Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 7 gennaio 2014 (della Provincia autonoma di Trento).
 

(GU n. 8 del 12.2.2014)

    Ricorso della della Provincia  autonoma  di  Trento  (cod.  fisc.
…), in persona del Presidente della Giunta provinciale  pro
tempore, previa deliberazione della Giunta  provinciale  13  dicembre
2013, n.  2574  (doc.  1),  e  delibera  di  ratifica  del  Consiglio
provinciale 18 dicembre 2013, n. 6 (doc. 2), rappresentata e  difesa,
come da procura speciale n. rep. 27962 del 17 dicembre 2013 (doc. 3),
rogata  dalla  dott.ssa  Gianna  Scopel,  Ufficiale   rogante   della
Provincia,  dall'avv.   prof.   Giandomenico   Falcon   (cod.   fisc.
…) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc.
…)  dell'Avvocatura  della  Provincia  di  Trento,   e
dall'avv. Luigi Manzi (cod.  fisc…)  di  Roma,  con
domicilio eletto presso quest'ultimo in via Confalonieri, n. 5, Roma,
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma
5 e comma 8, nonche' dell'articolo 4, comma 10, del decreto-legge  31
agosto  2013,  n.  101,  recante   «Disposizioni   urgenti   per   il
perseguimento  di  obiettivi  di  razionalizzazione  nelle  pubbliche
amministrazioni»,  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  30
ottobre 2013, n. 125, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 255  del
30 ottobre 2013, per violazione:
        degli articoli 79, 103, 104 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Statuto speciale), nonche' delle correlative norme di attuazione;
        del titolo VI dello Statuto speciale,  in  particolare  degli
articoli 79, 80 e 81, e delle relative norme di  attuazione  (decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 268, in particolare articoli 17,  18  e
19);
        degli articoli 8, n. 1), e 16 dello Statuto speciale;
        del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare
articoli 2 e 4;
        degli articoli 117, terzo, quarto e sesto comma, e 119  della
Costituzione in combinato disposto  con  l'articolo  10  della  legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
        del principio di ragionevolezza, nei modi e per i profili  di
seguito illustrati.
 
                              F a t t o
 
    Il decreto-legge n. 101/2013 reca  Disposizioni  urgenti  per  il
perseguimento  di  obiettivi  di  razionalizzazione  nelle  pubbliche
amministrazioni.
    Il capo I del decreto e'  intitolato  a  sua  volta  Disposizioni
urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione  della
spesa nelle pubbliche amministrazioni e nelle societa' partecipate, e
l'art.  1  detta,  in  particolare,  Disposizioni   per   l'ulteriore
riduzione della  spesa  per  auto  di  servizio  e  consulenze  nella
pubblica amministrazione.
    Le disposizioni dell'art. 1 che formano  oggetto  della  presente
impugnazione non si rivolgono specificamente alle Province  autonome,
e la presente impugnazione ha dunque - come meglio si  illustrera'  -
carattere cautelativo.
    La prima norma impugnata e' posta dal comma  5  dell'art.  1,  il
quale stabilisce che  «la  spesa  annua  per  studi  e  incarichi  di
consulenza, inclusa quella relativa a studi e incarichi di consulenza
conferiti a  pubblici  dipendenti,  sostenuta  dalle  amministrazioni
pubbliche inserite nel conto  economico  consolidato  della  pubblica
amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto   nazionale   di
statistica (ISTAT) ai sensi dell'art. 1,  comma  3,  della  legge  31
dicembre 2009, n. 196, nonche' dalle autorita' indipendenti  e  dalla
Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB), escluse le
universita', gli enti e le fondazioni  di  ricerca  e  gli  organismi
equiparati, nonche' gli istituti culturali e gli incarichi di  studio
e  consulenza  connessi  ai  processi  di  privatizzazione   e   alla
regolamentazione del settore finanziario, non puo' essere  superiore,
per l'anno 2014, all'80 per cento del limite di spesa per l'anno 2013
e, per l'anno 2015,  al  75  per  cento  dell'anno  2014  cosi'  come
determinato dall'applicazione della disposizione di cui  al  comma  7
dell'articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78[...]».
    Si ricorda che l'art. 6, comma 7, del d.l. 78/2010  dispone  che,
«al  fine   di   valorizzare   le   professionalita'   interne   alle
amministrazioni, a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per  studi
ed incarichi di  consulenza,  inclusa  quella  relativa  a  studi  ed
incarichi di consulenza conferiti a  pubblici  dipendenti,  sostenuta
dalle pubbliche amministrazioni di cui al  comma  3  dell'articolo  l
della  legge  31  dicembre  2009,  n.  196,  incluse   le   autorita'
indipendenti, escluse le universita', gli enti  e  le  fondazioni  di
ricerca e gli organismi equiparati nonche' gli incarichi di studio  e
consulenza  connessi  ai   processi   di   privatizzazione   e   alla
regolamentazione del settore finanziario, non puo'  essere  superiore
al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009».
    La seconda norma impugnata e' posta dall'art. 1, comma 8, d.l. n.
101/2013, secondo il quale «la Presidenza del Consiglio dei  ministri
- Dipartimento della funzione pubblica e il Ministero dell'economia e
delle finanze - Dipartimento della ragioneria  generale  dello  Stato
dispongono  almeno  una  volta  all'anno  visite  ispettive,  a  cura
dell'Ispettorato per la funzione pubblica e dei servizi ispettivi  di
finanza del medesimo Dipartimento  della  ragioneria  generale  dello
Stato, al fine di verificare il rispetto dei  vincoli  finanziari  in
materia di contenimento della spesa  di  cui  al  presente  articolo,
denunciando alla Corte dei conti le irregolarita' riscontrate».
