Ricorso n. 37 del 5 marzo 2004 (Regione Campania)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 5 Marzo 2004 - 5 Marzo 2004 , n. 37
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 5 marzo 2004 (della Regione Campania)
(GU n. 20 del 19-5-2004)
Ricorso della Regione Campania, in persona del Presidente della
giunta regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e
difeso, giusta mandato a margine ed in virtu' della deliberazione
della giunta regionale n. 335 del 20 febbraio 2004, dal
prof. avv. Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo Baroni
dell'Avvocatura regionale, insieme con i quali elettivamente
domicilia in Roma, presso l'ufficio di rappresentanza della Regione
Campania alla via Poli n. 29,
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi
16-17-18-19-20-21 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 («Disposizioni
per la formazione del bilancia annuale e pluriennale dello Stato
[legge finanziaria 2004»], pubblicata nel supplemento ordinario
n. 196/L della Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2003.
F a t t o
L'art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 («Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato [legge
finanziaria 2004»], nei commi 16-17-18-19-20-21, con riferimento al
sesto comma dell'art. 119 della Costituzione, ha proceduto ad
identificare - per di piu' senza alcuna intesa o cooperazione con le
regioni - sia le spese costituenti «investimenti», sia
l'«indebitamento» che in relazione alle prime e' consentito.
In particolare, il comma 16, senza che in alcun modo si sia data
attuazione alla previsione del nuovo art. 119 Cost., ripropone una
parte del sesto comma, disponendo che le regioni a statuto ordinario
«possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare le spese di
investimento». Aggiunge che le stesse possono «con propria legge,
disciplinare l'indebitamento delle aziende sanitarie locali ed
ospedaliere e degli enti e organismi di cui all'art. 12 del decreto
legislativo 28 marzo 2000, n. 76, solo per finanziare spese di
investimento».
Il comma 17 provvede ad indicare cosa debba intendersi per
«indebitamento» agli effetti del sesto comma dell'art. 119 Cost.
Affida, peraltro, le modifiche alle individuate «tipologie» di
indebitamento ad un decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze.
Il comma 18 procede, poi, ad una (unilaterale) elencazione delle
ipotesi di investimento «ai fini» di cui all'art. 119, sesto comma,
per le quali e' consentita l'assunzione di debiti.
Il comma 19 prevede una ulteriore ipotesi di esclusione del
ricorso all'indebitamento.
Infine, il comma 20 attribuisce - ancora una volta - al solo
Ministro dell'economia e delle finanze la potesta' di incidere sulle
tipologie di investimenti individuate dai citati commi 17 e 18, senza
alcuna partecipazione degli enti territoriali interessati.
Tale intervento, sia per i contenuti, sia per le modalita' con le
quali e' stato posto in essere, lede in modo grave l'autonomia
regionale, concretandosi in una serie di vizi di legittimita'
costituzionale che inducono alla proposizione del presente ricorso
per i seguenti
M o t i v i
1. - Violazione degli artt. 3, 114, 117 e 119 Cost. lesione della
sfera di competenza delle regioni. Violazione del principio di leale
cooperazione. Irragionevolezza.
In primo luogo si eccepisce la illegittimita' dell'intervento
legislativo perche' non spetta allo Stato riempire di contenuti
parziali, mutevoli e discrezionali, senza alcun elemento che ne
consenta di coglierne il criterio ispiratore, formule costituzionali
che hanno una portata oggettiva e che costituiscono un limite, ma
anche modo di realizzazione della effettiva autonomia finanziaria
regionale.
La legge statale richiama espressamente il sesto comma dell'art.
119 della Costituzione. In questo modo tale norma viene posta a
fondamento di un intervento che, pero', e' fortemente limitativo
dell'autonomia regionale ed in contrasto proprio con l'art. 119 Cost.
Intanto i caratteri della disciplina.
Essa ha una portata limitativa rispetto ai molteplici contenuti
che possono rientrare nei concetti costituzionali di investimento e
indebitamento.
Le formule adoperate lo dimostrano senza alcun dubbio («agli
effetti dell'art. 119, sesto comma, Cost. costituiscono indebitamento
(comma 17)» «ai fini di cui all'art. 19, sesto comma della
Costituzione costituiscono investimenti (comma 18)»).
Si tratta di un contenuto non gia' di carattere oggettivo, ma dai
tratti funzionali, frutto di una valutazione in funzione limitativa.
Per di piu', contenuto mutevole, come e' dimostrato dalla previsione
di una possibile (discrezionale, unilaterale ed illegittima) modifica
degli elenchi da parte del Ministro dell'economia e delle finanze.
