Ricorso n. 38 del 6 marzo 2015 (Regione Puglia)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 6 marzo 2015 (della Regione Puglia).
(GU n. 16 del 2015-04-22)
Ricorso nell'interesse della regione Puglia, in persona del
Presidente pro tempore della Giunta regionale dott. Nicola Vendola, a
cio' autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 221 del
20 febbraio 2015, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Marcello
Cecchetti del Foro di Firenze (pec.
…) e dall'avv. Vittorio
Triggiani, Coordinatore dell'Avvocatura Regionale, ed elettivamente
domiciliato presso lo studio del primo in Roma, via Antonio Mordini
n. 14, come da mandato a margine del presente atto, contro lo Stato,
in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, dell'art. 1, commi
420, 421, 422, 423, 424 e 427 della legge 23 dicembre 2014, n. 190
[Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)], pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale 29 dicembre 2014, n. 300 (S.O. n. 99), per violazione degli
articoli 3, primo comma, 81, ultimo comma, 97, secondo comma, 114,
secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo, quarto e sesto
comma, 118, primo e secondo comma, 119, primo, secondo, quarto e
ultimo comma, della Costituzione, nonche' per violazione dell'art. 5,
comma 1, lett. e) , e comma 2, lett. b), della legge cost. n. 1 del
2012, e degli articoli 9, comma 5, e 10, comma 1, della legge n. 243
del 2012.
1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 420, della
legge n. 190 del 2014.
1.1 - Premessa.
Il comma 420 prevede una serie di divieti puntuali di spesa per
le province delle regioni a statuto ordinario. In particolare, la
disposizione che qui si contesta cosi' prevede: «A decorrere dal 1°
gennaio 2015, alle province delle regioni a statuto ordinario e'
fatto divieto: a) di ricorrere a mutui per spese non rientranti nelle
funzioni concernenti la gestione dell'edilizia scolastica, la
costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della
circolazione stradale ad esse inerente, nonche' la tutela e
valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b) di
effettuare spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre,
pubblicita' e di rappresentanza; c) di procedere ad assunzioni a
tempo indeterminato, anche nell'ambito di procedure di mobilita'; d)
di acquisire personale attraverso l'istituto del comando. I comandi
in essere cessano alla naturale scadenza ed e' fatto divieto di
proroga degli stessi; e) di attivare rapporti di lavoro ai sensi
degli articoli 90 e 110 del testo unico delle leggi sull'ordinamento
degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267, e successive modificazioni. I rapporti in essere ai sensi del
predetto art. 110 cessano alla naturale scadenza ed e' fatto divieto
di proroga degli stessi; f) di instaurare rapporti di lavoro
flessibile di cui all'art. 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122, e successive modificazioni; g) di attribuire incarichi
di studio e consulenza».
Tali previsioni sono costituzionalmente illegittime, per
violazione di numerosi parametri costituzionali, secondo quanto si
specifichera' di seguito.
1.2. - Violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 119,
secondo comma, Cost.
In primo luogo, deve essere evidenziato che le prescrizioni sopra
richiamate violano l'autonomia legislativa regionale in materia di
«coordinamento della finanza pubblica», che gli artt. 117, terzo
comma, e 119, secondo comma, Cost., affidano alla potesta'
concorrente di Stato e regioni. Cio' in quanto esorbitano dal limite
dei principi fondamentali che le citate disposizioni costituzionali
pongono alla competenza della legge statale nella materia de qua.
Non vi e' chi non veda, infatti, come le disposizioni in esame
siano di estremo dettaglio. Esse, infatti, impongono vincoli puntuali
a determinate voci di spesa, in contrasto con quanto la
giurisprudenza di questa ecc.ma Corte ha da tempo escluso che la
legge statale possa fare. Sul punto, ex plurimis, si veda la sent. n.
417 del 2005, secondo cui «la previsione da parte della legge statale
di limiti all'entita' di una singola voce di spesa non puo' essere
considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione
dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, perche'
pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della spesa e si
risolve percio' «in una indebita invasione, da parte della legge
statale, dell'area [...] riservata alle autonomie regionali e degli
enti locali, alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri
[...] ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma
non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per
raggiungere quegli obiettivi» (in senso analogo, si veda anche la
sent. n. 390 del 2004).
Si consideri peraltro che le disposizioni in questione non
prevedono semplicemente «vincoli» a specifiche voci di spesa (ed es.,
imponendo di contenerle in una determinata misura, magari individuata
in una percentuale di quella inserita in bilancio nell'esercizio
precedente), ma veri e propri divieti: la specificita', la
puntualita' e il grado dettaglio di tali prescrizioni sono dunque al
massimo possibile. Al riguardo, si osserva che la giurisprudenza di
questa Corte ha gia' provveduto a dichiarare costituzionalmente
illegittime norme statali in tema di coordinamento della finanza
pubblica che ponevano precetti certamente non piu' dettagliati di
quelli qui in discussione, in quanto esorbitanti dalla competenza
statale in materia. A mero titolo di esempio puo' essere qui
richiamata la gia' ricordata sent. n. 417 del 2005, che ha accolto le
questioni proposte da parte regionale nei confronti di norme statali
che introducevano «puntuali vincoli» concernenti «le spese per studi
e incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei
all'amministrazione, missioni all'estero, rappresentanza, relazioni
pubbliche e convegni, nonche' le spese per l'acquisto di beni e
servizi». Ebbene, tali vincoli sono stati ritenuti costituzionalmente
illegittimi, ancorche' fossero imposti dalle norme allora in
discussione in modo certamente piu' flessibile e meno dettagliato
rispetto a cio' che avviene nel caso del comma 420 dell'art. 1 della
legge n. 190 del 2014. Ad esempio, l'art. 1, comma 9, del d.l. n. 168
del 2004 prevedeva che la spesa «per studi ed incarichi di consulenza
conferiti a soggetti estranei all'amministrazione» non potesse essere
«superiore alla spesa annua mediamente sostenuta nel biennio 2001 e
2002, ridotta del 15 per cento», mentre i successivi commi 10 e 11
prevedevano analoghe limitazioni alle spese rispettivamente per
missioni all'estero e rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni,
e per l'acquisto di beni e servizi. Come si vede, si trattava di
prescrizioni certamente meno rigide e puntuali degli assoluti divieti
su specifiche voci di spesa che in questa sede si contestano. Eppure
quei vincoli sono stati dichiarati incostituzionali, nella parte in
cui si rivolgevano alle regioni ed agli enti locali, in quanto non
potevano considerarsi principi fondamentali nella materia del
«coordinamento della finanza pubblica» (sent n. 417 del 2005, par.
