: "a) misure di compartecipazione alla spesa sanitaria, ivi inclusa l'introduzione di forme di corresponsabilizzazione dei principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa; b) variazioni dell'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali previste nella normativa vigente; c) altre misure idonee a contenere la spesa, ivi inclusa l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci" (comma 3 dell'art. 4 del decreto-legge n. 347 del 2001). Le annuali leggi di bilancio, pur cercando di rimediare ad una situazione di straordinaria gravita', disponendo in alcuni casi il finanziamento di quote di spesa del Servizio sanitario nazionale, hanno tuttavia sempre riconfermato, quale principio fondamentale mai revocato in dubbio, la piena responsabilizzazione delle regioni, chiarendo altresi' la natura derogatoria rispetto ai principi generali delle misure di partecipazione statale di volta in volta predisposte. La legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005), all'art. 1, comma 173, ha subordinato l'accesso delle regioni al finanziamento integrativo a carico dello Stato alla realizzazione di alcune specifiche condizioni: vale a dire, alla stipula di un'intesa tra Stato e regioni che prevedesse, tra gli altri strumenti, ulteriori mezzi per migliorare il monitoraggio della spesa sanitaria nell'ambito del "Nuovo sistema informativo sanitario"; o, ancora, "al rispetto degli obblighi di programmazione a livello regionale, al fine di garantire l'effettivita' del processo di razionalizzazione delle reti strutturali dell'offerta ospedaliera e della domanda ospedaliera, (con particolare riguardo al riequilibrio dell'offerta di posti letto per acuti e per lungodegenza e riabilitazione, alla promozione del passaggio dal ricovero ordinario al ricovero diurno, nonche' alla realizzazione degli interventi previsti dal Piano nazionale della prevenzione e dal Piano nazionale dell'aggiornamento del personale sanitario, coerentemente con il Piano sanitario nazionale)". La stessa disposizione di legge (il citato comma 173 dell'art. 1 della legge finanziaria 2005) ha poi richiesto in capo alle regioni, tra le condizioni che ne autorizzano l'accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato, "l'obbligo di garantire in sede di programmazione regionale, coerentemente con gli obiettivi sull'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche, l'equilibrio economico-finanziario delle proprie aziende sanitarie, aziende ospedaliere, aziende ospedaliere universitarie ed Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, sia in sede di preventivo annuale che di conto consuntivo, realizzando forme di verifica trimestrale della coerenza degli andamenti con gli obiettivi dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e prevedendo l'obbligatorieta' dell'adozione di misure per la riconduzione in equilibrio della gestione ove si prospettassero situazioni di squilibrio, nonche' l'ipotesi di decadenza del direttore generale". Il comma 174 dell'art. 1 della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005) ha disposto inoltre il ricorso allo strumento della fiscalita' nel caso di disavanzi di gestione in ambito regionale: nel caso in cui si evidenzia un disavanzo di gestione che i provvedimenti regionali non riescono a riequilibrare, il Presidente del Consiglio dei ministri puo' diffidare la regione a provvedere all'adozione di ogni misura idonea entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello al quale si riferisce il disavanzo; nel caso in cui tale termine decorra inutilmente, il presidente della regione, in qualita' di commissario ad acta, approva il bilancio di esercizio consolidato del Servizio sanitario regionale al fine di determinare l'ammontare del disavanzo di gestione e adotta i necessari provvedimenti per il suo ripianamento, compreso il ricorso agli strumenti fiscali e in particolare agli aumenti dell'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e alle maggiorazioni dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attivita' produttive, entro le misure stabilite dalla normativa vigente. Il successivo comma 180 dell'art. 1 della legge finanziaria per il 2005 ha disposto che le regioni afflitte da problemi di disavanzo per i quali si rende necessaria l'attivazione delle procedure sostitutive per mezzo del presidente regionale in veste di commissario ad acta devono altresi' procedere ad una ricognizione delle cause, nonche' all'elaborazione di "un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale, di durata non superiore al triennio. I ministri della salute e dell'economia e delle finanze e la singola regione stipulano apposito accordo che individui gli interventi necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza e degli adempimenti di cui alla intesa prevista dal comma 173. La sottoscrizione dell'accordo e' condizione necessaria per la riattribuzione alla regione interessata del maggiore finanziamento anche in maniera parziale e graduale, subordinatamente alla verifica della effettiva attuazione del programma". Nell'intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 sono stati poi previsti strumenti per il miglioramento del monitoraggio della spesa nell'ambito del "Nuovo Sistema Informativo Sanitario" (art. 3) e, in attuazione delle previsioni della legge finanziaria per il 2005 (e in particolare del comma 180 dell'art. 1), sono stati ulteriormente precisati i contenuti dell'accordo tra regioni in situazioni di disavanzo e ministri della salute, dell'economia e delle finanze, sentito il ministro per gli affari regionali, per accedere ai finanziamenti previsti. Inoltre, sono stati previsti un Comitato paritetico permanente per la verifica dell'erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (art. 9) e un "Tavolo tecnico", istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, per la verifica degli adempimenti richiesti dalla legge finanziaria 2005 (art. 12). Il "tavolo" richiede alle singole regioni la documentazione necessaria alla verifica degli adempimenti e all'individuazione delle eventuali criticita' da risolvere. Piu' di recente la legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria 2006), all'art. 1, comma 277, ha previsto l'attivazione automatica degli strumenti fiscali nel caso in cui "anche il commissario ad acta non adotti le misure cui e' tenuto, con riferimento all'esercizio 2005 e all'anno d'imposta 2006"; in tale caso "si applicano nella misura massima prevista dalla vigente normativa l'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e le maggiorazioni dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attivita' produttive". Con successivo protocollo di intesa tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, stipulato il 28 settembre 2006 e' stato adottato un (ennesimo!) "Nuovo Patto per la Salute", volto a "ricondurre sotto controllo la spesa sanitaria, a dare certezza di risorse per il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) su un arco pluriennale, a sollecitare e sostenere le azioni necessarie a elevare qualita' e appropriatezza delle prestazioni, a riequilibrare le capacita' di fornire servizi di analoga qualita' ed efficacia su tutto il territorio nazionale". Tra le linee guida del "Patto" viene esplicitamente menzionata la necessita' di assicurare alla sanita' una dinamica di crescita compatibile con la programmazione finanziaria del Paese e di parametrare i livelli di finanziamento erogato alla verifica dell'effettivo costo dei Livelli Essenziali di Assistenza, in condizioni di efficienza e appropriatezza. Lo strumento inoltre punta dichiaratamente a "rafforzare la capacita' programmatoria e organizzativa delle regioni", richiedendo a tali soggetti un'assunzione di "autonomia ed inderogabile responsabilita' di bilancio" sia nell'utilizzo di eventuali maggiori risorse liberate da efficientamenti del sistema sanitario regionale, sia nell'adozione di misure di ripiano di disavanzi. Su queste basi, nel patto si conviene che il Governo ritiene indispensabile prorogare il meccanismo di "automatismo fiscale" (previsto dalla legge n. 266 del 2005, all'art. 1, comma 277). Inoltre il Governo si impegna a prevedere, in sede di approvazione della legge finanziaria per l'anno 2007, un fondo transitorio "per le regioni che presentano grandi criticita' finanziarie" al fine di sostenerle "in un percorso di rientro (sic!) in grado di portare all'azzeramento dei loro disavanzi entro l'anno 2010". In aggiunta agli adempimenti previsti dall'Accordo del 28 settembre 2006, lo stesso documento, al punto 1.4, ha inoltre previsto che "in via straordinaria, per le regioni che abbiano stipulato l'accordo di cui all'art. 1, comma 180, della richiamata legge n. 311/2004 sono considerate idonee forme di copertura dei disavanzi pregressi, cumulativamente registrati e certificati fino al 2005, al netto per l'anno 2005 della copertura derivante dell'incremento automatico delle aliquote, in deroga a quanto previsto dalla predetta Intesa, con misure a carattere pluriennale derivanti da specifiche entrate certe e vincolate. A tal fine il Governo si impegna alla proposizione delle necessarie norme di deroga". Inoltre, il punto 3.1 dell'intesa in esame delinea un ulteriore concorso transitorio dello Stato per le regioni in difficolta' economico-finanziaria: in primo luogo e' stabilito che il "Tavolo tecnico" per la verifica degli adempimenti, previsto dall'articolo 12 dell'Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005, individua le "Regioni in difficolta", cioe' le regioni che presentano un disavanzo pari o superiore al 7% nell'anno precedente e/o nelle quali sia entrata in vigore la massimizzazione dell'aliquota di addizionale Irpef e della maggiorazione Irap; viene poi prevista l'istituzione, per tutto il triennio 2007-2009, di un Fondo transitorio di complessivi 2550 milioni di euro (ripartiti in 1000 milioni per l'anno 2007, 850 milioni per l'anno 2008 e 700 milioni per l'anno 2009). L'accesso alle risorse di tale Fondo resta subordinato alla sottoscrizione dell'accordo previsto dalla legge finanziaria per l'anno 2005 (in particolare dall'art. 1, comma 180 della legge n. 311 del 2004), comprensivo di un "Piano di rientro". Tale "Piano di rientro" deve contenere sia le misure di riequilibrio del profilo erogativo dei Livelli Essenziali di Assistenza (per renderlo conforme al vigente Piano Sanitario Nazionale e