Ricorso n. 39 del 6 giugno 2014 (Regione Lombardia)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 6 giugno 2014 (della Regione Lombardia).
(GU n. 31 del 2014-07-23)
Ricorso della Regione Lombardia (codice fiscale n. …),
con sede in Milano (20124), piazza Citta' di Lombardia, n. 1, in
persona del Presidente pro tempore, Roberto Maroni, rappresentata e
difesa, in forza di procura a margine del presente atto ed in virtu'
della Deliberazione di Giunta regionale n. X/1908 del 30 maggio 2014
(doc. 1), dal prof. avv. Francesco Saverio Marini del foro di Roma
(codice fiscale …); pec:
.. gfax. …),
presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli n. 48, ha eletto
domicilio;
Ricorrente contro il Governo della Repubblica, in persona del
Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, con sede in Roma
(00187), Palazzo Chigi - Piazza Colonna n. 370, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma
(00186), via dei Portoghesi n. 12, Resistente per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale della legge 7 aprile 2014, n. 56,
recante «Disposizioni sulle Citta' metropolitane, sulle Province,
sulle unioni e fusioni di Comuni (Abolizione Province)» pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 7 aprile 2014,
n. 81, limitatamente all'art. 1, commi 7, 8, 9, 19, 25, 42, 54, 55,
56, 58, 69, 89, 90, 91, 92 e 95, di tale atto normativo.
Fatto
1. La legge 7 aprile 2014, n. 56, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale n. 81 del 7 aprile 2014, detta un'ampia riforma in materia
di enti locali, prevedendo, nelle more dell'approvazione della
riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione, l'istituzione e
la disciplina delle Citta' metropolitane, la ridefinizione del
sistema delle Province, nonche' una nuova disciplina in materia di
unioni e fusioni di Comuni, incidendo anche sull'assetto delle
funzioni amministrative spettanti a tali livelli di governo. A
seguito della proposizione della questione di fiducia da parte del
Governo nella seduta del 26 marzo 2014, la legge si compone di un
unico articolo comprendente 151 commi, e ricomprende le modifiche
introdotte dalla Commissione Affari costituzionali del Senato,
assegnataria del disegno di legge in sede referente.
2. Al riguardo occorre premettere che la materia del riordino
degli enti locali e' stata oggetto di recenti interventi legislativi,
che tuttavia non hanno superato il vaglio della Corte costituzionale.
Il riferimento e' all'articolo 23 del d-l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, e agli
articoli 17 e 18 del d-l n. 95 del 2012, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, dichiarati
incostituzionali con la sentenza n. 220 del 3 luglio 2013.
3. Riassumendo, con l'articolo 23 del d-l n. 201 del 2011
(convertito dalla legge n. 214 del 2011), il legislatore aveva, tra
l'altro, modificato la normativa in tema di funzioni delle Province
(limitandole al solo indirizzo e coordinamento dell'attivita' dei
Comuni) e in tema di organi delle stesse (eliminando la Giunta,
prevedendo che il Consiglio fosse composto da non piu' di dieci
membri eletti dagli organi elettivi dei Comuni, e disponendo che il
Presidente della Provincia fosse eletto dal Consiglio Provinciale).
Con l'articolo 17 del d-l. n. 95 del 2012 (convertito dalla legge n.
135 del 2012), il legislatore aveva poi disposto il cosiddetto
«riordino delle Province», modificando nuovamente la normativa in
tema delle relative funzioni (ripristinandone il nucleo essenziale),
e tenendo ferma la disciplina sugli organi delle stesse, come
introdotta dal menzionato articolo 23 del d-l n. 201 del 2011.
L'articolo 18 del d-l. 95 del 2012, inoltre, aveva previsto la
soppressione delle Province di Roma, Torino, Milano, Genova, Bologna,
Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, disponendo la contestuale
istituzione delle relative Citta' metropolitane a partire dal 1°
gennaio 2014. Lo stesso articolo 18 disciplinava, inoltre, gli organi
e le funzioni delle Citta' metropolitane.
4. Le norme citate sono state dichiarate costituzionalmente
illegittime per violazione dell'art. 77 Cost., in quanto un atto
normativo come il decreto-legge e' stato ritenuto inidoneo ad
introdurre «assetti ordinamentali che superino i limiti di misure
meramente organizzative». Nella menzionata sentenza n. 220 del 2013,
inoltre, la Consulta ha osservato che l'articolo 117, secondo comma,
lett. p), della Costituzione, nell'attribuire alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato la disciplina della «legislazione
elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni,
Province e Citta' metropolitane», «indica le componenti essenziali
dell'intelaiatura dell'ordinamento degli enti locali, per loro natura
disciplinate da leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad
esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee
di svolgimento dei principi costituzionali nel processo attuativo
delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali».
Riferendosi, ancora, allo strumento della decretazione di urgenza, si
e' poi rilevata l'inadeguatezza del decreto-legge «a realizzare una
riforma organica e di sistema, che non solo trova le sue motivazioni
in esigenze manifestatesi da non breve periodo, ma richiede processi
attuativi necessariamente protratti nel tempo, tali da poter rendere
indispensabili sospensioni di efficacia, rinvii e sistematizzazioni
progressive».
5. All'esito della sentenza di annullamento della Corte, il
legislatore dello Stato e' intervenuto nuovamente in materia di enti
locali. La legge n. 56 del 2014 ha dettato norme in materia di Citta'
metropolitane, di Province, di unioni e fusioni di Comuni,
introducendo una disciplina che si presta a numerose censure di
incostituzionalita'.
6. Per quanto riguarda le Citta' metropolitane, il comma 7
dell'art. 1, individua gli organi della Citta' metropolitana nel
Sindaco metropolitano, nel Consiglio metropolitano e nella Conferenza
metropolitana. I successivi commi 8 e 9 dell'art. 1, determinano le
competenze e i poteri dei suddetti organi. Il comma 19 dell'art. 1,
prevede che il Sindaco del Comune capoluogo e' di diritto il Sindaco
metropolitano. Il comma 25 dell'art. 1, stabilisce che il Consiglio
metropolitano e' eletto dai Sindaci e dai Consiglieri comunali dei
Comuni della Citta' metropolitana, e che sono eleggibili a
Consigliere metropolitano i Sindaci e i Consiglieri comunali in
carica. Il comma 42 dell'art. 1, prevede che la Conferenza
metropolitana e' composta dal Sindaco metropolitano, che la presiede,
e dai Sindaci dei Comuni appartenenti alla Citta' metropolitana.
7. Per quanto riguarda le Province, i commi 54 e 55 dell'art. 1,
rispettivamente individuano gli organi della Provincia
«esclusivamente» nel Presidente della Provincia, nel Consiglio
Provinciale e nell'Assemblea dei Sindaci, e definiscono le rispettive
competenze e poteri. Il comma 56 dell'art. 1, prevede che l'Assemblea
dei sindaci e' composta dai Sindaci dei Comuni appartenenti alla
Provincia. Il comma 58 dell'art. 1, stabilisce che il Presidente
della Provincia e' eletto dai Sindaci e dai Consiglieri dei Comuni
della Provincia. Il comma 69 dell'art. 1, stabilisce che il Consiglio
Provinciale e' eletto dai Sindaci e dai Consiglieri Comunali dei
Comuni della Provincia, e che sono eleggibili a Consigliere
Provinciale i Sindaci e i Consiglieri Comunali in carica.
