Ricorso n. 4 del 7 gennaio 2014 (Provincia autonoma di Trento)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 7 gennaio 2014 (della Provincia autonoma di Trento).
(GU n. 8 del 12.2.2014)
Ricorso della della Provincia autonoma di Trento (cod. fisc.
…), in persona del Presidente della Giunta provinciale pro
tempore, previa deliberazione della Giunta provinciale 13 dicembre
2013, n. 2574 (doc. 1), e delibera di ratifica del Consiglio
provinciale 18 dicembre 2013, n. 6 (doc. 2), rappresentata e difesa,
come da procura speciale n. rep. 27962 del 17 dicembre 2013 (doc. 3),
rogata dalla dott.ssa Gianna Scopel, Ufficiale rogante della
Provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon (cod. fisc.
…) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc.
…) dell'Avvocatura della Provincia di Trento, e
dall'avv. Luigi Manzi (cod. fisc…) di Roma, con
domicilio eletto presso quest'ultimo in via Confalonieri, n. 5, Roma,
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma
5 e comma 8, nonche' dell'articolo 4, comma 10, del decreto-legge 31
agosto 2013, n. 101, recante «Disposizioni urgenti per il
perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche
amministrazioni», convertito, con modificazioni, dalla legge 30
ottobre 2013, n. 125, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del
30 ottobre 2013, per violazione:
degli articoli 79, 103, 104 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670
(Statuto speciale), nonche' delle correlative norme di attuazione;
del titolo VI dello Statuto speciale, in particolare degli
articoli 79, 80 e 81, e delle relative norme di attuazione (decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 268, in particolare articoli 17, 18 e
19);
degli articoli 8, n. 1), e 16 dello Statuto speciale;
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, in particolare
articoli 2 e 4;
degli articoli 117, terzo, quarto e sesto comma, e 119 della
Costituzione in combinato disposto con l'articolo 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
del principio di ragionevolezza, nei modi e per i profili di
seguito illustrati.
F a t t o
Il decreto-legge n. 101/2013 reca Disposizioni urgenti per il
perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche
amministrazioni.
Il capo I del decreto e' intitolato a sua volta Disposizioni
urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione della
spesa nelle pubbliche amministrazioni e nelle societa' partecipate, e
l'art. 1 detta, in particolare, Disposizioni per l'ulteriore
riduzione della spesa per auto di servizio e consulenze nella
pubblica amministrazione.
Le disposizioni dell'art. 1 che formano oggetto della presente
impugnazione non si rivolgono specificamente alle Province autonome,
e la presente impugnazione ha dunque - come meglio si illustrera' -
carattere cautelativo.
La prima norma impugnata e' posta dal comma 5 dell'art. 1, il
quale stabilisce che «la spesa annua per studi e incarichi di
consulenza, inclusa quella relativa a studi e incarichi di consulenza
conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle amministrazioni
pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) ai sensi dell'art. 1, comma 3, della legge 31
dicembre 2009, n. 196, nonche' dalle autorita' indipendenti e dalla
Commissione nazionale per le societa' e la borsa (CONSOB), escluse le
universita', gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi
equiparati, nonche' gli istituti culturali e gli incarichi di studio
e consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla
regolamentazione del settore finanziario, non puo' essere superiore,
per l'anno 2014, all'80 per cento del limite di spesa per l'anno 2013
e, per l'anno 2015, al 75 per cento dell'anno 2014 cosi' come
determinato dall'applicazione della disposizione di cui al comma 7
dell'articolo 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78[...]».
Si ricorda che l'art. 6, comma 7, del d.l. 78/2010 dispone che,
«al fine di valorizzare le professionalita' interne alle
amministrazioni, a decorrere dall'anno 2011 la spesa annua per studi
ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed
incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta
dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo l
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, incluse le autorita'
indipendenti, escluse le universita', gli enti e le fondazioni di
ricerca e gli organismi equiparati nonche' gli incarichi di studio e
consulenza connessi ai processi di privatizzazione e alla
regolamentazione del settore finanziario, non puo' essere superiore
al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009».
La seconda norma impugnata e' posta dall'art. 1, comma 8, d.l. n.
101/2013, secondo il quale «la Presidenza del Consiglio dei ministri
- Dipartimento della funzione pubblica e il Ministero dell'economia e
delle finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato
dispongono almeno una volta all'anno visite ispettive, a cura
dell'Ispettorato per la funzione pubblica e dei servizi ispettivi di
finanza del medesimo Dipartimento della ragioneria generale dello
Stato, al fine di verificare il rispetto dei vincoli finanziari in
materia di contenimento della spesa di cui al presente articolo,
denunciando alla Corte dei conti le irregolarita' riscontrate».
