Ricorso n. 39 del 3 marzo 2006 (Regione Emilia-Romagna)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 marzo 2006 , n. 39
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 3 marzo 2006 (della Regione Emilia-Romagna)
(GU n. 16 del 19-4-2006)
Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore sig. Vasco Errani, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 203 del 20 febbraio 2006, rappresentata e difesa come da procura rogata dal notaio Federico Stame di Bologna in data 24 febbraio 2006, n. 49770 di rep., dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, dall'avv. prof. Franco Mastragostino di Bologna e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 24, 26, 88, 198, 203, 206, 214, 216, 277, 280, 281, 283, 284, 285, 286, 311, 330, 340, 359, 366, 368, 483, da 485 a 491, 492, 556, da 583 a 593, da 597 a 600, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005 - Supplemento ordinario n. 211, per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118, 119 Cost., e dei principi costituzionali di leale collaborazione nonche' di ragionevolezza e proporzionalita', nei modi e per i profili di seguito indicati. F a t t o Nel supplemento ordinario n. 211 alla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005 e' stata pubblicata la legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006). Pur numerato come un articolo unico (ragione per la quale qui si usera' per lo piu' direttamente l'indicazione del numero di comma), si tratta di un insieme normativo molto ampio, composto di seicentododici commi, alcuni dei quali a loro volta di grande dimensione ed sottoarticolati al loro interno. Molte delle disposizioni della legge n. 266 del 2005 sono, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, costituzionalmente illegittime e lesive delle competenze regionali. Con il presente ricorso vengono impugnate - come risulta dall'epigrafe - alcune di tali disposizioni, per le quali si chiede a codesta ecc.ma Corte costituzionale la dichiarazione di illegittimita' costituzionale, sotto i profili e per i motivi di seguito indicati nella parte in D i r i t t o 1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 24 e 26. Il comma 24, primo periodo, prevede che per garantire "effettivita' alle prescrizioni contenute nel programma di stabilita' e crescita presentato all'Unione europea, in attuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica... e ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica... ...come principio di equilibrio tra lo stock patrimoniale e i flussi dei trasferimenti erariali... nei confronti degli enti territoriali soggetti al patto di stabilita' interno, delle regioni a statuto speciale, delle province autonome... i trasferimenti erariali a qualsiasi titolo spettanti sono ridotti in misura pari alla differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita". Il comma 25 precisa che le disposizioni di cui ai commi 23 e 24 non si applicano all'acquisto di immobili da destinare a sedi di ospedali, ospizi, scuole o asili. Il comma 24 sembra - a quanto e' dato di capire - introdurre un principio programmatico di contenimento degli acquisti immobiliari da parte degli Enti pubblici. La disposizione e' in primo luogo di difficile intellezione: di difficile comprensione e' il senso del "principio di equilibrio tra lo stock patrimoniale e i flussi dei trasferimenti erariali". La stessa "differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita" appare casuale: potrebbe non esserci alcuna differenza, o potrebbe indifferentemente esserci un aumento o una diminuzione per circostanze del tutto accidentali: per esempio, verrebbe colpita la regione che avesse ritardato per alcuni anni investimenti immobiliari, per sostenere nel 2006 un investimento di particolare rilievo finanziario, in vista della realizzazione di opere pubbliche. Si noti, inoltre, a conferma dell'intrinseca irrazionalita' della disposizione, che essa, se letta secondo il normale uso delle parole, risulterebbe "punire" gli acquisti eccedenti la media, non l'eccedenza del c.d. "stock immobiliare"; tanto e' vero che non si tiene affatto in considerazione l'ipotesi che la regione (o l'ente locale) abbia ceduto parte del suo "stock" per acquisire entrate o per investire in altri beni immobili. Ancora una volta la frettolosita' del legislatore ha introdotto disposizioni prive di un significato normativo razionale e univocamente intelligibile, da cui anche la difficolta' estrema di coglierne la ratio. Quantunque sia - se ve ne e' uno - il suo esatto significato, la norma in questione appare indubbiamente lesiva dell'autonomia finanziaria garantita alla regione dall'art. 119 Cost., perche', introducendo un forte meccanismo di disincentivazione per gli investimenti che si traducono in acquisizioni di beni immobili - salvo che non si tratti di scuole, asili, ospizi, ospedali - produce un effetto analogo al trasferimento finanziario con vincolo di destinazione. Per esempio, la regione si vedrebbe punita se avesse deciso di dare priorita' all'edilizia residenziale pubblica, o alle infrastrutture destinate alla ricerca tecnologica, mentre non lo sarebbe se decidesse di acquisire una clinica privata per realizzare un nuovo polo ospedaliero in un contesto che non lo richieda affatto. La norma impugnata produce dunque un effetto analogo al trasferimento finanziario con vincolo puntuale alla spesa, gia' da questa Corte ritenuto costituzionalmente illegittimo. Infatti, i trasferimenti erariali a qualsiasi titolo spettanti vengono ridotti in misura pari all'aumentata spesa per gli acquisti immobiliari, senza alcuna considerazione delle autonome valutazioni della regione in ordine agli investimenti per opere pubbliche; altrettanto e' disposto per i trasferimenti non erariali (salvo comprendere che cosa significhi l'espressione "analoga" riferita ad una operazione matematica qual'e' la "riduzione"). E' ammessa soltanto una maggiore spesa, finalizzata rispetto, a particolari opere pubbliche, scelte direttamente dal legislatore statale: non viene, invece, tenuta in alcuna considerazione l'autonomia politico-amministrativa regionale, poiche' la scelta delle opere "ammesse" - e percio' coperte da finanziamento - e' compiuta senza che assumano alcun rilievo le determinazioni regionali in merito ai programmi di investimento per opere e infrastrutture pubbliche. E' del tutto evidente che si realizza cosi', attraverso un taglio mirato dei trasferimenti, lo stesso effetto distorsivo che avrebbe prodotto un trasferimento finanziario "vincolato". Va, inoltre, osservato che per questi specifici vincoli finanziari non e' previsto, d'altra parte, alcun meccanismo cooperativo, quale sarebbe di regola prescritto per il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica legati al Patto di stabilita'. L'illegittimita' del comma 24 e della deroga "finalizzata" del comma 25 si riflette, poi, sull'illegittimita' del comma 26, che prevede la soggezione al monitoraggio del Ministero dell'economia e delle finanze delle operazioni immobiliari di cui sopra e gli oneri di trasmissione dei dati relativi ad acquisti e vendite degli immobili all'Agenzia del Territorio, con conseguente obbligo di segnalazione agli organi competenti (Corte dei conti) per eventuali responsabilita': infatti, se ipoteri ministeriali di definizione delle modalita' della comunicazione dei dati inerenti agli acquisti possono essere ricondotti alle funzioni "tecniche" di coordinamento informativo, non essendo altrimenti giustificabili in una materia concorrente quale il coordinamento della finanza pubblica, non altrettanto si puo' dire della forma di controllo surrettizio che viene innestata dall'invio della comunicazione dei dati all'Agenzia del territorio, la quale procede a "verifiche di congruita' del valore degli immobili acquisiti", senza peraltro che siano indicati i parametri di riferimento, "segnalando gli scostamenti rilevanti" agli organi competenti, al fine di instaurare un giudizio di responsabilita'. Si deve, infatti, notare che la norma impugnata non mira a razionalizzare le forme di vigilanza sulla spesa pubblica e la conseguente attivazione dei normali procedimenti per responsabilita' amministrativa-contabile, ma sottopone a questo controllo penetrante i soli acquisti delle regioni e degli enti locali, restandone indenni le Amministrazioni dello Stato. Saldandosi sulla previsione di limite rigido (e irragionevole, come si e' visto) degli investimenti immobiliari decisi dalla regione, tale misura si traduce nell'introduzione di una forma illegittima di controllo di merito sulle politiche di sviluppo della regione e degli enti locali. 2. - Illegittimita' costituzionale del comma 88. Il comma 88 aggiunge il comma 61-ter nell'art. 1 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410. La nuova norma prevede una singolare forma di sanatoria urbanistica degli immobili delle Ferrovie S.p.A. Essa, disponendo che "i beni immobili appartenenti a Ferrovie dello Stato S.p.A. ed alle societa' dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate si presumono costruiti in conformita' alla legge vigente al momento della loro edificazione", introduce una presunzione legale di regolarita' urbanistico-edilizia degli immobili delle Ferrovie, che prescinde dalla situazione reale, e disciplina poi una procedura per consentire, entro tre anni, la costruzione di una documentazione attestante la stessa regolarita', anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti ("Indipendentemente dalle alienazioni di tali beni, Ferrovie dello Stato S.p.A. e le societa' dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, possono procedere all'ottenimento di documentazione che tenga luogo di quella attestante la regolarita' urbanistica ed edilizia mancante, in continuita' d'uso, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti"). Tale procedura prevede che la societa' "proponga" al comune una "dichiarazione sostitutiva della concessione", allegando alcuni documenti, fra i quali l'"attestazione del versamento di una somma pari al 10 per cento di quella che sarebbe stata dovuta in base all'Allegato 1 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per le opere di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380" (cioe', per le opere di ristrutturazione edilizia). Addirittura, la dichiarazione sostitutiva "produce i medesimi effetti di una concessione in sanatoria, a meno che entro sessanta giorni dal suo deposito il comune non riscontri l'esistenza di un abuso non sanabile ai sensi delle norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia e lo notifichi all'interessato" (subito dopo la disposizione precisa che "in nessun caso la dichiarazione sostitutiva potra' valere come una regolarizzazione degli abusi non sanabili ai sensi delle norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia"). La possibilita' di beneficiare della procedura di cui sopra e' data anche "ai soggetti che acquistino detti immobili da Ferrovie dello Stato S.p.A. e dalle societa' dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate", ma la somma da corrispondere e' pari al triplo di quella sopra indicata". Le norme appena illustrate rappresentano il tentativo di correggere le conseguenze dell'art. 1, comma 6-bis, del d.l. n. 351/2001 (come modificato dall'art. 26, comma 10, d.l. n. 269/2003 e poi dall'art. 1, comma 277, legge n. 311/2004) che, nella prospettiva della privatizzazione degli immobili pubblici, dispone che "i beni immobili non piu' strumentali alla gestione caratteristica dell'impresa ferroviaria, di proprieta' di Ferrovie dello Stato S.p.A.,... nonche' i beni acquisiti ad altro titolo, sono alienati e valorizzati da Ferrovie dello Stato S.p.A., o dalle societa' da essa controllate, direttamente o con le modalita' di cui al presente decreto", e che "le alienazioni di cui al presente comma sono effettuate con esonero dalla consegna dei documenti relativi alla proprieta' e di quelli attestanti la regolarita' urbanistica, edilizia e fiscale degli stessi beni". Le norme qui impugnate, pero', ledono la sfera di competenza costituzionale della regione sotto diversi profili. In sostanza, il comma 88 introduce un altro caso di condono edilizio, che risulta, pero', ancora piu' difforme dalla Costituzione rispetto alla disciplina generale introdotta nel 1985, nel 1994 e nel 2003. Gli aspetti deteriori del comma 88 risultano essere i seguenti: a) il condono e' limitato ad una particolare societa', alle societa' ad essa collegate e agli aventi causa; b) non essendoci limiti temporali, il condono potrebbe essere riferito anche agli immobili realizzati dopo l'entrata in vigore della legge, per cui le Ferrovie potrebbero costruire un immobile senza concessione e poi, entro i tre anni dall'entrata in vigore della legge n. 266/2005, proporre la