8. Quanto al riordino delle funzioni delle Province, il comma 89
dell'art. 1, stabilisce che lo Stato e le Regioni procedono, secondo
le rispettive competenze, all'attribuzione delle funzioni Provinciali
diverse da quelle fondamentali (individuate ai precedenti commi 85 e
86), in attuazione dell'art. 118 Cost., nonche' al fine di conseguire
le finalita' ivi elencate. Il comma 90 dell'art. 1, individua alcuni
«principi fondamentali della materia e principi fondamentali di
coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, della Costituzione», in relazione al caso in cui disposizioni
normative statali o regionali riguardanti servizi di rilevanza
economica prevedano l'attribuzione di funzioni di organizzazione dei
predetti servizi, di competenza comunale o Provinciale, a enti o
agenzie in ambito Provinciale o sub-Provinciale. Il comma 91
dell'art. 1, stabilisce che lo Stato e le Regioni individuano, entro
tre mesi dall'entrata in vigore della legge, «le funzioni di cui al
comma 89 oggetto del riordino e le relative competenze», mediante
accordo sancito in Conferenza unificata, sentite le organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative. Ai sensi del comma 92
dell'art. 1, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della
legge, dovranno essere stabiliti i criteri generali per
l'individuazione dei beni strumentali, risorse finanziarie, umane,
strumentali e organizzative connesse all'esercizio delle funzioni che
devono essere trasferite dalle Province agli enti subentranti a norma
dei commi precedenti; a tal fine lo strumento individuato e' un
D.P.C.M. preceduto da intesa con la Conferenza unificata, e le
risorse da trasferire agli enti subentranti sono, in particolare,
quelle gia' spettanti alle Province ai sensi dell'art. 119 Cost.,
detratte quelle necessarie alle funzioni fondamentali. Il comma 95
dell'art. 1, impone alla Regione, sentite le OO.SS. maggiormente
rappresentative, di dare attuazione all'accordo di cui al comma 91,
entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, prevedendo,
in caso contrario, l'esercizio del potere sostitutivo ex art. 8 della
legge 5 giugno 2003, n. 131.
9. Tutto cio' premesso, con il presente ricorso la Regione
Lombardia, come in epigrafe rappresentata e difesa, impugna la legge
7 aprile 2014, n. 56, e, in particolare, le norme piu' sopra
menzionate, in quanto lesive delle proprie attribuzioni garantite da
norme costituzionali, nonche' delle attribuzioni degli enti locali
nei quali la Regione si articola, chiedendo a codesta Ecc.ma Corte di
volerne dichiarare l'incostituzionalita' alla luce dei seguenti
motivi di
Diritto
In via preliminare, si sottolinea il consolidato indirizzo della
Corte costituzionale, ribadito, da ultimo, con la citata sentenza n.
220 del 3 luglio 2013, secondo cui le Regioni possono agire in
giudizio non solo a salvaguardia delle proprie attribuzioni e
competenze, ma anche con riguardo alle attribuzioni degli enti
locali, quando sia lamentata, come nella specie, una potenziale
lesione delle sfere di competenza dei medesimi. Inoltre sono
considerate ammissibili le censure fondate su parametri non attinenti
direttamente al riparto delle competenze legislative fra Stato e
Regioni, qualora - come nel caso di specie - la lamentata violazione
sia potenzialmente idonea a determinare una compromissione delle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite, o ridondi sullo
stesso riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni.
Cio' chiarito, si passera' ora all'analisi dei singoli profili di
illegittimita' costituzionale delle norme impupate.
A) Sulla disciplina delle Citta' metropolitane
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 7, 8, 9, 19 25 e
42, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli articoli 1, 3,
5, 48, 114, 117, comma 1, 118, 119 e 138 Cost..
1. Le norme che disciplinano la forma di governo delle
neo-istitutite Citta' metropolitane (al pari, come si vedra', di
quelle disciplinanti la forma di governo delle Province residue) sono
avvinte da numerosi profili di incostituzionalita'.
Volendo riassumerne brevemente il contenuto, il comma 7 dell'art.
1 stabilisce che sono organi della Citta' metropolitana il Sindaco
metropolitano, il Consiglio metropolitano e la Conferenza
metropolitana.
I commi 8 e 9 dell'art. 1 individuano poteri e competenze dei
suddetti Organi. In particolare, il Sindaco metropolitano rappresenta
l'ente, convoca e presiede il Consiglio metropolitano e la Conferenza
metropolitana, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli
uffici e all'esecuzione degli atti, nonche' esercita le altre
funzioni attribuite dallo Statuto. Il Consiglio metropolitano e'
l'organo di indirizzo e controllo, propone alla Conferenza lo Statuto
e le sue modifiche, approva regolamenti, piani e programmi, approva
in via definitiva i bilanci dell'ente, ed esercita le altre funzioni
attribuite dallo statuto. La Conferenza metropolitana, invece, ha
poteri propositivi e consultivi, «secondo quanto di disposto dallo
statuto», adotta o respinge lo statuto e le sue successive
modificazioni (con i voti che rappresentino almeno un terzo dei
Comuni compresi nella Citta' metropolitana e la maggioranza della
popolazione residente), ed esprime il parere sui bilanci dell'ente.
Il successivo comma 19 prevede che il Sindaco del Comune
capoluogo e' di diritto il Sindaco metropolitano. Il comma 25
stabilisce che il Consiglio metropolitano - composto, ai sensi del
comma 22, dal Sindaco metropolitano e da un numero di Consiglieri
variabile a seconda della consistenza demografica della Citta'
metropolitana - e' eletto dai sindaci e dai Consiglieri dei Comuni
della Citta' metropolitana, e che sono eleggibili a consigliere
metropolitano i sindaci e i Consiglieri comunali in carica. Il comma
42 dell'art. 1, infine, prevede che la Conferenza metropolitana e'
composta dal Sindaco metropolitano, che la presiede, e dai sindaci
dei Comuni appartenenti alla Citta' metropolitana.
2. In primo luogo, e' evidente l'incostituzionalita' dell'art. 1,
comma 19, per violazione degli artt. 1 e 48 Cost.. La norma in esame,
stabilendo l'investitura di diritto del Sindaco del Comune capoluogo
come Sindaco della Citta' metropolitana, impone agli elettori degli
altri Comuni parimenti appartenenti al nuovo ente metropolitano un
organo che ad essi non risulta riferibile ne' direttamente, ne'
indirettamente.
3. Quanto agli altri organi, non puo' sfuggire come il «governo»
della Citta' metropolitana risulti costruito sostanzialmente su un
modello di rappresentanza di secondo grado.
Il Consiglio, infatti, al quale l'art. 1, comma 8, della legge
gravata, conferisce il potere di adottare la maggior parte delle
decisioni dell'ente, e' organo elettivo indiretto, ed e' istituito in
modo da non rispondere ne' al corpo elettorale ne' alla Conferenza
metropolitana.
Deve peraltro escludersi che quest'ultima partecipi della natura
di una camera elettiva. Cio' discende sia dal fatto che la legge
gravata non ne prevede l'elezione diretta da parte dei cittadini, sia
da specifiche caratteristiche di carattere funzionale e strutturale.
Precisamente, la Conferenza non esercita alcuna funzione che sia
tipica di una camera elettiva, essendole riservato (comma 8) un
potere deliberativo circoscritto alla sola adozione dello Statuto e
all'espressione del parere obbligatorio sugli schemi di bilancio,
nonche' poteri esclusivamente «propositivi e consultivi», peraltro
integralmente rimessi alla disciplina degli statuti, e senza alcun
vincolo circa la necessita' di un voto ponderato.
Per tutto il resto, invece, le ordinarie funzioni decisionali
dell'ente (normative e amministrative) sono distribuite tra il
Sindaco e il Consiglio metropolitano, senza che la Conferenza possa
in alcun modo far valere nei loro confronti un giudizio di
responsabilita' politica per il relativo operato.
4. Ebbene, una forma di governo, quale quella individuata dalle
norme impugnate, nella quale nessun organo e' eletto direttamente, si
pone in aperto contrasto, in primo luogo, con il principio della
rappresentanza politica democratica e con il principio di sovranita'
popolare di cui all'art. 1 della Costituzione, letto in combinato
disposto con gli artt. 5 e 114 Cost..
L'art. 1 Cost., definendo l'Italia come una Repubblica
democratica fondata sul principio della sovranita' popolare, impone
inequivocamente che ogni organo al quale sono affidate funzioni di
indirizzo politico debba essere inserito in una forma di governo
quanto meno coerente con tali principi. E detti principi non possono
non trasferirsi, per osmosi, anche alle Citta' metropolitane (come
pure agli altri enti territoriali contemplati dall'art. 114 Cost.),
se e' vero che queste ultime sono inserite nell'architettura della
Repubblica. Con la conseguenza diretta che anche la forma di governo
delle Citta' metropolitane deve essere organizzata in modo da
rispecchiare il principio della sovranita' popolare. Codesta Ecc.ma
Corte non ha mancato di rilevare, in proposito, che «nella
formulazione del nuovo art. 114 Cost. gli enti territoriali autonomi
sono collocati a fianco dello Stato come elementi costitutivi della
Repubblica quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la Comune
derivazione dal principio democratico e dalla sovranita' popolare»
(sent. n. 106 del 2002).
