RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 marzo 2006 , n. 39
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 3 marzo 2006 (della Regione Emilia-Romagna)
 
(GU n. 16 del 19-4-2006) 
 
 
    Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della giunta regionale pro tempore sig. Vasco Errani, autorizzato con
deliberazione  della  giunta  regionale  n. 203 del 20 febbraio 2006,
rappresentata  e  difesa  come  da procura rogata dal notaio Federico
Stame  di  Bologna  in  data  24  febbraio  2006,  n. 49770  di rep.,
dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, dall'avv. prof. Franco
Mastragostino  di  Bologna  e  dall'avv.  Luigi  Manzi  di  Roma, con
domicilio  eletto  in  Roma  presso  lo  studio  dell'avv. Manzi, via
Confalonieri n. 5;

    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 24,
26,  88,  198, 203, 206, 214, 216, 277, 280, 281, 283, 284, 285, 286,
311,  330,  340, 359, 366, 368, 483, da 485 a 491, 492, 556, da 583 a
593, da 597 a 600, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni
per  la  formazione  del  bilancio  annuale e pluriennale dello Stato
(legge  finanziaria 2006), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302
del  29  dicembre 2005 - Supplemento ordinario n. 211, per violazione
degli artt. 3, 97, 117, 118, 119 Cost., e dei principi costituzionali
di leale collaborazione nonche' di ragionevolezza e proporzionalita',
nei modi e per i profili di seguito indicati.

                              F a t t o

    Nel  supplemento  ordinario n. 211 alla Gazzetta Ufficiale n. 302
del  29  dicembre 2005 e' stata pubblicata la legge 23 dicembre 2005,
n. 266,  Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006).
    Pur  numerato come un articolo unico (ragione per la quale qui si
usera'  per  lo piu' direttamente l'indicazione del numero di comma),
si   tratta   di  un  insieme  normativo  molto  ampio,  composto  di
seicentododici  commi,  alcuni  dei  quali  a  loro  volta  di grande
dimensione ed sottoarticolati al loro interno.
    Molte  delle  disposizioni  della  legge n. 266 del 2005 sono, ad
avviso della Regione Emilia-Romagna, costituzionalmente illegittime e
lesive delle competenze regionali.
    Con   il  presente  ricorso  vengono  impugnate  -  come  risulta
dall'epigrafe - alcune di tali disposizioni, per le quali si chiede a
codesta    ecc.ma    Corte   costituzionale   la   dichiarazione   di
illegittimita'  costituzionale,  sotto  i  profili  e per i motivi di
seguito indicati nella parte in

                            D i r i t t o

    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 24 e 26.
    Il   comma   24,   primo   periodo,  prevede  che  per  garantire
"effettivita' alle prescrizioni contenute nel programma di stabilita'
e  crescita presentato all'Unione europea, in attuazione dei principi
di  coordinamento  della  finanza  pubblica... e ai fini della tutela
dell'unita'   economica  della  Repubblica...  ...come  principio  di
equilibrio  tra  lo  stock  patrimoniale e i flussi dei trasferimenti
erariali...  nei  confronti degli enti territoriali soggetti al patto
di  stabilita'  interno,  delle  regioni  a  statuto  speciale, delle
province  autonome...  i  trasferimenti  erariali  a qualsiasi titolo
spettanti  sono  ridotti  in misura pari alla differenza fra la spesa
sostenuta  nel  2006  per  l'acquisto da terzi di immobili e la spesa
media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita".
    Il  comma  25 precisa che le disposizioni di cui ai commi 23 e 24
non  si  applicano  all'acquisto  di  immobili da destinare a sedi di
ospedali, ospizi, scuole o asili.
    Il  comma  24 sembra - a quanto e' dato di capire - introdurre un
principio programmatico di contenimento degli acquisti immobiliari da
parte degli Enti pubblici.
    La  disposizione  e' in primo luogo di difficile intellezione: di
difficile  comprensione  e' il senso del "principio di equilibrio tra
lo  stock  patrimoniale  e  i  flussi dei trasferimenti erariali". La
stessa  "differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da
terzi   di  immobili  e  la  spesa  media  sostenuta  nel  precedente
quinquennio  per  la  stessa  finalita"  appare casuale: potrebbe non
esserci  alcuna  differenza,  o potrebbe indifferentemente esserci un
aumento  o una diminuzione per circostanze del tutto accidentali: per
esempio,  verrebbe colpita la regione che avesse ritardato per alcuni
anni investimenti immobiliari, per sostenere nel 2006 un investimento
di  particolare  rilievo finanziario, in vista della realizzazione di
opere   pubbliche.  Si  noti,  inoltre,  a  conferma  dell'intrinseca
irrazionalita'  della  disposizione,  che  essa,  se letta secondo il
normale   uso   delle  parole,  risulterebbe  "punire"  gli  acquisti
eccedenti  la  media,  non  l'eccedenza del c.d. "stock immobiliare";
tanto  e'  vero  che non si tiene affatto in considerazione l'ipotesi
che  la  regione (o l'ente locale) abbia ceduto parte del suo "stock"
per  acquisire entrate o per investire in altri beni immobili. Ancora
una volta la frettolosita' del legislatore ha introdotto disposizioni
prive   di   un   significato   normativo  razionale  e  univocamente
intelligibile,  da  cui  anche la difficolta' estrema di coglierne la
ratio.
    Quantunque  sia - se ve ne e' uno - il suo esatto significato, la
norma   in   questione  appare  indubbiamente  lesiva  dell'autonomia
finanziaria  garantita  alla  regione  dall'art. 119  Cost., perche',
introducendo   un  forte  meccanismo  di  disincentivazione  per  gli
investimenti  che  si  traducono  in  acquisizioni di beni immobili -
salvo  che non si tratti di scuole, asili, ospizi, ospedali - produce
un  effetto  analogo  al  trasferimento  finanziario  con  vincolo di
destinazione.
    Per  esempio,  la  regione si vedrebbe punita se avesse deciso di
dare   priorita'   all'edilizia   residenziale   pubblica,   o   alle
infrastrutture  destinate  alla  ricerca  tecnologica,  mentre non lo
sarebbe  se decidesse di acquisire una clinica privata per realizzare
un nuovo polo ospedaliero in un contesto che non lo richieda affatto.
    La   norma   impugnata  produce  dunque  un  effetto  analogo  al
trasferimento  finanziario  con  vincolo puntuale alla spesa, gia' da
questa Corte ritenuto costituzionalmente illegittimo.
    Infatti,  i  trasferimenti  erariali a qualsiasi titolo spettanti
vengono  ridotti  in misura pari all'aumentata spesa per gli acquisti
immobiliari,  senza  alcuna considerazione delle autonome valutazioni
della  regione  in  ordine  agli  investimenti  per  opere pubbliche;
altrettanto  e'  disposto  per  i  trasferimenti  non erariali (salvo
comprendere  che  cosa significhi l'espressione "analoga" riferita ad
una   operazione  matematica  qual'e'  la  "riduzione").  E'  ammessa
soltanto  una  maggiore  spesa,  finalizzata  rispetto, a particolari
opere  pubbliche,  scelte  direttamente  dal legislatore statale: non
viene,   invece,   tenuta   in   alcuna   considerazione  l'autonomia
politico-amministrativa  regionale,  poiche'  la  scelta  delle opere
"ammesse"  -  e  percio' coperte da finanziamento - e' compiuta senza
che  assumano  alcun rilievo le determinazioni regionali in merito ai
programmi  di  investimento  per opere e infrastrutture pubbliche. E'
del tutto evidente che si realizza cosi', attraverso un taglio mirato
dei  trasferimenti, lo stesso effetto distorsivo che avrebbe prodotto
un trasferimento finanziario "vincolato".
    Va,   inoltre,   osservato   che  per  questi  specifici  vincoli
finanziari   non   e'   previsto,  d'altra  parte,  alcun  meccanismo
cooperativo,  quale sarebbe di regola prescritto per il perseguimento
degli obiettivi di finanza pubblica legati al Patto di stabilita'.
    L'illegittimita'  del  comma  24 e della deroga "finalizzata" del
comma  25  si  riflette,  poi,  sull'illegittimita' del comma 26, che
prevede  la  soggezione al monitoraggio del Ministero dell'economia e
delle  finanze  delle operazioni immobiliari di cui sopra e gli oneri
di  trasmissione  dei  dati  relativi  ad  acquisti  e  vendite degli
immobili  all'Agenzia  del  Territorio,  con  conseguente  obbligo di
segnalazione  agli  organi competenti (Corte dei conti) per eventuali
responsabilita':  infatti,  se  ipoteri  ministeriali  di definizione
delle  modalita'  della comunicazione dei dati inerenti agli acquisti
possono  essere  ricondotti alle funzioni "tecniche" di coordinamento
informativo,  non  essendo  altrimenti  giustificabili in una materia
concorrente  quale  il  coordinamento  della  finanza  pubblica,  non
altrettanto  si  puo'  dire  della forma di controllo surrettizio che
viene  innestata  dall'invio della comunicazione dei dati all'Agenzia
del  territorio,  la  quale  procede  a  "verifiche di congruita' del
valore degli immobili acquisiti", senza peraltro che siano indicati i
parametri di riferimento, "segnalando gli scostamenti rilevanti" agli
organi   competenti,   al   fine   di   instaurare   un  giudizio  di
responsabilita'.  Si deve, infatti, notare che la norma impugnata non
mira a razionalizzare le forme di vigilanza sulla spesa pubblica e la
conseguente  attivazione dei normali procedimenti per responsabilita'
amministrativa-contabile,  ma sottopone a questo controllo penetrante
i soli acquisti delle regioni e degli enti locali, restandone indenni
le Amministrazioni dello Stato. Saldandosi sulla previsione di limite
rigido  (e  irragionevole,  come  si  e'  visto)  degli  investimenti
immobiliari   decisi   dalla   regione,   tale   misura   si  traduce
nell'introduzione  di  una  forma  illegittima di controllo di merito
sulle politiche di sviluppo della regione e degli enti locali.
    2. - Illegittimita' costituzionale del comma 88.
    Il   comma   88   aggiunge   il   comma  61-ter  nell'art. 1  del
decreto-legge    25   settembre   2001,   n. 351,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410.
    La   nuova   norma  prevede  una  singolare  forma  di  sanatoria
urbanistica degli immobili delle Ferrovie S.p.A. Essa, disponendo che
"i  beni  immobili appartenenti a Ferrovie dello Stato S.p.A. ed alle
societa'  dalla  stessa  direttamente  o indirettamente integralmente
controllate  si presumono costruiti in conformita' alla legge vigente
al momento della loro edificazione", introduce una presunzione legale
di  regolarita'  urbanistico-edilizia  degli immobili delle Ferrovie,
che  prescinde dalla situazione reale, e disciplina poi una procedura
per  consentire, entro tre anni, la costruzione di una documentazione
attestante  la  stessa  regolarita',  anche  in deroga agli strumenti
urbanistici  vigenti  ("Indipendentemente  dalle  alienazioni di tali
beni,  Ferrovie  dello  Stato  S.p.A.  e  le  societa'  dalla  stessa
direttamente  o  indirettamente  integralmente controllate, entro tre
anni  dalla  data  di  entrata in vigore della presente disposizione,
possono  procedere  all'ottenimento di documentazione che tenga luogo
di quella attestante la regolarita' urbanistica ed edilizia mancante,
in  continuita'  d'uso,  anche  in  deroga agli strumenti urbanistici
vigenti").
    Tale  procedura  prevede che la societa' "proponga" al comune una
"dichiarazione   sostitutiva  della  concessione",  allegando  alcuni
documenti,  fra  i  quali l'"attestazione del versamento di una somma
pari  al  10  per  cento  di  quella che sarebbe stata dovuta in base
all'Allegato   1   del   decreto-legge  30  settembre  2003,  n. 269,
convertito,  con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326,
per  le opere di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), del testo unico
di  cui  al  decreto  del  Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380" (cioe', per le opere di ristrutturazione edilizia).
    Addirittura,  la  dichiarazione  sostitutiva  "produce i medesimi
effetti  di  una  concessione in sanatoria, a meno che entro sessanta
giorni  dal  suo  deposito  il comune non riscontri l'esistenza di un
abuso  non  sanabile  ai  sensi  delle  norme in materia di controllo
dell'attivita'  urbanistico-edilizia  e lo notifichi all'interessato"
(subito   dopo  la  disposizione  precisa  che  "in  nessun  caso  la
dichiarazione  sostitutiva  potra'  valere  come una regolarizzazione
degli abusi non sanabili ai sensi delle norme in materia di controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia").
    La  possibilita'  di  beneficiare della procedura di cui sopra e'
data  anche  "ai  soggetti  che acquistino detti immobili da Ferrovie
dello  Stato  S.p.A.  e  dalle  societa'  dalla stessa direttamente o
indirettamente   integralmente   controllate",   ma   la   somma   da
corrispondere e' pari al triplo di quella sopra indicata".
    Le   norme   appena  illustrate  rappresentano  il  tentativo  di
correggere   le   conseguenze  dell'art. 1,  comma  6-bis,  del  d.l.
n. 351/2001 (come modificato dall'art. 26, comma 10, d.l. n. 269/2003
e   poi   dall'art. 1,  comma  277,  legge  n. 311/2004)  che,  nella
prospettiva  della  privatizzazione  degli immobili pubblici, dispone
che   "i   beni   immobili   non   piu'   strumentali  alla  gestione
caratteristica  dell'impresa  ferroviaria,  di proprieta' di Ferrovie
dello Stato S.p.A.,... nonche' i beni acquisiti ad altro titolo, sono
alienati  e  valorizzati  da  Ferrovie  dello  Stato  S.p.A., o dalle
societa'  da essa controllate, direttamente o con le modalita' di cui
al  presente decreto", e che "le alienazioni di cui al presente comma
sono  effettuate  con  esonero  dalla consegna dei documenti relativi
alla  proprieta'  e  di quelli attestanti la regolarita' urbanistica,
edilizia e fiscale degli stessi beni". Le norme qui impugnate, pero',
ledono  la  sfera  di  competenza  costituzionale della regione sotto
diversi profili.