dichiarazione sostitutiva; c) l'oblazione e' ridotta al 10% di quella prevista dal d.l. n. 269/2003 e si applica comunque quella relativa alle ristrutturazioni edilizie, anche se l'abuso e' piu' grave; d) e' previsto il silenzio-assenso ma con un termine molto piu' ristretto rispetto a quello del d.l. n. 269/2003; e) non ci sono limiti quanto alle volumetrie sanabili; f) non sono previsti ambiti di intervento del legislatore regionale (contemplati, invece, seppur in misura ridotta, dal d.l. n. 269/2003). In generale, poi, colpisce il fatto che la norma non prevede la possibilita' di sanare un abuso, ma e' imperniata sulla presunzione autoritativa della legittimita' edilizia dell'immobile di un soggetto, prevedendo poi che una dichiarazione del soggetto produca gli effetti della concessione in sanatoria nel giro di sessanta giorni (salvo intervento del comune in certi casi). Quanto alla lesione delle competenze costituzionali della regione, il comma 88 viola, in primo luogo, l'autonomia legislativa ed amministrativa in materia di governo del territorio. Pare chiaro che il comma 88 e' illegittimo, perlomeno, nella misura in cui disciplina dettagliatamente i (quasi inesistenti) limiti e la procedura di condono, senza consentire alle regioni di modulare l'ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantita' e alla tipologia degli abusi sanabili (ferma restando la spettanza al legislatore statale della potesta' di individuare la portata massima del condono edilizio straordinario), cioe' di determinare la possibilita', le condizioni e le modalita' per l'ammissibilita' a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio" (v. sentt. n. 196/2004, n. 71/2005 e n. 49/2006), eventualmente restringendo le possibilita' di condono. Il comma 88, sotto questo profilo, e' ancora piu' lesivo delle norme del d.l. n. 269/2003, che consentivano qualche piccola integrazione al legislatore regionale. Su questo punto le sentt. n. 196/2004, n. 71/2005 e n. 49/2006 della Corte costituzionale si sono gia' ampiamente pronunciate e ad esse si puo' rinviare. Ma, in realta', il comma 88 lede le competenze regionali per la stessa previsione della sanatoria, in quanto per esso non sembrano poter valere le considerazioni svolte da codesta Corte costituzionale nella sent. n. 196/2004, ove si e' fatto salvo l'an del condono. La Corte, infatti, ha ritenuto "ragionevole" il nuovo condono (di cui ovviamente anche le Ferrovie hanno potuto usufruire come tutti) in quanto il d.-l. n. 269/2003 faceva riferimento all'entrata in vigore del d.P.R. n. 380/2001 e della legge cost. n. 3/2001 e, dunque, in connessione con tali fatti nuovi, si poteva comprendere l'esigenza di "chiudere" il passato illegale e di dare avvio ad un nuovo periodo, caratterizzato da una maggiore attenzione nei confronti degli abusi edilizi. Il comma 88 e' del tutto privo di quegli elementi che hanno indotto la Corte a far salvo il "principio" del condono. Non c'e' nessun fatto nuovo e non c'e' neppure l'esigenza di "chiudere una stagione"; anzi, mentre i condoni "generali" miravano principalmente all'estinzione dei reati, e a quest'esigenza primaria seguivano poi quella di estinguere gli illeciti amministrativi e di "far cassa", il comma 88 non e' volto a soddisfare esigenze di rango costituzionale ma ha solamente lo scopo di facilitare la privatizzazione degli immobili pubblici (anche se poi prevede che si producano i medesimi effetti della concessione in sanatoria). Dunque, l'intero comma 88 viola irragionevolmente le competenze costituzionali, legislative ed amministrative, della regione in materia di governo del territorio; in subordine, si chiede che esso sia dichiarato illegittimo nella parte in cui non consente alle regioni di modulare l'ampiezza del condono in relazione alla quantita' e alla tipologia degli abusi sanabili, e nella parte in cui disciplina con norme dettagliate la procedura di sanatoria. E' da sottolineare che il comma 88 lede le competenze regionali in misura ancora maggiore (sotto il profilo giuridico, ovviamente, non quanto ad effetti concreti) rispetto al d.l. n. 269/2003, dato che, come gia' osservato, non sono previsti limiti temporali per le costruzioni (per cui il condono potrebbe essere riferito anche agli immobili realizzati dopo l'entrata in vigore della legge), e' previsto un termine assai breve per il silenzio-assenso comunale, non ci sono limiti quanto alle volumetrie sanabili e non sono previsti ambiti di intervento del legislatore regionale. Si noti, ulteriormente, che si tratta di un "privilegio" per un gruppo di societa' e gli aventi causa, il che aggrava la lesivita' della norma. Essa, infatti, viola anche il principio di eguaglianza e tale illegittimita' si ripercuote sulle prerogative regionali, dato che la previsione di tale "privilegio" si traduce nella previsione del condono. Infine, il comma 88, la' dove prevede che l'oblazione e' ridotta al 10% di quella prevista dal d.l. n. 269/2003 e che si applica comunque quella relativa alle ristrutturazioni edilizie, anche se l'abuso e' piu' grave, viola l'autonomia finanziaria dei comuni e cio' si traduce in una lesione dell'autonomia finanziaria regionale, come riconosciuto da codesta Corte nelle sentt. n. 533/2002, n. 196/2004 e n. 417/2005. In particolare, nella sent. n. 196/2004 si legge che "la stretta connessione, in particolare in materia urbanistica e in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potetenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali" (punto 14 del Diritto). 3. - Illegittimita' costituzionale dei commi 198 e 203. Il comma 198 dispone che "le amministrazioni regionali e gli enti locali di cui all'art. 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' gli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all'art. 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento", e che "a tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni". Tale disposizione risulta con tutta evidenza costituzionalmente illegittima. Infatti - con l'imporre che per gli anni 2006, 2007 e 2008 le regioni (non solo non possano aumentare ma anche) riducano specificamente dell'1% le spese per il personale rispetto a quelle sostenute nell'anno 2004 - il comma 198 viene a porsi in contrasto con il principio secondo il quale, fermi i vincoli complessivi posti per il risanamento della finanza pubblica, e' inammissibile la previsione da parte dello Stato di limiti di spesa "specifici e puntuali" nei riguardi delle regioni, dal momento che cio' rappresenterebbe "una indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali..., alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi" (cosi' la sentenza n. 449/2005 di codesta Corte; analogamente, cfr. anche le sentenze nn. 417/2005, 390/2004, 36/2004). Se poi si guarda alla materia specifica dell'intervento, costituita dal dimensionamento del personale, e dunque dall'organizzazione regionale (e di enti regionali), la disposizione impugnata viola anche l'art. 117 Cost., essendo evidente che tale materia rientra nella potesta' legislativa regionale residuale, senza che vi sia spazio per alcun intervento da parte del legislatore statale. Di qui, ad avviso della ricorrente regione, la palese illegittimita' della disposizione di cui al comma 198. L'illegittimita' costituzionale del comma 198 determina l'illegittimita' del comma 203, che direttamente lo richiama e, piu' in generale, l'inapplicabilita' dei commi che costituiscono applicazione o svolgimento del medesimo comma 198 (a partire dal seguente comma 199). 4. - Illegittimita' costituzionale del comma 206. Il comma 206, che recita "Le disposizioni dei commi da 198 a 205 costituiscono principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione" costituisce una norma di "autoqualificazione" della "funzione" svolta dai commi precedenti (che sono fatti oggetto di impugnazione in altra parte del presente ricorso). "E' affermazione costante di questa Corte (sentt. nn. 219 del 1984, 192 del 1987 e 1002 del 1988) - ricorda gia' la sent. 85/1990 - che la qualificazione di una legge o di alcune sue disposizioni come principi fondamentali della legislazione statale o come norme fondamentali di riforma economico-sociale non puo' discendere soltanto da apodittiche affermazioni del legislatore stesso, ma deve avere una puntuale rispondenza nella natura effettiva delle disposizioni interessate, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza nei confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti sociali disciplinati". Questa "dottrina" risale alla giurisprudenza precedente alla modifica del Titolo V, quando era ritenuto da questa ecc.ma Corte che la presenza di norme di dettaglio nelle c.d. "leggi cornice" non fosse motivo di illegittimita' della legge stessa, potendo esse venire abrogate dalla successiva legislazione regionale in esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali. Dopo la riforma costituzionale pero', nella sua prima sentenza (sent. n. 282/2002) questa Corte ha sottolineato che l'indagine sul riparto delle competenze "deve oggi muovere... non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell'intervento regionale, quanto, al contrario, dalla indagine sulla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale". Percio' le formule di "autoqualificazione" non sono piu' prive di qualsivoglia rilevanza giuridica, perche' costituiscono la "motivazione" dell'intervento legislativo dello Stato, l'indicazione della "base giuridica" su cui esso si fonda. Ora, se la "base giuridica" indica una materia di competenza concorrente ex art. 117.3 Cost., l'attribuzione statale e' condizionata e circoscritta alla sola "determinazione dei principi fondamentali". La c.d. "autoqualificazione" quindi sembra oggi esercitare una funzione legittimante delle disposizioni cui si riferisce, piuttosto che - come in passato - l'indicazione della loro funzione normativa. Per questa ragione, "autoqualificare" come principi fondamentali disposizioni di dettaglio (quali sono quelle indicate e autonomamente impugnate) non puo' piu' apparire un'operazione legislativa inutile, ma costituisce una violazione del riparto di competenze legislative. 5. - Illegittimita' costituzionale dei commi 214 e 216. Il comma 214 impone sostanzialmente alle regioni (in quanto rientranti nel novero delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001) di adottare le determinazioni finalizzate a rendere operativa anche nei loro riguardi la soppressione dell'indennita' di trasferta e delle altre indennita' indicate al precedente comma 213. Cosi' facendo, tuttavia, le disposizioni impugnate - analogamente al comma 198 - vengono a porsi in contrasto con il principio secondo il quale, fermi i vincoli complessivi posti per il risanamento della finanza pubblica, e' inammissibile la previsione da parte dello Stato di limiti di spesa "specifici e puntuali" nei riguardi delle regioni, dal momento che cio' rappresenterebbe "una indebita invasione dell'area riservata dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali ..., alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi" (ancora sentenza n. 449/2005, cfr. anche le sentenze nn. 417/2005, 390/2004, 36/2004). Di qui la palese illegittimita' della disposizione impugnata. Parimenti evidente appare l'incostituzionalita' del successivo comma 216, il quale - oltre a violare in generale i sopra menzionati principi del divieto statale di limiti specifici e puntuali alla spesa regionale - reitera (ampliandone pure la portata) una disposizione (quella contenuta nell'art. 3, comma 75, della legge n. 350/2003 - cioe' la legge finanziaria 2004) che codesta ecc.ma Corte ha gia' dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 449/2005. La reiterazione della norma viola dunque non soltanto i principi sopra esposti, ma ormai anche il giudicato costituzionale. 6. - Illegittimita' costituzionale del comma 277. L'art. 1, comma 174 della "finanziaria 2005" (legge 30 dicembre 2004, n. 311) disponeva nel seguente modo: "Al fine del rispetto dell'equilibrio economico-finanziario, la regione, ove si prospetti sulla base del monitoraggio trimestrale una situazione di squilibrio, adotta i provvedimenti necessari. Qualora dai dati del monitoraggio del quarto trimestre si evidenzi un disavanzo di gestione, a fronte del quale non sono stati adottati i predetti provvedimenti, ovvero essi non siano sufficienti, con la procedura di cui all'art. 