RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 marzo 2006 , n. 38
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 3 marzo 2006 (della Regione Liguria)

 
(GU n. 16 del 19-4-2006)
 
 
    Ricorso   della   Regione   Liguria,   in   persona   del  legale
rappresentante  pro  tempore,  autorizzato  con  deliberazione  della
giunta regiona1e n. 144 del 17 febbraio 2006 (doc. 1) rappresentata e
difesa - come da procura speciale del 20 febbraio 2006, conferita dal
vice  presidente  della  giunta  regionale,  sig. Massimiliano Costa,
autenticata  dal notaio dott.ssa Margherita Poli, repertorio n. 13680
(doc.  2) - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv.
Luigi  Manzi  di  Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio
dell'avv. Manzi, in Roma, via Confalonieri n. 5;

    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 24,
26, 198, 202, 203, 280, 281, 286, 287, 291, 322, 597, 598, 599 e 600,
della  legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e  pluriennale dello Stato (legge finanziaria
2006),  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale n. 302 del 29 dicembre
2005  - Supplemento ordinario n. 211, per violazione degli artt. 117,
118,   119   Cost.,   e   dei   principi   costituzionali   di  leale
collaborazione,  ragionevolezza  e proporzionalita', nei modi e per i
profili di seguito indicati.

                              F a t t o

    Nel  supplemento  ordinario n. 211 alla Gazzetta Ufficiale n. 302
del  29  dicembre 2005 e' stata pubblicata la legge 23 dicembre 2005,
n. 266,  Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).
    Pur  numerato come un articolo unico (ragione per la quale qui si
usera'  per  lo piu' direttamerte l'indicazione del numero di comma),
si   tratta   di  un  insieme  normativo  molto  ampio,  composto  di
seicentododici  commi,  alcuni  dei  quali  a  loro  volta  di grande
dimensione e sottoarticolati al loro interno.
    Molte  delle  disposizioni  della  legge n. 266 del 2005 sono, ad
avviso della Regione Liguria, costituzionalmente illegittime e lesive
delle competenze regionali. Con il presente ricorso vengono impugnate
-  come  risulta  dall'epigrafe - alcune di tali disposizioni, per le
quali   si   chiede   a   codesta   ecc.ma  Corte  costituzionale  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale, sotto i profili e per
i motivi di seguito indicati nella parte in

                            D i r i t t o

    1. - Illegittimita' dell'art. 1, commi 24 e 26.
    Il   comma   24,   primo   periodo,  prevede  che  per  garantire
"effettivita' alle prescrizioni contenute nel programma di stabilita'
e  crescita presentato all'Unione europea, in attuazione dei principi
di  coordinamento  della  finanza  pubblica... e ai fini della tutela
dell'unita'   economica   della   Repubblica...   come  principio  di
equilibrio  tra  lo  stock  patrimoniale e i flussi dei trasferimenti
erariali...  nei  confronti degli enti territoriali soggetti al patto
di  stabilita'  interno,  delle  regioni  a  statuto  speciale, delle
province  autonome...  i  trasferimenti  erariali  a qualsiasi titolo
spettanti  sono  ridotti  in misura pari alla differenza fra la spesa
sostenuta  nel  2006  per  l'acquisto da terzi di immobili e la spesa
media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita'.".
    Il  comma  25 precisa che le disposizioni di cui ai commi 23 e 24
non  si  applicano  all'acquisto  di  immobili da destinare a sedi di
ospedali, ospizi, scuole o asili.
    Il  comma  24 sembra - a quanto e' dato di capire - introdurre un
principio programmatico di contenimento degli acquisti immobiliari da
parte degli Enti pubblici.
