N.   34  RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 febbraio 2012.

  Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 28 febbraio 2012 (della Provincia autonoma di Trento).

 

 

(GU n. 13 del 28.03.2012 ) 

 

 

 

     Ricorso  della  Provincia  autonoma  di   Trento   (cod.   fisc. …), in persona del Presidente della Giunta provinciale  pro tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con  deliberazione  della  Giunta provinciale 27 gennaio 2012, n. 112 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale n. rep. 27681 del 31 gennaio 2012 (doc.  2), rogata  dal  dott.  Tommaso  Sussarellu,  Ufficiale   rogante   della Provincia,  dall'avv.   prof.   Giandomenico   Falcon   (cod.   fisc. …) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc…)  dell'Avvocatura  della  Provincia  di   Trento   e dall'avv. Luigi Manzi (cod.  fisc.  MNZLGU34E15H501Y)  di  Roma,  con domicilio eletto in Roma nello studio di questi in  via  Confalonieri n. 5;

    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la dichiarazione di illegittimita' costituzionale:

        dell'articolo 13, commi 11 e 17, terzo e quarto periodo;

        dell'articolo 14, comma 13-bis, terzo e quarto periodo;

        dell'articolo 22, comma 3;

        dell'articolo 28, comma 3;

        dell'articolo 43, comma 8;

        dell'articolo 48 del decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.  201,  Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti pubblici, come convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, pubblicata nella G.U. n. 300 del 27 dicembre 2011

    Per violazione:

        degli articoli 8, nn. 1), 13) e 24); 9, nn. 9) e 10); 14 e 16 dello Statuto speciale;

        del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare  degli articoli 75, 79, 80, 81 e 82;

        degli articoli 103, 104 e 107 del medesimo Statuto speciale;

        delle relative norme di attuazione, tra le quali  il  decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, artt. 2 e  4),  il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare articoli 9, 10, 10-bis, 13, 17, 18 e 19), il d.P.R. n.  115/1973 (in  particolare art. 8), il d.P.R. n.  381/1974 (in particolare artt. 5, 7, 18  e  da 33 a 37), il d.P.R. n.  235/1977 (in particolare art. 1-bis);

        degli artt. 117, 118 e 119 Cost., in combinato  disposto  con l'art. 10 legge costituzionale n. 3/2001;

        dell'art. 2, comma 108, legge n. 191/2009;

        del principio di leale  collaborazione,  nei  modi  e  per  i profili di seguito illustrati.

 

                                Fatto

 

    Il decreto-legge n. 201 del 2011, come risultante dalla legge  di conversione n. 214 del 2011, contiene  disposizioni  di  vario  tipo, distribuite in quattro titoli: Sviluppo ed equita', Rafforzamento del sistema finanziario nazionale e  internazionale,  Consolidamento  dei conti pubblici, Disposizioni per la  promozione  e  la  tutela  della concorrenza.

    Tutte sono rivolte - come rivela il soprannome di decreto  "salva Italia" che il  Governo  ha  attribuito  ad  esso  -  a  produrre  un risultato utile per l'economia del Paese: e la Provincia autonoma  di Trento, come parte del Paese, non puo' che augurarsi  che  le  misure producano i risultati sperati. Allo sforzo collettivo  necessario  al conseguimento di tali risultati essa non intende certo sottrarsi.

    Al tempo stesso, tuttavia, essa non puo'  rinunciare  a  chiedere che ogni contributo ad essa richiesto sia  richiesto  legittimamente, nel quadro e nel rispetto delle  regole  che  disciplinano  sotto  il profilo finanziario - come sotto ogni altro profilo - i rapporti  con lo Stato.

    Ed essa Ritiene che nei punti che formano oggetto della  presente impugnazione le regole costituzionali e statutarie di  tali  rapporti non siano rispettate.

    In questa  prospettiva,  vengono  qui  in  considerazione  alcune disposizioni del Titolo III ("Consolidamento dei conti pubblici")  ed alcune disposizioni del Titolo IV ("Disposizioni per la promozione  e la tutela della concorrenza").

    Quanto  al  Titolo  III,  si   tratta   dell'art.   13,   recante Anticipazione  sperimentale  dell'imposta   municipale   propria,   e dell'art. 14, recante Istituzione del tributo comunale sui rifiuti  e sui servizi (entrambe facenti parte del Capo secondo Disposizioni  in materia di maggiori entrate).

    Si tratta poi dell'art. 22, recante Altre disposizioni in materia di enti e organismi pubblici, facente parte del Capo terzo (Riduzioni di spesa.  Costi  degli  apparati),  nonche'  dell'art.  28,  recante Concorso alla manovra degli Enti territoriali e  ulteriori  riduzioni di spese, che forma ed esaurisce il capo VI  (Concorso  alla  manovra degli Enti territoriali).

    Quanto  al  Titolo   IV   si   tratta   dell'art.   43,   recante Alleggerimento e semplificazione delle procedure, riduzione dei costi e altre misure, e dell'art. 48, recante Clausola  di  finalizzazione, entrambi  facenti  parte  del  Capo  IV,  Misure  per   lo   sviluppo infrastrutturale e rilevanti per il presente ricorso.

    Ad avviso della Provincia autonoma  di  Trento,  le  disposizioni succitate risultano lesive delle proprie prerogative costituzionali e statutarie per le seguenti ragioni di

 

                               Diritto

 

    1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 11,  nonche' dell'art. 13, comma 17, terzo e quarto periodo.

    A) Premessa. Il passaggio alla nuova  imposta  e  la  sottrazione delle risorse al sistema locale.

    L'art.  13  regola  l'Anticipazione   sperimentale   dell'imposta municipale propria, stabilendo (comma 1) che  l'istituzione  di  tale imposta "e' anticipata, in via sperimentale,  a  decorrere  dall'anno 2012, ed e' applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014 in base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14  marzo 2011,  n.  23,  in  quanto  compatibili,  ed  alle  disposizioni  che seguono",  e   che   conseguentemente,   "l'applicazione a regime dell'imposta municipale propria e' fissata al 2015".

    Il riferimento a "tutti i comuni del territorio nazionale" induce a ritenere che l'art.  13  intenda  applicarsi  anche  nella  regione Trentino-Alto Adige.

    L'art. 8, comma 1, d.lgs. n. 23/2011,  richiamato  dall'art.  13, comma 1, ora citato,  stabilisce  che  l'imposta  municipale  propria istituita dallo  stesso  articolo  "sostituisce,  per  la  componente immobiliare,  l'imposta  sul  reddito  delle  persone  tisiche  e  le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non locati, e l'imposta comunale sugli immobili".

    Dunque, l'Imup sostituisce - oltre  all'ICI,  gia'  destinata  ai Comuni - imposte destinate alla Provincia: o per  nove  decimi,  come l'Irpef relativa ai redditi fondiari degli immobili non bacati  (art. 75 Statuto) o interamente, come le addizionali provinciale e comunale relative ai redditi fondiari degli immobili non  locati:  va  infatti ricordato che, in base all'art. 80, comma 1-ter, St., le  addizionali altrimenti comunali spettano alla Provincia,  nel  quadro  della  sua complessiva competenza e responsabilita' in materia di finanza locale prevista dall'art. 80, comma 1. St.

    Peraltro,  la  Provincia  di  Trento  non  avrebbe   titolo   per contestare la  trasformazione  di  determinati  tributi  erariali  in tributi  locali:   lo   Statuto   assicura   determinate   quote   di compartecipazione  su  tutti  tributi  erariali,  ma  non   prescrive l'esistenza in particolare di determinati tributi erariali: e  se  lo Stato vi rinuncia, in favore della finanza  comunale,  tale  rinuncia vale anche per la quota spettante alla Provincia di Trento.

    Sennonche', tale conclusione opera sino a che  le  risorse  siano realmente attribuite ai comuni, come avviene  nel  disegno  normativo originario dell'IMUP ai sensi degli artt. 8 e 9, d.lgs.  n.  23/2011.

Ove invece il reddito dell'imposta "municipale"  sia  assegnato  allo Stato, ne risulta un complessivo impoverimento  del  sistema  locale:

dietro la  "municipalizzazione",  infatti,  vi  e'  sempre  l'imposta erariale, soltanto che il suo gettito viene sottratto alla  Provincia autonoma, con evidente  sostanziale  violazione  dell'art.  75  dello Statuto.

    E proprio questo accade con le nuove disposizioni  dell'art.  13, comma 11.

    Esse, infatti, prevedono la  riserva  allo  Stato  di  una  quota dell'Imup.

    Ecco il testo della disposizione:

    "E' riservata allo Stato la quota  di  imposta  pari  alla  meta' dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di  tutti  gli immobili, ad eccezione dell'abitazione principale  e  delle  relative pertinenze di cui al comma 7, nonche' dei fabbricati  rurali  ad  uso strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di base di cui al comma  6, primo periodo. La quota di imposta risultante e' versata  allo  Stato contestualmente  all'imposta  municipale   propria.   Le   detrazioni previste dal presente articolo, nonche' le detrazioni e le  riduzioni di aliquota deliberate dai comuni non  si  applicano  alla  quota  di imposta riservata allo  Stato  di  cui  al  periodo  precedente.  Per

l'accertamento,  la  riscossione,  i  rimborsi,  le   sanzioni,   gli interessi ed il contenzioso si applicano le disposizioni  vigenti  in materia di imposta municipale propria. Le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte  dal  comune  al  quale spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attivita'  a  titolo  di  imposta,  interessi  e  sanzioni"   (enfasi aggiunta).

    Dal comma 11 risulta, dunque, che l'Imup  ha  in  realta'  natura mista, cioe' e' un'imposta per meta' municipale e per meta' erariale, in quanto  i  contribuenti  versano  direttamente  allo  Stato  meta' dell'importo. L'indipendenza dell'imposta erariale da quella comunale risulta anche dalla circostanza che ad  essa  non  si  applichino  le detrazioni e riduzioni di aliquota deliberate dai comuni, e la natura "erariale" della quota di Imup riservata  allo  Stato  e'  confermata espressamente  dall'ultimo  periodo  del  comma  11,  appena  citato, secondo  il  quale  "le  attivita'  di  accertamento  e   riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune".

    Si e' appena visto che la meta' dell'Imup ha in realta' natura di imposta erariale.

    In realta', pero', dal comma 17 dell'art. 13 risulta che lo Stato non solo si trattiene la meta' "riservata" dell'importo,  ma  intende appropriarsi  di  tutto  il  maggior  gettito,  cioe'  ogni   importo eccedente le entrate che affluivano  ai  comuni  della  Provincia  di Trento in base alle norme previgenti:  ed  intende  farlo  acquisendo tali fondi dalla Provincia.