    In  sostanza,  il  comma  88  introduce  un altro caso di condono
edilizio, che risulta, pero', ancora piu' difforme dalla Costituzione
rispetto alla disciplina generale introdotta nel 1985, nel 1994 e nel
2003. Gli aspetti deteriori del comma 88 risultano essere i seguenti:
a)  il condono e' limitato ad una particolare societa', alle societa'
ad  essa  collegate  e  agli  aventi  causa;  b) non essendoci limiti
temporali,  il  condono  potrebbe essere riferito anche agli immobili
realizzati  dopo l'entrata in vigore della legge, per cui le Ferrovie
potrebbero costruire un immobile senza concessione e poi, entro i tre
anni  dall'entrata  in  vigore  della  legge n. 266/2005, proporre la
dichiarazione sostitutiva; c) l'oblazione e' ridotta al 10% di quella
prevista  dal  d.l. n. 269/2003 e si applica comunque quella relativa
alle ristrutturazioni edilizie, anche se l'abuso e' piu' grave; d) e'
previsto  il  silenzio-assenso ma con un termine molto piu' ristretto
rispetto  a quello del d.l. n. 269/2003; e) non ci sono limiti quanto
alle  volumetrie  sanabili; f) non sono previsti ambiti di intervento
del  legislatore  regionale  (contemplati,  invece,  seppur in misura
ridotta, dal d.l. n. 269/2003).
    In  generale,  poi, colpisce il fatto che la norma non prevede la
possibilita'  di  sanare un abuso, ma e' imperniata sulla presunzione
autoritativa   della   legittimita'   edilizia  dell'immobile  di  un
soggetto,  prevedendo  poi che una dichiarazione del soggetto produca
gli  effetti  della  concessione  in  sanatoria  nel giro di sessanta
giorni (salvo intervento del comune in certi casi).
    Quanto   alla   lesione  delle  competenze  costituzionali  della
regione,  il  comma 88 viola, in primo luogo, l'autonomia legislativa
ed  amministrativa  in materia di governo del territorio. Pare chiaro
che  il  comma  88  e'  illegittimo,  perlomeno,  nella misura in cui
disciplina   dettagliatamente  i  (quasi  inesistenti)  limiti  e  la
procedura  di  condono,  senza  consentire  alle  regioni di modulare
l'ampiezza  del  condono  edilizio in relazione alla quantita' e alla
tipologia  degli  abusi  sanabili  (ferma  restando  la  spettanza al
legislatore  statale della potesta' di individuare la portata massima
del   condono   edilizio  straordinario),  cioe'  di  determinare  la
possibilita',  le  condizioni  e  le modalita' per l'ammissibilita' a
sanatoria  di  tutte  le  tipologie  di  abuso  edilizio"  (v. sentt.
n. 196/2004,  n. 71/2005 e n. 49/2006), eventualmente restringendo le
possibilita' di condono.
    Il  comma  88,  sotto questo profilo, e' ancora piu' lesivo delle
norme   del   d.l.  n. 269/2003,  che  consentivano  qualche  piccola
integrazione  al  legislatore  regionale.  Su  questo punto le sentt.
n. 196/2004,  n. 71/2005  e  n. 49/2006 della Corte costituzionale si
sono gia' ampiamente pronunciate e ad esse si puo' rinviare.
    Ma,  in  realta', il comma 88 lede le competenze regionali per la
stessa  previsione  della  sanatoria, in quanto per esso non sembrano
poter valere le considerazioni svolte da codesta Corte costituzionale
nella  sent.  n. 196/2004, ove si e' fatto salvo l'an del condono. La
Corte,  infatti,  ha  ritenuto "ragionevole" il nuovo condono (di cui
ovviamente  anche  le  Ferrovie hanno potuto usufruire come tutti) in
quanto  il d.-l. n. 269/2003 faceva riferimento all'entrata in vigore
del  d.P.R.  n. 380/2001  e della legge cost. n. 3/2001 e, dunque, in
connessione con tali fatti nuovi, si poteva comprendere l'esigenza di
"chiudere"  il  passato illegale e di dare avvio ad un nuovo periodo,
caratterizzato  da  una maggiore attenzione nei confronti degli abusi
edilizi.
    Il  comma  88  e'  del  tutto  privo di quegli elementi che hanno
indotto  la  Corte  a  far salvo il "principio" del condono. Non c'e'
nessun  fatto  nuovo  e  non c'e' neppure l'esigenza di "chiudere una
stagione";  anzi, mentre i condoni "generali" miravano principalmente
all'estinzione  dei  reati, e a quest'esigenza primaria seguivano poi
quella di estinguere gli illeciti amministrativi e di "far cassa", il
comma  88  non e' volto a soddisfare esigenze di rango costituzionale
ma  ha  solamente  lo  scopo  di  facilitare la privatizzazione degli
immobili  pubblici  (anche se poi prevede che si producano i medesimi
effetti della concessione in sanatoria).
    Dunque,  l'intero  comma 88 viola irragionevolmente le competenze
costituzionali,  legislative  ed  amministrative,  della  regione  in
materia  di  governo del territorio; in subordine, si chiede che esso
sia  dichiarato  illegittimo  nella  parte  in  cui non consente alle
regioni   di  modulare  l'ampiezza  del  condono  in  relazione  alla
quantita' e alla tipologia degli abusi sanabili, e nella parte in cui
disciplina  con  norme  dettagliate  la procedura di sanatoria. E' da
sottolineare  che  il comma 88 lede le competenze regionali in misura
ancora  maggiore  (sotto il profilo giuridico, ovviamente, non quanto
ad  effetti  concreti)  rispetto  al d.l. n. 269/2003, dato che, come
gia' osservato, non sono previsti limiti temporali per le costruzioni
(per  cui  il  condono  potrebbe  essere riferito anche agli immobili
realizzati  dopo  l'entrata  in  vigore  della legge), e' previsto un
termine  assai  breve  per  il silenzio-assenso comunale, non ci sono
limiti  quanto alle volumetrie sanabili e non sono previsti ambiti di
intervento del legislatore regionale.
    Si  noti,  ulteriormente, che si tratta di un "privilegio" per un
gruppo  di  societa'  e gli aventi causa, il che aggrava la lesivita'
della norma. Essa, infatti, viola anche il principio di eguaglianza e
tale  illegittimita'  si ripercuote sulle prerogative regionali, dato
che  la  previsione  di tale "privilegio" si traduce nella previsione
del condono.
    Infine,  il comma 88, la' dove prevede che l'oblazione e' ridotta
al  10%  di  quella  prevista  dal  d.l. n. 269/2003 e che si applica
comunque  quella  relativa  alle  ristrutturazioni edilizie, anche se
l'abuso  e'  piu'  grave,  viola l'autonomia finanziaria dei comuni e
cio'  si traduce in una lesione dell'autonomia finanziaria regionale,
come   riconosciuto   da  codesta  Corte  nelle  sentt.  n. 533/2002,
n. 196/2004 e n. 417/2005. In particolare, nella sent. n. 196/2004 si
legge   che  "la  stretta  connessione,  in  particolare  in  materia
urbanistica  e  in  tema  di  finanza  regionale  e  locale,  tra  le
attribuzioni  regionali  e  quelle delle autonomie locali consente di
ritenere  che la lesione delle competenze locali sia potetenzialmente
idonea  a  determinare  una  vulnerazione delle competenze regionali"
(punto 14 del Diritto).
    3. - Illegittimita' costituzionale dei commi 198 e 203.
    Il comma 198 dispone che "le amministrazioni regionali e gli enti
locali  di  cui  all'art. 2,  commi  1 e 2, del testo unico di cui al
decreto  legislativo  18  agosto  2000,  n. 267, nonche' gli enti del
Servizio  sanitario  nazionale, fermo restando il conseguimento delle
economie  di  cui all'art. 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre
2004,  n. 311,  concorrono  alla  realizzazione  degli  obiettivi  di
finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese
di   personale,   al  lordo  degli  oneri  riflessi  a  carico  delle
amministrazioni  e  dell'IRAP,  non  superino per ciascuno degli anni
2006,   2007  e  2008  il  corrispondente  ammontare  dell'anno  2004
diminuito  dell'1  per cento", e che "a tal fine si considerano anche
le  spese  per  il  personale  a  tempo determinato, con contratto di
collaborazione  coordinata  e continuativa, o che presta servizio con
altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni".
    Tale  disposizione  risulta con tutta evidenza costituzionalmente
illegittima.  Infatti  -  con l'imporre che per gli anni 2006, 2007 e
2008  le  regioni  (non solo non possano aumentare ma anche) riducano
specificamente  dell'1%  le  spese per il personale rispetto a quelle
sostenute  nell'anno  2004  - il comma 198 viene a porsi in contrasto
con  il principio secondo il quale, fermi i vincoli complessivi posti
per  il  risanamento  della  finanza  pubblica,  e'  inammissibile la
previsione  da  parte  dello  Stato  di  limiti di spesa "specifici e
puntuali"   nei   riguardi   delle  regioni,  dal  momento  che  cio'
rappresenterebbe   "una   indebita   invasione   dell'area  riservata
dall'art. 119  Cost. alle autonomie regionali..., alle quali la legge
statale   puo'   prescrivere   criteri   ed  obiettivi  (ad  esempio,
contenimento  della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli
strumenti  concreti  da  utilizzare per raggiungere quegli obiettivi"
(cosi'  la  sentenza n. 449/2005 di codesta Corte; analogamente, cfr.
anche le sentenze nn. 417/2005, 390/2004, 36/2004).
    Se   poi   si  guarda  alla  materia  specifica  dell'intervento,
costituita    dal    dimensionamento    del   personale,   e   dunque
dall'organizzazione  regionale (e di enti regionali), la disposizione
impugnata  viola  anche  l'art. 117  Cost., essendo evidente che tale
materia rientra nella potesta' legislativa regionale residuale, senza
che  vi  sia  spazio  per  alcun  intervento da parte del legislatore
statale.
    Di   qui,   ad   avviso   della  ricorrente  regione,  la  palese
illegittimita' della disposizione di cui al comma 198.
    L'illegittimita'   costituzionale   del   comma   198   determina
l'illegittimita'  del comma 203, che direttamente lo richiama e, piu'
in   generale,   l'inapplicabilita'   dei   commi  che  costituiscono
applicazione  o  svolgimento  del  medesimo  comma 198 (a partire dal
seguente comma 199).
    4. - Illegittimita' costituzionale del comma 206.
    Il  comma 206, che recita "Le disposizioni dei commi da 198 a 205
costituiscono  principi  fondamentali del coordinamento della finanza
pubblica ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma,
della  Costituzione"  costituisce  una  norma di "autoqualificazione"
della  "funzione" svolta dai commi precedenti (che sono fatti oggetto
di impugnazione in altra parte del presente ricorso).
    "E'  affermazione  costante  di  questa Corte (sentt. nn. 219 del
1984, 192 del 1987 e 1002 del 1988) - ricorda gia' la sent. 85/1990 -
che  la qualificazione di una legge o di alcune sue disposizioni come
principi   fondamentali  della  legislazione  statale  o  come  norme
fondamentali   di   riforma  economico-sociale  non  puo'  discendere
soltanto  da apodittiche affermazioni del legislatore stesso, ma deve
avere   una   puntuale   rispondenza  nella  natura  effettiva  delle
disposizioni   interessate,   quale  si  desume  dal  loro  contenuto
normativo,  dal  loro  oggetto, dal loro scopo e dalla loro incidenza
nei  confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti sociali
disciplinati".   Questa   "dottrina"   risale   alla   giurisprudenza
precedente  alla modifica del Titolo V, quando era ritenuto da questa
ecc.ma  Corte che la presenza di norme di dettaglio nelle c.d. "leggi
cornice"  non  fosse  motivo  di  illegittimita'  della legge stessa,
potendo  esse venire abrogate dalla successiva legislazione regionale
in  esercizio  delle  proprie  attribuzioni  costituzionali.  Dopo la
riforma   costituzionale  pero',  nella  sua  prima  sentenza  (sent.
n. 282/2002)  questa Corte ha sottolineato che l'indagine sul riparto
delle competenze "deve oggi muovere... non tanto dalla ricerca di uno
specifico  titolo  costituzionale  di  legittimazione dell'intervento
regionale,  quanto,  al  contrario, dalla indagine sulla esistenza di
riserve, esclusive o parziali, di competenza statale".
    Percio' le formule di "autoqualificazione" non sono piu' prive di
qualsivoglia    rilevanza   giuridica,   perche'   costituiscono   la
"motivazione"  dell'intervento legislativo dello Stato, l'indicazione
della  "base  giuridica"  su  cui  esso  si  fonda.  Ora, se la "base
giuridica" indica una materia di competenza concorrente ex art. 117.3
Cost.,  l'attribuzione  statale  e'  condizionata e circoscritta alla
sola    "determinazione   dei   principi   fondamentali".   La   c.d.
"autoqualificazione"  quindi  sembra  oggi  esercitare  una  funzione
legittimante  delle  disposizioni  cui  si riferisce, piuttosto che -
come in passato - l'indicazione della loro funzione normativa.
    Per  questa ragione, "autoqualificare" come principi fondamentali
disposizioni di dettaglio (quali sono quelle indicate e autonomamente
impugnate)  non puo' piu' apparire un'operazione legislativa inutile,
ma costituisce una violazione del riparto di competenze legislative.
    5. - Illegittimita' costituzionale dei commi 214 e 216.
    Il  comma  214  impone  sostanzialmente  alle  regioni (in quanto
rientranti   nel   novero  delle  amministrazioni  pubbliche  di  cui
all'art. 1,   comma   2,   d.lgs.   n. 165/2001)   di   adottare   le
determinazioni   finalizzate  a  rendere  operativa  anche  nei  loro
riguardi  la  soppressione dell'indennita' di trasferta e delle altre
indennita' indicate al precedente comma 213.
    Cosi' facendo, tuttavia, le disposizioni impugnate - analogamente
al  comma 198 - vengono a porsi in contrasto con il principio secondo
il  quale, fermi i vincoli complessivi posti per il risanamento della
finanza pubblica, e' inammissibile la previsione da parte dello Stato
di limiti di spesa "specifici e puntuali" nei riguardi delle regioni,
dal   momento  che  cio'  rappresenterebbe  "una  indebita  invasione
dell'area riservata dall'art. 119 Cost. alle autonomie regionali ...,
alle quali la legge statale puo' prescrivere criteri ed obiettivi (ad
esempio,  contenimento  della  spesa  pubblica),  ma  non imporre nel
dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli
obiettivi"  (ancora  sentenza  n. 449/2005,  cfr.  anche  le sentenze
nn. 417/2005, 390/2004, 36/2004).
    Di qui la palese illegittimita' della disposizione impugnata.
    Parimenti  evidente  appare  l'incostituzionalita' del successivo
comma  216, il quale - oltre a violare in generale i sopra menzionati
principi  del  divieto  statale  di  limiti specifici e puntuali alla
spesa   regionale   -  reitera  (ampliandone  pure  la  portata)  una
disposizione  (quella  contenuta  nell'art. 3,  comma 75, della legge
n. 350/2003  -  cioe'  la  legge finanziaria 2004) che codesta ecc.ma
Corte   ha   gia'   dichiarato   incostituzionale   con  la  sentenza
n. 449/2005.  La reiterazione della norma viola dunque non soltanto i
principi sopra esposti, ma ormai anche il giudicato costituzionale.
