Ricorso n. 36 del 5 marzo 2015 (Regione veneto)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 5 marzo 2015 (della Regione Veneto).
(GU n. 15 del 2015-04-15)
Ricorso per la Regione Veneto (C.F. … e P. I.V.A.
…), in persona del Presidente della Giunta Regionale pro
tempore, dott. Luca Zaia (C.F. ..), in giudizio giusta
deliberazione di Giunta Regionale di data 24 febbraio 2015, n. 227
(doc. 1), rappresentato e difeso, come da mandato a margine del
presente atto, dall'avv. prof. Luigi Garofalo (c.f. …)
del Foro di Treviso, con domicilio eletto presso il suo studio in
Roma, Foro Traiano n. 1/A (per eventuali comunicazioni: fax
…, PEC …) contro il
Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, rappresentato e
difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale
e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della 1. 23 dicembre
2014, n. 190, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana in data 29 dicembre 2014, n. 300, avente a oggetto
"Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato", limitatamente all'art. 1, commi 418, 435 e 459, per
violazione
- con riguardo all'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014: degli
artt. 2, 3, 5, 117 e 119 Cost.;
- con riguardo all'art. 1, commi 435 e 459, 1. n. 190/2014:
degli artt. 2, 3, 5, 117, 118 e 119 Cost.;
nei modi e per i profili di seguito illustrati.
Fatto
Lo scorso 29 dicembre 2014 e' stata pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana n. 300 (Supplemento Ordinario n.
99) la 1. 23 dicembre 2014, n. 190, avente a oggetto "Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato" e
meglio nota come Legge di Stabilita' 2015.
Detto testo normativo ricomprende, in un unico articolo composto
a sua volta di ben 735 commi, alcune disposizioni meritevoli di
censura innanzi a codesta Ecc.ma Corte.
La prima di queste, racchiusa nel comma 418, nell'imporre a
Province e Citta' Metropolitane (pur con alcune eccezioni di cui si
dira' in seguito) consistenti riduzioni della spesa corrente e
correlativi obblighi di trasfusione delle risorse risparmiate "ad
apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato", non solo
introduce un meccanismo distorto di tagli a carico dei predetti enti
territoriali e di correlativi trasferimenti delle risorse risparmiate
in favore dell'Erario statale, ma integra la patente violazione dei
basilari canoni di solidarieta', uguaglianza, adeguatezza, nonche'
dei principi costituzionali dell'autonomia (anche finanziaria) degli
enti locali, del decentramento e di sussidiarieta'.
In piu', vi sono fondate ragioni per ritenere che il legislatore,
attraverso la disposizione in commento, abbia travalicato le proprie
prerogative, introducendo limitazioni all'autonomia di spesa degli
enti territoriali poc'anzi menzionati con misure di carattere
effettivamente permanente (e, dunque, non tese a sopperire ad
esigenze contingenti e temporalmente circoscritte).
Quanto ai commi 435 e 459 dell'art. 1, l. n. 190/2014 (che
parimenti vengono impugnati in questa sede), essi, incidendo in senso
deteriore sulla dotazione del Fondo di Solidarieta' comunale e sulle
modalita' di riparto del medesimo, vanno a privare gli enti comunali
delle risorse minime di cui i medesimi necessitano per assicurare
l'esercizio delle rispettive funzioni istituzionali: cio', in totale
spregio dei diritti della platea dei soggetti amministrati e con
grave repentaglio per l'operativita' degli enti in parola.
Cio' detto, giova preliminarmente chiarire il contesto da cui
prende le mosse il presente ricorso, prima di passare all'esposizione
degli argomenti di carattere tecnico-giuridico che inducono a
ritenere costituzionalmente illegittime le disposizioni poc'anzi
menzionate.
Ebbene, le misure in contestazione si inseriscono in una spirale
di interventi legislativi che, negli anni, ha creato crescenti
distorsioni nei meccanismi di trasferimento di risorse tra Stato ed
enti locali (e viceversa), finendo per esautorare questi ultimi della
capacita' di esercitare le funzioni istituzionali loro demandate, per
difetto dei mezzi a cio' necessari.
I "tagli" alla spesa e la riduzione dei trasferimenti di risorse
economiche apportati dall'ultima Legge di Stabilita' costituiscono,
dunque, l'ultimo e decisivo "anello" di una "catena" che ostacola -
in modo ormai irreparabile -l'attivita' degli enti locali e che
portera', in tempi brevissimi, gli stessi alla totale incapacita' di
operare: e cio', sia per l'assenza di fondi a disposizione, sia per
l'impossibilita' di superare gli stringenti vincoli imposti dal
vigente Patto di Stabilita' interno.