Le conclusioni che precedono risultano avvalorate anche alla luce
del principio autonomistico di cui all'art. 5 della Costituzione, dal
quale risulta che i livelli di autonomia titolari di competenze
pubbliche sono partecipi della Repubblica, e dunque, dello stesso
modello repubblicano a legittimazione democratica.
Si tratta di principi cardine nell'architettura costituzionale,
che disegnano e legittimano la nostra forma di governo repubblicana
e, con essa, quella delle articolazioni territoriali riconosciute
espressamente dalla Costituzione quali parti della Repubblica.
Principi che, dunque, avrebbero potuto essere derogati soltanto con
legge costituzionale, e non certo attraverso lo strumento della legge
ordinaria, che da essi promana e ai quali e' evidentemente vincolata.
Ne discende dunque la violazione, da parte delle norme impugnate,
anche dell'art. 138 Cost..
Peraltro, l'assenza di democraticita' che connota la forma di
governo delle neo-istituite citta' metropolitane, di cui si e' appena
detto, non e' nemmeno compensata, nei due organi ad elezione
indiretta (sindaco metropolitano e consiglio metropolitano) da
un'adeguata capacita' rappresentativa delle minoranze dei singoli
comuni. Si ribadisce, sul punto, che a norma del comma 19 dell'art.
1, il sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del comune
capoluogo della citta' metropolitana, mentre il successivo comma 25
dell'art. 1, circoscrive l'elettorato attivo e passivo per l'elezione
del consiglio metropolitano ai Sindaci e ai Consiglieri comunali dei
Comuni della citta' metropolitana. Ebbene, considerata
l'operativita', nel sistema elettorale dei Comuni, del meccanismo del
«premio di maggioranza», e' ben possibile che sia i Sindaci che i
Consiglieri comunali chiamati ad eleggere il Consiglio metropolitano,
nonche', se eletti, a farne parte, siano espressione di una medesima
parte politica.
Non vi e' dubbio che tale ulteriore vizio di democraticita',
riconducibile ad una distorsione della rappresentanza proporzionale
imposta a monte ai fini di governabilita', sovraccarichi
ulteriormente il difetto di rappresentativita' degli organi della
citta' metropolitana, gia' dovuto all'assenza di legittimazione
democratica degli stessi.
Concludendo, la nuova forma di governo metropolitano disegnata
dalle norme impugnate non puo' in alcun modo essere ricondotta al
modello delle forme di governo democratico-rappresentative (modello
che, per tutto quanto detto, non puo' non estendersi alle
articolazioni territoriali della Repubblica), ed e' pertanto elusiva
degli artt. 1, 5, 114 e 138 della Costituzione.
5. Le norme rubricate meritano di essere dichiarate
incostituzionali anche per violazione dell'art. 117, primo comma,
della Costituzione, in relazione all'art. 3, comma 2, della Carta
europea dell'autonomia locale, trattato internazionale concluso in
sede di Consiglio d'Europa e reso esecutivo in Italia con la legge 30
dicembre 1989, n. 439.
L'art. 3, al comma 1, della Carta, stabilisce che «Per autonomia
locale, s'intende il diritto e le capacita' effettiva, per le
collettivita' locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito
della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle
popolazioni, una parte importante di affari pubblici».
Il secondo comma dell'art. 3 specifica poi, per quanto qui
rileva, che «Tale diritto e' esercitato da Consigli e Assemblee
costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario,
diretto e universale, in grado di disporre di organi esecutivi
responsabili nei loro confronti».
La norma in esame impone, dunque, la necessita' che l'autonomia o
autogoverno locale (e tale e' senz'altro la Citta' metropolitana) si
eserciti necessariamente almeno per mezzo di consigli o assemblee
elette a suffragio, libero, segreto e uguale, che esprimano organi
esecutivi politicamente responsabili. Evidentemente, la Carta europea
prescrive che nel governo delle autonomie locali vi sia almeno un
organo ad elezione popolare diretta, cui gli organi esecutivi siano
legati da un rapporto di responsabilita' politica. Cio' che
assolutamente non ricorre, per tutto quanto detto, nel modello di
governo metropolitano disegnato dalle norme impugnate.
Non vi e' dubbio che il menzionato art. 3, comma secondo, della
Carta, assuma il rango di norma cogente, la cui violazione da parte
del legislatore dello Stato deve censurarsi con la declaratoria di
incostituzionalita' ai sensi dell'art. 117, primo comma, della
Costituzione. Del resto la Corte costituzionale ha ormai da tempo
accolto la tesi per cui anche le norme internazionali pattizie (i
trattati internazionali) integrino il parametro di costituzionalita'
delle legge, mediante la tecnica dell'interposizione normativa (cfr.
le note «sentenze gemelle» nn. 348 e 349 del 2007).
Con specifico riferimento alla Carta europea dell'autonomia
locale, peraltro, codesta Ecc.a Corte, a seguito di un incontro con
una delegazione del «Congress of local and regional authorities» del
Consiglio d'Europa, avvenuto il 3.11.11, ha espressamente
riconosciuto come quest'ultima, «costituendo atto di diritto
internazionale recepito con legge ordinaria nell'ordinamento interno,
ricada nell'alveo della previsione del 1° comma dell'art. 117 Cost.,
che impone al legislatore statale e regionale il rispetto dei vincoli
derivanti dagli obblighi internazionali» , sicche' al legislatore
«non dovrebbe essere consentito dettare discipline con essa
contrastanti» (cfr. il documento L'applicazione in Italia della
«Carta europea dell'autonomia locale», disponibile sul sito web della
consulta,
http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_228
_Carta_eur_aut_locale_questioni.pdf).
Concludendo, in forza dell'art. 117, comma 1, della Costituzione,
il legislatore aveva l'obbligo di conformarsi alla Carta europea
dell'autonomia locale, e, nello specifico, al suo articolo 3, comma
2, il quale prescrive chiaramente la necessita' che la nella forma di
governo dell'autonomia locale ci sia almeno un organo collegiale a
elezione popolare diretta, che esprima un esecutivo politicamente
responsabile.
6. Sotto connesso profilo, le norme impugnate violano anche il
principio di sussidiarieta' verticale di cui all'art. 118 Cost.,
nonche' il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.. Il
primo, come noto, impone di allocare una determinata funzione
amministrativa al livello piu' prossimo al cittadino, ma perche' cio'
possa avvenire razionalmente e' necessario che i processi
deliberativi degli enti costitutivi della Repubblica siano affidati a
livelli di Governo che risultino in qualche misura omologhi, si
potrebbe dire «omogenei» quanto al grado di democraticita'.
La creazione di un livello di governo intermedio (cio' vale sia
per le Citta' metropolitane sia, come si vedra', per le Province) non
legittimato democraticamente determina conseguenze paradossali sul
piano dei rapporti fra principio di sussidiarieta' e principio
democratico. Il principio di sussidiarieta' esclude che si possa
allocare la funzione (ove cio' non sia necessario) ad un livello di
governo piu' comprensivo, ove quello inferiore sia in grado di
assolvervi; d'altro canto, e' contraria al principio democratico
l'allocazione di una funzione amministrativa in capo a soggetti non
responsabili (sia pur indirettamente) di fronte al popolo sovrano. Il
paradosso sta in cio', che la realizzazione di un principio si
traduce nella negazione dell'altro, il che e' ovviamente in
contraddizione con lo spirito della riforma del Titolo V, che ha
accolto la sussidiarieta' quale strumento di attuazione e diffusione
dei processi democratici, non solo di razionalizzazione della
struttura dello Stato.
Insomma, la forma di governo disegnata dalla legge gravata,
costituita da organi elettivi di secondo grado non responsabili ne'
rispetto al corpo elettorale di riferimento, ne' rispetto ad
un'Assemblea direttamente elettiva, risulta incompatibile con il
vigente modello costituzionale di allocazione/distribuzione delle
funzioni amministrative, ed anzi ne comporta illogicamente
l'inversione, con manifesta violazione degli artt. 1, 3 e 118 Cost..