al vigente d.P.C.m. di fissazione dei LEA), sia le misure necessarie all'azzeramento del disavanzo entro il 2010, sia gli obblighi e le procedure previsti dalle precedenti Intese Stato-Regioni. L'accesso al fondo transitorio da parte delle regioni in difficolta' presuppone inoltre che "sia scattata formalmente in modo automatico o che sia stato attivato l'innalzamento ai livelli massimi dell'aliquota di addizionale Irpef e della maggiorazione Irap". Qualora, durante il procedimento di verifica annuale del piano, si prefiguri il mancato rispetto di parte degli obiettivi intermedi di riduzione del disavanzo contenuti nel piano di rientro, la regione interessata puo' proporre misure equivalenti che devono essere approvate dal Ministero della salute e dell'economia e finanze. "In ogni caso l'accertato verificarsi del mancato raggiungimento degli obiettivi intermedi comporta che, con riferimento all'anno d'imposta dell'esercizio successivo, l'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e l'aliquota dell'imposta regionale sulle attivita' produttive si applicano oltre i livelli massimi previsti dalla legislazione vigente fino all'integrale copertura dei mancati obbiettivi". Qualora invece gli obiettivi intermedi siano stati conseguiti, ottenendo risultati quantitativamente migliori di quelli minimi prefissati, la regione interessata puo' ridurre, con riferimento all'anno d'imposta dell'esercizio successivo, l'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e l'aliquota dell'imposta regionale sulle attivita' produttive per la quota corrispondente al miglior risultato ottenuto. Tali previsioni pattizie, contenute nel protocollo di intesa siglato il 28 settembre 2006 tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sono state poi recepite dalla legge finanziaria per l'anno 2007 (legge n. 296 del 2006) che, alla lett. b) del comma 796 dell'art. 1, ha integralmente riproposto il testo e i contenuti dell'accordo, aggiungendo inoltre che gli interventi individuati dai programmi operativi di riorganizzazione, qualificazione o potenziamento del servizio sanitario regionale, necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, "sono vincolanti per la regione che ha sottoscritto l'accordo e le determinazioni in esso previste possono comportare effetti di variazione dei provvedimenti normativi ed amministrativi gia' adottati dalla medesima regione in materia di programmazione sanitaria". Sebbene dunque il quadro normativo sin qui richiamato dia conto di un complesso di misure che non ha escluso l'intervento dello Stato nel percorso di risanamento del deficit sanitario delle regioni, non vi e' dubbio che tale partecipazione e' stata costantemente subordinata, e anzi condizionata, a misure fortemente indicative della progressiva responsabilizzazione delle regioni, coerentemente con la soppressione dei trasferimenti erariali in favore delle regioni relativi al finanziamento della spesa sanitaria corrente e in conto capitale disposta dall'art. 1, lett. d) del d.lgs. n. 56 del 2000, e, piu' in generale, con i percorsi di "federalismo fiscale" che la Costituzione, almeno a partire dalla riforma del Titolo V, chiaramente traccia. Questi impegni, questa responsabilizzazione, questi tentativi di legare la spesa sanitaria regionale alla responsabilita' della politica e delle amministrazioni regionali sono stati totalmente negletti e abbandonati all'inizio del 2007. Cosi', il decreto-legge n. 23 del 2007, convertito dalla legge n. 64 del 2007, stanzia invece un ingente finanziamento statale in favore delle regioni che versano nelle condizioni precisate dallo stesso decreto. Secondo quanto previsto dal comma 1 dell'art. 1 del provvedimento, lo Stato, in deroga all'obbligo per le regioni di coprire gli eventuali disavanzi di gestione con oneri a proprio carico (cosi' come espressamente stabilito dal comma 3 dell'art. 4 del d.l. n. 347 del 2001, convertito con modificazioni dalla legge n. 405 del 2001), partecipa al ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale per il periodo 2001-2005 per le regioni che si trovano in determinate situazioni. Il primo requisito per l'accesso alle somme stanziate dal decreto-legge n. 23 del 2007, come modificato dalla legge di conversione n. 64 del 2007, e' costituito dalla presenza di rilevanti situazioni deficitarie regionali relative al periodo 2001-2005. Il provvedimento precisa poi che lo Stato concorre al ripiano dei disavanzi nei confronti delle regioni che sottoscrivono (nella forma di accordo tra Stato e regioni) i "piani di rientro" e accedono al fondo transitorio previsto dalla lettera b) del comma 796 dall'art. 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) (fondo gia' previsto dal protocollo di intesa del 28 settembre 2006); ulteriore requisito richiesto dal provvedimento concerne: l'attivazione sul territorio regionale, a copertura dei disavanzi del settore sanitario e a decorrere dal 2007, di misure fiscali straordinarie; ovvero l'impiego di quote di manovre fiscali gia' adottate o di quote di tributi erariali attribuiti alle regioni (nei limiti dei poteri loro attribuiti dalla normativa statale di riferimento ed in conformita' ad essa), in via ulteriore rispetto all'incremento nella misura massima di Irap e addizionale regionale all'Irpef, tali da comportare un gettito superiore rispetto a quello derivante dal predetto incremento nella misura massima di Irap e dell'addizionale regionale all'Irpef. La legge di conversione n. 64 del 2007 ha inserito nell'art. 1 il comma 1-bis, con il quale si precisa che il Ministro dell'economia e delle finanze trasmette gli esiti della verifica annuale dei piani di rientro al Presidente della Corte dei conti, "anche ai fini dell'avvio di un eventuale giudizio di responsabilita' amministrativa e contabile". Il secondo comma dell'art. 1 prevede che per il periodo di imposta successivo al 31 dicembre 2006 e fino all'anno 2010 (in deroga dunque al principio per il quale le modifiche ai tributi periodici si applicano solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni modificative, principio posto dall'art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212), l'addizionale all'Irpef e le maggiorazioni dell'aliquota dell'Irap si applicano nella misura massima consentita (misura corrispondente a quanto previsto dal comma 174, ultimo periodo, dell'art. 1 della legge n. 311 del 2004) per le regioni che, con delibera della giunta regionale ("da pubblicare nel Bollettino ufficiale della regione entro il 27 marzo 2007", secondo la previsione del comma 2 dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito dalla legge n. 64 del 2007), approvano l'Accordo stipulato con il Governo (in particolare con i ministri della salute e dell'economia e delle finanze) per l'individuazione degli interventi necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, come richiesto anche per l'accesso al Fondo transitorio istituito dalla lett. b) del comma 796 dell'art. 1 della legge finanziaria 2007. Tali incrementi non si applicano nelle regioni nelle quali sia scattato, in modo automatico, l'innalzamento dell'addizionale regionale all'Irpef e della maggiorazione dell'aliquota dell'Irap e, a seguito del raggiungimento dell'accordo con il Governo sulla copertura dei disavanzi di gestione del Servizio sanitario regionale (accordo previsto dall'art. 1-bis del decreto-legge n. 206 del 2006 convertito con modificazioni dalla legge n. 234 del 2006) tale innalzamento non sia stato applicato. Lo stanziamento per il ripiano delle situazioni debitorie accumulate dalle regioni nel settore sanitario autorizzato dal decreto n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, ammonta a 3000 milioni di euro, da ripartire tra le regioni interessate (individuabili sulla base dei parametri indicati dal provvedimento) con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali. I criteri per l'erogazione di tale stanziamento saranno definiti "sulla base dei debiti accumulati fino al 31 dicembre 2005, della capacita' fiscale regionale e della partecipazione delle regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario". Secondo il decreto-legge, inoltre, le modalita' di monitoraggio e di riscontro dell'estinzione dei debiti "sono disciplinate nell'ambito dei piani di rientro". Il decreto-legge precisa poi che alla relativa copertura si provvede mediante "corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze". La legge di conversione n. 64 del 2007, alla fine del comma 3 dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007 aggiunge che il decreto ministeriale che effettua il riparto della somma resa disponibile dal decreto-legge e trasmesso "alle competenti commissioni del Senato e della Camera dei deputati" e stabilisce inoltre che il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro della salute, trasmette al Parlamento una relazione sullo stato del monitoraggio e del riscontro dell'estinzione dei debiti. L'art. 1-bis del decreto, aggiunto dalla legge di conversione n. 64 del 2007, ha poi operato una parziale inversione rispetto a quanto previsto dalla legge finanziaria 2007: ha abolito la quota fissa di 10 euro sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, posta a carico degli assistiti non esentati dalla partecipazione al costo delle prestazioni e ha di conseguenza riquantificato l'importo della "manovra" relativa a tale tipologia di prestazioni ambulatoriali per l'anno 2007, passando dagli 811 milioni di euro (previsti dall'art. 1, comma 796, lettera p-bis della legge n. 296 del 2006) a 300 milioni di euro. L'art. 1-bis del decreto-legge, aggiunto dalla legge di conversione n. 64 del 2007, incrementa quindi per l'anno 2007 il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato di 511 milioni di euro. (L'art. 1-bis provvede poi ad abrogare le disposizioni incompatibili come il comma 1 dell'art. 6-quater del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300 convertito con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17, che prevedeva l'applicazione del pagamento del ticket fino al 31 marzo 2007 e comunque fino all'entrata in vigore delle misure alternative di partecipazione al costo delle prestazioni specialistiche o alla stipulazione di accordi tra le regioni e i Ministeri della salute e dell'economia e delle finanze per la definizione di misure alternative di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, equivalenti sotto il profilo del mantenimento dell'equilibrio economico-finanziario e del controllo dell'appropriatezza). Il comma 2 dell'art. 1-bis, aggiunto dalla legge di conversione n. 64 del 2007, stabilisce che la copertura dell'onere costituito dall'incremento di 511 milioni di euro di maggior finanziamento del SSN a cui concorre lo Stato per l'anno 2007, si provvede: 1) quanto a 100 milioni di euro mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa relative al fondo per l'estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni centrali (di cui all'art. 1, comma 50, della legge 23 dicembre 2005, n. 266); 2) quanto a 411 milioni di euro mediante utilizzo delle disponibilita' del fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie di cui all'art. 