    La  disposizione  e' in primo luogo di difficile interpretazione:
di  difficile  comprensione  e' il senso del "principio di equilibrio
tra  lo stock patrimoniale e i flussi dei trasferimenti erariali". La
stessa  "differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da
terzi   di  immobili  e  la  spesa  media  sostenuta  nel  precedente
quinquennio  per  la  stessa  finalita"  appare casuale: potrebbe non
esserci  alcuna  differenza,  o potrebbe indifferentemente esserci un
aumento  o una diminuzione per circostanze del tutto accidentali: per
esempio,  verrebbe colpita la regione che avesse ritardato per alcuni
anni investimenti immobiliari, per sostenere nel 2006 un investimento
di  particolare  rilievo finanziario, in vista della realizzazione di
opere   pubbliche.  Si  noti,  inoltre,  a  conferma  dell'intrinseca
irrazionalita'  della  disposizione,  che  essa,  se letta secondo il
normale   uso   delle  parole,  risulterebbe  "punire"  gli  acquisti
eccedenti  la  media,  non  l'eccedenza del c.d. "stock immobiliare":
tanto  e'  vero  che non si tiene affatto in considerazione l'ipotesi
che  la  regione (o l'ente locale) abbia ceduto parte del suo "stock"
per  acquisire entrate o per investire in altri beni immobili. Ancora
una volta la frettolosita' del legislatore ha introdotto disposizioni
prive   di   un   significato   normativo  razionale  e  univocamente
intelligibile,  da  cui  anche la difficolta' estrema di coglierne la
ratio.
    Qualunque  sia  - se ve ne e' uno - il suo esatto significato, la
norma   in   questione  appare  indubbiamente  lesiva  dell'autonomia
finanziaria  garantita  alla  regione  dall'art. 119  Cost., perche',
introducendo   un  forte  meccanismo  di  disincentivazione  per  gli
investimenti  che  si  traducono  in  acquisizioni di beni immobili -
salvo  che non si tratti di scuole, asili, ospizi, ospedali - produce
un  effetto  analogo  al  trasferimento  finanziario  con  vincolo di
destinazione.
    Per  esempio,  la  regione si vedrebbe punita se avesse deciso di
dare   priorita'   all'edilizia   residenziale   pubblica,   o   alle
infrastrutture  destinate  alla  ricerca  tecnologica,  mentre non lo
sarebbe  se decidesse di acquisire una clinica privata per realizzare
un nuovo polo ospedaliero in un contesto che non lo richieda affatto.
    La   norma   impugnata  produce  dunque  un  effetto  analogo  al
trasferimento  finanziario  con  vincolo puntuale alla spesa, gia' da
questa    Corte    ritenuto    costituzionalmente   illegittimo   con
giurisprudenza consolidata.
    Infatti,  i  trasferimenti  erariali a qualsiasi titolo spettanti
vengono  ridotti  in misura pari all'aumentata spesa per gli acquisti
immobiliari,  senza  alcuna considerazione delle autonome valutazioni
della  regione  in  ordine  agli  investimenti  per  opere pubbliche;
altrettanto  e'  disposto  per  i  trasferimenti  non erariali (salvo
comprendere  che  cosa significhi l'espressione "analoga" riferita ad
una   operazione  matematica  qual'e'  la  "riduzione").  E'  ammessa
soltanto una maggiore spesa, finalizzata rispetto a particolari opere
pubbliche,  scelte  direttamente  dal legislatore statale: non viene,
invece,     tenuta     in     alcuna    considerazione    l'autonomia
politico-amministrativa  regionale,  poiche'  la  scelta  delle opere
"ammesse"  -  e  percio' coperte da finanziamento - e' compiuta senza
che  assumano  alcun rilievo le determinazioni regionali in merito ai
programmi di investimento per opere e infrastrutture pubbliche.
    E' del tutto evidente che si realizza cosi', attraverso un taglio
mirato  dei  trasferimenti,  lo stesso effetto distorsivo che avrebbe
prodotto un trasferimento finanziano "vincolato".
    Va,   inoltre,   osservato   che  per  questi  specifici  vincoli
finanziari   non   e'   previsto,  d'altra  parte,  alcun  meccanismo
cooperativo,  quale sarebbe di regola prescritto per il perseguimento
degli obiettivi di finanza pubblica legati al Patto di stabilita'.
    L'illegittimita'    del    comma    24    si    riflette,    poi,
sull'illegittimita'  del  comma  26,  che  prevede  la  soggezione al
monitoraggio  del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  delle
operazioni  immobiliari  di cui sopra e gli oneri di trasmissione dei
dati  relativi  ad  acquisti e vendite degli immobili all'Agenzia del
territorio,  con  conseguente  obbligo  di  segnalazione  agli organi
competenti  (Corte dei conti) per eventuali responsabilita': infatti,
se  i  poteri  ministeriali  di  definizione  delle  modalita'  della
comunicazione   dei   dati  inerenti  agli  acquisti  possono  essere
ricondotti alle funzioni "tecniche" di coordinamento informativo, non
essendo altrimenti giustificabili in una materia concorrente quale il
coordinamento  della  finanza  pubblica, non altrettanto si puo' dire
della  forma  di controllo surrettizio che viene innestata dall'invio
della  comunicazione  dei  dati  all'Agenzia del territorio, la quale
procede   a  "verifiche  di  congruita'  del  valore  degli  immobili
acquisiti",   senza  peraltro  che  siano  indicati  i  parametri  di
riferimento,  "segnalando  gli  scostamenti  rilevanti"  agli  organi
competenti, al fine di instaurare un giudizio di responsabilita'.