6.3 del Considerato in diritto).
I vincoli posti dalle disposizioni impugnate sono dunque ben piu'
puntuali e stringenti di quelli gia' dichiarati incostituzionali in
precedenti sentenze. Essi pertanto devono considerarsi
costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 117, terzo
comma, e 119, secondo comma, Cost., in quanto pongono norme di
estremo dettaglio nell'ambito della materia di competenza legislativa
concorrente del «coordinamento della finanza pubblica».
1.3. - Violazione dell'art. 119, primo comma, Cost.
Le disposizioni in questione violano altresi' l'autonomia
finanziaria, sotto il profilo della spesa, riconosciuta alle province
dall'art. 119, primo comma, Cost.
Non vi e' chi non veda, infatti, come l'imposizione rigida di
divieti puntuali di specifiche voci di spesa sia del tutto
incompatibile con una qualsiasi (anche minima) autonomia di spesa.
L'autonomia finanziaria, sul versante delle uscite, riconosciuta alle
province dalla norma costituzionale citata, comporta infatti che a
tali enti sia garantita una sfera di autodeterminazione minima
intangibile in relazione alla destinazione delle proprie spese. Si
tratta di un principio basilare dell'autonomia
politico-amministrativa di tutti gli enti territoriali che compongono
la Repubblica, tale per cui la definizione dell'indirizzo
politico-amministrativo di ciascun ente e' affidato ai processi
democratici di deliberazione pubblica che si svolgono nel suo ambito,
ovviamente entro i limiti posti dagli altri enti - ed in particolare
da quelli dotati di competenza legislativa - nel rispetto delle
prescrizioni costituzionali.
L'annullamento della possibilita' di autodeterminarsi in
relazione alle proprie spese non rappresenta, pero', un limite
all'esercizio di un'autonomia, ma la sua radicale negazione, sia pure
in un settore specifico anche se di importanza strategica come quello
del pubblico impiego.
La normativa impugnata viola quindi l'art. 119, primo comma,
Cost., in quanto da essa deriva la radicale negazione dell'autonomia
finanziaria, sul versante della spesa, riconosciuta alle province da
tale disposizione costituzionale e - per conseguenza - una
corrispondente compressione dell'autonomia politico-amministrativa di
tali enti.
1.4. - Violazione degli articoli 3, primo comma, e 81, ultimo comma,
Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1, lett. e), della legge cost. n. 1
del 2012 e dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012.
L'odierna ricorrente e' consapevole che la riforma costituzionale
del 2012 (legge cost. n. 1 del 2012), e la relativa normativa di
attuazione (legge n. 243 del 2012), hanno riconosciuto allo Stato
ulteriori possibilita' di disciplina di numerosi aspetti della
finanza pubblica delle autonomie territoriali. Anche ove si ritenesse
di dover leggere le prescrizioni di cui al comma 420 in questa sede
impugnato nel quadro dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del
2012 - ossia la c.d. «legge organica» di attuazione dell'art. 81,
ultimo comma, Cost., e dell'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 -
il comma 420 sarebbe da considerare incostituzionale proprio per
violazione delle citate norme di rango costituzionale e del parametro
interposto costituito dalla menzionata disposizione della legge n.
243.
L'art. 81, ultimo comma, Cost., nel testo attualmente vigente e
introdotto ad opera della legge cost. n. 1 del 2012, prevede, come e'
noto, che «il contenuto della legge di bilancio, le norme
fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le
entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilita' del debito del
complesso delle pubbliche amministrazioni (siano) stabiliti con legge
approvata a maggiorana assoluta dei componenti di ciascuna camera,
nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale».
L'art. 5 della medesima legge cost. n. 1 del 2012, a sua volta,
prevede che «la legge di cui all'art. 81, sesto comma, della
Costituzione, come sostituito dall'art. 1 della presente legge
costituzionale, disciplin(i), per il complesso delle pubbliche
amministrazioni (...) l'introduzione di regole sulla spesa che
consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione
del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo
periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica» (comma 1,
lett. e).
Viene dunque introdotta nel nostro ordinamento una nuova fonte
del diritto - qualificata in dottrina legge «rinforzata» o «organica»
(cosi', ad es., N. Lupo, Il nuovo art. 81 della Costituzione e la
legge «rinforzata» o «organica», in AA.VV., Dalla crisi economica al
pareggio di bilancio: prospettive, percorsi e responsabilita',
Milano, Giuffre', 2013, 425 ss.) - alla cui competenza e' affidata la
definizione di una normativa generale complessivamente volta a
disciplinare gli aspetti fondamentali della finanza pubblica per
tutte le pubbliche amministrazioni. Tale legge statale «rinforzata» o
«organica», inoltre, da un lato beneficia di una competenza di cui la
legge statale «ordinaria» non dispone (dovendo quest'ultima - per il
settore che qui interessa, rimanere nell'ambito dei principi di
coordinamento della finanza pubblica di cui agli artt. 117, terzo
comma, e 119, secondo comma, Cost.; dall'altro assume un indubbio
valore parametrico, quale norma interposta rispetto alle disposizioni
costituzionali piu' sopra citate nei confronti delle leggi statali
ordinarie e regionali che interverranno sul tema. Come e' risaputo,
il legislatore statale ha attuato l'art. 81, ultimo comma, Cost., e
l'art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 tramite la legge «organica»
o «rinforzata» n. 243 del 2012.
Come si mostrera' tra un attimo, le prescrizioni di tale legge -
e, dunque, con esse l'art. 81, ultimo comma, e l'art. 5 della legge
cost. n. 1 del 2012 - sono stati palesemente violati dal comma 420
dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014. Cio' per tre differenti ma
concorrenti ragioni.
I) La prima puo' essere apprezzata con specifico riferimento al
contenuto della citata legge «organica». L'art. 9, comma 5, della
legge n. 243 del 2012, infatti, prevede quanto segue: «Nel rispetto
dei principi stabiliti dalla presente legge, al fine di assicurare il
rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea,
la legge dello Stato, sulla base di criteri analoghi a quelli
previsti per le amministrazioni statali e tenendo conto di parametri
di virtuosita', puo' prevedere ulteriori obblighi a carico degli enti
di cui al comma 1 in materia di concorso al conseguimento degli
obiettivi di finanza pubblica del complesso delle amministrazioni
pubbliche». Come si vede, la legge «organica» o «rinforzata» di cui
all'art. 81 Cost. stabilisce che la legge statale possa prevedere, a
carico degli enti autonomi territoriali, «ulteriori obblighi (...) in
materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza
pubblica» solo ove rispetti due differenti condizioni: a) che tali
obblighi siano posti «nulla base di criteri analoghi» a quelli
previsti per le amministrazioni statali; b) che i medesimi obblighi
tengano conto di «parametri di virtuosita'».