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, il Presidente del Consiglio dei ministri diffida la regione a provvedervi entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello di riferimento. Qualora la regione non adempia; entro i successivi trenta giorni il presidente della regione, in qualita' di commissario ad acta, approva il bilancio di esercizio consolidato del Servizio sanitario regionale al fine di determinare il disavanzo di gestione e adotta i necessari provvedimenti per il suo ripianamento, ivi inclusi gli aumenti dell'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche - IRPEF e le maggiorazioni dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attivita' produttive - IRAP entro le misure stabilite dalla normativa vigente. I predetti incrementi possono essere adottati anche in funzione della copertura dei disavanzi di gestione accertati o stimati nel settore sanitario relativi all'esercizio 2004 e seguenti. La Regione Emilia-Romagna aveva ritenuto di non ricorrere contro questa disposizione ritenendola non lesiva delle sue attribuzioni: nella prospettiva di un disavanzo della spesa sanitaria, il presidente della giunta regionale aveva il potere-dovere di intervenire, previa diffida, e i meccanismi di reazione alla sua eventuale (e improbabile) inerzia non apparivano lesivi dei canoni della leale cooperazione. Non cosi' la modifica introdotta dal comma 277 della legge finanziaria 2006: in essa, il meccanismo collaborativo teso all'obiettivo - ovviamente da apprezzare nel contesto del coordinamento della finanza pubblica - di un pronto ripiano dei disavanzi di gestione del Servizio sanitario regionale, sono sostituiti da un meccanismo sanzionatorio, il cui obiettivo non e' la rapida individuazione di strumenti di riequilibrio economico-finanziario, ma esclusivamente la "sanzione" che l'eventuale ritardo imputabile al Presidente della giunta regionale - commissario ad acta - fa scattare a carico dei contribuenti, che si vedranno imposta un'addizionale massima d'imposta, senza che il commissario ad acta possa piu' intervenire per rimediare adottando, sia pure tardivamente, i provvedimenti necessari. La disposizione appare percio' illegittima per due motivi: in primo luogo, perche' e' lesiva dell'autonomia politica e della stessa dignita' politica degli organi elettivi della regione, sottoposti a misure sanzionatorie che eccedono quanto e' necessario e proporzionato al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica; in secondo luogo, perche' eccede l'ambito della competenza concorrente che lo Stato vanta in materia di coordinamento della finanza pubblica, introducendo norme che non hanno le caratteristiche della norma di principio, ma sono di dettaglio e autoapplicative, non proporzionata all'obiettivo legittimamente fissato dallo Stato. Infatti, la sanzione dell'aumento automatico al massimo dell'addizionale e l'impossibilita' di un intervento, ancorche' tardivo, del presidente della giunta regionale, al fine di assicurare il necessario equilibrio finanziario appaiono misure irragionevolmente rigide, non proporzionate all'obiettivo, inutilmente e illegittimamente degradanti la dignita' di un ente dotato di autonomia politica costituzionalmente tutelata. La disposizione e' dunque ilegittima in toto in quanto non pone principi ma regole autoapplicative; in subordine, e' illegittima in quanto determina una misura sanzionatoria anziche' una misura commisurata alle esigenze di riequilibrio nonche' in quanto non prevede che tale misura sanzionatoria venga meno ove il commissario adotti in seguito le misure necessarie. 7. - Illegittimita' costituzionale dei commi 280 e 281. a) Con la disposizione dell'art. 1, comma 279 (che non forma oggetto di impugnazione), lo Stato ha destinato alle regioni l'importo di 2 miliardi di euro, quale concorso al ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale per gli anni 2002, 2003 e 2004; ed ha aggiunto, nel primo periodo del comma successivo, che il riparto tra le regioni - chiamate a cofinanziare il ripiano - e' operato con decreto ministeriale, sulla base del numero dei residenti, e previa intesa con la Conferenza Stato-regioni. Si tratta di un finanziamento che trova causa nella corresponsabilita' dello Stato sia nella determinazione del livello delle entrate regionali, sia nella determinazione delle prestazioni sanitarie di cui hanno diritto i cittadini: puo' quindi parlarsi di un concorso costituzionalmente dovuto. Le ulteriori disposizioni del comma 280, tuttavia, subordinano il finanziamento statale a due condizioni: a) la prima, che entro il 31 marzo 2006 la Conferenza unificata esprima l'intesa sullo schema di Piano sanitario nazionale 2006-2008; b) la seconda, che entro lo stesso termine si addivenga ad una intesa tra Stato e regioni, nella quale sia prevista una pluralita' di misure organizzative riferibili alle c.d. "liste di attesa" per le prestazioni sanitarie. Il comma 281, a sua volta, introduce una terza condizione per l'accesso al contributo: "le regioni che nel periodo 2001-2005 abbiano fatto registrare ... un disavanzo medio pari o superiore al 5 per cento, ovvero che abbiano fatto registrare nell'anno 2005 un incremento del disavanzo rispetto all'anno 2001 pari o superiore al 200 per cento" devono stipulare di un apposito accordo (ovvero integrare accordi gia' sottoscritti ai sensi dell'art. 1, comma 180, legge n. 311/2004), "per l'adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario nazionale 2006-2008 e il perseguimento dell'equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza". E' da evidenziare come, nel loro insieme, le norme impugnate istituiscano un collegamento necessario tra il finanziamento statale, resosi indispensabile in relazione ad attivita' di assistenza gia' prestata, e il consenso delle regioni a tutte le previsioni del Piano sanitario 2006-2008: le regioni sono infatti costrette ad una scelta obbligata, in quanto eventuali obiezioni e riserve sullo schema di Piano predisposto dal Governo implicano la rinuncia alle risorse finanziarie. Le condizioni alle quali lo Stato ha subordinato il finanziamento del comma 279 sono costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 117, comma 3, 118, comma 1, 119 Cost., del principio di ragionevolezza. b) Lese sono anzitutto le attribuzioni legislative ed amministrative spettanti alla regione in materia di "tutela della salute". Tra esse rientrano certamente i poteri mediante i quali la regione concorre alla adozione del Piano sanitario nazionale, sia attraverso la formulazione di specifiche proposte, sia attraverso l'espressione dell'intesa sul Piano nell'ambito della Conferenza unificata (secondo quanto dispone l'art. 1, commi 4-5, d.lgs. n. 502/1992, come sostituito dall'art. 1, d.lgs. n. 29/1999). Ed e' evidente - e imposto dai principi di tutela della salute (art. 32 Cost.) e di buon andamento della amministrazione (art. 97 Cost.) - che le determinazioni regionali in proposito devono necessariamente avere riguardo alle esigenze sanitarie della popolazione nel periodo preso in considerazione dal Piano, alle risorse economiche necessarie allo scopo e a quelle che si ritiene saranno disponibili. Questi criteri di orientamento nella decisione sono invece palesemente negati dalle disposizioni impugnate, proprio per il legame che esse costituiscono tra l'accordo sulla approvazione del Piano, destinato a valere per il futuro, e la copertura del disavanzo relativo a gestioni passate: di conseguenza, risultano sostanzialmente lesi i poteri regionali concernenti la formazione del Piano sanitario. L'illegittima compressione delle competenze nel settore della tutela della salute si manifesta anche con la posizione della seconda condizione, relativa alla intesa Stato-regioni sulle misure organizzative che queste ultime devono assumere. Dopo la riforma del titolo V, l'autonomia regionale in ordine alla organizzazione degli enti sanitari e' piu' vasta di quella consentita dalla precedente materia "assistenza sanitaria", potendosi in principio spingere fino alla stessa "previsione" di essi, dal momento che cio' "rappresenta una delle possibili opzioni organizzative per conseguire le finalita' prescelte dall'ente costituzionalmente responsabile nella materia o nelle materie interessate" (cosi', molto efficacemente, la sent. n. 270/2005). Orbene, alcuni contenuti dell'intesa - alla cui stipulazione e' subordinato il contributo finanziario statale - comprimono indebitamente l'autonomia regionale sulla disciplina delle strutture sanitarie: cio' vale in particolare per l'obbligo di stabilire una quota minima di risorse da vincolare al contenimento dei tempi di attesa per le prestazioni (comma 280, lett. d), per le modalita' di realizzazione del centro unico di prenotazione (con utilizzo in via prioritaria dei medici di medicina generale; lett. d); per la attivazione "di uno specifico flusso informativo per il monitoraggio delle liste di attesa" (lett. e); per la imposizione che alla certificazione degli interventi in attuazione del piano di contenimento delle liste di attesa provveda il comitato di cui all'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005 (lett. f). Del resto, lo stesso legislatore statale deve essere stato consapevole della illegittimita' delle misure organizzative in discorso, se ha ritenuto di non imporle in modo formalmente unilaterale, e di farne oggetto di una "intesa": in apparenza essa e' liberamente sottoscrivibile o rifiutabile (si notera' che il comma 280 ragiona di una intesa "ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131", di una intesa diretta cioe' "a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni"), mentre in realta' essa e' imposta alla regione dalla urgente necessita' di ottenere il contributo finanziario statale. c) Il legame tra il concorso nazionale alla copertura dei disavanzi pregressi e l'accordo sul Piano sanitario per il periodo 2006-2008, risulta incostituzionale anche per violazione del principio di ragionevolezza, in quanto - come si e' rimarcato - ha ad oggetto due entita' non omogenee. Da questo vizio non e' esente nemmeno il comma 281, secondo cui le singole regioni che hanno registrato negli anni passati un particolare (incremento di) disavanzo, sono assoggettate - per concorrere al riparto del contributo statale - alla ulteriore condizione di stipulare un apposito accordo "per l'adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario nazionale 2006-2008 e il perseguimento dell'equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza". Da un lato, infatti, mediante il richiamo dell'art, 1, comma 180, legge n. 311/2004, la disposizione parrebbe ipotizzare che gli accordi implichino una previa "ricognizione delle cause" del disavanzo, ed assumano a contenuto la elaborazione di "un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale"; d'altro lato, e contraddittoriamente, la norma impugnata prevede che il singolo accordo sia diretto allo "adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario" futuro. d) Gli argomenti sopra svolti valgono a dimostrazione della incostituzionalita' delle disposizioni esaminate anche per violazione dell'art. 119, comma 4, Cost.: se lo stesso legislatore statale riconosce come necessario un intervento finanziario a copertura dei disavanzi pregressi (e non potrebbe essere diversamente, per le ragioni strutturali accennate all'inizio del presente motivo di ricorso), e' in violazione del principio per cui le risorse "ordinarie" delle regioni devono consentire "di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite" ogni "condizione" che non abbia riguardo a quelle stesse ragioni strutturali, e che non incidano quindi sulle fonti di entrata o sui livelli delle prestazioni, o sui costi delle medesime. e) Giova ricordare che solo superficialmente la questione di costituzionalita' ora proposta e' paragonabile a quella sollevata dalla stessa Regione Emilia-Romagna contro l'art. 52, comma 4, legge n. 289/2002, e decisa con la sent. 36/2005. La norma allora impugnata condizionava ad adempimenti "futuri" delle regioni "l'adeguamento del finanziamento del Servizio sanitario nazionale per gli anni 2003, 2004 e 2005": vi era quindi corrispondenza temporale tra le somme "aggiuntive" da trasferire agli enti autonomi e l'imposizione ad essi di determinati vincoli organizzativo-assistenziali; inoltre, gli impegni di cui all'art. 52 cit. erano sostanzialmente il frutto di procedure concertative fra Stato e regioni, e proprio questo carattere negoziale e' stato posto dalla Corte a fondamento della sentenza n. 36. Ma per nessuno dei due aspetti si puo' affermare una similitudine con i commi 280 e 281 della legge n. 266. 