    Si  deve,  infatti,  notare  che  la  norma  impugnata non mira a
razionalizzare  le  forme  di  vigilanza  sulla  spesa  pubblica e la
conseguente  attivazione dei normali procedimenti per responsabilita'
amministrativa-contabile,  ma sottopone a questo controllo penetrante
i soli acquisti delle regioni e degli enti locali, restandone indenni
le Amministrazioni dello Stato. Saldandosi sulla previsione di limite
rigido  (e  irragionevole,  come  si  e'  visto)  degli  investimenti
immobiliari   decisi   dalla   regione,   tale   misura   si  traduce
nell'introduzione  di  una  forma  illegittima di controllo di merito
sulle politiche di sviluppo della regione e degli enti locali.
    2. - Illegittimita' costituzionale del commi 198, 202 e 203.
    Il comma 198 dispone che "le amministrazioni regionali e gli enti
locali  di  cui  all'art.  2,  commi 1 e 2, del testo unico di cui al
decreto  legislativo  18  agosto  2000,  n. 267, nonche' gli enti del
Servizio  sanitario  nazionale, fermo restando il conseguimento delle
economie  di  cui all'art. 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre
2004,  n. 311,  concorrono  alla  realizzazione  degli  obiettivi  di
finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese
di   personale,   al  lordo  degli  oneri  riflessi  a  carico  delle
amministrazioni  e  dell'IRAP,  non  superino per ciascuno degli anni
2006,   2007  e  2008  il  corrispondente  ammontare  dell'anno  2004
diminuito  dell'1  per cento", e che "a tal fine si considerano anche
le  spese  per  il  personale  a  tempo determinato, con contratto di
collaborazione  coordinata  e continuativa, o che presta servizio con
altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni".
    Tale  disposizione  risulta con tutta evidenza costituzionalmente
illegittima.  Infatti  -  con l'imporre che per gli anni 2006, 2007 e
2008  le  regioni  (non solo non possano aumentare ma anche) riducano
specificamente  dell'1%  le  spese per il personale rispetto a quelle
sostenute  nell'anno  2004  - il comma 198 viene a porsi in contrasto
con  il principio secondo il quale, fermi i vincoli complessivi posti
per  il  risanamento  della  finanza  pubblica,  e'  inammissibile la
previsione  da  parte  dello  Stato  di  limiti di spesa "specifici e
puntuali"   nei   riguardi   delle  regioni,  dal  momento  che  cio'
rappresenterebbe   "una   indebita   invasione   dell'area  riservata
dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali ..., alle quali la legge
statale   puo'   prescrivere   criteri   ed  obiettivi  (ad  esempio,
contenimento  della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli
strumenti  concreti  da  utilizzare per raggiungere quegli obiettivi"
(cosi'  la  sentenza n. 449/2005 di codesta Corte; analogamente, cfr.
anche le sentenze nn. 417/2005, 390/2204, 36/2004).
    Se   poi   si  guarda  alla  materia  specifica  dell'intervento,
costituita    dal    dimensionamento    del   personale,   e   dunque
dall'organizzazione  regionale (e di enti regionali), la disposizione
impugnata  viola  anche  l'art. 117  Cost., essendo evidente che tale
materia rientra nella potesta' legislativa regionale residuale, senza
che  vi  sia  spazio  per  alcun  intervento da parte del legislatore
statale.
    Di   qui,   ad   avviso   della  ricorrente  regione,  la  palese
illegittimita' della disposizione di cui al comma 198.