Inoltre, si ritiene che le criticita' che verranno evidenziate
sotto forma di specifica censura all'art. 1, commi 418, 435 e 459, 1.
n. 190/2014, ben suggeriscano l'abnormita' e la sproporzione dei
sacrifici imposti dal legislatore al comparto delle autonomie locali,
oltre che la sperequazione esistente tra diverse realta'
territoriali.
Si assiste, dunque, all'assurdo per cui a territori, come il
Veneto, che vantano ridotti livelli di spesa e di indebitamento (e
che, pertanto, non possono essere ritenuti i principali responsabili
del dissesto della finanza pubblica cui si tenta di rimediare con le
recenti manovre di austerity) vengono ciononostante richiesti i
sacrifici maggiori, in termini di contenimento alla spesa corrente e
di progressiva erosione dei trasferimenti Stato-autonomie locali: il
tutto, senza che il legislatore sia in grado di (o voglia)
valorizzare la virtuosita' delle predette realta' territoriali.
Gli enti locali veneti, da un lato, sostanzialmente non
dispongono piu' di alcuna "compartecipazione al gettito dei tributi
erariali riferibili al loro territorio" (come, invece, sarebbe ai
medesimi garantito dall'art. 119 Cost.) e, dall'altro lato, subiscono
l'onere di una crescente contribuzione alle finanze centrali, anche
sotto forma di prelievo statale sui tributi comunali.
Si arriva, per tale via, a quanto lucidamente rilevato dalla
Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, nella Relazione sulla
gestione finanziaria 2013 degli enti territoriali, ove si afferma che
e' stato "richiesto alle Autonomie territoriali (a quelle regionali
in particolare) uno sforzo di risanamento non proporzionato
all'entita' delle risorse gestibili dalle stesse, a vantaggio di
altri comparti amministrativi che compongono il conto economico
consolidato delle Amministrazioni pubbliche" (cfr. doc. 2, p. VII
delle Premesse); con la conseguenza che "le predette misure di
austerita', riducendo gravemente le possibilita' di intervento e di
gestione degli enti territoriali, hanno inciso profondamente sul
grado di autonomia finanziaria e funzionale ad essi garantiti dal
Titolo V, della Parte II, della Costituzione" (cfr. doc. 2 cit., p.
15).
Da cio' la necessita' di proporre il presente gravame.
Diritto
Come e' noto, la Regione e' pacificamente legittimata a proporre
ricorso in via principale per la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale di norme che ledono le prerogative costituzionali non
soltanto proprie, ma anche degli enti territoriali diffusi sul
proprio territorio (cfr. Corte Cost., sent., n. 298/2009; Corte
Cost., sent., n. 169/2007; Corte Cost., sent., n. 95/2007; Corte
Cost., sent., n. 417/ 2005; Corte Cost., sent., n. 196/2004).
E' stato osservato da codesta Ecc.ma Corte, infatti, che "la
stretta connessione ... in tema di finanza regionale tra le
attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di
ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente
idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali"
(cfr. Corte Cost., sent., n. 236/2013; Corte Cost., sent., n.
311/2012): il che, evidentemente, legittima la Regione
all'impugnazione in via principale per rimuovere tale vulnus.
Inoltre, e' pacifico che la Regione sia legittimata a denunciare
la legge statale anche per la lesione di parametri diversi da quelli
relativi al riparto delle competenze legislative, "ove la loro
violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali
costituzionalmente garantite o ridondi sul riparto di competenze
legislative" (cfr. Corte Cost., sent., n. 128/2011; Corte Cost.,
sent., n. 33/2011; Corte Cost., sent., n. 156/2010).
Nel caso di specie, come subito si avra' modo di spiegare, la
politica di tagli generalizzati alla spesa e alle risorse degli enti
territoriali - di cui la recente Legge di Stabilita' rappresenta
l'ultimo afflato - impedisce a questi ultimi di svolgere le funzioni
loro deferite: il che si riverbera, evidentemente, sulle garanzie che
la Costituzione assicura a tali enti per l'esercizio delle rispettive
funzioni.
I) Sull'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 418, 1. 23
dicembre 2014, n. 190, per violazione degli artt. 2, 3, 5, 117 e 119
Cost.
L'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014 dispone che "le Province e le
Citta' metropolitane concorrono al contenimento della spesa pubblica
attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di
euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di
3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. In considerazione
delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ciascuna
provincia e Citta' metropolitana versa ad apposito capitolo di
entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai
predetti risparmi di spesa. Sono escluse dal versamento di cui al
periodo precedente, fermo restando l'ammontare complessivo del
contributo dei periodi precedenti, le Province che risultano in
dissesto alla data del 15 ottobre 2014. Con decreto di natura non
regolamentare del Ministero dell'Interno, di concerto con il
Ministero dell'Economia e delle Finanze, da emanare entro il 15
febbraio 2015, con il supporto tecnico della Societa' per gli studi
di settore - SOSE S.p.a., sentita la Conferenza Stato-Citta' ed
autonomie locali, e' stabilito l'ammontare della riduzione della
spesa corrente che ciascun ente deve conseguire e del corrispondente
versamento tenendo conto anche della differenza tra spesa storica e
fabbisogni standard".