    Per entrambe  il  comma  9  dell'art.  1  propone  un  fondamento
dell'intervento   statale   cosi'   operato,   disponendo   che   «le
disposizioni del presente articolo  costituiscono  norme  di  diretta
attuazione dell'articolo 97 della Costituzione, nonche'  principi  di
coordinamento della finanza  pubblica  ai  sensi  dell'articolo  117,
terzo comma, della Costituzione».
    La terza  disposizione  impugnata  con  il  presente  ricorso  e'
inserita nell'art. 4, che fa sempre parte del capo I del  decreto,  e
reca Disposizioni urgenti in tema di immissione in servizio di idonei
e vincitori  di  concorsi,  nonche'  di  limitazioni  a  proroghe  di
contratti e all'uso del lavoro flessibile nel  pubblico  impiego.  Si
tratta, in particolare, del comma 10 dell'art. 4,  il  quale  dispone
che «le regioni, le province autonome e gli enti locali, tenuto conto
del loro fabbisogno, attuano i commi 6, 7, 8 e  9  nel  rispetto  dei
principi e dei vincoli  ivi  previsti  e  tenuto  conto  dei  criteri
definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  di
cui al comma 5» (enfasi aggiunta).
    Come si vede, la disposizione - che  menziona  specificamente  le
Province autonome - si riferisce per rinvio ad una serie di ulteriori
disposizioni, il cui contenuto conviene brevemente esaminare.
    Il comma 6 dell'art. 4 prevede il bando di procedure  concorsuali
riservate a soggetti che abbiano svolto un certo periodo di  servizio
a tempo determinato. Precisamente, esso stabilisce che, «a  decorrere
dalla data di entrata in vigore del presente decreto  e  fino  al  31
dicembre 2016,  al  fine  di  favorire  una  maggiore  e  piu'  ampia
valorizzazione della professionalita'  acquisita  dal  personale  con
contratto di lavoro a tempo determinato e, al  contempo,  ridurre  il
numero dei contratti a termine, le amministrazioni pubbliche  possono
bandire, nel rispetto del limite  finanziario  fissato  dall'articolo
35, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165,  a
garanzia dell'adeguato  accesso  dall'esterno,  nonche'  dei  vincoli
assunzionali  previsti  dalla  legislazione   vigente   e,   per   le
amministrazioni interessate, previo espletamento della  procedura  di
cui all'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo  2001,
n. 165,... procedure concorsuali, per titoli ed esami, per assunzioni
a  tempo  indeterminato  di  personale  non  dirigenziale   riservate
esclusivamente a coloro che sono in possesso  dei  requisiti  di  cui
all'articolo 1, commi 519 e 558, della legge  27  dicembre  2006,  n.
296, e all'articolo 3, comma 90, della legge  24  dicembre  2007,  n.
244, nonche' a favore di coloro che alla data di pubblicazione  della
legge di conversione  del  presente  decreto  hanno  maturato,  negli
ultimi cinque anni, almeno tre anni  di  servizio  con  contratto  di
lavoro   subordinato   a   tempo    determinato    alle    dipendenze
dell'amministrazione che emana il  bando,  con  esclusione,  in  ogni
caso, dei servizi prestati presso uffici  di  diretta  collaborazione
degli organi politici».
    Il comma 7 dell'art. 4 integra il comma 6, aggiungendo che,  "per
meglio realizzare le finalita' del comma 6  sono  di  norma  adottati
bandi per assunzioni a tempo indeterminato con contratti di lavoro  a
tempo parziale, salvo diversa motivazione tenuto conto dell'effettivo
fabbisogno di personale e delle  risorse  finanziarie  dedicate".  Il
comma  8  prevede  invece  la  possibilita'  di  assunzione  a  tempo
indeterminato, senza concorso, di lavoratori  (a  tempo  determinato)
che  si  trovino  in  situazioni  particolari.   Precisamente,   esso
stabilisce in primo luogo che, "al fine di  favorire  l'assunzione  a
tempo indeterminato dei lavoratori di cui all'articolo  2,  comma  1,
del  decreto  legislativo  28  febbraio  2000,  n.  81,  e   di   cui
all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 7  agosto  1997,  n.
280, le  regioni  predispongono  un  elenco  regionale  dei  suddetti
lavoratori secondo criteri che contemperano l'anzianita'  anagrafica,
l'anzianita' di servizio e i carichi  familiari"  (enfasi  aggiunta).
Stabilisce poi che a decorrere dalla data di entrata  in  vigore  del
d.l. 101/2013 e fino al 31 dicembre 2016, "gli enti territoriali  che
hanno  vuoti  in  organico  relativamente  alle  qualifiche  di   cui
all'articolo 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56,... nel  rispetto
del loro fabbisogno e nell'ambito dei vincoli finanziari  di  cui  al
comma 6, procedono, in deroga a  quanto  disposto  dall'articolo  12,
comma  4,  del  decreto  legislativo  1°  dicembre  1997,   n.   468,
all'assunzione a tempo indeterminato, anche con contratti di lavoro a
tempo  parziale,  dei  soggetti   collocati   nell'elenco   regionale
indirizzando una specifica richiesta alla Regione competente" (enfasi
aggiunta).