Insomma, gia' questo dato dimostra che la disciplina legislativa
non reca l'attuazione (di una parte) della previsione costituzionale,
ma impone alle regioni una scelta discrezionale con un vincolo che
discende da un elenco qualificativo che reca connaturato in se' un
limite, potendosi ampliare o restringere l'elencazione.
Il contrasto con l'art. 119 della Costituzione e' evidente sotto
piu' profili. Con la conseguenza che le impugnate norme introdotte
dall'articolo 3 della legge n. 350/2003, che recano la «nuova»
disciplina sull'indebitamento, determinano gravi ricadute sul sistema
economico delle regioni e sulla loro autonomia.
Innanzitutto, l'intervento non si inserisce nella piu' organica
definizione e disciplina del sistema finanziario regionale ai sensi
del novellato art. 119 Cost., ma isola un unico aspetto dello stesso.
Cio' non puo' essere privo di conseguenze quanto ad impatto sui
bilanci regionali.
In assenza, infatti, di un reale regime di autofinanziamento che
garantisca integralmente le funzioni, quale contemplato dalla norma
costituzionale, non e' consentito incidere sul sistema con interventi
che delimitano ulteriormente lo spazio di autonomia operativa delle
regioni. Si consideri, cosi', che molte delle attuali spese a favore
di privati (contributi in conto capitale alle imprese, famiglie,
associazioni), cosi' come la quasi totalita' dei cofinanziamenti
regionali di programmi comunitari, rimarrebbero (improvvisamente)
senza copertura finanziaria in una fase della riforma che non
consente alcun margine (se non ridottissimo) di autofinanziamento
delle regioni o che, comunque, non realizza quant'altro e' previsto
dal nuovo sistema delineato dall'art. 119 Cost.
Invero, il limite, di cui al sesto comma, secondo il quale le
legioni «... possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare
spese di investimento», costituisce parte integrante di un nuovo
testo che va per intero considerato nella sua portata perche' si
tragga correttamente il senso della regola costituzionale. Come e'
noto, il novellato art. 119 Cost. non reca solo una mera
modificazione parziale del testo precedente, ma registra una del
tutto diversa impostazione dei rapporti fra Stato, regioni enti
locali nel campo finanziario.
Come risulta anche dai lavori preparatori, si tratta della
introduzione di nuovi principi finanziari.
Innanzitutto, il principio che regioni ed enti locali si reggono
con la finanza propria; vale a dire finanziando le proprie spese di
funzionamento, di intervento e di amministrazione, con i mezzi
prelevati dalla propria collettivita'.
In secondo luogo il principio di «territorialita' dell'imposta»
che determina che il gettito prelevato da un territorio, in base a
determinate regole stabilite da legge nazionale, dovra' rimanere
almeno in parte nel territorio di produzione.
Infatti, mentre il vecchio testo prevedeva l'attribuzione di
tributi propri, il testo di riforma si riferisce a tributi e entrate
proprie che vengono «stabiliti e applicati ... secondo i principi di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».
Ancora, anziche' di «quote di tributi erariali», il nuovo testo
parla di «comparteciazioni al gettito di tributi erariali riferibili
al loro territorio». Inoltre si introduce ex novo un fondo
perequativo senza vincoli di destinazione e lo si ancora
esclusivamente alla capacita' fiscale per abitante; si prevedono
risorse aggiuntive e interventi speciali dello Stato in favore di
determinati enti territoriali per finalita' di ordine costituzionale
o comunque ulteriori rispetto al normale esercizio delle funzioni, in
luogo di contributi speciali assegnate a singole Regioni per
«provvedere a scopi determinati e particolarmente per valorizzare il
Mezzogiorno e le Isole».
Da cio' si evince la costruzione di un impianto completamente
diverso da quello precedente, che necessita anche di una serie di
interventi per la sua concreta attuazione (lo stesso art. 119 rinvia
ampiamente alla legislazione ordinaria).
Si tratta (come si ricava anche dagli interventi la I Commissione
permanente Affari Costituzionali del Senato relativi a «Indagine
conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del titolo
V, parte II della Costituzione»), di una normativa complessa,
costituita da competenze, responsabilita' e conseguenti limiti a
questa funzionali. La fase attuativa e' destinata a prolungarsi negli
anni per arrivare a regime. In tal senso l'art. 119 riformulato e'
stato definito come una «prospettiva evolutiva del sistema».
Lo snodo essenziale e', ovviamente, che, nel mentre per il
vecchio art. 119 quella degli enti locali era una finanza derivata,
con la riforma diventa una finanza autosufficiente strettamente
correlata alle nuove responsabilita' dell'ente regione. E di tale
nucleo forte, perche' qualificante la nuova scelta, fa parte, sin
dalla prima formulazione del testo, il collegamento
dell'indebitamento con le spese di investimento, per offrire un
quadro di stabilita' finanziaria in cui vi sia adeguatezza fra
entrate e spese ordinarie come base da non alterare.