    Infatti, il comma 17, terzo periodo, dispone - in relazione  alle autonomie speciali competenti in materia di finanza locale - che "con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009,  n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia  e  Valle  d'Aosta,  nonche'  le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il  recupero  al bilancio statale del predetto  maggior  gettito  stimato  dei  comuni ricadenti nel proprio territorio". Ed il quarto periodo precisa  che, "fino all'emanazione delle norme di attuazione  di  cui  allo  stesso articolo 27, a valere sulle quote  di  compartecipazione  ai  tributi erariali, e' accantonato un importo pari al maggior  gettito  stimato di cui al precedente periodo". Il quinto periodo, infine, prevede che "l'importo  complessivo  della  riduzione  del  recupero  di  cui  al presente comma e' pari per l'anno 2012 a 1.627 milioni di  euro,  per l'anno 2013 a 1.762,4 milioni di euro  e  per  l'anno  2014  a  2.162 milioni di euro".

    Ora, benche' il riferimento alla "riduzione del recupero"  appaia privo  di  senso,  sembra  da  ritenere   che   i   numeri   indicati rappresentino  la  quantificazione  del  "recupero"  a  carico  della autonomie speciali.

    Dunque,  lo  Stato  ha  provveduto  a  ristrutturare  le  imposte "immobiliari" e a rideterminare le basi imponibili, ma - nel  periodo 2012-2014 - i maggiori incassi derivanti da  questa  operazione sono interamente destinati  allo  Stato,  il  quale  in  parte  li  riceve direttamente dai contribuenti in base alla riserva di  cui  al  comma 11, in parte li riceve dalla Provincia con i meccanismi di "recupero" o "accantonamento" di cui al comma 17.

    Si noti che il comma 17 e' formulato in modo tale da poter essere inteso nel senso che l'importo Imup 2012 non debba essere confrontato con l'importo 2011 dei tributi sostituiti ma solo con  l'importo  dei tributi comunali sostituiti (cioe', l'Ici 2011). Se cosi'  fosse,  il taglio delle risorse assumerebbe un carattere del  tutto  particolare rispetto  alla  Provincia  di  Trento  (ed  ovviamente  a  quella  di Bolzano). Infatti, delle tre componenti sostituite  dall'Imup  (cioe' l'Irpef fondiaria, le addizionali provinciali e  comunali  e  l'ICI), soltanto l'ICI era precedentemente destinata direttamente ai  comuni, mentre sia le  risorse  derivanti  dall'Irpef  fondiaria  che  quelle derivanti dalle addizionali pervenivano poi ai comuni per il  tramite del finanziamento  provinciale.  Ne  risulta  che  -  concentrata  la fiscalita' nell'Imup - il "maggior gettito stimato dei comuni"  della Provincia  sara'  particolarmente  elevato,  comprendendo  anche   il gettito dei tributi che prima costituivano entrate della Provincia.

    In entrambi i casi, tributi spettanti al sistema  provinciale  in base allo Statuto e alle norme di  attuazione  sono  illegittimamente avocati allo Stato, come di seguito si illustra.

    B) Illegittimita' costituzionale del comma 11, nella parte in cui non assegna alla Provincia i nove decimi dell'imposta erariale.

    Poste le premesse appena illustrate, viene in  considerazione  in primo luogo l'illegittimita' costituzionale del comma 11, nella parte in cui considera tributo erariale la quota del 50 dell'Imup.

    L'art. 75 dello Statuto speciale  dispone  che  "sono  attribuite alle province le  seguenti  quote  del  gettito  delle  sotto indicate entrate tributarie dello Stato,  percette  nei  rispettivi  territori provinciali:  ...  g)  i  nove  decimi  di  tutte  le  altre  entrate tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,  comunque   denominate, inclusa l'imposta locale sui  redditi,  ad  eccezione  di  quelle  di spettanza regionale o di altri enti pubblici".

    La natura "erariale" della quota di  Imup  riservata  allo  Stato risulta da quanto esposto sopra ed e' confermata testualmente -  come gia' visto - dall'ultimo periodo del comma 11, secondo il  quale "le attivita' di accertamento e riscossione  dell'imposta  erariale  sono svolte dal comune".

    Dunque, la quota di Imup riservata allo Stato dall'art. 13, comma 11,  rientra  evidentemente  tra  le  "entrate  tributarie  erariali, dirette o indirette, comunque denominate", di cui all'art. 75,  comma 1, lettera g), St.

    In questi termini, i nove decimi  di  essa  sono  destinati  alla Provincia, ai sensi dell'art. 75  Statuto:  ma  il  comma  11  sembra contraddire  tale  destinazione,   e   l'assenza   di   clausole   di salvaguardia  rende  difficoltosa   un'interpretazione   conforme   a Statuto. Del resto, si puo' qui ricordare che la sentenza di  codesta Corte n. 152  del  2011  ha  ritenuto  l'applicabilita'  anche  nella Regione siciliana di norme che riservavano all'erario il  gettito  di tributi  compartecipati  dalla  Regione  Sicilia,   "posto   che   il decreto-legge  in  esame  non  contiene  alcuna  formula  che   possa configurarsi quale clausola di salvaguardia delle attribuzioni  delle Regioni ad autonomia speciale".

    Percio' il comma 11, primo periodo,  si  pone  in  contrasto  con l'art.  75,  comma  1,  lettera  g)  dello  Statuto,  ed  e'   dunque costituzionalmente illegittimo.

    La fondatezza della censura sopra  esposta  non  potrebbe  essere contestata facendo valere la clausola di possibile riserva all'erario statale prevista dalle norme  di  attuazione  di  cui  al  d.lgs.  n. 268/1992.

    Per quanto qui rileva, infatti, l'art. 9 di tale decreto  dispone che gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi, se destinato per legge, per  finalita'  diverse  da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10  e  al  comma  1,  lettera  b), dell'art.  10-bis,  alla  copertura,  ai  sensi  dell'art.  81  della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione  o  delle province, ivi comprese  quelle  relative  a  calamita'  naturali,  e' riservato  allo  Stato,  purche'  risulti  temporalmente  delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio  statale  e  quindi quantificabile"; si aggiunge poi che "fuori dei casi contemplati  nel presente articolo si applica quanto  disposto  dagli  articoli  10  e

10-bis ".

    Per una piu' completa comprensione di  questa  clausola  conviene ricordare che l'art. 10 regolava la "quota variabile" di cui all'art. 78 dello Statuto, quota che e' stata  soppressa  dall'art.  1,  comma 107, della legge n. 191 del 2009 (comma emanato  ai  sensi  dell'art. 104 dello Statuto di autonomia),  come  parte  del  contributo  delle Province autonome al conseguimento degli obbiettivi di perequazione e di stabilita'. In relazione ad essa il comma 6 dell'art. 10 stabiliva che "una  quota  del  previsto  incremento  del  gettito  tributario, escludendo  comunque   gli   incrementi   derivanti   dall'evoluzione tendenziale, spettante  alle  province  autonome  e  derivante  dalle manovre  correttive  di  finanza  pubblica   previste   dalla   legge finanziaria e dai relativi  provvedimenti  collegati,  nonche'  dagli altri provvedimenti legislativi aventi le medesime  finalita'  e  non considerati  ai  fini  della  determinazione  dell'accordo   relativo all'esercizio finanziario precedente, da  valutarsi  al  netto  delle eventuali   previsioni   di   riduzione   di   gettito    conseguenti all'applicazione  di   norme   connesse,   puo'   essere   destinata, limitatamente agli esercizi previsti dall'accordo, al  raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica  previsti  dai precedenti provvedimenti".

    A sua volta, l'art. 10-bis dispone che "entro la data di  cui  al comma 2 dell'art. 10 e' altresi' definito l'accordo tra il Governo  e il presidente della giunta regionale che individua:

        a) la quota da destinare al bilancio dello Stato del  gettito tributario derivante  da  maggiorazioni  di  aliquote  di  tributi  o dall'istituzione di  nuovi  tributi,  se  destinato  per  legge  alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, delle  spese  di cui all'art. 9, qualora il predetto gettito non risulti distintamente contabilizzato  nel  bilancio  dello  Stato,   ovvero   temporalmente delimitato;

        b) l'eventuale quota  delle  spese  derivanti  dall'esercizio delle funzioni statali delegate alla regione, che rimane a carico del bilancio della regione medesima, in relazione  alle  disposizioni  di cui al comma 6 dell'art. 10, da determinarsi nei limiti del  previsto incremento del gettito tributario derivante dalle manovre  correttive di finanza pubblica, nonche' tenuto conto della  quota  di  cui  alla lettera a)".

    In altre parole,  sin  da  prima  della  modifica  dello  Statuto concordata nel 2009 tra lo Stato e la Regione e le Province  autonome (e  tradotta  -  a  termini  dell'art.  104  dello  Statuto  -  nelle pertinenti disposizioni della legge n. 191 del 2009) solo  attraverso lo strumento  dell'accordo  possono  essere  riservate  risorse  allo Stato, secondo le disposizioni degli artt. 10 e 10-bis  dello  stesso d.lgs. n. 268/1992, al di  fuori  dei  rigorosi  presupposti  per  la riserva all'erario di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 268/1992.

    Ad avviso della ricorrente  Provincia  risulta  evidente  che  in relazione alla quota erariale dell'Imup non  sussistono  i  requisiti posti dall'art. 9, d.lgs. n. 268/1992 per la riserva  all'erario  del "gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi".

    Tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di  codesta Corte n. 182/2010, secondo la quale "tale articolo richiede,  per  la legittimita' della riserva statale, che:

        a) detta riserva sia giustificata da  «finalita'  diverse  da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10  e  al  comma  1,  lettera  b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del  1992,  e  cioe'  da finalita'  diverse  tanto  dal  «raggiungimento  degli  obiettivi  di riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto  dalla copertura di «spese derivanti dall'esercizio delle  funzioni  statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b);

        b) il gettito sia destinato per  legge  «alla  copertura,  ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche  spese  di carattere  non  continuativo  che  non  rientrano  nelle  materie  di competenza della  regione  o  delle  province,  ivi  comprese  quelle relative a calamita' naturali»;  e)  il  gettito  sia  «temporalmente delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile»".

    Ora, l'art. 13 non contiene alcuna  specifica  destinazione,  ne' alcuna  ulteriore  particolare  disposizione  che   possa   riferirsi all'applicazione dell'art. 9 del d.lgs. n. 268 del 1992:  sicche'  da questo punto di vista e' chiara l'illegittimita' della riserva.

    Non varrebbe neppure  replicare  che  la  "finalizzazione"  delle maggiori entrate derivanti dalla applicazione  del  decreto-legge  n. 201 del 2011 e' stabilita dall'art. 48, comma 1, secondo il quale "le maggiori  entrate  erariali  derivanti  dal  presente  decreto   sono riservate all'Erario, per un  periodo  di  cinque  anni,  per  essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale", e  che  lo stesso  comma  precisa  che  "con  apposito  decreto  del   Ministero

dell'economia e delle finanze ...  sono  stabilite  le  modalita'  di individuazione   del    maggior    gettito,    attraverso    separata contabilizzazione".