Giova osservare, innanzitutto, che la disposizione impugnata
impone a Province e Citta' metropolitane consistenti tagli alla spesa
corrente, non parametrati ad analoghe riduzioni degli esborsi
sostenuti da altri comparti (in particolare dell'Amministrazione
centrale dello Stato).
Cio' pare rispecchiare un modus procedendi ormai tipico delle
piu' recenti scelte legislative.
Gia' la Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, nella Relazione
sulla gestione finanziaria degli enti territoriali per l'esercizio
2013, evidenziava il fatto che lo sforzo di risanamento richiesto
alle Amministrazioni territoriali risulta sproporzionato rispetto
all'entita' delle risorse gestibili dalle stesse, "il che ha prodotto
un drastico ridimensionamento delle funzioni di spesa di queste
ultime a vantaggio degli altri comparti amministrativi che compongono
il conto economico consolidato delle Amministrazioni pubbliche" (cfr.
doc. 2 cit., p. 15).
La logica di "tagli" perseguita dal legislatore statale
determina, pero', un'evidente disparita' di trattamento e di
sacrifici tra i vari comparti di cui si compone la Pubblica
Amministrazione: disparita' che va a detrimento delle predette
autonomie locali, in violazione dei principi di solidarieta' e del
canone costituzionale di uguaglianza recati dagli artt. 2 e 3 Cost.,
deducibili anche in relazione a enti pubblici.
Vero e' che codesta Ecc.ma Corte, in passato, ha affermato che
"il legislatore statale puo', con una disciplina di principio,
legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni
di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche
di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti territoriali"
(cfr. Corte Cost., sent., n. 182/2011).
Del pari vero e' che detti limiti, imposti dal legislatore
statale nell'esercizio della funzione di coordinamento della finanza
pubblica a lui riservata (ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.)
e al fine di garantire il perseguimento di obiettivi nazionali -
anche condizionati da obblighi comunitari -, possono considerarsi
rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali quando
stabiliscono "un limite complessivo, che lascia agli enti stessi
ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e
obiettivi di spesa" (cfr. Corte Cost., sent., n. 182/2011; Corte
Cost., sent., n. 297/2009); tuttavia, e' anche vero che "la
disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il canone generale
di ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento normativo
rispetto all'obiettivo prefissato" (cfr. Corte Cost., sent., n.
236/2013).
Nel caso di specie, il citato canone di ragionevolezza e
proporzionalita' dell'intervento normativo e' trasgredito, nei limiti
in cui il sacrificio imposto alle autonomie locali (peraltro in modo
diseguale tra le stesse, poiche' esclude dalla misura le Province che
risultano in dissesto) non e' accompagnato - per quanto detto anche
in precedenza - da un pari sacrificio imposto ad altri comparti (in
particolar modo, alle Amministrazioni di livello centrale).
Ulteriore profilo di incostituzionalita' della disposizione
impugnata si percepisce in relazione al parametro rappresentato
dall'art. 5 Cost.
Il dettato normativo, poiche' coarta le predette autonomie locali
a uno sforzo di riduzione della propria spesa corrente non
parametrato ad analoghi sacrifici richiesti ad altri comparti della
P.A., finisce per accordare alle prime un trattamento deteriore
rispetto a questi ultimi, in violazione - non solo degli artt. 2 e 3
Cost., di cui si e' detto in precedenza, ma anche - delle esigenze
basilari dell'autonomia e del decentramento.
Come noto, ai sensi dell'art. 5 Cost. la Repubblica ha il preciso
dovere di riconoscere e promuovere le autonomie locali, anche
adeguando "i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze
dell'autonomia e del decentramento''.
Se, pero', si apportano tagli indiscriminati ed eccessivi alle
risorse finanziarie a disposizione delle Amministrazioni locali - che
gia' si trovano in grave difficolta', sotto il profilo del
reperimento dei fondi necessari a garantire l'erogazione dei servizi
essenziali ai cittadini -, le esigenze dell'autonomia e del
decentramento tutelate dall'art. 5 Cost. vengono totalmente
vanificate.
Attraverso il drastico taglio delle risorse degli enti
territoriali viene non solo gravemente compromessa l'autonomia delle
realta' locali, ma altresi' pericolosamente minato l'intero assetto
ordinamentale che si regge sui principi del federalismo e della
sussidiarieta'.
