RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 marzo 2006 , n. 40
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 3 marzo 2006 (della Provincia autonoma di Trento)
 
(GU n. 16 del 19-4-2006) 
 
    Ricorso  della  Provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona del
presidente  della  provincia  dott.  Lorenzo  Dellai, autorizzato con
deliberazione  della  giunta  provinciale n. 290 del 17 febbraio 2006
(doc.  41),  rappresentata e difesa - come da procura speciale del 21
febbraio  2006,  rep.  n. 26511, rogata dal dott. Tommaso Sussarellu,
ufficiale   rogante  della  Provincia  (doc.  2)  -  dal  prof.  avv.
Giandomenico Falcon di Padova, dal prof. avv. Franco Mastragostino di
Bologna  e  dall'avv. Luigi Manzi ed elettivamente domiciliata presso
lo studio di quest'ultimo, in Roma, via Confalonieri n. 5;

    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale  delle  seguenti
disposizioni  della  legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria  2006), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29
dicembre  2005  -  Supplemento  ordinario  n. 211 - Legge finanziaria
2006:  art. 1,  commi  da  24  a 26, da 198 a 204, 276, da 282 a 284,
da 483  a 492, per violazione dello Statuto speciale e delle relative
norme  di  attuazione,  come  meglio  si  specifichera' in prosieguo,
nonche'  degli  artt.  3,  97,  117, 118 e 119 della Costituzione, in
collegamento  con  l'art.  10  legge  cost.  n. 3/2001,  nonche'  dei
principi di ragionevolezza e di leale collaborazione.

                              F a t t o

    Con la legge 23 dicembre 2005, n. 266, pubblicata nel Supplemento
ordinario  alla  Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005, sono
state  approvate  le  "Disposizioni  per  la  formazione del bilancio
annuale pluriennale dello Stato (legge Finanziaria 2006)".
    Tale legge contiene, all'art. 1, comma 610, una espressa clausola
di  salvaguardia  per le regioni a statuto speciale e per le province
autonome,  secondo  cui:  "le  disposizioni della presente legge sono
applicabili  nelle  regioni  a  statuto  speciale  e  nelle  Province
autonome  di  Trento  e  Bolzano  compatibilmente  con  le  norme dei
rispettivi statuti".
    Tuttavia, la clausola in questione non e' evidentemente destinata
a  valere  in  relazione  ad  alcune  disposizioni  della  legge, che
espressamente  dispongono  la  propria  applicazione  alla  Provincia
autonoma  di  Trento  e  che  si  pongono, ad avviso della ricorrente
provincia,  in violazione delle competenze riconosciute alle province
autonome  dallo statuto e dalle relative norme di attuazione, nonche'
dal  nuovo  Titolo  V,  parte  seconda della Costituzione; mentre per
altre  non  e'  chiaro  se  esse  siano  o  meno  destinate a trovare
applicazione   anche   in   relazione  alla  provincia,  ed  in  caso
affermativo  violerebbero  anch'esse  le sue prerogative statutarie e
costituzionali.
    Di qui la necessita' della presente impugnazione, per i motivi ed
i profili di seguito indicati.

                            D i r i t t o

    1. - Illegittimita' dell'art. 1, commi da 24 a 26.
    Il   comma   24,   primo   periodo,  prevede  che  per  garantire
"effettivita' alle prescrizioni contenute nel programma di stabilita'
e  crescita presentato all'Unione europea, in attuazione dei principi
di  coordinamento  della  finanza pubblica ... e al fini della tutela
dell'unita'   economica  della  Repubblica  ....  come  principio  di
equilibrio  fra  lo  stock  patrimoniale e i flussi dei trasferimenti
erariali  ... nei confronti degli enti territoriali soggetti al patto
di  stabilita'  interno,  delle  regioni  a  statuto  speciale, delle
province  autonome  ...  i  trasferimenti erariali a qualsiasi titolo
spettanti  sono  ridotti  in misura pari alla differenza fra la spesa
sostenuta  nel  2006  per  l'acquisto da terzi di immobili e la spesa
media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita".