    Risulta infatti  evidente  che  la  destinazione  alle  "esigenze prioritarie di raggiungimento degli  obiettivi  di  finanza  pubblica concordati in sede europea" non coincide affatto con la  destinazione a "nuove specifiche spese di carattere non continuativo",  e  che  la riserva non ha affatto «finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992.

    Ci si limita qui a questa  sintetica  evidenziazione,  in  quanto l'art. 48, comma 1, si riferisce anche  ad  altre  maggiori  entrate, ulteriori rispetto alla speciale disciplina dell'art. 13,  comma  11, ed  e'  percio'  oggetto  di  specifica  impugnazione:  sia   percio' consentito di rinviare a quella sede la piu' ampia argomentazione.  

    C) In particolare, ancora illegittimita' costituzionale del comma 11, nella parte in cui riserva ai comuni le attivita' di accertamento e riscossione e assegna ai Comuni le maggiori entrate connesse a tali attivita'.

    Oltre che per la riserva allo Stato, l'art. 13, comma 11, risulta lesivo anche per quel che dispone l'ultimo periodo di  esso,  secondo cui "le attivita' di accertamento e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune al quale spettano le maggiori somme  derivanti dallo svolgimento delle  suddette  attivita'  a  titolo  di  imposta, interessi e sanzioni".

    L'art. 82 St. stabilisce che "le attivita'  di  accertamento  dei tributi nel territorio delle  province  sono  svolte  sulla  base  di indirizzi e  obiettivi  strategici  definiti  attraverso  intese  tra ciascuna provincia e il Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  e conseguenti accordi operativi con le agenzie fiscali"; una disciplina integrativa e' contenuta nell'art. 13 d.lgs. n. 268/1992.

    Dunque, l'ultimo periodo  del  comma  11  viola  l'art.  82  St., regolando direttamente un'attivita' di accertamento  di  tributi  (la quota di IMUP avente natura erariale) nel territorio provinciale.      Inoltre, la norma in questione viola l'art. 75, comma 1,  lettera g) St. la' dove attribuisce ai comuni "le  maggiori  somme  derivanti dallo svolgimento delle  suddette  attivita'  a  titolo  di  imposta, interessi  e  sanzioni".  Infatti,  si  tratta  di   somme   comunque rientranti tra le entrate erariali  di  cui  all'art.  75,  comma  1, lettera g), per cui i 9/10 di esse spettano alla Provincia.

    Non  si  tratta,  cioe',  di  maggiori   entrate   che   derivano dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi tributi,  ma semplicemente  di  entrate  che  derivano   da   un   piu'   rigoroso accertamento degli obblighi tributari preesistenti,  il  cui  gettito deve seguire la destinazione impressa dallo Statuto e non puo' essere discrezionalmente attribuito dallo Stato.

    La fondatezza di tale censura e' confermata anche dalla  sentenza di codesta  Coste  costituzionale  n.  152/2011,  che  ha  dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 6,  del  decreto-legge n. 40 del 2010,  "nella  parte  in  cui  stabilisce  che  le  entrate derivanti  dal  recupero  dei  crediti  d'imposta   «sono   riversate all'entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all'erario», anche con riferimento a crediti  d'imposta  inerenti  a  tributi  che avrebbero  dovuto  essere  riscossi  nel  territorio  della   Regione siciliana". La sentenza precisa che "e' alla  Regione  siciliana  ... che spetta, non solo provvedere al detto recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante,  posto  che  tale  gettito,  lungi  dal costituire frutto di una nuova entrata tributaria  erariale,  non  e' altro che l'equivalente del gettito del tributo previsto (al di fuori dei casi nei quali e' concesso il  credito  d'imposta),  che  compete alla Regione sulla base e nei limiti dell'art. 2 del d.P.R.  n.  1074 del 1965".

    La medesima sent. 152/2011  ha  poi  annullato  l'art.  3,  comma 2-bis,  decreto-legge  40/2010,  in  quanto  "la   previsione   della esclusiva destinazione a fondi erariali del gettito  derivante  dalla definizione   agevolata   di   tali   controversie   inerenti    alla contestazione  di  tributi  erariali  che  avrebbero  dovuto   essere riscossi nel  territorio  regionale  si  pone  in  contrasto  con  il principio di cui all'art. 2 delle norme di  attuazione,  non  potendo peraltro neppure ritenersi che le entrate derivanti dalla  richiamata definizione agevolata delle controversie  tributarie  siano  "entrate nuove".

    D) Illegittimita' costituzionale del comma  17,  terzo  e  quarto periodo,

    L'art. 13, comma 17, decreto-legge 201/2011 dispone che "il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2  del  decreto  legislativo  14  marzo  2011,  n.  23,  e  il  fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13 del  medesimo decreto legislativo n. 23  del  2011,  ed  i  trasferimenti  erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana  e  della  Regione  Sardegna variano in ragione delle differenze del gettito stimato  ad  aliquota di base derivanti dalle disposizioni di cui al presente articolo"; si aggiunge che "in caso di incapienza ciascun comune versa  all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue".

    Tale disposizione e'  scritta  in  modo  oscuro  (i  fondi  ed  i trasferimenti "variano", i comuni versano "le somme residue"): ma  in definitiva sembra significare  che  o  attraverso  la  riduzione  dei trasferimenti dallo Stato o (se la riduzione  non  basta)  attraverso trasferimenti dagli stessi Comuni, lo Stato incamera tutto  cio'  che per effetto delle nuove regole ai Comuni affluisca in misura maggiore di prima. Ma essa non e' qui impugnata, in  quanto  non  riguarda  la Provincia di Trento.

    Per la Provincia - come per le altre  autonomie  speciali  aventi competenza in materia di finanza locale -  vale  invece,  come  sopra visto,  l'art.  13,  comma  17,  terzo  periodo:  il  quale   dispone direttamente che "con le procedure previste  dall'articolo  27  della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e  Valle d'Aosta, nonche'  le  Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano, assicurano il recupero  al  bilancio  statale  del  predetto  maggior gettito stimato dei comuni  ricadenti  nel  proprio  territorio".  Il quarto periodo aggiunge che,  "fino  all'emanazione  delle  norme  di attuazione di cui allo stesso articolo 27, a valere  sulle  quote  di compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato un importo pari al maggior gettito stimato di cui al precedente periodo".

    Dunque, lo Stato non solo trattiene la parte  erariale  dell'Imup (in base al comma 11), ma vorrebbe incamerare dalla  Provincia  anche l'imposta comunale, per tutto  l'importo  eccedente  le  entrate  che affluivano ai comuni in base alle norme previgenti. Come si  e'  gia' notato, il comma 17 e' formulato in modo tale da poter essere  inteso nel senso che l'importo Imup 2012 non debba  essere  confrontato  con l'importo 2011 dei tributi  sostituiti  ma  solo  con  l'importo  dei tributi comunali sostituiti (cioe', l'Ici 2011). Se cosi'  fosse,  la Provincia e i suoi enti locali risulterebbero depauperati:

        dei  nove  decimi   dell'Irpef   sui   redditi   immobiliari, soppressi;

        delle  addizionali  provinciale  e  comunale  precedentemente previste (la seconda era  incassata  dalla  Provincia  in  luogo  dei comuni).

    Inoltre, il comma 17 potrebbe essere interpretato anche nel senso che dal gettito precedente sia esclusa  la  somma  che  perveniva  ai comuni (tramite le Province autonome) ai sensi dell'art. 1, comma  4, decreto-legge n. 98/2008, che  aveva  previsto  un  fondo  sostituivo delle entrate comunali relative  all'ICI  sull'abitazione  principale (norma  ora  abrogata  dall'art.  13,  comma  14,  lettera   a,   del decreto-legge n. 201 del 2011). Se cosi' fosse,  ne  risulterebbe  un ulteriore rilevante depauperamento del sistema provinciale.

    In questi  termini,  la  fittizia  comunalizzazione  dei  tributi immobiliari si traduce nel transito delle corrispondenti risorse  dal bilancio provinciale al bilancio statale.  La  Provincia,  che  prima "integrava" la finanza locale avvalendosi delle predette risorse, ora ne e' priva ma dovra' comunque far fronte alle necessita' finanziarie dei comuni (art.  81,  comma  2,  St.),  e  dovrebbe  contestualmente versare allo Stato proprie  risorse  in  misura  corrispondente  alle maggiori entrate dei Comuni, o comunque in  misura  corrispondente  a quella a priori determinata dalla impugnata disposizione.

    In un sistema  nel  quale  la  Provincia  ha  la  responsabilita' complessiva della finanza locale,  la  sottrazione  ai  comuni  delle risorse  derivanti  dalle  imposte  ad  essi  destinate   costituisce contemporaneamente    una    lesione    dell'autonomia    finanziaria provinciale.

    In ogni modo, il terzo e quarto periodo  del  comma  17,  dunque, violano l'art. 75 St. e gli artt. 9 e 10 d.lgs. n.  268/1992  perche' pretendono di avocare allo Stato risorse di spettanza provinciale, al di fuori dei casi previsti.

    Cio' e' vero sia nel caso in cui  si  ritenga  che  il  comma  17 produca  l'effetto  di  avocare  allo  Stato  le  risorse  che  prima spettavano alla Provincia a  titolo  di  compartecipazione  all'Irpef fondiaria (art. 75 St.) e di addizionali provinciale e comunale (art. 80, comma 1-ter), sia nel caso in cui si  ritenga  che  la  Provincia dovrebbe assicurare il recupero allo Stato del maggior gettito con le proprie risorse ordinarie, per cui il comma 17 produce  l'effetto  di "far tornare" nelle casse statali risorse spettanti alla Provincia e ad essa affluite in attuazione delle regole finanziarie  poste  dallo Statuto e dalle norme di attuazione (comma 17, terzo periodo).

    Inoltre, essi violano  l'art.  79  St.  perche'  l'avocazione  e' disposta con il  fine  del  concorso  al  risanamento  della  finanza pubblica, mentre la norma statutaria configura un sistema completo di concorso delle Province  agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  non derogabile se non con le modalita' previste dallo Statuto.  

    Ancora, essi violano gli  artt.  103,  104  e  107  St.,  proprio perche' pretendono di derogare agli artt. 75 e 79 St. e al d.lgs.  n. 268/1992 con una fonte primaria "ordinaria".

    L'art. 107 St. e'  violato  anche  perche'  il  comma  17,  terzo periodo, pretende di vincolare  unilateralmente  il  contenuto  delle norme di attuazione.