    L'illegittimita'   costituzionale   del   comma   198   determina
l'illegittimita'  del  comma  202,  che  risulta  anche autonomamente
illegittimo  in  quanto  pone un vincolo di destinazione alle risorse
regionali,  e  del  comma 203, che direttamente richiama il comma 198
(piu'  in generale, rimangono inapplicabili i commi che costituiscono
applicazione  o  svolgimento  del  medesimo  comma 198, a partire dal
seguente conima 199).
    3. - Illegittimita' costituzionale dei commi 280 e 281.
    Con la disposizione dell'art. 1, comma 279 (che non forma oggetto
di  impugnazione),  lo Stato ha destinato alle regioni l'importo di 2
miliardi  di  euro,  quale  concorso  al  ripiano  dei  disavanzi del
servizio  sanitario  nazionale  per gli anni 2002, 2003 e 2004; ed ha
aggiunto,  nel primo periodo del comma successivo, che il riparto tra
le  regioni  -  chiamate  a  cofinanziare il ripiano - e' operato con
decreto  ministeriale,  sulla base del numero dei residenti, e previa
intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Si tratta di un finanziamento
che  trova  causa  nella  corresponsabilita'  dello  Stato  sia nella
determinazione   del  livello  delle  entrate  regionali,  sia  nella
determinazione  delle  prestazioni  sanitarie  di cui hanno diritto i
cittadini:  puo'  quindi  parlarsi  di un concorso costituzionalmente
dovuto.
    Le ulteriori disposizioni del comma 280, tuttavia, subordinano il
finanziamento  statale a due condizioni: a) la prima, che entro il 31
marzo  2006  la Conferenza unificata esprima l'intesa sullo schema di
Piano  sanitario  nazionale  2006-2008;  b)  la seconda, che entro lo
stesso  termine si addivenga ad una intesa tra Stato e Regioni, nella
quale  sia prevista una pluralita' di misure organizzative riferibili
alle c.d. "liste di attesa" per le prestazioni sanitarie.
    Il  comma  281,  a  sua volta, introduce una terza condizione per
l'accesso  al  contributo:  "le  regioni  che  nel  periodo 2001-2005
abbiano fatto registrare ... un disavanzo medio pari o superiore al 5
per  cento,  ovvero  che  abbiano  fatto registrare nell'anno 2005 un
incremento  del  disavanzo rispetto all'anno 2001 pari o superiore al
200 per cento" devono stipulare un apposito accordo (ovvero integrare
accordi  gia'  sottoscritti  ai  sensi  dell'art. 1, comma 180, legge
n. 311/2004), "per l'adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario
nazionale  2006-2008 e il perseguimento dell'equilibrio economico nel
rispetto dei livelli essenziali di assistenza.".
    E'  da  evidenziare  come,  nel  loro insieme, le norme impugnate
istituiscano un collegamento necessario tra il finanziamento statale,
resosi  indispensabile  in  relazione ad attivita' di assistenza gia'
prestata, e il consenso delle regioni a tutte le previsioni del Piano
sanitario  2006-2008: le regioni sono infatti costrette ad una scelta
obbligata,  in  quanto  eventuali obiezioni e riserve sullo schema di
Piano  predisposto  dal  Governo  implicano  la rinuncia alle risorse
finanziarie.
    Le condizioni alle quali lo Stato ha subordinato il finanziamento
del  comma  279  sono  costituzionalmente  illegittime per violazione
degli  artt. 117,  comma 3, 118, comma 1, 119 Cost., del principio di
ragionevolezza.
    Lese sono anzitutto le attribuzioni legislative ed amministrative
spettanti alla regione in materia di "tutela della salute".
    Tra  esse  rientrano  certamente  i  poteri  mediante  i quali la
regione  concorre  alla  adozione  del Piano sanitario nazionale, sia
attraverso  la  formulazione  di  specifiche proposte, sia attraverso
l'espressione  dell'intesa  sul  Piano  nell'ambito  della Conferenza
unificata   (secondo  quanto  dispone  l'art. 1,  commi  4-5,  d.lgs.
n. 502/1992,  come sostituito dall'art. 1, d.lgs. n. 229/1999). Ed e'
evidente  -  e  imposto  dai principi di tutela della salute (art. 32
Cost.)  e  di  buon andamento della amministrazione (art. 97 Cost.) -
che  le  determinazioni regionali in proposito devono necessariamente
avere  riguardo alle esigenze sanitarie della popolazione nel periodo
preso in considerazione dal Piano, alle risorse economiche necessarie
allo scopo e a quelle che si ritiene saranno disponibili.