Per entrambe il comma 9 dell'art. 1 propone un fondamento
dell'intervento statale cosi' operato, disponendo che «le
disposizioni del presente articolo costituiscono norme di diretta
attuazione dell'articolo 97 della Costituzione, nonche' principi di
coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell'articolo 117,
terzo comma, della Costituzione».
La terza disposizione impugnata con il presente ricorso e'
inserita nell'art. 4, che fa sempre parte del capo I del decreto, e
reca Disposizioni urgenti in tema di immissione in servizio di idonei
e vincitori di concorsi, nonche' di limitazioni a proroghe di
contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego. Si
tratta, in particolare, del comma 10 dell'art. 4, il quale dispone
che «le regioni, le province autonome e gli enti locali, tenuto conto
del loro fabbisogno, attuano i commi 6, 7, 8 e 9 nel rispetto dei
principi e dei vincoli ivi previsti e tenuto conto dei criteri
definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di
cui al comma 5» (enfasi aggiunta).
Come si vede, la disposizione - che menziona specificamente le
Province autonome - si riferisce per rinvio ad una serie di ulteriori
disposizioni, il cui contenuto conviene brevemente esaminare.
Il comma 6 dell'art. 4 prevede il bando di procedure concorsuali
riservate a soggetti che abbiano svolto un certo periodo di servizio
a tempo determinato. Precisamente, esso stabilisce che, «a decorrere
dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31
dicembre 2016, al fine di favorire una maggiore e piu' ampia
valorizzazione della professionalita' acquisita dal personale con
contratto di lavoro a tempo determinato e, al contempo, ridurre il
numero dei contratti a termine, le amministrazioni pubbliche possono
bandire, nel rispetto del limite finanziario fissato dall'articolo
35, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a
garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno, nonche' dei vincoli
assunzionali previsti dalla legislazione vigente e, per le
amministrazioni interessate, previo espletamento della procedura di
cui all'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165,... procedure concorsuali, per titoli ed esami, per assunzioni
a tempo indeterminato di personale non dirigenziale riservate
esclusivamente a coloro che sono in possesso dei requisiti di cui
all'articolo 1, commi 519 e 558, della legge 27 dicembre 2006, n.
296, e all'articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n.
244, nonche' a favore di coloro che alla data di pubblicazione della
legge di conversione del presente decreto hanno maturato, negli
ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio con contratto di
lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze
dell'amministrazione che emana il bando, con esclusione, in ogni
caso, dei servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione
degli organi politici».
Il comma 7 dell'art. 4 integra il comma 6, aggiungendo che, "per
meglio realizzare le finalita' del comma 6 sono di norma adottati
bandi per assunzioni a tempo indeterminato con contratti di lavoro a
tempo parziale, salvo diversa motivazione tenuto conto dell'effettivo
fabbisogno di personale e delle risorse finanziarie dedicate". Il
comma 8 prevede invece la possibilita' di assunzione a tempo
indeterminato, senza concorso, di lavoratori (a tempo determinato)
che si trovino in situazioni particolari. Precisamente, esso
stabilisce in primo luogo che, "al fine di favorire l'assunzione a
tempo indeterminato dei lavoratori di cui all'articolo 2, comma 1,
del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81, e di cui
all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n.
280, le regioni predispongono un elenco regionale dei suddetti
lavoratori secondo criteri che contemperano l'anzianita' anagrafica,
l'anzianita' di servizio e i carichi familiari" (enfasi aggiunta).
Stabilisce poi che a decorrere dalla data di entrata in vigore del
d.l. 101/2013 e fino al 31 dicembre 2016, "gli enti territoriali che
hanno vuoti in organico relativamente alle qualifiche di cui
all'articolo 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56,... nel rispetto
del loro fabbisogno e nell'ambito dei vincoli finanziari di cui al
comma 6, procedono, in deroga a quanto disposto dall'articolo 12,
comma 4, del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468,
all'assunzione a tempo indeterminato, anche con contratti di lavoro a
tempo parziale, dei soggetti collocati nell'elenco regionale
indirizzando una specifica richiesta alla Regione competente" (enfasi
aggiunta).
Infine, il comma 9 concede la possibilita' di prorogare alcuni
contratti a tempo determinato per le amministrazioni che hanno
programmato concorsi per posti a tempo indeterminato. Cosi' si
dispone che «le amministrazioni pubbliche che nella programmazione
triennale del fabbisogno di personale di cui all'art. 39, comma 1,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, riferita agli anni dal 2013 al
2016, prevedono di effettuare procedure concorsuali ai sensi
dell'articolo 35, comma 3-bis, lettera a) del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, o ai sensi del comma 6 del presente articolo,
possono prorogare, nel rispetto dei vincoli finanziari previsti dalla
normativa vigente in materia e, in particolare, dei limiti massimi
della spesa annua per la stipula dei contratti a tempo determinato
previsti dall'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78,... i contratti di lavoro a tempo determinato dei soggetti che
hanno maturato, alla data di pubblicazione della legge di conversione
del presente decreto, almeno tre anni di servizio alle proprie
dipendenze". La proroga "puo' essere disposta, in relazione al
proprio effettivo fabbisogno, alle risorse finanziarie disponibili e
ai posti in dotazione organica vacanti, indicati nella programmazione
triennale di cui al precedente periodo, fino al completamento delle
procedure concorsuali e comunque non oltre il 31 dicembre 2016».