Ebbene, non occorrere spendere molte parole per mostrare come
nessuno di questi due requisiti sia soddisfatto dalle norme che qui
si contestano. Il comma 420 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014,
infatti, pone divieti di spesa che: a) non trovano corrispondenza in
divieti introdotti per le amministrazioni statali, e quindi non sono
posti «sulla base di criteri analoghi» a quelli previsti per queste
ultime; b) sono assolutamente rigidi e si applicano uniformemente a
tutti gli enti provinciali, non tenendo quindi in conto alcun
«parametr(o) di virtuosita'».
Il contrasto con la citata disposizione della c.d. «legge
organica» non potrebbe essere piu' evidente. Cio' determina la
violazione delle norme di rango costituzionale che alla medesima
fanno rinvio, ossia l'art 81, ultimo comma, Cost., e l'art. 5 della
legge cost. n. 1 del 2012.
II) La seconda ragione puo' essere agevolmente apprezzata tramite
una lettura sistematica delle norme rilevanti sul tema. Al riguardo,
infatti, e' necessario considerare che la successione di atti
normativi volti ad assicurare il raggiungimento degli obiettivi di
finanza pubblica prefigurata dall'art. 81, ultimo comma, Cost., e'
diretta a fissare, per il complesso delle pubbliche amministrazioni,
«norme fondamentali» e «criteri»: ossia standard che non possono non
mantenersi ad un alto tasso di generalita', non potendo invece
contenere precetti specifici e dettagliati. L'art. 5 della legge
cost. n. 1 del 2012 - che discorre di «regole sulla spesa» - e l'art.
9, comma 5, della legge n. 243 del 2012, il quale fa invece
riferimento ad «ulteriori obblighi» - devono quindi essere letti alla
luce del richiamato disposto dell'art. 81, ultimo comma, Cost.: tali
«regole» e tali «obblighi» non possono mai essere caratterizzati da
un livello di generalita' particolarmente basso, ne' da una natura di
dettaglio particolarmente accentuata, dovendo essere sempre
qualificabili come «norme fondamentali» e «criteri». Cio' esclude che
alle disposizioni di rango costituzionale in parola e all'art. 9,
comma 5, della legge n. 243 del 2012 possano essere ricondotte
prescrizioni cosi' specifiche e analitiche quali quelle qui
contestate.
III) Si consideri, infine, che le «regole sulla spesa» che
possono essere introdotte in base all'art. 5, comma 1, lett. e),
della legge cost. n. 1 del 2012, sono solo quelle volte all'obiettivo
di «salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del
rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo
periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica». La
disposizione di rango costituzionale appena citata, quindi, subordina
la possibilita' di imporre tali «regole» alla loro finalizzazione
alla salvaguardia degli equilibri di bilancio. Il comma 420, invece,
da un lato non e' idoneo a garantire tale obiettivo, poiche' il fatto
che gli enti provinciali non sostengano le spese in questione non
comporta affatto che tali enti non affrontino altre spese in
modalita' e quantita' tali da frustrare l'obiettivo della
salvaguardia degli equilibri di bilancio e della riduzione tra debito
e PIL; dall'altro, in presenza di vincoli piu' generali alla spesa
pubblica degli enti provinciali, nonche' delle norme concernenti il
loro concorso al contenimento della stessa, si rivelano del tutto non
necessari al conseguimento degli obiettivi sopra citati.
I divieti in questione, quindi, sono da un lato inidonei, e
dall'altro non necessari rispetto al conseguimento dell'obiettivo cui
dovrebbero essere volti. Cio' determina due conseguenze:
i) in primo luogo, contrastano con l'art. 5, comma 1, lett.
e), della legge cost. n. 1 del 2012, che pone detto obiettivo;
ii) in secondo luogo, sono palesemente irragionevoli, in
quanto pongono precetti gravosi per l'autonomia finanziaria
provinciale senza superare ben due delle tre tappe del giudizio di
proporzionalita-ragionevolezza (ossia «idoneita'», «necessita'» e
«proporzionalita'» in senso stretto), cosi' come viene teorizzato
dalla dottrina piu' autorevole (cfr., per tutti, R. Alexy, Collisione
e bilanciamento quale problema di base della dogmatica dei diritti
fondamentali, in M. La Torre, A Spadaro (a cura di), La
ragionevolezza nel diritto, Torino, Giappichelli, 2002, 27 ss.). Per
questa ragione devono essere ritenute in contrasto anche con l'art.
3, primo comma, Cost.
1.5. - Violazione dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012,
degli articoli 81, ultimo comma, e 119, primo e secondo comma, Cost.,
dell'art. 5, comma 1, lett. e), della legge cost. n. 1 del 2012,
nonche' dell'art. 3, primo comma, Cost.
Nel precedente par. 1.4 si e' mostrato come non e' possibile
ritenere che le disposizioni qui contestate siano state poste in
attuazione dell'art. 81, ultimo comma, Cost., dell'art. 5 della legge
cost. n. 1 del 2012 e della legge c.d. «organica» n. 243 del 2012,
ponendosi anzi in insanabile contrasto con tali atti normativi. Nella
denegata ipotesi in cui questa ecc.ma Corte non ritenesse di dover
ravvisare tale contrasto, tuttavia, esse sarebbero comunque
incostituzionali per violazione dell'autonomia finanziaria delle
province, in quanto, ponendo rigidi divieti di estremo dettaglio, non
consentono a queste ultime alcun margine di manovra sulle proprie
spese in relazione alle voci ivi considerate.
La ragione che sta a fondamento di tale censura e' agevolmente
comprensibile ove si consideri quanto segue.