      Questi  criteri  di  orientamento  nella  decisione sono invece
palesemente  negati  dalle  disposizioni  impugnate,  proprio  per il
legame  che  esse  istituiscono  tra l'accordo sulla approvazione del
Piano, destinato a valere per il futuro, e la copertura del disavanzo
relativo    a    gestioni    passate;   di   conseguenza,   risultano
sostanzialmente lesi i poteri regionali concernenti la formazione del
Piano sanitario.
    L'illegittima  compressione  delle  competenze  nel settore della
tutela della salute si manifesta anche con la posizione della seconda
condizione,  relativa  alla  intesa  Stato  -  Regioni  sulle  misure
organizzative che queste ultime devono assumere.
      Dopo  la  riforma del titolo V, l'autonomia regionale in ordine
alla  organizzazione  degli  enti  sanitari  e'  piu' vasta di quella
consentita dalla precedente materia "assistenza sanitaria", potendosi
in  principio  spingere  fino  alla  stessa "previsione" di essi, dal
momento   che   cio'   "rappresenta   una   delle  possibili  opzioni
organizzative   per   conseguire  le  finalita'  prescelte  dall'ente
costituzionalmente   responsabile   nella  materia  o  nelle  materie
interessate"  (cosi',  molto  efficacemente,  la  sent. n. 270/2005).
Orbene,  alcuni  contenuti  dell'intesa  -  alla  cui stipulazione e'
subordinato   il   contributo   finanziario   statale   -  comprimono
indebitamente  l'autonomia regionale sulla disciplina delle strutture
sanitarie:  cio'  vale  in particolare per l'obbligo di stabilire una
quota  minima  di  risorse  da vincolare al contenimento dei tempi di
attesa  per  le prestazioni (comma 280, lett. d), per le modalita' di
realizzazione  del  centro unico di prenotazione (con utilizzo in via
prioritaria  dei  medici  di  medicina  generale;  lett.  d);  per la
attivazione  "di uno specifico flusso informativo per il monitoraggio
delle  liste  di  attesa"  (lett.  e);  per  la  imposizione che alla
certificazione   degli   interventi   in   attuazione  del  piano  di
contenimento  delle  liste  di  attesa  provveda  il  comitato di cui
all'intesa Stato - Regioni del 23 marzo 2005 (lett. f).
    Del  resto,  lo  stesso  legislatore  statale  deve  essere stato
consapevole   della  illegittimita'  delle  misure  organizzative  in
discorso,   se  ha  ritenuto  di  non  imporle  in  modo  formalmente
unilaterale, e di farne oggetto di una "intesa": in apparenza essa e'
liberamente  sottoscrivibile o rifiutabile (si notera' che il corenia
280  ragiona  di una intesa "ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della
legge 5 giugno 2003, n. 131", di una intesa diretta cioe' "a favorire
l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di
posizioni  unitarie  o il conseguimento di obiettivi comuni"), mentre
in  realta'  essa e' imposta alla regione dalla urgente necessita' di
ottenere il contributo finanziario statale.
    Il  legame tra il concorso nazionale alla copertura dei disavanzi
pregressi  e  l'accordo sul Piano sanitario per il periodo 2006-2008,
risulta  incostituzionale  anche  per  violazione  del  principio  di
ragionevolezza,  in quanto - come si e' rimarcato - ha ad oggetto due
entita' non omogenee.
    Da  questo  vizio non e' esente nemmeno il comma 281, secondo cui
le  singole  Regioni  che  hanno  registrato  negli  anni  passati un
particolare  (incremento  di)  disavanzo,  sono  assoggettate  -  per
concorrere  al  riparto  del  contributo  statale  -  alla  ulteriore
condizione  di  stipulare un apposito accordo "per l'adeguamento alle
indicazioni   del   Piano   sanitario   nazionale   2006-2008   e  il
perseguimento  dell'equilibrio  economico  nel  rispetto  dei livelli
essenziali  di assistenza". Da un lato, infatti, mediante il richiamo
dell'art. 1,  comma  180, legge n. 311/2004, la disposizione parrebbe
ipotizzare  che gli accordi implichino una previa "ricognizione delle
cause"  del disavanzo, ed assumano a contenuto la elaborazione di "un
programma  operativo  di  riorganizzazione,  di riqualificazione o di
potenziamento  del  Servizio  sanitario  regionale";  d'altro lato, e
contraddittoriamente,  la  norma  impugnata  prevede  che  il singolo
accordo  sia  diretto  allo  "adeguamento  alle indicazioni del Piano
sanitario" futuro.