    Infine, il comma 9 concede la possibilita'  di  prorogare  alcuni
contratti a  tempo  determinato  per  le  amministrazioni  che  hanno
programmato concorsi  per  posti  a  tempo  indeterminato.  Cosi'  si
dispone che «le amministrazioni pubbliche  che  nella  programmazione
triennale del fabbisogno di personale di cui all'art.  39,  comma  1,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, riferita agli anni dal 2013  al
2016,  prevedono  di  effettuare  procedure  concorsuali   ai   sensi
dell'articolo 35, comma 3-bis, lettera a) del decreto legislativo  30
marzo 2001, n. 165, o ai sensi del comma  6  del  presente  articolo,
possono prorogare, nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla
normativa vigente in materia e, in particolare,  dei  limiti  massimi
della spesa annua per la stipula dei contratti  a  tempo  determinato
previsti dall'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78,... i contratti di lavoro a tempo determinato dei soggetti  che
hanno maturato, alla data di pubblicazione della legge di conversione
del presente decreto,  almeno  tre  anni  di  servizio  alle  proprie
dipendenze". La  proroga  "puo'  essere  disposta,  in  relazione  al
proprio effettivo fabbisogno, alle risorse finanziarie disponibili  e
ai posti in dotazione organica vacanti, indicati nella programmazione
triennale di cui al precedente periodo, fino al  completamento  delle
procedure concorsuali e comunque non oltre il 31 dicembre 2016».
    Il comma 9-bis aggiunge che, «esclusivamente per le  finalita'  e
nel rispetto dei vincoli e dei termini di cui al comma 9 del presente
articolo,  i  limiti  previsti  dall'articolo  9,   comma   28,   del
decreto-legge 31 maggio  2010,  n.  78,...  possono  essere  derogati
limitatamente alla proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato
stipulati dalle  regioni  a  statuto  speciale,  nonche'  dagli  enti
territoriali compresi nel territorio delle  stesse,  a  valere  sulle
risorse  finanziarie  aggiuntive  appositamente   individuate   dalle
medesime regioni attraverso misure di revisione  e  razionalizzazione
della spesa certificate dagli organi di controllo interno».
    L'impugnato art. 4, comma 10, oltre che vincolare,  tra  l'altro,
le province autonome a quanto disposto  dai  commi  6-9,  le  vincola
anche a tenere  conto  "dei  criteri  definiti  con  il  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 5».
    Quest'ultimo affida ad un decreto del  Presidente  del  Consiglio
dei  Ministri,   su   proposta   del   Ministro   per   la   pubblica
amministrazione, di concerto con il Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, la definizione di "criteri di razionale distribuzione  delle
risorse finanziarie  connesse  con  le  facolta'  assunzionali  delle
pubbliche amministrazioni", e cio' sempre "al fine di ridurre  presso
le medesime pubbliche amministrazioni  l'utilizzo  dei  contratti  di
lavoro a tempo  determinato,  favorire  l'avvio  di  nuove  procedure
concorsuali e l'assunzione di coloro che sono collocati in  posizione
utile in graduatorie vigenti per concorsi a tempo  indeterminato,  in
coerenza   con   il   fabbisogno   di   personale   delle   pubbliche
amministrazioni e dei principi costituzionali  sull'adeguato  accesso
dall'esterno».
    Tale e' il contenuto delle disposizioni impugnate.
    Si noti  che  il  d.l.  101/2013  contiene  anche  una  Norma  di
coordinamento per le regioni  e  per  le  province  autonome.  L'art.
12-bis di esso dispone che "le regioni  e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni
di principio desumibili dal presente decreto ai  sensi  dell'articolo
117, terzo comma, della Costituzione, dei rispettivi statuti speciali
e delle relative norme di attuazione"  (comma  1).  Nel  comma  2  si
aggiunge che "sono fatte salve le potesta' attribuite alle regioni  a
statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano dai
rispettivi statuti speciali e dalle  relative  norme  di  attuazione,
nonche' ai sensi degli articoli 2 e 10 della legge costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3".
    Si verifichera',  in  relazione  alle  singole  norme  impugnate,
l'idoneita'   di   tale   clausola   di   salvaguardia   ad   evitare
l'applicazione delle stesse norme alla Provincia  di  Trento:  ed  e'
evidente che, ove esse non risultassero applicabili, verrebbero  meno
le ragioni di doglianza.
    Nella contraria ipotesi, invece, i sopra illustrati art. 1, commi
5 e 8, e  art.  4,  comma  10,  risultano  lesivi  delle  prerogative
costituzionali della Provincia di Trento, per le seguenti ragioni di
 
                               Diritto
 
    1) Incostituzionalita' dell'art. 1, comma 5 (se applicabile  alla
Provincia).
    Come esposto in narrativa, l'art. 1,  comma  5,  detta  ulteriori
specifiche limitazioni in materia di studi e incarichi di consulenza,
rispetto a quelle gia' stabilite dall'art. 6, comma 7 del d.l. n.  78
del 2010: le quali, per espressa indicazione di legge (art. 6,  comma
20), non si  applicano  direttamente  alle  Regioni,  soggette  solo,
secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, al vincolo globale
e complessivo risultante dall'art. 6 (sent. 182/2011).
    Neppure l'art. l, comma 5, menziona  specificamente  le  Province
autonome (ne' le Regioni), facendo invece generico  riferimento  alle
«amministrazioni pubbliche inserite nel conto  economico  consolidato
della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo  1,  comma  3,
della legge 31 dicembre 2009,  n.  196».  Tra  esse  sono  ovviamente
comprese anche le Province autonome, gli enti locali ed i  rispettivi
enti strumentali (v. da ultimo l'elenco ISTAT pubblicato  nella  G.U.
del 30 settembre 2013, n. 229), indicati  nell'ambito  della  sezione
"Amministrazioni  locali"  e  della  sezione  "Altre  Amministrazioni
locali" (quali, tra gli altri, il Museo Castello  del  Buonconsiglio,
monumenti  e  collezioni  provinciali,  il  Museo  d'arte  moderna  e
contemporanea di Trento e Rovereto, il  Museo  degli  usi  e  costumi
della gente trentina, il Museo delle Scienze, Patrimonio del Trentino
S.p.a., e Trentino Riscossione S.p.a.; la Fondazione Bruno Kessler  e
la Fondazione Edmund Mach).