E' significativa, cosi', la circostanza che il limite di cui si
discute e' presente sin dal testo approvato in Commissione e non
frutto di successivo emendamento. Cosi' come e' significativo che il
Ministro per le riforme istituzionali, nella seduta dell'assemblea
del 16 novembre 2000, ebbe modo di confermare la struttura unitaria
delle parti del nuovo testo (dell'art. 119 Cost.) che non tollerava
alterazioni soprattutto perche' con l'art. 5 dell'allora disegno di
legge «si prevede un ordinamento del tutto nuovo della finanza
regionale».
Naturalmente la radicale riforma dell'autonomia finanziaria, come
sopra descritta, si inserisce a sua volta in una piu' ampia riforma
dei rapporti fra centro e periferia, attraverso la valorizzazione
degli enti territoriali e l'attribuzione a questi di un complesso
sistema di funzioni, poteri e competenze.
In definitiva, l'attuazione del nuovo modello attraverso la
legislazione ordinaria deve realizzarsi attraverso un intervento
organico. Di tale esigenza occorre tenere sempre conto quando si
valutano i profili attuativi per non incorrere in ingiustificabili
rotture sia sul piano logico che giuridico, con conseguenze di grave
impatto finanziario.
Sotto tale aspetto, d'altronde, come e' noto, la Corte
costituzionale, ha affermato che l'attuazione dell'art. 119 Cost.
«richiede il preventivo intervento del legislatore statale che detti
principi e regole di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario, non potendosi ammettere in mancanza di cio',
l'emanazione di discipline autonome delle singole regioni» (cfr.
sent. n. 13/2004).
In tal senso, nel momento in cui si impedisce alle regioni di
attuare (in attesa di una disciplina statale) parte rilevante del
nuovo modello finanziario delineato dall'art. 119 Cost. (e, quindi,
di trovare risorse in modo autonomo), si mostra irragionevole ed
illegittimo sottrarre alle stesse (improvvisamente) quei mezzi di
gestione della spesa che attualmente consentono la governabilita' del
sistema finanziario e di spesa regionale. Ne consegue che, come e'
stato chiarito, «e' evidente come cio' richieda altresi' la
definizione di una disciplina transitoria che consenta l'ordinato
passaggio dall'attuale sistema, caratterizzato dalla permanenza di
una finanza regionale e locale ancora in non piccola parte
«derivata», cioe' dipendente dal bilancio statale, e da una
disciplina statale unitaria di tutti i tributi, con limitate
possibilita' riconosciute a regioni ed enti locali di effettuare
autonome scelte, ad un nuovo sistema» (cfr. Corte cost. 26 gennaio
2004, n. 37).
E nella complessiva giurisprudenza costituzionale emerge questo
dato ricostruttivo: e' possibile giustificare anche interventi
parziali nella materia finanziaria, sempre che essi non dipendano e
siano condizionati dalla necessaria attuazione dell'art. 119.
Ed e' proprio il caso di specie, nel momento in cui il meccanismo
di cui al sesto comma dell'art. 119 e' chiaramente funzionale e
complementare all'assetto complessivo, ed e' espressione
dell'autonomia politico-economica delle regioni e degli enti locali e
delle conseguenti scelte di organizzazione.
D'altro canto, nel momento in cui l'art. 119 prevede che «i
comuni, le province, le citta' metropolitane e le regioni hanno un
proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali e
determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere
all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento» conferma
il principio che ciascun Ente territoriale deve assumersi la
responsabilita' delle proprie scelte organizzative (di cui il piano
finanziario costituisce uno degli aspetti piu' rilevanti) in
relazione ai parametri costituzionali.
In tal senso nella giurisprudenza della Corte costituzionale e'
emerso, ed e' stato ribadito, che «nell'assetto delle competenze
costituzionali configurato dal nuovo titolo V, parte II, della
Costituzione, l'autofinanziamento delle funzioni attribuite alle
regioni ed enti locali non costituisce altro se non un corollario
della potesta' legislativa regionale esclusiva in materia di
ordinamento e organizzazione amministrative, affinche' per tale via
possa trovare compiuta realizzazione il principio piu' volte ribadito
... circa il parallelismo fra responsabilita' di disciplina della
materia e responsabilita' finanziaria» (sent. Corte cost. 17/2004).
Naturalmente l'intervento oggetto del presente ricorso e' in
palese violazione anche dell'art. 117 Cost., in quanto la disciplina,
seppure rientrante nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici
e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», non
presenta le caratteristiche di principi fondamentali alla cui
fissazione si deve limitare la legge statale nelle ipotesi di
competenza concorrente.