    Gli   argomenti   sopra  svolti  valgono  a  dimostrazione  della
incostituzionalita' delle disposizioni esaminate anche per violazione
dell'art. 119,  comma  4,  Cost.:  se  lo  stesso legislatore statale
riconosce  come  necessario un intervento finanziario a copertura dei
disavanzi  pregressi  (e  non  potrebbe  essere  diversamente, per le
ragioni  strutturali  accennate  all'inizio  del  presente  motivo di
ricorso),   e'  in  violazione  del  principio  per  cui  le  risorse
"ordinarie"   delle   regioni   devono   consentire   "di  finanziare
integralmente   le   funzioni   pubbliche   loro   attribuite"   ogni
"condizione"   che   non  abbia  riguardo  a  quelle  stesse  ragioni
strutturali,  e  che non incidano quindi sulle fonti di entrata o sui
livelli delle prestazioni, o sui costi delle medesime.
    Giova   ricordare  che  solo  superficialmente  la  questione  di
costituzionalita'  ora  proposta  e'  paragonabile a quella sollevata
dalla   Regione  Emilia-Romagna  contro  l'art. 52,  comma  4,  legge
n. 289/2002, e decisa con la sent. 36/2005. La norma allora impugnata
condizionava ad adempimenti "futuri" delle regioni "l'adeguamento del
finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale per gli anni 2003,
2004  e  2005":  vi  era quindi corrispondenza temporale tra le somme
"aggiuntive" da trasferire agli enti autonomi e l'imposizione ad essi
di  determinati  vincoli  organizzativo-assistenziali;  inoltre,  gli
impegni  di  cui  all'art. 52 cit. erano sostanzialmente il frutto di
procedure   concertative  tra  Stato  e  Regioni,  e  proprio  questo
carattere  negoziale  e'  stato  posto dalla Corte a fondamento della
sentenza  n. 36. Ma per nessuno dei due aspetti si puo' affermare una
similitudine con i commi 280 e 281 della legge n. 266.
    4. - Illegittimita' costituzionale dei commi 286 e 287.
    Il  comma  286 dell'art. 1 della legge dispone che "la cessione a
titolo  di donazione di apparecchiature e altri materiali dismessi da
aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, istituti di ricovero e
cura  a  carattere  scientifico  di  diritto pubblico ... a beneficio
delle  strutture  sanitarie  nei  Paesi  in  via  di  sviluppo  o  in
transizione",  "e' promossa e coordinata dall'Alleanza degli ospedali
italiani   nel   mondo"   (si   tratta,  a  quanto  risulta,  di  una
"associazione"; fondata nel 2004 da Ministri del Governo nazionale, e
aperta  all'adesione  di  altri  soggetti,  probabilmente  di  natura
privata).  Il  comma  287  affida  poi  alla "Alleanza" il compito di
"promuovere i necessari contatti per facilitare le donazioni" (quindi
con  i  destinatari  delle  stesse), nonche' di "tenere un inventario
aggiornato delle attrezzature disponibili".
    Al di la' delle contorte formulazioni testuali, l'intendimento di
vincolare gli enti sanitari in ordine alla destinazione dei materiali
dismessi   e   all'avvalimento  necessario  della  Alleanza,  risulta
chiaramente  dal secondo periodo del comma 286, la' dove si obbligano
gli   enti   a  comunicare  alla  Alleanza  la  disponibilita'  delle
attrezzature  sanitarie in questione; d'altronde, una sorta di intesa
(ammesso  che  sia tale) tra Alleanza e strutture parrebbe ipotizzata
solo  per  le  "modalita"  della  comunicazione,  mentre  "il  parere
favorevole  della  regione interessata" sembrerebbe condizionare solo
il  fatto  in  se'  della  cessione  dei  materiali,  e  non anche la
individuazione  dei  destinatari e le modalita' secondo le quali essa
deve seguire.