    Una menzione separata e specifica richiede  l'illegittimita'  del quarto periodo del comma 17 che  prevede  lo  "accantonamento"  delle quote di compartecipazione previste dall'art. 75 Statuto.

    Va  rilevato,  infatti,  che  tale   "accantonamento"   contrasta anch'esso frontalmente con l'art. 75 dello  Statuto  e  con  l'intero sistema finanziario della Provincia da esso istituito.

    E' evidente, infatti, che le risorse che lo Statuto prevede  come entrate  provinciali  sono  cosi'  stabilite  perche'  esse   vengano utilizzate dalla Provincia per  lo  svolgimento  delle  sue  funzioni costituzionali, e non perche' esse vengano "accantonate".  L'istituto dell'accantonamento  non  ha  nel  sistema  statutario   cittadinanza alcuna.

    Inoltre, l'illegittimita' del  trasferimento  previsto  determina anche l'illegittimita' dell'accantonamento disposto nella prospettiva del trasferimento.

    2) Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  14,  comma  13-bis, terzo e quarto periodo.

    L'art. 14, comma 1,  decreto-legge  201/2011  stabilisce  che  "a decorrere dal 1° gennaio 2013 e' istituito  in  tutti  i  comuni  del territorio nazionale il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, a copertura dei costi relativi al  servizio  di  gestione  dei  rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento,  svolto  in regime di privativa dai comuni,  e  dei  costi  relativi  ai  servizi indivisibili dei comuni". Il comma  8  dispone  che  "il  tributo  e' corrisposto in base a tariffa" ed  i  commi  successivi  regolano  la determinazione della tariffa (il comma 12 rinvia, a tal fine,  ad  un regolamento).

    Il comma 13 statuisce che "alla tariffa determinata in base  alle disposizioni di cui ai commi da 8 a 12, si applica una  maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato, a copertura dei  costi  relativi ai  servizi  indivisibili  dei   comuni,   i   quali   possono,   con deliberazione del consiglio comunale, modificare in aumento la misura della maggiorazione fino a 0,40 euro, anche  graduandola  in  ragione della tipologia dell'immobile e della zona ove e' ubicato".

    Tali commi riguardano il regime generale del tributo, e non  sono oggetto di impugnazione. Oggetto di impugnazione e' invece -  per  la parte che interessa la  Provincia  autonoma  di  Trento  -  il  comma 13-bis, il quale dispone quanto segue:

    "a  decorrere   dall'anno   2013   il   fondo   sperimentale   di riequilibrio, come determinato ai sensi dell'articolo 2  del  decreto legislativo 14 marzo 2011,  n.  23,  e  il  fondo  perequativo,  come determinato  ai  sensi  dell'articolo   13   del   medesimo   decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i  trasferimenti  erariali  dovuti  ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna sono  ridotti in misura corrispondente al  gettito  derivante  dalla  maggiorazione standard di cui al  comma  13  del  presente  articolo.  In  caso  di incapienza ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello  Stato le somme residue. Con le procedure previste  dall'articolo  27  della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e  Valle d'Aosta, nonche'  le  Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano, assicurano il recupero  al  bilancio  statale  del  predetto  maggior gettito  dei  comuni   ricadenti   nel   proprio   territorio.   Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso  articolo 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, e' accantonato un importo pari al maggior gettito di cui  al  precedente periodo". Dunque, in base al terzo e quarto periodo dell'art.  13-bis la Provincia di Trento dovrebbe versare al bilancio dello Stato  -  a "compenso" di maggiori entrate  dei  Comuni  -  risorse  dal  proprio bilancio.

    Come si vede, si tratta di disposizioni simili a  quelle  di  cui all'art. 13, comma 17, terzo e quarto periodo, sopra  censurate,  con la differenza che, nel caso del tributo comunale sui  rifiuti  e  sui servizi, il recupero  al  bilancio  statale  della  maggiorazione  e' previsto in modo stabile.

    Vanno richiamati, dunque, i motivi gia'  svolti  con  riferimento all'art. 13, comma 17, terzo e quarto periodo.

    Per tali trasferimenti al bilancio dello  Stato  di  entrate  che spettano alla  Provincia  a  termini  di  Statuto  non  vi  e'  alcun fondamento statutario, ma vi e' invece violazione dello  Statuto:  il quale assegna determinate entrate alla Provincia  affinche'  essa  ne disponga per l'esercizio delle proprie funzioni, e non  per  versarle al bilancio dello Stato.

    Per il concorso ai bisogni della finanza pubblica  sono  previsti appositi meccanismi dall'art. 79 Statuto,  mentre  l'art.  14,  comma 13-bis, terzo e quarto periodo, stravolge  unilateralmente  l'assetto dei rapporti tra Stato e Provincia in materia  finanziaria  disegnato dallo Statuto.

    Il terzo e quarto  periodo  del  comma  13-bis,  dunque,  violano l'art. 75 St.  e  gli  artt.  9  e  10  d.lgs.  n.  268/1992  perche' pretendono di avocare allo Stato risorse di spettanza provinciale, al di fuori dei casi previsti. Infatti, la Provincia dovrebbe assicurare il recupero allo Stato della maggiorazione standard  con  le  proprie risorse ordinarie, per cui il comma  17  produce  l'effetto  di  "far tornare" nelle casse  statali  risorse  affluite  alla  Provincia  in attuazione delle regole finanziarie poste dallo Statuto e dalle norme di attuazione (comma 13-bis, terzo periodo).

    Inoltre, essi violano  l'art.  79  St.  perche'  l'avocazione  e' disposta con l'implicito fine  di  concorrere  al  risanamento  della finanza pubblica, mentre la norma  statutaria  configura  un  sistema completo  di  concorso  delle  Province  agli  obiettivi  di  finanza pubblica, non derogabile se  non  con  le  modalita'  previste  dallo Statuto.

    Ancora, essi violano gli  artt.  103,  104  e  107  St.,  proprio perche' pretendono di derogare agli artt. 75 e 79 St. e al d.lgs.  n. 268/1992 con una  fonte  primaria  "ordinaria".  L'art.  107  St.  e' violato anche perche' il comma 13-bis,  terzo  periodo,  pretende  di vincolare unilateralmente il contenuto delle norme di attuazione.  

    Come gia' osservato per  l'art.  13,  comma  17,  e'  poi  palese l'illegittimita' del quarto periodo del  comma  13-bis  dell'art.  14 che, prevedendo l'accantonamento sulle entrate  provinciali  e  sulle quote di  compartecipazione  previste  dall'art.  75  St.,  contrasta frontalmente  con  tale  norma  costituzionale  e  con   il   sistema finanziario previsto dallo  Statuto,  per  le  stesse  ragioni  sopra enunciate.I

    3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 22, comma 3.

    L'art. 22 e' inserito nel capo III  (Riduzioni  di  spesa.  Costi degli apparati) del titolo III.

    Il comma 3 di esso, qui impugnato, stabilisce che "le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e gli Enti locali, negli ambiti di rispettiva competenza, adeguano  i  propri  ordinamenti  a  quanto previsto dall'articolo 6, comma 5, del decreto-legge 31 maggio  2010, n. 78, ... con riferimento alle Agenzie, agli enti e  agli  organismi strumentali, comunque  denominati,  sottoposti  alla  loro  vigilanza entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto".

    L'art. 6,  comma  5,  decreto-legge  78/2010,  cosi'  richiamato, dispone  che  "tutti  gli  enti  pubblici,  anche  economici,  e  gli organismi pubblici,  anche  con  personalita'  giuridica  di  diritto privato, provvedono all'adeguamento dei rispettivi statuti al fine di assicurare che, a decorrere dal primo rinnovo successivo alla data di entrata in vigore dei presente decreto, gli organi di amministrazione e quelli di controllo, ove non gia' costituiti in forma  monocratica, nonche' il collegio dei revisori, siano costituiti da un  numero  non superiore, rispettivamente, a cinque e  a  tre  componenti".  Dispone ancora che in ogni caso,  "le  Amministrazioni  vigilanti  provvedono all'adeguamento della relativa disciplina di organizzazione, mediante

i regolamenti di cui  all'articolo  2,  comma  634,  della  legge  24 dicembre 2007, n. 244, con riferimento a tutti gli enti ed  organismi pubblici  rispettivamente  vigilati,  al  Cine   di   apportare   gli adeguamenti previsti ai sensi del presente comma". Dispone infine che "la mancata adozione dei provvedimenti di adeguamento statutario o di organizzazione previsti  dal  presente  comma  nei  termini  indicati determina responsabilita' erariale e tutti gli  atti  adottati  dagli organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli".

    In sostanza, l'art. 22, comma 3, impone alle Province autonome  e agli enti locali situati nel loro territorio  di  adeguare  i  propri ordinamenti in modo che gli enti pubblici (o comunque  gli  organismi strumentali)  sottoposti  alla  loro  vigilanza  abbiano  organi   di amministrazione e controllo costituiti da un numero fisso  e  ridotto di componenti.

    Tale vincolo  appare  di  per  se'  illegittimo  gia'  in  quanto riferito alle  autonomie  regionali  in  generale,  ivi  comprese  le Regioni ordinarie.

    Le ragioni di tale  illegittimita'  risultano  chiaramente  sent. 182/2011  di  codesta  ecc.ma  Corte   costituzionale,   riferita   a fattispecie corrispondente a quella oggetto  della  disposizione.  In tale sentenza codesta ecc. Corte ha rilevato "interventi analoghi per i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni  dell'art.  6 del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni  trascorsi  dal legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di legittimita'    costituzionale,    data    l'indebita    compressione dell'autonomia  finanziaria  delle  Regioni  che  con   essi   veniva realizzata", e che in particolare, "sono state ritenute  illegittime, nella parte in cui pretendevano  di  imporsi  al  sistema  regionale, rigide misure concernenti ... il numero massimo degli  amministratori di societa' partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008)".

    Secondo  la  Corte,  l'art.  6  "puo'   rispettare   il   riparto concorrente della potesta' legislativa in tema di coordinamento della finanza pubblica, solo a condizione di  permettere  l'estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di  principi  rispettosi  di  uno spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale".

    Ne risulta che l'art. 6 del decreto-legge n.  78  del  2010  "non intende imporre alle Regioni l'Osservanza puntuale ed  incondizionata dei  singoli  precetti  di  cui  si  compone  e   puo'   considerarsi espressione di un principio fondamentale della  finanza  pubblica  in quanto stabilisce,  rispetto  a  specifiche  voci  di  spesa,  limiti puntuali che si applicano integralmente allo Stato, mentre  vincolano le Regioni, le Province autonome e gli enti  del  Servizio  sanitario nazionale solo conte limite complessivo di spesa".  In  sostanza,  il comma 20 dell'art. 6 "autorizza le Regioni, le  Province  autonome  e gli enti del Servizio sanitario nazionale ...  a  determinare,  sulla base di una valutazione globale dei limiti di spesa puntuali  dettati dall'art. 6, l'ammontare complessivo dei risparmi  da  conseguire  e, quindi, a modulare in modo discrezionale, tenendo fermo quel vincolo, le percentuali di riduzione delle singole voci di  spesa  contemplate nell'art. 6".