    Il  secondo periodo del medesimo comma dispone che "nei confronti
delle  regioni  e  delle  province  autonome viene operata un'analoga
riduzione sui trasferimenti statali a qualsiasi titolo spettanti".
    Il  comma 25 precisa, poi, che le disposizioni di cui ai commi 23
e 24 non si applicano all'acquisto di immobili da destinare a sedi di
ospedali, ospizi, scuole o asili.
    Innanzitutto  si  osserva  che  non  si  contesta il dovere della
provincia  di partecipazione al contenimento della spesa pubblica: ma
il  fatto  e'  che  per tale finalita' c'e' lo strumento generale del
Patto  di  stabilita'  concordato  fra  province  autonome (e regioni
speciali)  e  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze, che non ha
alcuna  limitazione  finanziaria, con la conseguenza che la norma qui
impugnata,  che  introduce misure di riduzione dei trasferimenti, non
solo  contrasta  con lo statuto ma non corrisponde ad alcuna utilita'
complessiva, se applicata alle province autonome.
    Il  comma  24  sembra,  infatti,  da un lato confermare il regime
diversificato vigente per le province autonome, dall'altro, tuttavia,
richiama  espressamente  le  province  autonome  unitamente agli enti
territoriali  soggetti al patto di stabilita' interno, per sottoporle
alla    specifica   disposizione   comportante   la   riduzione   dei
trasferimenti  erariali,  a  qualsiasi  titolo  spettanti,  in nome -
sembrerebbe di capire - di un principio programmatico di contenimento
degli acquisti immobiliari da parte degli enti pubblici.
    La  disposizione  e' in primo luogo di difficile comprensione. Le
province  autonome  vi  sono citate due volte, prima per disporre una
riduzione   sui   trasferimenti  "erariali",  poi  per  disporre  una
riduzione  "analoga"  sui trasferimenti "statali": in entrambi i casi
"a qualsiasi titolo spettanti".
    Ugualmente  di  difficile comprensione e' il senso del "principio
di  equilibrio tra lo stock patrimoniale e i flussi dei trasferimenti
erariali".  La stessa "differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per
l'acquisto  da  terzi  di  immobili  e  la  spesa media sostenuta nel
precedente  quinquennio  per  la  stessa  finalita"  appare  casuale:
potrebbe  non esserci alcuna differenza, o potrebbe indifferentemente
esserci  un  aumento  o  una  diminuzione  per  circostanze del tutto
accidentali.  Si  puo'  supporre  che parlando di differenza la norma
sottintenda "in aumento", ma gia' si tratta di mera interpretazione.
    Qualunque  sia  - se ve ne e' uno - il suo esatto significato, la
norma   in   questione  appare  indubbiamente  lesiva  dell'autonomia
finanziaria  assicurata  alla  provincia  dallo  statuto e, in quanto
occorra, dall'art. 119 Cost., per una doppia serie di ragioni.
    In primo luogo, i "trasferimenti" statali alla provincia non sono
altro  che  la  realizzazione  delle  norme statutarie: non si tratta
dunque  di  somme  che  lo  Stato possa discrezionalmente decidere di
ridurre  a  proprio  piacere,  ma  della  semplice  attuazione  dello
statuto.  Le  somme spettanti alla provincia non possono dipendere da
qualunque valutazione si voglia dare del trend di spesa relativa agli
immobili,  ne'  la riduzione dei trasferimenti si giustifica ad alcun
altro titolo.
    In  secondo  luogo,  la  disposizione  si presenta anche come una
compressione  delle  possibili  decisioni  di spesa per il futuro. Se
infatti  si ammette che lo Stato possa ridurre i propri trasferimenti
a  seconda della propria valutazione positiva o negativa in relazione
all'oggetto della spesa della provincia, ne risulta un potere statale
di  indirizzo  della  spesa,  che  funziona in modo analogo a vincoli
puntuali  nei  settori di spesa (gia' ritenuti illegittimi da codesta
ecc.ma  Corte costituzionale), e che e' in diretta contraddizione con
il  principio di autonomia delle scelte, a base sia dello statuto che
del sistema costituzionale dell'autonomia finanziaria regionale.