    Si  e'  dunque  in  primo  luogo in presenza di una norma statale
assai  dettagliata  e  puntuale,  la quale incide su un aspetto della
organizzazione  di  enti  che  -  operando nelle materie della tutela
della  salute e della ricerca scientifica - ricadono pienamente nella
competenza   legislativa   della  regione  (ancora  una  volta  giova
ricordare  quanto  statuito  dalla  recente  sent.  270/2005,  che ha
annullato disposizioni di dettaglio incidenti sulla struttura di enti
sanitari).
    In  secondo  luogo,  il  vincolo  ad una determinata destinazione
delle risorse dismesse viola l'autonomia regionale nell'utilizzazione
di  beni  che  appartengono alla comunita', e che in altra forma alla
stessa   comunita'   potrebbero  essere  utili  (le  norme  impugnate
escludono  ad  esempio  la  destinazione ad istituti scolastici, come
pure  ad  altri  enti  o  gruppi  che agiscano in una qualunque delle
materie attribuite alla competenza regionale).
    E  le  censure di costituzionalita' sollevate non sono superabili
facendo  appello  al  poteri  statali  nella  materia  dei  "rapporti
internazionali  ... delle regioni": al contrario, anche le competenze
spettanti  alla  ricorrente in questa materia sono lese dal carattere
di  dettaglio delle disposizioni impugnate, e dall'affidamento ad una
entita' quale la "Alleanza" dei compiti - di natura in parte politica
ed  in  parte  amministrativa  - attinenti alla cura dei rapporti con
altri Stati o con organismi operanti al loro interno.
    5. - Illegittimita' costituzionale del comma 291.
    Il  comma  291  stabilisce  che  con  decreto  del Ministro della
salute,  adottato  previa  intesa  con la Conferenza Stato - Regioni,
"sono definiti i criteri e le modalita' di certificazione dei bilanci
delle  aziende  sanitarie  locali,  delle  aziende ospedaliere, degli
istituti  di  ricovero  e  cura  a  carattere  scientifico di diritto
pubblico, degli istituti zooprofilattici sperimentali e delle aziende
ospedaliere universitarie".
    Gli  enti  considerati dalla disposizione impugnata operano tutti
in  materie  di  competenza  regionale, in parte concorrente ("tutela
della  salute",  "ricerca  scientifica  e  tecnologica")  e  in parte
residuale  (agricoltura  e  zootecnia).  Essi  sono  conseguentemente
oggetto  della potesta' legislativa della regione, ai sensi dell'art.
117, commi 3 e 4, Cost. (cfr. sent. n. 270/2005).
    La  competenza  della  regione  e'  tuttavia lesa dalla norma qui
considerata,  a  fondamento  della  quale  non  sussiste alcun titolo
costituzionale.  Non potrebbe anzitutto essere invocata la competenza
statale   a   determinare   i  principi  fondamentali  delle  materie
concorrenti richiamate, posto che questi devono comunque risultare da
fonti  di  rango  legislativo  (senza  considerare, poi, che il comma
rinvia  al  decreto  ministeriale non solo per "criteri" ma anche per
ben  piu'  dettagliate  "modalita"  della certificazione). Ove poi al
decreto  governativo  fosse  da  riconoscere natura regolamentare, la
previsione  di esso si porrebbe in radicale contrasto con l'art. 117,
comma 6, Cost.; da escludere e' pure che la norma trovi fondamento in
un  qualche potere statale di indirizzo e coordinamento, testualmente
escluso - per le materie concorrenti e residuali - dall'art. 8, comma
6,  ultimo  periodo,  legge  n. 131/2003  (cfr. la sent. n. 329/2003,
molto precisa su questi due punti).
    Ne'  le  cose  mutano  considerando  le competenze spettanti allo
Stato   nella   materia   esclusiva  del  "coordinamento  informativo
statistico   e   informatico",   o   in   quella   concorrente  della
"armonizzazione  dei  bilanci  pubblici e coordinamento della finanza
pubblica  e  del sistema tributario": la "certificazione dei bilanci"
e' un aspetto "interno" della organizzazione degli enti, e di per se'
non  tocca  alcun  profilo  del coordinamento con dati o attivita' di
altri  soggetti.  Cio'  che  al  piu' si potrebbe ammettere e' che un
principio  fondamentale  della  materia  impongache  i  bilanci siano
certificati,  non  certo  che  un atto statale ne determini criteri e
modalita'   attuative.   Ed   e'   quasi  superfluo  aggiungere  che,
trattandosi  di oggetto che rientra pienamente, quanto a dettaglio di
disciplina, nella disponibilita' della regione, e' irrilevante che la
disposizione   impugnata   abbia  previsto  il  coinvolgimento  delle
autonomie  territoriali  attraverso  la Conferenza permanente Stato -
Regioni.