8. - Illegittimita' costituzionale dei commi 283 e 284. I commi 282 (non impugnato), 283 e 284 (parzialmente impugnati) rilevano qui nelle parti in cui: vietano alle aziende sanitarie ed ospedaliere di sospendere le prenotazioni delle prestazioni sanitarie di cui al d.P.C.m. 29 novembre 2001; comminano la sanzione amministrativa da mille a seimila euro ai soggetti responsabili della violazione del divieto di sospensione; vincolano ad applicare le sanzioni "secondo i criteri fissati dalla Commissione" nazionale sulla appropriatezza delle prescrizioni: e' questo un organo di nuova istituzione, la cui nomina e' riservata al Ministro della salute. Le disposizioni impugnate sono lesive delle competenze legislative ed amministrative della regione nella materia "tutela della salute" (artt. 117, comma 3, 118, comma 1, Cost.). Costituzionalmente ilegittima e' la norma per la quale l'applicazione delle sanzioni amministrative deve avvenire secondo i criteri stabiliti dalla Commissione nazionale per l'appropriatezza delle prescrizioni (comma 284, ultimo periodo). Non sussiste infatti alcun titolo costituzionale che consenta allo Stato di imporsi mediante questo strumento sulla attivita' amministrativa della regione. Il limite dei principi fondamentali della materia esclude la possibilita' di utilizzare atti diversi da quelli legislativi; la previsione di una qualche potesta' regolamentare e' vietata allo Stato - nelle materie concorrenti e residuali - dall'art. 117, comma 6, Cost.; la configurazione di una qualche potesta' di indirizzo e coordinamento e' contraria al sistema risultante dalla riforma del Titolo V, "anche alla luce di quanto espressamente disposto dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131" (cosi', decisamente, la sent. n. 329/2003). A sostegno della legittimita' della norma in esame non potrebbe nemmeno invocarsi la "chiamata in sussidiarieta" ex art. 118, comma 1, Cost.: non si vede, infatti, quali esigenze unitarie possano giustificare la attrazione al centro del potere di fissare criteri per sanzionare comportamenti di soggetti che esauriscono la loro attivita' all'interno della organizzazione regionale del servizio sanitario. In ogni modo, anche in questo caso il difetto della previsione dell'intesa con la Conferenza Stato-regioni vizierebbe comunque la norma. Un secondo motivo di illegittimita' investe, per violazione del principio di leale collaborazione, il comma 283, nella parte in cui non prevede che la Commissione nazionale per la appropriatezza delle prestazioni sia istituita e sia nominata dal Ministro per la salute previa intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni. Ammesso infatti che esigenze unitarie costituzionalmente fondate consentano allo Stato di nominare la Commissione, poiche' essa e' destinata ad operare in materia di sicura competenza regionale, l'intreccio degli interessi impone che alla nomina si addivenga attraverso un modulo consensuale. Ne' si potrebbe obiettare che la posizione delle autonomie e' gia' garantita dalla previsione - contenuta nella disposizione impugnata - che della Commissione devono necessariamente far parte "rappresentanti designati dalla Conferenza permanente": poiche' la legge non fissa ne' il numero di questi rappresentanti, ne' il rapporto di essi con le altre componenti della Commissione, l'intesa della quale si denuncia la mancanza costituisce l'unico strumento mediante il quale alle regioni e alle province autonome puo' essere riconosciuta una rappresentanza adeguata. 9. - Illegittimita' costituzionale del comma 285. Il comma 285 interviene sulle "risorse residue finalizzate alla costruzione, ristrutturazione o adeguamento di presidi ospedalieri" (in attuazione dell'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67), e ne impone la destinazione ad un certo tipo di interventi: quelli che comprendono degenze per acuti con almeno 250 posti letto (ridotti a 120 se si tratta di presidi per lungodegenza o riabilitazione), e quelli necessari al rispetto dei requisiti minimi strutturali e tecnologici dei presidi attivi avviati alla data del 31 dicembre 2005. La disposizione viola palesemente la competenza legislativa spettante alla regione in ordine alla organizzazione dell'assistenza ospedaliera (art. 117, comma 3, Cost.), e l'autonomia finanziaria nelle decisioni di spesa e relativa destinazione; inoltre, a prescindere dalla originaria legittimita' delle disposizioni che avevano impresso il vincolo di destinazione alle somme in discorso, vincoli del genere si pongono oggi in contrasto con i principi risultanti dal nuovo art. 119, commi 1, 4, e 5, Cost., secondo una giurisprudenza costituzionale oramai consolidata. 10. - Illegittimita' costituzionale del comma 286. Il comma 286 dell'art. 1 della legge dispone che "la cessione a titolo di donazione di apparecchiature e altri materiali dismessi da aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico ... a beneficio delle strutture sanitarie nei Paesi in via di sviluppo o in transizione", "e' promossa e coordinata dall'Alleanza degli ospedali italiani nel mondo" (si tratta, a quanto risulta, di una "associazione", fondata nel 2004 da Ministri del Governo nazionale, e aperta all'adesione di altri soggetti, probabilmente di natura privata). Al di la' della contorta formulazione testuale, l'intendimento di vincolare gli enti sanitari in ordine alla destinazione dei materiali dismessi e all'avvalimento necessario della Alleanza, risulta chiaramente dal secondo periodo del comma, la' dove si obbligano gli enti a comunicare alla Alleanza la disponibilita' delle attrezzature sanitarie in questione; d'altronde, una sorta di intesa (ammesso che sia tale) tra Alleanza e strutture parrebbe ipotizzata solo per le "modalita" della comunicazione, mentre "il parere favorevole della regione interessata" sembrerebbe condizionare solo il fatto in se' della cessione dei materiali, e non anche la individuazione dei destinatari e le modalita' secondo le quali essa deve seguire. Si e' dunque in primo luogo in presenza di una norma statale assai dettagliata e puntuale, la quale incide su un aspetto della organizzazione di enti che - operando nelle materie della tutela della salute e della ricerca scientifica - ricadono pienamente nella competenza legislativa della regione (ancora una volta giova ricordare quanto statuito dalla recente sent. n. 270/2005, che ha annullato disposizioni di dettaglio incidenti sulla struttura di enti sanitari). In secondo luogo, il vincolo ad una determinata destinazione delle risorse dismesse viola l'autonomia regionale nell'utilizzazione di beni che appartengono alla comunita', e che in altra forma alla stessa comunita' potrebbero essere utili (la norma impugnata esclude ad esempio la destinazione ad istituti scolastici, come pure ad altri enti o gruppi che agiscano in una qualunque delle materie attribuite alla competenza regionale). E le censure di costituzionalita' sollevate non sono superabili facendo appello ai poteri statali nella materia dei "rapporti internazionali ... delle regioni": al contrario, anche le competenze spettanti alla ricorrente in questa materia sono lese dal carattere di dettaglio della disposizione impugnata, e dall'affidamento ad una entita' quale la "Alleanza" dei compiti - di natura in parte politica ed in parte amministrativa - attinenti alla cura dei rapporti con altri Stati o con organismi operanti al loro interno. 11. - Illegittimita' costituzionale del comma 311. Il comma 311, vincola le risorse resesi disponibili a seguito della risoluzione degli accordi di programma inerenti l'edilizia sanitaria, nell'ammontare risultante da periodiche ricognizioni effettuate con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, a finalita', specifiche. Tali risorse possono infatti essere utilizzate soltanto: a) per la sottoscrizione di nuovi accordi di programma; b) per gli interventi relativi alle linee di finanziamento per le strutture necessarie all'attivita' libero professionale intramuraria; c) per le strutture di radioterapia; d) per gli interventi relativi agli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, ai policlinici universitari, agli ospedali classificati, agli Istituti zooprofilattici sperimentali e all'ISS. Le risorse sono ripartite "nel rispetto delle quote gia' assegnate alle singole regioni o province autonome sul complessivo programma di cui all'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni". Attraverso questa disposizione legislativa, lo Stato cerca di ricuperare la piena disponibilita' di parte del Fondo sanitario non ancora spesa, decidendo autonomamente la sua destinazione. Si tratta di una palese violazione dell'autonomia finanziaria regionale, giacche', come codesta, ecc.ma Corte ha costantemente ribadito, in materie di competenza regionale allo Stato e' preclusa la destinazione vincolata dei finanziamenti: cio' non puo' che valere anche per la "destinazione" di fondi "di risulta". 12. - Illegittimita' costituzionale del comma 330. Il comma 330, prevede che "al fine di assicurare la realizzazione di interventi volti al sostegno delle famiglie e della solidarieta' per lo sviluppo socio-economico" istituisce "presso lo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo, con una dotazione finanziaria di 1.140 milioni di euro per l'anno 2006". La disposizione appare caratterizzata da una scrittura "in bianco" che non consente di individuare, neppure in linea di massima, la tipologia degli interventi a cui il fondo sarebbe destinato, ne' i criteri e le modalita' di gestione, ne' infine i destinatari delle provvidenze. Tuttavia il "sostegno delle famiglie" e della "solidarieta' per lo sviluppo socio-economico" rientrano totalmente nell'ambito dei servizi e dell'assistenza sociale in cui le regioni hanno competenza piena. Appare percio' illegittimo che lo Stato, anziche' percorrere la strada costituzionalmente obbligata di assegnare i finanziamenti al Fondo per le politiche sociali, e istituire una procedura di leale collaborazione che e' tassativamente richiesta quando agisce in materie regionali per "chiamata in sussidiarieta" (il punto e' fermo nella giurisprudenza costituzionale sin dalla sent. n. 303/2003), si avventuri a istituire un fondo settoriale (una soluzione che piu' volte questa Corte ha dichiarato preclusa in materie di competenza regionale: cfr. per es. sentt. n. 423/2004, n. 160 e n. 449/2005), a destinazione vaga se non interamente franca, che puo' consentire alle autorita' ministeriali interventi privi di limiti, contorni e procedure definite, agendo a mano libera nel campo delle politiche sociali, con interventi diretti - si suppone - a favore di soggetti privati (in contrasto con quanto sempre affermato da questa Corte - cfr. sentt. n. 320, n. 423, n. 424/2004 e n. 160/2005 - che vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale si prevedano interventi finanziari statali destinati a soggetti privati, poiche' cio' equivarrebbe a riconoscere allo Stato potesta' legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze) e senza alcuna garanzia di partecipazione delle regioni. Si chiede percio' a codesta ecc.ma Corte di dichiarare illegittima la disposizione in parola, nella parte in cui prevede che la dotazione finanziaria ivi prevista sia costituita in un fondo autonomo anziche' integrare il Fondo per le politiche sociali, per la sua ordinaria gestione regionale. 13. - Illegittimita' costituzionale del comma 340. Va premesso che il comma 337 dispone che, "per l'anno finanziario 2006, ed a titolo iniziale e sperimentale,... una quota pari al 5 per mille dell'imposta stessa e' destinata in base alla scelta del contribuente alle seguenti finalita': a) sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilita' sociale... nonche' delle associazioni di promozione sociale iscritte" in determinati registri, e delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori di cui all'art. 10, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460; b) finanziamento della ricerca scientifica e dell'universita'; c) finanziamento della ricerca sanitaria; d) attivita' sociali svolte dal comune di residenza del contribuente". Come risulta chiaramente, tutte le finalita' richiamate attengono a materie di competenza regionale, o concorrente (ricerca scientifica) o piena (politiche sociali). Quanto alle "associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori di cui all'art. 10, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460", tali settori sono l'"assistenza sociale e socio-sanitaria", l'"assistenza sanitaria", la "beneficenza", l'"istruzione", la "formazione", lo "sport dilettantistico", la "tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico", la "tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente", la "promozione della cultura e dell'arte", la "tutela dei diritti civili" e la "ricerca scientifica di particolare interesse sociale". Anche questi settori ricadono nella competenza concorrente o piena delle regioni. Il comma 340 - oggetto della presente impugnazione - stabilisce che, con decreto "di natura non regolamentare" del Presidente del Consiglio del ministri (su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze) "sono stabilite le modalita' di richiesta, le liste dei soggetti ammessi al riparto e le modalita' del riparto delle somme stesse, sentite le