    La  stessa "esenzione" dal calcolo degli immobili "da destinare a
sedi  di  ospedali,  ospizi,  scuole  o asili" costituisce riprova di
quanto  ora  affermato  circa l'interferenza nelle autonome scelte di
spesa  della  provincia,  la cui protezione costituzionale non viene,
dunque,  tenuta  in alcuna considerazione. L'illegittimita' del comma
24  e  della  deroga  "finalizzata"  del  comma  25 si riflette, poi,
sull'illegittimita'  del  comma  26,  che  prevede  la  soggezione al
monitoraggio  del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  delle
operazioni  immobiliari  di cui sopra e gli oneri di trasmissione dei
dati  relativi  ad  acquisti e vendite degli immobili all'Agenzia del
territorio,  con  conseguente  obbligo  di  segnalazione  agli organi
competenti (Corte dei conti) per eventuali responsabilita'.
    Si deve notare che tale disposizione non mira a razionalizzare le
forme   di   vigilanza   sulla   spesa   pubblica,   ma   si  traduce
nell'introduzione  di una forma illegittima di controllo di merito in
capo all'Agenzia del territorio, che oltretutto contrasta apertamente
con  la  disciplina  stabilita dalle norme di attuazione e, nel caso,
con  il  d.P.R.  15 luglio  1988,  n. 305, che disciplina i controlli
della  Corte dei conti sulla provincia e, in particolare, i termini e
le modalita' del controllo di gestione economico-finanziaria.
    In  ogni  caso,  si tratta di oneri di comunicazione arbitrari ed
irrazionali:  e' appena il caso di dire - con riferimento ai presunti
"fini   del  monitoraggio  degli  obiettivi  strutturali  di  manovra
concordati  con  l'Unione  europea" - che in sede comunitaria nessuna
attenzione  specifica  si  pone  alla  questione ... dell'acquisto di
immobili.  Inoltre,  la  "verifica  di  congruita" di cui allo stesso
comma  realizza  una  forma di controllo del tutto avulsa dal sistema
statutario,  ed  una  ingerenza  sulla attivita' amministrativa della
provincia,  in  violazione  anche  dell'art. 4  del d.lgs. n. 266 del
1992.
    Nel  loro insieme, le norme statali di cui ai commi da 24 a 26 si
pongono,  dunque,  in contrasto con il titolo VI del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670, come modificato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386, e
con le relative norme di attuazione; in particolare, con il d.P.R. 15
luglio  1988,  n. 305,  con gli artt. 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992,
n. 266,  con  il  d.lgs.  16 marzo 1992, n. 268, nonche' con l'art. 5
della  legge n. 386/1989 in uno con l'art. 12 del d.lgs. n. 268/1992,
oltre che con il principio di ragionevolezza delle leggi, che codesta
Corte  ha individuato come parametro autonomo di legittimita', quanto
alla  correlazione tra proporzionalita', adeguatezza e ragionevolezza
delle  scelte  del legislatore, in relazione agli obiettivi (sentenza
n. 175/2005 che richiama le precedenti nn. 14/2004 e 272/2004).
    2. - Illegittimita' costituzionale dei commi da 198 a 204.
    I  commi  da  138  a  150  (che  non costituiscono qui oggetto di
impugnazione)  pongono  le regole del patto di stabilita' interno. In
particolare,  per  quanto riguarda le regioni a statuto speciale e le
province  autonome  il  comma  148  detta  una  specifica disciplina,
secondo  la  quale  le autonomie speciali concordano con il Ministero
dell'economia  il  livello  delle spese correnti e in conto capitale,
nonche'   dei  relativi  pagamenti.  Ancora  piu'  specificamente  e'
previsto  che,  per  quanto  riguarda  la  spesa per il personale, si
faccia riferimento a quanto previsto dai punti 7 e 12 dall'Accordo 28
luglio  2005  stipulato in sede di Conferenza unificata: il punto 12,
in  particolare,  include  nel  sistema  dell'accordo  sul  patto  di
stabilita'  la  spesa  per il personale degli enti strumentali e, per
quanto riguarda (fra gli altri) la Provincia di Trento, quella per il
personale.