In altri termini, se e' vero che l'art. 5 Cost. impone al
legislatore statale di garantire e di adeguarsi alle esigenze
dell'autonomia e del decentramento, tale obiettivo, pero', viene
totalmente vanificato dall'adozione della disposizione impugnata
(che, peraltro, si pone nel solco di svariati interventi legislativi
che, negli anni, hanno progressivamente svuotato gli enti locali
della loro autonomia, attraverso la progressiva riduzione delle
risorse a disposizione).
Il taglio alla spesa corrente ordinato dalla norma in commento,
l'imposizione del trasferimento all'Erario centrale delle risorse
risparmiate e, contestualmente, la mancata previsione di adeguati
trasferimenti statali che vadano a coprire il depauperamento subito
dagli enti locali (i quali non solo si vedono negate risorse
trasferite dallo Stato ma, addirittura, sono chiamati essi stessi a
trasferire le proprie risorse al livello centrale, secondo un
meccanismo di versamento che non trova addentellato nel nostro
ordinamento costituzionale, come si dira' oltre), pregiudicano
grandemente la programmazione di bilancio degli enti medesimi e
determinano l'impossibilita' per gli stessi di far fronte alle spese
programmate, con grave pregiudizio dei bisogni primari della
cittadinanza.
Ancora una volta e' la Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie,
nella piu' volte citata Relazione sulla gestione finanziaria degli
enti locali per il 2013, a formulare espliciti dubbi sulla coerenza e
sostenibilita' di iniziative legislative che impongono tagli cosi'
pesanti e indiscriminati, tali da incidere sull'esistenza stessa
degli enti locali, nei termini in cui ha sottolineato che le misure
di austerita' determinate a livello statale, "riducendo gravemente le
possibilita' di intervento e di gestione degli enti territoriali,
hanno inciso profondamente sul grado di autonomia finanziaria e
funzionale ad essi garantiti dal Titolo V, della Parte II, della
Costituzione. Cio' implica la necessita' che i nuovi interventi di
contenimento della spesa, in assenza di uno stabile coordinamento tra
le misure di finanza pubblica varate dallo Stato e gli ordinamenti
della finanza territoriale espressi dai diversi livelli istituzionali
di governo, siano adottati mediante l'uso di strumenti idonei ad
assicurare che i mezzi di copertura finanziaria vengano individuati
salvaguardando, da un lato, il corretto adempimento dei livelli
essenziali delle prestazioni nonche' delle funzioni fondamentali
inerenti ai diritti civili e sociali, dall'altro, assicurando un
adeguato concorso finanziario dello Stato per gli interventi
correttivi degli squilibri economico-sociali emersi tra le diverse
aree del paese" (cfr. doc. 2 cit., p. 15).
Il comma 418 dell'art. 1, l. n. 190/2014, peraltro, presenta
profili di illegittimita' costituzionale anche con riguardo ai
parametri rappresentati dall'art. 119, primo, secondo, terzo e quarto
comma, cost. e dall'art. 117 Cost.
La disposizione in questione, infatti, attraverso una logica di
"tagli" sproporzionati e non ragionevoli imposti a Province e Citta'
metropolitane, va a privare le stesse della propria autonomia di
spesa, incidendo in maniera pregiudizievole sull'equilibrio dei
relativi bilanci (che sostanzialmente vengono "svuotati"), in spregio
di quanto sancito dal primo comma dell'art. 119 Cost.; inoltre,
imponendo alle medesime di versare "ad apposito capitolo di entrata
del bilancio dello Stato" le risorse risparmiate attraverso i
predetti tagli alla spesa corrente, non solo sostanzialmente elimina
le risorse autonome di cui i medesimi enti territoriali possono
fruire, ma addirittura distorce e capovolge i meccanismi di
compartecipazione e di trasferimento di risorse dallo Stato alla
periferia, in violazione dei commi secondo e terzo dell'art. 119
Cost. (giacche' e' lo Stato a fruire di trasferimenti di risorse da
parte degli enti territoriali sopradetti, e non viceversa).
La diretta conseguenza della misura contestata risiede nel fatto
che Province e Citta' metropolitane si vedono private delle risorse
minime per assicurare il finanziamento integrale delle funzioni
pubbliche loro attribuite, in violazione del quarto comma dell'art.
119 Cost.
Giova osservare che la Costituzione non legittima meccanismi di
trasferimento di risorse economiche dal livello periferico a quello
centrale che siano modulati sulla falsariga del modello di cui
all'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014.
Se davvero l'obiettivo del legislatore, attraverso la
disposizione impugnata, fosse stato quello di ridurre la spesa di
Province e Citta' metropolitane, egli si sarebbe dovuto limitare alla
previsione di adeguati "tagli"; ma non si sarebbe potuto spingere
sino a prevedere l'obbligo, a carico degli enti territoriali, di
versare i risparmi di spesa al bilancio dello Stato, senza alcuna
previsione delle modalita' del loro impiego da parte
dell'Amministrazione centrale: cio' che, invece, ha fatto, nei limiti
in cui ha previsto che "in considerazione delle riduzioni di spesa"
normativamente imposte dall'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014,
"ciascuna provincia e Citta' metropolitana versa ad apposito capitolo
di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai
predetti risparmi di spesa".