Il comma 9-bis aggiunge che, «esclusivamente per le finalita' e
nel rispetto dei vincoli e dei termini di cui al comma 9 del presente
articolo, i limiti previsti dall'articolo 9, comma 28, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,... possono essere derogati
limitatamente alla proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato
stipulati dalle regioni a statuto speciale, nonche' dagli enti
territoriali compresi nel territorio delle stesse, a valere sulle
risorse finanziarie aggiuntive appositamente individuate dalle
medesime regioni attraverso misure di revisione e razionalizzazione
della spesa certificate dagli organi di controllo interno».
L'impugnato art. 4, comma 10, oltre che vincolare, tra l'altro,
le province autonome a quanto disposto dai commi 6-9, le vincola
anche a tenere conto "dei criteri definiti con il decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 5».
Quest'ultimo affida ad un decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica
amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze, la definizione di "criteri di razionale distribuzione delle
risorse finanziarie connesse con le facolta' assunzionali delle
pubbliche amministrazioni", e cio' sempre "al fine di ridurre presso
le medesime pubbliche amministrazioni l'utilizzo dei contratti di
lavoro a tempo determinato, favorire l'avvio di nuove procedure
concorsuali e l'assunzione di coloro che sono collocati in posizione
utile in graduatorie vigenti per concorsi a tempo indeterminato, in
coerenza con il fabbisogno di personale delle pubbliche
amministrazioni e dei principi costituzionali sull'adeguato accesso
dall'esterno».
Tale e' il contenuto delle disposizioni impugnate.
Si noti che il d.l. 101/2013 contiene anche una Norma di
coordinamento per le regioni e per le province autonome. L'art.
12-bis di esso dispone che "le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni
di principio desumibili dal presente decreto ai sensi dell'articolo
117, terzo comma, della Costituzione, dei rispettivi statuti speciali
e delle relative norme di attuazione" (comma 1). Nel comma 2 si
aggiunge che "sono fatte salve le potesta' attribuite alle regioni a
statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano dai
rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione,
nonche' ai sensi degli articoli 2 e 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3".
Si verifichera', in relazione alle singole norme impugnate,
l'idoneita' di tale clausola di salvaguardia ad evitare
l'applicazione delle stesse norme alla Provincia di Trento: ed e'
evidente che, ove esse non risultassero applicabili, verrebbero meno
le ragioni di doglianza.
Nella contraria ipotesi, invece, i sopra illustrati art. 1, commi
5 e 8, e art. 4, comma 10, risultano lesivi delle prerogative
costituzionali della Provincia di Trento, per le seguenti ragioni di
Diritto
1) Incostituzionalita' dell'art. 1, comma 5 (se applicabile alla
Provincia).
Come esposto in narrativa, l'art. 1, comma 5, detta ulteriori
specifiche limitazioni in materia di studi e incarichi di consulenza,
rispetto a quelle gia' stabilite dall'art. 6, comma 7 del d.l. n. 78
del 2010: le quali, per espressa indicazione di legge (art. 6, comma
20), non si applicano direttamente alle Regioni, soggette solo,
secondo la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, al vincolo globale
e complessivo risultante dall'art. 6 (sent. 182/2011).
Neppure l'art. l, comma 5, menziona specificamente le Province
autonome (ne' le Regioni), facendo invece generico riferimento alle
«amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato
della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell'articolo 1, comma 3,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196». Tra esse sono ovviamente
comprese anche le Province autonome, gli enti locali ed i rispettivi
enti strumentali (v. da ultimo l'elenco ISTAT pubblicato nella G.U.
del 30 settembre 2013, n. 229), indicati nell'ambito della sezione
"Amministrazioni locali" e della sezione "Altre Amministrazioni
locali" (quali, tra gli altri, il Museo Castello del Buonconsiglio,
monumenti e collezioni provinciali, il Museo d'arte moderna e
contemporanea di Trento e Rovereto, il Museo degli usi e costumi
della gente trentina, il Museo delle Scienze, Patrimonio del Trentino
S.p.a., e Trentino Riscossione S.p.a.; la Fondazione Bruno Kessler e
la Fondazione Edmund Mach).
Tuttavia, la condizione delle Regioni e delle Province autonome
e' quella che risulta dalle citate clausole dell'art. 12-bis, le
quali definiscono il modo in cui la norma opera nei loro confronti.