    Con  riferimento  alla  regioni  a statuto ordinario il comma 198
dispone  che  "le  amministrazioni regionali e gli enti locali di cui
all'art.  2,  commi  1  e  2,  del  testo  unico  di  cui  al decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n. 267, nonche' gli enti del Servizio
sanitario  nazionale,  fermo restando il conseguimento delle economie
di  cui  all'art.  1,  commi 98  e 107, della legge 30 dicembre 2004,
n. 311,  concorrono  alla  realizzazione  degli  obiettivi di finanza
pubblica  adottando  misure  necessarie  a  garantire che le spese di
personale,   al   lordo   degli   oneri   riflessi   a  carico  delle
amministrazioni  e  dell'IRAP,  non  superino per ciascuno degli anni
2006,   2007  e  2008  il  corrispondente  ammontare  dell'anno  2004
diminuito  dell'1  per cento", e che "a tal fine si considerano anche
le  spese  per  il  personale  a  tempo determinato, con contratto di
collaborazione  coordinata  e continuativa, o che presta servizio con
altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni".
    Si   tratta   di  disposizioni  che  appaiono  costituzionalmente
illegittime,   in  quanto  pongono  alle  regioni  vincoli  puntuali,
anziche' vincoli globali, limitandone l'autonomia (v. tra le altre le
sentt.  n. 417 e 449 del 2005): ma la Provincia di Trento, usufruendo
del   particolare   meccanismo   sopra   accennato   e   non  essendo
espressamente  compresa  tra i destinatari del comma 198, non avrebbe
ragioni di lamentare una propria lesione.
    Sennonche',  il  comma  204  stabilisce  che  "alla  verifica del
rispetto  degli adempimenti previsti dal comma 198 si procede, per le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i
comuni  con  popolazione  superiore  a 30.000 abitanti e le comunita'
montane  con  popolazione  superiore a 50.000 abitanti, attraverso il
sistema  di  monitoraggio di cui all'art. 1, comma 30, della legge 30
dicembre  2004,  n. 311, e per gli altri enti destinatari della norma
attraverso   apposita  certificazione,  sottoscritta  dall'organo  di
revisione  contabile,  da  inviare al Ministero dell'economia e delle
finanze,   entro   sessanta   giorni  dalla  chiusura  dell'esercizio
finanziario di riferimento".
    Con  cio'  il  comma  204 non solo sembra intenda applicarsi esso
stesso  anche  alla  Provincia  autonoma  di  Trento, ma sembra anche
presupporre l'applicazione dello stesso comma 198. Il dubbio tuttavia
e'  giustificato,  dal  momento  che  il  comma  148, nel disporre il
peculiare  regime  del patto di stabilita' per le autonomie speciali,
specificamente  vi  include  la  spesa  per il personale, nei termini
previsti  dall'Accordo  sopra  richiamato.  Ove  i  commi  198  e 204
dovessero  considerarsi  applicabili  alla ricorrente provincia, essi
risulterebbero, in relazione ad essa, costituzionalmente illegittimi.
    In  effetti,  i  vincoli  posti dai commi 198 e 204, ove ritenuti
applicabili  alla  ricorrente  provincia  nonostante  le disposizioni
speciali  di  cui  al comma 148, risulterebbero lesivi dell'autonomia
finanziaria  provinciale  sia per le stesse ragioni per le quali essi
sono  comunque  illegittimi anche in relazione alle regioni ordinarie
(v.  le  sentenze  sopra richiamate), sia in quanto posti altresi' in
violazione  delle  regole  statutarie  di cui al Titolo VI del d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670, come modificato dalla legge 30 novembre 1989,
n. 386  ed  alle  relative  norme  d'attuazione  (con riferimento, in
particolare  con gli articoli 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266,
ed  all'art.  10  del  d.lgs.  16 marzo 1992, n. 268, che prevede una
speciale  metodologia  ispirata  alla concertazione paritaria, per la
determinazione  della quota variabile del gettito tributario devoluto
alle  province  autonome  e  con essa per la regolazione dei rapporti
finanziati  delle  stesse  con lo Stato nonche' per il concorso delle
stesse ai generali obiettivi di finanza pubblica).
    Illegittima  sarebbe  anche  l'applicazione  degli stessi vincoli
agli enti locali della Provincia, sia per l'illegittimita' intrinseca
della  regola stessa, sia in quanto tali enti partecipano del sistema
provinciale in cui sono inseriti.