La misura criticata e' costituzionalmente illegittima, allora,
non solo perche' impone un evidente sacrificio alle autonomie locali
attraverso l'imposizione di tagli generalizzati alla spesa corrente
(senza, al contempo, sopperire a tale lacuna di risorse prevedendo
correlativi trasferimenti statali a sostegno dell'esercizio delle
funzioni deferite agli enti territoriali), ma anche perche' obbliga
gli enti territoriali a trasferire allo Stato risorse proprie, senza
prevedere come queste ultime, una volta acquisite dallo Stato,
saranno impiegate.
Il contestato comma 418 dell'art. 1, l. n. 190/2014, infatti, non
chiarisce se le risorse locali frutto dei risparmi di spesa imposti a
Province e Citta' metropolitane verranno destinate all'incremento del
fondo perequativo indirizzato ai soli territori con minore capacita'
fiscale per abitante (cosi' come previsto dall'art. 119, terzo comma,
Cost.), ovvero comunque andranno a costituire quelle risorse
aggiuntive che lo Stato deve destinare esclusivamente a determinate
realta' territoriali, per il raggiungimento di scopi diversi dal
normale esercizio delle loro funzioni (a mente dell'art. 119, quinto
comma, Cost.).
L'impugnato comma 418, in altri termini, istituisce un percorso
illegittimo nelle modalita' di contribuzione a cui sono chiamate le
autonomie locali, poiche' non e' ammissibile nel nostro ordinamento
il riversamento allo Stato di risorse locali che vadano a finanziare
genericamente la spesa statale (cfr. Corte Cost., sent., n. 79/2014;
a contrariis, anche Corte Cost., sent., n. 341/2009).
Con riguardo al parametro rappresentato dall'art. 3 Cost., in
relazione agli artt. 117 e 119 Cost., merita poi sottolineare che
l'esclusione degli enti territoriali in dissesto dal meccanismo del
versamento allo Stato dei risparmi prodotti dai tagli di spesa
imposti dall'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014, introduce una
discriminazione tra Regioni e tra enti territoriali con differenti
gradi di sviluppo.
Al riguardo, giova rammentare che "gli interventi statali fondati
sulla differenziazione tra Regioni, volti a rimuovere gli squilibri
economici e sociali, devono seguire le modalita' fissate dall'art.
119, quinto comma, Cost." (fondo perequativo, destinazione di risorse
aggiuntive e interventi speciali ad opera dello Stato in favore delle
realta' svantaggiate), ma non possono prescindere dal fatto che "i
vincoli generali di contenimento della spesa pubblica debbono essere
uniformi" (cfr. Corte Cost., sent., n. 284/2009).
Nel caso di specie, il legislatore statale non poteva
semplicemente esentare gli enti in dissesto dall'obbligo di riversare
allo Stato le risorse finanziarie risparmiate in virtu' dei "tagli"
di cui all'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014, perche' cosi' ha
determinato una ingiustificata disparita' di trattamento tra enti:
viceversa, egli avrebbe semmai dovuto sopperire "a valle" al
sacrificio richiesto anche agli enti territoriali in dissesto, non
gia' escludendoli a priori dall'applicazione della misura di cui
all'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014, bensi', se del caso,
garantendo a questi ultimi risorse adeguate a colmare il sacrificio
patito, sotto forma del riconoscimento di interventi speciali o
comunque in virtu' dei meccanismi della perequazione.
Viceversa, la disposizione impugnata, in modo discriminatorio,
finisce per accordare misure premiali proprio agli enti che hanno
dato prova di cattiva gestione della cosa pubblica
Ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale della
disposizione impugnata emerge in relazione ai parametri costituiti
dagli artt. 117, commi 3 e 4, e 119, primo comma, Cost., sotto
l'aspetto della non transitorieta' della misura adottata.
Si rammenti che la riduzione della spesa corrente imposta dal
comma 418 dell'art. 1, 1. n. 190/2014, trova applicazione, nelle mire
del legislatore statale, "per l'anno 2015", "per l'anno 2016" e,
infine, "a decorrere dal 2017".
Sotto questo specifico aspetto, ci si permette di ricordare che
codesta Ecc.ma Corte, sebbene abbia riconosciuto che "e' consentito
al legislatore statale imporre limiti alla spesa di enti pubblici
regionali" nell'esercizio del proprio potere di formulazione dei
principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario, ha tuttavia richiesto che "il
citato contenimento sia comunque 'transitorio', in quanto necessario
a fronteggiare una situazione contingente"; ha, inoltre, soggiunto
che una disposizione "non soddisfa la condizione della necessaria
'transitorieta' delle misure restrittive ... nella parte in cui
stabilisce che dette misure, che si impongono all'autonomia di spesa
e organizzativa della Regione, sono adottate non per un periodo
limitato, per fronteggiare una situazione contingente, ma a tempo
indeterminato" (cfr. Corte Cost., sent., n. 79/2014).