    Tuttavia, la condizione delle Regioni e delle  Province  autonome
e' quella che risulta dalle  citate  clausole  dell'art.  12-bis,  le
quali definiscono il modo in cui la norma opera nei  loro  confronti.
Di conseguenza, ai sensi dell'art. 12-bis, vi sara' per le regioni  e
per le Province autonome un vincolo di adeguamento "alle disposizioni
di principio desumibili dal presente decreto ai  sensi  dell'articolo
117, terzo comma, della Costituzione, dei rispettivi statuti speciali
e delle relative norme di attuazione" (comma 1), ferme  restando  "le
potesta' attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle  province
autonome di Trento e di Bolzano dai  rispettivi  statuti  speciali  e
dalle relative norme di attuazione, nonche' ai sensi degli articoli 2
e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3":  il  che,  in
pratica, potra' tradursi in un vincolo piu' o meno stretto a  seconda
della capacita' delle singole disposizioni di esprimere un principio,
senza che possa a questi fini assumere natura determinante -  secondo
l'insegnamento   di   codesta   ecc.ma   Corte    costituzionale    -
l'autoqualificazione operata dall'art. 1, comma  9.  Solo  in  questi
limiti vi sara' per la ricorrente Provincia un vincolo di adeguamento
ai sensi dell'art. 2 d.lgs. n. 266/1992.
    In questa situazione, la Provincia  autonoma  di  Trento  impugna
l'art. 1, co. 5, solo a titolo  cautelativo,  per  l'ipotesi  che  si
dovesse ritenere, in ragione  del  riferimento  alle  amministrazioni
pubbliche dell'elenco ISTAT, che  la  disposizione  sia  direttamente
applicabile nella provincia di Trento  e  vincoli  immediatamente  le
Province autonome e gli enti  locali  e  strumentali  del  rispettivo
territorio.
    ln  tal  caso,  infatti,  esso  risulterebbe   costituzionalmente
illegittimo  e  lesivo   delle   prerogative   costituzionali   della
Provincia, sotto diversi profili.
    A) Illegittimita' dell'art. 1, comma 5,  in  quanto  contrastante
con l'art. 79 Statuto e con  il  principio  dell'accordo  in  materia
finanziaria.
    L'art. 79 dello Statuto di autonomia  disciplina  ormai  in  modo
preciso, esaustivo  ed  esclusivo  le  regole  secondo  le  quali  le
Province assolvono  gli  "obblighi  di  carattere  finanziario  posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla
normativa  statale"  (comma  1):  e  -  come  lo   stesso   art.   79
esplicitamente precisa  -  tali  regole  -possono  essere  modificate
esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo  104",  mentre
"fino alla loro eventuale  modificazione  costituiscono  il  concorso
agli obiettivi di finanza pubblica di cui  al  comma  l"  (comma  2),
comma   4   ribadisce   che   "le   disposizioni   statali   relative
all'attuazione degli obiettivi di perequazione e  di  solidarieta'...
non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province
e sono in ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal  presente
articolo".
    Dunque, se ritenuto vincolante per la Provincia di Trento, l'art.
1, comma 5, violerebbe l'art. 79  e  l'art.  104  dello  Statuto,  in
quanto derogherebbe unilateralmente  all'art.  79  senza  seguire  la
procedura stabilita nell'art. 104.
    Ne' si potrebbe ritenere che l'art. 79 riguardi solo il patto  di
stabilita' interno ma non escluda la  soggezione  delle  Province  ai
principi di coordinamento della finanza  pubblica.  Questa  tesi  non
potrebbe essere suffragata dal secondo periodo del comma 4  dell'art.
79, secondo il quale  «La  regione  e  le  province  provvedono  alle
finalita'  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  contenute  in
specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria
legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4
e 5» dello Statuto.
    I   "principi   di   coordinamento   della   finanza    pubblica"
costituiscono riferimento alla materia concorrente  di  cui  all'art.
117, terzo comma, Cost., per  cui,  se  il  significato  del  secondo
periodo del comma 4 dell'art. 79  fosse  quello  di  assoggettare  le
Province ad essi, non avrebbe senso il riferimento che esso  contiene
- invece - ai limiti propri di ciascuna materia provinciale, e dunque
per le competenze primarie ai limiti di cui all'art. 4 dello Statuto.
    Proprio tale riferimento convince invece che la disposizione  del
comma 4, secondo periodo si riferisce  alle  norme  statali  che  non
siano direttamente misure  di  finali:  a  pubblica  ma  che  abbiano
"finalita' di coordinamento della finanza pubblica": e in relazione a
tali norme mantiene la normale ampiezza  della  potesta'  legislativa
provinciale e i  normali  rapporti  tra  legislazione  provinciale  e
legislazione statale.
    Piu' in generale, sia consentito osservare che l'art. 79 contiene
diverse norme, e fra queste solo il comma 3  ed  il  comma  4,  primo
periodo, concernono specificamente il patto di stabilita' interno.
    Il senso e lo  scopo  generale  della  disposizione  sono  invece
chiariti dal comma 1, che stabilisce chiaramente che "la regione e le
province concorrono al conseguimento degli obiettivi di  perequazione
e di solidarieta' e all'esercizio dei  diritti  e  dei  doveri  dagli
stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,   dal   patto   di
stabilita' interno  e  dalle  altre  misure  di  coordinamento  della
finanza pubblica stabilite  dalla  normativa  statale"  nei  modi  di
seguito specificati. Dunque, l'art. 79 non intende solo  definire  il
modo in cui  la  Provincia  e  lo  Stato  determinano  "gli  obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai  saldi  di
bilancio da conseguire in ciascun periodo".