2. - Ulteriore violazione degli artt. 3, 114, 117 e 119 Cost.
violazione dell'art. 120 Cost., lesione della sfera di competenza
delle regioni. Violazione del principio di leale cooperazione.
Irragionevolezza. Violazione del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
Anche a voler ammettere la possibilita' della qui contestata
attuazione parziale dell'art. 119 Cost., illegittime sarebbero le
modalita'.
In primo luogo, perche', come si e' anticipato, la legge statale
ha selezionato in maniera irragionevole alcuni contenuti di
specifiche qualificazioni presenti nella previsione costituzionale
(sesto comma, art. 119).
In tal modo operando, non e' consentito cogliere quale sia il
criterio in base al quale si possa pervenire ad individuare alcuni
caratteri e non altri per identificare la portata della disposizione
costituzionale. Contenuti, per di piu', mutevoli ed integrabili, come
si desume dal rinvio effettuato a successivo decreto ministeriale.
Ancora, l'intervento di disciplina statale e' stato posto in
essere escludendo qualsiasi partecipazione degli enti locali sia
nell'attuale fase normativa di predisposizione della disciplina in
generale, sia, e soprattutto, nelle fasi successive con
l'attribuzione al Ministro dell'economia e delle finanze del potere
(unilaterale) di modificare le tipologie di cui ai commi 17 e 18.
Quanto sopra si pone in evidente contrasto con i principi (di
rango costituzionale) di leale cooperazione in una materia in cui la
Costituzione impone, per di piu', un coordinamento fra i sistemi
finanziari, e lo Stato ha una competenza limitata alla individuazione
dei principi, richiedendosi, nel passaggio da un modello ad un altro,
una normativa che ne accompagni la transizione.
Nel caso di specie, l'incisivo ed unilaterale intervento del
legislatore statale, assolutamente parziale ed irragionevolmente
limitativo, comprime direttamente e in modo notevole la sfera di
autonomia regionale. In assenza di una normativa di principio che
consenta l'attuazione organica dell'art. 119 Cost. con la
possibilita' per le regioni di reperire risorse che permettano di
finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite, il
vulnus all'autonomia finanziaria e' di tutta evidenza.
Sotto tale aspetto, il principio costituzionale di leale
cooperazione e le esigenze di coordinamento avrebbero preteso
quantomeno una compartecipazione degli enti interessati alla
predisposizione di un testo che avesse voluto assumere le
caratteristiche di una normazione «di passaggio».
Di certo e' viziata la disciplina che prevede la individuazione e
la modifica della elencazione contenente le ipotesi che cosi'
gravemente condizionano la finanza regionale (commi 17 e 18, nonche'
20) senza alcuna intesa fra lo Stato e la regione.
3. - Violazione dell'art. 117, in part. comma 6, e 119 Cost.
Violazione della legge n. 400/1988, art. 17. Violazione del principio
di legalita' e di leale cooperazione.
Ulteriore profilo di illegittimita' della normativa impugnata si
rinviene nel previsto intervento di modifica, attraverso il decreto
ministeriale, di cui ai commi 17 e 20 dell'art. 3 qui impugnato,
delle ipotesi legislativamente fissate.
Sia riferendosi all'art. 119 Cost., sia volendosi richiamare
l'art. 117, e' inibito allo Stato intervenire attraverso fonti
subordinate alla legge ai sensi dell'art. 119 e dell'art. 117 il cui
sesto comma - come e' noto - consente allo Stato di esercitare la
potesta' regolamentare solo in materia di competenza esclusiva.
Nel caso di specie l'intervento contemplato e' addirittura di
rango subordinato al regolamento governativo, giacche' e' attribuito
ad un atto normativo (incidente, tra l'altro, su una previsione
legislativa) del solo Ministro, senza, come detto, alcuna intesa con
gli enti locali interessati.
Il decreto ministeriale non e' limitato ad una specificazione di
quanto legislativamente previsto, ma potra' incidere sulle
disposizioni legislative modificandole in assenza, peraltro, di
qualsiasi limite di principio da parte della legge medesima.
Insomma, l'intervento previsto consente illegittimamente ad un
regolamento ministeriale di incidere sull'autonomia regionale ed in
materia gia' disciplinata da legge, in assenza dunque di qualunque
garanzia procedimentale soprattutto attraverso il coinvolgimento
delle Regioni.
P. Q. M.
Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in
accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 3, cammi 16-17-18-19-20-21 della legge 24
dicembre 2003, n. 350, per violazione degli artt. 3, 114, 117, 119 e
120 della Costituzione nonche' del principio di leale cooperazione
fra Stato e regione e per lesione della sfera di competenza della
regione.