Commissioni parlamentari competenti relativamente alle finalita' di cui al comma 337, lettera a)". La disposizione aggiunge che "il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato a provvedere, con propri decreti, alla riassegnazione ad apposite unita' previsionali di base dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze delle somme affluite all'entrata per essere destinate ad alimentare un apposito fondo". In sostanza, lo Stato ha istituito un fondo settoriale in materia regionale, destinato a finanziare direttamente i soggetti di cui al comma 337. Benche' il comma 337 sia, ad avviso della ricorrente regione, elusivo della giurisprudenza costituzionale che ha vietato i finanziamenti statali diretti dei privati in materie regionali, essa non si propone di sottrarre i fondi previsti alle finalita' di cui al comma 337, per cui si limita a contestare il comma 340, attinente alla gestione del fondo. In altre parole, la regione censura il comma 340 nella parte in cui, invece di prevedere il riparto delle risorse fra le regioni, contempla una gestione accentrata del fondo e la sua regolamentazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. La gestione accentrata viola l'autonomia legislativa ed amministrativa delle regioni nelle materie di cui al comma 337, tutte di competenza regionale, non sussistendo alcuna esigenza di esercizio unitario che giustifichi la competenza statale. L'utilizzo delle risorse per le finalita' di cui al comma 337 puo' avvenire con piena efficacia a livello regionale, sulla base di una disciplina regionale. La regione, dunque, chiede una sentenza sostitutiva che affidi alle regioni la gestione concreta (e la relativa disciplina) dei finanziamenti previsti dal comma 337. Se anche si dovesse ritenere giustificata - per esigenze unitarie che la regione non riesce ad intravvedere - tale forma di gestione, il comma 340 sarebbe comunque illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione, perche' il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in esso previsto e' adottato senza alcun coinvolgimento delle regioni. In via subordinata si chiede, dunque, che esso sia dichiarato illegittimo perlomeno nella parte in cui non prevede l'intesa con la Conferenza Stato-regioni. 14. - Illegittimita' costituzionale del comma 359. Il comma 357 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il fondo per l'innovazione, la crescita e l'occupazione, di seguito denominato, destinato a finanziare da un lato i progetti individuati dal Piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione, dall'altro generici interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario. Il comma 359 dispone che il fondo sia ripartito "esclusivamente tra gli interventi individuati dal Piano di cui al comma 357, nonche' tra gli interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario, proposti dal Ministro della salute, con apposite deibere del CIPE, il quale stabilisce i criteri e le modalita' di attuazione degli interventi in base alle risorse affluite al fondo, riservando il 15 per cento dell'importo da ripartire agli interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario. La Regione Emilia-Romagna non intende impugnare il comma 357, nonostante si venga cosi' a costituire un fondo settoriale in materia di competenza regionale. Proprio in quanto si tratta di interventi in materia regionale, tuttavia, essa intende far valere la mancata previsione di quelle forme di leale collaborazione, che sono necessarie tutte le volte in cui lo Stato ritenga di assumere direttamente una funzione "in sussidiarieta": in particolare, la mancata previsione delle necessarie intese della Conferenza Stato-regioni sia sul Piano che sulle delibere di riparto del Cipe. Si chiede dunque che la disposizione del comma 359 sia dichiarata illegittima in quanto non prevede tali intese. 15. - Illegittimita' costituzionale del comma 366 e del comma 368 (in particolare lettera b), n. 1 e 2, e lettera d). Il comma 366 dispone che "ai fini dell'applicazione dei commi da 367 a 372, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attivita' produttive, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, con il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie" siano definite "le caratteristiche e le modalita' di individuazione dei distretti produttivi, quali libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l'obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l'efficienza nell'organizzazione e nella produzione, secondo principi di sussidiarieta' verticale ed orizzontale, anche individuando modalita' di collaborazione con le associazioni imprenditoriali". La connessione e l'interferenza dell'istituto dei distretti produttivi con la potesta' legislativa regionale in materia di politica economica e di interventi nell'economia. Occore infatti ricordare che competenza residuale nelle materie dello sviluppo economico spetta ormai in generale alla regione a termini dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione. Il legislatore statale, ove avesse ritenuto di potere tracciare il quadro generale di tale istituto, data la connessione con interventi - ad esempio di carattere fiscale - di competenza statale, avrebbe tuttavia dovuto, appunto, limitarsi a tale quadro generale, chiamando le regioni a tracciarne i contenuti specifici per ogni realta' regionale. Invece, esso ha disciplinato l'istituto in termini tali da precludere alle regioni l'esercizio della loro potesta' legislativa. Di qui un primo profilo di illegittimita' costituzionale. Invece di fare cio', il legislatore ha in pratica abdicato al proprio compito, per delegare la normazione a decreti ministeriali, in violazione dell'art. 117, sesto comma, che limita il potere regolamentare statale alle materie di competenza statale esclusiva: quale questa, all'evidenza, non e'. In piu', vi e' anche la violazione del principio di legalita' sostanziale, data l'assenza di criteri e parametri legislativi per l'esercizio del potere. In subordine, ove dovesse ritenersi giustificato che le caratteristiche dei distretti e i criteri di individuazione venissero stabiliti con decreto ministeriale, la norma sarebbe comunque illegittima per la mancata previsione di qualunque partecipazione alla decisione delle regioni, pur in materia di loro competenza, e in particolare per la mancata previsione dell'intesa della Conferenza Stato-regioni. Inoltre, la norma neppure riconosce un ruolo necessario della regione nella concreta individuazione di ciascun distretto, persino questo essendo affidato a regole ministeriali: e questo concretizza un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale. Accanto a quella del comma 366, sotto i profili ora indicati, la ricorrente regione contesta la legittimita' costituzionale di alcune ulteriori specifiche disposizioni della disciplina relativa ai distretti, in relazione al comma 368. Si tratta, in primo luogo, della lettera b), relativa alle misure definite come amministrative, e precisamente dei numeri 1) e 2). Si tratta ancora della lettera d). Quanto alla lettera b), il n. 1) di essa stabilisce: che "le imprese aderenti possono intrattenere rapporti con le pubbliche amministrazioni e con gli enti pubblici, anche economici, ovvero dare avvio presso gli stessi a procedimenti amministrativi per il tramite del distretto di cui esse fanno parte"; che "in tal caso, le domande, richieste, istanze ovvero qualunque altro atto idoneo ad avviare ed eseguire il rapporto ovvero il procedimento amministrativo, ivi incluse, relativamente a quest'ultimo, le fasi partecipative del procedimento, qualora espressamente formati dai distretti nell'interesse delle imprese aderenti si intendono senz'altro riferiti, quanto agli effetti, alle medesime imprese"; che "qualora il distretto dichiari altresi' di avere verificato, nei riguardi delle imprese aderenti, la sussistenza dei presupposti ovvero dei requisiti, anche di legittimazione, necessari, sulla base delle leggi vigenti, per l'avvio del procedimento amministrativo e per la partecipazione allo stesso, nonche' per la sua conclusione con atto formale ovvero con effetto finale favorevole alle imprese aderenti, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici provvedono senza altro accertamento nei riguardi delle imprese aderenti"; che "i distretti possono accedere, sulla base di apposita convenzione, alle banche dati formate e detenute dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti pubblici". Infine, e' previsto che con decreto (s'intende, "di natura non regolamentare") del Ministro dell'economia e delle finanze siano stabilite "le modalita' applicative delle disposizioni del presente numero". Tutte tali disposizioni costituiscono illegittima disciplina dell'azione amministrativa in relazione alle imprese, spettante in toto alla competenza della ricorrente regione, tranne che per eventuali interventi macroeconomici di competenza dello Stato. Ferma restando l'illegittimita' costituzionale di tutte tali disposizioni, in quanto si riferiscano ad attivita' amministrativa o procedimenti regionali (come e' confermato dal riferimento anche ai "contributi erogati a qualunque titolo sulla base di leggi regionali" contenuto al comma 368, lettera b), n. 2), sia consentito osservare che la lesione e' particolarmente grave in relazione alla norma che in sostanza espropria le amministrazioni dall'attivita' amministrativa di propria competenza, affidandola a corpi espressivi degli interessi parziali delle imprese, di cui per di piu' nessuna legge definisce le caratteristiche: di fronte alle dichiarazioni dei distretti "di avere verificato, nei riguardi delle imprese aderenti, la sussistenza dei presupposti ovvero dei requisiti, anche di legittimazione, necessari, sulla base delle leggi vigenti, per l'avvio del procedimenro amministrativo e per la partecipazione allo stesso, nonche' per la sua conclusione con atto formale ovvero con effetto finale favorevole alle imprese aderenti, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici provvedono senza altro accertamento nei riguardi delle imprese aderenti". Tale norma o insieme di norme appare incostituzionale non per l'evidente totale espropiazione della potesta' legislativa di disciplina delle materie in questione, e di disciplina della relativa funzione amministrativa, ed in particolare del procedimento amministrativo, appartenente alla competenza propria delle regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma (come del resto reso evidente dall'art. 29 della stessa legge statale sul procedimento amministrativo, n. 241 del 1990, dopo le modifiche apportate con la legge n. 15 del 2005, le quali limitano l'efficacia diretta delle disposizioni della legge 241 all'amministrazione statale e degli enti nazionali). E' evidente inoltre, ad avviso della regione, che e' violato anche l'art. 97 della Costituzione, data l'evidente parzialita' del soggetto cui vengono affidate le funzioni amministrative, e la sua inidoneita' alla valutazione degli interessi pubblici in generale; ed e' evidente che la regione e' pienamente legittimata a far valere questo vizio, trattandosi della funzione amministrativa ad essa costituzionalmente spettante. Quanto alla lettera b), n. 2, secondo la quale "al fine di facilitare l'accesso ai contributi erogati a qualunque titolo sulla base di leggi regionali, nazionali o di disposizioni comunitarie, le imprese che aderiscono ai distretti di cui al comma 366 possono presentare le relative istanze ed avviare i relativi procedimenti amministrativi, anche mediante un unico procedimento collettivo, per il tramite dei distretti medesimi che forniscono consulenza ed assistenza alle imprese stesse e che possono, qualora le imprese siano in possesso dei requisiti per l'accesso ai citati contributi, certificarne il diritto", con la ulteriore previsione che con decreto (immancabilmente "di natura non regolamentare" (come se potessero queste mere parole fare qualunque differenza, se non per eludere la necessaria sottoposizione al parere del Consiglio di Stato) del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite "le modalita' applicative della presente disposizione", valgono in sostanza i medesimi argomenti sopra svolti per il n. 1). 