    Per   l'illegittimita'   in   se'   della   regola   valgono   le
considerazioni  gia'  svolte.  Per  la  violazione  della  competenza
provinciale  e  della  collocazione  istituzionale  degli enti locali
della  Provincia  di Trento, sarebbero violati, in particolare l'art.
80,  secondo cui "le province hanno competenza legislativa nei limiti
stabiliti  dall'art.  5,  in materia di finanza locale", e l'art. 81,
secondo  il  quale  "allo  scopo di adeguare le finanze dei comuni al
raggiungimento   delle   finalita'  e  all'esercizio  delle  funzioni
stabilite   dalle   leggi,   le  Province  di  Trento  e  di  Bolzano
corrispondono ai comuni stessi idonei mezzi finanziari, da concordare
fra  il  presidente  della  relativa  provincia ed una rappresentanza
unitaria dei rispettivi comuni": con i connessi 17 e 18 del d.lgs. 16
marzo  1992,  n. 268. In particolare, l'art. 17, terzo comma, dispone
che  "le  province disciplinano con legge i criteri per assicurare un
equilibrato  sviluppo  della  finanza comunale, ivi compresi i limiti
all'assunzione    di    personale,    le    modalita'   del   ricorso
all'indebitamento nonche' le procedure per l'attivita' contrattuale".
    Del  resto, va ricordato che il comma 148 espressamente riconosce
e  stabilisce  che  "per  gli  enti  locali  dei rispettivi territori
provvedono, alle finalita' di cui ai commi da 138 a 150, le regioni a
statuto  speciale  e  le  Province autonome di Trento e di Bolzano ai
sensi  delle competenze alle stesse attribuite dai rispettivi statuti
di  autonomia  e dalle relative norme di attuazione". Le finalita' di
cui  ai  commi  da  138  a  150 sono, ovviamente, quelle del patto di
stabilita':  non  avrebbe  dunque senso che a tali enti si applicasse
anche, direttamente, la regola posta in generale per gli enti locali,
neppure se tale regola fosse legittima.
    L'illegittimita'  costituzionale  del  comma 198, ove inteso come
applicabile   alla   provincia,   si   riflette   sulla   conseguente
illegittimita'  dei  commi  199,  200,  201,  202  e  203,  in quanto
applicativi dei vincoli di cui al 198.
    3.  -  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 276, per
violazione  degli  artt. 9, n. 10 e 16 dello statuto speciale e delle
relative norme di attuazione.
    L'art. 1,  comma  276,  attraverso  la modifica dell'art. 50 d.l.
n. 269/2003  (Disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel
settore  sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie),
introduce   specifiche  sanzioni  amministrative  per  la  mancata  o
incompleta  trasmissione  dei  dati  delle ricette (prevista da norme
previgenti),  e  stabilisce  che  all'accertamento  delle  violazioni
provvede  il  Corpo  della  Guardia di finanza, il quale trasmette il
relativo  rapporto  "alla  direzione  provinciale  dei  servizi  vari
competente  per  territorio,  per  i  conseguenti adempimenti" (nuovi
commi 8-bis, 8-ter e 8-quater).
    Tali  norme  non  si  riferiscono  espressamente  alla ricorrente
provincia,  onde  e'  supponibile  che  esse  - in applicazione delle
regole  poste  dallo  statuto  e  dalle  norme  di  attuazione, ed in
particolare  dalle  disposizioni dell'art. 2 e dell'art. 4 del d.lgs.
n. 266  del  1992, non siano destinate a trovare applicazione nel suo
territorio.  L'impugnazione  ha  dunque  carattere  cautelativo,  per
l'ipotesi che dovesse essere ritenuto diversamente.
    Tali   norme   hanno   carattere   estremamente   dettagliato,  e
attribuiscono puntuali funzioni amministrative (di accertamento delle
violazioni)  in  capo  ad organi dello Stato, nella materia "igiene e
sanita',  ivi  compresa  l'assistenza  sanitaria  e ospedaliera", che
spetta costituzionalmente alla competenza concorrente della provincia
(art. 9,  n. 10,  st.;  art. 2,  comma  2,  d.P.R.  n. 474/1975, come
sostituito dall'art. 1, comma 1. d.P.R. n. 267/1992).