7. Ma non basta. La forma di governo metropolitano individuata
dalle norme gravate, nella quale la totalita' degli organi non ha
legittimazione democratica diretta, si pone altresi' in contrasto con
l'art. 119 Cost.. L'autonomia finanziaria di entrata e di spesa e
l'autorita' impositiva riconosciuta agli enti territoriali dalla
norma in esame, infatti, e' stata storicamente e unanimemente
ricondotta, con ratio evidente, alla responsabilita' degli organi
direttamente rappresentativi nei confronti dei contribuenti.
Essendo venuto meno tale fondamentale requisito, non puo' che
confermarsi l'illegittimita' costituzionale della disciplina in esame
anche sotto questo profilo. Sempre sotto il profilo dell'autonomia
finanziaria e dell'autorita' impositiva dell'ente metropolinato, la
disciplina riconducibile alle norme impugnate viola altresi' l'art.
117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'articolo 9
della gia' menzionata Carta europea dell'autonomia locale, rubricato
«Risorse finanziarie dell'autonomia locale».
Il primo comma dell'art. 9 dispone che «Le collettivita' locali
hanno diritto, nell'ambito della politica economica nazionale, a
risorse proprie sufficienti, di cui possano disporre, liberamente
nell'esercizio delle loro competenze».
Il terzo comma dell'art. 9 prevede poi che «Una parte almeno
delle risorse finanziarie delle collettivita' locali deve provenire
da tasse e imposte locali di cui esse hanno facolta' di stabilire il
tasso nei limiti previsti dalla legge», mentre il successivo quarto
comma specifica che «I sistemi finanziari, che sostengono le risorse
di cui dispongono le collettivita' locali, devono essere di natura
sufficientemente diversificata ed evolutiva per consentire loro di
seguire, in pratica, per quanto possibile, l'andamento reale dei
costi di esercizio delle loro competenze».
Da ultimo, il sesto comma dell'articolo 9 prevede che «Le
collettivita' locali dovranno essere opportunamente consultate per
quanto riguarda le modalita' dell'assegnazione, nei loro confronti,
delle risorse nuovamente distribuite».
Anche le disposizioni in esame riconducono evidentemente
l'autonomia finanziaria e l'autorita' impositiva riconosciuta alle
autonomie locali alla necessaria democraticita' della forma di
governo di queste ultime (come prescritta dal gia' invocato art. 3,
comma 2, della Carta), presupposto che nel caso di specie e' venuto
meno.
8. I predetti profili di incostituzionalita' non possono essere
superati dal successivo art. 1, comma 22, ove si accorda allo Statuto
della Citta' metropolitana la possibilita' di prevedere l'elezione
diretta del Sindaco e del Consiglio metropolitano.
Questa possibilita', infatti, e' subordinata alle seguenti
condizioni:
i) Approvazione del sistema elettorale con legge statale;
ii) Articolazione del territorio del Comune capoluogo in piu'
Comuni, entro la data di indizione delle elezioni (su proposta del
Comune capoluogo, da sottoporre a referendum secondo le rispettive
leggi regionali, approvata dalla maggioranza dei partecipanti al
voto);
iii) Istituzione di nuovi Comuni ad opera della Regione ex art.
133 della Costituzione.
Si tratta, infatti, di condizioni manifestamente irragionevoli ed
ingiustificatamente gravose, che eludono l'art. 3 della Costituzione,
impedendo di fatto alla Citta' metropolitana di dotarsi di un governo
di stampo democratico. Senza considerare che la condizione della
preventiva articolazione del Comune capoluogo in piu' Comuni elude,
ancora in violazione dell'art. 3 Cost., l'intero spirito della
riforma, che e' quello di promuovere le unioni e fusioni di Comuni.
Ne' una simile censura puo' essere scalfita dalla possibilita',
prevista nell'ultimo periodo del comma 22 per le sole Citta'
metropolitane con piu' di tremila abitanti, che in alternativa alle
condizioni precedenti si possa far luogo all'elezione del Sindaco e
del Consiglio metropolitano a suffragio universale qualora lo Statuto
della citta' metropolitana preveda la costituzione di zone omogenee,
ai sensi del precedente comma 11, lett. c), della legge gravata, e
che il comune capoluogo abbia realizzato la ripartizione del proprio
territorio in zone dotate di autonomia amministrativa, in coerenza
con lo Statuto della Citta' metropolitana.
Anche in questo caso, infatti, si tratta di adempimenti gravosi,
irragionevoli e di non immediata applicabilita', che compromettono in
radice la possibilita' che la Citta' metropolitana si doti, sin da
subito, di una forma di governo effettivamente rappresentativa.
Inoltre la possibilita' di articolare il territorio della Citta'
metropolitana in zone omogenee, prevista dall'art. 1, comma 11, lett.
c) della legge impugnata, non e' rimessa alla sola volonta' della
Citta' metropolitana, ma e' subordinata alla preventiva intesa con la
Regione, ulteriore adempimento idoneo, nella specie, ad aggravare il
procedimento previsto per l'elezione diretta degli organi dell'ente
metropolitano.
Sotto il profilo dell'irragionevolezza, ancora, non si vede il
nesso fra l'elezione a suffragio universale e diretto degli organi
della Citta' metropolitana - che riguarda appunto la forma di governo
dell'ente - con la richiesta articolazione della stessa in zone
omogenee, o con la ripartizione del territorio del Comune capoluogo
in zone dotate di autonomia amministrativa, profili invece inerenti
l'organizzazione e la distribuzione delle competenze e delle funzioni
amministrative.
Senza contare che, per tutto quanto detto, la necessaria
democraticita' delle forme di governo delle articolazioni
repubblicane e' prescritta direttamente dalla Costituzione e non puo'
dunque essere subordinata, da parte del legislatore statale, a
nessuna condizione, se non eludendo, ancora una volta, gli articoli
1, 3, 5, 114 e 138 della Carta costituzionale.
9. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si insiste
affinche' codesta Ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 7, 8, 9, 19, 25 e 42, della legge
n. 56 del 2014, per violazione degli artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117,
comma 1, 118 e 119 Cost..
B) Sulla disciplina delle Province
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 54, 55, 56,
58, 69, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli articoli 1,
3, 5, 48, 114, 117, comma 1, 118, 119 e 138 Cost..
1. Al pari di quanto si e' gia' eccepito per la forma di governo
delle Citta' metropolitane, anche la disciplina che la legge n. 56
del 2014 riserva alla forma di governo delle Province residue si
mostra avvinta da numerosi profili di incostituzionalita'.
Volendo riassumere brevemente il contenuto delle norme gravate,
il comma 54 dell'art. 1, individua quali organi della Provincia
«esclusivamente» il Presidente della Provincia, il Consiglio
Provinciale e l'Assemblea dei sindaci.
Il comma 55 dell'art. 1, individua poi le competenze dei suddetti
organi: in particolare il Presidente rappresenta l'ente, convoca e
presiede il Consiglio Provinciale e l'Assemblea dei sindaci,
sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e
all'esecuzione degli atti, nonche' esercita le altre funzioni
attribuite dallo statuto; il Consiglio Provinciale e' l'organo di
indirizzo e controllo, propone all'Assemblea dei sindaci lo statuto,
approva regolamenti, piani e programmi, approva in via definitiva i
bilanci dell'ente, ed esercita le altre funzioni attribuite dallo
statuto; l'Assemblea dei sindaci, invece, ha poteri propositivi,
consultivi e di controllo «secondo quanto disposto dallo statuto»,
adotta o respinge lo statuto e le sue successive modificazioni (con i
voti che rappresentino almeno un terzo dei Comuni compresi nella
Provincia e la maggioranza della popolazione residente), ed esprime
il parere sui bilanci dell'ente.
Il comma 56 dell'art. 1, dispone che l'Assemblea dei sindaci e'
costituita dai sindaci dei Comuni appartenenti alla Provincia, mentre
il successivo comma 58 prevede che il presidente della Provincia e'
eletto dai Sindaci e dai Consiglieri dei Comuni della Provincia.