1) Da un lato, infatti, si tratta sempre della disciplina del procedimento amministrativo regionale, dall'altro della illegittima previsione di poteri normativi ministeriali, ovviamente preclusi in relazione alla attivita' amministrativa ed ai procedimenti regionali: atti sempre da assumere senza alcuna partecipazione delle regioni. Infine, viola le competenze legislative ed amministrative regionali anche la costituzione ed organizzazione della Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, senza alcuna partecipazione delle regioni: infatti tale Agenzia e' soggetta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri la quale con propri decreti (anch'essi "di natura non regolamentare"), sentiti numerosi Ministeri (alcuni dei quali, dice la norma non senza una dose di sottile umorismo, "se nominati") definisce "criteri e modalita' per lo svolgimento delle attivita' istituzionali", mentre lo stesso statuto dell'Agenzia "e' soggetto all'approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri", sempre senza partecipazione alcuna delle regioni, e senza alcuna garanzia di loro presenza all'interno dell'agenzia. Indubbiamente alla ricorrente regione appare impressionante il complessivo quadro di illegittimita' costituzionale e di violazione delle competenze regionali che caratterizza la disciplina dei distretti: ed a tale quadro essa chiede a codesta ecc.ma Corte di porre rimedio mediante le richieste pronunce. 16. - Illegittimita' costituzionale dei commi 483, da 485 a 481 e 492. I commi da 483 a 492 disciplinano alcuni aspetti della materia concernente le concessioni di derivazione di acqua pubblica per uso idroelettrico, sia modificando espressamente il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/1992/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica), sia introducendo nuove disposizioni. In particolare: a) il comma 483 interviene sull'art. 12 del d.lgs. n. 79/1999, abrogando le disposizioni che regolamentavano il rinnovo delle concessioni di derivazione in scadenza ed introducendo anche per tale fattispecie l'obbligo di procedere con gara ad evidenza pubblica detta gara e' finalizzata all'attribuzione, a titolo oneroso e per un periodo di durata trentennale, del titolo concessorio, avendo particolare riguardo ad un'offerta di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza e di aumento dell'energia prodotta o della potenza installata. La modifica viene giustificata con la necessita' di dare attuazione ai principi comunitari di tutela della concorrenza, liberta' di stabilimento, trasparenza e non discriminazione. Il medesimo comma prevede che il Ministero delle attivita' produttive, di concerto con il Ministero dell'ambiente e di tutela del territorio, sentito il gestore della rete di trasmissione nazionale, determini, con proprio provvedimento, i requisiti organizzativi e finanziari minimi, i parametri di aumento dell'energia prodotta e della potenza installata concernenti la procedura di gara. b) il comma 485 procrastina, tuttavia, l'applicazione delle disposizioni introdotte nella normativa di settore dal comma 483, disponendo la proroga per 10 anni di tutte le grandi concessioni di derivazione idroelettrica, in ragione - si afferma testualmente - dei "tempi di completamento del processo di liberalizzazione e integrazione europea del mercato interno dell'energia elettrica, anche per quanto riguarda la definizione di principi comuni in materia di concorrenza e parita' di trattamento nella produzione idroelettrica"; la proroga e' subordinata all'effettuazione di "congrui interventi di ammodernamento degli impianti, come definiti al comma 487"; c) il comma 486 prevede un canone aggiuntivo che affluisce al bilancio dello Stato per 50 milioni di euro l'anno e ai comuni interessati nella misura di 10 milioni di euro l'anno; d) a sua volta il comma 487, nel definire i requisiti di congruita' dei predetti interventi, contempla tra gli Stessi "un miglioramento delle prestazioni energetiche ed ambientali dell'impianto" per una spesa complessiva non inferiore a 1 euro per ogni MWh di produzione netta media annua degli impianti medesimi; e) il comma 488 dispone, a pena di nullita' della proroga (sic), comode procedure di autocertificazione dell'entita' degli investimenti effettuati o in corso o deliberati, fornendo la relativa documentazione, dando alle Amministrazioni competenti sei mesi per "verificare la congruita' degli investimenti autocertificati"; naturalmente "il mancato completamento nei termini prestabiliti degli investimenti deliberati o in corso e' causa di decadenza dalla concessione"; f) da ultimo, secondo il comma 491: "le disposizioni del presente articolo costituiscono norme di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e attuano i principi comunitari resi nel parere motivato della Commissione europea in data 4 gennaio 2004"; il comma 492 dispone, poi, che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge le regioni e le province autonome armonizzano i propri ordinamenti alle norme dei commi da 483 a 491. L'esame dell'insieme di norme dedicato alle grandi derivazioni idroelettriche consente di individuare diversi blocchi normativi, e precisamente: a) un gruppo di disposizioni destinate ad applicarsi "a regime", ovvero dopo la scadenza delle proroghe contestualmente concesse da un altro gruppo delle stesse disposizioni. Questo primo gruppo e' formato dai commi 483 (regola generale della gara), 489 (disposizioni particolari per i rami di azienda), 490 (procedura di determinazione del valore dei rami in caso di disaccordo); b) un gruppo di disposizioni che, in realta', prorogano le concessioni in essere di ben dieci anni rispetto alla data di scadenza, disciplinando gli adempimenti cui la proroga e' subordinata. Si tratta dei commi 485, 486, 487 e 488. Sia consentito, innanzitutto, un rilievo di carattere generale, preliminare, sulla circostanza che l'inserimento in legge finanziaria della disciplina delle concessioni di grande derivazione e' avvenuto inglobando "in blocco" lo schema di decreto legislativo recante: "Attuazione della direttiva 2003/54/CE per la definizione della durata delle concessioni di grande derivazione di acque pubbliche a scopo idroelettrico". Tale schema, presentato in data 10 novembre 2005 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha costituito oggetto di esame in sede di istruttoria tecnica della Conferenza permanente per i rapporti Stato-regioni-province autonome di cui al d.lgs. n. 281/1998; in tale sede sono stati avanzati rilievi unanimemente negativi da parte dei rappresentanti tecnici delle regioni e delle province. La Conferenza Stato-regioni, in data 15 dicembre 2005, ha preso atto del parere unanimemente negativo delle regioni e delle province autonome: ma in tale sede, si e' anche preso negativamente atto dell'avvenuto trasferimento "in blocco", nella Finanziaria dello Stato per il 2006, del contenuto dello schema del decreto legislativo. Si noti che il trasferimento dello schema di decreto nella legge finanziaria e' avvenuto senza i necessari adattamenti e senza alcuna modifica fra quelle proposte in sede di istruttoria tecnica. Il risultato, a parte i rilievi di merito che seguiranno, appare paradossale gia' sotto il profilo formale. Basti, al riguardo, notare come e' scritto il comma 491, che recita: "Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma lettera e) della Costituzione...". E' evidente che il legislatore statale non si e' accorto che, date le modalita' di approvazione del "maxiemendamento" alla legge finanziaria la disposizione costituisce non piu' un comma di un articolo specifico del decreto legislativo, ma un comma dell'articolo unico in cui consiste la legge finanziaria: ragione per cui, a rigore, si dovrebbe ritenere che l'intera legge finanziaria costituirebbe "norme di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione" - risultato ovviamente assurdo e insostenibile. Tuttavia, solo un'operazione interpretativa volonterosa consente di delimitare il richiamo (che, come si dira', rimane ugualmente ingiustificato) ai commi subito sopra indicati. Ci si chiede, quindi, gia' in termini generali, se sia ammissibile e costituzionalmente legittimo che il legislatore statale emani norme cosi' frettolosamente e irresponsabilmente malformate in materia di grande rilevanza economica ed, inoltre, se la denunciata irrazionalita' intrinseca di questa disposizione non risulti lesiva anche dell'art. 117, secondo comma Cost. almeno nella parte in cui autodefinisce come "norme a tutela della concorrenza" disposizioni indeterminate e indeterminabili. Le modalita' che sono state seguite per l'approvazione della legge fmanziaria (e di altre leggi recenti), sia detto per inciso, appaiono gravemente lesive dei principi costituzionali di articolazione che presiedono alla formazione delle leggi: l'esautoramento della Commissione referente, il cui esame e' soppresso attraverso la "calendarizzazione" del disegno di legge in Aula prima dell'esaurimento dei termini per il completamento dei lavori in Commissione, e successivamente l'escamotage del maxi-emendamento governativo, assistito dalla "questione di fiducia" posta dal Governo, che impedisce qualsiasi esame di merito in Aula, rappresentano gravi infrazioni non solo dei regolamenti parlamentari, ma delle stesse norme costituzionali sul procedimento legislativo (che parlano di "esame" in Commissione e in Aula, e di "approvazione articolo per articolo" dei disegni di legge). Non sta alla ricorrente regione sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'intera legge finanziaria per un vizio procedurale complessivo, che se dovesse essere fatto valere produrrebbe incalcolabili effetti di sistema: va tuttavia sottolineato come, nel caso delle norme impugnate, la violazione persistente delle norme costituzionali e regolamentari sulla "deliberazione" delle leggi (contro la quale assai scarsi, se non inesistenti sono i rimedi giurisdizionali utili a ripristinare la legalita) si rifletta in un grave pregiudizio per le regioni, che si vedono imposte norme prive di quell'attento e libero vaglio parlamentare che, solo, giustifica la sottoposizione della loro autonomia alla "legge" dello Stato. Non solo di cattiva tecnica redazionale delle leggi si tratta dunque, ma di vero e proprio smarrimento delle garanzie costituzionali che si ricollegano all'attento e regolare procedimento deliberativo prescritto dall'art. 72 Cost. Questo appare comunque un motivo di illegittimita' specifico dei commi 483-492, perche' la forzosa e improvvisata inserzione del testo della bozza di decreto legislativo nella legge finanziaria, prodotta dal "maxiemendamento", dimostra in tutta la sua evidenza la lesione delle prerogative delle regioni a cui vengono imposte in tal modo, senza un adeguato vaglio parlamentare, norme su cui esse avevano gia' espresso parere fortemente negativo in sede di istruttoria in Conferenza Stato-regioni: il Governo e' cosi' riuscito ad imporle alle regioni facendo violenza, contestualmente, tanto alle garanzie del dibattito parlamentare che a quelle della leale collaborazione. Prima di passare all'esame delle singole norme, esame che consente di tradurre questa prima considerazione generale in specifiche censure, occorre sinteticamente ricostruire il quadro delle competenze regionali in materia di derivazioni idroelettriche. Il processo di rilevazione del sistema di gestione e tutela del patrimonio idrico, complesso e delicato, si e' sviluppato parallelamente alla riforma in senso autonomistico della amministrazione pubblica ed in particolare contestualmente al trasferimento dallo Stato alle regioni delle funzioni amministrative (e conseguentemente legislative) attuato con il d.lgs. n. 112/1998 (fino al suddetto decreto legislativo, relativamente alle derivazioni site nel territorio delle regioni a statuto ordinario, la competenza in materia apparteneva allo Stato, al quale spettavano, a titolo dominicale, i canoni di concessione per le grandi derivazioni afferenti al demanio idrico statale). Nell'ambito della predetta riforma, lo Stato ha profondamente innovato il precedente assetto e ha trasferito al sistema regioni-autonomie locali tutte le funzioni di gestione del demanio idrico, ivi compreso il complesso delle funzioni amministrative relative alle derivazioni di acqua pubblica, alla ricerca, estrazione e utilizzazione delle acque sotterranee, alla tutela del sistema idrico sotterraneo, nonche' alla determinazione dei canoni di concessione e all'introito dei relativi proventi (artt. 86 e 89, primo comma lettera i) del d.lgs. n. 112/1998). Nel conferire tali funzioni, il d.lgs. n. 112 del 1998 ha, peraltro, fatto temporaneamente salva (art. 29, comma 3) la competenza dello Stato in materia di grandi derivazioni, prevedendo che, fino all'entrata in vigore delle norme di recepimento della direttiva 96/1992/CE (Norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica), le concessioni fossero rilasciate dallo Stato d'intesa con la regione interessata ovvero, in caso di mancata intesa nel termine di sessanta giorni, dallo Stato (ai sensi dell'art. 89, comma 2, le concessioni che interessano il territorio di piu' regioni sono rilasciate d'intesa tra le regioni coinvolte, prevedendosi, in mancanza della stessa, decorso il termine di sei mesi, l'esercizio di poteri sostitutivi da parte dello