Le norme della legge costituzionale n. 1 del 2012 cui sopra si e'
fatto riferimento, nella parte in cui legittimano leggi statali -
«rinforzate e organiche» o «ordinarie» - a introdurre norme volte a
disciplinare (anche) la spesa degli enti territoriali, devono
comunque essere lette in combinato disposto con l'art. 119, primo
comma, Cost., che continua a riconoscere, pur dopo l'entrata in
vigore della legge costituzionale sopra citata, autonomia finanziaria
alla provincia (per quel che qui interessa). Da cio' si desume che i
precetti posti dalla legge statale nell'ambito delle nuove competenze
assegnate allo Stato dalla riforma costituzionale del 2012, devono
comunque salvaguardare un ambito di autodeterminazione, sul versante
della spesa, agli enti di cui all'art. 119, primo comma, Cost. Cio'
che, come e' del tutto evidente, non avviene nel caso del comma 420
che qui si contesta.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 420, lettere
c), d), e) e f), della legge n. 190 del 2014.
2.1. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto
comma, Cost.
Specifiche ragioni di incostituzionalita' riguardano inoltre il
comma 420 nella parte in cui - alle lettere c), e) e f) - vieta in
modo assoluto alle province di acquisire personale in qualunque forma
e tipo di rapporto di lavoro, invadendo cosi' la potesta' legislativa
regionale in tema di organizzazione amministrativa delle province.
Come e' noto, a far data dall'entrata in vigore della legge cost.
n. 1 del 2001, lo Stato ha perso la competenza legislativa generale
in materia di enti locali, potendo, con riguardo a questi ultimi,
porre soltanto le norme che rientrino negli ambiti materiali di cui
all'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost. (funzioni fondamentali,
organi di governo e legislazione elettorale di province, comuni e
citta' metropolitane). La materia dell'«organizzazione amministrativa
della provincia», dunque, spetta ora alla competenza legislativa
regionale ex art. 117, quarto comma, Cost. Le disposizioni statali
contenute nell'art. 1, comma 420, della legge n. 190 del 2014,
intervenendo in modo evidente su tale ambito materiale, violano
percio' in maniera altrettanto evidente i parametri costituzionali
appena evocati.
2.2. - Violazione degli articoli 114, secondo comma, 117, sesto
comma, e 118, primo comma, Cost.
L'art. 1, comma 420, lettere c), d), e) e f), della legge n. 190
del 2014, lede altresi', in termini addirittura macroscopici,
l'autonomia organizzativa e funzionale delle province.
L'art. 114, secondo comma, come e' noto, riconosce l'autonomia
degli enti provinciali, che e' ribadita - con specifico riguardo
all'autonomia organizzativa - dall'art. 117, sesto comma, Cost.
Tale particolare autonomia e' implicita anche nell'art. 118,
primo comma, Cost., che riconosce alle province autonomia
amministrativa, la quale non avrebbe modo di svolgersi in modo
adeguato senza implicare necessariamente, alla base, una
corrispondente autonomia organizzativa.
Ebbene, non vi e' chi non veda come una normativa, quale quella
qui contestata, che, come gia' evidenziato, vieta in modo assoluto
alle province di acquisire personale in qualunque forma e tipo di
rapporto di lavoro, nega in radice un aspetto essenziale
dell'autonomia organizzativa di tali enti, vulnerando percio' i
citati parametri costituzionali.
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 420, lett. a),
della legge n. 190 del 2014.
3.1. - Violazione dell'art. 10, comma 1, della legge n. 243 del 2012,
degli articoli 81, ultimo comma, 117, terzo comma, e 119, primo,
secondo e ultimo comma, Cost., nonche' dell'art. 5, comma 2, lett.
b), della legge cost. n. 1 del 2012.
Specifiche ragioni di illegittimita' costituzionale concernono
anche la lett. a) del comma 420, ai sensi del quale alle province e'
fatto divieto «di ricorrere a mutui per spese non rientranti nelle
funzioni concernenti la gestione dell'edilizia scolastica, la
costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della
circolazione stradale ad esse inerente, nonche' la tutela e
valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza». Questa
disposizione contrasta palesemente con i limiti che gravano sulla
legge statale nel momento in cui essa disciplina il ricorso
all'indebitamento degli enti territoriali, poiche' vieta tale ricorso
anche per spese di investimento, quando queste ultime non afferiscano
alle funzioni sopra menzionate.
Tale divieto contrasta, innanzi tutto, con l'art. 119, primo e
sesto comma, Cost., che da un lato prevedono l'autonomia di entrata e
di spesa delle province, e dall'altro limitano tale autonomia, in
relazione al ricorso all'indebitamento, solo nel senso che a tale
strumento di finanziamento si puo' fare ricorso esclusivamente per
«finanziare spese di investimento», senza distinguere a seconda della
finalizzazione funzionale di queste ultime.
Il contrasto e' inoltre apprezzabile anche in relazione all'art.
5, comma 2, lett. b), della legge cost. n. 1 del 2012, e all'art. 10,
comma 1, della legge n. 243 del 2012. La prima disposizione, infatti,
prevede che la c.d. «legge organica» disciplina «la facolta' dei
comuni, delle province, delle citta' metropolitane, delle regioni e
delle province autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere
all'indebitamento, ai sensi dell'art. 119, sesto comma, secondo
periodo, della Costituzione, come modificato dall'art. 4 della
presente legge costituzionale». Il citato art. 10, comma 1, della
legge n. 243 del 2012, per parte sua, specifica il divieto di cui
all'art. 119, sesto comma, Cost., autorizzando la legge statale
ordinaria a prevedere «modalita'» e «limiti» di tale divieto.
L'impugnato comma 420, lett. a), invece, pone un ulteriore e piu'
pervasivo divieto concernente il ricorso all'indebitamento,
esorbitando dunque dai limiti che la legge statale incontra in base
alle disposizioni sopra menzionate, e violando cosi' anche l'art. 81,
ultimo comma, Cost., che rappresenta il fondamento costituzionale
della vincolativita', per la legge ordinaria statale, della «legge
organica» n. 243 del 2012.
Risultano violati, inoltre, gli artt. 117, terzo comma, e 119,
secondo comma, Cost., perche' la legge statale pone norme volte al
coordinamento della finanza pubblica aventi caratteristiche di
dettaglio e non limitate, dunque, ai soli «principi fondamentali».
4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 421, della
legge n. 190 del 2014.
4.1. - Premessa.
Il comma 421 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014 cosi'
dispone: «La dotazione organica delle citta' metropolitane e delle
province delle regioni a statuto ordinario e' stabilita, a decorrere
dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura pari
alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore
della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta rispettivamente, tenuto
conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge
7 aprile 2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento e in
misura pari al 30 per cento per le province, con territorio
interamente montano e confinanti con Paesi stranieri, di cui all'art.