2. Anche per il governo Provinciale, dunque, le norme impugnate
hanno previsto una forma di governo sostanzialmente di secondo grado.
Per il Presidente e il Consiglio Provinciale sono infatti previsti
sistemi di elezione indiretta, mentre l'Assemblea dei sindaci e'
composta dai sindaci dei Comuni della Provincia.
Peraltro deve escludersi che l'Assemblea dei sindaci partecipi
della natura di una camera elettiva. Cio' discende sia dal fatto che
la legge gravata non ne prevede l'elezione diretta da parte dei
cittadini, sia da specifiche caratteristiche di carattere funzionale
e strutturale. Precisamente, l'Assemblea non esercita alcuna funzione
che sia tipica di una camera elettiva, essendole riservati (comma 55)
solo poteri propositivi e consultivi, nonche' il compito di approvare
lo statuto e di esprimere il parere sul bilancio dell'ente, senza
tuttavia poter esercitare l'iniziativa statutaria, e senza poter
contribuire alla predisposizione dei bilanci (atti di competenza del
Consiglio, organo elettivo di II grado). Anche le condizioni
strutturali di esercizio delle suddette competenze non soddisfano il
principio democratico-rappresentativo. Infatti l'Assemblea dei
sindaci non puo' far valere un giudizio di responsabilita' politica
nei confronti dei due organi ad elezione indiretta, il Presidente e
il Consiglio, sicche' una volta eletti questi due organi, ai quali
come visto la legge riserva la direzione politica della gran parte
delle funzioni dell'ente, viene definitivamente reciso il legame con
la rappresentanza politica che piu' si avvicina a quella di primo
grado (l'Assemblea).
3. Ebbene, una forma di governo di secondo grado, quale quella
individuata dalle norme impugnate, si pone in aperto contrasto, in
primo luogo, con il principio della rappresentanza politica
democratica e con il principio di sovranita' popolare di cui all'art.
1 della Costituzione, letto in combinato disposto con gli artt. 5 e
114 Cost..
Non sfugge a questa difesa che la previsione di organi di governo
ad elezione indiretta non sia di per se' incompatibile con il
principio democratico, sicche' non tutti gli organi di governo devono
necessariamente essere ad elezione diretta. Quello che si contesta e'
che, nella specie, nessun organo di governo della Provincia e' eletto
direttamente.
Come visto, nel nuovo modello di sistema Provinciale il
funzionamento della forma di governo si impernia pressoche'
esclusivamente sull'iniziativa, l'indirizzo e le funzioni degli
organi a elezione indiretta (il Presidente e il Consiglio), mentre
l'Assemblea dei sindaci (composta da organi di diretta elezione
popolare), ha un rilievo del tutto marginale nei processi decisionali
dell'ente.
Ora, l'art. 1 della Costituzione, definendo l'Italia come una
Repubblica democratica fondata sul principio della sovranita'
popolare, impone inequivocamente che ogni organo al quale sono
affidate funzioni politiche debba essere inserito in una forma di
governo quanto meno coerente con tali principi. Cio' significa che,
sebbene non sia necessario che tutti gli organi della Provincia siano
direttamente elettivi, e' comunque necessario che la forma di governo
provinciale sia complessivamente coerente con il principio
democratico della sovranita' popolare.
Posto che, ai sensi dell'art. 1 Cost., la Repubblica deve essere
democratica, e che, ai sensi dell'art. 114 Cost., la Repubblica e'
costituita anche dalle Province, allora non puo' che concludersi che
queste ultime, in quanto inserite nell'architettura della Repubblica,
devono essere «democratiche», e cioe' organizzate in modo da
rispecchiare il principio della sovranita' popolare. Anche in questo
caso, merita di essere evidenziato l'insegnamento di Codesta Ecc.ma
Corte, secondo il quale «nella formulazione del nuovo art. 114 Cost.
gli enti territoriali autonomi sono collocati a fianco dello Stato
come elementi costitutivi della Repubblica quasi a svelarne, in una
formulazione sintetica, la Comune derivazione dal principio
democratico e dalla sovranita' popolare» (sent. n. 106 del 2002).
Detta affermazione risulta il logico corollario del principio
autonomistico di cui all'art. 5 della Carta costituzionale, che erige
a principio fondamentale del sistema costituzionale italiano il
riconoscimento e la promozione delle autonomie locali da parte della
Repubblica. Ne consegue, allora, che anche i livelli di autonomia
titolari di competenze pubbliche, in quanto partecipi della
Repubblica, sono titolari dello stesso modello repubblicano a
legittimazione democratica. Il principio autonomistico di cui
all'art. 5 Cost., impone infatti che accanto al processo democratico
statale ve ne siano altri, dislocati sugli ambiti territoriali meno
comprensivi, i quali - fintanto che esistono - devono essere
organizzati, appunto, secondo forme istituzionali di governo che
soddisfino il principio democratico della sovranita' popolare.
I predetti imprescindibili vincoli, come si e' visto, sono stati
illegittimamente travalicati dal legislatore statale, che attraverso
le norme impugnate ha disegnato un sistema di governo provinciale del
tutto disancorato dal modello di rappresentanza democratica imposto
dagli artt. 1, 5 e 114 della Costituzione. Si tratta di principi
cardine nell'architettura costituzionale, che disegnano e legittimano
la nostra forma di governo repubblicana e, con essa, quella delle
articolazioni territoriali riconosciute espressamente dalla
Costituzione quali parti della Repubblica. Principi che, dunque,
avrebbero potuto essere derogati soltanto con legge costituzionale, e
non certo attraverso lo strumento della legge ordinaria, che da essi
promana e ai quali e' evidentemente vincolata. Ne discende dunque la
violazione, da parte delle norme impugnate, anche dell'art. 138
Cost..
Peraltro, nella nuova forma di governo provinciale questa assenza
di democraticita' non e' nemmeno compensata, nei due organi ad
elezione indiretta (Presidente della Provincia e Consiglio
provinciale), da un'adeguata capacita' rappresentativa delle
minoranze dei singoli Comuni. Si e' detto, infatti, che a norma dei
commi 58 e 60 dell'art. 1, per il Presidente della Provincia
l'elettorato passivo e' circoscritto ai sindaci della Provincia,
mentre l'elettorato attivo spetta ai sindaci e ai consiglieri dei
comuni della Provincia. Quanto al Consiglio provinciale, il comma 69
dell'art. 1, circoscrive l'elettorato attivo e passivo ai sindaci e
ai consiglieri comunali dei comuni della provincia. Come si e' gia'
eccepito per la forma di governo delle neo-istituite Citta'
metropolitane, anche in questo caso al deficit di rappresentativita'
risultante dal difetto di legittimazione democratica dei due organi
ad elezione indiretta, si aggiunge l'ulteriore deficit di
rappresentativita' «a monte», dovuto all'operativita', nel sistema
elettorale dei comuni, del meccanismo del «premio di maggioranza».
Sara' dunque inevitabile che sia i sindaci che i consiglieri comunali
chiamati ad eleggere il Presidente della Provincia e il Consiglio
provinciale, nonche', se eletti, a farne parte, siano espressione di
una medesima parte politica.
Dal che risulta avvalorata, anche sotto l'esposto versante, la
censura di incostituzionalita' articolata avverso le norme che
disciplinano la nuova forma di governo provinciale, per violazione
del principio democratico di cui agli artt. 1, 5 e 114 Cost..
4. Come si e' gia' eccepito per la forma di governo delle Citta'
metropolitane, le norme rubricate meritano di essere dichiarate
incostituzionali anche per violazione dell'art. 117, primo comma,
della Costituzione, in relazione all'art. 3, comma 2, della
menzionata Carta europea dell'autonomia locale (trattato
internazionale reso esecutivo in Italia con la legge 30 dicembre
1989, n. 439).
L'art. 3, comma 1, della Carta, stabilisce che «Per autonomia
locale, s'intende il diritto e le capacita' effettiva, per le
collettivita' locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito
della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle
popolazioni, una parte importante di affari pubblici».
Il secondo comma dell'art. 3 specifica poi, per quanto qui
rileva, che «Tale diritto e' esercitato da Consigli e Assemblee
costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario,
diretto e universale, in grado di disporre di organi esecutivi
responsabili nei loro confronti».