Cio' detto, e' evidente che, nel caso che qui viene in rilievo,
l'intervento di contenimento della spesa che trova fondamento nel
comma contestato della Legge di Stabilita' ha una portata
potenzialmente permanente (ben percepibile nell'utilizzo dell'inciso
" a decorrere dal 2017..."): donde la sicura incostituzionalita'
della misura anche sotto tale profilo, a mente dell'insegnamento di
codesta Ecc.ma Corte poc'anzi menzionato.
II) Sull'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 435 e 459,
1. 23 dicembre 2014, n. 190, per violazione degli artt. 2, 3, 5, 117,
118 e 119 Cost.
L'art. 1, comma 435, 1. n. 190/2014, dispone che "la dotazione
del Fondo di Solidarieta' comunale di cui al comma 380 ter dell'art.
1, l. 24 dicembre 2012, n. 228, e' ridotta di 1.200 milioni di euro
annui a decorrere dall'anno 2015".
A sua volta, il menzionato comma 380 ter dell'art. 1, 1. 24
dicembre 2012, n. 228, individuava la dotazione del Fondo di
Solidarieta' comunale per l'anno 2014 in 6.647.114.923,12 euro e per
l'anno 2015 e successivi in 6.547.114.923,12 euro, di cui una parte
consistente (pari a 4.717,9 milioni di euro) era rappresentata da una
quota dell'imposta municipale unica (IMU), di spettanza dei Comuni.
Nell'ottica del legislatore della citata 1. n. 228/2012, ai
Comuni veniva riconosciuto l'intero gettito fiscale relativo
all'imposta municipale unica afferente al proprio territorio, con
l'eccezione dell'imposta sugli immobili ad uso produttivo
classificati nel gruppo catastale D (il cui gettito doveva e deve
essere riconosciuto direttamente allo Stato: art. 1, comma 380, lett.
f, 1. n. 228/2012) e della quota dell'imposta municipale unica di cui
si e' detto al paragrafo precedente, finalizzata ad alimentare il
neocostituito Fondo di Solidarieta' comunale.
Quest'ultimo Fondo, creato ai sensi dell'art. 1, comma 380, lett.
b, l. n. 228/2012, mira a garantire un'equa distribuzione di risorse
tra enti comunali; la dotazione del medesimo, in difetto di
alternative misure perequative disposte dall'Amministrazione centrale
e, in generale, di trasferimenti da parte dell'Erario, e'
fondamentale per assicurare ai Comuni le risorse finanziarie
necessarie all'esercizio delle proprie attivita' istituzionali e
all'erogazione dei servizi alla platea dei soggetti amministrati.
Come noto, i criteri di riparto del Fondo, a mente dell'art. 1,
comma 380 ter, lett. b, l. n. 190/2014, sono stati fissati per il
2014 con d.P.C.M. 1 dicembre 2014 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale,
Serie Generale, n. 21 del 27 gennaio 2015), con la precisazione,
recata dall'art. 1, comma 380 quater, 1. n. 190/2014, che, con
riferimento ai Comuni appartenenti a Regioni a statuto ordinario, una
percentuale del medesimo Fondo deve essere accantonata per essere
redistribuita tra i Comuni "sulla base delle capacita' fiscali
nonche' dei fabbisogni standard approvati dalla Commissione tecnica
paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'art.
4, l. 5 maggio 2009, n. 42, entro il 31 dicembre dell'anno precedente
a quello di riferimento".
Detta percentuale di accantonamento e redistribuzione della
dotazione del Fondo di Solidarieta' sulla base delle capacita'
fiscali e dei fabbisogni standard afferenti ad uno specifico
territorio e' stata modificata dall'art. 1, comma 459, l. n.
190/2014, che l'ha portata dal 10% al 20% del totale.
La riduzione della dotazione del Fondo di Solidarieta' comunale
decisa dall'art. 1, comma 435, 1. n. 190/2014, incidendo in senso
deteriore sul meccanismo perequativo istituito dalla 1. n. 228/2012
al fine di assicurare ai Comuni le risorse minime per l'espletamento
delle proprie funzioni (cosi' come costituzionalmente garantite
dall'art. 118 Cost. e determinate anche in base alle previsioni
dell'art. 19, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in 1. 7 agosto
2012, n. 135), finisce sostanzialmente per comprimere le competenze
degli enti locali citati, pregiudicando l'esercizio delle rispettive
attivita' istituzionali attraverso una misura unilateralmente assunta
a livello centrale.