    6. - Illegittimita' costituzionale del comma 277.
    L'art. 1,  comma  174 della "finanziaria 2005" (legge 30 dicembre
2004,  n. 311)  disponeva  nel  seguente  modo: "Al fine del rispetto
dell'equilibrio  economico-finanziario,  la regione, ove si prospetti
sulla base del monitoraggio trimestrale una situazione di squilibrio,
adotta  i  provvedimenti necessari. Qualora dai dati del monitoraggio
del  quarto  trimestre si evidenzi un disavanzo di gestione, a fronte
del  quale  non  sono stati adottati i predetti provvedimenti, ovvero
essi non siano sufficienti, con la procedura di cui all'art. 8, comma
1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, il Presidente del Consiglio dei
ministri  diffida  la  regione  a  provvedervi  entro  il  30  aprile
dell'anno  successivo a quello di riferimento. Qualora la regione non
adempia;  entro  i  successivi  trenta  giorni  il  presidente  della
regione,  in  qualita' di commissario ad acta, approva il bilancio di
esercizio  consolidato  del  Servizio  sanitario regionale al fine di
determinare   il   disavanzo   di   gestione  e  adotta  i  necessari
provvedimenti  per  il  suo  ripianamento,  ivi  inclusi  gli aumenti
dell'addizionale  all'imposta  sul  reddito  delle  persone fisiche -
IRPEF  e  le maggiorazioni dell'aliquota dell'imposta regionale sulle
attivita' produttive - IRAP entro le misure stabilite dalla normativa
vigente.  I  predetti  incrementi  possono  essere  adottati anche in
funzione  della  copertura  dei  disavanzi  di  gestione  accertati o
stimati nel settore sanitario relativi all'esercizio 2004 e seguenti.
    La  Regione Emilia-Romagna aveva ritenuto di non ricorrere contro
questa  disposizione  ritenendola  non lesiva delle sue attribuzioni:
nella   prospettiva   di  un  disavanzo  della  spesa  sanitaria,  il
presidente   della   giunta   regionale  aveva  il  potere-dovere  di
intervenire,  previa  diffida,  e  i  meccanismi di reazione alla sua
eventuale  (e  improbabile)  inerzia non apparivano lesivi dei canoni
della leale cooperazione.
    Non  cosi'  la  modifica  introdotta  dal  comma  277 della legge
finanziaria   2006:   in   essa,  il  meccanismo  collaborativo  teso
all'obiettivo   -   ovviamente   da   apprezzare   nel  contesto  del
coordinamento  della  finanza  pubblica  -  di  un pronto ripiano dei
disavanzi   di   gestione  del  Servizio  sanitario  regionale,  sono
sostituiti da un meccanismo sanzionatorio, il cui obiettivo non e' la
rapida     individuazione     di     strumenti     di    riequilibrio
economico-finanziario,    ma   esclusivamente   la   "sanzione"   che
l'eventuale ritardo imputabile al Presidente della giunta regionale -
commissario  ad  acta - fa scattare a carico dei contribuenti, che si
vedranno  imposta  un'addizionale  massima  d'imposta,  senza  che il
commissario  ad  acta possa piu' intervenire per rimediare adottando,
sia pure tardivamente, i provvedimenti necessari.
    La  disposizione  appare  percio'  illegittima per due motivi: in
primo luogo, perche' e' lesiva dell'autonomia politica e della stessa
dignita'  politica  degli organi elettivi della regione, sottoposti a
misure   sanzionatorie   che   eccedono   quanto   e'   necessario  e
proporzionato  al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica;
in   secondo   luogo,   perche'   eccede  l'ambito  della  competenza
concorrente  che  lo  Stato  vanta  in materia di coordinamento della
finanza pubblica, introducendo norme che non hanno le caratteristiche
della norma di principio, ma sono di dettaglio e autoapplicative, non
proporzionata all'obiettivo legittimamente fissato dallo Stato.
    Infatti,   la   sanzione   dell'aumento   automatico  al  massimo
dell'addizionale  e  l'impossibilita'  di  un  intervento,  ancorche'
tardivo, del presidente della giunta regionale, al fine di assicurare
il     necessario     equilibrio    finanziario    appaiono    misure
irragionevolmente    rigide,    non    proporzionate   all'obiettivo,
inutilmente  e  illegittimamente  degradanti  la  dignita' di un ente
dotato di autonomia politica costituzionalmente tutelata.
    La  disposizione  e' dunque ilegittima in toto in quanto non pone
principi  ma  regole autoapplicative; in subordine, e' illegittima in
quanto   determina  una  misura  sanzionatoria  anziche'  una  misura
commisurata  alle  esigenze  di  riequilibrio  nonche'  in quanto non
prevede  che  tale misura sanzionatoria venga meno ove il commissario
adotti in seguito le misure necessarie.
    7. - Illegittimita' costituzionale dei commi 280 e 281.
    a)  Con  la  disposizione  dell'art. 1,  comma 279 (che non forma
oggetto   di  impugnazione),  lo  Stato  ha  destinato  alle  regioni
l'importo  di  2  miliardi  di  euro,  quale  concorso al ripiano dei
disavanzi  del Servizio sanitario nazionale per gli anni 2002, 2003 e
2004;  ed ha aggiunto, nel primo periodo del comma successivo, che il
riparto  tra  le  regioni  -  chiamate a cofinanziare il ripiano - e'
operato   con   decreto  ministeriale,  sulla  base  del  numero  dei
residenti, e previa intesa con la Conferenza Stato-regioni.
    Si   tratta   di   un   finanziamento   che   trova  causa  nella
corresponsabilita'  dello  Stato sia nella determinazione del livello
delle  entrate  regionali, sia nella determinazione delle prestazioni
sanitarie  di  cui hanno diritto i cittadini: puo' quindi parlarsi di
un concorso costituzionalmente dovuto.
    Le ulteriori disposizioni del comma 280, tuttavia, subordinano il
finanziamento  statale a due condizioni: a) la prima, che entro il 31
marzo  2006  la Conferenza unificata esprima l'intesa sullo schema di
Piano  sanitario  nazionale  2006-2008;  b)  la seconda, che entro lo
stesso  termine si addivenga ad una intesa tra Stato e regioni, nella
quale  sia prevista una pluralita' di misure organizzative riferibili
alle c.d. "liste di attesa" per le prestazioni sanitarie.
    Il  comma  281,  a  sua volta, introduce una terza condizione per
l'accesso  al  contributo:  "le  regioni  che  nel  periodo 2001-2005
abbiano fatto registrare ... un disavanzo medio pari o superiore al 5
per  cento,  ovvero  che  abbiano  fatto registrare nell'anno 2005 un
incremento  del  disavanzo rispetto all'anno 2001 pari o superiore al
200  per  cento"  devono  stipulare  di  un  apposito accordo (ovvero
integrare  accordi gia' sottoscritti ai sensi dell'art. 1, comma 180,
legge  n. 311/2004),  "per  l'adeguamento  alle indicazioni del Piano
sanitario  nazionale  2006-2008  e  il  perseguimento dell'equilibrio
economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza".
    E'  da  evidenziare  come,  nel  loro insieme, le norme impugnate
istituiscano un collegamento necessario tra il finanziamento statale,
resosi  indispensabile  in  relazione ad attivita' di assistenza gia'
prestata, e il consenso delle regioni a tutte le previsioni del Piano
sanitario  2006-2008: le regioni sono infatti costrette ad una scelta
obbligata,  in  quanto  eventuali obiezioni e riserve sullo schema di
Piano  predisposto  dal  Governo  implicano  la rinuncia alle risorse
finanziarie.
    Le condizioni alle quali lo Stato ha subordinato il finanziamento
del  comma  279  sono  costituzionalmente  illegittime per violazione
degli  artt. 117,  comma 3, 118, comma 1, 119 Cost., del principio di
ragionevolezza.
    b)   Lese   sono   anzitutto   le   attribuzioni  legislative  ed
amministrative  spettanti  alla  regione  in materia di "tutela della
salute".
    Tra  esse  rientrano  certamente  i  poteri  mediante  i quali la
regione  concorre  alla  adozione  del Piano sanitario nazionale, sia
attraverso  la  formulazione  di  specifiche proposte, sia attraverso
l'espressione  dell'intesa  sul  Piano  nell'ambito  della Conferenza
unificata   (secondo  quanto  dispone  l'art. 1,  commi  4-5,  d.lgs.
n. 502/1992,  come  sostituito dall'art. 1, d.lgs. n. 29/1999). Ed e'
evidente  -  e  imposto  dai principi di tutela della salute (art. 32
Cost.)  e  di  buon andamento della amministrazione (art. 97 Cost.) -
che  le  determinazioni regionali in proposito devono necessariamente
avere  riguardo alle esigenze sanitarie della popolazione nel periodo
preso in considerazione dal Piano, alle risorse economiche necessarie
allo scopo e a quelle che si ritiene saranno disponibili.
    Questi  criteri  di  orientamento  nella  decisione  sono  invece
palesemente  negati  dalle  disposizioni  impugnate,  proprio  per il
legame  che  esse  costituiscono tra l'accordo sulla approvazione del
Piano, destinato a valere per il futuro, e la copertura del disavanzo
relativo    a    gestioni    passate:   di   conseguenza,   risultano
sostanzialmente lesi i poteri regionali concernenti la formazione del
Piano sanitario.
    L'illegittima  compressione  delle  competenze  nel settore della
tutela della salute si manifesta anche con la posizione della seconda
condizione,   relativa   alla   intesa   Stato-regioni  sulle  misure
organizzative che queste ultime devono assumere.
    Dopo  la  riforma  del  titolo V, l'autonomia regionale in ordine
alla  organizzazione  degli  enti  sanitari  e'  piu' vasta di quella
consentita dalla precedente materia "assistenza sanitaria", potendosi
in  principio  spingere  fino  alla  stessa "previsione" di essi, dal
momento   che   cio'   "rappresenta   una   delle  possibili  opzioni
organizzative   per   conseguire  le  finalita'  prescelte  dall'ente
costituzionalmente   responsabile   nella  materia  o  nelle  materie
interessate"  (cosi',  molto  efficacemente,  la  sent. n. 270/2005).
Orbene,  alcuni  contenuti  dell'intesa  -  alla  cui stipulazione e'
subordinato   il   contributo   finanziario   statale   -  comprimono
indebitamente  l'autonomia regionale sulla disciplina delle strutture
sanitarie:  cio'  vale  in particolare per l'obbligo di stabilire una
quota  minima  di  risorse  da vincolare al contenimento dei tempi di
attesa  per  le prestazioni (comma 280, lett. d), per le modalita' di
realizzazione  del  centro unico di prenotazione (con utilizzo in via
prioritaria  dei  medici  di  medicina  generale;  lett.  d);  per la
attivazione  "di uno specifico flusso informativo per il monitoraggio
delle  liste  di  attesa"  (lett.  e);  per  la  imposizione che alla
certificazione   degli   interventi   in   attuazione  del  piano  di
contenimento  delle  liste  di  attesa  provveda  il  comitato di cui
all'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005 (lett. f).
    Del  resto,  lo  stesso  legislatore  statale  deve  essere stato
consapevole   della  illegittimita'  delle  misure  organizzative  in
discorso,   se  ha  ritenuto  di  non  imporle  in  modo  formalmente
unilaterale, e di farne oggetto di una "intesa": in apparenza essa e'
liberamente  sottoscrivibile  o  rifiutabile (si notera' che il comma
280 ragiona di una intesa "ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge
5  giugno  2003,  n. 131",  di  una  intesa diretta cioe' "a favorire
l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di
posizioni  unitarie  o il conseguimento di obiettivi comuni"), mentre
in  realta'  essa e' imposta alla regione dalla urgente necessita' di
ottenere il contributo finanziario statale.
    c)  Il  legame  tra  il  concorso  nazionale  alla  copertura dei
disavanzi  pregressi  e  l'accordo sul Piano sanitario per il periodo
2006-2008,   risulta   incostituzionale   anche  per  violazione  del
principio di ragionevolezza, in quanto - come si e' rimarcato - ha ad
oggetto due entita' non omogenee.
    Da  questo  vizio non e' esente nemmeno il comma 281, secondo cui
le  singole  regioni  che  hanno  registrato  negli  anni  passati un
particolare  (incremento  di)  disavanzo,  sono  assoggettate  -  per
concorrere  al  riparto  del  contributo  statale  -  alla  ulteriore
condizione  di  stipulare un apposito accordo "per l'adeguamento alle
indicazioni   del   Piano   sanitario   nazionale   2006-2008   e  il
perseguimento  dell'equilibrio  economico  nel  rispetto  dei livelli
essenziali  di assistenza". Da un lato, infatti, mediante il richiamo
dell'art,  1,  comma 180, legge n. 311/2004, la disposizione parrebbe
ipotizzare  che gli accordi implichino una previa "ricognizione delle
cause"  del disavanzo, ed assumano a contenuto la elaborazione di "un
programma  operativo  di  riorganizzazione,  di riqualificazione o di
potenziamento  del  Servizio  sanitario  regionale";  d'altro lato, e
contraddittoriamente,  la  norma  impugnata  prevede  che  il singolo
accordo  sia  diretto  allo  "adeguamento  alle indicazioni del Piano
sanitario" futuro.
    d)  Gli  argomenti  sopra  svolti  valgono  a dimostrazione della
incostituzionalita' delle disposizioni esaminate anche per violazione
dell'art. 119,  comma  4,  Cost.:  se  lo  stesso legislatore statale
riconosce  come  necessario un intervento finanziario a copertura dei
disavanzi  pregressi  (e  non  potrebbe  essere  diversamente, per le
ragioni  strutturali  accennate  all'inizio  del  presente  motivo di
ricorso),   e'  in  violazione  del  principio  per  cui  le  risorse
"ordinarie"   delle   regioni   devono   consentire   "di  finanziare
integralmente   le   funzioni   pubbliche   loro   attribuite"   ogni
"condizione"   che   non  abbia  riguardo  a  quelle  stesse  ragioni
strutturali,  e  che non incidano quindi sulle fonti di entrata o sui
livelli delle prestazioni, o sui costi delle medesime.
    e)  Giova  ricordare  che  solo  superficialmente la questione di
costituzionalita'  ora  proposta  e'  paragonabile a quella sollevata
dalla  stessa Regione Emilia-Romagna contro l'art. 52, comma 4, legge
n. 289/2002, e decisa con la sent. 36/2005. La norma allora impugnata
condizionava ad adempimenti "futuri" delle regioni "l'adeguamento del
finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale per gli anni 2003,
2004  e  2005":  vi  era quindi corrispondenza temporale tra le somme
"aggiuntive" da trasferire agli enti autonomi e l'imposizione ad essi
di  determinati  vincoli  organizzativo-assistenziali;  inoltre,  gli
impegni  di  cui  all'art. 52 cit. erano sostanzialmente il frutto di
procedure   concertative  fra  Stato  e  regioni,  e  proprio  questo
carattere  negoziale  e'  stato  posto dalla Corte a fondamento della
sentenza  n. 36. Ma per nessuno dei due aspetti si puo' affermare una
similitudine con i commi 280 e 281 della legge n. 266.