    Tali obblighi sono essi stessi - in questa prospettiva  solo  una
delle "modalita' di coordinamento della finanza pubblica" con cui  la
Provincia  concorre  all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere
finanziario (v. art. 79, comma 1. lett.  d);  ma  l'art.  79  prevede
anche le altre modalita' (lett.  a),  h)  e  c)  del  comma  1),  che
complessivamente "costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza
pubblica di cui al comma 1" (art. 79, comma 2), tra i quali, appunto,
rientrano gli obiettivi posti - come detto - "dalle altre  misure  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa
statale".
    Dunque, anche all'assolvimento degli obblighi derivanti  da  tali
"altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
normativa statale" le Province autonome concorrono (oltre che con  le
misure  di  cui  alle  lettere  a,  b  e  c)  "con  le  modalita'  di
coordinamento della finanza pubblica definite  al  comma  3",  ed  in
particolare secondo il principio dell'accordo, da esso  definito.  Ne
consegue che l'art. 79 non  riguarda  solo  il  patto  di  stabilita'
interno e le Province autonome non restano soggette a tutte le  norme
statali recanti principi di coordinamento della finanza pubblica.
    Tale conclusione e' confermata anche dalla sent. 220/2013,  punto
9, che ha dichiarato infondata la  questione  relativa  all'art.  23,
comma  22,  d.l.  201/2011  (secondo  il  quale  «La  titolarita'  di
qualsiasi carica, ufficio o organo di  natura  elettiva  di  un  ente
territoriale  non   previsto   dalla   Costituzione   e'   a   titolo
esclusivamente onorifico e non puo' essere fonte di alcuna  forma  di
remunerazione, indennita' o gettone di presenza...»), richiamando "le
recenti sentenze n. 215, n. 173 e n.  151  del  2012,  con  le  quali
questa Corte ha  escluso  l'applicabilita'  dei  vincoli  di  cui  al
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78... alle Regioni speciali che - ai
sensi dell'art. 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220  «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato.
Legge di stabilita' 2011» - concordano con lo Stato le modalita'  del
loro concorso agli obiettivi  della  finanza  pubblica".  Secondo  la
Corte,  "tale  lettura  del  dato  normativo  censurato  deve  essere
ribadita nel presente giudizio" e "la questione promossa deve essere,
quindi, dichiarata non fondata, in quanto il comma 22 non si  applica
alle Regioni speciali".
    Accanto a tali considerazioni  per  quanto  riguarda  il  vincolo
posto  (nell'ipotesi  della  diretta  applicazione)  alla   Provincia
stessa, e' poi da aggiungere che  l'art.  1,  comma  5,  se  ritenuto
vincolante per gli altri enti pubblici situati nella provincia  (enti
locali ed enti strumentali), violerebbe l'art. 79, comma  3,  secondo
il quale,  "fermi  restando  gli  obiettivi  complessivi  di  finanza
pubblica, spetta alle province stabilire  gli  obblighi  relativi  al
patto  di  stabilita'  interno  e   provvedere   alle   funzioni   di
coordinamento con riferimento agli enti  locali,  ai  propri  enti  e
organismi strumentali, alle aziende sanitarie, alle  universita'  non
statali...,  alle  camere  di  commercio,  industria,  artigianato  e
agricoltura e agli altri enti od organismi a ordinamento regionale  o
provinciale  finanziati  dalle  stesse  in   via   ordinaria".   Tale
disposizione precisa poi che "non si applicano le misure adottate per
le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale".
    Dunque, lo Stato deve concordare con la  Provincia  il  patto  di
stabilita' e spetta poi ad essa stabilire gli obblighi  "interni"  al
sistema provinciale.
    L'art. 1, comma 5 viola  anche  il  principio  dell'accordo,  che
domina tutto il regime dei rapporti finanziari fra  Stato  e  Regioni
speciali, come risulta da consolidata  giurisprudenza  costituzionale
(v. le sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010).  L'art.
79 dello Statuto e' stato definito in  modo  concordato,  sulla  base
dell'Accordo  di  Milano,  e  a  sua  volta  prevede  una   procedura
concordata per la determinazione degli obblighi relativi al patto  di
stabilita'. L'art. 1, comma 5, pretende di introdurre unilateralmente
un'ulteriore misura di coordinamento finanziario, al di  fuori  degli
strumenti previsti dall'art. 79.
    B) Illegittimita' dell'art. 1, comma 5, in  quanto  norma  avente
contenuto dettagliato.
    A dispetto dell'autoqualificazione operata dall'art. 1, comma  9,
il comma 5  non  ha  affatto  le  caratteristiche  di  una  norma  di
principio di coordinamento finanziario. Esso limita indubbiamente una
voce minuta  di  spesa  e,  inoltre,  non  lascia  alcun  margine  di
svolgimento alle Regioni, ponendo  una  soglia  massima  rigida  alla
spesa annua per studi e incarichi di consulenza.
    L'art. 1, comma 5, rappresenta in sostanza un  aggravamento,  per
gli anni 2014 e 2015, del limite di spesa gia' fissato  dall'art.  6,
comma 7, d.l. 78/2010, e lo stesso art. 6 d.l.  78/2010  dispone  che
«le disposizioni del  presente  articolo  non  si  applicano  in  via
diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio
sanitario  nazionale,  per  i  quali  costituiscono  disposizioni  di
principio ai fini del coordinamento della  finanza  pubblica»  (comma
20).