Di conseguenza, ai sensi dell'art. 12-bis, vi sara' per le regioni e
per le Province autonome un vincolo di adeguamento "alle disposizioni
di principio desumibili dal presente decreto ai sensi dell'articolo
117, terzo comma, della Costituzione, dei rispettivi statuti speciali
e delle relative norme di attuazione" (comma 1), ferme restando "le
potesta' attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province
autonome di Trento e di Bolzano dai rispettivi statuti speciali e
dalle relative norme di attuazione, nonche' ai sensi degli articoli 2
e 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3": il che, in
pratica, potra' tradursi in un vincolo piu' o meno stretto a seconda
della capacita' delle singole disposizioni di esprimere un principio,
senza che possa a questi fini assumere natura determinante - secondo
l'insegnamento di codesta ecc.ma Corte costituzionale -
l'autoqualificazione operata dall'art. 1, comma 9. Solo in questi
limiti vi sara' per la ricorrente Provincia un vincolo di adeguamento
ai sensi dell'art. 2 d.lgs. n. 266/1992.
In questa situazione, la Provincia autonoma di Trento impugna
l'art. 1, co. 5, solo a titolo cautelativo, per l'ipotesi che si
dovesse ritenere, in ragione del riferimento alle amministrazioni
pubbliche dell'elenco ISTAT, che la disposizione sia direttamente
applicabile nella provincia di Trento e vincoli immediatamente le
Province autonome e gli enti locali e strumentali del rispettivo
territorio.
ln tal caso, infatti, esso risulterebbe costituzionalmente
illegittimo e lesivo delle prerogative costituzionali della
Provincia, sotto diversi profili.
A) Illegittimita' dell'art. 1, comma 5, in quanto contrastante
con l'art. 79 Statuto e con il principio dell'accordo in materia
finanziaria.
L'art. 79 dello Statuto di autonomia disciplina ormai in modo
preciso, esaustivo ed esclusivo le regole secondo le quali le
Province assolvono gli "obblighi di carattere finanziario posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
normativa statale" (comma 1): e - come lo stesso art. 79
esplicitamente precisa - tali regole -possono essere modificate
esclusivamente con la procedura prevista dall'articolo 104", mentre
"fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso
agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma l" (comma 2),
comma 4 ribadisce che "le disposizioni statali relative
all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta'...
non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province
e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente
articolo".
Dunque, se ritenuto vincolante per la Provincia di Trento, l'art.
1, comma 5, violerebbe l'art. 79 e l'art. 104 dello Statuto, in
quanto derogherebbe unilateralmente all'art. 79 senza seguire la
procedura stabilita nell'art. 104.
Ne' si potrebbe ritenere che l'art. 79 riguardi solo il patto di
stabilita' interno ma non escluda la soggezione delle Province ai
principi di coordinamento della finanza pubblica. Questa tesi non
potrebbe essere suffragata dal secondo periodo del comma 4 dell'art.
79, secondo il quale «La regione e le province provvedono alle
finalita' di coordinamento della finanza pubblica contenute in
specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria
legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4
e 5» dello Statuto.
I "principi di coordinamento della finanza pubblica"
costituiscono riferimento alla materia concorrente di cui all'art.
117, terzo comma, Cost., per cui, se il significato del secondo
periodo del comma 4 dell'art. 79 fosse quello di assoggettare le
Province ad essi, non avrebbe senso il riferimento che esso contiene
- invece - ai limiti propri di ciascuna materia provinciale, e dunque
per le competenze primarie ai limiti di cui all'art. 4 dello Statuto.
Proprio tale riferimento convince invece che la disposizione del
comma 4, secondo periodo si riferisce alle norme statali che non
siano direttamente misure di finali: a pubblica ma che abbiano
"finalita' di coordinamento della finanza pubblica": e in relazione a
tali norme mantiene la normale ampiezza della potesta' legislativa
provinciale e i normali rapporti tra legislazione provinciale e
legislazione statale.
Piu' in generale, sia consentito osservare che l'art. 79 contiene
diverse norme, e fra queste solo il comma 3 ed il comma 4, primo
periodo, concernono specificamente il patto di stabilita' interno.
Il senso e lo scopo generale della disposizione sono invece
chiariti dal comma 1, che stabilisce chiaramente che "la regione e le
province concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione
e di solidarieta' e all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli
stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di
stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale" nei modi di
seguito specificati. Dunque, l'art. 79 non intende solo definire il
modo in cui la Provincia e lo Stato determinano "gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di
bilancio da conseguire in ciascun periodo".
Tali obblighi sono essi stessi - in questa prospettiva solo una
delle "modalita' di coordinamento della finanza pubblica" con cui la
Provincia concorre all'assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario (v. art. 79, comma 1. lett. d); ma l'art. 79 prevede
anche le altre modalita' (lett. a), h) e c) del comma 1), che
complessivamente "costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza
pubblica di cui al comma 1" (art. 79, comma 2), tra i quali, appunto,
rientrano gli obiettivi posti - come detto - "dalle altre misure di
coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa
statale".