    Da tali  considerazioni  ed  argomentazioni  risulta  chiaramente l'illegittimita' di una norma che pretende di  vincolare  le  Regioni specificamente al rispetto di uno  dei  vincoli  posti  dall'art.  6, cioe' a quello risultante dal comma 5 di esso: infatti, si tratta  di un limite ad una voce minuta di spesa,  non  transitorio  e  che  non lascia margine di scelta alle Regioni, indicando  gia'  il  modo  per conseguire il risparmio.

    E' dunque evidente  che  l'art.  6,  comma  5,  non  puo'  essere considerato principio di  coordinamento  della  finanza  pubblica  e, dunque, non puo' far  scattare  un  dovere  di  adeguamento  anche  a prescindere da quanto disposto dall'art. 79 dello Statuto speciale.

    L'illegittimita' della norma e' altrettanto palese se considerata in relazione allo Statuto speciale.

    L'art. 79 dello Statuto, introdotto dalla legge n. 191  del  2009 con la procedura prevista dall'art.  104  dello  Statuto,  disciplina esaustivamente il concorso della Provincia  "al  conseguimento  degli obiettivi di perequazione  e  di  solidarieta'  e  all'esercizio  dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'  all'assolvimento degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti   dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa statale" (comma 1), stabilendo che "le  misure  di  cui  al  comma  1 possono essere modificate esclusivamente con  la  procedura  prevista dall'articolo  104  e  fino   alla   loro   eventuale   modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica  di  cui al comma 1" (comma 2).

    Il comma 3 aggiunge che, "al fine di assicurare il concorso  agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e  le  province  concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli  obblighi  relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi  di  bilancio da conseguire  in  ciascun  periodo",  e  che,  "fermi  restando  gli obiettivi complessivi  di  finanza  pubblica,  spetta  alle  province stabilire gli obblighi relativi al  patto  di  stabilita'  interno  e provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento  agli  enti locali,  ai  propri  enti  e  organismi  strumentali,  alle   aziende

sanitarie,  alle  universita'  non  statali  ...,  alle   camere   di commercio, industria, artigianato e agricoltura e agli altri enti  od organismi a ordinamento  regionale  o  provinciale  finanziati  dalle stesse in via ordinaria". Si ribadisce inoltre che "non si  applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti  nel  restante territorio nazionale" e si precisa  che  "le  province  vigilano  sul raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da  parte  degli enti di cui al presente comma ed esercitano sugli stessi il controllo successivo sulla gestione".

    Anche dal comma 4 risulta che le  disposizioni  statali  relative all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal presente articolo".

    Infine, lo stesso comma 4 precisa, per i rapporti  con  le  norme statali che non siano direttamente misure di  finanza  pubblica,  che "la regione e le province provvedono alle finalita' di  coordinamento della  finanza  pubblica   contenute   in   specifiche   disposizioni legislative  dello  Stato,  adeguando  la  propria  legislazione   ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5".

    Dunque, poiche' l'art. 22, comma 3, contiene  una  norma  che  e' chiaramente volta al  coordinamento  finanziario,  l'applicazione  di essa alla Provincia si pone  in  contrasto  con  l'art.  79  St.:  in particolare - per quel che riguarda gli enti ed organismi  sottoposti alla vigilanza della Provincia - con il comma 1, con il comma 2 e con il comma 3, secondo e terzo periodo,  perche'  si  introduce  per  la Provincia  un'ulteriore  modalita'  di  concorso  agli  obiettivi  di finanza pubblica, diversa ed aggiuntiva rispetto  a  quelle  previste dal predetto articolo 79, e si parificano le Province  autonome  alle Regioni  ordinarie,  mentre  l'art.  79   in   piu'   punti   esclude l'applicazione alle Province  delle  misure  valevoli  per  le  altre Regioni.

    In relazione agli enti ed  organismi  sottoposti  alla  vigilanza degli enti locali situati nella provincia, l'art. 22, comma 3,  viola l'art. 79, comma 3, secondo e terzo periodo, in quanto nel potere  di coordinamento finanziario degli enti locali e' chiaramente ricompreso quello di coordinamento finanziario degli enti strumentali degli enti locali. Non si possono estendere, dunque, al  territorio  provinciale le misure riguardanti in generale gli enti locali.

    Il contrasto tra l'art. 22, comma 3, dell'impugnato decreto-legge e l'art. 79 St. comporta anche la violazione degli artt. 103,  104  e 107 dello Statuto e del principio di  leale  collaborazione,  perche' una  fonte  primaria  ordinaria,  adottata  unilateralmente,  non  e' abilitata a  derogare  ad  una  norma  statutaria,  adottata  con  la speciale procedura di cui all'art. 104 St.

    E' anche da ricordare che la Provincia di Trento e'  titolare  di competenza  legislativa  primaria  in   materia   di   organizzazione amministrativa, compresa quella degli enti collegati (art. 8,  n.  1, St.) e di potesta' legislativa  concorrente  in  materia  di  finanza locale (art. 80, St., integrato dall'art.  17,  comma  3,  d.lgs.  n. 268/1992, secondo il quale "le  province  disciplinano  con  legge  i criteri  per  assicurare  un  equilibrato  sviluppo   della   finanza comunale"), esercitata con la l.p. 36/1993 (v. in particolare  l'art. 3). L'art. 22, comma 3,  viola  queste  norme,  perche'  pretende  di vincolare la Provincia, in  materie  provinciali,  ad  una  norma  di dettaglio, che - come visto nella prima parte di questo motivo -  non puo' essere qualificata come principio fondamentale  e,  dunque,  non puo'  condizionare  la  potesta'  concorrente  e  tanto  meno  quella primaria.

    4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 3.

    L'art. 28 ha ad oggetto  il  Concorso  alla  manovra  degli  Enti territoriali e ulteriori riduzioni di spese. Il  comma  3  stabilisce quanto segue: "Con le  procedure  previste  dall'articolo  27,  della legge 5 maggio 2009, n. 42,  le  Regioni  a  statuto  speciale  e  le Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano  assicurano,  a  decorrere dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui.  Con  le  medesime  procedure  le  Regioni  Valle  d'Aosta   e Friuli-Venezia Giulia e le Province  autonome  di  Trento  e  Bolzano assicurano, a decorrere dall'anno  2012,  un  concorso  alla  finanza pubblica di 60 milioni di euro annui, da parte dei  Comuni  ricadenti nei proprio territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo complessivo di 920  milioni e' accantonato, proporzionalmente alla  media  degli  impegni  finali registrata per ciascuna autonomia nel triennio  2007-2009,  a  valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali".

    Siamo, dunque, di fronte ad una ulteriore  rilevante  sottrazione di risorse alle Regioni speciali, che si aggiunge a  quelle  previsti dall'art.  14,  decreto-legge  78/2010,  dall'art.   20,   comma   5, decreto-legge 98/2011 e dall'art. 1, comma 8, decreto-legge 138/2011, come sintetizzati e ripartiti dal comma 10 dell'art. 32  della  legge n. 183 del 2011 (quest'ultimo oggetto di impugnazione da parte  della Provincia).

    In piu', viene disposto un taglio di risorse anche a carico degli enti locali situati nei territori delle autonomie speciali dotate  di competenza in materia di  finanza  locale.  Quest'ultimo  taglio,  in realta', incide in sostanza sempre sulla Provincia, come risulta  dal terzo periodo del comma 3 e dall'art. 81, comma 2, St.,  che  vincola la Provincia  a  finanziare  adeguatamente  i  comuni  (esso  dispone infatti che  "allo  scopo  di  adeguare  le  finanze  dei  comuni  al raggiungimento  delle  finalita'  e  all'esercizio   delle   funzioni stabilite  dalle  leggi,  le  province  di  Trento   e   di   Bolzano corrispondono ai comuni stessi idonei mezzi finanziari, da concordare fra il Presidente della  relativa  Provincia  ed  una  rappresentanza unitaria  dei   rispettivi   comuni").   Comunque,   in   base   alla giurisprudenza costituzionale le Regioni sono legittimate a difendere davanti alla Corte  anche  l'autonomia  finanziaria  dei  comuni  (v. sentt. 298/2009, 278/10, punto  14.1,  169/2007,  punto  3,  95/2007, 417/2005, 196/2004, 533/2002).

    La sottrazione di risorse qui contestata non ha in effetti alcuna base statutaria.

    Al contrario,  le  disposizioni  dello  Statuto,  a  partire  dal fondamentale art. 75, sono rivolte ad assicurare  alla  Provincia  le finanze necessarie all'esercizio delle funzioni: ed e' chiaro che  la devoluzione statutaria di importanti percentuali dei tributi riscossi nella provincia non avrebbe alcun senso, se poi fosse consentito alla legge ordinaria dello Stato di riportare all'erario tali risorse, per di piu' con determinazione unilaterale e meramente potestativa.  

    Per di piu', come gia' piu'  volte  ricordato,  l'art.  79  dello Statuto di autonomia disciplina ormai in modo preciso,  esaustivo  ed esclusivo le regole  secondo  le  quali  le  Province  assolvono  gli "obblighi   di   carattere   finanziario    posti    dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa statale" (comma 1): e - come lo stesso art. 79 esplicitamente precisa - tali  regole  "possono  essere  modificate  esclusivamente  con  la procedura  prevista  dall'articolo  104",  mentre  "fino  alla   loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli  obiettivi  di finanza pubblica di cui  al  comma  1"  (comma  2).  Ed  il  comma  4 ribadisce che "le disposizioni statali relative all'attuazione  degli obiettivi  di'  perequazione   e   di   solidarieta'.   non   trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e  sono  in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo".

    Il comma 3 dell'art. 79 attribuisce alle Province autonome poteri di coordinamento finanziario con riferimento agli  enti  locali,  nel quadro della generale competenza legislativa provinciale  in  materia di finanza locale prevista dall'art. 80 St.  Nell'esercizio  di  tale competenza e' stata adottata la l.p. 36/1993, il cui art.  3  dispone tra  l'altro  che  "in  sede  di  definizione  dell'accordo  previsto dall'articolo 81 dello Statuto speciale sono  stabilite,  oltre  alla quantita' delle risorse finanziarie da trasferire ai  comuni  e  agli altri enti locali, le misure necessarie a garantire il  coordinamento della  finanza  comunale  e  quella  provinciale,   con   particolare riferimento alle misure  previste  dalla  legge  finanziaria  per  il perseguimento degli obiettivi della finanza provinciale correlati  al patto di stabilita' interno".