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, che, a tal fine, sono versate nello stesso anno 2007 all'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnate al Fondo sanitario nazionale, in deroga alla limitazione alla riassegnazione delle entrate prevista dall'art. 1, comma 46, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, (che prevede che a decorrere dall'anno 2006 l'ammontare complessivo delle riassegnazioni di entrate non superi, per ciascuna amministrazione, l'importo complessivo delle riassegnazioni effettuate nell'anno 2005, ad eccezione delle riassegnazioni per le quali l'iscrizione della spesa non ha impatto sul conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, nonche' di quelle riguardanti l'attuazione di interventi cofinanziati dall'Unione europea). L'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, lede profondamente le competenze riconosciute alla Regione Lombardia dalla Costituzione, risultando lesivo dell'autonomia ad essa costituzionalmente garantita per i seguenti motivi di D i r i t t o 1) Premessa. E' utile ricordare come nelle more dell'entrata in vigore della legge Cost. n. 3 del 2001, vale a dire dopo l'approvazione parlamentare, ma prima dell'esito positivo del referendum, l'8 agosto 2001 veniva siglato l'accordo tra Governo e regioni, con il quale, sulla base del principio contenuto nel nuovo art. 119, quarto comma Cost., della corrispondenza tra risorse e funzioni, si addiveniva ad un incremento dei finanziamenti statali in materia sanitaria per il 2001 in favore delle regioni, da intendersi come "chiusura definitiva" della partita finanziaria tra gli attori dell'intesa. L'intervento legislativo qui impugnato spinge invece il sistema in una direzione inequivocabilmente contraria alle opzioni tracciate dal legislatore costituzionale del 2001, vanificando, di fatto, le scelte costitutive ed essenziali di quella riforma, ispirata ad un'ampia attribuzione di compiti e funzioni alle regioni e ad una corrispondente assunzione di responsabilita'. Il decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, lede il principio di uguaglianza e si configura come legge di sanatoria ponendosi in contrasto con l'art. 3 Cost; e' in contrasto con il secondo comma dell'art. 77 Cost. che limita il ricorso al decreto-legge ai soli "casi straordinari di necessita' e d'urgenza"; non rispetta il vigente riparto di competenze tra Stato e regioni e contrasta apertamente con i principi di "federalismo fiscale" violando cosi' gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost; viola inoltre il sesto comma dell'art. 119 Cost. poiche' consente alle regioni di indebitarsi per il finanziamento, non gia' di investimenti, ma di debiti pregressi relativi a spese correnti; crea situazioni di disparita' contributiva e modifica l'entita' di tributi periodici per un periodo di imposta precedente all'entrata in vigore delle disposizioni, ponendosi cosi' in contrasto con l'art. 53 Cost. (principio di capacita' contributiva) e con l'art. 23 Cost. (riserva di legge in materia di "prestazioni personali e patrimoniali"); lede altresi' i principi di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e viola altresi' l'art. 120 Cost. poiche', disponendo a tutti gli effetti un vero e proprio intervento sostituivo del Governo nei poteri delle regioni, ancorche' non esplicitato, non definisce con legge le procedure di garanzia atte ad assicurare che tale potere sostitutivo sia esercitato nel rispetto del principio di sussidiarieta' e del principio di leale collaborazione; il decreto-legge n. 23 del 2007, convertito dalla legge n. 64 del 2007, non affronta e non risolve il problema della copertura dei piani di rientro, ponendosi cosi' in contrasto con l'art. 81, quarto comma Cost; viola altresi' gli artt. 117, 118 e 119, sesto comma poiche', consentendo l'indebitamento delle regioni per il finanziamento di debiti pregressi, non contiene adeguate previsioni sugli strumenti di monitoraggio, di controllo, sulle sanzioni relative all'eventuale uso improprio delle risorse, sull'aumento del prelievo fiscale, ne' offre alcuna garanzia sulla restituzione delle somme "prestate" dallo Stato alle regioni deficitarie. 2) Illegittimita' dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, per violazione dell'art. 3 Cost. sotto il profilo dell'uguaglianza tra le regioni. Il provvedimento impugnato viola il basilare principio di uguaglianza, consacrato dall'art. 3 Cost. Esso infatti, agendo con metodo selettivo, opera una vera e propria discriminazione fra soggetti istituzionalmente fra loro equiordinati, quali sono le regioni, selezionandone alcune nei confronti delle quali lo Stato concorre al ripiano del disavanzo nel settore del Servizio sanitario nazionale, ed escludendo le altre che non avranno accesso ai benefici predisposti dal decreto-legge. La selezione viene infatti operata sulla base di parametri la sussistenza dei quali rappresenta la dimostrazione evidente di una prolungata incapacita' amministrativa e gestionale di talune regioni e, di fatto, porta all'esclusione di altre regioni le cui capacita' gestionali e amministrative hanno invece garantito situazioni di maggiore equilibrio e di maggiore efficienza. Queste capacita' e queste pratiche virtuose, conseguite anche attraverso percorsi di responsabilizzazione della collettivita' regionale, come il ricorso alla leva fiscale, valgono ora a escludere le regioni che le hanno poste in essere dalla possibilita' di ricevere finanziamenti statali, in forza di un provvedimento legislativo, qual e' quello qui impugnato, che costituisce in realta' un forte disincentivo al reperimento di risorse nell'ambito della finanza regionale, finalizzate al mantenimento di un servizio sanitario efficiente ed economicamente sostenibile. Cosi' facendo, il decreto-legge tradisce in pieno quel "carattere incentivante" piu' volte individuato da codesta ecc.ma Corte in relazione al finanziamento statale ai fini del conseguimento degli obiettivi di programmazione sanitaria e del connesso miglioramento del livello di assistenza (sentenze nn. 36 del 2004 e 98 del 2007), finendo in realta' per incoraggiare soltanto politiche di minor rigore, alla luce di una sperata e tutt'altro che improbabile copertura statale delle situazioni di disavanzo. Tutto cio' in un ambito nel quale la collettivita' appare direttamente interessata da un lato all'implementazione di pratiche amministrative efficienti ed appropriate che si traducano in un livello di prestazioni soddisfacenti e dall'altro alla inderogabile responsabilizzazione per la gestione del settore sanitario e delle risorse ad esso collegate che, come evidenziato anche da gravi vicende giudiziarie recenti, non puo' piu' essere pretermessa, come invece palesemente fa il decreto-legge qui impugnato, attraverso i suoi esiti di esclusivo "ripiano". L'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito dalla legge n. 64 del 2007, appare inoltre lesivo del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. anche perche', attribuendo risorse economiche solo ad alcune regioni, pur oberate da gravi e tuttavia evitabili (doverosamente evitabili!) situazioni di debito, non consente alle regioni che quei disavanzi hanno saputo evitare (come la ricorrente) di utilizzare le risorse statali aggiuntive, per il miglioramento del proprio servizio sanitario, su basi di effettiva e reale parita' istituzionale. A queste regioni viene cosi' negata la possibilita' non solo di confermare una situazione di pareggio economico-finanziario del sistema sanitario regionale ma soprattutto di diminuire il gravame delle compartecipazioni richieste ai cittadini per garantire livelli di efficienza economica. Il decreto-legge impugnato premia invece quelle regioni che al fine di porre rimedio alle "inappropriatezze" e alle "inefficienze del sistema che minano il controllo della spesa e l'efficacia dei servizi per i cittadini" (secondo quanto richiesto dal Protocollo di intesa stipulato il 28 settembre 2006), hanno fatto affidamento sull'apporto determinante di stanziamenti provenienti dallo Stato. 3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, per violazione del principio di ragionevolezza sotto il profilo della illegittima natura retroattiva e di sanatoria del provvedimento. L'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, inoltre, allontanandosi esplicitamente dai caratteri di generalita' e astrattezza che tendenzialmente dovrebbero caratterizzare ogni provvedimento normativo, introduce norme specifiche, puntuali e di carattere provvedimentale, che valgono a selezionare in modo mirato i destinatari delle stesse. Le previsioni appaiono per di piu' munite di un'esplicita efficacia retroattiva, essendo dirette a ripianare i "disavanzi pregressi nel settore sanitario". Nella sostanza, introducono una vera e propria sanatoria a favore di comportamenti di malagestione di cui si sono rese protagoniste alcune amministrazioni regionali. La giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha da tempo chiarito come, in via di principio, le leggi di sanatoria, pur non essendo costituzionalmente precluse, devono essere considerate come ipotesi eccezionali, la cui giustificazione impone uno scrutinio di costituzionalita' estremamente rigoroso. L'intervento legislativo in sanatoria, infatti, puo' essere ragionevolmente giustificato soltanto se le specifiche peculiarita' del caso siano tali da escludere l'arbitrarieta' e l'irragionevolezza della sostituzione della disciplina generale - originariamente applicabile - con quella eccezionale successivamente emanata. L'ampio vulnus inferto alla parita' di trattamento da questo decreto legge, vulnus del quale si e' gia' data ampia evidenza, vale senza dubbio ad escludere la costituzionalita' di una legge con i caratteri della sanatoria, qual e' il decreto qui impugnato. Il rischio evidente di ogni legge di sanatoria, che nel caso del decreto-legge n. 23 del 2007 convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007 qui impugnato diventa pericolo attuale, e' quello di vanificare del tutto i principi regolatori di una materia, consentendo quei comportamenti che invece il sistema normativo generale derogato non consente e vulnerando gravemente altresi' la certezza del diritto. 