Ricorso n. 38 del 3 marzo 2006 (Regione Liguria)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 marzo 2006 , n. 38
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 3 marzo 2006 (della Regione Liguria)
(GU n. 16 del 19-4-2006)
Ricorso della Regione Liguria, in persona del legale rappresentante pro tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regiona1e n. 144 del 17 febbraio 2006 (doc. 1) rappresentata e difesa - come da procura speciale del 20 febbraio 2006, conferita dal vice presidente della giunta regionale, sig. Massimiliano Costa, autenticata dal notaio dott.ssa Margherita Poli, repertorio n. 13680 (doc. 2) - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, in Roma, via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 24, 26, 198, 202, 203, 280, 281, 286, 287, 291, 322, 597, 598, 599 e 600, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005 - Supplemento ordinario n. 211, per violazione degli artt. 117, 118, 119 Cost., e dei principi costituzionali di leale collaborazione, ragionevolezza e proporzionalita', nei modi e per i profili di seguito indicati. F a t t o Nel supplemento ordinario n. 211 alla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005 e' stata pubblicata la legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006). Pur numerato come un articolo unico (ragione per la quale qui si usera' per lo piu' direttamerte l'indicazione del numero di comma), si tratta di un insieme normativo molto ampio, composto di seicentododici commi, alcuni dei quali a loro volta di grande dimensione e sottoarticolati al loro interno. Molte delle disposizioni della legge n. 266 del 2005 sono, ad avviso della Regione Liguria, costituzionalmente illegittime e lesive delle competenze regionali. Con il presente ricorso vengono impugnate - come risulta dall'epigrafe - alcune di tali disposizioni, per le quali si chiede a codesta ecc.ma Corte costituzionale la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, sotto i profili e per i motivi di seguito indicati nella parte in D i r i t t o 1. - Illegittimita' dell'art. 1, commi 24 e 26. Il comma 24, primo periodo, prevede che per garantire "effettivita' alle prescrizioni contenute nel programma di stabilita' e crescita presentato all'Unione europea, in attuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica... e ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica... come principio di equilibrio tra lo stock patrimoniale e i flussi dei trasferimenti erariali... nei confronti degli enti territoriali soggetti al patto di stabilita' interno, delle regioni a statuto speciale, delle province autonome... i trasferimenti erariali a qualsiasi titolo spettanti sono ridotti in misura pari alla differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita'.". Il comma 25 precisa che le disposizioni di cui ai commi 23 e 24 non si applicano all'acquisto di immobili da destinare a sedi di ospedali, ospizi, scuole o asili. Il comma 24 sembra - a quanto e' dato di capire - introdurre un principio programmatico di contenimento degli acquisti immobiliari da parte degli Enti pubblici. La disposizione e' in primo luogo di difficile interpretazione: di difficile comprensione e' il senso del "principio di equilibrio tra lo stock patrimoniale e i flussi dei trasferimenti erariali". La stessa "differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita" appare casuale: potrebbe non esserci alcuna differenza, o potrebbe indifferentemente esserci un aumento o una diminuzione per circostanze del tutto accidentali: per esempio, verrebbe colpita la regione che avesse ritardato per alcuni anni investimenti immobiliari, per sostenere nel 2006 un investimento di particolare rilievo finanziario, in vista della realizzazione di opere pubbliche. Si noti, inoltre, a conferma dell'intrinseca irrazionalita' della disposizione, che essa, se letta secondo il normale uso delle parole, risulterebbe "punire" gli acquisti eccedenti la media, non l'eccedenza del c.d. "stock immobiliare": tanto e' vero che non si tiene affatto in considerazione l'ipotesi che la regione (o l'ente locale) abbia ceduto parte del suo "stock" per acquisire entrate o per investire in altri beni immobili. Ancora una volta la frettolosita' del legislatore ha introdotto disposizioni prive di un significato normativo razionale e univocamente intelligibile, da cui anche la difficolta' estrema di coglierne la ratio. Qualunque sia - se ve ne e' uno - il suo esatto significato, la norma in questione appare indubbiamente lesiva dell'autonomia finanziaria garantita alla regione dall'art. 119 Cost., perche', introducendo un forte meccanismo di disincentivazione per gli investimenti che si traducono in acquisizioni di beni immobili - salvo che non si tratti di scuole, asili, ospizi, ospedali - produce un effetto analogo al trasferimento finanziario con vincolo di destinazione. Per esempio, la regione si vedrebbe punita se avesse deciso di dare priorita' all'edilizia residenziale pubblica, o alle infrastrutture destinate alla ricerca tecnologica, mentre non lo sarebbe se decidesse di acquisire una clinica privata per realizzare un nuovo polo ospedaliero in un contesto che non lo richieda affatto. La norma impugnata produce dunque un effetto analogo al trasferimento finanziario con vincolo puntuale alla spesa, gia' da questa Corte ritenuto costituzionalmente illegittimo con giurisprudenza consolidata. Infatti, i trasferimenti erariali a qualsiasi titolo spettanti vengono ridotti in misura pari all'aumentata spesa per gli acquisti immobiliari, senza alcuna considerazione delle autonome valutazioni della regione in ordine agli investimenti per opere pubbliche; altrettanto e' disposto per i trasferimenti non erariali (salvo comprendere che cosa significhi l'espressione "analoga" riferita ad una operazione matematica qual'e' la "riduzione"). E' ammessa soltanto una maggiore spesa, finalizzata rispetto a particolari opere pubbliche, scelte direttamente dal legislatore statale: non viene, invece, tenuta in alcuna considerazione l'autonomia politico-amministrativa regionale, poiche' la scelta delle opere "ammesse" - e percio' coperte da finanziamento - e' compiuta senza che assumano alcun rilievo le determinazioni regionali in merito ai programmi di investimento per opere e infrastrutture pubbliche. E' del tutto evidente che si realizza cosi', attraverso un taglio mirato dei trasferimenti, lo stesso effetto distorsivo che avrebbe prodotto un trasferimento finanziano "vincolato". Va, inoltre, osservato che per questi specifici vincoli finanziari non e' previsto, d'altra parte, alcun meccanismo cooperativo, quale sarebbe di regola prescritto per il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica legati al Patto di stabilita'. L'illegittimita' del comma 24 si riflette, poi, sull'illegittimita' del comma 26, che prevede la soggezione al monitoraggio del Ministero dell'economia e delle finanze delle operazioni immobiliari di cui sopra e gli oneri di trasmissione dei dati relativi ad acquisti e vendite degli immobili all'Agenzia del territorio, con conseguente obbligo di segnalazione agli organi competenti (Corte dei conti) per eventuali responsabilita': infatti, se i poteri ministeriali di definizione delle modalita' della comunicazione dei dati inerenti agli acquisti possono essere ricondotti alle funzioni "tecniche" di coordinamento informativo, non essendo altrimenti giustificabili in una materia concorrente quale il coordinamento della finanza pubblica, non altrettanto si puo' dire della forma di controllo surrettizio che viene innestata dall'invio della comunicazione dei dati all'Agenzia del territorio, la quale procede a "verifiche di congruita' del valore degli immobili acquisiti", senza peraltro che siano indicati i parametri di riferimento, "segnalando gli scostamenti rilevanti" agli organi competenti, al fine di instaurare un giudizio di responsabilita'. Si deve, infatti, notare che la norma impugnata non mira a razionalizzare le forme di vigilanza sulla spesa pubblica e la conseguente attivazione dei normali procedimenti per responsabilita' amministrativa-contabile, ma sottopone a questo controllo penetrante i soli acquisti delle regioni e degli enti locali, restandone indenni le Amministrazioni dello Stato. Saldandosi sulla previsione di limite rigido (e irragionevole, come si e' visto) degli investimenti immobiliari decisi dalla regione, tale misura si traduce nell'introduzione di una forma illegittima di controllo di merito sulle politiche di sviluppo della regione e degli enti locali. 