    Le  attribuzioni  della  ricorrente  sono  disconosciute sotto un
duplice   profilo.   In   primo   luogo,  risulta  lesa  la  potesta'
legislativa,  in  quanto  lo  Stato  non  si e' limitato, come invece
avrebbe   dovuto,   a   porre  principi  fondamentali  della  materia
suscettibili  di  essere  sviluppati  dalla legislazione provinciale;
ne',  d'altro  canto,  il  carattere  di  principio  potrebbe  essere
sostenuto argomentando (dalla sent. n. 361/2003) con la necessita' di
tutelare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale il diritto
fondamentale  alla salute, in quanto si tratta, nel presente caso, di
misure sanzionatorie per inadempimenti di carattere amministrativo, a
carico  di  soggetti  integrati  nella  struttura  organizzativa  del
Servizio sanitario provinciale.
    A  cio'  si  aggiunge  che  le norme impugnate ledono le funzioni
amministrative,  che  nel  settore  spettano  alla  provincia,  tanto
secondo  il  disposto  dell'art. 16  st.,  quanto in base all'art. 4,
d.lgs.   n. 266/1992,  per  il  quale  di  regola  nelle  materie  di
competenza  provinciale non possono essere attribuite ad organi dello
Stato  "funzioni  amministrative,  comprese  quelle  di vigilanza, di
polizia    amministrative    e    di   accertamento   di   violazioni
amministrative".   E  giova  ricordare  che  la  provincia  autonoma,
nell'ambito della disciplina contrattuale con i titolari di farmacia,
ha gia' attivato un sistema di monitoraggio assolutamente adeguato.
    4. - Illegittimita' costituzionale dei commi 282, 283 e 284.
    I  commi  282, 283 e 284 rilevano qui nelle parti in cui: vietano
alle  aziende  sanitarie ed ospedaliere di sospendere le prenotazioni
delle  prestazioni  sanitarie  di  cui  al d.P.C.m. 29 novembre 2001;
stabiliscono  che la erogazione delle stesse puo' essere sospesa solo
per  motivi  tecnici,  che  la provincia deve disciplinare dopo avere
sentito  le  associazioni  a  difesa  dei consumatori e degli utenti;
comminano  la  sanzione  amministrativa  da  mille  a seimila euro ai
soggetti  responsabili  della violazione del divieto di sospendere le
prenotazioni;   vincolano  la  provincia  autonoma  ad  applicare  le
sanzioni  "secondo  i  criteri  fissati  dalla Commissione" nazionale
sulla appropriatezza delle prescrizioni: e' questo un organo di nuova
istituzione, la cui nomina e' riservata al Ministro della salute.
    La  Provincia  di Trento desidera sottolineare che essa non mette
certo  in discussione il proprio dovere di assicurare a tutti - e nei
tempi  appropriati  -  le  prestazioni sanitarie c.d. "essenziali": a
cio'  e' tra l'altro tenuta espressamente dal gia' menzionato art. 2,
comma 2, d.P.R. n. 474/1975.
    Le  disposizioni  impugnate sono tuttavia lesive delle competenze
provinciali nella materia "igiene e sanita' ivi compresa l'assistenza
sanitaria e ospedaliera" (art. 9, n. 10, statuto).
    Un   primo  vizio  di  costituzionalita'  colpisce  le  norme  di
carattere   puntuale   e   dettagliato   che   sono  contenute  nelle
disposizioni  descritte  (si  tratta  del  divieto  di  sospendere la
attivita'  di  prenotazione,  che  non  e'  in rapporto di necessaria
strumentalita'  rispetto  al  dovere  di assicurare la prestazione, e
della  descrizione in termini tassativi dell'illecito amministrativo,
con previsione rigida della relativa sanzione). Sono norme alle quali
non  si  puo'  attribuire  la  natura  di principi fondamentali della
materia,  e  che  confliggono  pertanto  con  l'art. 9,  n. 10  dello
statuto.