Dunque, anche all'assolvimento degli obblighi derivanti da tali
"altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla
normativa statale" le Province autonome concorrono (oltre che con le
misure di cui alle lettere a, b e c) "con le modalita' di
coordinamento della finanza pubblica definite al comma 3", ed in
particolare secondo il principio dell'accordo, da esso definito. Ne
consegue che l'art. 79 non riguarda solo il patto di stabilita'
interno e le Province autonome non restano soggette a tutte le norme
statali recanti principi di coordinamento della finanza pubblica.
Tale conclusione e' confermata anche dalla sent. 220/2013, punto
9, che ha dichiarato infondata la questione relativa all'art. 23,
comma 22, d.l. 201/2011 (secondo il quale «La titolarita' di
qualsiasi carica, ufficio o organo di natura elettiva di un ente
territoriale non previsto dalla Costituzione e' a titolo
esclusivamente onorifico e non puo' essere fonte di alcuna forma di
remunerazione, indennita' o gettone di presenza...»), richiamando "le
recenti sentenze n. 215, n. 173 e n. 151 del 2012, con le quali
questa Corte ha escluso l'applicabilita' dei vincoli di cui al
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78... alle Regioni speciali che - ai
sensi dell'art. 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220 «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato.
Legge di stabilita' 2011» - concordano con lo Stato le modalita' del
loro concorso agli obiettivi della finanza pubblica". Secondo la
Corte, "tale lettura del dato normativo censurato deve essere
ribadita nel presente giudizio" e "la questione promossa deve essere,
quindi, dichiarata non fondata, in quanto il comma 22 non si applica
alle Regioni speciali".
Accanto a tali considerazioni per quanto riguarda il vincolo
posto (nell'ipotesi della diretta applicazione) alla Provincia
stessa, e' poi da aggiungere che l'art. 1, comma 5, se ritenuto
vincolante per gli altri enti pubblici situati nella provincia (enti
locali ed enti strumentali), violerebbe l'art. 79, comma 3, secondo
il quale, "fermi restando gli obiettivi complessivi di finanza
pubblica, spetta alle province stabilire gli obblighi relativi al
patto di stabilita' interno e provvedere alle funzioni di
coordinamento con riferimento agli enti locali, ai propri enti e
organismi strumentali, alle aziende sanitarie, alle universita' non
statali..., alle camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura e agli altri enti od organismi a ordinamento regionale o
provinciale finanziati dalle stesse in via ordinaria". Tale
disposizione precisa poi che "non si applicano le misure adottate per
le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale".
Dunque, lo Stato deve concordare con la Provincia il patto di
stabilita' e spetta poi ad essa stabilire gli obblighi "interni" al
sistema provinciale.
L'art. 1, comma 5 viola anche il principio dell'accordo, che
domina tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni
speciali, come risulta da consolidata giurisprudenza costituzionale
(v. le sentt. 82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010). L'art.
79 dello Statuto e' stato definito in modo concordato, sulla base
dell'Accordo di Milano, e a sua volta prevede una procedura
concordata per la determinazione degli obblighi relativi al patto di
stabilita'. L'art. 1, comma 5, pretende di introdurre unilateralmente
un'ulteriore misura di coordinamento finanziario, al di fuori degli
strumenti previsti dall'art. 79.
B) Illegittimita' dell'art. 1, comma 5, in quanto norma avente
contenuto dettagliato.
A dispetto dell'autoqualificazione operata dall'art. 1, comma 9,
il comma 5 non ha affatto le caratteristiche di una norma di
principio di coordinamento finanziario. Esso limita indubbiamente una
voce minuta di spesa e, inoltre, non lascia alcun margine di
svolgimento alle Regioni, ponendo una soglia massima rigida alla
spesa annua per studi e incarichi di consulenza.
L'art. 1, comma 5, rappresenta in sostanza un aggravamento, per
gli anni 2014 e 2015, del limite di spesa gia' fissato dall'art. 6,
comma 7, d.l. 78/2010, e lo stesso art. 6 d.l. 78/2010 dispone che
«le disposizioni del presente articolo non si applicano in via
diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio
sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di
principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica» (comma
20).
Codesta Corte ha poi chiarito - come sopra gia' accennato - che
l'art. 6 d.l. 78/2010 vincola le Regioni solo in relazione al limite
complessivo di spesa risultante dalle sue disposizioni, non in
relazione alle norme puntuali in esso contenute: «il legislatore
statale, con l'art. 6 citato, ha mostrato di saper superare la
tecnica normativa in origine adottata, ai fini del contenimento della
spesa pubblica, preferendo agire direttamente sulla spesa delle
proprie amministrazioni con norme puntuali, delle quali si e' invece
dichiarata l'efficacia nei confronti delle Regioni esclusivamente
quali principi di coordinamento della finanza pubblica, escludendone
l'applicabilita' diretta" (sent. 182/2011, poi confermata dalla sent.