2. - Illegittimita' costituzionale del commi 198, 202 e 203. Il comma 198 dispone che "le amministrazioni regionali e gli enti locali di cui all'art. 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' gli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all'art. 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento", e che "a tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni". Tale disposizione risulta con tutta evidenza costituzionalmente illegittima. Infatti - con l'imporre che per gli anni 2006, 2007 e 2008 le regioni (non solo non possano aumentare ma anche) riducano specificamente dell'1% le spese per il personale rispetto a quelle sostenute nell'anno 2004 - il comma 198 viene a porsi in contrasto con il principio secondo il quale, fermi i vincoli complessivi posti per il risanamento della finanza pubblica, e' inammissibile la previsione da parte dello Stato di limiti di spesa "specifici e puntuali" nei riguardi delle regioni, dal momento che cio' rappresenterebbe "una indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali ..., alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi" (cosi' la sentenza n. 449/2005 di codesta Corte; analogamente, cfr. anche le sentenze nn. 417/2005, 390/2204, 36/2004). Se poi si guarda alla materia specifica dell'intervento, costituita dal dimensionamento del personale, e dunque dall'organizzazione regionale (e di enti regionali), la disposizione impugnata viola anche l'art. 117 Cost., essendo evidente che tale materia rientra nella potesta' legislativa regionale residuale, senza che vi sia spazio per alcun intervento da parte del legislatore statale. Di qui, ad avviso della ricorrente regione, la palese illegittimita' della disposizione di cui al comma 198. L'illegittimita' costituzionale del comma 198 determina l'illegittimita' del comma 202, che risulta anche autonomamente illegittimo in quanto pone un vincolo di destinazione alle risorse regionali, e del comma 203, che direttamente richiama il comma 198 (piu' in generale, rimangono inapplicabili i commi che costituiscono applicazione o svolgimento del medesimo comma 198, a partire dal seguente conima 199). 3. - Illegittimita' costituzionale dei commi 280 e 281. Con la disposizione dell'art. 1, comma 279 (che non forma oggetto di impugnazione), lo Stato ha destinato alle regioni l'importo di 2 miliardi di euro, quale concorso al ripiano dei disavanzi del servizio sanitario nazionale per gli anni 2002, 2003 e 2004; ed ha aggiunto, nel primo periodo del comma successivo, che il riparto tra le regioni - chiamate a cofinanziare il ripiano - e' operato con decreto ministeriale, sulla base del numero dei residenti, e previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Si tratta di un finanziamento che trova causa nella corresponsabilita' dello Stato sia nella determinazione del livello delle entrate regionali, sia nella determinazione delle prestazioni sanitarie di cui hanno diritto i cittadini: puo' quindi parlarsi di un concorso costituzionalmente dovuto. Le ulteriori disposizioni del comma 280, tuttavia, subordinano il finanziamento statale a due condizioni: a) la prima, che entro il 31 marzo 2006 la Conferenza unificata esprima l'intesa sullo schema di Piano sanitario nazionale 2006-2008; b) la seconda, che entro lo stesso termine si addivenga ad una intesa tra Stato e Regioni, nella quale sia prevista una pluralita' di misure organizzative riferibili alle c.d. "liste di attesa" per le prestazioni sanitarie. Il comma 281, a sua volta, introduce una terza condizione per l'accesso al contributo: "le regioni che nel periodo 2001-2005 abbiano fatto registrare ... un disavanzo medio pari o superiore al 5 per cento, ovvero che abbiano fatto registrare nell'anno 2005 un incremento del disavanzo rispetto all'anno 2001 pari o superiore al 200 per cento" devono stipulare un