    8. - Illegittimita' costituzionale dei commi 283 e 284.
    I  commi  282 (non impugnato), 283 e 284 (parzialmente impugnati)
rilevano  qui  nelle  parti in cui: vietano alle aziende sanitarie ed
ospedaliere di sospendere le prenotazioni delle prestazioni sanitarie
di   cui   al  d.P.C.m.  29  novembre  2001;  comminano  la  sanzione
amministrativa da mille a seimila euro ai soggetti responsabili della
violazione  del  divieto  di  sospensione;  vincolano ad applicare le
sanzioni  "secondo  i  criteri  fissati  dalla Commissione" nazionale
sulla appropriatezza delle prescrizioni: e' questo un organo di nuova
istituzione, la cui nomina e' riservata al Ministro della salute.
    Le   disposizioni   impugnate   sono   lesive   delle  competenze
legislative  ed  amministrative  della  regione nella materia "tutela
della salute" (artt. 117, comma 3, 118, comma 1, Cost.).
    Costituzionalmente   ilegittima   e'   la   norma  per  la  quale
l'applicazione  delle sanzioni amministrative deve avvenire secondo i
criteri  stabiliti  dalla  Commissione nazionale per l'appropriatezza
delle  prescrizioni (comma 284, ultimo periodo). Non sussiste infatti
alcun  titolo  costituzionale  che  consenta  allo  Stato  di imporsi
mediante   questo  strumento  sulla  attivita'  amministrativa  della
regione. Il limite dei principi fondamentali della materia esclude la
possibilita'  di  utilizzare  atti  diversi da quelli legislativi; la
previsione  di  una  qualche  potesta'  regolamentare e' vietata allo
Stato  - nelle materie concorrenti e residuali - dall'art. 117, comma
6,  Cost.;  la  configurazione di una qualche potesta' di indirizzo e
coordinamento  e'  contraria  al sistema risultante dalla riforma del
Titolo   V,   "anche  alla  luce  di  quanto  espressamente  disposto
dall'art. 8,  comma  6,  della  legge  5 giugno 2003, n. 131" (cosi',
decisamente, la sent. n. 329/2003).
    A  sostegno  della legittimita' della norma in esame non potrebbe
nemmeno  invocarsi  la "chiamata in sussidiarieta" ex art. 118, comma
1,  Cost.:  non  si  vede,  infatti,  quali esigenze unitarie possano
giustificare  la  attrazione  al centro del potere di fissare criteri
per  sanzionare  comportamenti  di  soggetti  che esauriscono la loro
attivita'  all'interno  della  organizzazione  regionale del servizio
sanitario.  In  ogni  modo,  anche  in  questo  caso il difetto della
previsione  dell'intesa  con  la  Conferenza Stato-regioni vizierebbe
comunque la norma.
    Un  secondo  motivo di illegittimita' investe, per violazione del
principio  di  leale collaborazione, il comma 283, nella parte in cui
non  prevede che la Commissione nazionale per la appropriatezza delle
prestazioni  sia  istituita e sia nominata dal Ministro per la salute
previa intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni.
    Ammesso  infatti che esigenze unitarie costituzionalmente fondate
consentano  allo  Stato  di  nominare la Commissione, poiche' essa e'
destinata  ad  operare  in  materia  di  sicura competenza regionale,
l'intreccio  degli  interessi  impone  che  alla  nomina si addivenga
attraverso  un  modulo  consensuale. Ne' si potrebbe obiettare che la
posizione  delle  autonomie  e'  gia'  garantita  dalla  previsione -
contenuta nella disposizione impugnata - che della Commissione devono
necessariamente  far parte "rappresentanti designati dalla Conferenza
permanente":  poiche'  la  legge  non  fissa  ne' il numero di questi
rappresentanti, ne' il rapporto di essi con le altre componenti della
Commissione, l'intesa della quale si denuncia la mancanza costituisce
l'unico  strumento  mediante  il  quale  alle regioni e alle province
autonome puo' essere riconosciuta una rappresentanza adeguata.
    9. - Illegittimita' costituzionale del comma 285.
    Il  comma  285 interviene sulle "risorse residue finalizzate alla
costruzione,  ristrutturazione  o adeguamento di presidi ospedalieri"
(in  attuazione  dell'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67), e ne
impone  la  destinazione  ad  un certo tipo di interventi: quelli che
comprendono  degenze  per acuti con almeno 250 posti letto (ridotti a
120  se  si  tratta  di presidi per lungodegenza o riabilitazione), e
quelli  necessari  al  rispetto  dei  requisiti  minimi strutturali e
tecnologici  dei  presidi  attivi  avviati  alla data del 31 dicembre
2005.
    La  disposizione  viola  palesemente  la  competenza  legislativa
spettante  alla regione in ordine alla organizzazione dell'assistenza
ospedaliera  (art. 117,  comma  3,  Cost.), e l'autonomia finanziaria
nelle   decisioni  di  spesa  e  relativa  destinazione;  inoltre,  a
prescindere  dalla  originaria  legittimita'  delle  disposizioni che
avevano  impresso  il vincolo di destinazione alle somme in discorso,
vincoli  del  genere  si  pongono  oggi  in  contrasto con i principi
risultanti  dal  nuovo  art. 119, commi 1, 4, e 5, Cost., secondo una
giurisprudenza costituzionale oramai consolidata.
    10. - Illegittimita' costituzionale del comma 286.
    Il  comma  286 dell'art. 1 della legge dispone che "la cessione a
titolo  di donazione di apparecchiature e altri materiali dismessi da
aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, Istituti di ricovero e
cura  a  carattere  scientifico  di  diritto pubblico ... a beneficio
delle  strutture  sanitarie  nei  Paesi  in  via  di  sviluppo  o  in
transizione",  "e' promossa e coordinata dall'Alleanza degli ospedali
italiani   nel   mondo"   (si   tratta,  a  quanto  risulta,  di  una
"associazione", fondata nel 2004 da Ministri del Governo nazionale, e
aperta  all'adesione  di  altri  soggetti,  probabilmente  di  natura
privata).   Al   di   la'   della   contorta  formulazione  testuale,
l'intendimento   di  vincolare  gli  enti  sanitari  in  ordine  alla
destinazione  dei  materiali  dismessi  e  all'avvalimento necessario
della  Alleanza,  risulta  chiaramente dal secondo periodo del comma,
la'  dove  si  obbligano  gli  enti  a  comunicare  alla  Alleanza la
disponibilita' delle attrezzature sanitarie in questione; d'altronde,
una  sorta  di intesa (ammesso che sia tale) tra Alleanza e strutture
parrebbe  ipotizzata  solo  per  le  "modalita"  della comunicazione,
mentre  "il  parere favorevole della regione interessata" sembrerebbe
condizionare solo il fatto in se' della cessione dei materiali, e non
anche  la  individuazione  dei  destinatari e le modalita' secondo le
quali essa deve seguire.
    Si  e'  dunque  in  primo  luogo in presenza di una norma statale
assai  dettagliata  e  puntuale,  la quale incide su un aspetto della
organizzazione  di  enti  che  -  operando nelle materie della tutela
della  salute e della ricerca scientifica - ricadono pienamente nella
competenza   legislativa   della  regione  (ancora  una  volta  giova
ricordare  quanto  statuito  dalla  recente sent. n. 270/2005, che ha
annullato disposizioni di dettaglio incidenti sulla struttura di enti
sanitari).
    In  secondo  luogo,  il  vincolo  ad una determinata destinazione
delle risorse dismesse viola l'autonomia regionale nell'utilizzazione
di  beni  che  appartengono alla comunita', e che in altra forma alla
stessa  comunita' potrebbero essere utili (la norma impugnata esclude
ad esempio la destinazione ad istituti scolastici, come pure ad altri
enti  o gruppi che agiscano in una qualunque delle materie attribuite
alla competenza regionale).
    E  le  censure di costituzionalita' sollevate non sono superabili
facendo  appello  ai  poteri  statali  nella  materia  dei  "rapporti
internazionali  ... delle regioni": al contrario, anche le competenze
spettanti  alla  ricorrente in questa materia sono lese dal carattere
di  dettaglio della disposizione impugnata, e dall'affidamento ad una
entita' quale la "Alleanza" dei compiti - di natura in parte politica
ed  in  parte  amministrativa  - attinenti alla cura dei rapporti con
altri Stati o con organismi operanti al loro interno.
    11. - Illegittimita' costituzionale del comma 311.
    Il  comma  311,  vincola  le risorse resesi disponibili a seguito
della  risoluzione  degli  accordi  di  programma inerenti l'edilizia
sanitaria,   nell'ammontare  risultante  da  periodiche  ricognizioni
effettuate  con decreto del Ministro della salute, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, a finalita', specifiche.
    Tali  risorse  possono infatti essere utilizzate soltanto: a) per
la   sottoscrizione  di  nuovi  accordi  di  programma;  b)  per  gli
interventi  relativi  alle  linee  di  finanziamento per le strutture
necessarie all'attivita' libero professionale intramuraria; c) per le
strutture  di  radioterapia;  d)  per  gli  interventi  relativi agli
Istituti  di  ricovero e cura a carattere scientifico, ai policlinici
universitari,    agli    ospedali    classificati,    agli   Istituti
zooprofilattici  sperimentali  e  all'ISS.  Le risorse sono ripartite
"nel  rispetto  delle  quote  gia'  assegnate  alle singole regioni o
province  autonome sul complessivo programma di cui all'art. 20 della
legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni".
    Attraverso  questa  disposizione  legislativa,  lo Stato cerca di
ricuperare  la  piena disponibilita' di parte del Fondo sanitario non
ancora  spesa, decidendo autonomamente la sua destinazione. Si tratta
di   una  palese  violazione  dell'autonomia  finanziaria  regionale,
giacche',  come  codesta,  ecc.ma Corte ha costantemente ribadito, in
materie   di   competenza   regionale   allo  Stato  e'  preclusa  la
destinazione  vincolata  dei  finanziamenti: cio' non puo' che valere
anche per la "destinazione" di fondi "di risulta".
    12. - Illegittimita' costituzionale del comma 330.
    Il comma 330, prevede che "al fine di assicurare la realizzazione
di  interventi  volti al sostegno delle famiglie e della solidarieta'
per  lo  sviluppo  socio-economico"  istituisce  "presso  lo stato di
previsione  del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo, con
una dotazione finanziaria di 1.140 milioni di euro per l'anno 2006".
    La  disposizione  appare  caratterizzata  da  una  scrittura  "in
bianco" che non consente di individuare, neppure in linea di massima,
la tipologia degli interventi a cui il fondo sarebbe destinato, ne' i
criteri  e  le  modalita' di gestione, ne' infine i destinatari delle
provvidenze.   Tuttavia   il   "sostegno   delle  famiglie"  e  della
"solidarieta'  per  lo sviluppo socio-economico" rientrano totalmente
nell'ambito  dei  servizi e dell'assistenza sociale in cui le regioni
hanno  competenza  piena.  Appare  percio'  illegittimo che lo Stato,
anziche'   percorrere   la  strada  costituzionalmente  obbligata  di
assegnare  i  finanziamenti  al  Fondo  per  le  politiche sociali, e
istituire una procedura di leale collaborazione che e' tassativamente
richiesta  quando  agisce  in  materie  regionali  per  "chiamata  in
sussidiarieta" (il punto e' fermo nella giurisprudenza costituzionale
sin  dalla  sent.  n. 303/2003),  si  avventuri  a istituire un fondo
settoriale  (una  soluzione che piu' volte questa Corte ha dichiarato
preclusa  in  materie  di  competenza  regionale: cfr. per es. sentt.
n. 423/2004,  n. 160  e  n. 449/2005),  a  destinazione  vaga  se non
interamente  franca,  che puo' consentire alle autorita' ministeriali
interventi  privi  di limiti, contorni e procedure definite, agendo a
mano libera nel campo delle politiche sociali, con interventi diretti
-  si suppone - a favore di soggetti privati (in contrasto con quanto
sempre  affermato  da  questa  Corte  -  cfr.  sentt. n. 320, n. 423,
n. 424/2004  e n. 160/2005 - che vieta comunque che in una materia di
competenza  legislativa  regionale si prevedano interventi finanziari
statali  destinati  a  soggetti  privati, poiche' cio' equivarrebbe a
riconoscere   allo   Stato   potesta'  legislative  e  amministrative
sganciate  dal  sistema  costituzionale  di  riparto delle rispettive
competenze) e senza alcuna garanzia di partecipazione delle regioni.
    Si   chiede   percio'   a  codesta  ecc.ma  Corte  di  dichiarare
illegittima la disposizione in parola, nella parte in cui prevede che
la  dotazione  finanziaria  ivi  prevista  sia costituita in un fondo
autonomo anziche' integrare il Fondo per le politiche sociali, per la
sua ordinaria gestione regionale.
    13. - Illegittimita' costituzionale del comma 340.
    Va premesso che il comma 337 dispone che, "per l'anno finanziario
2006, ed a titolo iniziale e sperimentale,... una quota pari al 5 per
mille  dell'imposta  stessa  e'  destinata  in  base  alla scelta del
contribuente  alle seguenti finalita': a) sostegno del volontariato e
delle  altre  organizzazioni  non  lucrative  di  utilita' sociale...
nonche'   delle  associazioni  di  promozione  sociale  iscritte"  in
determinati  registri, e delle associazioni e fondazioni riconosciute
che  operano nei settori di cui all'art. 10, comma 1, lettera a), del
decreto  legislativo  4 dicembre 1997, n. 460; b) finanziamento della
ricerca   scientifica  e  dell'universita';  c)  finanziamento  della
ricerca   sanitaria;  d)  attivita'  sociali  svolte  dal  comune  di
residenza del contribuente".
    Come risulta chiaramente, tutte le finalita' richiamate attengono
a   materie   di   competenza   regionale,   o  concorrente  (ricerca
scientifica) o piena (politiche sociali).