    La   immediata   applicabilita'   nel   territorio   provinciale,
risultante  dalla  lettera  stessa  delle disposizioni, e' poi lesiva
delle  regole  fissate  dall'art.  2,  comma 1, d.lgs. n. 266/1992 in
ordine  al  rapporto  tra legislazione nazionale e legislazione della
provincia autonoma.
    Un   secondo  vizio  di  costituzionalita'  riguarda  il  vincolo
procedimentale  posto  alla  attivita' regolative della provincia dal
comma  282,  nella  parte  in cui obbliga a sentire le associazioni a
difesa  dei  consumatori  e  degli  utenti  prima  di regolare i casi
eccezionali  di  sospensione delle prestazioni. Poiche' la provincia,
nel  rispetto  della  Costituzione  e  dello  statuto,  e'  libera di
scegliere  il  tipo  di atto mediante il quale normare la materia, la
apposizione  del  vincolo  procedimentale  contestato  risulta lesivo
delle    competenze   provinciali   sul   procedimento   legislativo,
regolamentare  e amministrativo (in particolare l'art. 54, nn. 1, 2 e
3,  l'art. 55, primo comma, nonche' l'art. 31, a sua volta richiamato
dall'art. 49).
    Un ulteriore diverso vizio di legittimita' riguarda la previsione
secondo   cui   l'applicazione  delle  sanzioni  amministrative  deve
avvenire  secondo i criteri stabiliti dalla Commissione nazionale per
l'appropriatezza  delle  prescrizioni.  Non  sussiste  infatti  alcun
titolo  costituzionale  che  consenta  allo Stato di imporsi mediante
questo  strumento  sulla attivita' amministrativa della provincia. Il
limite   dei   principi   fondamentali   della   materia  esclude  la
possibilita'  di  utilizzare  atti  diversi da quelli legislativi; la
previsione  di  una  qualche  potesta'  regolamentare e' vietata allo
Stato  - nelle materie concorrenti e residuali - dall'art. 117, comma
6,  Cost., che la provincia invoca ai sensi dell'art. 10, legge cost.
n. 3/2001;  la  configurazione di una qualche potesta' di indirizzo e
coordinamento  e'  contraria  al sistema risultante dalla riforma del
Titolo   V,   "anche  alla  luce  di  quanto  espressamente  disposto
dall'art. 8,  comma  6,  della  legge  5 giugno 2003, n. 131" (cosi',
decisamente,  la sent. n. 329/2003); in ogni caso, poi, se ai criteri
stabiliti  dalla  Commissione si volesse attribuire la natura di atto
di   indirizzo   e   coordinamento  la  previsione  di  essi  sarebbe
illegittima  per  violazione  delle  regole di cui all'art. 3, d.lgs.
n. 266/1992, e del necessario parere della provincia.
    A  sostegno  della legittimita' della norma in esame non potrebbe
nemmeno  invocarsi  la "chiamata in sussidiarieta" ex art. 118, comma
1,  Cost.:  non  si  vede,  infatti,  quali esigenze unitarie possano
giustificare  la  attrazione  al centro del potere di fissare criteri
per  sanzionare  comportamenti  di  soggetti  che esauriscono la loro
attivita'  all'interno  della organizzazione provinciale del servizio
sanitario.  In  ogni  modo,  anche  in  questo  caso il difetto della
previsione  dell'intesa  con  la  Conferenza Stato-regioni vizierebbe
comunque la norma.
    Il  via  subordinata,  la  provincia  ricorrente  chiede  che sia
dichiarata  la  incostituzionalita',  per violazione del principio di
leale  collaborazione,  dell'art. 1,  comma  283, legge n. 266, nella
parte  in  cui  non  prevede  che  la  Commissione  nazionale  per la
appropriatezza  delle  prestazioni  sia  istituita e sia nominata dal
Ministro  per  la  salute  previa intesa con la Conferenza permanente
Stato-regioni.