apposito accordo (ovvero integrare accordi gia' sottoscritti ai sensi dell'art. 1, comma 180, legge n. 311/2004), "per l'adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario nazionale 2006-2008 e il perseguimento dell'equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza.". E' da evidenziare come, nel loro insieme, le norme impugnate istituiscano un collegamento necessario tra il finanziamento statale, resosi indispensabile in relazione ad attivita' di assistenza gia' prestata, e il consenso delle regioni a tutte le previsioni del Piano sanitario 2006-2008: le regioni sono infatti costrette ad una scelta obbligata, in quanto eventuali obiezioni e riserve sullo schema di Piano predisposto dal Governo implicano la rinuncia alle risorse finanziarie. Le condizioni alle quali lo Stato ha subordinato il finanziamento del comma 279 sono costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 117, comma 3, 118, comma 1, 119 Cost., del principio di ragionevolezza. Lese sono anzitutto le attribuzioni legislative ed amministrative spettanti alla regione in materia di "tutela della salute". Tra esse rientrano certamente i poteri mediante i quali la regione concorre alla adozione del Piano sanitario nazionale, sia attraverso la formulazione di specifiche proposte, sia attraverso l'espressione dell'intesa sul Piano nell'ambito della Conferenza unificata (secondo quanto dispone l'art. 1, commi 4-5, d.lgs. n. 502/1992, come sostituito dall'art. 1, d.lgs. n. 229/1999). Ed e' evidente - e imposto dai principi di tutela della salute (art. 32 Cost.) e di buon andamento della amministrazione (art. 97 Cost.) - che le determinazioni regionali in proposito devono necessariamente avere riguardo alle esigenze sanitarie della popolazione nel periodo preso in considerazione dal Piano, alle risorse economiche necessarie allo scopo e a quelle che si ritiene saranno disponibili. Questi criteri di orientamento nella decisione sono invece palesemente negati dalle disposizioni impugnate, proprio per il legame che esse istituiscono tra l'accordo sulla approvazione del Piano, destinato a valere per il futuro, e la copertura del disavanzo relativo a gestioni passate; di conseguenza, risultano sostanzialmente lesi i poteri regionali concernenti la formazione del Piano sanitario. L'illegittima compressione delle competenze nel settore della tutela della salute si manifesta anche con la posizione della seconda condizione, relativa alla intesa Stato - Regioni sulle misure organizzative che queste ultime devono assumere. Dopo la riforma del titolo V, l'autonomia regionale in ordine alla organizzazione degli enti sanitari e' piu' vasta di quella consentita dalla precedente materia "assistenza sanitaria", potendosi in principio spingere fino alla stessa "previsione" di essi, dal momento che cio' "rappresenta una delle possibili opzioni organizzative per conseguire le finalita' prescelte dall'ente costituzionalmente responsabile nella materia o nelle materie interessate" (cosi', molto efficacemente, la sent. n. 270/2005). Orbene, alcuni contenuti dell'intesa - alla cui stipulazione e' subordinato il contributo finanziario statale - comprimono indebitamente l'autonomia regionale sulla disciplina delle strutture sanitarie: cio' vale in particolare per l'obbligo di stabilire una quota minima di risorse da vincolare al contenimento dei tempi di attesa per le prestazioni (comma 280, lett. d), per le modalita' di realizzazione del centro unico di prenotazione (con utilizzo in via prioritaria dei medici di medicina generale; lett. d); per la attivazione "di uno specifico flusso informativo per il monitoraggio delle liste di attesa" (lett. e); per la imposizione che alla certificazione degli interventi in attuazione del piano di contenimento delle liste di attesa provveda il comitato di cui all'intesa Stato - Regioni del 23 marzo 2005 (lett. f). Del resto, lo stesso legislatore statale deve essere stato consapevole della illegittimita' delle misure organizzative in discorso, se ha ritenuto di non imporle in modo formalmente unilaterale, e di farne oggetto di una "intesa": in apparenza essa e' liberamente