Napoli - Roma, addi' 24 febbraio 2003
Prof. Avv. Vincenzo Cocozza - Avv. Vincenzo Baroni
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 5 marzo 2004 (della Regione Campania)
(GU n. 20 del 19-5-2004)
Ricorso della Regione Campania, in persona del Presidente della
giunta regionale pro tempore, on. Antonio Bassolino, rappresentato e
difeso, giusta mandato a margine ed in virtu' della deliberazione
della giunta regionale n. 335 del 20 febbraio 2004, dal
prof. avv. Vincenzo Cocozza e dall'avv. Vincenzo Baroni
dell'Avvocatura regionale, insieme con i quali elettivamente
domicilia in Roma, presso l'ufficio di rappresentanza della Regione
Campania alla via Poli n. 29,
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore; per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 3, commi
16-17-18-19-20-21 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 («Disposizioni
per la formazione del bilancia annuale e pluriennale dello Stato
[legge finanziaria 2004»], pubblicata nel supplemento ordinario
n. 196/L della Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2003.
F a t t o
L'art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 («Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato [legge
finanziaria 2004»], nei commi 16-17-18-19-20-21, con riferimento al
sesto comma dell'art. 119 della Costituzione, ha proceduto ad
identificare - per di piu' senza alcuna intesa o cooperazione con le
regioni - sia le spese costituenti «investimenti», sia
l'«indebitamento» che in relazione alle prime e' consentito.
In particolare, il comma 16, senza che in alcun modo si sia data
attuazione alla previsione del nuovo art. 119 Cost., ripropone una
parte del sesto comma, disponendo che le regioni a statuto ordinario
«possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare le spese di
investimento». Aggiunge che le stesse possono «con propria legge,
disciplinare l'indebitamento delle aziende sanitarie locali ed
ospedaliere e degli enti e organismi di cui all'art. 12 del decreto
legislativo 28 marzo 2000, n. 76, solo per finanziare spese di
investimento».
Il comma 17 provvede ad indicare cosa debba intendersi per
«indebitamento» agli effetti del sesto comma dell'art. 119 Cost.
Affida, peraltro, le modifiche alle individuate «tipologie» di
indebitamento ad un decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze.
Il comma 18 procede, poi, ad una (unilaterale) elencazione delle
ipotesi di investimento «ai fini» di cui all'art. 119, sesto comma,
per le quali e' consentita l'assunzione di debiti.
Il comma 19 prevede una ulteriore ipotesi di esclusione del
ricorso all'indebitamento.
Infine, il comma 20 attribuisce - ancora una volta - al solo
Ministro dell'economia e delle finanze la potesta' di incidere sulle
tipologie di investimenti individuate dai citati commi 17 e 18, senza
alcuna partecipazione degli enti territoriali interessati.
Tale intervento, sia per i contenuti, sia per le modalita' con le
quali e' stato posto in essere, lede in modo grave l'autonomia
regionale, concretandosi in una serie di vizi di legittimita'
costituzionale che inducono alla proposizione del presente ricorso
per i seguenti
M o t i v i
1. - Violazione degli artt. 3, 114, 117 e 119 Cost. lesione della
sfera di competenza delle regioni. Violazione del principio di leale
cooperazione. Irragionevolezza.
In primo luogo si eccepisce la illegittimita' dell'intervento
legislativo perche' non spetta allo Stato riempire di contenuti
parziali, mutevoli e discrezionali, senza alcun elemento che ne
consenta di coglierne il criterio ispiratore, formule costituzionali
che hanno una portata oggettiva e che costituiscono un limite, ma
anche modo di realizzazione della effettiva autonomia finanziaria
regionale.
La legge statale richiama espressamente il sesto comma dell'art.
119 della Costituzione. In questo modo tale norma viene posta a
fondamento di un intervento che, pero', e' fortemente limitativo
dell'autonomia regionale ed in contrasto proprio con l'art. 119 Cost.
Intanto i caratteri della disciplina.
Essa ha una portata limitativa rispetto ai molteplici contenuti
che possono rientrare nei concetti costituzionali di investimento e
indebitamento.
Le formule adoperate lo dimostrano senza alcun dubbio («agli
effetti dell'art. 119, sesto comma, Cost. costituiscono indebitamento
(comma 17)» «ai fini di cui all'art. 19, sesto comma della
Costituzione costituiscono investimenti (comma 18)»).
Si tratta di un contenuto non gia' di carattere oggettivo, ma dai
tratti funzionali, frutto di una valutazione in funzione limitativa.
Per di piu', contenuto mutevole, come e' dimostrato dalla previsione
di una possibile (discrezionale, unilaterale ed illegittima) modifica
degli elenchi da parte del Ministro dell'economia e delle finanze.
Insomma, gia' questo dato dimostra che la disciplina legislativa
non reca l'attuazione (di una parte) della previsione costituzionale,
ma impone alle regioni una scelta discrezionale con un vincolo che
discende da un elenco qualificativo che reca connaturato in se' un
limite, potendosi ampliare o restringere l'elencazione.