    Codesta Corte ha poi chiarito - come sopra gia' accennato  -  che
l'art. 6 d.l. 78/2010 vincola le Regioni solo in relazione al  limite
complessivo di  spesa  risultante  dalle  sue  disposizioni,  non  in
relazione alle norme puntuali  in  esso  contenute:  «il  legislatore
statale, con l'art. 6  citato,  ha  mostrato  di  saper  superare  la
tecnica normativa in origine adottata, ai fini del contenimento della
spesa pubblica,  preferendo  agire  direttamente  sulla  spesa  delle
proprie amministrazioni con norme puntuali, delle quali si e'  invece
dichiarata l'efficacia nei  confronti  delle  Regioni  esclusivamente
quali principi di coordinamento della finanza pubblica,  escludendone
l'applicabilita' diretta" (sent. 182/2011, poi confermata dalla sent.
139/2012, che ha inoltre precisato che "la previsione  contenuta  nel
comma 20 dell'art. 6... va intesa nel senso che  le  norme  impugnate
non operano in via diretta, ma solo come disposizioni  di  principio,
anche in riferimento agli enti locali e agli altri enti  e  organismi
che fanno capo agli ordinamenti regionali").
    Dunque, l'art. 1, comma 5, se dovesse essere inteso come fonte di
un dovere puntuale di adeguamento a  carico  della  Provincia,  degli
enti  locali  trentini  e  degli  enti   strumentali   del   relativo
territorio, si porrebbe in contrasto con l'art. 117, comma  3,  Cost.
(in quanto norma di dettaglio  e  non  di  principio  in  materia  di
coordinamento finanziario). Sarebbe inoltre  lesa  l'autonomia  della
Provincia in materia organizzativa (art. 8, n. 1, Statuto o art. 117,
comma 4, Cost., se ritenuto piu' favorevole; art. 16 Statuto,  quanto
al conferimento degli incarichi di studio e consulenza),  l'autonomia
di spesa (art. 119, comma 1, Cost.) e la  competenza  concorrente  in
materia di finanza locale (artt. 80 e 81 St.  e  art.  17  d.lgs.  n.
268/1992).
    Di recente, codesta Corte ha dichiarato l'illegittimita'  di  una
norma avente finalita' di coordinamento finanziario,  in  quanto  non
lasciava "margini di apprezzamento al legislatore locale in  sede  di
sua attuazione" (sent. 263/2013). La sentenza  ha  rilevato  che  "la
norma censurata, stante la sua natura di norma di dettaglio, che  non
lascia margini di apprezzamento al legislatore locale in sede di  sua
attuazione, si pone anche in contrasto con quanto previsto dai  commi
3 e 4 dell'art. 79 del d.P.R. 31 agosto 1972,  n.  670  (Approvazione
del testo unico delle leggi  costituzionali  concernenti  lo  statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige), in base ai quali, per un verso,
si prevede che «Al fine di assicurare il concorso agli  obiettivi  di
finanza pubblica, la regione e le province concordano con il Ministro
dell'economia e delle finanze  gli  obblighi  relativi  al  patto  di
stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire
in ciascun periodo»  e,  per  altro  verso,  si  stabilisce  che  «Le
disposizioni statali relative  [..  .]  al  rispetto  degli  obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non  trovano  applicazione
con riferimento alla regione e alle province [...]. La regione  e  le
province provvedono alle finalita'  di  coordinamento  della  finanza
pubblica  contenute  in  specifiche  disposizioni  legislative  dello
Stato, adeguando la  propria  legislazione  ai  principi  costituenti
limiti ai sensi degli articoli 4 e 5».
    Di  qui  la  conclusione  che  "in   assenza   delle   forme   di
concertazione previste  dall'art.  79,  comma  3,  dello  statuto  di
autonomia  locale,  l'attivita'  di  adeguamento  normativo,  rimessa
secondo i termini  statutari  agli  organi  legislativi  regionali  e
provinciali, non puo' essere ridotta, ove non si  vogliano  intendere
ed  applicare  in  senso  esclusivamente  formale  i  principi  della
autonomia  locale,  alla  mera  sostituzione  della  fonte  normativa
regionale o, in questo caso, provinciale, a quella  statale,  essendo
in  questa  gia'   dettagliatamente   predeterminato   il   contenuto
dell'intervento legislativo decentrato",  e  che  "si  deve,  invece,
prevedere,  nel  rispetto  del   perseguimento   dell'obiettivo   del
contenimento  delle   spese   per   la   gestione   degli   organismi
rappresentativi locali, che  sia  il  legislatore,  in  questo  caso,
provinciale  ad  individuare  gli  specifici  mezzi  ed   ambiti   di
realizzazione dei predetti obiettivi".
    Inoltre, qualora la diretta applicabilita' dell'art. 1, comma  5,
fosse riferita ai diversi  enti  pubblici  situati  in  provincia  di
Trento, risulterebbe violato anche - chiaramente -  l'art.  2  d.lgs.
266/1992  (che  prevede  la  permanenza  in  vigore  della  normativa
provinciale, con il solo obbligo di adeguamento nei  limiti  dovuti),
dato che la  materia  di  riferimento  (coordinamento  della  finanza
pubblica) una materia  di  competenza  concorrente  e  non  esclusiva
statale.
    2) Incostituzionalita' dell'art. 1, comma 8, se applicabile  alla
Provincia.
    L'art. 1, comma 8, stabilisce che "la  Presidenza  del  Consiglio
dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica  e  il  Ministero
dell'economia  e  delle  finanze  -  Dipartimento  della   ragioneria
generale dello Stato dispongono  almeno  una  volta  all'anno  visite
ispettive, a cura dell'Ispettorato per la  funzione  pubblica  e  dei
servizi  ispettivi  di  finanza  del  medesimo   Dipartimento   della
ragioneria generale dello Stato, al fine di  verificare  il  rispetto
dei vincoli finanziari in materia di contenimento della spesa di  cui
al  presente  articolo,  denunciando  alla   Corte   dei   conti   le
irregolarita' riscontrate".