Cio' avviene, anzitutto, in totale spregio degli artt. 117 e 118
Cost.
Precisamente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, Cost., lo
Stato non puo' spingersi oltre la fissazione dei principi
fondamentali in tema di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario: viceversa, nel caso di specie, il legislatore
statale finisce per ridurre unilateralmente le risorse finanziarie a
disposizione degli enti locali con una misura specifica, che
prescinde dal necessario coinvolgimento delle Regioni in sede di
valutazione congiunta della situazione economico-finanziaria in cui
effettivamente versano i Comuni presenti sul proprio territorio.
Il progressivo svuotamento delle casse comunali, poi,
evidentemente priva di significato le garanzie trasfuse nell'art.
118, primo e secondo comma, Cost., con riguardo al fatto che ai
Comuni dovrebbe essere assicurata l'effettiva possibilita' di
svolgere le funzioni amministrative proprie e delegate (anche a mente
dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza).
Viceversa, nel caso in esame, la riduzione della dotazione del
Fondo di Solidarieta' di cui si e' detto priva i Comuni di adeguati
mezzi per finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro
demandate.
Fermo quanto detto in ordine al fatto che il consistente taglio
al Fondo di Solidarieta' comunale operato dal predetto art. 1, comma
435, l. n. 190/2014 (misura deteriore che rende del tutto inutile
l'innalzamento al 20% della quota di redistribuzione del medesimo
Fondo di Solidarieta' comunale basata sulle capacita' fiscali e sui
fabbisogni standard del territorio, cosi' come stabilito sempre dalla
l. n. 190/2014, art. 1, comma 459) rischia seriamente di
compromettere lo svolgimento delle funzioni demandate agli enti
locali, non si puo' sottacere che la scelta di ridurre le risorse a
disposizione di questi ultimi lede le garanzie primarie assicurate
dagli artt. 2, 3 e 5 Cost.
Anche in questo caso (come gia' accaduto con riguardo alla misura
recata dall'art. 1, comma 418, 1. n. 190/2014 su cui ci si e'
soffermati in precedenza), vengono imposti a uno specifico comparto
dell'Amministrazione sacrifici non parametrati a quelli richiesti ad
altri settori, in violazione del canone costituzionale di
uguaglianza, del dovere inderogabile di solidarieta' e delle esigenze
basilari dell'autonomia e del decentramento (cui la legislazione
della Repubblica dovrebbe adeguare i propri principi e metodi).
Il che e' tanto piu' irragionevole se si pensa che dal 2009 al
2013 la spesa primaria dei Comuni si e' ridotta del 7,8% (cfr. doc. 2
cit., p. 16, tabella 3), con un contenimento degli esborsi che
rappresenta quasi il doppio della correlativa riduzione di spesa
realizzata dalle Amministrazioni centrali dello Stato (cfr. doc. 2
cit., p. 16, tabella 3; riduzione, quella da ultimo citata, che
peraltro si azzera se si volesse tenere conto anche dei bilanci degli
enti previdenziali).
Considerando la peculiare situazione dei Comuni veneti, le piu'
recenti stime disponibili rivelano che gli stessi sono al penultimo
posto nella graduatoria nazionale per spesa media pro capite (719,21
euro/abitante; dato ricavato dalle tabelle elaborate dalla Banca
d'Italia, bollettino n. 25/2014 "Finanza pubblica, fabbisogno e
debito": cfr. doc. 3): sicche' i medesimi manifestano la propria
virtuosita' nel fatto di contenere i propri esborsi ben al di sotto
di quanto necessario ad assicurare alla platea dei soggetti
amministrati i servizi al livello medio/standard individuato su base
nazionale.
Di tale virtuosita', pero', il legislatore statale dimostra di
non tenere il benche' minimo conto.
In piu', e' dimostrabile che la progressiva riduzione delle
risorse a disposizione degli enti locali (financo ad arrivare al loro
totale azzeramento) e la correlativa imposizione a questi ultimi di
crescenti versamenti in favore dello Stato non apportano i benefici
auspicati, in termini di riduzione del deficit pubblico.
I tagli di risorse al comparto enti locali, attuati da ultimo con
le disposizioni della 1. n. 190/2014 in questa sede impugnate, vanno
a incidere sui bilanci di enti territoriali che contribuiscono solo
per il 5,1% al complessivo debito pubblico statale; laddove, invece,
non viene richiesto un corrispondente sacrificio ai comparti
dell'Amministrazione centrale, responsabili dell'inasprirsi del
deficit complessivo per il 94,9% (dato risalente a marzo 2014,
desumibile dal bollettino n. 25/2014 "Finanza pubblica, fabbisogno e
debito" a cura della Banca d'Italia: cfr. doc. 3 cit., p. 12, tavola
6).