La norma in esame impone, dunque, la necessita' che l'autonomia o
autogoverno locale (quale senz'altro quello delle Province) si
eserciti necessariamente almeno per mezzo di consigli o assemblee
elette a suffragio, libero, segreto e uguale, che esprimano organi
esecutivi politicamente responsabili. Cio' che assolutamente non
ricorre, per tutto quanto detto, nel modello di governo provinciale
disegnato dalle norme impugnate.
Si ribadisce che il menzionato art. 3 della Carta assume il rango
di norma cogente, la cui violazione da parte del legislatore dello
Stato deve censurarsi con la declaratoria di incostituzionalita' ai
sensi dell'art. 117, primo comma, della Costituzione. La Corte
costituzionale ha infatti ormai da tempo accolto la tesi per cui
anche le norme internazionali pattizie integrano il parametro di
costituzionalita' delle legge, mediante la tecnica
dell'interposizione normativa (cfr. le note «sentenze gemelle» nn.
348 e 349 del 2007). L'operativita' dell'art. 117, comma 1, della
Costituzione, in relazione alla Carta europea dell'autonomia locale,
e' stata poi esplicitamente riconosciuta dalla Consulta, come
evidenziato sopra, a seguito di un incontro con una delegazione del
«Congress of local and regional authorities» del Consiglio d'Europa,
avvenuto il 3.11.11.
Risulta dunque confermata l'illegittimita' costituzionale delle
norme impugnate per violazione dell'art. 117, comma 1, della
Costituzione, in relazione all'art. 3, comma 2, della Carta europea
dell'Autonomia locale, il quale prescrive chiaramente la necessita'
che la nella forma di governo dell'autonomia locale ci sia almeno un
organo collegiale a elezione popolare diretta, che esprima un
esecutivo politicamente responsabile.
5. In senso analogo a quanto gia' eccepito per il modello di
governo metropolitano, inoltre, la disciplina risultante dalle norme
in rubrica viola altresi' il principio di sussidiarieta' verticale di
cui all'art. 118 Cost., nonche' il principio di ragionevolezza di cui
all'art. 3 Cost.. Quest'ultimo impone che, ai fini dell'allocazione
della funzione amministrativa al livello piu' prossimo al cittadino
ai sensi dell'art. 118 Cost., i processi deliberativi degli enti
costitutivi della Repubblica siano affidati a livelli di Governo che
risultino in qualche misura omologhi, si potrebbe dire «omogenei»
quanto al grado di democraticita'.
La forma di governo provinciale disegnata dalla legge gravata,
invece, essendo costituita da organi elettivi di secondo grado non
responsabili ne' rispetto al corpo elettorale di riferimento, ne'
rispetto ad un'Assemblea direttamente elettiva, risulta incompatibile
con il vigente modello costituzionale di allocazione/distribuzione
delle funzioni amministrative, ed anzi ne comporta illogicamente
l'inversione. E' evidente, infatti, che nella scelta della sede
territoriale cui allocare le funzioni amministrative, verra'
irragionevolmente preferito il livello piu' comprensivo (quello
regionale), invece che quello piu' prossimo al cittadino (quello
provinciale), in quanto solo nel primo gli organi di governo
rispondono direttamente ai cittadini attraverso l'elezione popolare.
6. Deve rilevarsi, ancora, che la forma di governo provinciale
individuata dalle norme gravate, nella quale la totalita' degli
organi non ha legittimazione democratica diretta, si pone altresi' in
contrasto con l'art. 119 Cost.. L'autonomia finanziaria di entrata e
di spesa e l'autorita' impositiva riconosciuta agli enti territoriali
dalla norma in esame, infatti, e' stata storicamente e unanimemente
ricondotta, con ratio evidente, alla responsabilita' degli organi
direttamente rappresentativi nei confronti dei contribuenti.
Essendo venuto meno tale fondamentale requisito, non puo' che
confermarsi l'illegittimita' costituzionale della disciplina in esame
anche sotto questo versante.
Sempre sotto il profilo dell'autonomia finanziaria e
dell'autorita' impositiva, la disciplina riconducibile alle norme
impugnate viola altresi' l'art. 117, primo comma, della Costituzione,
in relazione all'articolo 9 della gia' menzionata Carta europea
dell'autonomia locale, rubricato «Risorse finanziarie dell'autonomia
locale». Il primo comma dell'art. 9 dispone che «Le collettivita'
locali hanno diritto, nell'ambito della politica economica nazionale,
a risorse proprie sufficienti, di cui possano disporre liberamente
nell'esercizio delle loro competenze» .
Il terzo comma dell'art. 9 prevede poi che «Una parte almeno
delle risorse finanziarie delle collettivita' locali deve provenire
da tasse e imposte locali di cui esse hanno facolta' di stabilire il
tasso nei limiti previsti dalla legge» , mentre il successivo quarto
comma specifica che «I sistemi finanziari, che sostengono le risorse
di cui dispongono le collettivita' locali, devono essere di natura
sufficientemente diversificata ed evolutiva per consentire loro di
seguire, in pratica, per quanto possibile, l'andamento reale dei
costi di esercizio delle loro competenze».
Da ultimo, il sesto comma dell'articolo 9 prevede che «Le
collettivita' locali dovranno essere opportunamente consultate per
quanto riguarda le modalita' dell'assegnazione, nei loro confronti,
delle risorse nuovamente distribuite».
Anche le disposizioni in esame riconducono evidentemente
l'autonomia finanziaria e l'autorita' impositiva riconosciuta alle
autonomie locali alla necessaria democraticita' della forma di
governo di queste ultime (come prescritta dal gia' invocato art. 3,
comma 2, della Carta), presupposto che nel caso di specie e' venuto
meno.
7. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si insiste
affinche' codesta Ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 54, 55, 56, 58 e 69, della legge n.
56 del 2014, per violazione degli artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, comma
1, 118, 119 e 138 Cost..
C) Sulla disciplina di riordino delle funzioni
I. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 89, 90, 91, 92 e
95, della legge n. 56 del 2014, per violazione degli artt. 3, 97,
114, 117, comma 2, lett. p), comma 3 e comma 4, 118, 120 e 138 Cost..
1. Non sfugge a censure di incostituzionalita' nemmeno la
disciplina che la legge n. 56 del 2014 riserva al riordino delle
funzioni delle Province.
Riassumendo brevemente il contenuto delle norme in rubrica, al
fine di agevolare la successiva esposizione, si precisa che il comma
89 dell'art. 1, dispone che lo Stato e le regioni, «secondo le
rispettive competenze», attribuiscono le funzioni provinciali diverse
da quelle fondamentali (individuate al precedente comma 85), «in
attuazione dell'art. 118 della Costituzione», anche al fine di
conseguire le finalita' ivi meglio specificate.
Il successivo comma 90 dell'art. 1, prevede alcuni «principi
fondamentali» in materia di attribuzione di funzioni di
organizzazione dei servizi di rilevanza economica, di competenza
comunale o provinciale, a enti o agenzie in ambito provinciale o sub
provinciale, qualificati anche come «principi fondamentali di
coordinamento della finanza pubblica».
Il comma 91 dell'art. 1, stabilisce che lo Stato e le Regioni
individuano, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, «le
funzioni di cui al comma 89 oggetto del riordino e le relative
competenze», mediante accordo sancito in Conferenza unificata,
sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Ai
sensi del comma 92 dell'art. 1, poi, entro tre mesi dalla data di
entrata in vigore della legge, dovranno essere stabiliti i criteri
generali per l'individuazione dei beni strumentali, risorse
finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse
all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite dalle
Province agli enti subentranti a norma dei commi precedenti; a tal
fine lo strumento individuato e' un D.P.C.M. preceduto da intesa con
la Conferenza unificata. Le risorse da trasferire agli enti
subentranti sono, in particolare, quelle gia' spettanti alle Province
ai sensi dell'art. 119 Cost., detratte quelle necessarie alle
funzioni fondamentali. Il comma 95 dell'art. 1, impone alla Regione,
sentite le OO.SS. maggiormente rappresentative, di dare attuazione
all'accordo di cui al comma 91, entro 6 mesi dalla data di entrata in
vigore della legge, prevedendo, in caso contrario, l'esercizio del
potere sostitutivo ex art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
2. Attraverso le disposizioni in esame il legislatore, da una
parte, ha individuato le funzioni fondamentali delle Province ai
sensi dell'art. 117, comma 2, lett. p), della Costituzione,
dall'altra ha inopinatamente articolato un inedito procedimento di
concertazione fra Stato e Regioni, per di piu' vincolato a
tempistiche estremamente ristrette, per l'individuazione e la
riallocazione delle funzioni gia' provinciali non fondamentali, e per
l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane,
strumentali e organizzative, connesse all'esercizio delle funzioni
oggetto di trasferimento.