139/2012, che ha inoltre precisato che "la previsione contenuta nel
comma 20 dell'art. 6... va intesa nel senso che le norme impugnate
non operano in via diretta, ma solo come disposizioni di principio,
anche in riferimento agli enti locali e agli altri enti e organismi
che fanno capo agli ordinamenti regionali").
Dunque, l'art. 1, comma 5, se dovesse essere inteso come fonte di
un dovere puntuale di adeguamento a carico della Provincia, degli
enti locali trentini e degli enti strumentali del relativo
territorio, si porrebbe in contrasto con l'art. 117, comma 3, Cost.
(in quanto norma di dettaglio e non di principio in materia di
coordinamento finanziario). Sarebbe inoltre lesa l'autonomia della
Provincia in materia organizzativa (art. 8, n. 1, Statuto o art. 117,
comma 4, Cost., se ritenuto piu' favorevole; art. 16 Statuto, quanto
al conferimento degli incarichi di studio e consulenza), l'autonomia
di spesa (art. 119, comma 1, Cost.) e la competenza concorrente in
materia di finanza locale (artt. 80 e 81 St. e art. 17 d.lgs. n.
268/1992).
Di recente, codesta Corte ha dichiarato l'illegittimita' di una
norma avente finalita' di coordinamento finanziario, in quanto non
lasciava "margini di apprezzamento al legislatore locale in sede di
sua attuazione" (sent. 263/2013). La sentenza ha rilevato che "la
norma censurata, stante la sua natura di norma di dettaglio, che non
lascia margini di apprezzamento al legislatore locale in sede di sua
attuazione, si pone anche in contrasto con quanto previsto dai commi
3 e 4 dell'art. 79 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione
del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige), in base ai quali, per un verso,
si prevede che «Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di
finanza pubblica, la regione e le province concordano con il Ministro
dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di
stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire
in ciascun periodo» e, per altro verso, si stabilisce che «Le
disposizioni statali relative [.. .] al rispetto degli obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione
con riferimento alla regione e alle province [...]. La regione e le
province provvedono alle finalita' di coordinamento della finanza
pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello
Stato, adeguando la propria legislazione ai principi costituenti
limiti ai sensi degli articoli 4 e 5».
Di qui la conclusione che "in assenza delle forme di
concertazione previste dall'art. 79, comma 3, dello statuto di
autonomia locale, l'attivita' di adeguamento normativo, rimessa
secondo i termini statutari agli organi legislativi regionali e
provinciali, non puo' essere ridotta, ove non si vogliano intendere
ed applicare in senso esclusivamente formale i principi della
autonomia locale, alla mera sostituzione della fonte normativa
regionale o, in questo caso, provinciale, a quella statale, essendo
in questa gia' dettagliatamente predeterminato il contenuto
dell'intervento legislativo decentrato", e che "si deve, invece,
prevedere, nel rispetto del perseguimento dell'obiettivo del
contenimento delle spese per la gestione degli organismi
rappresentativi locali, che sia il legislatore, in questo caso,
provinciale ad individuare gli specifici mezzi ed ambiti di
realizzazione dei predetti obiettivi".
Inoltre, qualora la diretta applicabilita' dell'art. 1, comma 5,
fosse riferita ai diversi enti pubblici situati in provincia di
Trento, risulterebbe violato anche - chiaramente - l'art. 2 d.lgs.
266/1992 (che prevede la permanenza in vigore della normativa
provinciale, con il solo obbligo di adeguamento nei limiti dovuti),
dato che la materia di riferimento (coordinamento della finanza
pubblica) una materia di competenza concorrente e non esclusiva
statale.
2) Incostituzionalita' dell'art. 1, comma 8, se applicabile alla
Provincia.
L'art. 1, comma 8, stabilisce che "la Presidenza del Consiglio
dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e il Ministero
dell'economia e delle finanze - Dipartimento della ragioneria
generale dello Stato dispongono almeno una volta all'anno visite
ispettive, a cura dell'Ispettorato per la funzione pubblica e dei
servizi ispettivi di finanza del medesimo Dipartimento della
ragioneria generale dello Stato, al fine di verificare il rispetto
dei vincoli finanziari in materia di contenimento della spesa di cui
al presente articolo, denunciando alla Corte dei conti le
irregolarita' riscontrate".
Quanto all'applicabilita' di tale disposizione alla Provincia di
Trento, si rinvia alle osservazioni formulate nel punto 1. Si
aggiunga che la disposizione si riferisce all'intero contesto
dell'art. 1, che nel suo insieme non sembra destinato ad applicarsi
direttamente alle autonomie regionali (per le limitazioni in materia
di autovetture cfr. la sentenza di codesta Corte n. 144 del 2012). E
lo stesso tenore complessivo della disposizione lascia pensare che il
potere ispettivo sia riferito alle amministrazioni statali.