    Quanto  alle  "associazioni e fondazioni riconosciute che operano
nei  settori  di  cui  all'art. 10,  comma 1, lettera a), del decreto
legislativo 4 dicembre 1997, n. 460", tali settori sono l'"assistenza
sociale    e    socio-sanitaria",    l'"assistenza   sanitaria",   la
"beneficenza",    l'"istruzione",    la   "formazione",   lo   "sport
dilettantistico",  la "tutela, promozione e valorizzazione delle cose
d'interesse  artistico  e storico", la "tutela e valorizzazione della
natura  e  dell'ambiente", la "promozione della cultura e dell'arte",
la   "tutela  dei  diritti  civili"  e  la  "ricerca  scientifica  di
particolare  interesse  sociale". Anche questi settori ricadono nella
competenza concorrente o piena delle regioni.
    Il  comma  340 - oggetto della presente impugnazione - stabilisce
che,  con  decreto  "di  natura non regolamentare" del Presidente del
Consiglio  del  ministri  (su  proposta del Ministro dell'istruzione,
dell'universita'  e  della  ricerca  e  del Ministro della salute, di
concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze)  "sono
stabilite le modalita' di richiesta, le liste dei soggetti ammessi al
riparto  e  le  modalita'  del riparto delle somme stesse, sentite le
Commissioni  parlamentari  competenti relativamente alle finalita' di
cui  al  comma  337,  lettera  a)".  La disposizione aggiunge che "il
Ministro  dell'economia  e delle finanze e' autorizzato a provvedere,
con   propri   decreti,   alla   riassegnazione  ad  apposite  unita'
previsionali   di  base  dello  stato  di  previsione  del  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze delle somme affluite all'entrata per
essere destinate ad alimentare un apposito fondo".
    In sostanza, lo Stato ha istituito un fondo settoriale in materia
regionale,  destinato  a finanziare direttamente i soggetti di cui al
comma  337.  Benche'  il  comma  337  sia, ad avviso della ricorrente
regione, elusivo della giurisprudenza costituzionale che ha vietato i
finanziamenti  statali diretti dei privati in materie regionali, essa
non si propone di sottrarre i fondi previsti alle finalita' di cui al
comma  337,  per  cui  si limita a contestare il comma 340, attinente
alla gestione del fondo.
    In  altre  parole, la regione censura il comma 340 nella parte in
cui,  invece  di  prevedere  il riparto delle risorse fra le regioni,
contempla una gestione accentrata del fondo e la sua regolamentazione
con  decreto  del  Presidente del Consiglio dei ministri. La gestione
accentrata  viola  l'autonomia  legislativa  ed  amministrativa delle
regioni  nelle  materie  di  cui  al  comma  337, tutte di competenza
regionale,  non sussistendo alcuna esigenza di esercizio unitario che
giustifichi  la  competenza  statale. L'utilizzo delle risorse per le
finalita'  di  cui  al  comma 337 puo' avvenire con piena efficacia a
livello  regionale,  sulla  base  di  una  disciplina  regionale.  La
regione,  dunque,  chiede  una  sentenza  sostitutiva che affidi alle
regioni   la   gestione  concreta  (e  la  relativa  disciplina)  dei
finanziamenti previsti dal comma 337.
    Se anche si dovesse ritenere giustificata - per esigenze unitarie
che  la  regione non riesce ad intravvedere - tale forma di gestione,
il   comma  340  sarebbe  comunque  illegittimo  per  violazione  del
principio  di leale collaborazione, perche' il decreto del Presidente
del  Consiglio  dei ministri in esso previsto e' adottato senza alcun
coinvolgimento  delle  regioni. In via subordinata si chiede, dunque,
che  esso sia dichiarato illegittimo perlomeno nella parte in cui non
prevede l'intesa con la Conferenza Stato-regioni.
    14. - Illegittimita' costituzionale del comma 359.
    Il  comma  357  istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei
ministri, il fondo per l'innovazione, la crescita e l'occupazione, di
seguito  denominato,  destinato  a  finanziare  da un lato i progetti
individuati dal Piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione,
dall'altro generici interventi di adeguamento tecnologico nel settore
sanitario.
    Il  comma  359 dispone che il fondo sia ripartito "esclusivamente
tra gli interventi individuati dal Piano di cui al comma 357, nonche'
tra  gli interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario,
proposti dal Ministro della salute, con apposite deibere del CIPE, il
quale  stabilisce  i  criteri  e  le  modalita'  di  attuazione degli
interventi  in  base alle risorse affluite al fondo, riservando il 15
per  cento  dell'importo  da ripartire agli interventi di adeguamento
tecnologico nel settore sanitario.
    La  Regione  Emilia-Romagna  non  intende impugnare il comma 357,
nonostante si venga cosi' a costituire un fondo settoriale in materia
di competenza regionale. Proprio in quanto si tratta di interventi in
materia  regionale,  tuttavia,  essa  intende  far  valere la mancata
previsione   di  quelle  forme  di  leale  collaborazione,  che  sono
necessarie  tutte  le  volte  in  cui  lo  Stato  ritenga di assumere
direttamente  una  funzione  "in  sussidiarieta":  in particolare, la
mancata   previsione   delle   necessarie   intese  della  Conferenza
Stato-regioni sia sul Piano che sulle delibere di riparto del Cipe.
    Si chiede dunque che la disposizione del comma 359 sia dichiarata
illegittima in quanto non prevede tali intese.
    15. - Illegittimita' costituzionale del comma 366 e del comma 368
(in particolare lettera b), n. 1 e 2, e lettera d).
    Il  comma 366 dispone che "ai fini dell'applicazione dei commi da
367 a 372, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di
concerto  con il Ministro delle attivita' produttive, con il Ministro
delle    politiche    agricole   e   forestali,   con   il   Ministro
dell'istruzione,  dell'universita'  e della ricerca e con il Ministro
per l'innovazione e le tecnologie" siano definite "le caratteristiche
e  le  modalita'  di  individuazione  dei distretti produttivi, quali
libere  aggregazioni  di  imprese articolate sul piano territoriale e
sul piano funzionale, con l'obiettivo di accrescere lo sviluppo delle
aree  e  dei  settori  di  riferimento,  di  migliorare  l'efficienza
nell'organizzazione   e   nella   produzione,   secondo  principi  di
sussidiarieta' verticale ed orizzontale, anche individuando modalita'
di collaborazione con le associazioni imprenditoriali".
    La  connessione  e  l'interferenza  dell'istituto  dei  distretti
produttivi  con  la  potesta'  legislativa  regionale  in  materia di
politica  economica  e  di  interventi  nell'economia. Occore infatti
ricordare  che  competenza  residuale  nelle  materie  dello sviluppo
economico   spetta   ormai   in   generale  alla  regione  a  termini
dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione.
    Il  legislatore  statale, ove avesse ritenuto di potere tracciare
il  quadro  generale  di  tale  istituto,  data  la  connessione  con
interventi - ad esempio di carattere fiscale - di competenza statale,
avrebbe  tuttavia  dovuto, appunto, limitarsi a tale quadro generale,
chiamando  le  regioni  a  tracciarne  i contenuti specifici per ogni
realta' regionale.
    Invece,  esso  ha  disciplinato  l'istituto  in  termini  tali da
precludere  alle regioni l'esercizio della loro potesta' legislativa.
Di qui un primo profilo di illegittimita' costituzionale.
    Invece  di  fare  cio',  il legislatore ha in pratica abdicato al
proprio  compito,  per delegare la normazione a decreti ministeriali,
in  violazione  dell'art. 117,  sesto  comma,  che  limita  il potere
regolamentare  statale  alle materie di competenza statale esclusiva:
quale  questa,  all'evidenza,  non  e'.  In  piu',  vi  e'  anche  la
violazione  del principio di legalita' sostanziale, data l'assenza di
criteri e parametri legislativi per l'esercizio del potere.
    In   subordine,   ove   dovesse  ritenersi  giustificato  che  le
caratteristiche dei distretti e i criteri di individuazione venissero
stabiliti   con  decreto  ministeriale,  la  norma  sarebbe  comunque
illegittima  per  la  mancata  previsione di qualunque partecipazione
alla decisione delle regioni, pur in materia di loro competenza, e in
particolare  per  la  mancata previsione dell'intesa della Conferenza
Stato-regioni.
    Inoltre,  la  norma  neppure  riconosce un ruolo necessario della
regione  nella  concreta individuazione di ciascun distretto, persino
questo  essendo  affidato a regole ministeriali: e questo concretizza
un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale.
    Accanto  a quella del comma 366, sotto i profili ora indicati, la
ricorrente  regione contesta la legittimita' costituzionale di alcune
ulteriori   specifiche  disposizioni  della  disciplina  relativa  ai
distretti,  in  relazione  al  comma  368. Si tratta, in primo luogo,
della  lettera b), relativa alle misure definite come amministrative,
e precisamente dei numeri 1) e 2). Si tratta ancora della lettera d).
    Quanto  alla  lettera  b),  il  n. 1) di essa stabilisce: che "le
imprese  aderenti  possono  intrattenere  rapporti  con  le pubbliche
amministrazioni e con gli enti pubblici, anche economici, ovvero dare
avvio  presso gli stessi a procedimenti amministrativi per il tramite
del distretto di cui esse fanno parte"; che "in tal caso, le domande,
richieste,  istanze  ovvero qualunque altro atto idoneo ad avviare ed
eseguire  il  rapporto  ovvero  il  procedimento  amministrativo, ivi
incluse,  relativamente  a  quest'ultimo,  le  fasi partecipative del
procedimento,    qualora    espressamente   formati   dai   distretti
nell'interesse   delle   imprese  aderenti  si  intendono  senz'altro
riferiti,  quanto  agli effetti, alle medesime imprese"; che "qualora
il  distretto  dichiari  altresi'  di  avere verificato, nei riguardi
delle  imprese  aderenti,  la  sussistenza dei presupposti ovvero dei
requisiti, anche di legittimazione, necessari, sulla base delle leggi
vigenti,  per  l'avvio  del  procedimento  amministrativo  e  per  la
partecipazione  allo  stesso, nonche' per la sua conclusione con atto
formale  ovvero  con effetto finale favorevole alle imprese aderenti,
le  pubbliche  amministrazioni  e  gli enti pubblici provvedono senza
altro  accertamento  nei  riguardi  delle  imprese  aderenti"; che "i
distretti  possono accedere, sulla base di apposita convenzione, alle
banche  dati  formate  e  detenute  dalle pubbliche amministrazioni e
dagli enti pubblici".
    Infine,  e'  previsto  che con decreto (s'intende, "di natura non
regolamentare")  del  Ministro  dell'economia  e  delle finanze siano
stabilite  "le  modalita' applicative delle disposizioni del presente
numero".
    Tutte  tali  disposizioni  costituiscono  illegittima  disciplina
dell'azione  amministrativa  in  relazione alle imprese, spettante in
toto  alla  competenza  della  ricorrente  regione,  tranne  che  per
eventuali  interventi macroeconomici di competenza dello Stato. Ferma
restando  l'illegittimita' costituzionale di tutte tali disposizioni,
in  quanto  si riferiscano ad attivita' amministrativa o procedimenti
regionali  (come  e'  confermato dal riferimento anche ai "contributi
erogati  a  qualunque titolo sulla base di leggi regionali" contenuto
al  comma  368,  lettera  b),  n. 2), sia consentito osservare che la
lesione  e'  particolarmente  grave  in  relazione  alla norma che in
sostanza  espropria  le amministrazioni dall'attivita' amministrativa
di propria competenza, affidandola a corpi espressivi degli interessi
parziali delle imprese, di cui per di piu' nessuna legge definisce le
caratteristiche: di fronte alle dichiarazioni dei distretti "di avere
verificato,  nei  riguardi delle imprese aderenti, la sussistenza dei
presupposti ovvero dei requisiti, anche di legittimazione, necessari,
sulla   base  delle  leggi  vigenti,  per  l'avvio  del  procedimenro
amministrativo  e  per  la partecipazione allo stesso, nonche' per la
sua conclusione con atto formale ovvero con effetto finale favorevole
alle  imprese  aderenti,  le  pubbliche  amministrazioni  e  gli enti
pubblici  provvedono  senza  altro  accertamento  nei  riguardi delle
imprese aderenti".
    Tale  norma  o  insieme  di norme appare incostituzionale non per
l'evidente   totale   espropiazione  della  potesta'  legislativa  di
disciplina delle materie in questione, e di disciplina della relativa
funzione   amministrativa,   ed   in   particolare  del  procedimento
amministrativo,  appartenente  alla competenza propria delle regioni,
ai  sensi  dell'art. 117,  quarto comma (come del resto reso evidente
dall'art. 29    della   stessa   legge   statale   sul   procedimento
amministrativo,  n. 241  del 1990, dopo le modifiche apportate con la
legge  n. 15  del  2005,  le quali limitano l'efficacia diretta delle
disposizioni della legge 241 all'amministrazione statale e degli enti
nazionali).
    E'  evidente  inoltre,  ad  avviso  della regione, che e' violato
anche  l'art. 97  della Costituzione, data l'evidente parzialita' del
soggetto  cui  vengono  affidate le funzioni amministrative, e la sua
inidoneita' alla valutazione degli interessi pubblici in generale; ed
e'  evidente  che  la  regione e' pienamente legittimata a far valere
questo  vizio,  trattandosi  della  funzione  amministrativa  ad essa
costituzionalmente spettante.
    Quanto  alla  lettera  b),  n. 2,  secondo  la  quale "al fine di
facilitare  l'accesso  ai contributi erogati a qualunque titolo sulla
base  di leggi regionali, nazionali o di disposizioni comunitarie, le
imprese  che  aderiscono  ai  distretti  di  cui al comma 366 possono
presentare  le  relative  istanze  ed avviare i relativi procedimenti
amministrativi,  anche mediante un unico procedimento collettivo, per
il  tramite  dei  distretti  medesimi  che  forniscono  consulenza ed
assistenza  alle  imprese  stesse  e  che possono, qualora le imprese
siano  in  possesso dei requisiti per l'accesso ai citati contributi,
certificarne il diritto", con la ulteriore previsione che con decreto
(immancabilmente  "di  natura  non  regolamentare" (come se potessero
queste  mere  parole fare qualunque differenza, se non per eludere la
necessaria  sottoposizione  al  parere  del  Consiglio  di Stato) del
Ministro  dell'economia  e delle finanze sono stabilite "le modalita'
applicative  della  presente  disposizione",  valgono  in  sostanza i
medesimi argomenti sopra svolti per il n. 1).
    1)  Da  un  lato,  infatti, si tratta sempre della disciplina del
procedimento  amministrativo  regionale, dall'altro della illegittima
previsione  di  poteri normativi ministeriali, ovviamente preclusi in
relazione alla attivita' amministrativa ed ai procedimenti regionali:
atti sempre da assumere senza alcuna partecipazione delle regioni.