    Quanto all'applicabilita' di tale disposizione alla Provincia  di
Trento, si  rinvia  alle  osservazioni  formulate  nel  punto  1.  Si
aggiunga  che  la  disposizione  si  riferisce  all'intero   contesto
dell'art. 1, che nel suo insieme non sembra destinato  ad  applicarsi
direttamente alle autonomie regionali (per le limitazioni in  materia
di autovetture cfr. la sentenza di codesta Corte n. 144 del 2012).  E
lo stesso tenore complessivo della disposizione lascia pensare che il
potere ispettivo sia riferito alle amministrazioni statali.
    Anche tale impugnazione e' dunque proposta a titolo cautelativo.
    Qualora fosse applicabile alla  Provincia,  l'art.  1,  comma  8,
sarebbe illegittimo, in primo  luogo,  "in  via  conseguenziale",  in
quanto norma volta a  prevedere  un  controllo  sul  rispetto  di  un
vincolo incostituzionale (v. il punto 1).
    Inoltre, esso violerebbe il sistema  dei  rapporti  fra  Stato  e
Provincia, quale risulta delineato dagli artt. 87 e 88  St.  e  dalle
norme di attuazione (v. in particolare il d.P.R. 305/1988). La  legge
statale  non  puo'  introdurre  unilateralmente,   a   carico   della
Provincia, controlli ad opera di organi ministeriali statali, perche'
la materia dei controlli rientra, appunto, nella sfera dei  "rapporti
tra Stato e Provincia", di competenza dello Statuto e delle norme  di
attuazione.
    Cio' e' confermato, in via generale, dalla norma di  chiusura  di
cui all'art. 4 d. lgs. 266/1992, secondo il quale, "nelle materie  di
competenza propria della regione o delle province autonome  la  legge
non puo' attribuire  agli  organi  statali  funzioni  amministrative,
comprese  quelle  di  vigilanza,  di  polizia  amministrativa  e   di
accertamento  di  violazioni  amministrative,   diverse   da   quelle
spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative  norme
di attuazione". Anche in virtu' di tale norma, codesta Corte -  nelle
senti. 182/1997 e 228/1993 - ha  accolto  conflitti  di  attribuzione
sollevati dalle Province autonome nei confronti di atti  ministeriali
ispettivi rivolti alle aziende sanitarie provinciali.
    Con   specifico   riferimento   al   rispetto   degli    obblighi
"finanziari", l'art. 79, co. 4, St. dispone  l'inapplicabilita'  alle
Province autonome delle disposizioni statali  izenerali.  Tutti  tali
parametri sarebbero violati dall'art.  1,  co.  8,  qualora  ritenuto
applicabile alla Provincia.
    Inoltre, l'art. 1, comma 8, nel prevedere "visite  ispettive"  ad
opera   di   organi   ministeriali,   incide   anche   sull'autonomia
organizzativa (art. 8, n. 1, Statuto o art. 117, comma 4,  Cost.,  se
ritenuto  piu'  favorevole)  e   sull'autonomia   finanziaria   della
Provincia (Titolo VI dello Statuto o art. 119 Cost., se ritenuto piu'
favorevole). Queste lesioni sono state riconosciute da codesta  Corte
nella  seni.  219/2013,  che  ha  annullato  una  norma  statale  che
prevedeva un potere ministeriale di vigilanza sugli uffici regionali.
    Risulterebbe infine evidente l'irragionevolezza di  una  siffatta
intromissione nell'autonomia organizzativa, in vista di un  controllo
su specifiche, limitate e complessivamente marginali voci di spesa.
    3) Incostituzionalita' dell'art. 4, comma 10.
    L'art. 4 d.l. 101/2013 reca  disposizioni  volte  a  limitare  il
"precariato" nelle pubbliche amministrazioni, limitando l'utilizzo di
personale temporaneo e favorendo con procedure parzialmente riservate
la "stabilizzazione" di esso. Come visto nel Fatto, l'art. 4  prevede
una stabilizzazione del personale  non  dirigenziale  in  servizio  a
tempo determinato da  almeno  tre  anni,  la  regola  generale  della
preferenza per le relative assunzioni con contratti di lavoro a tempo
parziale, un elenco regionale  speciale  dei  lavoratori  socialmente
utili e dei giovani inoccupati (al fine di favorirne  l'assunzione  a
tempo indeterminato), la proroga dei  contratti  di  lavoro  a  tempo
determinato dei  dipendenti  con  almeno  tre  anni  di  servizio  in
pendenza delle procedure concorsuali di  stabilizzazione  programmate
(commi 6, 7, 8 e 9).
    Il comma 10 dell'art. 4 dispone poi che "le regioni, le  province
autonome e gli enti locali, tenuto conto del loro fabbisogno, attuano
i commi 6, 7, 8 e 9 nel rispetto  dei  principi  e  dei  vincoli  ivi
previsti e tenuto conto dei  criteri  definiti  con  il  decreto  del
Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 5"  (il  quale,
come visto, fissa "criteri di razionale distribuzione  delle  risorse
finanziarie connesse con le  facolta'  assunzionali  delle  pubbliche
amministrazioni").
    In questo caso, non sembra possibile dubitare del fatto che  tale
norma, menzionando  espressamente  le  Province  autonome,  "prevale"
sulla clausola di salvaguardia di  cui  all'art.  12-bis,  risultando
tuttavia costituzionalmente illegittima.