3. In via preliminare, occorre rilevare che la disciplina in
esame non si mostra di agevole interpretazione. Non e' chiaro, in
particolare, se le funzioni non fondamentali oggetto di riordino
possano essere mantenute in capo alle Province, che gia' le
esercitavano, ovvero se la disciplina di riallocazione qui in esame
ne imponga necessariamente il trasferimento agli altri enti (Regioni,
Comuni e unioni di Comuni, Governo centrale).
In quest'ultimo senso sembra deporre il gia' citato comma 92
dell'art. 1, ove si prevede che, nella definizione delle risorse
connesse all'esercizio delle funzioni che devono essere trasferite,
«sono considerate le risorse finanziarie, gia' spettanti alle
province ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, che devono
essere trasferite agli enti subentranti per l'esercizio delle
funzioni loro attribuite, dedotte quelle necessarie alle funzioni
fondamentali e fatto comunque salvo quanto previsto dal comma 88».
Ebbene, se la disciplina in esame dovesse intendersi nel senso
che alle Province spettano solo le funzioni definite come
«fondamentali», allora le norme impugnate dovranno essere dichiarate
incostituzionali per manifesta violazione dell'art. 117, terzo e
quarto comma, 118 e 138 della Costituzione.
In questo modo, infatti, la Regione verrebbe illegittimamente
spogliata del potere di allocare le funzioni amministrative di
propria competenza nei confronti della Provincia, secondo principi di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza.
Tale imposizione appare tanto piu' arbitraria, ingiustificata e
illegittima ove si consideri che la legge gravata non determina la
soppressione assoluta delle Province residue, le quali, ancorche'
depotenziate, continuano comunque ad essere presenti
nell'ordinamento. Ben possono, quindi, essere scelte
discrezionalmente dalle Regioni quali soggetti istituzionali
destinatari delle funzioni regionali, cosi' come del resto stabilito
dallo stesso art. 118 Cost..
L'obbligo di riallocazione delle funzioni imposto al legislatore
regionale determina dunque, in questa chiave di lettura,
un'illegittima invasione delle attribuzioni della Regione ricorrente,
nella misura in cui viene a limitare la sua autonomia in merito alla
determinazione del livello territoriale di governo piu' idoneo
all'esercizio di funzioni di propria competenza.
Invasione tanto piu' grave e manifesta ove solo si consideri che
il comma 95 dell'art. 1, prevede espressamente l'esercizio di un
potere sostitutivo statale in caso di mancato trasferimento delle
funzioni entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore
della legge, in manifesta violazione anche dell'art. 120, secondo
comma, e dell'art. 3 Cost..
A cio' si aggiunga che - se interpretata in questo senso - la
disciplina gravata risulterebbe incostituzionale anche in relazione
agli articoli 97, 114, 117 e 138 della Costituzione, relativamente
alle attribuzioni delle Province. Verrebbe, infatti, disconosciuta la
natura della Provincia quale ente autonomo costitutivo della
Repubblica, cui spetta una sfera di poteri, funzioni e competenze,
comprimibile solo con il procedimento di revisione costituzionale, in
violazione dell'art. 138 Cost.. Non solo. Risulterebbe gravemente
menomata anche l'autonomia statutaria, organizzativa, e finanziaria
dell'ente, nonche' la riserva di potere regolamentare di cui all'art.
117, comma 6, della Costituzione. La preclusione per la Regione di
allocare le funzioni amministrative al livello di governo
provinciale, qualora ritenuto ottimale ai sensi dell'art. 118 Cost.,
inoltre, condurrebbe all'inevitabile ma inaccettabile risultato per
cui quelle stesse funzioni amministrative non potrebbero essere
esercitate secondo i principi di buon andamento, efficienza,
efficacia, economicita', con conseguente violazione anche dell'art.
97 Cost..
E' evidente, stante quanto precede, l'illegittimita' delle norme
impugnate, se interpretate nel senso di escludere le Province dai
possibili destinatari di funzioni amministrative di competenza
regionale, per violazione degli articoli 3, 97, 114, 117, terzo e
quarto comma, 118, 120, secondo comma, e 138 della Costituzione.
4. Cio' posto, preme poi evidenziare che, anche nell'ipotesi in
cui il processo di riordino disciplinato dalle norme gravate
contemplasse la possibilita' di mantenere in capo alle Province
determinate funzioni non fondamentali, queste ultime si mostrerebbero
comunque incostituzionali sotto ulteriori profili.
La disciplina sopra riassunta si mostra, in particolare, in
stridente contrasto con l'art. 117, secondo comma, lett. p), della
Costituzione, in combinato disposto con gli artt. 117, commi 3 e 4, e
118 Cost., nonche' con gli artt. 3 e 97 Cost.. Il legislatore
statale, infatti, al di fuori della competenza esclusiva in materia
di «funzioni fondamentali delle Province», non ha alcun titolo
competenziale per stabilire, in maniera sistematica, le modalita' e
le tempistiche per la riallocazione delle finzioni «non fondamentali»
di competenza regionale.
In particolare, esorbita dalla materia di cui all'art. 117, comma
2, lett. p), e costituisce una manifesta lesione dei principi di cui
all'art. 118 Cost., la previsione di cui al comma 89 dell'art. 1, ove
si prevede che lo Stato e le Regioni, «nell'ambito delle rispettive
competenze», devono allocare le funzioni provinciali diverse da
quelle fondamentali. Sebbene la norma faccia espresso riferimento
all'art. 118 Cost., infatti, quest'ultima detta al legislatore
regionale alcuni principi con esso incompatibili. In particolare si
prevede che l'allocazione delle funzioni amministrative debba
avvenire nel rispetto delle seguenti finalita': individuazione
dell'ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione;
efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei
Comuni e delle unioni di Comuni; sussistenza di riconosciute esigenze
unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra
gli enti territoriali coinvolti nel processo di riordino, mediante
intese o convenzioni; valorizzazione di forme di esercizio associato
di funzioni da parte di piu' enti locali, nonche' di forme di
autonomia funzionale.
Ebbene, i limiti e vincoli imposti al legislatore regionale fuori
dagli ambiti di competenza dello Stato, comprimono illegittimamente
il potere costituzionalmente riconosciuto alla Regione di
individuare, secondo i principi di sussidiarieta', differenziazione e
adeguatezza, il livello territoriale di governo piu' idoneo
all'esercizio delle funzioni amministrative di propria competenza.
Illegittima si mostra dunque, sotto i medesimi profili, anche
l'imposizione alla Regione di addivenire - peraltro nel ristretto
termine di tre mesi dalla entrata in vigore della legge - ad un
accordo in Conferenza unificata in ordine alle funzioni non
fondamentali di propria competenza oggetto di riordino (comma 91).
Lo Stato non ha, di conseguenza, nemmeno alcun titolo per
pretendere che la Regione dia attuazione al suddetto accordo, per di
piu' nel ristrettissimo termine di sei mesi dalla data di entrata in
vigore della legge, ne', dunque, sussistono i presupposti per
l'adozione dei poteri sostitutivi del Governo ai sensi dell'art. 120,
comma 2, Cost., e dell'art. 8, legge 5 giugno 2003, n. 131.
Senza contare che, nei casi in cui vi sia uno spostamento di
competenze amministrative a seguito di attrazione in sussidiarieta',
la Corte costituzionale ha escluso che possa essere previsto un
potere sostitutivo, dovendosi ritenere che la leale collaborazione,
necessaria in tale evenienza, non possa essere sostituita puramente e
semplicemente da un atto unilaterale dello Stato (sentenze n. 165 del
2011 e n. 383 del 2005).