4) Illegittimita' costituzionale del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, per violazione del secondo comma dell'art. 77 Cost, sotto il profilo della carenza di straordinaria necessita' e urgenza. La Costituzione, nello stabilire che la funzione legislativa e' esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70 Cost.), adotta una scelta coerente con il principio della separazione dei poteri e con la forma di Governo parlamentare, che richiede che la funzione legislativa spetti essenzialmente all'organo eletto direttamente dal popolo. Come codesta ecc.ma Corte ha recentissimamente ricordato, la previsione di cui al primo comma dell'art. 77 Cost., dove si stabilisce che "il Governo non puo' senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria", potrebbe apparire "superflua se non le si attribuisse il fine di sottolineare che le disposizioni dei commi successivi (...) hanno carattere derogatorio rispetto all'essenziale attribuzione del Parlamento della funzione di porre le norme primarie nell'ambito delle competenze dello Stato centrale" (sentenza n. 171 del 2007). L'ipotesi di provvedimenti adottati dall'organo esecutivo senza preventiva delega legislativa e' quindi prevista e autorizzata dalla Costituzione in quanto motivata da situazioni straordinarie di necessita' ed urgenza. In questi casi, il Governo, sotto la propria responsabilita', adotta provvedimenti provvisori con forza di legge che, se non sono convertiti in legge dal Parlamento entro sessanta giorni, perdono efficacia. Questo sistema costituzionale evidenzia in modo chiaro che l'esercizio della "decretazione d'urgenza" da parte del Governo, costituisce vera e propria deroga rispetto all'attribuzione al Parlamento della funzione legislativa e trova la sua ragion d'essere nella sussistenza di situazioni straordinarie di necessita' ed urgenza, le sole che valgono a giustificare una vera e propria eccezione alla ripartizione dei poteri e all'ordinario esercizio delle funzioni costituzionali connesse. Peraltro il sistema delineato dall'art. 77 della Costituzione ha storicamente subito un profondo vulnus ad opera di una prassi politica e istituzionale che ha trasformato i decreti-legge in strumenti di legislazione ordinaria. A cio' si e' aggiunta la cattiva pratica della reiterazione di decreti-legge non convertiti, che ha rischiato di alterare profondamente l'assetto delle fonti normative, assetto che, come codesta ecc.ma Corte ha ricordato, "e' anche funzionale alla tutela dei diritti e caratterizza la configurazione del sistema costituzionale nel suo complesso" (sentenza n. 171 del 2007). Proprio a tutela di questo sistema, codesta ecc.ma Corte ha gia' da tempo affermato che, pur nel rispetto del ruolo del Governo e del Parlamento e delle valutazioni politiche condotte da tali organi ai fini della decretazione d'urgenza, l'esistenza dei requisiti di necessita' ed urgenza puo' essere oggetto di scrutinio di costituzionalita' (sent. n. 29 del 1995); si tratta di verificare il rispetto dei limiti posti alla decretazione d'urgenza, a tutela della forma di Governo parlamentare e della legittimazione democratica della produzione di norme giuridiche e delle stesse fonti primarie del diritto. Sotto altro profilo, la Corte costituzionale ha di recente motivato che tale controllo non e' affatto precluso dall'approvazione della legge di conversione ad opera del Parlamento, che, pertanto, e' priva di efficacia sanante rispetto ad un provvedimento carente dei presupposti di necessita' ed urgenza. Come codesta ecc.ma Corte ha chiarito "affermare che la legge di conversione sana in ogni caso i vizi del decreto significherebbe attribuire in concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie" (sentenza n. 171 del 2007). Il decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla legge di conversione n. 64 del 2007, ad un esame approfondito, non riesce a porre in evidenza i requisiti di necessita' ed urgenza, oltre che di straordinarieta' della situazione normata, che devono giustificare ogni provvedimento provvisorio con forza di legge adottato dal Governo. L'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, come convertito dalla legge n. 64 del 2007, si inserisce nel quadro normativo di riferimento in precedenza richiamato operando una vera e propria sostituzione della disciplina generale - originariamente applicabile - con quella eccezionale successivamente emanata. Sotto altro profilo, le situazioni di colpevole deficit che il provvedimento intende ripianare, non possono essere realisticamente riguardate come un "caso straordinario" (secondo quanto prescritto dall'art. 77 Cost. per giustificare il ricorso alla decretazione d'urgenza), perche' rappresentano l'esito non improvviso ne' imprevedibile, quindi scontato e, dunque, di certo non straordinario, delle gravi carenze gestionali e amministrative evidenziate da talune amministrazioni regionali. Il Governo ha creduto di adempiere all'obbligo di esporre innanzi al Parlamento le ragioni che giustificano l'adozione del decreto-legge mediante una breve formula, inserita nel preambolo del decreto-legge impugnato, che enuncia "la straordinaria necessita' ed urgenza di consentire il risanamento strutturale e selettivo dei servizi sanitari regionali in disavanzo e di conseguire gli obiettivi della manovra finanziaria previsti dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007)". Nella relazione governativa al disegno di legge di conversione si rinviene inoltre un generico riferimento a "necessarie ed improrogabili esigenze di intervenire nel settore sanitario al fine di assicurare gli effetti della manovra finanziaria varata dal Governo con la legge 27 dicembre 2006, n. 296, (legge finanziaria per il 2007) che, per le regioni interessate da ampi disavanzi pregressi, non potrebbero essere realizzati in assenza di un quadro finanziario definito", (Atti parlamentari, Senato, leg. XV, doc. n. 1411). La stessa relazione ha inoltre affermato che l'urgenza delle misure recate dal decreto-legge n. 23 del 2007 risiederebbe nella circostanza che, in assenza del provvedimento, "non possono essere tempestivamente sottoscritti i predetti piani come programmato, tenuto conto che i medesimi debbono contenere le politiche di intervento nel settore sanitario, da attivarsi gia' dall'inizio dell'anno in corso" (Atti parlamentari, Senato, leg. XV, doc. n. 1411, Relazione al disegno di legge di conversione). In realta' un'affermazione siffatta non e' assolutamente idonea a dimostrare l'urgenza della normativa impugnata, essendo, in almeno un caso, priva di veridicita', o almeno inesatta: alla data di emanazione del decreto-legge (20 marzo 2007), i piani di rientro delle regioni ammesse al finanziamento risultavano ampiamente definiti (anche sul punto dell'entita' della partecipazione dello Stato al ripiano dei disavanzi regionali); nel caso della Regione Lazio il piano di rientro e' stato sottoscritto dai Ministri della salute, dell'economia e delle finanze e dal presidente della regione il 28 febbraio 2007 e approvato dalla giunta regionale con delibera n. 149 del 6 marzo 2007 (pubblicato nel supplemento ordinario n. 7 del Bollettino ufficiale della Regione Lazio n. 12 del 30 aprile 2007). Proprio in tale "Piano di rientro" si legge che l'accordo e' sottoscritto nel "presupposto" che si verifichino tutte le condizioni indicate, "il cui mancato effettivo verificarsi ne comporta la nullita" (art. 6). Tra i presupposti (non ancora verificati, dunque futuri) e' previsto il concorso straordinario dello Stato in favore delle regioni con elevati disavanzi, ma, non e' dato di capire su quali basi giuridiche venga presupposto un finanziamento dello Stato non ancora autorizzato e regolato da alcun testo normativo. D'altra parte, come visto, tra i requisiti che il decreto-legge n. 23 del 2007 convertito dalla legge n. 64 del 2007 richiede per l'accesso al finanziamento dello Stato per il ripiano dei disavanzi, vi e' proprio la stipula dei piani di rientro. Si e' dunque di fronte ad una irrisolvibile tecnica di rimando per cui i piani di rientro richiedono un provvedimento futuro del Governo con cui si dispone la partecipazione dello Stato al ripiano dei deficit regionali (ed anzi lo "presuppongono") e il provvedimento del Governo (e cioe' il decreto-legge convertito qui impugnato) subordina l'erogazione delle somme stanziate alla stipula dei Piani di rientro. In realta' il decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, non puo' essere considerato come un provvedimento indispensabile per consentire la sottoscrizione dei piani di rientro (dal momento che alcuni di essi erano gia' sottoscritti alla data di emanazione del decreto-legge): piu' semplicemente, il decreto dispone e quantifica il concorso dello Stato nel ripiano dei deficit regionali e cosi' facendo altera il quadro competenziale definito dalla Costituzione, violando altresi' le competenze regionali. Le affermazioni che dovrebbero motivare e giustificare l'assunzione di responsabilita' governativa rispetto all'adozione del decreto-legge appaiono quindi generiche, inesatte, inadeguate e si risolvono, in definitiva, nella semplice asserzione di non meglio precisate "ragioni di necessita' ed urgenza" e valgono, sotto altro profilo, ad evidenziare in modo trasparente la volonta' di privare il Parlamento del ruolo legislativo che la Costituzione gli assegna e a spogliare le regioni delle proprie competenze. Proprio di recente codesta ecc.ma Corte ha censurato, in relazione alla decretazione d'urgenza, un siffatto contegno da parte dell'organo esecutivo, chiarendo che "l'utilizzazione del decreto-legge - e l'assunzione di responsabilita' che ne consegue per il Governo secondo l'art. 77 Cost. - non puo' essere sostenuta dall'apodittica enunciazione