sottoscrivibile o rifiutabile (si notera' che il corenia 280 ragiona di una intesa "ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131", di una intesa diretta cioe' "a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni"), mentre in realta' essa e' imposta alla regione dalla urgente necessita' di ottenere il contributo finanziario statale. Il legame tra il concorso nazionale alla copertura dei disavanzi pregressi e l'accordo sul Piano sanitario per il periodo 2006-2008, risulta incostituzionale anche per violazione del principio di ragionevolezza, in quanto - come si e' rimarcato - ha ad oggetto due entita' non omogenee. Da questo vizio non e' esente nemmeno il comma 281, secondo cui le singole Regioni che hanno registrato negli anni passati un particolare (incremento di) disavanzo, sono assoggettate - per concorrere al riparto del contributo statale - alla ulteriore condizione di stipulare un apposito accordo "per l'adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario nazionale 2006-2008 e il perseguimento dell'equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza". Da un lato, infatti, mediante il richiamo dell'art. 1, comma 180, legge n. 311/2004, la disposizione parrebbe ipotizzare che gli accordi implichino una previa "ricognizione delle cause" del disavanzo, ed assumano a contenuto la elaborazione di "un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale"; d'altro lato, e contraddittoriamente, la norma impugnata prevede che il singolo accordo sia diretto allo "adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario" futuro. Gli argomenti sopra svolti valgono a dimostrazione della incostituzionalita' delle disposizioni esaminate anche per violazione dell'art. 119, comma 4, Cost.: se lo stesso legislatore statale riconosce come necessario un intervento finanziario a copertura dei disavanzi pregressi (e non potrebbe essere diversamente, per le ragioni strutturali accennate all'inizio del presente motivo di ricorso), e' in violazione del principio per cui le risorse "ordinarie" delle regioni devono consentire "di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite" ogni "condizione" che non abbia riguardo a quelle stesse ragioni strutturali, e che non incidano quindi sulle fonti di entrata o sui livelli delle prestazioni, o sui costi delle medesime. Giova ricordare che solo superficialmente la questione di costituzionalita' ora proposta e' paragonabile a quella sollevata dalla Regione Emilia-Romagna contro l'art. 52, comma 4, legge n. 289/2002, e decisa con la sent. 36/2005. La norma allora impugnata condizionava ad adempimenti "futuri" delle regioni "l'adeguamento del finanziamento del Servizio sanitario nazionale per gli anni 2003, 2004 e 2005": vi era quindi corrispondenza temporale tra le somme "aggiuntive" da trasferire agli enti autonomi e l'imposizione ad essi di determinati vincoli organizzativo-assistenziali; inoltre, gli impegni di cui all'art. 52 cit. erano sostanzialmente il frutto di procedure concertative tra Stato e Regioni, e proprio questo carattere negoziale e' stato posto dalla Corte a fondamento della sentenza n. 36. Ma per nessuno dei due aspetti si puo' affermare una similitudine con i commi 280 e 281 della legge n. 266. 4. - Illegittimita' costituzionale dei commi 286 e 287. Il comma 286 dell'art. 1 della legge dispone che "la cessione a titolo di donazione di apparecchiature e altri materiali dismessi da aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico ... a beneficio delle strutture sanitarie nei Paesi in via di sviluppo o in transizione", "e' promossa e coordinata dall'Alleanza degli ospedali italiani nel mondo" (si tratta, a quanto risulta, di una "associazione"; fondata nel 2004 da Ministri del Governo nazionale, e aperta all'adesione di altri soggetti, probabilmente di natura privata). Il comma 287 affida poi alla "Alleanza" il compito di "promuovere i necessari contatti per facilitare le donazioni" (quindi con i destinatari delle stesse), nonche' di "tenere un inventario aggiornato delle attrezzature disponibili". Al di la' delle contorte formulazioni testuali, l'intendimento di vincolare gli enti