    Infine,   viola   le  competenze  legislative  ed  amministrative
regionali  anche  la costituzione ed organizzazione della Agenzia per
la  diffusione  delle  tecnologie  per  l'innovazione,  senza  alcuna
partecipazione  delle  regioni: infatti tale Agenzia e' soggetta alla
vigilanza  della  Presidenza  del Consiglio dei ministri la quale con
propri  decreti  (anch'essi  "di  natura non regolamentare"), sentiti
numerosi  Ministeri  (alcuni  dei  quali, dice la norma non senza una
dose  di  sottile  umorismo,  "se  nominati")  definisce  "criteri  e
modalita'  per  lo svolgimento delle attivita' istituzionali", mentre
lo  stesso  statuto  dell'Agenzia "e' soggetto all'approvazione della
Presidenza  del  Consiglio dei ministri", sempre senza partecipazione
alcuna  delle  regioni,  e  senza  alcuna  garanzia  di loro presenza
all'interno dell'agenzia.
    Indubbiamente  alla  ricorrente  regione appare impressionante il
complessivo  quadro  di illegittimita' costituzionale e di violazione
delle   competenze  regionali  che  caratterizza  la  disciplina  dei
distretti:  ed  a  tale  quadro essa chiede a codesta ecc.ma Corte di
porre rimedio mediante le richieste pronunce.
    16. - Illegittimita' costituzionale dei commi 483, da 485 a 481 e
492.
    I  commi  da  483 a 492 disciplinano alcuni aspetti della materia
concernente  le  concessioni di derivazione di acqua pubblica per uso
idroelettrico,  sia  modificando espressamente il decreto legislativo
16  marzo  1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/1992/CE recante
norme  comuni  per  il  mercato  interno dell'energia elettrica), sia
introducendo nuove disposizioni.
    In particolare:
        a) il   comma   483   interviene   sull'art. 12   del  d.lgs.
n. 79/1999,  abrogando le disposizioni che regolamentavano il rinnovo
delle  concessioni  di  derivazione in scadenza ed introducendo anche
per  tale  fattispecie  l'obbligo  di  procedere con gara ad evidenza
pubblica detta gara e' finalizzata all'attribuzione, a titolo oneroso
e  per  un  periodo  di  durata  trentennale, del titolo concessorio,
avendo   particolare   riguardo  ad  un'offerta  di  miglioramento  e
risanamento  ambientale  del  bacino  idrografico  di pertinenza e di
aumento dell'energia prodotta o della potenza installata. La modifica
viene  giustificata  con la necessita' di dare attuazione ai principi
comunitari  di  tutela  della  concorrenza, liberta' di stabilimento,
trasparenza  e  non discriminazione. Il medesimo comma prevede che il
Ministero  delle  attivita'  produttive, di concerto con il Ministero
dell'ambiente  e  di  tutela del territorio, sentito il gestore della
rete di trasmissione nazionale, determini, con proprio provvedimento,
i requisiti organizzativi e finanziari minimi, i parametri di aumento
dell'energia  prodotta  e  della  potenza  installata  concernenti la
procedura di gara.
        b) il  comma  485 procrastina, tuttavia, l'applicazione delle
disposizioni  introdotte  nella  normativa  di settore dal comma 483,
disponendo  la  proroga per 10 anni di tutte le grandi concessioni di
derivazione idroelettrica, in ragione - si afferma testualmente - dei
"tempi   di   completamento   del   processo  di  liberalizzazione  e
integrazione  europea  del  mercato  interno  dell'energia elettrica,
anche  per  quanto  riguarda  la  definizione  di  principi comuni in
materia  di  concorrenza  e  parita'  di trattamento nella produzione
idroelettrica";   la  proroga  e'  subordinata  all'effettuazione  di
"congrui  interventi  di ammodernamento degli impianti, come definiti
al comma 487";
        c) il comma 486 prevede un canone aggiuntivo che affluisce al
bilancio  dello  Stato  per  50  milioni  di  euro l'anno e ai comuni
interessati nella misura di 10 milioni di euro l'anno;
        d) a  sua  volta  il  comma  487, nel definire i requisiti di
congruita'  dei  predetti  interventi,  contempla  tra gli Stessi "un
miglioramento    delle    prestazioni   energetiche   ed   ambientali
dell'impianto"  per  una spesa complessiva non inferiore a 1 euro per
ogni MWh di produzione netta media annua degli impianti medesimi;
        e) il  comma  488  dispone,  a pena di nullita' della proroga
(sic),  comode  procedure  di  autocertificazione  dell'entita' degli
investimenti effettuati o in corso o deliberati, fornendo la relativa
documentazione,  dando  alle  Amministrazioni competenti sei mesi per
"verificare   la   congruita'  degli  investimenti  autocertificati";
naturalmente "il mancato completamento nei termini prestabiliti degli
investimenti  deliberati  o  in  corso  e'  causa  di decadenza dalla
concessione";
        f) da  ultimo,  secondo  il  comma  491: "le disposizioni del
presente  articolo  costituiscono  norme  di  competenza  legislativa
esclusiva  statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e),
della  Costituzione  e  attuano i principi comunitari resi nel parere
motivato  della Commissione europea in data 4 gennaio 2004"; il comma
492  dispone,  poi, che entro novanta giorni dalla data di entrata in
vigore  della  legge  le regioni e le province autonome armonizzano i
propri ordinamenti alle norme dei commi da 483 a 491.
    L'esame  dell'insieme  di  norme dedicato alle grandi derivazioni
idroelettriche  consente  di individuare diversi blocchi normativi, e
precisamente:
        a) un  gruppo  di  disposizioni  destinate  ad  applicarsi "a
regime",  ovvero  dopo  la  scadenza  delle  proroghe contestualmente
concesse  da  un altro gruppo delle stesse disposizioni. Questo primo
gruppo  e'  formato  dai  commi 483 (regola generale della gara), 489
(disposizioni  particolari  per i rami di azienda), 490 (procedura di
determinazione del valore dei rami in caso di disaccordo);
        b) un  gruppo  di  disposizioni che, in realta', prorogano le
concessioni  in  essere  di  ben  dieci  anni  rispetto  alla data di
scadenza,   disciplinando   gli   adempimenti   cui   la  proroga  e'
subordinata. Si tratta dei commi 485, 486, 487 e 488.
    Sia  consentito,  innanzitutto, un rilievo di carattere generale,
preliminare, sulla circostanza che l'inserimento in legge finanziaria
della  disciplina delle concessioni di grande derivazione e' avvenuto
inglobando  "in  blocco"  lo  schema  di decreto legislativo recante:
"Attuazione  della  direttiva  2003/54/CE  per  la  definizione della
durata  delle  concessioni di grande derivazione di acque pubbliche a
scopo  idroelettrico".  Tale  schema,  presentato in data 10 novembre
2005  dalla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri, ha costituito
oggetto  di  esame  in  sede  di istruttoria tecnica della Conferenza
permanente  per  i rapporti Stato-regioni-province autonome di cui al
d.lgs.   n. 281/1998;  in  tale  sede  sono  stati  avanzati  rilievi
unanimemente  negativi  da  parte  dei  rappresentanti  tecnici delle
regioni  e  delle  province.  La Conferenza Stato-regioni, in data 15
dicembre  2005,  ha preso atto del parere unanimemente negativo delle
regioni e delle province autonome: ma in tale sede, si e' anche preso
negativamente  atto  dell'avvenuto  trasferimento  "in blocco", nella
Finanziaria  dello  Stato per il 2006, del contenuto dello schema del
decreto  legislativo.  Si  noti  che il trasferimento dello schema di
decreto  nella  legge  finanziaria  e'  avvenuto  senza  i  necessari
adattamenti  e  senza  alcuna modifica fra quelle proposte in sede di
istruttoria tecnica.
    Il  risultato, a parte i rilievi di merito che seguiranno, appare
paradossale gia' sotto il profilo formale. Basti, al riguardo, notare
come  e'  scritto  il  comma  491,  che  recita: "Le disposizioni del
presente  articolo  costituiscono  norme  di  competenza  legislativa
esclusiva  statale  ai  sensi dell'art. 117, secondo comma lettera e)
della Costituzione...".
    E'  evidente  che  il  legislatore statale non si e' accorto che,
date  le  modalita'  di approvazione del "maxiemendamento" alla legge
finanziaria  la  disposizione  costituisce  non  piu'  un comma di un
articolo specifico del decreto legislativo, ma un comma dell'articolo
unico  in  cui  consiste  la  legge  finanziaria:  ragione per cui, a
rigore,   si   dovrebbe   ritenere  che  l'intera  legge  finanziaria
costituirebbe  "norme  di competenza legislativa esclusiva statale ai
sensi  dell'art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione" -
risultato   ovviamente   assurdo   e  insostenibile.  Tuttavia,  solo
un'operazione  interpretativa  volonterosa  consente di delimitare il
richiamo  (che,  come  si dira', rimane ugualmente ingiustificato) ai
commi subito sopra indicati.
    Ci   si   chiede,  quindi,  gia'  in  termini  generali,  se  sia
ammissibile e costituzionalmente legittimo che il legislatore statale
emani  norme cosi' frettolosamente e irresponsabilmente malformate in
materia  di  grande rilevanza economica ed, inoltre, se la denunciata
irrazionalita'  intrinseca  di questa disposizione non risulti lesiva
anche  dell'art. 117,  secondo  comma Cost. almeno nella parte in cui
autodefinisce  come  "norme  a tutela della concorrenza" disposizioni
indeterminate e indeterminabili.
    Le  modalita'  che  sono  state  seguite per l'approvazione della
legge  fmanziaria  (e  di altre leggi recenti), sia detto per inciso,
appaiono   gravemente   lesive   dei   principi   costituzionali   di
articolazione   che   presiedono   alla   formazione   delle   leggi:
l'esautoramento   della   Commissione  referente,  il  cui  esame  e'
soppresso  attraverso  la "calendarizzazione" del disegno di legge in
Aula  prima  dell'esaurimento  dei  termini  per il completamento dei
lavori   in   Commissione,   e   successivamente   l'escamotage   del
maxi-emendamento  governativo, assistito dalla "questione di fiducia"
posta  dal  Governo, che impedisce qualsiasi esame di merito in Aula,
rappresentano gravi infrazioni non solo dei regolamenti parlamentari,
ma  delle  stesse  norme  costituzionali sul procedimento legislativo
(che  parlano di "esame" in Commissione e in Aula, e di "approvazione
articolo per articolo" dei disegni di legge).
    Non  sta  alla  ricorrente  regione  sollevare  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'intera  legge  finanziaria  per un
vizio  procedurale  complessivo,  che  se dovesse essere fatto valere
produrrebbe   incalcolabili   effetti   di   sistema:   va   tuttavia
sottolineato  come,  nel  caso  delle  norme impugnate, la violazione
persistente   delle   norme   costituzionali  e  regolamentari  sulla
"deliberazione"  delle  leggi  (contro  la quale assai scarsi, se non
inesistenti  sono  i  rimedi  giurisdizionali utili a ripristinare la
legalita)  si rifletta in un grave pregiudizio per le regioni, che si
vedono   imposte   norme  prive  di  quell'attento  e  libero  vaglio
parlamentare  che,  solo,  giustifica  la  sottoposizione  della loro
autonomia alla "legge" dello Stato.
    Non  solo  di  cattiva  tecnica redazionale delle leggi si tratta
dunque,   ma   di   vero   e   proprio   smarrimento  delle  garanzie
costituzionali che si ricollegano all'attento e regolare procedimento
deliberativo  prescritto dall'art. 72 Cost. Questo appare comunque un
motivo  di  illegittimita'  specifico  dei  commi 483-492, perche' la
forzosa  e  improvvisata  inserzione del testo della bozza di decreto
legislativo  nella legge finanziaria, prodotta dal "maxiemendamento",
dimostra  in tutta la sua evidenza la lesione delle prerogative delle
regioni  a  cui vengono imposte in tal modo, senza un adeguato vaglio
parlamentare,   norme  su  cui  esse  avevano  gia'  espresso  parere
fortemente   negativo   in   sede   di   istruttoria   in  Conferenza
Stato-regioni:  il  Governo e' cosi' riuscito ad imporle alle regioni
facendo  violenza, contestualmente, tanto alle garanzie del dibattito
parlamentare che a quelle della leale collaborazione.
    Prima  di  passare  all'esame  delle  singole  norme,  esame  che
consente   di   tradurre  questa  prima  considerazione  generale  in
specifiche  censure,  occorre  sinteticamente  ricostruire  il quadro
delle competenze regionali in materia di derivazioni idroelettriche.
    Il  processo  di rilevazione del sistema di gestione e tutela del
patrimonio   idrico,   complesso   e   delicato,   si  e'  sviluppato
parallelamente    alla   riforma   in   senso   autonomistico   della
amministrazione   pubblica   ed  in  particolare  contestualmente  al
trasferimento  dallo Stato alle regioni delle funzioni amministrative
(e  conseguentemente  legislative)  attuato con il d.lgs. n. 112/1998
(fino al suddetto decreto legislativo, relativamente alle derivazioni
site  nel territorio delle regioni a statuto ordinario, la competenza
in  materia  apparteneva  allo  Stato,  al quale spettavano, a titolo
dominicale,  i  canoni  di  concessione  per  le  grandi  derivazioni
afferenti al demanio idrico statale).
    Nell'ambito  della  predetta  riforma,  lo Stato ha profondamente
innovato   il   precedente   assetto   e  ha  trasferito  al  sistema
regioni-autonomie  locali  tutte  le funzioni di gestione del demanio
idrico,  ivi  compreso  il  complesso  delle  funzioni amministrative
relative alle derivazioni di acqua pubblica, alla ricerca, estrazione
e  utilizzazione  delle  acque  sotterranee,  alla tutela del sistema
idrico   sotterraneo,  nonche'  alla  determinazione  dei  canoni  di
concessione  e  all'introito  dei  relativi  proventi (artt. 86 e 89,
primo  comma  lettera  i) del d.lgs. n. 112/1998). Nel conferire tali
funzioni,   il   d.lgs.   n. 112   del   1998   ha,  peraltro,  fatto
temporaneamente salva (art. 29, comma 3) la competenza dello Stato in
materia  di  grandi  derivazioni, prevedendo che, fino all'entrata in
vigore  delle  norme di recepimento della direttiva 96/1992/CE (Norme
comuni per il mercato interno dell'energia elettrica), le concessioni
fossero  rilasciate  dallo  Stato d'intesa con la regione interessata
ovvero,  in  caso  di  mancata intesa nel termine di sessanta giorni,
dallo  Stato  (ai  sensi  dell'art. 89,  comma  2, le concessioni che
interessano  il  territorio  di piu' regioni sono rilasciate d'intesa
tra  le  regioni  coinvolte,  prevedendosi, in mancanza della stessa,
decorso  il termine di sei mesi, l'esercizio di poteri sostitutivi da
parte dello Stato).