Il contrasto con l'art. 119 della Costituzione e' evidente sotto
piu' profili. Con la conseguenza che le impugnate norme introdotte
dall'articolo 3 della legge n. 350/2003, che recano la «nuova»
disciplina sull'indebitamento, determinano gravi ricadute sul sistema
economico delle regioni e sulla loro autonomia.
Innanzitutto, l'intervento non si inserisce nella piu' organica
definizione e disciplina del sistema finanziario regionale ai sensi
del novellato art. 119 Cost., ma isola un unico aspetto dello stesso.
Cio' non puo' essere privo di conseguenze quanto ad impatto sui
bilanci regionali.
In assenza, infatti, di un reale regime di autofinanziamento che
garantisca integralmente le funzioni, quale contemplato dalla norma
costituzionale, non e' consentito incidere sul sistema con interventi
che delimitano ulteriormente lo spazio di autonomia operativa delle
regioni. Si consideri, cosi', che molte delle attuali spese a favore
di privati (contributi in conto capitale alle imprese, famiglie,
associazioni), cosi' come la quasi totalita' dei cofinanziamenti
regionali di programmi comunitari, rimarrebbero (improvvisamente)
senza copertura finanziaria in una fase della riforma che non
consente alcun margine (se non ridottissimo) di autofinanziamento
delle regioni o che, comunque, non realizza quant'altro e' previsto
dal nuovo sistema delineato dall'art. 119 Cost.
Invero, il limite, di cui al sesto comma, secondo il quale le
legioni «... possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare
spese di investimento», costituisce parte integrante di un nuovo
testo che va per intero considerato nella sua portata perche' si
tragga correttamente il senso della regola costituzionale. Come e'
noto, il novellato art. 119 Cost. non reca solo una mera
modificazione parziale del testo precedente, ma registra una del
tutto diversa impostazione dei rapporti fra Stato, regioni enti
locali nel campo finanziario.
Come risulta anche dai lavori preparatori, si tratta della
introduzione di nuovi principi finanziari.
Innanzitutto, il principio che regioni ed enti locali si reggono
con la finanza propria; vale a dire finanziando le proprie spese di
funzionamento, di intervento e di amministrazione, con i mezzi
prelevati dalla propria collettivita'.
In secondo luogo il principio di «territorialita' dell'imposta»
che determina che il gettito prelevato da un territorio, in base a
determinate regole stabilite da legge nazionale, dovra' rimanere
almeno in parte nel territorio di produzione.
Infatti, mentre il vecchio testo prevedeva l'attribuzione di
tributi propri, il testo di riforma si riferisce a tributi e entrate
proprie che vengono «stabiliti e applicati ... secondo i principi di
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».
Ancora, anziche' di «quote di tributi erariali», il nuovo testo
parla di «comparteciazioni al gettito di tributi erariali riferibili
al loro territorio». Inoltre si introduce ex novo un fondo
perequativo senza vincoli di destinazione e lo si ancora
esclusivamente alla capacita' fiscale per abitante; si prevedono
risorse aggiuntive e interventi speciali dello Stato in favore di
determinati enti territoriali per finalita' di ordine costituzionale
o comunque ulteriori rispetto al normale esercizio delle funzioni, in
luogo di contributi speciali assegnate a singole Regioni per
«provvedere a scopi determinati e particolarmente per valorizzare il
Mezzogiorno e le Isole».
Da cio' si evince la costruzione di un impianto completamente
diverso da quello precedente, che necessita anche di una serie di
interventi per la sua concreta attuazione (lo stesso art. 119 rinvia
ampiamente alla legislazione ordinaria).
Si tratta (come si ricava anche dagli interventi la I Commissione
permanente Affari Costituzionali del Senato relativi a «Indagine
conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del titolo
V, parte II della Costituzione»), di una normativa complessa,
costituita da competenze, responsabilita' e conseguenti limiti a
questa funzionali. La fase attuativa e' destinata a prolungarsi negli
anni per arrivare a regime. In tal senso l'art. 119 riformulato e'
stato definito come una «prospettiva evolutiva del sistema».
Lo snodo essenziale e', ovviamente, che, nel mentre per il
vecchio art. 119 quella degli enti locali era una finanza derivata,
con la riforma diventa una finanza autosufficiente strettamente
correlata alle nuove responsabilita' dell'ente regione. E di tale
nucleo forte, perche' qualificante la nuova scelta, fa parte, sin
dalla prima formulazione del testo, il collegamento
dell'indebitamento con le spese di investimento, per offrire un
quadro di stabilita' finanziaria in cui vi sia adeguatezza fra
entrate e spese ordinarie come base da non alterare.