Stato). Successivamente, con decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e' stata data attuazione alla direttiva 96/1992/CE e si e' pertanto realizzata la condizione cui l'art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998 subordinava il trasferimento delle competenze alle regioni. Con d.P.C.m. del 12 ottobre 2000 (Individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli enti locali per l'esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di demanio idrico), adottato ai sensi dell'art. 7 della legge n. 59 del 1997, si e' infine provveduto a dare definitiva attuazione al disegno prefigurato dal legislatore del 1997, prevedendosi il trasferimento alle regioni, a decorrere dal 1° gennaio 2001, del personale, dei mezzi strumentali e di tutti gli atti relativi agli affari pendenti in materia di derivazioni di acque pubbliche (cfr. la ricostruzione del quadro normativo in tal modo effettuata, contenuta nella sent. di questa Corte n. 133/2005). Cio' premesso, occorre evidenziare che le norme della legge finanziaria 2006 in esame, promosse in nome della "tutela della concorrenza" e del mercato, incidono trasversalmente sulle prerogative regionali, sancite dalla riforma costituzionale del 2001, in materia di governo del territorio, nonche' di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, entrambe, di competenza concorrente e vi incidono ledendo sotto vari profili principi costituzionalmente rilevanti nei rapporti fra Stato-regioni, non ultimo quello di un adeguato equilibrio tra le esigenze produttive e la tutela del "valore costituzionale" dell'ambiente, a cui anche l'azione della regione e' costituzionalmente orientata. E cio' per i seguenti motivi. La disciplina dettata in materia di derivazioni idroelettriche dai commi da 483 a 492 e' espressamente motivata, come si e' sopra riportato, quale esercizio di competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e) Cost. In ragione di tale giustificazione l'intervento statale assume, tuttavia, un carattere spiccatamente - e illegittimamente - unilaterale, in quanto disciplina in dettaglio le concessioni di derivazione a scopo idroelettrico, in totale assenza della previsione di sedi concertative e di coordinamento "orizzontali" volte a garantire la conciliazione tra esigenze unitarie nazionali e governo autonomo del territorio, cui afferisce la materia della gestione del demanio idrico, definita dagli artt. 86 e 89 del d.lgs. n. 112 del 1998. A fronte di simili ipotesi di concorso di competenze, codesta Corte ha espresso un orientamento oramai consolidato che richiede, affinche' la legislazione statale possa superare il vaglio di legittimita' costituzionale, la contemporanea presenza di tre requisiti, e cioe' essa deve: 1) dettare una disciplina logicamente pertinente e idonea alla regolazione della materia; 2) risultare limitata a quanto strettamente indispensabile a tal fine; 3) essere adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti, attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, prevedendo adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni allocate presso gli organi centrali (Corte cost. 303/2003, 370/2003, 6/2004, 50/2005, 62/2005, 219/2005, 242/2005, 231/2005, 383/2005). Trattasi di tre requisiti puntualmente disattesi dalla normativa in esame. Sotto i primi due profili si rileva, in particolare, che la previsione di una proroga "secca" per dieci anni delle concessioni di grandi derivazioni, in luogo di una procedura di rinnovo che "apra" il mercato, lascia inalterate per un lunghissimo tempo le condizioni di utilizzo delle acque pubbliche, definite da disciplinari di concessione sottoscritti ormai da decenni e, quindi, inadeguate rispetto all'evoluzione normativa, socio-economica, tecnica e degli stessi fenomeni fisici e ambientali. Risulta del tutto contraddittorio dettare - cosi' come viene fatto con il comma 483 - una disciplina motivata proprio con riferimento all'esigenza di adeguamento ai rilievi della Commissione europea, giustificandola sotto il profilo della necessita' di "tutelare la concorrenza", e poi procrastinarne l'entrata in vigore attraverso una proroga delle concessioni in atto, di dieci anni, a decorrere dalla scadenza "naturale" del 2010. E' evidente l'intrinseca irragionevolezza della proroga sancita dal comma 485, che, al di la' delle ambigue parole della disposizione (la proroga e' disposta "in relazione ai tempi di completamento del processo di liberalizzazione e integrazione europea del mercato interno dell'energia elettrica"!) viola, al contrario, le regole di concorrenza, blocca il processo di liberalizzazione del mercato impedendone il funzionamento. Al fine di risultare appropriato allo scopo e limitato a quanto strettamente indispensabile, l'intervento statale avrebbe dovuto invece, semmai, consentire l'adeguamento delle concessioni da rinnovarsi alle disposizioni e alle prescrizioni delle leggi e dei piani, statali e regionali, in materia di energia e utilizzo delle acque pubbliche. Risulta, quindi, precluso il legittimo esercizio da parte delle regioni delle funzioni alle stesse spettanti, in materia non solo in materia di gestione del demanio, ma anche in materia di tutela ambientale del patrimonio idrico regionale. Funzioni che per altro la regione Emilia-Romagna ha esercitato facendo uso della propria potesta' normativa in materia di gestione delle risorse idriche con la legge n. 3/1999 (agli artt. 140-142 e 152- 156) e con regolamento n. 41/2001, mentre a livello pianificatorio e' stato di recente approvato il Piano di Tutela delle Acque. Quanto alla disciplina della tutela della concorrenza si sottolinea che, come questa ecc.ma Corte ha piu' volte chiarito, anche in tale materia la competenza statale deve limitarsi alle linee generali, ad un "quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale. L'accoglimento di questa interpretazione comporta, da un lato, che l'indicato titolo di legittimazione statale e' riferibile solo alle disposizioni di carattere generale... e dall'altro lato che solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali" (sent. 272/2004). Ne rimane dunque "condizionata" e delimitata la possibilita' di scendere nel dettaglio, mentre al comma 483 si parla al contrario di atti ministeriali - per di piu' senza alcuna procedura di cooperazione - per definire i parametri relativi alle procedure di gara. Del tutto insoddisfatto e' rimasto peraltro il requisito della partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione sin dalla fase di formazione delle norme impugnate. Lo Stato ha infatti disatteso il principio sopra enunciato, interrompendo unilateralmente i lavori della Conferenza Stato-regioni sullo schema di decreto legislativo recante "Attuazione della direttiva 2003/54/CE per la definizione della durata delle concessioni di grande derivazione di acqua a scopo idroelettrico", come sopra si e' evidenziato e inserendo le corrispondenti previsioni nel maxiemendamento al disegno di legge della Finanziaria 2006, senza tener in alcun conto ne' la richiesta di rinvio per approfondimenti formulata dalle regioni, ne' le osservazioni fortemente critiche dalle stesse espresse, ne' infine le conseguenti proposte emendative. Per quanto concerne poi la previsione nella legge approvata di adeguati meccanismi di cooperazione per l'esercizio concreto delle funzioni allocate presso gli organi statali, si rileva la totale assenza di sedi che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti affinche' questi possano condividere scelte dirette ad incidere sul loro territorio. Quanto sopra, se vale in generale come motivo di illegittimita' dell'intero blocco normativo composto dai commi 483 e da 485 a 492, vale in particolare sia per la definizione dei requisiti organizzativi e finanziari minimi, dei parametri di aumento dell'energia prodotta e della potenza installata, concernenti la procedura di gara, nonche' del miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza di cui al comma 483, sia per la determinazione della congruita' degli interventi di ammodernamento degli impianti, ivi compreso il miglioramento delle prestazioni energetiche ed ambientali, prevista dai commi 485 e 487, anch'essi quindi illegittimi per violazione del principio di leale collaborazione. Appare infine contestabile la legittimita' dell'operazione intentata dallo Stato con il comma 486 di introdurre un canone aggiuntivo destinato al proprio bilancio e ai "comuni interessati", quando la competenza a stabilire ed introitare i canoni relativi alle concessioni di acqua pubblica regionale, anche tenuto conto del fatto che con tali entrate la Regione deve finanziare le proprie spese connesse all'esercizio della funzione di gestione del demanio idrico conferitale dallo Stato. 17. - Illegittimita' costituzionale del comma 556. Il comma 556 dispone in primo luogo che "al fine di prevenire fenomeni di disagio giovanile legato all'uso di sostanze stupefacenti, e' istituito presso il Dipartimento nazionale per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'"Osservatorio per il disagio giovanile legato alle tossicodipendenze"". La regione non contesta l'istituzione dell'Osservatorio nazionale, ma ritiene che la disposizione sia illegittima in quanto non prevede l'intesa della Conferenza Stato-regioni sulle caratteristiche di composizione e di organizzazione dell'Osservatorio. In secondo luogo, si dispone che presso il Dipartimento nazionale per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, e' istituito "il "Fondo nazionale per le comunita' giovanili" per favorire le attivita' dei giovani in materia di sensibilizzazione e prevenzione del fenomeno delle tossicodipendenze"; che la dotazione finanziaria di tale Fondo sia fissata in 5 milioni di euro per l'anno 2006; che il 95 per cento del Fondo venga destinato "alle comunita' giovanili individuate con decreto dei Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge"; che infine con tale decreto (immancabilmente definito "di natura non regolamentare") vengano determinati anche "i criteri per l'accesso al Fondo e le modalita' di presentazione delle istanze". La presente impugnazione non riguarda il 5% del fondo destinato alle sue attivita' di comunicazione. Per il rimanente 95%, invece, si tratta di un fondo settoriale in materia di competenza regionale, la cui previsione, secondo la giurisprudenza ormai consolidata di codesta ecc.ma Corte costituzionale, e' illegittima, a maggiore ragione quando tale fondo sia destinato ad essere gestito centralmente dallo Stato, nonostante che si tratti di finanziare singole comunita' giovanili nelle diverse regioni (si vedano in tema di fondi settoriali, ad esempio, le sentenze n. 370 del 2003, la 16, la 49, la 308 e la 320 del 2004). Qualora - come e' stato ritenuto con la sentenza n. 423 del 2004 per il Fondo delle politiche sociali - un fondo settoriale si giustificasse temporaneamente nel campo della prevenzione delle tossicodipendenze, la disposizione rimarrebbe illegittima in quanto la disciplina degli interventi e la determinazione delle relative modalita' di gestione amministrativa appartiene alla competenza regionale, e dunque vi e' illegittimita' in quanto il Fondo non viene, per la quota del 95%, ripartito tra le regioni, ed in quanto la disciplina attuativa viene affidata ad un atto normativo ministeriale. In ulteriore subordine, ove si ritenesse - benche' non sembrino affatto ricorrerne i presupposti - che il principio di sussidiarieta' imponga la gestione centrale del fondo, la norma rimarrebbe illegittima per difetto assoluto dei meccanismi di cooperazione necessari a termini della sentenza n. 303 del 2003: sarebbe dunque in ogni caso illegittima la mancata previsione dell'intesa della Conferenza Stato-regioni sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che individua le comunita' giovanili destinatarie del finanziamento ed i criteri per l'accesso al Fondo e le modalita' di presentazione delle istanze. 