    Successivamente, con decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, e'
stata  data  attuazione  alla  direttiva  96/1992/CE e si e' pertanto
realizzata  la  condizione  cui l'art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 112
del 1998 subordinava il trasferimento delle competenze alle regioni.
    Con d.P.C.m. del 12 ottobre 2000 (Individuazione dei beni e delle
risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire
alle regioni ed agli enti locali per l'esercizio delle funzioni e dei
compiti  amministrativi  in  materia  di demanio idrico), adottato ai
sensi dell'art. 7 della legge n. 59 del 1997, si e' infine provveduto
a  dare  definitiva attuazione al disegno prefigurato dal legislatore
del 1997, prevedendosi il trasferimento alle regioni, a decorrere dal
1° gennaio  2001, del personale, dei mezzi strumentali e di tutti gli
atti relativi agli affari pendenti in materia di derivazioni di acque
pubbliche  (cfr.  la  ricostruzione  del quadro normativo in tal modo
effettuata, contenuta nella sent. di questa Corte n. 133/2005).
    Cio'  premesso,  occorre  evidenziare  che  le  norme della legge
finanziaria  2006  in  esame,  promosse  in  nome della "tutela della
concorrenza"   e   del   mercato,   incidono   trasversalmente  sulle
prerogative regionali, sancite dalla riforma costituzionale del 2001,
in   materia  di  governo  del  territorio,  nonche'  di  produzione,
trasporto   e  distribuzione  nazionale  dell'energia,  entrambe,  di
competenza  concorrente  e  vi  incidono  ledendo  sotto vari profili
principi costituzionalmente rilevanti nei rapporti fra Stato-regioni,
non   ultimo  quello  di  un  adeguato  equilibrio  tra  le  esigenze
produttive  e  la tutela del "valore costituzionale" dell'ambiente, a
cui  anche  l'azione della regione e' costituzionalmente orientata. E
cio' per i seguenti motivi.
    La  disciplina  dettata  in materia di derivazioni idroelettriche
dai  commi  da  483 a 492 e' espressamente motivata, come si e' sopra
riportato,  quale  esercizio di competenza esclusiva statale ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera e) Cost.
    In  ragione  di tale giustificazione l'intervento statale assume,
tuttavia,   un   carattere   spiccatamente  -  e  illegittimamente  -
unilaterale,  in  quanto  disciplina  in  dettaglio le concessioni di
derivazione a scopo idroelettrico, in totale assenza della previsione
di  sedi  concertative  e  di  coordinamento  "orizzontali"  volte  a
garantire  la conciliazione tra esigenze unitarie nazionali e governo
autonomo  del territorio, cui afferisce la materia della gestione del
demanio  idrico,  definita  dagli artt. 86 e 89 del d.lgs. n. 112 del
1998.
    A  fronte  di  simili  ipotesi di concorso di competenze, codesta
Corte  ha  espresso  un orientamento oramai consolidato che richiede,
affinche'  la  legislazione  statale  possa  superare  il  vaglio  di
legittimita'   costituzionale,   la  contemporanea  presenza  di  tre
requisiti, e cioe' essa deve:
        1)  dettare  una  disciplina  logicamente pertinente e idonea
alla regolazione della materia;
        2)  risultare limitata a quanto strettamente indispensabile a
tal fine;
        3)  essere  adottata a seguito di procedure che assicurino la
partecipazione dei livelli di governo coinvolti, attraverso strumenti
di  leale  collaborazione o, comunque, prevedendo adeguati meccanismi
di  cooperazione  per  l'esercizio  concreto  delle funzioni allocate
presso  gli  organi centrali (Corte cost. 303/2003, 370/2003, 6/2004,
50/2005, 62/2005, 219/2005, 242/2005, 231/2005, 383/2005).
    Trattasi  di tre requisiti puntualmente disattesi dalla normativa
in esame.
    Sotto  i  primi  due  profili  si  rileva, in particolare, che la
previsione di una proroga "secca" per dieci anni delle concessioni di
grandi  derivazioni,  in luogo di una procedura di rinnovo che "apra"
il  mercato, lascia inalterate per un lunghissimo tempo le condizioni
di  utilizzo  delle  acque  pubbliche,  definite  da  disciplinari di
concessione  sottoscritti  ormai  da  decenni  e,  quindi, inadeguate
rispetto  all'evoluzione  normativa, socio-economica, tecnica e degli
stessi    fenomeni   fisici   e   ambientali.   Risulta   del   tutto
contraddittorio  dettare  - cosi' come viene fatto con il comma 483 -
una  disciplina  motivata  proprio  con  riferimento  all'esigenza di
adeguamento  ai  rilievi  della  Commissione europea, giustificandola
sotto il profilo della necessita' di "tutelare la concorrenza", e poi
procrastinarne  l'entrata  in  vigore  attraverso  una  proroga delle
concessioni  in  atto,  di  dieci  anni,  a  decorrere dalla scadenza
"naturale" del 2010.
    E'  evidente  l'intrinseca irragionevolezza della proroga sancita
dal comma 485, che, al di la' delle ambigue parole della disposizione
(la  proroga  e' disposta "in relazione ai tempi di completamento del
processo  di  liberalizzazione  e  integrazione  europea  del mercato
interno  dell'energia  elettrica"!) viola, al contrario, le regole di
concorrenza,  blocca  il  processo  di  liberalizzazione  del mercato
impedendone il funzionamento.
    Al  fine  di risultare appropriato allo scopo e limitato a quanto
strettamente  indispensabile,  l'intervento  statale  avrebbe  dovuto
invece,   semmai,   consentire  l'adeguamento  delle  concessioni  da
rinnovarsi  alle  disposizioni  e alle prescrizioni delle leggi e dei
piani,  statali  e  regionali, in materia di energia e utilizzo delle
acque pubbliche.
    Risulta,  quindi,  precluso il legittimo esercizio da parte delle
regioni  delle funzioni alle stesse spettanti, in materia non solo in
materia  di  gestione  del  demanio,  ma  anche  in materia di tutela
ambientale del patrimonio idrico regionale. Funzioni che per altro la
regione  Emilia-Romagna  ha  esercitato  facendo  uso  della  propria
potesta'  normativa  in materia di gestione delle risorse idriche con
la  legge n. 3/1999 (agli artt. 140-142 e 152- 156) e con regolamento
n. 41/2001,  mentre  a  livello  pianificatorio  e'  stato di recente
approvato il Piano di Tutela delle Acque.
    Quanto   alla   disciplina  della  tutela  della  concorrenza  si
sottolinea  che,  come  questa  ecc.ma  Corte ha piu' volte chiarito,
anche in tale materia la competenza statale deve limitarsi alle linee
generali,  ad  un  "quadro  di  principi nei confronti di regolazioni
settoriali    di    fonte   regionale.   L'accoglimento   di   questa
interpretazione  comporta,  da  un  lato,  che  l'indicato  titolo di
legittimazione  statale  e'  riferibile  solo  alle  disposizioni  di
carattere   generale...  e  dall'altro  lato  che  solo  le  predette
disposizioni  non  possono essere derogate da norme regionali" (sent.
272/2004).   Ne   rimane   dunque   "condizionata"  e  delimitata  la
possibilita'  di scendere nel dettaglio, mentre al comma 483 si parla
al  contrario  di  atti  ministeriali  -  per  di  piu'  senza alcuna
procedura  di  cooperazione  - per definire i parametri relativi alle
procedure di gara.
    Del  tutto  insoddisfatto  e' rimasto peraltro il requisito della
partecipazione  dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti
di  leale  collaborazione  sin  dalla  fase di formazione delle norme
impugnate.   Lo   Stato  ha  infatti  disatteso  il  principio  sopra
enunciato,  interrompendo  unilateralmente  i lavori della Conferenza
Stato-regioni sullo schema di decreto legislativo recante "Attuazione
della  direttiva  2003/54/CE  per  la  definizione della durata delle
concessioni  di  grande  derivazione di acqua a scopo idroelettrico",
come sopra si e' evidenziato e inserendo le corrispondenti previsioni
nel maxiemendamento al disegno di legge della Finanziaria 2006, senza
tener  in  alcun conto ne' la richiesta di rinvio per approfondimenti
formulata  dalle  regioni,  ne'  le  osservazioni fortemente critiche
dalle stesse espresse, ne' infine le conseguenti proposte emendative.
    Per  quanto  concerne  poi la previsione nella legge approvata di
adeguati  meccanismi  di  cooperazione per l'esercizio concreto delle
funzioni  allocate  presso  gli  organi  statali, si rileva la totale
assenza  di  sedi  che  assicurino  la  partecipazione dei livelli di
governo coinvolti affinche' questi possano condividere scelte dirette
ad incidere sul loro territorio.
    Quanto  sopra,  se vale in generale come motivo di illegittimita'
dell'intero  blocco  normativo composto dai commi 483 e da 485 a 492,
vale   in   particolare   sia   per   la  definizione  dei  requisiti
organizzativi   e   finanziari   minimi,  dei  parametri  di  aumento
dell'energia  prodotta  e  della  potenza  installata, concernenti la
procedura di gara, nonche' del miglioramento e risanamento ambientale
del  bacino idrografico di pertinenza di cui al comma 483, sia per la
determinazione  della  congruita'  degli interventi di ammodernamento
degli  impianti,  ivi  compreso  il  miglioramento  delle prestazioni
energetiche  ed  ambientali,  prevista dai commi 485 e 487, anch'essi
quindi   illegittimi   per   violazione   del   principio   di  leale
collaborazione.
    Appare   infine   contestabile  la  legittimita'  dell'operazione
intentata  dallo  Stato  con  il  comma  486  di introdurre un canone
aggiuntivo  destinato  al proprio bilancio e ai "comuni interessati",
quando la competenza a stabilire ed introitare i canoni relativi alle
concessioni di acqua pubblica regionale, anche tenuto conto del fatto
che  con  tali  entrate  la  Regione deve finanziare le proprie spese
connesse  all'esercizio della funzione di gestione del demanio idrico
conferitale dallo Stato.
    17. - Illegittimita' costituzionale del comma 556.
    Il  comma  556  dispone  in primo luogo che "al fine di prevenire
fenomeni   di   disagio   giovanile   legato   all'uso   di  sostanze
stupefacenti,  e'  istituito  presso il Dipartimento nazionale per le
politiche  antidroga  della  Presidenza  del  Consiglio dei ministri,
l'"Osservatorio    per    il    disagio    giovanile    legato   alle
tossicodipendenze"".    La   regione   non   contesta   l'istituzione
dell'Osservatorio  nazionale,  ma  ritiene  che  la  disposizione sia
illegittima   in   quanto   non  prevede  l'intesa  della  Conferenza
Stato-regioni    sulle   caratteristiche   di   composizione   e   di
organizzazione dell'Osservatorio.
    In secondo luogo, si dispone che presso il Dipartimento nazionale
per  le  politiche  antidroga  della  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri,   e'  istituito  "il  "Fondo  nazionale  per  le  comunita'
giovanili"  per  favorire  le  attivita'  dei  giovani  in materia di
sensibilizzazione     e     prevenzione     del     fenomeno    delle
tossicodipendenze";  che  la  dotazione finanziaria di tale Fondo sia
fissata in 5 milioni di euro per l'anno 2006; che il 95 per cento del
Fondo  venga  destinato  "alle  comunita'  giovanili  individuate con
decreto  dei Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  da emanare entro sessanta
giorni  dalla  data  di  entrata in vigore della presente legge"; che
infine  con  tale  decreto  (immancabilmente  definito "di natura non
regolamentare") vengano determinati anche "i criteri per l'accesso al
Fondo e le modalita' di presentazione delle istanze".
    La  presente  impugnazione non riguarda il 5% del fondo destinato
alle sue attivita' di comunicazione. Per il rimanente 95%, invece, si
tratta  di un fondo settoriale in materia di competenza regionale, la
cui  previsione,  secondo  la  giurisprudenza  ormai  consolidata  di
codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale,  e'  illegittima,  a maggiore
ragione   quando   tale   fondo   sia  destinato  ad  essere  gestito
centralmente  dallo  Stato,  nonostante  che  si tratti di finanziare
singole  comunita' giovanili nelle diverse regioni (si vedano in tema
di  fondi settoriali, ad esempio, le sentenze n. 370 del 2003, la 16,
la 49, la 308 e la 320 del 2004).
    Qualora  - come e' stato ritenuto con la sentenza n. 423 del 2004
per  il  Fondo  delle  politiche  sociali  -  un  fondo settoriale si
giustificasse  temporaneamente  nel  campo  della  prevenzione  delle
tossicodipendenze,  la  disposizione rimarrebbe illegittima in quanto
la  disciplina  degli  interventi  e la determinazione delle relative
modalita'  di  gestione  amministrativa  appartiene  alla  competenza
regionale,  e  dunque  vi  e'  illegittimita'  in quanto il Fondo non
viene,  per  la quota del 95%, ripartito tra le regioni, ed in quanto
la   disciplina   attuativa  viene  affidata  ad  un  atto  normativo
ministeriale.
    In  ulteriore  subordine, ove si ritenesse - benche' non sembrino
affatto ricorrerne i presupposti - che il principio di sussidiarieta'
imponga   la   gestione  centrale  del  fondo,  la  norma  rimarrebbe
illegittima  per  difetto  assoluto  dei  meccanismi  di cooperazione
necessari a termini della sentenza n. 303 del 2003: sarebbe dunque in
ogni   caso  illegittima  la  mancata  previsione  dell'intesa  della
Conferenza Stato-regioni sul decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri  che  individua  le  comunita'  giovanili  destinatarie  del
finanziamento  ed  i criteri per l'accesso al Fondo e le modalita' di
presentazione delle istanze.
    18. - Illegittimita' dei commi da 583 a 593.