dell'esistenza delle ragioni di necessita' e di urgenza ne' puo' esaurirsi nella constatazione della ragionevolezza della disciplina che e' stata introdotta" (sentenza n. 171 del 2007). La scelta dello strumento del decreto-legge appare altresi' scarsamente rispettosa del generale principio di leale collaborazione, la cui osservanza avrebbe potuto concorrere a legittimare l'intervento statale in materia di competenza regionale e, sotto altro aspetto, sarebbe valso a tutelare le regioni da forme di intervento invasive del proprio ambito di competenze. Con la decretazione d'urgenza invece, il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni e' stato relegato ex post nella forma di un semplice parere relativo al disegno di legge di conversione del decreto-legge. Peraltro, nel caso di specie, l'atto formale con cui la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano avrebbe dovuto esprimere la propria posizione in merito al disegno di legge di conversione e' mancato, in seguito alle posizioni critiche e non unitarie assunte dalle regioni e province autonome in ordine al provvedimento. Gli organi di vertice della Conferenza hanno infatti denunciato "l'assenza di una necessaria concertazione preventiva con la Conferenza delle regioni all'elaborazione di un provvedimento relativo alla questione dei debiti pregressi, questione rimasta sospesa con il Governo dopo la sottoscrizione del "Patto per la Salute"" (Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, documento del 18 aprile 2007, all. A). In precedenti e analoghe occasioni relative alla ripartizione tra le regioni (tutte le regioni) di disponibilita' finanziarie a titolo di concorso dello Stato nel ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale, previste dalla legge finanziaria 2005 (art. 1, comma 164 della legge n. 311 del 2004), il decreto ministeriale di attuazione che ripartiva le somme disponibili tra le diverse regioni, e' stato oggetto di intesa (Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, documento del 23 marzo 2005, n. rep. 2277), nella quale sono stati concordati all'unanimita', da parte del Governo e di tutti i presidenti delle regioni e delle province autonome i contenuti del provvedimento. Il decreto-legge n. 23 del 2007 convertito in legge con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, che invece assegna risorse in modo selettivo solo a talune regioni, escludendone altre, non e' assistito da alcuna forma di intesa e di coordinamento con le regioni (adottata in sede di Conferenza permanente Stato-regioni). In applicazione del principio di leale cooperazione, soprattutto li dove appaiono evidenti i segni di un'attivita' quasi sostitutiva dello Stato in ambiti di competenza propri delle regioni, come codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di stabilire: "occorre comunque uno sforzo delle parti per dar vita ad una trattativa. Lo strumento dell'intesa tra Stato e regioni costituisce una delle possibili forme di attuazione del principio di leale cooperazione tra lo Stato e la Regione e si sostanzia in una paritaria codeterminazione del contenuto dell'atto; intesa, da realizzare e ricercare, laddove occorra, attraverso reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo, senza alcuna possibilita' di un declassamento dell'attivita' di codeterminazione connessa all'intesa in una mera attivita' consultiva non vincolante" (sentenza n. 27 del 2004). 5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, per violazione del terzo e quarto comma dell'art. 117 e dell'art. 119 Cost., anche in relazione all'art. 32. La "tutela della salute" fa parte di un fondamentale e incomprimibile nucleo di diritti protetti e di fini perseguiti dallo Stato sociale. Il quadro competenziale delineato dall'art. 117, terzo comma pone la materia tra quelle affidate alla potesta' normativa regionale concorrente: e' dunque la Costituzione ad individuare nelle regioni il soggetto istituzionale competente ad emanare le norme di dettaglio relative al settore; la determinazione dei principi fondamentali e' invece riservata alla legislazione dello Stato; allo Stato e' inoltre riservata in via esclusiva la determinazione dei "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale". In realta', la riforma del Titolo V della Costituzione non ha fatto che sottolineare la vocazione del diritto alla salute ad un radicamento territoriale, a garanzia di una sua effettiva tutela. Proprio per questo l'intervento dello Stato in materia non puo' spingersi fino ad abbracciare l'intero contenuto del diritto, pena l'illegittima soppressione delle competenze regionali funzionali a modulare l'offerta sanitaria in relazione alle concrete esigenze locali. Peraltro, gia' da tempo codesta ecc.ma Corte ha affermato come la materia di competenza regionale concorrente della "tutela della salute" deve essere intesa come "assai piu' ampia rispetto alla precedente materia assistenza sanitaria e ospedaliera" (sentenze n. 181 del 2006 e n. 270 del 2005), e a quella dell'organizzazione sanitaria. Si tratta, secondo altra decisione, di materia in cui le regioni possono adottare "una propria disciplina anche sostitutiva di quella statale" (sentenza n. 510 del 2002). L'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, altera gravemente il quadro di competenze delineato dalla Costituzione: si tratta infatti dello stanziamento di un ingente finanziamento vincolato nella destinazione, ben in grado di condizionare e influire sull'esercizio di funzioni che la Costituzione assegna all'ambito di competenza regionale. Come codesta ecc.ma Corte ha motivato, allorche' ci si trovi al cospetto di norme che presentano una "stretta inerenza con l'organizzazione del seivizio sanitario regionale e, in definitiva, con le condizioni per la fruizione delle prestazioni rese all'utenza", si puo' certamente ritenere che le stesse vadano ascritte, con prevalenza, alla materia "tutela della salute" (sent. n. 181 del 2006). Una norma che dispone un finanziamento di 3000 milioni di euro "per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario" a vantaggio di selezionate regioni e', con ogni evidenza, norma di sicuro impatto sull'organizzazione del servizio sanitario regionale, essendo certamente in grado di condizionare le caratteristiche generali dell'offerta sanitaria regionale. E, sotto altro profilo, da una previsione di tale natura non puo' ancorarsi la esclusiva competenza statale in materia di "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale", cosi' come prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Come codesta ecc.ma Corte ha confermato nella sent. n. 181 del 2006, "tale titolo di legittimazione legislativa non puo' essere invocato "se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione", risultando, viceversa, "del tutto improprio e inconferente il riferimento" ad esso allorche' si intenda "individuare il fondamento costituzionale della disciplina, da parte dello Stato, di interi settori materiali" (sentenza n. 285 del 2005, ma si vedano anche, ex multis, sentenze n. 423 e n. 16 del 2004; n. 282 del 2002)". Il provvedimento impugnato inoltre si pone in palese contrasto con un principio che codesta ecc. Corte ha avuto modo di affermare e chiarire ripetutamente (ad esempio nelle sentenze n. 16 del 2004 e n. 370 del 2003) motivando che il ricorso a finanziamenti vincolati "puo' divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle regioni e degli enti locali, nonche' di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali di propria competenza" (sent. 51 del 2005). Il processo complessivo di riordino in senso federale dello Stato impone che le singole riforme non possano essere considerate come a se' stanti rispetto al resto, essendo richiesto, al contrario, una continua e stretta interrelazione tra le stesse, in modo tale da fornire al processo federalista coerenza e compiutezza. Va da se', quindi, come il testo costituzionale novellato a seguito della Riforma del Titolo V del 2001 individui una stretta correlazione tra gli articoli 119 e 117 laddove esige che le funzioni pubbliche relative a materie di competenza regionale piena o concorrente debbano essere finanziate con le risorse proprie alle quali si riferisce l'art. 119, quarto comma, della Costituzione (tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali e quote del fondo perequativo senza vincolo di destinazione). A sei anni di distanza dall'entrata in vigore del nuovo testo del Titolo V, il "federalismo fiscale" previsto dall'art. 119 - che, insieme agli articoli 117 e 118 opera come vero e proprio "distributore" della sovranita' popolare tra le istituzioni della Repubblica - stenta ancora a trovare la sua doverosa attuazione. Il decreto oggetto della presente impugnazione riflette infatti la storia complessa dell'evoluzione della finanza locale in Italia, spesso caratterizzata da interventi ex post a ripiano dei debiti degli enti locali, che si sono poi cristallizzati con il tempo nel sistema dei trasferimenti e quindi dei tributi devoluti. In quanto tale, si tratta di un sistema iniquo e irrazionale, non riconducibile a principi oggettivi di attribuzione delle risorse e pertanto radicalmente incostituzionale. Ripetutamente codesta ecc.ma Corte ha motivato come, pur in una situazione di parziale attuazione dell'art. 119 Cost., deve ritenersi preclusa la possibilita' di interventi finanziari statali non coerenti con il vigente riparto di competenze tra Stato e regioni e debba necessariamente ridursi l'ambito di tutti i finanziamenti statali riconducibili ad una finanza c.d. derivata. Cio' che la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato e' che, nell'attesa della completa attuazione del dettato dell'art. 119 Cost., e' necessario pervenire ad un ripensamento dell'intero sistema di relazioni finanziarie tra livelli di governo che, da un verso riconosca l'incompatibilita' rispetto al quadro costituzionale di riferimento di trasferimenti statali generalizzati in materie che non siano di competenza esclusiva statale; e, sotto altro profilo, impedisca che l'ingerenza statale si manifesti anche attraverso trasferimenti particolari e una tantum (sentenze nn. 370 del 2003, nn. 16, 320, 423 del 2004 e n. 118 del 2006). Ovviamente, il rispetto delle imprescindibili esigenze legate allo sviluppo economico, alla coesione e alla solidarieta' sociale, oltre che alla rimozione degli squilibri