    Con le disposizioni statutarie sopra ricordate  l'impugnato  art. 28, comma 3, si pone in insanabile conflitto.

    Le  risorse  spettanti  alla   Provincia   non   possono   essere semplicemente "acquisite" dallo Stato, mentre la Provincia  stessa  e gli enti locali concorrono al risanamento della finanza pubblica  nei modi direttamente previsti dall'art. 79 o comunque in quelli regolati dall'art. 79 (v. il comma 3). Si tratta di un  regime  speciale,  che non puo' essere alterato unilateralmente dal legislatore ordinario.

    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente riconosciuto  nella  giurisprudenza  costituzionale:  v.  le   sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010.

    Non puo' ingannare, in questo come negli altri  casi,  il  rinvio alle norme di attuazione dello Statuto.      In primo luogo, l'accantonamento previsto in attesa  delle  norme di attuazione e'  gia'  autonomamente  lesivo,  traducendosi  in  una sottrazione delle risorse disponibili per la Provincia, al  di  fuori delle regole di coordinamento finanziario stabilite dall'art. 79  (v.

anche argomenti esposti sopra).

    In secondo luogo, quanto alle stesse norme di attuazione,  l'art. 79 e' modificabile solo con la procedura di cui all'art.  104  St.  e non in sede di attuazione.  In  terzo  luogo,  l'art.  28,  comma  3, determina (illegittimamente) un vincolo di contenuto per le norme  di attuazione,  per  cui  il  rinvio  alla  fonte  "concertata"   appare fittizio. Inoltre, "fino all'emanazione delle norme di attuazione ... l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato. a  valere  sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali". Dunque, la riduzione delle  risorse  e'  operata  direttamente   e   unilateralmente   dal legislatore statale, in contrasto con lo Statuto e con  il  principio consensuale che domina i rapporti tra Stato  e  Regioni  speciali  in

materia finanziaria (v. le sentt. sopra citate).

    In definitiva, come detto, l'art. 28, comma 3,  viola  l'art.  79 St., commi 1, 2, e 4,  primo  periodo,  perche'  i  modi  in  cui  la Provincia concorre  al  raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza pubblica o sono fissati direttamente dallo stesso  art.  79  o  vanno concordati tra Stato e Provincia, sempre in base all'art. 79.

    Corrispondentemente, e'  violato  l'art.  104,  che  richiede  il consenso della Provincia per la modifica delle norme  del  Titolo  VI dello Statuto.

    Inoltre, e' violato l'art. 107 St., perche'  una  fonte  primaria pretende di vincolare il contenuto delle norme di attuazione.

    Ancora, il terzo periodo dell'art. 28, comma 3, viola  l'art.  75 St., perche' diminuisce l'importo spettante alla Provincia  a  titolo di compartecipazioni, in base alla suddetta norma statutaria.

    Si noti che le censure sopra svolte valgono ugualmente alla quota di 60 milioni di curo che lo Stato esige dalla  Provincia  di  Trento come "da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio".

    Se la  Provincia  di  Trento,  come  esposto,  ha  il  dovere  di contribuire con le proprie risorse alla finanza  dei  propri  comuni, non fa certo invece parte dei suoi compiti di fungere in relazione ad essi da esattore per conto dello Stato. Ne' lo Stato ha alcun  titolo per esigere dalla Provincia  di  Trento  somme  che  esso  ritenga  a qualunque titolo dovute dai comuni. Si tratta di risorse che spettano alla Provincia per Statuto, e che non possono essere destinate se non secondo le previsioni statutarie, che non sono suscettibili di essere alterate dalla legge ordinaria dello Stato.

    E', poi, ulteriormente e specificamente illegittimo e  lesivo  il terzo periodo dell'art. 28, comma 3, la' dove prevede il criterio del riparto  dell'accantonamento  ("proporzionalmente  alla  media  degli impegni  finali  registrata  per  ciascuna  autonomia  nel   triennio 20072009").  Infatti,  tale  criterio  non  risulta  in  alcun   modo pariteticamente concordato tra Stato e Regioni speciali, in contrasto con  il  principio  consensuale  di   cui   sopra,   oggi   stabilito espressamente nello Statuto speciale per la determinazione del  patto di stabilita' (e  comunque  sempre  seguito  nelle  precedenti  leggi finanziarie dello Stato).

    Infine, risulta illegittimo il quarto periodo dell'art. 28, comma 3, secondo il  quale,  in  relazione  al  riparto  della  sottrazione complessiva di risorse tra le diverse  autonomie  speciali,  "per  la Regione Siciliana si tiene conto  della  rideterminazione  del  fondo sanitario nazionale per effetto del comma 2".

    Posto che il richiamato comma 2 stabilisce che "l'aliquota di cui al comma 1" (cioe' l'aumento dell'aliquota di  base  dell'addizionale regionale all'IRPEF, regolata dall'art. 6 d.lgs. n. 68/2011, da 0,9 a 1,23 ) "si applica anche alle Regioni a statuto  speciale  e  alle Province autonome di'  Trento  e  Bolzano",  la  disposizione  appare particolarmente oscura.

    Tuttavia, essa sembra interpretabile nel senso che la  quota  del taglio previsto nell'art. 28, comma 3 (? 860 milioni),  che  dovrebbe essere addossata alla  Regione  Siciliana,  deve  essere  ridotta  in corrispondenza alle minori risorse del Fondo sanitario destinate alla Regione stessa.

    Posto che di cio' si tratti, e' chiaro che, in  questo  modo,  si altererebbe addirittura in peggio  per  la  ricorrente  Provincia  il criterio proporzionale fissato dal terzo periodo del  comma  3  e  si addosserebbe irragionevolmente  alle  altre  autonomie  speciali  una quota parte del finanziamento della  spesa  sanitaria  della  Regione Siciliana.

    Ne risulterebbe la violazione dell'art.  3  Cost.  e  la  lesione dell'autonomia finanziaria e amministrativa della Provincia,  perche' la Provincia di Trento - oltre a finanziare la propria sanita' con il proprio bilancio - verrebbe chiamata a contribuire  al  finanziamento parziale di quella siciliana (v., per l'ammissibilita' di una censura ex  art.  3  Cost.,  ad  es.,  la  sent.  16/2010,  punto  5.1),  con inevitabili ripercussioni sulle  proprie  funzioni  amministrative  e sulla propria autonomia di spesa.

    5) Illegittimita' costituzionale dell'art. 43, comma 8.

    Nel capo dedicato alle Misure per Io  sviluppo  infrastrutturale, l'art. 43, commi da 7 a 15, introduce  norme  concernenti  le  grandi dighe.

    Viene qui in considerazione il comma 8, il quale cosi' dispone:

    "Ai fini del  mantenimento  delle  condizioni  di  sicurezza,  il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di  concerto  con  il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e  del  mare  e d'intesa con le regioni  e  le  province  autonome  di  Trento  e  di Bolzano, individua, entro il 30 giugno 2013, in ordine di priorita' e sulla base anche dei progetti  di  gestione  degli  invasi  ai  sensi dell'articolo 114 del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152,  e successive modificazioni, le grandi dighe per le quali, accertato  il concreto  rischio  di  ostruzione  degli  organi  di  scarico,  siano necessarie e urgenti l'adozione di interventi  nonche'  la  rimozione dei sedimenti accumulatisi nei serbatoi. Le  regioni  e  le  province

autonome nei cui territori sono presenti le grandi dighe per le quali sia stato rilevato il rischio di ostruzione degli organi di scarico e la conseguente necessita' e urgenza  della  rimozione  dei  sedimenti accumulati nei serbatoi individuano idonei  siti  per  lo  stoccaggio definitivo di tutto il materiale e sedimenti asportati in  attuazione dei suddetti interventi".

    La ricorrente Provincia ritiene che la  citata  disposizione  sia stata dettata  sulla  base  di  un  positivo  intento  collaborativo; tuttavia, nella concreta situazione  di  fatto  e  di  diritto  della Provincia autonoma di Trento,  del  tutto  diversa  da  quella  delle regioni a statuto ordinario, essa si traduce nella interferenza degli organi statali in un complesso di beni e di funzioni che fanno  parte delle proprie  competenze  statutarie,  e  che  essa  ha  titolo  per esercitare e gestire, nel solo quadro definito dallo statuto e  dalle norme di attuazione: che prevede  anche  ruoli  statali  (ad  esempio nella condivisione del Piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche, PGUAP), ma non i compiti - ed i conseguenti vincoli per la Provincia - previsti dall'impugnato art. 43, comma 8.

    Di seguito occorre dunque  tracciare  il  quadro  delle  speciali attribuzioni provinciali, e dei rapporti con lo Stato nella  materia, quale risulta dallo statuto di autonomia e dalle norme di attuazione.

    La Provincia di Trento  e'  titolare  di  competenza  legislativa primaria, nonche' delle funzioni amministrative, in materia di "opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' pubbliche" (art. 8, n. 13, e art. 16  St.):  la  prevenzione,  si  noti,  e'  esattamente l'oggetto e l'ambito della disposizione dell'art. 43, comma 8.

    Inoltre, essa e' titolare di potesta' primaria e  delle  connesse funzioni amministrative in materia di "opere idrauliche della  terza, quarta e quinta categoria" (art. 8, n. 24, e art. 16 St.), mentre per le opere di prima e seconda categoria  opera  la  delega  integrativa previste dalle norme di attuazione (articolo 7 d.P.R.  n.   381/1974) di cui subito si dira'.

    Essa e' altresi' titolare di potesta' legislativa  concorrente  e delle funzioni amministrative  in  materia  di  "utilizzazione  delle acque pubbliche" (art. 9, n. 9, e art. 16 St.). L'art. 14,  comma  3, St. integra tale previsione disponendo,  come  sopra  accennato,  che "l'utilizzazione delle acque pubbliche da parte dello Stato  e  della provincia, nell'ambito della rispettiva competenza, ha luogo in  base a un piano generale stabilito d'intesa  tra  i  rappresentanti  dello Stato e della provincia in seno a un apposito  comitato".  Il  Piano, che "vale anche, per il rispettivo territorio, quale piano di  bacino

di rilievo nazionale" (art. 5, comma 4, del d.P.R. n.  381/1974),  e' pienamente operante, essendo  stato  reso  esecutivo  con  d.P.R.  15 febbraio 2006.

    Le  norme  statutarie  sono  state  attuate  da  diversi  decreti legislativi, sia in relazione ai beni che in relazione alle funzioni.