Anche tale impugnazione e' dunque proposta a titolo cautelativo.
Qualora fosse applicabile alla Provincia, l'art. 1, comma 8,
sarebbe illegittimo, in primo luogo, "in via conseguenziale", in
quanto norma volta a prevedere un controllo sul rispetto di un
vincolo incostituzionale (v. il punto 1).
Inoltre, esso violerebbe il sistema dei rapporti fra Stato e
Provincia, quale risulta delineato dagli artt. 87 e 88 St. e dalle
norme di attuazione (v. in particolare il d.P.R. 305/1988). La legge
statale non puo' introdurre unilateralmente, a carico della
Provincia, controlli ad opera di organi ministeriali statali, perche'
la materia dei controlli rientra, appunto, nella sfera dei "rapporti
tra Stato e Provincia", di competenza dello Statuto e delle norme di
attuazione.
Cio' e' confermato, in via generale, dalla norma di chiusura di
cui all'art. 4 d. lgs. 266/1992, secondo il quale, "nelle materie di
competenza propria della regione o delle province autonome la legge
non puo' attribuire agli organi statali funzioni amministrative,
comprese quelle di vigilanza, di polizia amministrativa e di
accertamento di violazioni amministrative, diverse da quelle
spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le relative norme
di attuazione". Anche in virtu' di tale norma, codesta Corte - nelle
senti. 182/1997 e 228/1993 - ha accolto conflitti di attribuzione
sollevati dalle Province autonome nei confronti di atti ministeriali
ispettivi rivolti alle aziende sanitarie provinciali.
Con specifico riferimento al rispetto degli obblighi
"finanziari", l'art. 79, co. 4, St. dispone l'inapplicabilita' alle
Province autonome delle disposizioni statali izenerali. Tutti tali
parametri sarebbero violati dall'art. 1, co. 8, qualora ritenuto
applicabile alla Provincia.
Inoltre, l'art. 1, comma 8, nel prevedere "visite ispettive" ad
opera di organi ministeriali, incide anche sull'autonomia
organizzativa (art. 8, n. 1, Statuto o art. 117, comma 4, Cost., se
ritenuto piu' favorevole) e sull'autonomia finanziaria della
Provincia (Titolo VI dello Statuto o art. 119 Cost., se ritenuto piu'
favorevole). Queste lesioni sono state riconosciute da codesta Corte
nella seni. 219/2013, che ha annullato una norma statale che
prevedeva un potere ministeriale di vigilanza sugli uffici regionali.
Risulterebbe infine evidente l'irragionevolezza di una siffatta
intromissione nell'autonomia organizzativa, in vista di un controllo
su specifiche, limitate e complessivamente marginali voci di spesa.
3) Incostituzionalita' dell'art. 4, comma 10.
L'art. 4 d.l. 101/2013 reca disposizioni volte a limitare il
"precariato" nelle pubbliche amministrazioni, limitando l'utilizzo di
personale temporaneo e favorendo con procedure parzialmente riservate
la "stabilizzazione" di esso. Come visto nel Fatto, l'art. 4 prevede
una stabilizzazione del personale non dirigenziale in servizio a
tempo determinato da almeno tre anni, la regola generale della
preferenza per le relative assunzioni con contratti di lavoro a tempo
parziale, un elenco regionale speciale dei lavoratori socialmente
utili e dei giovani inoccupati (al fine di favorirne l'assunzione a
tempo indeterminato), la proroga dei contratti di lavoro a tempo
determinato dei dipendenti con almeno tre anni di servizio in
pendenza delle procedure concorsuali di stabilizzazione programmate
(commi 6, 7, 8 e 9).
Il comma 10 dell'art. 4 dispone poi che "le regioni, le province
autonome e gli enti locali, tenuto conto del loro fabbisogno, attuano
i commi 6, 7, 8 e 9 nel rispetto dei principi e dei vincoli ivi
previsti e tenuto conto dei criteri definiti con il decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 5" (il quale,
come visto, fissa "criteri di razionale distribuzione delle risorse
finanziarie connesse con le facolta' assunzionali delle pubbliche
amministrazioni").
In questo caso, non sembra possibile dubitare del fatto che tale
norma, menzionando espressamente le Province autonome, "prevale"
sulla clausola di salvaguardia di cui all'art. 12-bis, risultando
tuttavia costituzionalmente illegittima.
Infatti, le norme richiamate dall'art. 4, comma 10, non attengono
al coordinamento della finanza pubblica ma all'organizzazione
amministrativa, in quanto riguardano l'accesso presso le pubbliche
amministrazioni (v. le sentt. 235/2010 e 95/2008). Esse non sono
volte a ridurre la spesa per il personale; anzi, cercando di favorire
la stabilizzazione del personale, possono produrre un aumento di
quella spesa.