E' significativa, cosi', la circostanza che il limite di cui si
discute e' presente sin dal testo approvato in Commissione e non
frutto di successivo emendamento. Cosi' come e' significativo che il
Ministro per le riforme istituzionali, nella seduta dell'assemblea
del 16 novembre 2000, ebbe modo di confermare la struttura unitaria
delle parti del nuovo testo (dell'art. 119 Cost.) che non tollerava
alterazioni soprattutto perche' con l'art. 5 dell'allora disegno di
legge «si prevede un ordinamento del tutto nuovo della finanza
regionale».
Naturalmente la radicale riforma dell'autonomia finanziaria, come
sopra descritta, si inserisce a sua volta in una piu' ampia riforma
dei rapporti fra centro e periferia, attraverso la valorizzazione
degli enti territoriali e l'attribuzione a questi di un complesso
sistema di funzioni, poteri e competenze.
In definitiva, l'attuazione del nuovo modello attraverso la
legislazione ordinaria deve realizzarsi attraverso un intervento
organico. Di tale esigenza occorre tenere sempre conto quando si
valutano i profili attuativi per non incorrere in ingiustificabili
rotture sia sul piano logico che giuridico, con conseguenze di grave
impatto finanziario.
Sotto tale aspetto, d'altronde, come e' noto, la Corte
costituzionale, ha affermato che l'attuazione dell'art. 119 Cost.
«richiede il preventivo intervento del legislatore statale che detti
principi e regole di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario, non potendosi ammettere in mancanza di cio',
l'emanazione di discipline autonome delle singole regioni» (cfr.
sent. n. 13/2004).
In tal senso, nel momento in cui si impedisce alle regioni di
attuare (in attesa di una disciplina statale) parte rilevante del
nuovo modello finanziario delineato dall'art. 119 Cost. (e, quindi,
di trovare risorse in modo autonomo), si mostra irragionevole ed
illegittimo sottrarre alle stesse (improvvisamente) quei mezzi di
gestione della spesa che attualmente consentono la governabilita' del
sistema finanziario e di spesa regionale. Ne consegue che, come e'
stato chiarito, «e' evidente come cio' richieda altresi' la
definizione di una disciplina transitoria che consenta l'ordinato
passaggio dall'attuale sistema, caratterizzato dalla permanenza di
una finanza regionale e locale ancora in non piccola parte
«derivata», cioe' dipendente dal bilancio statale, e da una
disciplina statale unitaria di tutti i tributi, con limitate
possibilita' riconosciute a regioni ed enti locali di effettuare
autonome scelte, ad un nuovo sistema» (cfr. Corte cost. 26 gennaio
2004, n. 37).
E nella complessiva giurisprudenza costituzionale emerge questo
dato ricostruttivo: e' possibile giustificare anche interventi
parziali nella materia finanziaria, sempre che essi non dipendano e
siano condizionati dalla necessaria attuazione dell'art. 119.
Ed e' proprio il caso di specie, nel momento in cui il meccanismo
di cui al sesto comma dell'art. 119 e' chiaramente funzionale e
complementare all'assetto complessivo, ed e' espressione
dell'autonomia politico-economica delle regioni e degli enti locali e
delle conseguenti scelte di organizzazione.
D'altro canto, nel momento in cui l'art. 119 prevede che «i
comuni, le province, le citta' metropolitane e le regioni hanno un
proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali e
determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere
all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento» conferma
il principio che ciascun Ente territoriale deve assumersi la
responsabilita' delle proprie scelte organizzative (di cui il piano
finanziario costituisce uno degli aspetti piu' rilevanti) in
relazione ai parametri costituzionali.
In tal senso nella giurisprudenza della Corte costituzionale e'
emerso, ed e' stato ribadito, che «nell'assetto delle competenze
costituzionali configurato dal nuovo titolo V, parte II, della
Costituzione, l'autofinanziamento delle funzioni attribuite alle
regioni ed enti locali non costituisce altro se non un corollario
della potesta' legislativa regionale esclusiva in materia di
ordinamento e organizzazione amministrative, affinche' per tale via
possa trovare compiuta realizzazione il principio piu' volte ribadito
... circa il parallelismo fra responsabilita' di disciplina della
materia e responsabilita' finanziaria» (sent. Corte cost. 17/2004).
Naturalmente l'intervento oggetto del presente ricorso e' in
palese violazione anche dell'art. 117 Cost., in quanto la disciplina,
seppure rientrante nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici
e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», non
presenta le caratteristiche di principi fondamentali alla cui
fissazione si deve limitare la legge statale nelle ipotesi di
competenza concorrente.
2. - Ulteriore violazione degli artt. 3, 114, 117 e 119 Cost.
violazione dell'art. 120 Cost., lesione della sfera di competenza
delle regioni. Violazione del principio di leale cooperazione.