    I  commi  dal  583  al  593  introducono una categoria nuova, gli
"insediamenti turistici di qualita' di interesse nazionale", peraltro
privi  di  una  definizione  precisa  e  stringente  (il comma 585 si
limita,  infatti,  a  precisare  che  essi "sono caratterizzati dalla
compatibilita'   ambientale,   dalla   capacita'   di   tutela  e  di
valorizzazione  culturale del tessuto circostante e dei beni presenti
sul  territorio,  dall'elevato  livello  dei  servizi erogati e dalla
idoneita'   ad   attrarre  flussi  turistici  anche  internazionali",
aggiungendo come criterio che "devono assicurare un ampliamento della
base  occupazionale mediante l'assunzione di un numero di addetti non
inferiore  a  250  unita":  come  si vede sono tutti requisiti che e'
difficile  o  impossibile  accertare  in  fase  di  approvazione  del
progetto,  quindi  altamente aleatori), prevedendo (comma 586) che la
loro   realizzazione   possa   essere   proposta  dagli  enti  locali
territorialmente  competenti,  anche  associati, dai soggetti ammessi
dalla  legge  n. 109/1994 a partecipare alle procedure di affidamento
dei  lavori  pubblici,  anche  come  partner associati con gestori di
servizi o enti finanziatori, nonche' da ogni altro soggetto dotato di
requisiti  tecnici, organizzativi e finanziari, la cui definizione e'
rinviata  ad  un regolamento del Ministro delle attivita' produttive,
di  concerto con altri Ministri, ma senza alcuna partecipazione delle
regioni.
    Questi  progetti  possono prevedere la "valorizzazione" turistica
di   aree   di   demanio  marittimo  non  ancora  sfruttate,  tramite
concessione   turistico-ricreativa,  oppure  la  riqualificazione  di
insediamenti e impianti preesistenti (comma 583).
    Le  proposte, redatte secondo il modello definito dal regolamento
ministeriale,  sono  presentate  alla  regione  che,  alla fine di un
complesso procedimento amministrativo che coinvolge i Ministeri e gli
enti  locali,  promuove la stipula fra le amministrazioni interessate
di  un  accordo  di  programma, ai sensi dell'art. 34 del TUEL (commi
589-590).
    Le  proposte  -  stabilisce  il comma 587 - devono comprendere lo
studio   di  fattibilita'  ambientale,  il  piano  finanziario  degli
investimetiti,  l'adeguamento del sistema complessivo dei servizi che
interessano  l'area,  in  particolare  nel  settore  della mobilita',
nonche'  la  previsione di eventuali infrastrutture e opere pubbliche
connesse:  spetta alla regione (in base al comma 588) valutarle sotto
il   profilo   della  "fattibilita'  e  della  qualita'  costruttiva,
urbanistica  e  ambientale, nonche' della qualita' progettuale, della
funzionalita',  del costo di gestione e di manutenzione, dei tempi di
ultimazione  dei  lavori  per la realizzazione degli impianti e delle
infrastrutture  e  opere  pubbliche  connesse", ma e' stabilito dalla
legge  statale  che  hanno  priorita'  "le  proposte che prevedono il
recupero   e  la  bonifica  di  aree  compromesse  sotto  il  profilo
ambientale e di impianti industriali dismessi".
    A  tenore  del  comma  589  sembra,  pero',  che il compito della
regione,  da  svolgersi  nel  ristrettissimo termine di trenta giorni
dalla  presentazione,  sia  solo  quello  di verificare "l'assenza di
elementi   ostativi"   e,   "esaminate   le  proposte  stesse"  anche
comparativamente  (entro sessanta giorni), di "individuare quelle che
ritiene di pubblico interesse".
    Una  volta  ammessa  l'opera,  nel caso di piu' proposte relative
alla  stessa  concessione  di beni demaniali, la regione, prima della
stipula dell'accordo di programma, indice una gara da svolgere con il
criterio dell'offerta economicamente piu' vantaggiosa, ponendo a base
di gara la proposta presentata dal promotore (comma 592).
    Il  comma  591  ricollega  alla stipula dell'accordo di programma
l'effetto  di  sostituire  "ogni altra autorizzazione, approvazione e
parere  comunque  denominato"  e  di  consentire  "la realizzazione e
l'esercizio di tutte le opere, prestazioni e attivita' previste nella
proposta   approvata"   determinando   le   eventuali  e  conseguenti
variazioni  degli  strumenti urbanistici e sostituendo le concessioni
edilizie".
    L'approvazione del progetto comporta (ai sensi del comma 584) una
riduzione  dei  canoni  di  concessione,  la  cui  misura e' peraltro
determinata dall'atto di concessione.
    Del  canone  poi, una quota pari al 20% e' assegnata alla regione
interessata  e  una  quota  pari  "al comune o ai comuni interessati,
proporzionalmente al territorio compreso nell'insediamento".
    Le  disposizioni  descritte,  a giudizio della ricorrente regione
Emilia-Romagna, risultano illegittime per le seguenti ragioni:
        g) Non  v'e' dubbio che l'intervento legislativo ricada nella
materia  "turismo",  di sicura competenza residuale delle regioni. E'
vero peraltro che lo Stato interviene sulla base delle sue competenze
in  materia  di "demanio marittimo", ma - come questa ecc.ma Corte ha
avuto   modo   di  precisare  -  tale  materia  non  ha  una  precisa
titolarita',   rinviando  piuttosto  a  una  pluralita'  di  funzioni
variamente  allocate  ("la  nozione  di  demanio  marittimo, un tempo
espressiva di funzioni facenti capo esclusivamente allo Stato, con lo
sviluppo  delle autonomie e' divenuta espressiva di una pluralita' di
funzioni,  alcune delle quali rimaste allo Stato, altre "delegate" ai
comuni ed alle regioni, altre ancora "conferite" alle regioni": sent.
n. 150/2003).   Ora,  restando  fermo  che  "essendo  lo  Stato  ente
proprietario  dei  beni  demaniali  in questione, non e' dubbio che a
questo  spetti  la  fissazione e la riscossione dei relativi canoni",
non  e'  dubbio  neppure  che sbaglia chi "confonde la proprieta' del
bene  con  il potere di disciplinare l'uso del bene stesso" (entrambe
le citazioni sono tratte dalla sent. 286/2004).
    Sia  consentito  rinviare  la  questione del canone al successivo
punto  c):  qui si deve concludere che lo Stato non puo', movendo dal
suo  diritto  dominicale, giungere a disciplinare l'uso turistico del
demanio stesso, invadendo la competenza esclusiva delle regioni. Esso
potrebbe prevedere la possibilita' di favorire, tramite riduzione del
canone,  investimenti promossi e regolati secondo le norme regionali,
ma non gia' sostituirsi ad esse in tale promozione e regolazione.
    Se  poi  si  volesse  sostenere che, trattandosi di interventi di
"interesse  nazionale",  sia  consentito  allo  Stato di "chiamare in
sussidiarieta"   le   funzioni   "promozionali"   degli  investimenti
turistici, non si potrebbe comunque superare il vincolo, in relazione
al   quale   codesta   ecc.ma  Corte  ha  sempre  segnato  il  limite
invalicabile  dell'ingerenza  statale:  ossia  l'obbligo di prevedere
l'assoluto  rispetto  del  principio di leale collaborazione, sia nel
"chiamare   in   sussidiarieta"  (e  quindi  nella  formazione  della
decisione  legislativa  con  cui  tale "chiamata" e' presa) sia negli
atti conseguenti, strettamente necessari alla tutela degli "interessi
infrazionabili".
    Invece,  in  questo caso, il limite e' stato superato in entrambe
le  direzioni: la normativa e' stata varata dalla "legge finanziaria"
senza  neppure  sperimentare  un'intesa  in Conferenza Stato-regioni;
essa  e' stata poi formulata attraverso disposizioni che intervengono
analiticamente,   con   norme  di  dettaglio  autoapplicative,  nelle
procedure  attuative, e rinviando poi l'integrazione di tali norme ad
un  regolamento ministeriale, vietato in materia concorrente a tenore
dell'art. 117,   sesto   comma   Cost.   e  sprovvisto  di  qualsiasi
"copertura" collaborativa. Per queste ragioni si chiede in ogni caso,
anche   ove   il   comma   583   dovesse   superare   il   vaglio  di
costituzionalita',  la dichiarazione di illegittimita' dei commi 585,
586, 590, 591, 592.
        h) La normativa statale riconosce si' un ruolo centrale della
regione   nella   valutazione   delle   proposte,  ma  e'  attenta  a
circoscrivere  i margini di apprezzamento in cui gli organi regionali
possono   estendere  la  loro  discrezionalita'.  Alla  regione  sono
demandati  compiti  essenzialmente  connessi  all'istruttoria tecnica
("sotto  il  profilo della fattibilita' e della qualita' costruttiva,
urbanistica  e  ambientale, nonche' della qualita' progettuale, della
funzionalita',  del costo di gestione e di manutenzione, dei tempi di
ultimazione  dei  lavori  per la realizzazione degli impianti e delle
infrastrutture  e  opere  pubbliche  connesse"), attraverso un modulo
organizzativo  che  richiama  non  la  "nuova"  potesta'  residuale o
esclusiva   della   regione   ma,   piuttosto,   il   vecchio  schema
dell'avvalimento  d'uffici:  e' vero che si affida alla regione anche
il  compito  di  individuare  le  proposte  "che  ritiene di pubblico
interesse",  ma  si  tratta  di  una  funzione  parallela a quella di
verificare  "l'assenza  di  elementi  ostativi",  quindi nel consueto
schema della mera discrezionalita' amministrativa. Del tutto ignorate
vengono  quindi  le  funzioni regionali di programmazione di sviluppo
del  proprio  territorio  e  della  propria  economia,  quasi  che lo
sfruttamento  a  fini  turistici del demanio marittimo, attraverso la
costruzione  di  megastrutture,  non sia pesantemente incidente su di
essa.  Da  cio' deriva, percio', la illegittimita' costituzionale dei
commi 587 (laddove determina direttamente i contenuti delle proposte,
non  prevedendo,  invece,  che essi siano fissati dalla regione), 588
(laddove  delimita  le  valutazioni  a  cui  la  regione sottopone le
proposte,  indicando  per di piu' criteri di priorita) e 589 (laddove
determina  le verifiche a cui la regione deve sottoporre le proposte,
fissando anche i termini in cui devono essere effettuate).
        i) Venendo  ora  alla  questione  del canone, se - come sopra
anticipato - resta fermo il diritto dominicale dello Stato di fissare
i  canoni  di  concessione,  chiaramente  illegittima appare pero' la
norma  che  ripartisce  in modo rigido e con decisione unilaterale il
canone  percepito:  da  un  lato,  esso e' determinato elasticamente,
nell'atto  del  singolo  atto di concessione, dallo Stato, dall'altro
esso  e'  ripartito per percentuali fisse tra lo Stato stesso, che ne
trattiene  sempre  e comunque il 60%, da un lato, e dall'altro, e per
la  quota  rimanente,  tra  le regioni e i comuni. La norma del comma
584,   pertanto,   palesemente   lesiva   del   principio   di  leale
cooperazione,  e'  anche  contraria con tutta evidenza al criterio di
ragionevolezza:  essa  sembra  voler  retribuire  il "costo" di oneri
amministrativo-burocratici   (riportandoci  cosi  coerentemente  allo
schema   dell'avvalimento  d'uffici)  e  non  invece  divenire  parte
dell'accordo  di  programma, collegato alle implicazioni del progetto
proposto   e  approvato,  voce  importante  della  programmazione  di
sviluppo.  Se  ne  chiede  percio' la dichiarazione di illegittimita'
"nella  parte in cui" stabilisce percentuali fisse, anziche' rinviare
l'ammontare  del  canone  e  la  ripartizione  delle relative entrate
all'intesa tra lo Stato e la regione.
        j) Infine, appare illegittima anche la disposizione del comma
593, laddove stabilisce che i comuni possano prevedere l'applicazione
di  regimi agevolati ai fini del contributo di costruzione, invadendo
un  ambito  di  competenza legislativa regionale, con il risultato di
consentire ai comuni, in applicazione diretta della norma statale, di
disapplicare  le  norme  regionali  attualmente  vigenti (artt. 27-32
della legge regionale n. 31/2002).
    Si  chiede,  pertanto,  a  codesta ecc.ma Corte di riaffermare il
principio  per cui, in materie attribuite alla competenza concorrente
dall'art. 117.3  Cost. (quale, a tenore della costante giurisprudenza
costituzionale,  deve  ritenersi  essere l'urbanistica), lo Stato non
puo'  emanare  norme  di dettaglio autoapplicative (sent. n. 6/2004),
tanto  piu'  quando la regione abbia gia' disciplinato la materia con
proprie leggi.
    19. - Illegittimita' dei commi da 597 a 600.
    I  commi  da  597  a  600 disciplinano una porzione della materia
edilizia  residenziale  pubblica,  ed  in particolare le procedure di
alienazione   degli  immobili  nonche'  l'utilizzazione  delle  somme
ricavate.  Complessivamente, si tratta di una disciplina, per di piu'
dettagliata,  in  una  materia,  quale quella indicata, di competenza
regionale  residuale.  Manca  dunque un titolo di competenza statale,
con conseguente illegittimita' costituzionale dell'intera disciplina.
    Precisamente,  il comma 597 dispone che "con apposito decreto del
Presidente  del  Consiglio dei ministri sono semplificate le norme in
materia  di  alienazione  degli immobili di proprieta' degli Istituti
medesimi".  Come  detto,  manca  un  titolo di competenza legislativa
statale,  e  la lesione di competenza non viene meno per il fatto che
tale  decreto  e'  da  emanare,  una volta tanto, "previo accordo tra
Governo  e  regioni".  Per  la  stessa  ragione  sono  illegittimi  i
"principi"  imposti  dal  comma  598  quali  contenuti  indefettibili
dell'accordo  tra  Govemo  e  regioni,  come  pure  il comma 600, che
autorizza  gli  enti  e  gli  Istituti  proprietari  ad  "affidare "a
societa'  di  comprovata  professionalita'  ed  esperienza in materia
immobiliare  e  con  specifiche competenze nell'edilizia residenziale
pubblica,  la gestione delle attivita' necessarie al censimento, alla
regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni immobili"".
    Sia  consentito  di  notare  che  la  lett.  c)  del comma 598 e'
ulteriormente  illegittima  per  il  fatto  che  pone un vincolo alla
utilizzazione  dei  proventi delle alienazioni, prescrivendo che essi
siano destinati "alla realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento
degli  oneri  dei mutui sottoscritti da giovani coppie per l'acquisto
della  prima  casa,  a  promuovere  il recupero sociale dei quartieri
degradati  e per azioni in favore di famiglie in particolare stato di
bisogno":  con  evidente intromissione nelle determinazioni regionali
circa l'uso delle risorse a disposizione.

        
      
                              P. Q. M.
    La  Regione  Emilia-Romagna,  come  sopra rappresentata e difesa,
chiede  voglia  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  accogliere il
ricorso,   dichiarando   l'illegittimita'  delle  disposizioni  sopra
indicate, nei termini sopra esposti.
        Bologna, addi' 3 marzo 2006
   Prof avv. Giandomenico Falcon - Prof. avv. Franco Mastragostino

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