1, comma 3, secondo periodo, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Entro
trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i
predetti enti possono deliberare una riduzione superiore. Restano
fermi i divieti di cui al comma 420 del presente articolo. Per le
unita' soprannumerarie si applica la disciplina dei commi da 422 a
428 del presente articolo».
Come si vede, la disposizione in questione prevede una
consistente riduzione della pianta organica delle citta'
metropolitane e delle province, pari addirittura al 30% per le prime
e al 50% per le seconde, rispetto all'ammontare della spesa per il
personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge n. 56
del 2014. La riduzione e' inoltre prevista nel 30% per le province
con territorio interamente montano e confinanti con paesi stranieri.
Questa disposizione e' incostituzionale per le seguenti ragioni.
4.2. - Violazione art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto comma,
Cost.
Il primo contrasto con disposizioni costituzionali che si rende
palese in relazione alla norma citata e' quello concernente la
lesione della competenza legislativa della regione in materia di
«organizzazione amministrativa degli enti locali». Tale materia,
infatti, risulta affidata alla competenza legislativa residuale
regionale ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost., mentre lo
Stato puo' disciplinare solo i profili indicati nell'art. 117,
secondo comma, lett. p), Cost., tra i quali non vi e', come e'
evidente, quello concernente la pianta organica delle province e
delle citta' metropolitane.
Dunque, la disposizione di cui all'art. 1, comma 421, della legge
n. 190 del 2014 deve ritenersi costituzionalmente illegittima, in
quanto dettata in totale carenza di titolo competenziale.
4.3. -Violazione dell'art. 117, terzo comma, e 119, secondo comma,
Cost. (in via subordinata rispetto alla questione proposta nel par.
precedente).
Anche ove si volesse considerare il comma 421, in base ad un
giudizio di prevalenza, riconducibile in qualche modo alla potesta'
legislativa statale nella materia del «coordinamento della finanza
pubblica», la norma sarebbe da ritenere parimenti incostituzionale
per eccesso di competenza.
Essa, infatti, contiene precetti di dettaglio, che riguardano una
singola voce di spesa e non concedono alcun margine di operativita'
alla legge regionale nella sua modulazione. Alla luce della
giurisprudenza costituzionale sul punto, non puo' dunque essere
considerata un «principio fondamentale» della materia.
4.4. - Violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo
comma, Cost.
L'autonomia legislativa regionale e' inoltre violata per una
ulteriore ragione. Come e' noto, la legge regionale, anche in
attuazione di quanto previsto dall'art. 1, comma 89, della legge n.
56 del 2014, deve mettere in atto un processo di riordino delle
funzioni di area vasta rientranti nelle materie di propria
competenza, ai sensi degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118,
secondo comma, Cost.
La drastica, rigida e assolutamente standardizzata riduzione
dell'organico degli enti di area vasta in questione coarta e lede la
discrezionalita' legislativa regionale che e' chiamata ad esplicarsi,
alla luce delle disposizioni costituzionali citate, nel detto
processo di riordino, poiche' il (ri)dimensionamento del personale
degli enti territoriali che deriva dal comma 421 non puo' che
ridondare pregiudizialmente sulle scelte legislative regionali
concernenti l'allocazione delle funzioni. In altre parole, la
regione, nell'esercizio della funzione legislativa volta al riordino
delle funzioni amministrative di propria competenza, non potra'
esercitare la propria discrezionalita', alla luce dei principi
costituzionali coinvolti, perche' si trovera' di fronte il «dato»
costituito dalla vistosa riduzione del personale degli enti di area
vasta coinvolti.
La censura appena prospettata, peraltro, ha una portata che va
ben al di la' di quanto appena evidenziato. Come e' noto, infatti, le
funzioni amministrative affidate alle province e alle citta'
metropolitane non rappresentano uno stock immutabile, e certamente
non lo saranno anche successivamente all'attuazione del menzionato
comma 89 della legge n. 56 del 2014. I legislatori competenti per
materia, infatti, potranno modulare via via la quantita' e il tipo di
funzioni da allocare a tali livelli territoriali di area vasta,
nell'esercizio della propria discrezionalita' legislativa e in
attuazione dell'art. 118, primo e secondo comma, Cost. Un
dimezzamento (o comunque una vistosa riduzione) del personale degli
enti di area vasta operato dall'alto e solo da parte di uno dei
legislatori competenti ad allocare e disciplinare le funzioni
amministrative di tali enti, impedira' il congruo dispiegarsi della
citata discrezionalita' (in specie da parte della legge regionale,
per quel che qui interessa), poiche' le scelte allocative saranno
irrimediabilmente pregiudicate dal forte ridimensionamento degli
organici operato dalla norma impugnata in questa sede.
4.5. - Violazione dell'art. 118, primo e secondo comma, e 119, quarto
comma, Cost.
Per ragioni analoghe risultano gravemente violati dal comma 421
anche i principi di sussidiarieta', adeguate e dfferenziazione,
nonche' il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse di cui
all'art. 119, quarto comma, Cost.
I precetti posti dall'art. 118, infatti, risultano lesi dalla
circostanza secondo la quale il riordino delle funzioni operato dalla
legge regionale si trovera' a non poter farsi guidare da tali norme,
poiche' non sara' possibile attribuire agli enti di area vasta tutte
le funzioni che ai medesimi dovrebbero spettare in base ai principi
menzionati, a causa della inadeguatezza della loro dotazione organica
rispetto allo svolgimento delle medesime.
Cio' rende palese anche la violazione dell'art. 119, quarto
comma, Cost., e del principio di corrispondenza tra funzioni e
risorse che quest'ultimo pone. In base a tale disposizione
costituzionale, infatti, le risorse derivanti dalle fonti di cui ai
primi tre commi della medesima devono essere sufficienti ad
assicurare lo svolgimento delle funzioni che agli enti territoriali
spettano in base ai principi di sussidiarieta', differenziazione e
adeguatezza, cosi' come attuati dal legislatore competente per
materia. Il che vuol dire che, in primo luogo, vanno individuate le
funzioni amministrative che devono essere esercitate dai diversi
livelli di governo, e poi, solo in secondo luogo, vanno individuate,
in ragione dello stock di funzioni di ciascuno di essi, le risorse
che agli stessi vanno assegnate. Il comma 421, invece, procede in
modo esattamente opposto, poiche' la riduzione della dotazione
organica in esso prevista avviene a monte del riassetto delle
funzioni amministrative che le leggi di ciascuna regione sono
chiamate a fare dalla legge n. 56 del 2014.
Quello appena accennato e', in sintesi, il punto cruciale delle
censure esposte nel presente e nel precedente paragrafo.