economici e sociali puo' autorizzare la destinazione di risorse aggiuntive. Tuttavia e' necessario sottolineare come la scelta di attribuire le risorse stanziate dal decreto (quantificate dal comma 3 dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, in 3000 milioni di euro per l'anno 2007) "sulla base dei debiti accumulati fino al 31 dicembre 2005, delle capacita' fiscale regionale e della partecipazione delle regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario" non appare sufficiente ne' idonea a garantire nessuna effettiva perequazione finalizzata alla rimozione di squilibri "economici e sociali" (come richiesto dal quinto comma dell'art. 119 Cost.). In realta' misure siffatte ancorano in massima parte l'entita' del finanziamento all'ammontare del debito e pertanto non hanno alcuna possibilita' di rimediare alle situazioni strutturali che determinano inefficienze e diseconomie e quindi non sono utili a determinare effetti duraturi di riequilibrio economico e sociale. Al contrario, alimentano una condizione di irresponsabilita' diffusa in ordine alle cause che hanno determinato gli enormi deficit. Viene inoltre minata la logica perequativa che, in un'ottica di federalismo fiscale, guida l'individuazione delle quote da erogare alle regioni relative al Fondo perequativo nazionale (introdotto dall'art. 7 del d.lgs. n. 56 del 2000), effettuata in funzione di parametri riferiti alla popolazione residente, alla capacita' fiscale, ai fabbisogni sanitari e alla dimensione geografica, e, piu' in generale, ad indicatori oggettivi che non si traducono in meri indicatori del debito. L'art. 7 del d.lgs. n. 56 del 2000 (recante la disciplina relativa al Fondo perequativo nazionale) e' stato prima "sospeso" ad opera dell'art. 4 del d.l. n. 314 del 2004 (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge n. 26 del 2005), ma ha poi ripreso vigenza grazie al d.P.C.m. del 3 ottobre 2006 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 5 dicembre 2006, n. 283) che reca appunto la quota da assegnare a ciascuna regione a titolo di fondo perequativo nazionale, nell'ambito della determinazione delle quote di compartecipazione regionale all'IVA. Ma e' chiaro che un provvedimento come quello qui impugnato mette in gioco la validita' di un modello di finanziamento (qual e' quello posto dal d.lgs. n. 56 del 2000), nel quale la spesa sanitaria deve essere rigorosamente controllata e progressivamente coperta con risorse regionali. Una perequazione intesa come mera distribuzione di somme occasionalmente reperite non puo' essere seriamente considerata quale strumento di per se' idoneo a garantire livelli di prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale, ne' puo' indurre a "dismettere" (con normative permanentemente derogatorie, com'e' storicamente accaduto nel settore del finanziamento del servizio sanitario) i ben piu' rigorosi modelli tracciati dalla norme in materia di federalismo fiscale. 6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, per violazione del sesto comma dell'art. 119 Cost. Il sesto comma dell'art. 119 Cost., cosi' come modificato dalla riforma costituzionale del 2001, costituzionalizza un principio di ordinata contabilita' e rappresenta uno dei principi basilari del sistema di finanza territoriale introdotto con la riforma dell'art. 119. Cost.: la norma, com'e' noto, limita la possibilita' di comuni, province, citta' metropolitane e regioni di ricorrere all'indebitamento per il solo finanziamento delle spese d'investimento. In altri termini, il sesto comma dell'art. 119 Cost. autorizza il finanziamento delle spese di investimento, assumendole come spese "meritorie", e pone invece un'esplicita preclusione alla possibilita' di indebitarsi per coprire debiti pregressi, nel presupposto che tali finanziamenti abbiano scarsa o inesistente attitudine a produrre ricchezza. Deve sottolinearsi come alla legge cost. n. 3 del 2001 hanno fatto seguito, dopo alcune norme di carattere transitorio deputate a limitare l'operativita' del precetto sul piano temporale (con il quarto comma dell'art. 41 della legge n. 448 del 2001 si escluse infatti l'applicazione della norma per i debiti contratti prima dell'entrata in vigore della riforma costituzionale), numerosi interventi legislativi che hanno contribuito a dare concreta attuazione alla regola generale (altresi' nota come "golden rule"). Gia' nella legge finanziaria per il 2003 si provvedeva ad introdurre una disposizione sanzionatoria delle condotte poste in essere in violazione dell'art. 119, sesto comma Cost., affidando la cognizione dei relativi giudizi alla giurisdizione della Corte dei conti (art. 30, comma 15, legge 27 dicembre 2002, n. 289). Le manovre finanziarie successive hanno esteso l'ambito soggettivo di applicazione del divieto di indebitamento per finanziare spese diverse dagli investimenti e ne hanno delimitato l'ambito oggettivo (attraverso la determinazione delle nozioni di investimento e di indebitamento: legge n. 350 del 2003, in particolare l'art. 1, commi 16 e 21). La legge finanziaria 2006 ha altresi' ampliato gli strumenti di verifica della gestione delle forme d'indebitamento, riconoscendo un ruolo preminente alle sezioni di controllo della Corte dei conti nella verifica e nella concreta attuazione delle pratiche amministrative in materia (legge n. 266 del 2005, art. 1, commi 166 e 167). Ne deriva un quadro normativo complessivo in cui non e' improprio affermare che il divieto per i comuni, le province, le citta' metropolitane e le regioni di ricorrere all'indebitamento per spese diverse da quelle relative ad investimenti assume il ruolo di pilastro portante dell'unita' economica della Repubblica (assieme ad altri fondamentali criteri quali il coordinamento della finanza pubblica e il rispetto dei limiti posti dal patto di stabilita' interno). Il quadro generale sin qui tracciato ha trovato autorevole conferma nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte che ha dichiarato l'applicabilita' del principio previsto dall'art. 119, sesto comma Cost. anche nei confronti delle regioni ad autonomia speciale, "senza che sia necessario all'uopo ricorrere a meccanismi concertati di attuazione statutaria"; la Corte ha altresi' riconosciuto la legittimita' dell'estensione della normativa attuativa operata da legge statale nei confronti di tutte le regioni (sent. n. 425 del 2004). Disattendendo un quadro normativo chiaro e univoco l'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, autorizza l'indebitamento di talune regioni per la copertura dei disavanzi sanitari pregressi per il periodo 2001-2005, autorizzando, a tal fine una spesa pari a 3000 milioni di euro a titolo di "regolazione debitoria" (comma 3 dell'art. 1 del d.l. n. 23). Il medesimo comma 3 dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, prevede che la ripartizione della predetta disponibilita' finanziaria avvenga per mezzo di un decreto ministeriale adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali. La ripartizione, operata dal citato provvedimento, avviene sulla base dei debiti accumulati fino al 31 dicembre 2005, sulla base della capacita' fiscale regionale e della partecipazione delle regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario. Non vi e' traccia di norme che finalizzino l'indebitamento al quale vengono ammesse talune regioni alla realizzazione di investimenti, ma solo un'asciutta (e incostituzionale) autorizzazione di spesa, assistita dalla indicazione dei capitoli di bilancio sui quali effettuare la corrispondente riduzione, ai fini della copertura delle somme stanziate. 7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, per violazione dell'art. 3, sotto il profilo della ragionevolezza, per la genericita' e l'inadeguatezza dei criteri recati dal decreto ai fini della quantificazione del finanziamento attribuito alle regioni. Deve poi essere sottolineato come il decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, risulti caratterizzato da una formulazione testuale che, dietro reiterati rinvii ad altre norme - che compromettono fortemente la leggibilita' e la comprensibilita' del testo -, nasconde in realta' previsioni generiche che, di fatto, non consentono di individuare con chiarezza il senso e la portata delle disposizioni stesse. A riprova di cio', si sottolinea come i criteri per la ripartizione tra le regioni interessate delle somme stanziate previsti dal terzo comma dell'art. 1 (e cioe' "i debiti accumulati fino al 31 dicembre 2005, la capacita' fiscale regionale e la partecipazione delle regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario") sono in realta' fortemente generici e l'applicazione contabile degli stessi (peraltro problematica, senza nessuna altra precisazione ed esplicazione) e' assolutamente inidonea alla quantificazione del finanziamento a cui le regioni avranno accesso. D'altra parte, il decreto-legge demanda tale operazione ad un "decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali" (art. 1, comma 3). Nelle more dell'approvazione della legge di conversione e' stato emanato il decreto ministeriale 4 maggio 2007 (Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il ministro della salute). Il provvedimento stabilisce il "Riparto delle somme concernenti il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario", in attuazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 23 del 2007. A tal fine individua le regioni destinatarie della partecipazione dello Stato al ripiano del disavanzo per il periodo 2001-2005 e ripartisce fra queste la somma di 3000 milioni di euro prevista nel decreto-legge. Il provvedimento ministeriale tuttavia non fa che confermare cio' che appariva gia' evidente anche prima della sua adozione: tale ripartizione era stata sostanzialmente gia' definita tra Governo e alcuni soggetti regionali, in modo non privo di opacita', dal momento che nei Piani di rientro gia' approvati da talune regioni (approvazione in realta' richiesta per l'accesso al Fondo transitorio previsto dalla legge finanziaria 2007 al comma 796, lett. b) dell'art. 1) il concorso statale al ripiano dei disavanzi per il periodo 2001-2005 appare gia' quantificato con buona (anzi "preveggente") precisione e la somma dei relativi importi e' prossima a quella di 3000 milioni di euro stanziata dal decreto (senza che pero' la ripartizione delle somme tra le regioni beneficiarie appaia effettivamente commisurabile ai criteri indicati dal decreto-legge, vista la estrema vaghezza degli stessi). 