sanitari in ordine alla destinazione dei materiali dismessi e all'avvalimento necessario della Alleanza, risulta chiaramente dal secondo periodo del comma 286, la' dove si obbligano gli enti a comunicare alla Alleanza la disponibilita' delle attrezzature sanitarie in questione; d'altronde, una sorta di intesa (ammesso che sia tale) tra Alleanza e strutture parrebbe ipotizzata solo per le "modalita" della comunicazione, mentre "il parere favorevole della regione interessata" sembrerebbe condizionare solo il fatto in se' della cessione dei materiali, e non anche la individuazione dei destinatari e le modalita' secondo le quali essa deve seguire. Si e' dunque in primo luogo in presenza di una norma statale assai dettagliata e puntuale, la quale incide su un aspetto della organizzazione di enti che - operando nelle materie della tutela della salute e della ricerca scientifica - ricadono pienamente nella competenza legislativa della regione (ancora una volta giova ricordare quanto statuito dalla recente sent. 270/2005, che ha annullato disposizioni di dettaglio incidenti sulla struttura di enti sanitari). In secondo luogo, il vincolo ad una determinata destinazione delle risorse dismesse viola l'autonomia regionale nell'utilizzazione di beni che appartengono alla comunita', e che in altra forma alla stessa comunita' potrebbero essere utili (le norme impugnate escludono ad esempio la destinazione ad istituti scolastici, come pure ad altri enti o gruppi che agiscano in una qualunque delle materie attribuite alla competenza regionale). E le censure di costituzionalita' sollevate non sono superabili facendo appello al poteri statali nella materia dei "rapporti internazionali ... delle regioni": al contrario, anche le competenze spettanti alla ricorrente in questa materia sono lese dal carattere di dettaglio delle disposizioni impugnate, e dall'affidamento ad una entita' quale la "Alleanza" dei compiti - di natura in parte politica ed in parte amministrativa - attinenti alla cura dei rapporti con altri Stati o con organismi operanti al loro interno. 5. - Illegittimita' costituzionale del comma 291. Il comma 291 stabilisce che con decreto del Ministro della salute, adottato previa intesa con la Conferenza Stato - Regioni, "sono definiti i criteri e le modalita' di certificazione dei bilanci delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, degli istituti zooprofilattici sperimentali e delle aziende ospedaliere universitarie". Gli enti considerati dalla disposizione impugnata operano tutti in materie di competenza regionale, in parte concorrente ("tutela della salute", "ricerca scientifica e tecnologica") e in parte residuale (agricoltura e zootecnia). Essi sono conseguentemente oggetto della potesta' legislativa della regione, ai sensi dell'art. 117, commi 3 e 4, Cost. (cfr. sent. n. 270/2005). La competenza della regione e' tuttavia lesa dalla norma qui considerata, a fondamento della quale non sussiste alcun titolo costituzionale. Non potrebbe anzitutto essere invocata la competenza statale a determinare i principi fondamentali delle materie concorrenti richiamate, posto che questi devono comunque risultare da fonti di rango legislativo (senza considerare, poi, che il comma rinvia al decreto ministeriale non solo per "criteri" ma anche per ben piu' dettagliate "modalita" della certificazione). Ove poi al decreto governativo fosse da riconoscere natura regolamentare, la previsione di esso si porrebbe in radicale contrasto con l'art. 117, comma 6, Cost.; da escludere e' pure che la norma trovi fondamento in un qualche potere statale di indirizzo e coordinamento, testualmente escluso - per le materie concorrenti e residuali - dall'art. 8, comma 6, ultimo periodo, legge n. 131/2003 (cfr. la sent. n. 329/2003, molto precisa su questi due punti). Ne' le cose mutano considerando le competenze spettanti allo Stato nella materia esclusiva del "coordinamento informativo statistico e informatico", o in quella concorrente della "armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario": la "certificazione dei bilanci" e' un aspetto "interno" della organizzazione degli enti, e di per se' non tocca alcun profilo del coordinamento con dati o attivita' di altri soggetti. Cio' che al piu' si potrebbe ammettere e' che un principio fondamentale della materia impongache i bilanci siano certificati, non certo che un atto statale ne determini criteri e modalita' attuative. Ed e' quasi superfluo aggiungere che, trattandosi di oggetto che rientra pienamente, quanto a dettaglio di disciplina, nella disponibilita' della regione, e' irrilevante che la disposizione impugnata abbia previsto il coinvolgimento delle autonomie territoriali attraverso la Conferenza permanente Stato - Regioni. 