Irragionevolezza. Violazione del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
Anche a voler ammettere la possibilita' della qui contestata
attuazione parziale dell'art. 119 Cost., illegittime sarebbero le
modalita'.
In primo luogo, perche', come si e' anticipato, la legge statale
ha selezionato in maniera irragionevole alcuni contenuti di
specifiche qualificazioni presenti nella previsione costituzionale
(sesto comma, art. 119).
In tal modo operando, non e' consentito cogliere quale sia il
criterio in base al quale si possa pervenire ad individuare alcuni
caratteri e non altri per identificare la portata della disposizione
costituzionale. Contenuti, per di piu', mutevoli ed integrabili, come
si desume dal rinvio effettuato a successivo decreto ministeriale.
Ancora, l'intervento di disciplina statale e' stato posto in
essere escludendo qualsiasi partecipazione degli enti locali sia
nell'attuale fase normativa di predisposizione della disciplina in
generale, sia, e soprattutto, nelle fasi successive con
l'attribuzione al Ministro dell'economia e delle finanze del potere
(unilaterale) di modificare le tipologie di cui ai commi 17 e 18.
Quanto sopra si pone in evidente contrasto con i principi (di
rango costituzionale) di leale cooperazione in una materia in cui la
Costituzione impone, per di piu', un coordinamento fra i sistemi
finanziari, e lo Stato ha una competenza limitata alla individuazione
dei principi, richiedendosi, nel passaggio da un modello ad un altro,
una normativa che ne accompagni la transizione.
Nel caso di specie, l'incisivo ed unilaterale intervento del
legislatore statale, assolutamente parziale ed irragionevolmente
limitativo, comprime direttamente e in modo notevole la sfera di
autonomia regionale. In assenza di una normativa di principio che
consenta l'attuazione organica dell'art. 119 Cost. con la
possibilita' per le regioni di reperire risorse che permettano di
finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite, il
vulnus all'autonomia finanziaria e' di tutta evidenza.
Sotto tale aspetto, il principio costituzionale di leale
cooperazione e le esigenze di coordinamento avrebbero preteso
quantomeno una compartecipazione degli enti interessati alla
predisposizione di un testo che avesse voluto assumere le
caratteristiche di una normazione «di passaggio».
Di certo e' viziata la disciplina che prevede la individuazione e
la modifica della elencazione contenente le ipotesi che cosi'
gravemente condizionano la finanza regionale (commi 17 e 18, nonche'
20) senza alcuna intesa fra lo Stato e la regione.
3. - Violazione dell'art. 117, in part. comma 6, e 119 Cost.
Violazione della legge n. 400/1988, art. 17. Violazione del principio
di legalita' e di leale cooperazione.
Ulteriore profilo di illegittimita' della normativa impugnata si
rinviene nel previsto intervento di modifica, attraverso il decreto
ministeriale, di cui ai commi 17 e 20 dell'art. 3 qui impugnato,
delle ipotesi legislativamente fissate.
Sia riferendosi all'art. 119 Cost., sia volendosi richiamare
l'art. 117, e' inibito allo Stato intervenire attraverso fonti
subordinate alla legge ai sensi dell'art. 119 e dell'art. 117 il cui
sesto comma - come e' noto - consente allo Stato di esercitare la
potesta' regolamentare solo in materia di competenza esclusiva.
Nel caso di specie l'intervento contemplato e' addirittura di
rango subordinato al regolamento governativo, giacche' e' attribuito
ad un atto normativo (incidente, tra l'altro, su una previsione
legislativa) del solo Ministro, senza, come detto, alcuna intesa con
gli enti locali interessati.
Il decreto ministeriale non e' limitato ad una specificazione di
quanto legislativamente previsto, ma potra' incidere sulle
disposizioni legislative modificandole in assenza, peraltro, di
qualsiasi limite di principio da parte della legge medesima.
Insomma, l'intervento previsto consente illegittimamente ad un
regolamento ministeriale di incidere sull'autonomia regionale ed in
materia gia' disciplinata da legge, in assenza dunque di qualunque
garanzia procedimentale soprattutto attraverso il coinvolgimento
delle Regioni.
P. Q. M.
Si conclude affinche' l'ecc.ma Corte costituzionale voglia, in
accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 3, cammi 16-17-18-19-20-21 della legge 24
dicembre 2003, n. 350, per violazione degli artt. 3, 114, 117, 119 e
120 della Costituzione nonche' del principio di leale cooperazione
fra Stato e regione e per lesione della sfera di competenza della
regione.
Napoli - Roma, addi' 24 febbraio 2003
Prof. Avv. Vincenzo Cocozza - Avv. Vincenzo Baroni