La materia di riferimento, dunque, e' di competenza primaria
della Provincia ai sensi dell'art. 117, co. 4, Cost., qualora
ritenuto piu' favorevole dell'art. 8, n. 1, St. (in questo senso v.
le sentt. 95/2008 e 274/2003). La competenza 'provinciale e', dunque,
soggetta solo ai limiti di cui all'art. 117, co. l, Cost.
L'art. 4, comma 10, d.l. 101/2013, invece, sancisce il dovere
delle Province autonome di attuare "i commi 6, 7, 8 e 9 nel rispetto
dei principi e dei' vincoli ivi previsti e tenuto conto dei criteri
definiti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di
cui al comma 5". Si tratta di limiti diversi da quelli
costituzionalmente previsti, e dunque illegittimi, sia se riferiti
alla potesta' primaria delle autonomie speciali sia se riferiti alla
potesta' residuale.
Venendo ad esaminare il contenuto delle singole disposizioni
richiamate dal comma 10, il comma 6 richiede il "rispetto del limite
finan.ziario fissato dall'articolo 35, comma 3-bis, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a garanzia dell'adeguato accesso
dall'esterno, nonche' dei vincoli assunzionali previsti dalla
legislazione vigente". Il comma 10, dunque, cerca di estendere tali
vincoli alle Province autonome, che, pero', in materia di
organizzazione hanno competenza piena (v. sopra) e non sono soggette
alle singole norme del d. lgs. 165/2001 (v. l'art. 1, comma 3, di
esso) ne' ai "vincoli assunzionali", sia in quanto norme di dettaglio
in materia di coordinamento della finanza pubblica (v. sentt. 88/2006
e 390/2004) sia per le ragioni esposte nel punto 1, lett. B) del
presente ricorso, che vengono qui richiamate.
Il rinvio a tali vincoli, oltre a ledere l'autonomia legislativa
della Provincia in materia organizzativa, lede anche l'autonomia
amministrativa (art. 16 Statuto o art. 118 Cost.), quanto alle
procedure regolate dai commi 6-9. l'autonomia di spesa (art. 119, co.
1, Cost.) e - quanto ai vincoli posti a carico degli enti locali - la
competenza concorrente in materia di finanza locale (artt. 79, comma
3, 80 e 81 St. e art. 17 d. lgs. n. 268/1992).
Il comma 7 pone una preferenza per le "assunzioni a tempo
indeterminato con contratti di lavoro a tempo parziale", in relazione
alle procedure di cui al comma 6. Tale norma rappresenta una chiara
violazione dell'autonomia provinciale in materia organizzativa, in
quanto si tratta di una regola dettagliata che incide su una materia
di competenza piena e condiziona l'attivita' amministrativa relativa
alle assunzioni.
Il rinvio operato dal comma 10 al comma 9 dell'art. 4 estende
alla Provincia i limiti di cui all'art. 9, comma 28, d.l. 78/2010, e
anche l'art. 4, comma 9-bis, d.l. 101/2013 presuppone la soggezione
della Provincia a quei limiti.
L'art. 9, comma 28, pero', non si applica alle Regioni speciali
che hanno concluso un accordo con lo Stato relativo al concorso al
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica (v. le sent.
173/2012 e 260/2013), accordo che, nel caso della Provincia di
Trento, si e' tradotto nella legge 191/2009, modificativa del Titolo
VI dello Statuto speciale. Dunque, anche sotto tale profilo l'art. 4,
comma 10, risulta illegittimo per le ragioni esposte nel punto 1,
lett. B) del presente ricorso, che vengono qui richiamate. Il comma
10 e' poi specificamente illegittimo la' dove richiama i "criteri" di
cui al d.P.C.m. previsto nel comma 5: questo decreto risulta un atto
sostanzialmente regolamentare, e dunque il comma 10 viola il divieto
di fonti secondarie statali nelle materie provinciali, nelle quali i
limiti alla competenza provinciale non possono essere posti da un
atto sublegislativo (art. 117, comma 6, Cost. e art. 2 d.lgs. n.
266/1992).
P.Q.M.
Per le esposte ragioni, la Provincia autonoma di Trento, come
sopra rappresentata e difesa, chiede voglia codesta ecc.ma Corte
costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art.
1, comma 5 e comma 8, e dell'articolo 4, comma 10, del decreto-legge
31 agosto 2013, n. 101, recante "Disposizioni urgenti per il
perseguimento di obiettivi di 19 razionalizzazione nelle pubbliche
amministrazioni", convertito, con modificazioni, dalla legge 30
ottobre 2013, n. 125, nelle parti, nei termini e sotto i profili
esposti nel presente ricorso.
Padova-Trento-Roma, 27 dicembre 2013
Prof. avv. Falcon - Avv. Pedrazzoli - Avv. Manzi