Come e' noto, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo
chiarito che tra i precetti immediatamente vincolanti per la
legislazione statale e' individuabile anche quello di non alterare
«il rapporto tra complessivi bisogni (...) e medi finanziari per
farvi fronte»: cosi' la sent. n. 381 del 2004, par. 6 del Considerato
in diritto, con specifico riferimento alla regione, ma in base ad un
principio valido per ogni ente territoriale. La successiva sent. n.
431 del 2004 ha inoltre evidenziato che la violazione del principio
de quo si verifica quando la legge determina «una complessiva
insufficienza dei mezzi finanziari a disposizione» dell'ente
territoriale «per l'adempimento dei propri compiti» (par. 3 del
Considerato in diritto, anche in questo caso con specifico
riferimento alle funzioni regionali ma in base ad una argomentazione
evidentemente valida per qualunque ente territoriale
costituzionalmente previsto).
Ebbene, l'odierna ricorrente non intende sostenere che, in
generale, la vistosa riduzione delle risorse finanziarie a
disposizione degli enti di area vasta prevista dai commi 418 e 419
della legge n. 190 del 2014 - qui non impugnati - determini
senz'altro «una complessiva insufficienza dei mezzi finanziari a
disposizione» degli enti territoriali «per l'adempimento dei propri
compiti». Si sostiene invece che tale riduzione riesce ad evitare di
incorrere in vizi di incostituzionalita', sotto il profilo qui
considerato, solo nella misura in cui essa consente alla regione di
esplicare la propria discrezionalita' legislativa nella modulazione
delle funzioni degli enti di area vasta, in modo tale da rendere -
pur nel contesto dei limiti complessivi offerti dai citati commi 418
e 419 - le province e le citta' metropolitane strutturalmente
adeguate allo svolgimento delle funzioni che, in attuazione dell'art.
118 Cost., essa decidera' di assegnare a queste ultime.
Cio' e' precisamente impedito dal comma 421 che qui si contesta,
poiche' esso aggiunge alla gia' vistosa diminuzione delle risorse
complessive a disposizione degli enti di area vasta operata dai commi
418 e 419 un elemento di fortissima rigidita' consistente nel
ridimensionamento dei relativi organici operato prima e a prescindere
del processo di riallocazione delle funzioni, quando invece la logica
dei principi costituzionali - cosi' come esplicitata anche dalle
pronunce di questa ecc.ma Corte sopra richiamate - e' esattamente
opposta: prima vanno stabilite le funzioni amministrative che, in
attuazione dell'art. 118, spettano a ciascun ente territoriale, e
solo dopo - sia pure nel contesto delle determinazioni statali in
materia di coordinamento della finanza pubblica, vanno individuate le
risorse da assegnare a tali enti. Nel nostro caso le determinazioni
statali di coordinamento della finanza pubblica sono offerte dai
richiamati commi 418 e 419, mentre il successivo comma 421 determina
ex ante e in modo rigido lo stock di risorse di personale a
disposizione degli enti di area vasta, prescindendo del tutto dal
complesso delle funzioni che, anche in base alla legge regionale,
essi saranno chiamati a svolgere.
4.6. - Violazione dell'art. 9, comma 5, della legge n. 243 del 2012,
dell'art. 81, ultimo comma, Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1,
lett. e), della legge cost. n. 1 del 2012.
Come gia' evidenziato piu' sopra, la regione ricorrente e'
consapevole che la legge cost. n. 1 del 2012, e la normativa di
attuazione della medesima, hanno offerto alle fonti statali ulteriori
vie per disciplinare importanti aspetti della finanza degli enti
territoriali.
Anche ove si volesse considerare il comma 421 attuativo della
c.d. «legge organica» n. 243 del 2012, adottata in base al sesto
comma dell'art. 81 Cost., nonche' dell'art. 5, comma 1, della legge
cost. n. 1 del 2012, tuttavia, l'incostituzionalita' di tale
disposizione risulterebbe comunque palese. Essa, infatti, contrasta
evidentemente con l'art. 9, comma 5, della citata «legge organica»,
poiche' - come si e' gia' rilevato al par. 1.4, sub I) - in base a
tale disposizione la legge ordinaria dello Stato puo' imporre
«ulteriori obblighi» agli enti territoriali solo: a) «sulla base di
criteri analoghi a quelli previsti per le amministrazioni statali»; e
b) «tenendo conto di parametri di virtuosita'».
Ebbene, non vi e' chi non veda come nessuno di questi due
requisiti risulti rispettato dal comma 421 dell'art. 1 della legge n.
190 del 2014, di talche' esso deve essere ritenuto in contrasto non
solo con la citata disposizione della «legge organica» n. 243 del
2012, ma anche con gli articoli 81, sesto comma, Cost., e 5, comma 1,
della legge cost. n. 1 del 2012, sui quali riposa la forza obbligante
per le leggi statali ordinarie della menzionata «legge organica».
5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 422, della
legge n. 190 del 2014.
5.1. - Premessa.
Il comma 422 prevede che venga individuato «entro novanta giorni»
dalla data di entrata in vigore della stessa legge di stabilita', e
«secondo modalita' e criteri definiti nell'ambito delle procedure e
degli osservatori di cui all'accordo previsto dall'art. 1, comma 91,
della legge 7 aprile 2014, n. 56», il personale destinato a rimanere
assegnato alle province e alle citta' metropolitane, nonche' quello
destinato invece alle procedure di mobilita', in base ai commi 422
ss. Tale previsione deve essere ritenuta incostituzionale per le
seguenti ragioni.
5.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto
comma, Cost.
Come e' ormai risaputo, lo Stato non dispone piu', dopo la
riforma costituzionale del 2001, di una competenza generale in
materia di ordinamento degli enti locali. Puo' solo adottare norme in
tema di organi di governo, legislazione elettorale e funzioni
fondamentali di province, comuni e citta' metropolitane, mentre il
resto spetta senz'altro alla legge regionale in base all'art. 117,
quarto comma, Cost.
Tale assetto competenziale e' palesemente violato dal comma 422
perche': i) lo Stato difetta radicalmente di un titolo di competenza
concernente le procedure di mobilita' concernenti il personale degli
enti locali; ii) la legge statale non puo' vincolare le leggi delle
regioni ad adeguarsi, in tali ambiti materiali, a un accordo adottato
da un organo collegiale al quale queste ultime prendono parte con
altri soggetti, anche in considerazione del fatto che la potesta'
legislativa e' assegnata dalla Costituzione a ciascuna singola
regione, e non al loro insieme; iii) la legge statale, infine, non
puo' imporre agli enti di area vasta il rispetto di uno specifico
termine per lo svolgimento di atti concernenti le procedure di
mobilita', poiche' la disciplina di queste ultime spetta, come si e'
detto, alla legge regionale, che potrebbe voler regolare in modo
differente tali procedure.