    6. - Illegittimita' costituzionale del comma 322.
      Dispone  il  comma  322 che le risorse finanziarie "dovute alle
regioni a statuto ordinario in applicazione delle disposizioni recate
dai commi 319 e 320" siano corrisposte alle regioni "secondo un piano
graduale  definito  con  decreto  del  Ministro dell'economia e delle
finanze  da adottare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti
tra  lo  Stato,  le  regioni  e  le  Province autonome di Trento e di
Bolzano, entro il 31 marzo 2006".
    Si tratta di somme che spettano alle regioni per anni che partono
dal  2002, e che neppure ora verrebbero corrisposte con immediatezza.
La  ricorrente  Regione  Liguria  ritiene  che  la  previsione  della
corresponsione  secondo  un "piano graduale" rimetta in definitiva la
corresponsione  di  tali somme alla mera disponibilita', se non buona
volonta',  del  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze, e che sia
percio'  costituzionalmente illegittima per violazione dell'autonomia
finanziaria  riconosciuta  dall'art.  119  Cost.  Ne'  vi  e'  alcuna
garanzia  che il piano sia, almeno esso, determinato entro il termine
previsto dalla legge.
    In  subordine, la ricorrente "Regione ritiene che le scadenze del
piano  graduale  debbano  almeno  essere  concordate  tra Ministero e
regioni    mediante    lo   strumento   dell'intesa   in   Conferenza
Stato-Regioni,    e    che   la   disposizione   in   questione   sia
costituzionalmente illegittima per l'omissione di tale previsione.
    7. - Illegittimita' costituzionale dei commi 597, 598, 599 e 600.
    I  commi  da  597  a  600 disciplinano una porzione della materia
edilizia  residenziale  pubblica,  ed  in particolare le procedure di
alienazione   degli  immobili  nonche'  l'utilizzazione  delle  somme
ricavate.  Complessivamente, si tratta di una disciplina, per di piu'
dettagliata,  in  una  materia,  quale quella indicata, di competenza
regionale  residuale.  Manca  dunque un titolo di competenza statale,
con conseguente illegittimita' costituzionale dell'intera disciplina.
    Precisamente,  il comma 597 dispone che "con apposito decreto del
Presidente  del  Consiglio dei ministri sono semplificate le norme in
materia  di  alienazione  degli immobili di proprieta' degli istituti
medesimi".  Come  detto,  manca  un  titolo di competenza legislativa
statale,  e  la lesione di competenza non viene meno per il fatto che
tale  decreto  e'  da  emanare,  una volta tanto, "previo accordo tra
Governo e regioni".
    Per  la  stessa ragione sono illegittimi i "principi" imposti dai
comma  598  quali  contenuti indefettibili dell'accordo tra Governo e
regioni,  come  pure  il  comma  600,  che  autorizza  gli enti e gli
Istituti   proprietari   ad   affidare   "a  societa'  di  comprovata
professionalita'   ed   esperienza   in  materia  immobiliare  e  con
specifiche   competenze   nell'edilizia   residenziale  pubblica,  la
gestione    delle    attivita'   necessarie   al   censimento,   alla
regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni immobili".
    Sia  consentito  di  notare  che  la  lett.  c)  del comma 598 e'
ulteriormente  illegittima  per  il  fatto  che  pone un vincolo alla
utilizzazione  dei  proventi delle alienazioni, prescrivendo che essi
siano destinati "alla realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento
degli  oneri  dei mutui sottoscritti da giovani coppie per l'acquisto
della  prima  casa,  a  promuovere  il recupero sociale dei quartieri
degradati  e per azioni in favore di famiglie in particolare stato di
bisogno":  con  evidente intromissione nelle determinazioni regionali
circa l'uso delle risorse a disposizione.

        
      
                              P. Q. M.
    Chiede  voglia  codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il
ricorso,   dichiarando   l'illegittimita'  delle  disposizioni  sopra
indicate, nei termini sopra esposti.
          Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi
        Padova-Roma, addi' 24 febbraio 2006

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