Tale disparita' di trattamento non considera la circostanza che
nell'ultimo biennio il debito maturato dagli enti locali e' diminuito
dell'8,5% (con una punta del -12,2% registrata dalle Amministrazioni
locali del Nordest), a fronte di un aumento del debito delle
Amministrazioni centrali del 9,3% (cfr. doc. 3 cit., p. 12, tavola 6
e p. 18, tavola 11).
Tali dati dimostrano non solo il fallimento del sistema di
spending review sinora applicato dall'Amministrazione centrale, ma
anche l'incompatibilita' con l'assetto costituzionale a garanzia
delle autonomie (che vengono trattate in senso peggiorativo rispetto
ad altri comparti e private di qualsivoglia tutela).
Il consistente taglio delle risorse finanziarie a disposizione
dei Comuni, operato da ultimo con le misure versate nell'art. 1,
commi 435 e 459, 1. n. 190/2014, integra anche la violazione
dell'art. 119 Cost., nei limiti in cui vengono pregiudicati
l'autonomia di spesa dell'ente locale e il rispetto dell'equilibrio
del relativo bilancio.
La norma costituzionale poc'anzi richiamata, come ben noto, in
prima battuta assicura a Comuni, Province, Citta' metropolitane e
Regioni "autonomia finanziaria di entrata e di spesa" (cfr. art. 119,
primo comma, Cost.): sennonche', nel caso di specie, i Comuni veneti
vengono sostanzialmente privati di tale autonomia, giusto quanto
detto in precedenza in ordine all'insufficienza delle risorse a
disposizione dei medesimi per l'esercizio delle proprie competenze.
Tale insufficienza, evidentemente, concretizza anche la lesione
del quarto comma dell'art. 119 Cost., nei limiti in cui gli enti
locali non godono di risorse sufficienti a finanziare integralmente
le funzioni pubbliche loro conferite.
Peraltro, il citato quarto comma dell'art. 119 Cost. istituisce
un chiaro parallelismo tra le entrate del singolo ente territoriale
(sotto forma di gettito tributario, di cui al secondo comma dell'art.
119 Cost. o, comunque, di trasferimenti provenienti dal fondo
perequativo di cui al terzo comma della medesima disposizione) e
l'esercizio, da parte di quest'ultimo, delle proprie funzioni: venute
meno le prime, non e' certo possibile assicurare il secondo.
Eppure, di fronte al pericolo di totale inattivita' delle
autonomie locali, lo Stato persevera nella propria logica di taglio
indiscriminato delle risorse: il che, a ben vedere, integra anche la
violazione del quinto comma dell'art. 119 Cost., nei limiti in cui
l'Amministrazione centrale rimane inerte rispetto all'adozione di
interventi speciali che - anche assicurando l'effettivo esercizio del
diritti della persona, in un'ottica di solidarieta' sociale imposta
anche dall'art. 2 cost. - vadano a sopperire alle difficolta'
economiche ed istituzionali attualmente patite dagli enti locali.
Infine, anche l'art. 1, comma 435, 1. n. 190/2014 - analogamente
a quanto evidenziato in precedenza con riguardo al comma 418 del
medesimo articolo - manifesta un profilo di illegittimita'
costituzionale nel fatto di recare una misura pregiudizievole
dell'autonomia finanziaria degli enti locali che non e' transitoria.
La riduzione della dotazione del Fondo di Solidarieta' comunale
imposta dal menzionato comma 435, infatti, vale "a decorrere
dall'anno 2015": sicche', se anche il legislatore statale puo'
imporre riduzioni alle risorse finanziarie degli enti pubblici, e'
imprescindibile che "il citato contenimento sia comunque
'transitorio', in quanto necessario a fronteggiare una situazione
contingente" (cfr. Corte Cost., sent., n. 79/2014).
In altri termini, le misure restrittive delle risorse finanziarie
a disposizione degli enti locali devono necessariamente essere
temporalmente circoscritte e tese a "fronteggiare una situazione
contingente": non certo istituite a tempo potenzialmente
indeterminato (sul punto, ancora, Corte Cost., sent., n. 79/2014).
P.Q.M.
Tutto cio' premesso, la Regione Veneto, in persona del Presidente
della Giunta Regionale pro tempore, ut supra rappresentato e difeso
chiede
che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia accogliere il
presente ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dei
commi 418, 435 e 459 dell'art. 1, 1. 23 dicembre 2014, n. 190, per i
profili suesposti.
Si allegano:
1) deliberazione della Giunta Regionale del Veneto di data 24
febbraio 2015, n. 227;
2) Relazione sulla gestione finanziaria 2013 degli enti
territoriali licenziata dalla Corte dei Conti, Sezione delle
Autonomie;
3) bollettino n. 25/2014 "Finanza pubblica, fabbisogno e
debito" a cura della Banca d'Italia.
Venezia-Roma, 24 febbraio 2015
Avv. prof. Luigi Garofalo