6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 423, della
legge n. 190 del 2014.
6.1. - Premessa.
Il comma 423 prevede che «nel contesto delle procedure e degli
osservatori di cui all'accordo previsto dall'art. 1, comma 91, della
legge 7 aprile 2014, n. 56, sono determinati, con il supporto delle
societa' in house delle amministrazioni centrali competenti, piani di
riassetto organizzativo, economico, finanziario e patrimoniale degli
enti di cui al comma 421», disponendo inoltre che, in tale contesto,
sono «definite le procedure di mobilita' del personale interessato, i
cui criteri sono fissati con il decreto di cui al comma 2 dell'art.
30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, da adottare entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge». Tale disposizione presenta i seguenti profili di
incostituzionalita'.
6.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto
comma, Cost.
Come si e' detto, lo Stato non dispone di una competenza
legislativa generale in materia di ordinamento degli enti locali,
potendo soltanto dettare norme concernenti i profili di cui all'art.
117, secondo comma, lett. p) , Cost. Per questa ragione, la legge
statale e' del tutto priva di titolo competenziale a porre norme
quali quelle contenute nel comma 423, sopra illustrate. Risultano
inoltre gravate di ulteriori profili di incostituzionalita', sempre
per violazione dei citati parametri costituzionali, le previsioni
sopra richiamate che mirano a vincolare le successive leggi regionali
che ritenessero di intervenire nel settore de quo ad atti non
legislativi quali l'accordo di cui al comma 91 dell'art. 1 della
legge n. 56 del 2014 e il decreto di cui al comma 2 dell'art. 30 del
d.lgs. n. 165 del 2001.
6.3. - Violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. (in via
subordinata rispetto alla censura proposta al paragrafo precedente).
Anche nella denegata ipotesi in cui questa ecc.ma Corte ritenesse
di ascrivere l'art. 1, comma 423, della legge n. 190 del 2014 alla
materia del «coordinamento della finanza pubblica», tale disposizione
sarebbe comunque da considerare gravemente incostituzionale, nella
parte in cui rinvia, per la sua attuazione, ad atti sub-legislativi.
In particolare, ci si riferisce all'accordo previsto dall'art. 1,
comma 91, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (accordo in sede di
Conferenza unificata) e il decreto di cui al comma 2 dell'art. 30 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (decreto del Ministro per
la semplificazione e la pubblica amministrazione). Come e' noto, lo
Stato puo' dettare principi fondamentali nella materia del
«coordinamento della finanza pubblica» solo tramite norme di rango
legislativo. Da qui l'incostituzionalita' di tali previsioni.
7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 424, della
legge n. 190 del 2014.
7.1. - Premessa.
Il primo periodo del comma 424 prevede che «le regioni e gli enti
locali, per gli anni 2015 e 2016, destinano le risorse per le
assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla
normativa vigente, all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso
pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla
data di entrata in vigore della presente legge e alla ricollocazione
nei propri ruoli delle unita' soprannumerarie destinatarie dei
processi di mobilita'». Il secondo periodo, invece, impone alle
regioni ed agli enti locali di destinare «esclusivamente per le
finalita' di ricollocazione del personale in mobilita' (...) la
restante percentuale della spesa relativa al personale di ruolo
cessato negli anni 2014 e 2015, salva la completa ricollocazione del
personale soprannumerario». A cio' si aggiunge che, nonostante il
citato obbligo, restano «fermi» i «vincoli del patto di stabilita'
interno e la sostenibilita' finanziaria e di bilancio dell'ente».
Infine, in base al comma 424, «le assunzioni effettuate in
violazione» del medesimo «sono nulle». Tali previsioni sono
incostituzionali per le seguenti ragioni.
7.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto
comma, Cost.
Come e' noto, a seguito della riforma costituzionale del 2001, lo
Stato ha perso la competenza legislativa generale in materia di
«ordinamento degli enti locali», disponendo ora soltanto del titolo
rappresentato dall'art. 117, secondo comma, lett. p), Cost.. La legge
statale, dunque, difetta di qualunque titolo competenziale per
disciplinare il personale degli enti locali e delle regioni e le sue
procedure di mobilita', «fatta eccezione per quello costituito dalla
materia dell'ordinamento civile», che evidentemente non viene in
rilievo in questa sede, dal momento che le norme che qui si
contestano afferiscono tutte alla fase precedente alla costituzione
del rapporto di lavoro subordinato presso le amministrazioni
interessate. Esse infatti riguardano essenzialmente la destinazione
da imprimere alle risorse per il personale da parte di regioni ed
enti locali, ossia scelte evidentemente prodromiche alla successiva
(ed eventuale) costituzione di rapporti di lavoro subordinato.
Il primo profilo di incostituzionalita' e' dunque quello della
carenza assoluta di competenza della legge statale a disciplinare le
procedure di mobilita' del personale soprannumerario delle province e
delle citta' metropolitane, nonche' la destinazione delle risorse
delle regioni e degli enti locali a tali processi di mobilita'.
7.3. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto
comma, Cost. (da un ulteriore punto di vista) e dell'art. 119, primo
comma, Cost.
In secondo luogo, le disposizioni di cui al comma 424 impongono
l'obbligo, a carico delle regioni e degli enti locali, di destinare
risorse all'assunzione a tempo indeterminato di determinati
lavoratori. In tal modo determinano un penetrante vincolo a una
specifica voce di spesa, a gravare sul bilancio degli enti
territoriali in questione. Cio' basterebbe a sancire la palese
incostituzionalita' di questa norma, in base alla giurisprudenza di
questa ecc.ma Corte, la quale, come e' noto, esclude che la legge
statale possa imporre vincoli ad una specifica voce di spesa. Per di
piu' tale vincolo e' di tipo «positivo», per cosi' dire, a differenza
di quelli «negativi» posti dal precedente comma 420, poiche' impone
una destinazione vincolata a determinate risorse presenti nei bilanci
delle regioni e degli enti locali. I vincoli di destinazione, nelle
materie diverse da quelle di competenza statale, sono da ritenere
radicalmente incostituzionali, come da tempo ha chiarito questa Corte
(cfr., ex plurimis, la sent. n. 423 del 2004). E, come gia'
evidenziato, la materia che in questa sede viene in rilievo e' quella
dell'organizzazione amministrativa delle regioni e degli enti locali,
affidata alla legge regionale dall'art. 117, quarto comma, Cost., in
quanto esorbitante dai titoli di legittimazione dell'intervento
legislativo statale di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p),
Cost.