Per gli stessi motivi, e' illegittima la prescrizione di cui al
comma 92, che impone al a Regione di esprimere l'intesa in Conferenza
unificata, propedeutica all'emanazione di un D.P.CM. - da emettersi
anch'esso nel ristrettissimo termine di tre mesi dall'entrata in
vigore della legge, il che postula un termine ancora inferiore per il
raggiungimento dell'intesa - recante i criteri generali per
l'individuazione dei beni e risorse strumentali all'esercizio delle
funzioni da riallocare. Esorbita, infatti, dalle attribuzioni che
l'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., riserva allo Stato, tanto
l'imposizione alla Regione dei tempi e delle modalita' per
l'individuazione dei predetti mezzi e risorse, quanto la possibilita'
che, nell'ambito delle funzioni di competenza regionale, la
definizione dei criteri per procedere a tale individuazione siano
deferiti ad un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
La disciplina contestata, dunque, oltre ad esorbitare dalle
attribuzioni statali di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p),
della Costituzione, comprime inopinatamente il potere della Regione
ricorrente di individuare il miglior livello di esercizio delle
funzioni di propria competenza, secondo i principi di sussidiarieta',
differenziazione a adeguatezza, nonche' di stabilire le tempistiche
per il riordino e di individuare le risorse connesse agli eventuali
trasferimenti, in manifesta violazione anche degli artt. 117, commi 3
e 4, e 118 Cost.. Tale compressione, sotto concorrente profilo,
sacrifica indebitamente anche i principi che regolano l'azione
amministrativa ai sensi dell'art. 97 Cost.. I vincoli imposti dallo
Stato al collocamento delle funzioni amministrative al livello di
governo ottimale, infatti, producono l'effetto di distorcere
l'esercizio di quelle stesse funzioni, ostacolando il perseguimento
del buon andamento, dell'efficienza, dell'efficacia e
dell'economicita' nel relativo esercizio, con conseguente violazione
anche dell'art. 97 Cost..
Cio' riflette altresi' il grave deficit delle norme gravate,
sotto il profilo della ragionevolezza e della coerenza con gli scopi
perseguiti dalla legge n. 56 del 2014, che sono dichiaratamente
quelli di disciplinare Citta' metropolitane, Province e unioni di
Comuni «al fine di adeguare il loro ordinamento ai principi di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza» (comma 1). Dal che
discende anche l'illegittimita' costituzionale delle norme impugnate
per violazione dell'art. 3 della Costituzione.
5. Le considerazioni che precedono valgono, a maggior ragione,
per le funzioni amministrative afferenti a materie di competenza
residuale della Regione.
E' ancor piu' evidente, infatti, che per tali ambiti lo Stato non
abbia alcun titolo ne' nel dettare principi fondamentali di
allocazione (quali l'ambito territoriale ottimale di esercizio, la
sussistenza di riconosciute esigenze unitarie, ecc.), ne' per
richiedere il raggiungimento dell'intesa ai fini dell'individuazione
delle funzioni da riallocare e delle relative competenze, ne'
tantomeno per pretenderne l'attuazione da parte del legislatore
regionale e per esercitare, in caso contrario, il potere sostitutivo
di cui all'art. 120 Cost.. Allo stesso modo, per le funzioni
afferenti le materie di competenza residuale, la Regione non e'
tenuta a raggiungere l'intesa in conferenza unificata ai fini della
determinazione dei criteri per l'individuazione delle risorse
connesse alle materie oggetto di trasferimento.
Infatti, in relazione alle materie di cui all'art. 117, quarto
collima, Cost., spetta unicamente alla Regione dettare sia i principi
che le norme di dettaglio sulla allocazione delle funzioni
amministrative.
6. L'intervento normativo in esame si mostra costituzionalmente
illegittimo anche sotto il piu' generale versante della
ragionevolezza, dell'opportunita' e della coerenza con i fini
perseguiti, ponendosi in contraddizione con i principi di cui
all'art. 3 Cost., e con il principio del buon andamento dell'azione
amministrativa di cui all'articolo 97 Cost..
Di tanto costituisce indizio evidente, in primo luogo, il
carattere dichiaratamente provvisorio della contestata riforma (nelle
more della riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione).
In secondo luogo si evidenzia come le norme impugnate, invece di
riordinare e semplificare l'ordinamento locale, secondo i principi di
sussidiarieta' differenziazione e adeguatezza richiamati dal primo
comma dell'art. 1, conducono alla paradossale alternativa di
centralizzare le funzioni in capo allo Stato o alla Regione, ovvero
di moltiplicare gli enti (unioni di Comuni) che dovrebbero svolgere
le funzioni di area vasta. Cio' determinera' un sensibile
indebolimento della capacita' amministrativa, impedendo di fatto il
perseguimento del fine del buon andamento di cui all'art. 97 Cost., e
privera' altresi' i cittadini e le imprese di un punto di riferimento
certo in ordine al soggetto titolare delle funzioni, incidendo in
termini negativi proprio sull'attuazione del principio di
sussidiarieta' sia verticale che orizzontale.
Si consideri, ancora, che le misure di riforma della
rappresentanza politica della Provincia e di riallocazione forzata
delle relative funzioni, sono state assunte in assenza di
qualsivoglia indicatore di senso negativo che contraddicesse
l'appropriatezza delle Province quale ambito territoriale ottimale
per la gestione delle funzioni relative alle aree vaste.
Ora, sotto il profilo della ragionevolezza della scelta
allocativa, la discrezionalita' del legislatore deve misurarsi con
una presunzione, sicuramente relativa ma forte, di adeguatezza
dell'ente che fino a quel momento ha esercitato le funzioni da
riallocare, sulla base di dati reali, acquisiti attingendo alla
concrea esperienza istituzionale. In questo senso, la portata del
comma 2 dell'art. 118 Cost., appresta una particolare garanzia
proprio con riferimento al patrimonio forte di attribuzioni
amministrative esercitate dalle Province fino all'introduzione della
disciplina contestata.
Peraltro, dovendosi escludere che tutte le funzioni provinciali
da riallocare, in base ai principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza, possano essere assunte direttamente
dalla Regione, e' ben probabile che per effetto della nuova
disciplina si verifichera' un aumento dei costi, determinato
dall'istituzione di nuovi apparati amministrativi sovra-comunali, dal
venir meno delle economie di scala su base provinciale, nonche', in
generale, dalla necessita' di far fonte alla fase di
riorganizzazione.
Da ultimo, si eccepisce anche che la disciplina di cui alla legge
n. 56 del 2014, incide sulle Province intese solo quali enti di
gestione di funzioni amministrative regionali, e non anche quali
ambiti di articolazione periferica dello Stato. L'ambito di
decentramento statale di livello provinciale, con riguardo a
numerosissime funzioni, continua ad essere infatti pienamente
operativo (si pensi al ruolo delle Prefetture, dei Provveditorati
scolastici, delle Soprintendenze per i beni culturali).
Le considerazioni che precedono rendono palese l'incongruita',
l'inadeguatezza e la radicale insufficienza che avvince le
disposizioni impugnate, le quali si mostrano viziate per violazione
dell'art. 3, 97, 117 e 118 della Costituzione.
Si insiste dunque affinche' venga dichiarata l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 89, 90, 91, 92 e 95, della legge n.
56 del 2014, per violazione degli artt. 3, 97, 114, 117, comma 2,
lett. p), comma 3 e comma 4, 118, 120 e 138 della Costituzione.
P.Q.M.
Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita, ogni contraria
istanza eccezione e deduzione disattesa, accogliere il presente
ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1, commi 7, 8, 9, 19, 25, 42, 54, 55, 56, 58, 69, 89, 90,
91, 92, 95, della legge 7 aprile 2014, n. 56, per violazione degli
artt. 1, 3, 5, 48, 97, 114, 117, primo, secondo, terzo e quarto
comma, 118, primo e secondo comma, 119, 120, secondo comma, e 138
della Costituzione, sotto i profili e per le ragioni suesposte.
Roma, 4 giugno 2014
Prof. Avv. Marini