6. - Illegittimita' costituzionale del comma 322. Dispone il comma 322 che le risorse finanziarie "dovute alle regioni a statuto ordinario in applicazione delle disposizioni recate dai commi 319 e 320" siano corrisposte alle regioni "secondo un piano graduale definito con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 marzo 2006". Si tratta di somme che spettano alle regioni per anni che partono dal 2002, e che neppure ora verrebbero corrisposte con immediatezza. La ricorrente Regione Liguria ritiene che la previsione della corresponsione secondo un "piano graduale" rimetta in definitiva la corresponsione di tali somme alla mera disponibilita', se non buona volonta', del Ministro dell'economia e delle finanze, e che sia percio' costituzionalmente illegittima per violazione dell'autonomia finanziaria riconosciuta dall'art. 119 Cost. Ne' vi e' alcuna garanzia che il piano sia, almeno esso, determinato entro il termine previsto dalla legge. In subordine, la ricorrente "Regione ritiene che le scadenze del piano graduale debbano almeno essere concordate tra Ministero e regioni mediante lo strumento dell'intesa in Conferenza Stato-Regioni, e che la disposizione in questione sia costituzionalmente illegittima per l'omissione di tale previsione. 7. - Illegittimita' costituzionale dei commi 597, 598, 599 e 600. I commi da 597 a 600 disciplinano una porzione della materia edilizia residenziale pubblica, ed in particolare le procedure di alienazione degli immobili nonche' l'utilizzazione delle somme ricavate. Complessivamente, si tratta di una disciplina, per di piu' dettagliata, in una materia, quale quella indicata, di competenza regionale residuale. Manca dunque un titolo di competenza statale, con conseguente illegittimita' costituzionale dell'intera disciplina. Precisamente, il comma 597 dispone che "con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono semplificate le norme in materia di alienazione degli immobili di proprieta' degli istituti medesimi". Come detto, manca un titolo di competenza legislativa statale, e la lesione di competenza non viene meno per il fatto che tale decreto e' da emanare, una volta tanto, "previo accordo tra Governo e regioni". Per la stessa ragione sono illegittimi i "principi" imposti dai comma 598 quali contenuti indefettibili dell'accordo tra Governo e regioni, come pure il comma 600, che autorizza gli enti e gli Istituti proprietari ad affidare "a societa' di comprovata professionalita' ed esperienza in materia immobiliare e con specifiche competenze nell'edilizia residenziale pubblica, la gestione delle attivita' necessarie al censimento, alla regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni immobili". Sia consentito di notare che la lett. c) del comma 598 e' ulteriormente illegittima per il fatto che pone un vincolo alla utilizzazione dei proventi delle alienazioni, prescrivendo che essi siano destinati "alla realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento degli oneri dei mutui sottoscritti da giovani coppie per l'acquisto della prima casa, a promuovere il recupero sociale dei quartieri degradati e per azioni in favore di famiglie in particolare stato di bisogno": con evidente intromissione nelle determinazioni regionali circa l'uso delle risorse a disposizione.
P. Q. M. Chiede voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando l'illegittimita' delle disposizioni sopra indicate, nei termini sopra esposti. Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi Padova-Roma, addi' 24 febbraio 2006