8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, per violazione degli artt. 97 e 119 Cost. anche in relazione agli artt. 23, 53 e 32. Il decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, alterando irragionevolmente il riparto costituzionale di competenze fra Stato e regioni e violando altresi' i principi di autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle regioni, pone un grave ostacolo al conseguimento di prassi amministrative ordinate, in grado di fronteggiare con efficacia la complessita' delle richieste che i cittadini, in materia di tutela della salute, devono vedere soddisfatte. Le norme, nonostante le asserite esigenze di urgenza e il carattere radicalmente derogatorio rispetto alla normativa vigente, non appaiono affatto idonee a incidere sulle effettive disfunzioni del sistema ne' sulle patologie che hanno posto fuori controllo la spesa pubblica nel settore sanitario. Esse pertanto costituiscono un'evidente lesione del generale principio costituzionale relativo al "buon andamento" dell'amministrazione pubblica, consacrato nell'art. 97 Cost. Con l'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, viene inoltre frustrato l'affidamento della maggior parte delle regioni ad operare sulla base delle condizioni normative presenti nell'ordinamento in un dato periodo storico e viene altresi' violato il principio per il quale l'onere relativo alle spese pubbliche e' finanziato in ragione della capacita' contributiva di ciascuno, secondo quanto previsto dall'art. 53 Cost. Di fatto, nelle regioni che avranno accesso al fondo previsto dal decreto-legge n. 23, il finanziamento del sistema sanitario regionale avverra' in larga misura sulla base della elargizione prevista dal provvedimento impugnato. Il pur richiesto requisito del preventivo innalzamento della leva fiscale appare in realta' sprovvisto di effettivita', dal momento che il decreto stesso, irragionevolmente, non determina la percentuale minima delle risorse supplementari che, ai sensi del comma 1, lett. b) dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007 convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, devono essere destinate al settore sanita', in aggiunta all'innalzamento massimo consentito delle addizionali lrpef e delle maggiorazioni delle aliquote Irap. Si tratta di una scelta che di fatto consente l'accesso allo stanziamento statale anche a regioni che innalzano in maniera minima (e ininfluente) il prelievo fiscale e che, di contro, espone al rischio di un iniquo aumento della pressione fiscale i cittadini di quelle regioni che dovranno continuare a mantenere i propri livelli di efficienza e di corretta amministrazione del servizio sanitario, senza godere delle somme stanziate dal provvedimento statale. Cosi' facendo inoltre l'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, si espone ad un'ulteriore profilo di incostituzionalita', poiche', non precisando l'entita' delle misure fiscali da attivare, non definisce l'entita' della compartecipazione fiscale che verra' richiesta ai cittadini, violando la riserva di legge che, secondo quanto previsto dall'art. 23 Cost., garantisce ogni tipo di prestazione patrimoniale o personale. Come insegna la giurisprudenza costante di codesta ecc.ma Corte, "il principio posto nell'art. 23 Cost. esige, invece, che nella legge siano indicati criteri idonei e sufficienti a delimitare la discrezionalita' dell'ente impositore in modo che sia preclusa la possibilita' di un esercizio arbitrario del potere attribuitogli" (sentenza n. 67 del 1973). Di recente, con la sentenza n. 190 del 2007, codesta ecc.ma Corte, richiamandosi alla propria costante giurisprudenza, ha inoltre affermato che l'art. 23 Cost. pur configurando una riserva di legge di carattere "relativo", "nel senso che essa deve ritenersi rispettata anche in assenza di un'espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a delimitare l'ambito di discrezionalita' dell'amministrazione (sentenza n. 67 del 1973 e n. 507 del 1988), richiede pur tuttavia che "la concreta entita' della prestazione imposta sia chiaramente desumibile dagli interventi legislativi che riguardano l'attivita' dell'amministrazione (sentenze n. 507 del 1988, n. 182 del 1994, n. 180 del 1996, n. 105 del 2003)" (sentenza n. 190 del 2007). Il primo comma, lett. b) dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con legge n. 64 del 2007, nel prevedere l'attivazione di misure fiscali ulteriori, opera invece soltanto un generico richiamo ai limiti dei poteri attribuiti alle regioni dalla normativa statale di riferimento e utilizza come unico parametro per stabilire l'entita' degli aumenti dell'imposizione fiscale, l'idoneita' degli stessi ad assicurare complessivamente "risorse superiori" rispetto a quelle derivanti dal precedente (e infruttuoso, ai fini del risanamento) incremento nella misura massima consentita. In realta' la norma impugnata non contiene nessun elemento utile a precisare l'entita' dell'imposizione che le regioni beneficiarie, in attuazione del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, dovranno praticare. Si tratta di una disposizione generica e indeterminata, che non e' in grado di soddisfare i requisiti indicati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale in relazione al principio di riserva di legge che assiste le prestazioni patrimoniali e che, pertanto, si pone in palese contrasto con l'art. 23 Cost. 9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, per violazione dell'art. 81, quarto comma Cost. sotto il profilo della mancata copertura dei maggiori oneri che il provvedimento determina. L'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, cosi' come convertito con modifiche dalla legge n. 64 del 2007, si pone inoltre in aperto contrasto con un ulteriore precetto costituzionale, quello stabilito nel quarto comma dell'art. 81 Cost. A fronte dell'erogazione effettuata, un criterio di ordinata contabilita' non puo' ritenersi soddisfatto dalla mera indicazione dei capitoli di bilancio sui quali operare la riduzione corrispondente allo stanziamento previsto. Se questo rappresenta un criterio minimo ed elementare per dare parvenza di legittimita' alla norma sotto il profilo della copertura finanziaria richiesta dalla Costituzione, l'onere fronteggiato nella realta' sara' invece dato dalla mancata restituzione delle somme erogate, (che non e' un'ipotesi pessimistica ma lo scontato esito di un provvedimento che nulla dispone e nulla esige sul punto). In questo senso l'esatta quantificazione dell'onere appare dunque di importanza cruciale perche' l'obbligo di copertura finanziaria non venga violato o eluso: non prevedere misure puntuali relative alla restituzione delle somme erogate si traduce nella mancata previsione di una adeguata copertura per i costi che il provvedimento comportera'. Ed infatti scorrendo il testo non si rintraccia la benche' minima previsione in ordine alle modalita' di restituzione delle ingenti somme erogate. Quando il comma 3 dell'art. 1 autorizza la spesa di 3000 milioni di euro per l'anno 2007 da ripartire tra le regioni interessate, "sulla base dei debiti accumulati fino al 31 dicembre 2005, della capacita' fiscale regionale ed ella partecipazione delle regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario", il legislatore si limita a stabilire che "nell'ambito dei ... piani di rientro sono disciplinate le modalita' di monitoraggio e di riscontro dell'estinzione dei debiti". Cio' vuol dire che i piani di rientro, per espressa previsione legislativa, dovranno semplicemente rendere conto dell'effettivo e progressivo ripiano dei debiti accumulati da parte delle regioni beneficiarie del contributo statale, senza nulla dire sulle modalita' e sui tempi (che al contrario dovrebbero essere definiti e certi) circa la restituzione allo Stato delle somme erogate. Codesta ecc.ma Corte ha chiaramente affermato che "l'esigenza imposta dalla costante interpretazione dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione, lungi dal costituire un inammissibile vincolo per i Governi ed i Parlamenti futuri, tende anzi proprio ad evitare che gli stessi siano costretti a far fronte, al di fuori di ogni margine di apprezzamento, ad oneri assunti in precedenza senza adeguata ponderazione dell'eventuale squilibrio futuro" (Corte cost., sent. n. 384 del 1991). La ratio sottesa alla previsione ex art. 81, quarto comma, Cost. non puo' essere solo quella volta ad assicurare che ad ogni spesa sostenuta corrisponda un'adeguata copertura, ma e' necessariamente piu' ampia e va rintracciata nel necessario bilanciamento tra flussi in uscita e flussi in entrata, volto a realizzare sul piano finanziario, un equilibrio di sistema nel lungo periodo. Anche perche' (prosegue codesta ecc.ma Corte) "l'obbligo di una ragionevole e credibile indicazione dei mezzi di copertura anche per gli anni successivi e' diretto ad indurre il legislatore ordinario a tener conto dell'esigenza di un equilibrio tendenziale fra entrate e spese la cui alterazione, in quanto riflettentesi sull'indebitamento, postula una scelta legata ad un giudizio di compatibilita' con tutti gli oneri gia' gravanti sugli esercizi futuri". 