    Quanto ai beni,  l'art.  8,  comma  1,  lettera  e),  d.P.R.  n. 115/1973, dispone che sono trasferiti alle Province autonome tutti  i beni del demanio idrico, "compresi le aree fluviali, gli alvei  e  le pertinenze, i ghiacciai e i  laghi,  nonche'  le  opere  di  bonifica valliva e montana, le opere di sistemazione  idraulico-forestale  dei bacini montani, le opere idrauliche  e  gli  altri  beni  immobili  e mobili  strumentali  all'esercizio  delle  funzioni  conferite   alle province riguardo  al  demanio  medesimo".  E  l'art.  5  d.P.R.  n.  381/1974 precisa che, "in relazione al  trasferimento  alle  province autonome di Trento e di  Bolzano  del  demanio  idrico,  le  province

stesse esercitano tutte le attribuzioni inerenti alla titolarita'  di tale  demanio  ed  in  particolare  quelle  concernenti  la   polizia idraulica" (comma 1).

    Quanto alle rimanenti funzioni, l'art.  1,  d.P.R.  n.   381/1974 stabilisce che "le attribuzioni dell'amministrazione dello  Stato  in materia  di  urbanistica,  di  edilizia  comunque  sovvenzionata,  di utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di prevenzione  e  pronto   soccorso   per   calamita'   pubbliche,   di espropriazione per pubblica utilita',  di  viabilita',  acquedotti  e lavori pubblici di interesse provinciale, esercitate sia direttamente dagli organi centrali e periferici dello Stato sia per il tramite  di enti e di istituti pubblici a carattere nazionale o  sovra provinciali e quelle gia' spettanti alla regione Trentino-Alto Adige nelle stesse materie, sono esercitate per il rispettivo territorio dalle  province di Trento e di Bolzano". Anche  in  questo  caso  sia  consentito  di sottolineare che si tratta esattamente dello stesso ambito  materiale oggetto dell'art. 43, comma 8.

    Come sopra anticipato, anche  le  funzioni  relative  alle  opere idrauliche di prima e seconda  categoria  spettano  per  delega  alle Province autonome, in forza dell'articolo 7 d.P.R.  n.   381/1974,  e l'art. 18 precisa che "si intendono sostituiti gli organi centrali  e periferici dello Stato con gli organi della provincia in tutti i casi in cui le disposizioni vigenti  nelle  materie  di  cui  al  presente decreto facciano riferimento a funzioni amministrative degli organi o degli uffici  centrali  o  periferici  dello  Stato".  Le  competenze statali residue sono elencate dall'art. 19, ma tra  esse  non  vi  e' alcuna  funzione  riferibile  alle  grandi  dighe  (rimangono  invece riservate allo Stato le opere  di  prevenzione  relative  agli  altri oggetti indicati dalle lettere da a ad e del comma 1).

    Codesta Corte  ha  di  recente  confermato  la  competenza  della Provincia nella materia de qua, in una sentenza (la 109/2011)  avente ad oggetto una  legge  statale  che  attribuiva  funzioni  ad  organi statali per fronteggiare  situazioni  di  rischio  idrogeologico.  La Corte ha richiamato la competenza provinciale di cui all'art.  8,  n. 13, St. ("opere di prevenzione e di  pronto  soccorso  per  calamita' pubbliche"), Osservando che "a tale nozione (con particolare riguardo al concetto di  'prevenzione')  e'  riconducibile  anche  il  rischio idrogeologico, ancorche' esso non formi  oggetto  di  una  previsione specifica, considerata anche  la  competenza  legislativa  attribuita

alla provincia in materia di utilizzazione delle acque pubbliche.  Ai sensi dell'art. 9, primo comma, n. 9, dello  statuto  di  autonomia". Inoltre la Corte ha menzionato l'art. 14 St. e l'art.  1  d.P.R.  n.  381/1974, sopra citati.

    Dunque, l'art.  43,  comma  8,  primo  periodo,  attribuendo  una funzione amministrativa  al  Ministero  delle  infrastrutture  e  dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'ambiente  (seppur  anche d'intesa con le regioni  e  le  province  autonome  di  Trento  e  di Bolzano), in una materia di competenza provinciale,  viola  le  norme statutarie e di attuazione sopra citate: v. in particolare l'art.  8, n. 13 e n. 24, St., l'art. 9, n. 9), St.), l'art. 16 St.,  gli  artt. 1, 5, comma 1, 19  e  da  33  a  37  d.P.R.  n.   381/1974,  che  non comprendono la funzione oggetto dell'art. 43, comma 8, fra quelle  di competenza statale. E' da precisare che, nelle materie di  competenza

provinciale in base allo Statuto, e' ancora operante il principio del parallelismo di cui all'art. 16 St. (v. sent. 236/2004).

    Per le stesse ragioni l'art. 43, comma 8, primo periodo, si  pone in contrasto anche con l'art. 4, d.lgs. n. 266/1992, in base al quale "nelle materie di competenza propria della regione o  delle  province autonome !a legge non puo' attribuire agli  organi  statali  funzioni amministrative,   comprese   quelle   di   vigilanza,   di    polizia amministrativa  e  di  accertamento  di  violazioni   amministrative, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale  e le relative norme di attuazione".

    L'art. 43, comma 8, secondo periodo, per parte sua si riferisce a compiti  (l'individuazione  di  siti  idonei  allo   stoccaggio   dei sedimenti  rimossi)  che  fanno  naturalmente  parte  delle  funzioni amministrative provinciali: ma non spetta allo Stato di  imporne  uno specifico atto di  esercizio,  in  connessione  con  l'esercizio  dei predetti poteri  statali.  Inoltre,  la  diretta  imposizione  di  un adempimento amministrativo viola l'art. 2 d.lgs. n. 266/1992, secondo il quale nelle materie di competenza provinciale  spetta  alla  legge provinciale di recepire  la  legislazione  statale,  in  quanto  tale

recepimento sia dovuto.

    6) Illegittimita' costituzionale dell'art. 48.

    L'art. 48 contiene una generale "clausola di finalizzazione".

    In base al comma 1, "le maggiori entrate erariali  derivanti  dal presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di  cinque anni,   per   essere   destinate   alle   esigenze   prioritarie   di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea,  anche  alla  luce  della  eccezionalita'  della  situazione economica internazionale". Si prevede poi che "con  apposito  decreto dei Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  sono  stabilite  le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso  separata contabilizzazione".

    Il comma 1-bis aggiunge  che,  "ferme  restando  le  disposizioni previste dagli articoli 13,  14  e  28,  nonche'  quelle  recate  dal presente articolo,  con  le  norme  di  attuazione  statutaria.  Sono definiti le modalita' di applicazione e gli  effetti  finanziari  del presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le  province autonome di Trento e di Bolzano".

    Tale comma 1-bis, con il suo "rinvio" alle  norme  di  attuazione dello statuto, ha l'apparenza di una clausola di  salvaguardia  delle autonomie speciali e delle loro regole statutarie: ma al tempo stesso la disposizione ribadisce la  diretta  applicazione  non  solo  degli articoli 13, 14  e  28,  ma  anche  delle  disposizioni  "recate  dal presente articolo": dunque, il regime di cui all'art. 48, comma 1, si riferisce anche alle entrate percepite nella provincia di Trento.  

    Maggiori entrate erariali deriveranno, ad esempio,  dall'art.  10 (a seguito dell'emersione della base imponibile), dall'art.  15  (che aumenta le aliquote di accisa  sui  carburanti),  dall'art.  16  (che aumenta la tassa automobilistica per le auto di lusso e istituisce la tassa  annuale  di  stazionamento  sulle  imbarcazioni  e   l'imposta erariale sugli aeromobili privati),  dall'art.  18  (che  aumenta  le aliquote Iva), dall'art. 19 (che aumenta l'imposta di bollo  relativa a conti correnti e  strumenti  finanziari,  introduce  un'imposta  di bollo  speciale  annuale  sulle  attivita'  finanziarie   che   hanno beneficiato del c.d. scudo fiscale e un'imposta straordinaria per  le stesse  attivita'  se  gia'  prelevate  dal  rapporto  di   deposito, istituisce un'imposta sul valore degli immobili situati all'estero  e

istituisce un'imposta sul valore delle attivita' finanziarie detenute all'estero dalle  persone  fisiche  residenti  nel  territorio  dello Stato),  dall'art.   20   (in   materia   di   riallineamento   delle partecipazioni) e dall'art. 24 (il cui comma 31 regola la  tassazione delle  indennita'  di  fine  rapporto  di  importo   complessivamente eccedente euro 1.000.000 e dei  compensi  e  indennita'  a  qualsiasi titolo erogati agli amministratori delle societa' di capitali, ed  il cui comma 31-bis aumenta il contributo  di  solidarieta'  sulle  c.d. pensioni d'oro).

    Ad avviso della ricorrente Provincia la riserva di tali  maggiori entrate all'erario e' illegittima per le ragioni di seguito esposte.

    L'art. 75 dello Statuto attribuisce "alle  province  le  seguenti quote del gettito delle sottoindicate entrate tributarie dello Stato, percette nei rispettivi territori provinciali: a) i nove decimi delle imposte di registro e di bollo, nonche' delle  tasse  di  concessione governativa; ... d) i sette decimi dell'imposta sul  valore  aggiunto ...; j) i nove decimi del gettito dell'accisa  sulla  benzina,  sugli oli da gas per autotrazione e  sui  gas  petroliferi  liquefatti  per autotrazione erogati dagli  impianti  di  distribuzione  situati  nei territori delle due province, nonche'  i  nove  decimi  delle  accise sugli altri prodotti energetici ivi consumati; g) i  nove  decimi  di tutte le altre entrate  tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,

comunque  denominate,  inclusa  l'imposta  locale  sui  redditi,   ad eccezione di quelle di spettanza regionale o di altri enti pubblici".

    L'art. 48, comma 1, dunque, riservando  all'Erario  le  "maggiori entrate   erariali   derivanti   dal   presente   decreto",   risulta contrastante  con  l'art.  75  dello  Statuto,  che  garantisce  alle Province ben precise compartecipazioni a tutti i tributi erariali.

    Ne' si potrebbe  affermare  che  la  riserva  all'erario  di  cui all'art. 48 sia giustificata in virtu' del d.lgs. n. 268/1992.  Essa, infatti, non rispetta affatto i requisiti posti dall'art. 9 d.lgs. n. 268/1992  per  la  riserva  all'erario  del  "gettito  derivante   da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi".