    Infatti, le norme richiamate dall'art. 4, comma 10, non attengono
al  coordinamento  della  finanza  pubblica   ma   all'organizzazione
amministrativa, in quanto riguardano l'accesso  presso  le  pubbliche
amministrazioni (v. le sentt. 235/2010  e  95/2008).  Esse  non  sono
volte a ridurre la spesa per il personale; anzi, cercando di favorire
la stabilizzazione del personale,  possono  produrre  un  aumento  di
quella spesa.
    La materia di riferimento,  dunque,  e'  di  competenza  primaria
della Provincia  ai  sensi  dell'art.  117,  co.  4,  Cost.,  qualora
ritenuto piu' favorevole dell'art. 8, n. 1, St. (in questo  senso  v.
le sentt. 95/2008 e 274/2003). La competenza 'provinciale e', dunque,
soggetta solo ai limiti di cui all'art. 117, co. l, Cost.
    L'art. 4, comma 10, d.l. 101/2013,  invece,  sancisce  il  dovere
delle Province autonome di attuare "i commi 6, 7, 8 e 9 nel  rispetto
dei principi e dei' vincoli ivi previsti e tenuto conto  dei  criteri
definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  di
cui  al  comma  5".  Si  tratta   di   limiti   diversi   da   quelli
costituzionalmente previsti, e dunque illegittimi,  sia  se  riferiti
alla potesta' primaria delle autonomie speciali sia se riferiti  alla
potesta' residuale.
    Venendo ad esaminare  il  contenuto  delle  singole  disposizioni
richiamate dal comma 10, il comma 6 richiede il "rispetto del  limite
finan.ziario fissato  dall'articolo  35,  comma  3-bis,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a garanzia  dell'adeguato  accesso
dall'esterno,  nonche'  dei  vincoli  assunzionali   previsti   dalla
legislazione vigente". Il comma 10, dunque, cerca di  estendere  tali
vincoli  alle  Province  autonome,  che,   pero',   in   materia   di
organizzazione hanno competenza piena (v. sopra) e non sono  soggette
alle singole norme del d. lgs. 165/2001 (v. l'art.  1,  comma  3,  di
esso) ne' ai "vincoli assunzionali", sia in quanto norme di dettaglio
in materia di coordinamento della finanza pubblica (v. sentt. 88/2006
e 390/2004) sia per le ragioni esposte nel  punto  1,  lett.  B)  del
presente ricorso, che vengono qui richiamate.
    Il rinvio a tali vincoli, oltre a ledere l'autonomia  legislativa
della Provincia in  materia  organizzativa,  lede  anche  l'autonomia
amministrativa (art. 16  Statuto  o  art.  118  Cost.),  quanto  alle
procedure regolate dai commi 6-9. l'autonomia di spesa (art. 119, co.
1, Cost.) e - quanto ai vincoli posti a carico degli enti locali - la
competenza concorrente in materia di finanza locale (artt. 79,  comma
3, 80 e 81 St. e art. 17 d. lgs. n. 268/1992).
    Il comma 7  pone  una  preferenza  per  le  "assunzioni  a  tempo
indeterminato con contratti di lavoro a tempo parziale", in relazione
alle procedure di cui al comma 6. Tale norma rappresenta  una  chiara
violazione dell'autonomia provinciale in  materia  organizzativa,  in
quanto si tratta di una regola dettagliata che incide su una  materia
di competenza piena e condiziona l'attivita' amministrativa  relativa
alle assunzioni.
    Il rinvio operato dal comma 10 al comma  9  dell'art.  4  estende
alla Provincia i limiti di cui all'art. 9, comma 28, d.l. 78/2010,  e
anche l'art. 4, comma 9-bis, d.l. 101/2013 presuppone  la  soggezione
della Provincia a quei limiti.
    L'art. 9, comma 28, pero', non si applica alle  Regioni  speciali
che hanno concluso un accordo con lo Stato relativo  al  concorso  al
raggiungimento degli obiettivi  di  finanza  pubblica  (v.  le  sent.
173/2012 e 260/2013),  accordo  che,  nel  caso  della  Provincia  di
Trento, si e' tradotto nella legge 191/2009, modificativa del  Titolo
VI dello Statuto speciale. Dunque, anche sotto tale profilo l'art. 4,
comma 10, risulta illegittimo per le ragioni  esposte  nel  punto  1,
lett. B) del presente ricorso, che vengono qui richiamate.  Il  comma
10 e' poi specificamente illegittimo la' dove richiama i "criteri" di
cui al d.P.C.m. previsto nel comma 5: questo decreto risulta un  atto
sostanzialmente regolamentare, e dunque il comma 10 viola il  divieto
di fonti secondarie statali nelle materie provinciali, nelle quali  i
limiti alla competenza provinciale non possono  essere  posti  da  un
atto sublegislativo (art. 117, comma 6, Cost.  e  art.  2  d.lgs.  n.
266/1992).
 
                               P.Q.M.
 
    Per le esposte ragioni, la Provincia  autonoma  di  Trento,  come
sopra rappresentata e difesa,  chiede  voglia  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale dichiarare l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
1, comma 5 e comma 8, e dell'articolo 4, comma 10, del  decreto-legge
31  agosto  2013,  n.  101,  recante  "Disposizioni  urgenti  per  il
perseguimento di obiettivi di 19  razionalizzazione  nelle  pubbliche
amministrazioni",  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  30
ottobre 2013, n. 125, nelle parti, nei  termini  e  sotto  i  profili
esposti nel presente ricorso.
        Padova-Trento-Roma, 27 dicembre 2013
 
          Prof. avv. Falcon - Avv. Pedrazzoli - Avv. Manzi
 

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