10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge di conversione n. 64 del 2007, per violazione degli artt. 97 e 117, 118 e 119 Cost. sotto il profilo della mancata previsione di adeguati strumenti di monitoraggio, di controllo e delle relative sanzioni sull'uso delle risorse, sull'aumento del prelievo fiscale, sulla regolare restituzione delle somme dalle regioni beneficiarie allo Stato, anche in relazione all'art. 32. La possibilita' di dare piena ed effettiva garanzia al "diritto alla salute", quel diritto che la nostra Costituzione assume a "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita", e che deve essere difeso e presidiato anche attraverso l'organizzazione di servizi efficienti e orientati secondo il criterio costituzionale del "buon andamento" dell'amministrazione, appare fortemente compromessa dalle gravi carenze, ridondanti nell'incostituzionalita', del provvedimento qui impugnato. L'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge di conversione n. 64 del 2007, appare infatti fortemente lesivo degli artt. 97 e 117, 118 e 119 Cost. in quanto, a fronte dell'oggettiva rilevanza dello stanziamento che dispone, le modalita' di monitoraggio e di riscontro dell'estinzione dei debiti, per espressa previsione del comma 3 dell'art. 1 del decreto, sono disciplinate semplicemente "nell'ambito dei piani di rientro"! Il comma 1-bis dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, introdotto dalla legge di conversione n. 64 del 2007, ha previsto che gli esiti della verifica annuale dei piani di rientro siano tempestivamente trasmessi dal Ministro dell'economia e delle finanze al Presidente della Corte dei conti per le valutazioni di competenza dell'Istituto, "anche ai fini dell'avvio di un eventuale giudizio di responsabilita' amministrativa e contabile"; inoltre, il comma 3 dell'art. 1 prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro della salute, trasmette al Parlamento una relazione sullo stato del monitoraggio e del riscontro dell'estinzione dei debiti. Tuttavia queste previsioni rappresentano le uniche forme di "controllo" che il Governo ha inteso attivare a fronte di uno stanziamento che ammonta a ben 3000 milioni di euro! Il provvedimento appare, in modo sorprendente, del tutto carente di qualunque previsione relativa alle pur necessarie sanzioni in caso di mancato conseguimento degli obiettivi. La quantificazione dell'aumento del prelievo fiscale, l'eventuale riduzione del finanziamento in caso di mancato rientro dalle situazioni deficitarie, nonche' le necessarie prescrizioni sulle modalita' di restituzione del finanziamento dalle regioni allo Stato sono stati omessi dal testo del decreto-legge, anche nella versione resa definitiva dalla legge di conversione n. 64 del 2007. Questa scelta del Governo contribuisce di fatto a dare al provvedimento la fisionomia di un'autentica elargizione che non solo appare costituzionalmente "diseducativa" sotto il profilo della doverosa attuazione dei principi del federalismo fiscale, ma che rinuncia a vincolare per legge le regioni benificiarie alla restituzione delle somme percepite. Questa scelta peraltro appare in aperta discontinuita' con le scelte di rigore fin qui operate in tema di partecipazione dello Stato al finanziamento del disavanzo regionale del Servizio sanitario: ad esempio, l'art. 40 della legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria 2002), ha previsto che, in caso di inosservanza delle misure organizzative previste dall'accordo dell'8 agosto 2001 (in particolare dal punto 19), il livello di finanziamento dello Stato si sarebbe ridotto in danno delle regioni inadempienti e l'art. 4 del decreto-legge n. 63 del 2002 (Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture), ha esteso tale previsione anche agli anni 2002, 2003 e 2004: siamo di fronte a previsioni che vincolano le regioni, con la forza del provvedimento che le contiene (cioe' leggi o atti con forza di legge) a realizzare gli impegni assunti, pena la riduzione del finanziamento dello Stato per la copertura dei deficit. Peraltro codesta ecc.ma Corte, nella perdurante assenza di una organica attuazione dell'art. 119 Cost., ha ritenuto costituzionalmente ammissibile che il legislatore statale subordinasse il proprio finanziamento ad "adempimenti" indicativi dell'impegno delle amministrazioni regionali per il risanamento delle situazioni di deficit, proprio tenendo conto "del complessivo quadro normativo e delle relazioni fra Stato e regioni ai fini del contenimento della spesa sanitaria e degli oneri a carico del Servizio sanitario nazionale" (sent. n. 36 del 2005 richiamata anche dalla sent. n. 98 del 2007). Inoltre, codesta ecc.ma Corte, nel dichiarare non fondate alcune censure che contestavano la legittimita' di norme che, secondo le ricorrenti, avrebbero violato l'autonomia legislativa e finanziaria delle regioni perche' subordinavano l'accesso al finanziamento statale per le regioni con deficit particolarmente grave alla stipula di un apposito accordo, ha motivato che "lo speciale contributo finanziario dello Stato, (in deroga al precedente obbligo espressamente previsto dalla legislazione sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale che siano le regioni a coprire gli eventuali deficit del Servizio sanitario regionale) ben puo' essere subordinato a particolari condizioni finalizzate a conseguire un migliore o piu' efficiente funzionamento del complessivo Servizio sanitario, tale da riservare in ogni caso alle regioni un adeguato spazio di esercizio delle proprie competenze nella materia della tutela della salute" (sent. n. 98 del 2007). Qui dunque e' in gioco la garanzia che misure fortemente derogatorie del quadro normativo costituzionale e dei principi generali che presiedono la materia possano trovare un giusto e doveroso bilanciamento nella previsione, nello stesso testo di legge che dispone in deroga, di adeguati strumenti di monitoraggio e di controllo, di sanzioni relative all'eventuale uso improprio delle risorse, e di garanzie effettive sulla restituzione delle somme "prestate" dallo Stato alle regioni deficitarie. L'attribuzione delle somme a titolo di "regolazione debitoria", operata senza che il testo del provvedimento precisi con chiarezza il percorso di rientro dal debito contratto con lo Stato, vale invece a incentivare, ancora una volta, le cattive pratiche che quel disavanzo hanno alimentato e, in definitiva, pone in essere l'ennesimo episodio di finanza regionale derivata, per di piu' votata all'indebitamento costante ed esente da ogni assunzione di responsabilita'. Strumenti di importanza cruciale per accertare la correttezza dell'operato delle amministrazioni a fronte dell'ingente dazione di denaro pubblico sono cosi', ad opera del decreto qui impugnato, sottratti all'egida della legge, rinviati alla sede pattizia e negoziale degli accordi relativi ai "piani di rientro", quindi sviati dalle appropriate sedi di preventiva verifica parlamentare, in spregio di una garanzia di trasparenza a vantaggio della collettivita' e quindi, della stessa "tutela della salute", l'autentico bene giuridico qui in questione. Il rilievo che tali questioni assumono avrebbe dovuto imporre che esse fossero trattate nell'atto legislativo, a garanzia della collettivita' nazionale e di quella lombarda. D'altra parte, e' difficile non nutrire perplessita' sulla capacita' vincolante di atti di natura pattizia, quali sono i piani di rientro, ai quali paradossalmente la risoluzione di tali questioni e' rinviata. Ammesso e non concesso che sia costituzionalmente legittimo per le ragioni sin qui individuate, un intervento straordinario e fortemente derogatorio del quadro normativo che governa la materia avrebbe dovuto fissare, con la dovuta severita' ed accuratezza, tutte le condizioni e le garanzie per la restituzione delle somme prestate, determinando altresi' le relative sanzioni. 11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modificazioni dalla legge n. 64 del 2007, per violazione dell'art. 120 Cost., nella parte in cui, predisponendo un intervento che ha natura di intervento sostitutivo ex art. 120 Cost., non pone per legge criteri oggettivi per il monitoraggio del finanziamento e per l'estinzione del debito contratto dalle regioni, individuandone altresi' condizioni, garanzie e relative sanzioni. Alla luce del complesso quadro normativo vigente e delle relazioni intercorse fra Stato e regioni relative al contenimento della spesa sanitaria e agli oneri a carico del Servizio sanitario nazionale, in una situazione di problematica attuazione dell'art. 119 Cost., sembra in realta' che l'intervento previsto dal decreto-legge n. 23 del 2007, convertito con modifiche dalla legge n. 67 del 2007, aspiri ad assumere le sembianze di un intervento sostitutivo da parte del Governo, determinato dal mancato rispetto di numerosi obblighi di legge posti alle regioni, o anche dalla esigenza di garantire, in modo uniforme e non condizionato da variabili territoriali, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di tutela della salute. Al riguardo, tuttavia, la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha chiarito che "perche' possa ritenersi legittima la previsione del potere di sostituzione dello Stato alle regioni e' necessario che l'esercizio dei poteri sostitutivi sia previsto e disciplinato dalla legge, la quale deve altresi' definirne i presupposti sostanziali e procedurali; che la sostituzione riguardi il compimento di atti o attivita' prive di discrezionalita' nell'an; che il potere sostitutivo sia esercitato da un organo di Governo o sulla base di una decisione di questo; che la legge predisponga congrue garanzie procedimentali, in conformita' al principio di leale collaborazione" (cfr. ex multis sentenza n. 240 del 2004). Il provvedimento impugnato e' invece, anche sotto questo profilo, del tutto carente, non presentando nessuno di quei requisiti evidenziati dalla giurisprudenza costituzionale e necessari per ritenere legittima la sostituzione dello Stato alle regioni. Dal momento che, come codesta ecc.ma Corte ha riconosciuto, in realta' i poteri sostitutivi previsti dal comma 2 dell'art. 120 Cost., concorrono a limitare l'autonomia dell'ente nei cui confronti opera la sostituzione (sent. n. 43 del 2004), e' evidente che tale compressione di autonomia debba sottostare da un lato a forme e procedure certe e, sotto altro profilo, debba svolgersi secondo modalita' congrue alle finalita' per le quali e' posto in essere, secondo criteri che adottino ogni possibile e dovuta cautela idonea a scongiurare il perpetuarsi di quegli effetti negativi, di quelle inefficienze e inappropriatezze che in realta' hanno originato l'intervento stesso. Criteri dei quali, nel testo del provvedimento impugnato, non e' dato di rinvenire traccia.
P. Q. M. Chiede che codesta ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modifiche, dalla legge 17 maggio 2007, n. 64, recante "Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonche' in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale", per violazione degli artt. 3, 32, 77, secondo comma, 81, quarto comma, 117, commi terzo e quarto, 118, 119, 120 della Costituzione, oltre che per violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), dell'obbligo di partecipare alle spese pubbliche in ragione della capacita' contributiva (art. 53 Cost.) e della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali (art. 23 Cost.). Roma-Milano, addi' 18 luglio 2007 Avv. Pio Dario Vivone - Prof. Avv. Beniamino Caravita di Toritto