    Come gia' esposto sopra, tali requisiti sono  stati  sintetizzati dalla sentenza di codesta Corte n. 182/2010, secondo la  quale  "tale articolo richiede, per la legittimita' della riserva statale, che:

        a) detta riserva sia giustificata da  «finalita'  diverse  da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10  e  al  comma  1,  lettera  b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del  1992,  e  cioe'  da finalita'  diverse  tanto  dal  «raggiungimento  degli  obiettivi  di riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto  dalla copertura di «spese derivanti dall'esercizio delle  funzioni  statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b);

        b) il gettito sia destinato per  legge  «alla  copertura,  ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche  spese  di carattere  non  continuativo  che  non  rientrano  nelle  materie  di competenza della  regione  o  delle  province,  ivi  comprese  quelle relative a calamita' naturali»;

        c)  il  gettito  sia   «temporalmente   delimitato,   nonche' contabilizzato  distintamente   nel   bilancio   statale   e   quindi quantificabile»".

    Ora, l'assenza dei requisiti sub a) e b)  e'  evidente.  Infatti, l'art. 48 riserva all'Erario "le maggiori entrate erariali  derivanti dal presente decreto" (per un  periodo  di  cinque  anni,  attraverso separata contabilizzazione) per destinarle "alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica  concordati  in sede europea, anche alla luce della eccezionalita'  della  situazione economica internazionale". In questi termini, la norma  censurata  ha la medesima finalita' di cui all'art. 10, comma 6, d.lgs. n. 268/1992 («raggiungimento  degli  obiettivi  di  riequilibrio  della   finanza pubblica»), il che gia' da se' esclude la sussistenza  del  requisito indicato sub a) nella sent. 182/2010 (che la riserva sia giustificata da finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art.  10  e  al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del

l992).

    Ugualmente la disposizione impugnata non  soddisfa  il  requisito sub b), in quanto essa non  destina  le  maggiori  entrate  a  "nuove specifiche spese": non si tratta  di  "spese",  ne'  la  destinazione allude a qualcosa di "nuovo" e di "specifico". E' da ricordare che la sent. 182/2010 fece  salva  la  norma  impugnata  in  quell'occasione (l'art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1°  luglio  2009,  n.  78) proprio  in  quanto  essa  destinava  il  gettito  dell'imposta   "al finanziamento  della  ripresa  economica,  quali:  il  sostegno  alle imprese, anche attraverso il finanziamento del fondo  di  garanzia  e l'alleggerimento del carico fiscale.; gli interventi sul mercato  del lavoro, anche attraverso il finanziamento del fondo per l'occupazione ...; il finanziamento degli investimenti  pubblici,  con  particolare riguardo alle infrastrutture e alle attivita' di ricerca  e  sviluppo ...; il supporto alle famiglie, con misure di salvaguardia del potere d'acquisto,  di  tutela  dei  piccoli  risparmiatori,   di   risposta all'emergenza abitativa  ...;  il  finanziamento  della  cooperazione internazionale allo sviluppo...;  il  finanziamento  delle  opere  di ricostruzione dell'Abruzzo". Si tratta, come si puo' vedere, di spese e finalita' nuove e specifiche,  ben  diverse  dal  mero  e  generale "raggiungimento degli obiettivi di  finanza  pubblica  concordati  in sede europea".

    Escluso che l'art. 48 possa trovare fondamento nell'art. 9 d.lgs. n. 268/1992, e' anche da escludere che esso possa ricondursi all'art. 10 e all'art. 10-bis del medesimo decreto.  

    In primo luogo, abrogato l'art. 78 dello Statuto e  soppressa  la somma spettante in base ad esso (v. anche l'art. 79, comma  1,  St.), sono da ritenere inapplicabili le norme attuative dell'art. 78, quale l'art. 10, d.lgs. n. 268/1992. Questo vale anche per l'art. 10, comma 6, strettamente connesso alla disciplina dell'accordo (menzionato  in due punti del comma  6)  relativo  alla  determinazione  della  quota variabile, ora soppressa.

    Inoltre, l'art. 10, comma 6, prevedeva un meccanismo  consensuale per far partecipare le Province "al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica", che e' stato ora sostituito  da quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo.

Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale  dell'art.  79, comma 4, secondo cui "le disposizioni statali relative all'attuazione degli  obiettivi  di  perequazione  e  di  solidarieta',  nonche'  al rispetto degli obblighi derivanti dal patto  di  stabilita'  interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal  presente articolo".

    Qualora, in denegata ipotesi, non si  ritenesse  superato  l'art. 10, comma 6, si dovrebbe perlomeno riconoscere che la  determinazione della quota in questione dovrebbe pur sempre rispettare il  principio di leale collaborazione e, in particolare, il  principio  consensuale che domina le  relazioni  finanziarie  fra  lo  Stato  e  le  Regioni speciali. In  altre  parole,  anche  venuto  meno  l'accordo  per  la determinazione della quota variabile, lo  Stato  avrebbe  pur  sempre dovuto cercare l'accordo con la  Provincia  di  Trento,  non  potendo unilateralmente alterare le  regole  sulle  compartecipazioni  e  gli strumenti con cui la Provincia partecipa al risanamento  finanziario, disciplinati dall'art. 79 dello Statuto.

    Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari  fra  Stato  e Regioni speciali e' dominato dal principio  dell'accordo,  pienamente riconosciuto nella  giurisprudenza  costituzionale  (v.  le  sentenze citate nel motivo 1 del ricorso).

    In  effetti,  e'  assolutamente  incongruo  ed  ad  avviso  della Provincia  illegittimo  che  lo  Stato,  con   una   fonte   primaria unilateralmente adottata, alteri in modo  cosi'  rilevante  l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Provincia, laddove  il  principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa materia  ed  e'  stato ribadito proprio con la recente riforma statutaria.

    Inoltre, la norma impugnata  non  rispetta  l'art.  10,  comma  6 (sempre nella denegata ipotesi che esso  sia  ritenuto  applicabile), anche perche' riserva all'erario tutte "le maggiori entrate",  mentre la norma di attuazione limita ad "una quota del  previsto  incremento del  gettito  tributario"  la  possibilita'   di   destinazione   "al raggiungimento  degli  obiettivi  di   riequilibrio   della   finanza pubblica".

    Ancora, l'art. 48, comma 1, del decreto-legge n. 201/2011 si pone in contrasto con  l'art.  79  dello  Statuto,  che  -  come  visto  - stabilisce  che  "le  province  concorrono  al  conseguimento   degli obiettivi di perequazione  e  di  solidarieta'  e  all'esercizio  dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'  all'assolvimento degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti   dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa statale" nei  modi  di  seguito  indicati  e  "con  le  modalita'  di coordinamento della finanza pubblica definite al comma 3" (comma  1), aggiungendo  che  "le  misure  di  cui  al  comma  1  possono  essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione  costituiscono  il  concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1" (comma 2).

    Sia il comma 3 (" Non si applicano  le  misure  adottate  per  le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale")  che il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alle Province delle norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni.

    Poiche' l'art. 48 riserva  le  maggiori  entrate  "alle  esigenze prioritarie di' raggiungimento degli obiettivi  di  finanza  pubblica concordati in sede europea", ne deriva la violazione  delle  norme  - sopra citate - contenute nell'art. 79 St., che configurano un sistema completo  di  concorso  delle  Province  agli  obiettivi  di  finanza pubblica, non derogabile se  non  con  le  modalita'  previste  dallo Statuto.

    Infine, proprio perche' agli artt. 75 e 79 St.  e  al  d.lgs.  n. 268/1992 si e'  derogato  con  una  fonte  primaria  "ordinaria"  (in realta', un decreto-legge convertito),  l'art.  48  viola  anche  gli artt. 103 (che prevede il procedimento  di  revisione  costituzionale per le modifiche dello Statuto), 104 (che prevede la possibilita'  di modificare "le norme del titolo VI  ...  con  legge  ordinaria  dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto  di  rispettiva competenza, della regione o delle due province") e  l'art.  107  (che disciplina la  speciale  procedura  per  l'adozione  delle  norme  di attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale.

    Il secondo periodo dell'art.  48,  comma.  1,  dispone  che  "con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze ... sono stabilite  le  modalita'  di  individuazione  del  maggior   gettito, attraverso separata contabilizzazione". Si tratta dunque di una norma volta a regolare l'attuazione del primo periodo: la quale,  pertanto, e' affetta dai medesimi vizi sopra illustrati.

    In  subordine,  essa  e'  poi   censurabile   specificamente   ed autonomamente sotto  un  ulteriore  aspetto,  cioe'  per  la  mancata previsione dell'intesa con la Provincia di  Trento  in  relazione  al decreto che stabilisce le modalita'  di  individuazione  del  maggior gettito. Infatti, poiche' si tratta di  intervenire  in  relazione  a risorse che spetterebbero alla Provincia, in una materia dominata dal principio  consensuale,  risulta  specificamente   illegittima,   per violazione del principio di leale collaborazione, la previsione di un decreto ministeriale senza intesa con la Provincia di Trento.

    Come  gia'  ricordato,  il  comma  1-bis  dello  stesso  art.  48 statuisce che "ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle recate  dal  presente  articolo,  con  le norme di attuazione statutaria di cui all'articolo 27 della  legge  5 maggio 2009, n. 42, e  successive  modificazioni,  sono  definiti  le modalita' di applicazione  e  gli  effetti  finanziari  del  presente decreto per le regioni a statuto speciale e per le province  autonome di Trento e di Bolzano".

    Si sono gia' nei punti  precedenti  contestate  singolarmente  le disposizioni dei citati articoli 13, 14 e 28,  nonche'  quelle  dello stesso art. 48, comma 1. Ne' si vede - a parte quanto  disposto  gia' da tali articoli - che cosa d'altro rimarrebbe da disciplinare quanto alle "modalita' di applicazione" ed  agli  "effetti  finanziari"  del decreto n. 201.

    In ogni modo, anche tale ultima disposizione appare  illegittima, in  quanto  non  spetta  alla  legge  ordinaria  di  disciplinare  il contenuto delle norme di attuazione dello Statuto.

    Il solo senso legittimo che ad essa  si  puo'  attribuire  e'  la conferma della non applicazione del decreto  201  alla  Provincia  di Trento,  per  ogni  aspetto  per  il  quale  l'applicazione  non  sia espressamente prevista: ferme restando, ovviamente, le  contestazioni e le censure sopra esposte in relazione alle disposizioni di  cui  e' prevista l'applicazione.

 

 

                               P.Q.M.

 

    Chiede   voglia   codesta   Corte    costituzionale    dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo  13,  commi  11  e  17, terzo e quarto periodo;  dell'articolo  14,  comma  13-bis,  terzo  e quarto periodo; dell'articolo 22, comma 3; dell'articolo 28, comma 3;

dell'articolo 43, comma  8;  dell'articolo  48  del  decreto-legge  6 dicembre  2011,  n.  201,  Disposizioni  urgenti  per  la   crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici,  nelle  parti,  nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.

        Trento-Padova- Roma, 23 febbraio 2012

 

            Prof. avv. Falcon - Avv. Pedraz - Avv. Manzi

 

         

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