18. - Illegittimita' dei commi da 583 a 593. I commi dal 583 al 593 introducono una categoria nuova, gli "insediamenti turistici di qualita' di interesse nazionale", peraltro privi di una definizione precisa e stringente (il comma 585 si limita, infatti, a precisare che essi "sono caratterizzati dalla compatibilita' ambientale, dalla capacita' di tutela e di valorizzazione culturale del tessuto circostante e dei beni presenti sul territorio, dall'elevato livello dei servizi erogati e dalla idoneita' ad attrarre flussi turistici anche internazionali", aggiungendo come criterio che "devono assicurare un ampliamento della base occupazionale mediante l'assunzione di un numero di addetti non inferiore a 250 unita": come si vede sono tutti requisiti che e' difficile o impossibile accertare in fase di approvazione del progetto, quindi altamente aleatori), prevedendo (comma 586) che la loro realizzazione possa essere proposta dagli enti locali territorialmente competenti, anche associati, dai soggetti ammessi dalla legge n. 109/1994 a partecipare alle procedure di affidamento dei lavori pubblici, anche come partner associati con gestori di servizi o enti finanziatori, nonche' da ogni altro soggetto dotato di requisiti tecnici, organizzativi e finanziari, la cui definizione e' rinviata ad un regolamento del Ministro delle attivita' produttive, di concerto con altri Ministri, ma senza alcuna partecipazione delle regioni. Questi progetti possono prevedere la "valorizzazione" turistica di aree di demanio marittimo non ancora sfruttate, tramite concessione turistico-ricreativa, oppure la riqualificazione di insediamenti e impianti preesistenti (comma 583). Le proposte, redatte secondo il modello definito dal regolamento ministeriale, sono presentate alla regione che, alla fine di un complesso procedimento amministrativo che coinvolge i Ministeri e gli enti locali, promuove la stipula fra le amministrazioni interessate di un accordo di programma, ai sensi dell'art. 34 del TUEL (commi 589-590). Le proposte - stabilisce il comma 587 - devono comprendere lo studio di fattibilita' ambientale, il piano finanziario degli investimetiti, l'adeguamento del sistema complessivo dei servizi che interessano l'area, in particolare nel settore della mobilita', nonche' la previsione di eventuali infrastrutture e opere pubbliche connesse: spetta alla regione (in base al comma 588) valutarle sotto il profilo della "fattibilita' e della qualita' costruttiva, urbanistica e ambientale, nonche' della qualita' progettuale, della funzionalita', del costo di gestione e di manutenzione, dei tempi di ultimazione dei lavori per la realizzazione degli impianti e delle infrastrutture e opere pubbliche connesse", ma e' stabilito dalla legge statale che hanno priorita' "le proposte che prevedono il recupero e la bonifica di aree compromesse sotto il profilo ambientale e di impianti industriali dismessi". A tenore del comma 589 sembra, pero', che il compito della regione, da svolgersi nel ristrettissimo termine di trenta giorni dalla presentazione, sia solo quello di verificare "l'assenza di elementi ostativi" e, "esaminate le proposte stesse" anche comparativamente (entro sessanta giorni), di "individuare quelle che ritiene di pubblico interesse". Una volta ammessa l'opera, nel caso di piu' proposte relative alla stessa concessione di beni demaniali, la regione, prima della stipula dell'accordo di programma, indice una gara da svolgere con il criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa, ponendo a base di gara la proposta presentata dal promotore (comma 592). Il comma 591 ricollega alla stipula dell'accordo di programma l'effetto di sostituire "ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominato" e di consentire "la realizzazione e l'esercizio di tutte le opere, prestazioni e attivita' previste nella proposta approvata" determinando le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le concessioni edilizie". L'approvazione del progetto comporta (ai sensi del comma 584) una riduzione dei canoni di concessione, la cui misura e' peraltro determinata dall'atto di concessione. Del canone poi, una quota pari al 20% e' assegnata alla regione interessata e una quota pari "al comune o ai comuni interessati, proporzionalmente al territorio compreso nell'insediamento". Le disposizioni descritte, a giudizio della ricorrente regione Emilia-Romagna, risultano illegittime per le seguenti ragioni: g) Non v'e' dubbio che l'intervento legislativo ricada nella materia "turismo", di sicura competenza residuale delle regioni. E' vero peraltro che lo Stato interviene sulla base delle sue competenze in materia di "demanio marittimo", ma - come questa ecc.ma Corte ha avuto modo di precisare - tale materia non ha una precisa titolarita', rinviando piuttosto a una pluralita' di funzioni variamente allocate ("la nozione di demanio marittimo, un tempo espressiva di funzioni facenti capo esclusivamente allo Stato, con lo sviluppo delle autonomie e' divenuta espressiva di una pluralita' di funzioni, alcune delle quali rimaste allo Stato, altre "delegate" ai comuni ed alle regioni, altre ancora "conferite" alle regioni": sent. n. 150/2003). Ora, restando fermo che "essendo lo Stato ente proprietario dei beni demaniali in questione, non e' dubbio che a questo spetti la fissazione e la riscossione dei relativi canoni", non e' dubbio neppure che sbaglia chi "confonde la proprieta' del bene con il potere di disciplinare l'uso del bene stesso" (entrambe le citazioni sono tratte dalla sent. 286/2004). Sia consentito rinviare la questione del canone al successivo punto c): qui si deve concludere che lo Stato non puo', movendo dal suo diritto dominicale, giungere a disciplinare l'uso turistico del demanio stesso, invadendo la competenza esclusiva delle regioni. Esso potrebbe prevedere la possibilita' di favorire, tramite riduzione del canone, investimenti promossi e regolati secondo le norme regionali, ma non gia' sostituirsi ad esse in tale promozione e regolazione. Se poi si volesse sostenere che, trattandosi di interventi di "interesse nazionale", sia consentito allo Stato di "chiamare in sussidiarieta" le funzioni "promozionali" degli investimenti turistici, non si potrebbe comunque superare il vincolo, in relazione al quale codesta ecc.ma Corte ha sempre segnato il limite invalicabile dell'ingerenza statale: ossia l'obbligo di prevedere l'assoluto rispetto del principio di leale collaborazione, sia nel "chiamare in sussidiarieta" (e quindi nella formazione della decisione legislativa con cui tale "chiamata" e' presa) sia negli atti conseguenti, strettamente necessari alla tutela degli "interessi infrazionabili". Invece, in questo caso, il limite e' stato superato in entrambe le direzioni: la normativa e' stata varata dalla "legge finanziaria" senza neppure sperimentare un'intesa in Conferenza Stato-regioni; essa e' stata poi formulata attraverso disposizioni che intervengono analiticamente, con norme di dettaglio autoapplicative, nelle procedure attuative, e rinviando poi l'integrazione di tali norme ad un regolamento ministeriale, vietato in materia concorrente a tenore dell'art. 117, sesto comma Cost. e sprovvisto di qualsiasi "copertura" collaborativa. Per queste ragioni si chiede in ogni caso, anche ove il comma 583 dovesse superare il vaglio di costituzionalita', la dichiarazione di illegittimita' dei commi 585, 586, 590, 591, 592. h) La normativa statale riconosce si' un ruolo centrale della regione nella valutazione delle proposte, ma e' attenta a circoscrivere i margini di apprezzamento in cui gli organi regionali possono estendere la loro discrezionalita'. Alla regione sono demandati compiti essenzialmente connessi all'istruttoria tecnica ("sotto il profilo della fattibilita' e della qualita' costruttiva, urbanistica e ambientale, nonche' della qualita' progettuale, della funzionalita', del costo di gestione e di manutenzione, dei tempi di ultimazione dei lavori per la realizzazione degli impianti e delle infrastrutture e opere pubbliche connesse"), attraverso un modulo organizzativo che richiama non la "nuova" potesta' residuale o esclusiva della regione ma, piuttosto, il vecchio schema dell'avvalimento d'uffici: e' vero che si affida alla regione anche il compito di individuare le proposte "che ritiene di pubblico interesse", ma si tratta di una funzione parallela a quella di verificare "l'assenza di elementi ostativi", quindi nel consueto schema della mera discrezionalita' amministrativa. Del tutto ignorate vengono quindi le funzioni regionali di programmazione di sviluppo del proprio territorio e della propria economia, quasi che lo sfruttamento a fini turistici del demanio marittimo, attraverso la costruzione di megastrutture, non sia pesantemente incidente su di essa. Da cio' deriva, percio', la illegittimita' costituzionale dei commi 587 (laddove determina direttamente i contenuti delle proposte, non prevedendo, invece, che essi siano fissati dalla regione), 588 (laddove delimita le valutazioni a cui la regione sottopone le proposte, indicando per di piu' criteri di priorita) e 589 (laddove determina le verifiche a cui la regione deve sottoporre le proposte, fissando anche i termini in cui devono essere effettuate). i) Venendo ora alla questione del canone, se - come sopra anticipato - resta fermo il diritto dominicale dello Stato di fissare i canoni di concessione, chiaramente illegittima appare pero' la norma che ripartisce in modo rigido e con decisione unilaterale il canone percepito: da un lato, esso e' determinato elasticamente, nell'atto del singolo atto di concessione, dallo Stato, dall'altro esso e' ripartito per percentuali fisse tra lo Stato stesso, che ne trattiene sempre e comunque il 60%, da un lato, e dall'altro, e per la quota rimanente, tra le regioni e i comuni. La norma del comma 584, pertanto, palesemente lesiva del principio di leale cooperazione, e' anche contraria con tutta evidenza al criterio di ragionevolezza: essa sembra voler retribuire il "costo" di oneri amministrativo-burocratici (riportandoci cosi coerentemente allo schema dell'avvalimento d'uffici) e non invece divenire parte dell'accordo di programma, collegato alle implicazioni del progetto proposto e approvato, voce importante della programmazione di sviluppo. Se ne chiede percio' la dichiarazione di illegittimita' "nella parte in cui" stabilisce percentuali fisse, anziche' rinviare l'ammontare del canone e la ripartizione delle relative entrate all'intesa tra lo Stato e la regione. j) Infine, appare illegittima anche la disposizione del comma 593, laddove stabilisce che i comuni possano prevedere l'applicazione di regimi agevolati ai fini del contributo di costruzione, invadendo un ambito di competenza legislativa regionale, con il risultato di consentire ai comuni, in applicazione diretta della norma statale, di disapplicare le norme regionali attualmente vigenti (artt. 27-32 della legge regionale n. 31/2002). Si chiede, pertanto, a codesta ecc.ma Corte di riaffermare il principio per cui, in materie attribuite alla competenza concorrente dall'art. 117.3 Cost. (quale, a tenore della costante giurisprudenza costituzionale, deve ritenersi essere l'urbanistica), lo Stato non puo' emanare norme di dettaglio autoapplicative (sent. n. 6/2004), tanto piu' quando la regione abbia gia' disciplinato la materia con proprie leggi. 19. - Illegittimita' dei commi da 597 a 600. I commi da 597 a 600 disciplinano una porzione della materia edilizia residenziale pubblica, ed in particolare le procedure di alienazione degli immobili nonche' l'utilizzazione delle somme ricavate. Complessivamente, si tratta di una disciplina, per di piu' dettagliata, in una materia, quale quella indicata, di competenza regionale residuale. Manca dunque un titolo di competenza statale, con conseguente illegittimita' costituzionale dell'intera disciplina. Precisamente, il comma 597 dispone che "con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono semplificate le norme in materia di alienazione degli immobili di proprieta' degli Istituti medesimi". Come detto, manca un titolo di competenza legislativa statale, e la lesione di competenza non viene meno per il fatto che tale decreto e' da emanare, una volta tanto, "previo accordo tra Governo e regioni". Per la stessa ragione sono illegittimi i "principi" imposti dal comma 598 quali contenuti indefettibili dell'accordo tra Govemo e regioni, come pure il comma 600, che autorizza gli enti e gli Istituti proprietari ad "affidare "a societa' di comprovata professionalita' ed esperienza in materia immobiliare e con specifiche competenze nell'edilizia residenziale pubblica, la gestione delle attivita' necessarie al censimento, alla regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni immobili"". Sia consentito di notare che la lett. c) del comma 598 e' ulteriormente illegittima per il fatto che pone un vincolo alla utilizzazione dei proventi delle alienazioni, prescrivendo che essi siano destinati "alla realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento degli oneri dei mutui sottoscritti da giovani coppie per l'acquisto della prima casa, a promuovere il recupero sociale dei quartieri degradati e per azioni in favore di famiglie in particolare stato di bisogno": con evidente intromissione nelle determinazioni regionali circa l'uso delle risorse a disposizione.
P. Q. M. La Regione Emilia-Romagna, come sopra rappresentata e difesa, chiede voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando l'illegittimita' delle disposizioni sopra indicate, nei termini sopra esposti. Bologna, addi' 3 marzo 2006 Prof avv. Giandomenico Falcon - Prof. avv. Franco Mastragostino