Ad aggravare l'incostituzionalita' di tale previsione, inoltre,
sta la circostanza secondo la quale il comma 424 non stanzia una
somma a beneficio dei bilanci di regioni ed enti locali imprimendovi
un (incostituzionale) vincolo di destinazione, ma imprime tale
vincolo su risorse gia' presenti in questi bilanci, per di piu' senza
scomputarla dai calcoli concernenti il patto di stabilita' interno e
la sostenibilita' finanziaria dell'ente.
Tutto cio', evidentemente, viola non solo la competenza
legislativa regionale ex art. 117, quarto comma, Cost., ma anche
l'autonomia finanziaria di spesa garantita agli enti territoriali
dall'art. 119, primo comma, Cost.
7.4. - Violazione dell'art. 119, quarto comma, Cost., nonche' degli
artt. 3, primo comma, e 97, secondo comma, Cost.
Un ulteriore effetto del comma 424, fortemente afflittivo per
l'autonomia costituzionalmente garantita agli enti territoriali, e'
quello del vincolo, a carico di questi ultimi, di realizzare
assunzioni a tempo indeterminato solamente attingendo alle
graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della
stessa legge di stabilita', ovvero al personale delle citta'
metropolitane e delle province messo in mobilita'. In tal modo,
peraltro, risultera' del tutto impossibile ai citati enti
territoriali bandire concorsi pubblici per la copertura di specifiche
professionalita' che si rendessero necessarie in relazione
all'esercizio delle funzioni loro attribuite.
Cio' determina, innanzi tutto, una grave violazione del principio
di corrispondenza tra risorse e funzioni amministrative di pertinenza
di ciascun ente territoriale, dal punto di vista qualitativo, poiche'
dinanzi al bisogno di specifiche professionalita' per lo svolgimento
delle funzioni assegnate, questi ultimi non potranno ricercare le
professionalita' adeguate, ma dovranno necessariamente gravare i
propri ruoli con personale che potrebbe essere per nulla adatto, per
competenze e professionalita', alle necessita' dell'ente.
Cio', evidentemente, determina anche una grave violazione
dell'art. 3, primo comma, Cost., e del principio di ragionevolezza in
esso contenuto, nonche' del principio di buon andamento della
pubblica amministrazione di cui all'art. 97, secondo comma, Cost..
Non vi e' chi non veda, infatti, come «costringere» gli enti
territoriali in questione all'assunzione di personale prescindendo
completamente dai bisogni e dalle esigenze funzionali, in termini di
professionalita', che tali enti abbiano, sia del tutto irragionevole,
potendo addirittura determinare uno spreco di risorse pubbliche, ove
i nuovi assunti (come e' plausibile che accada, in virtu' del
maccanismo rigido e generalizzato predisposto dalla normativa che qui
si impugna) non siano in grado di svolgere le mansioni la cui
copertura sarebbe invece necessaria; e sia in grado di ledere il
principio di buon andamento della pubblica amministrazione, ove - per
necessita' - gli enti territoriali in questione si trovino a dover
assegnare alle unita' di personale acquisite in virtu' dell'impugnato
comma 424 mansioni che queste ultime non sono professionalmente
adeguate a svolgere.
7.5. - Violazione degli artt. 114, secondo comma, 117, sesto comma, e
118, primo comma, Cost.
Infine, la disposizione citata e' incostituzionale, per
violazione dei parametri indicati in epigrafe, nella misura in cui
incide gravemente sulla potesta' di autorganizzazione degli enti
territoriali coinvolti, determinando quindi la possibilita' di un
grave pregiudizio sul corretto dispiegarsi dell'autonomia
amministrativa che la Costituzione riconosce loro.
Quanto evidenziato nel precedente par. 7.4, infatti, rende palese
che le regioni e gli enti locali non potranno piu' - per un cospicuo
numero di anni a partire dal 1° gennaio 2015 - adottare autonome
scelte organizzative in ragione delle funzioni amministrative che
saranno chiamati a svolgere. A tacer d'altro - ad esempio - sara'
impossibile ricercare professionalita' adeguate allo svolgimento di
queste funzioni tramite appositi bandi di pubblici concorsi, e la
stessa organizzazione interna degli uffici non potra' non essere
calibrata anche sulle caratteristiche delle unita' di personale e
delle loro specifiche professionalita' che, per effetto del
contestato comma 424, gli enti saranno obbligati ad assorbire.
8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 427, della
legge n. 190 del 2014.
8.1. - Premessa.
Il comma 427 prevede quanto segue: «Nelle more della conclusione
delle procedure di mobilita' di cui ai commi da 421 a 428, il
relativo personale rimane in servizio presso le citta' metropolitane
e le province con possibilita' di avvalimento da parte delle regioni
e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto
del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell'ente
utilizzatore. (...) A conclusione del processo di ricollocazione di
cui ai commi da 421 a 425, le regioni e i comuni, in caso di delega o
di altre forme, anche convenzionali, di affidamento di funzioni agli
enti di cui al comma 421 o ad altri enti locali, dispongono
contestualmente l'assegnazione del relativo personale con oneri a
carico dell'ente delegante o affidante, previa convenzione con gli
enti destinatari». Tale disposizione e' incostituzionale per le
seguenti ragioni.
8.2. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. p), e quarto
comma, Cost.
Anche il comma 427 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014 e' una
disposizione che regola particolari aspetti del processo di mobilita'
del personale soprannumerario di province e citta' metropolitane. Per
le ragioni gia' ricordate piu' sopra, si deve ritenere che lo Stato
non disponga di alcun titolo competenziale per intervenire al
riguardo. Di qui l'incostituzionalita' del comma 427 in questione per
il difetto assoluto di competenza che scaturisce dalla violazione dei
parametri indicati.
P. Q. M.
La regione Puglia, come sopra rappresentata e difesa, chiede che
questa ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente
ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
420, 421, 422, 423, 424 e 427, della legge 23 dicembre 2014, n. 190
[Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)], nei limiti e nei termini
sopra esposti.
Con ossequio.
Bari-Roma, 24 febbraio 2015
Avv. prof. Marcello Cecchetti