    Ammesso  infatti che esigenze unitarie costituzionalmente fondate
consentano  allo  Stato  di  nominare la Commissione, poiche' essa e'
destinata  ad  operare  in  materia di sicura competenza provinciale,
l'intreccio  degli  interessi  impone  che  alla  nomina si addivenga
attraverso  un  modulo  consensuale. Ne' si potrebbe obiettare che la
posizione  delle  autonomie  e'  gia'  garantita  dalla  previsione -
contenuta nella disposizione impugnata - che della Commissione devono
necessariamente  far parte "rappresentanti designati dalla Conferenza
permanente":  poiche'  la  legge  non  fissa  ne' il numero di questi
rappresentanti, ne' il rapporto di essi con le altre componenti della
Commissione, l'intesa della quale si denuncia la mancanza costituisce
l'unico  strumento  mediante  il  quale  alle regioni e alle province
autonome puo' essere riconosciuta una rappresentanza adeguata.
    5.  - Illegittimita' dei commi da 483 a 492 (sulle concessioni di
grandi derivazioni).
    I commi da 483 a 492 dettano una disciplina statale in materia di
grandi concessioni ad uso idroelettrico.
    Conviene premettere che la disciplina delle concessioni di grandi
derivazioni  d'acqua,  per  il territorio della Provincia autonoma di
Trento, si e' evoluta nel tempo nel quadro dello statuto di autonomia
e  delle  relative  norme  di  attuazione. Si tratta, in particolare,
delle norme di attuazione di cui al d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115, e
successive   modificazioni  (trasferimento  del  demanio  e  di  beni
patrimoniali  dello  Stato  alle  Province  autonome  di  Trento e di
Bolzano e alla Regione Trentino-Alto Adige), il d.P.R. 26 marzo 1977,
n. 235  (norme di attuazione in materia di produzione e distribuzione
di  energia  elettrica),  come  integrato  e modificato dal d.lgs. 11
novembre  1999,  n. 463  (norme  di  attuazione in materia di demanio
idrico,  di  concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico,
produzione e distribuzione di energia elettrica).
    Tali norme di attuazione hanno conferito alle province autonome -
sulla  base  del  secondo statuto di autonomia del 1972 (il d.P.R. 31
agosto   1972,   n. 670)  che,  nel  segno  del  rafforzamento  delle
caratteristiche  peculiari  dell'autonomia  attribuisce alla potesta'
legislativa  primaria  della provincia tutte le competenze in materia
ambientale (artt. 8 e 16 st.) e alla potesta' legislativa concorrente
d'utilizzazione   delle   acque  pubbliche  escluse  le  sole  grandi
derivazioni a scopo idroelettrico di rilievo nazionale (artt. 9, n. 9
e  10)  -  un  complesso organico di beni e di funzioni riconducibili
alla   materia   dell'ambiente   e,   specialmente,   alla  tutela  e
all'utilizzo delle acque localizzate sul territorio.
    Il criterio ispiratore di tali norme e la prospettiva nella quale
si  collocano  si basa sulla considerazione che la risorsa acqua e la
gestione delle derivazioni ad uso idroelettrico (e dunque l'energia),
in  ragione  delle  peculiari connotazioni fisiche ed orografiche del
territorio  e  dei riflessi diretti sul suo sviluppo socio-economico,
hanno  assunto  un  valore  essenziale  nella  stessa  configurazione
dell'ordinamento autonomistico della comunita' trentina.
    Il  quadro  statutario  risulta,  cosi'  integrato  con  norme di
attuazione  di  significativa  rilevanza ai fini della ampiezza delle
funzioni  legislative  e amministrative della provincia in materia e,
segnatamente:
        l'art. 8  del  d.P.R. n. 115/1973, come modificato dal d.lgs.
n. 463/1999   dispone   il   trasferimento  alle  province  dei  beni
appartenenti al demanio idrico;
        l'art. 5 del d.P.R. n. 381/1974 in relazione al trasferimento
dei  suddetti  beni  attribuisce  alle  province  tutte  le  funzioni
inerenti  alla  titolarita' del demanio idrico, in particolare quelle
di polizia idraulica e tutela dall'inquinamento;
        l'art.  6  del medesimo d.P.R. prevede: che le derivazioni di
acque,  comprese  le  grandi  derivazioni  di acque pubbliche a scopo
idroelettrico,  siano soggette alle previsioni del Piano generale per
l'utilizzazione  delle  acque  pubbliche  previsto dall'art. 14 dello
statuto  e  disciplinato dall'art. 8 del d.P.R. n. 381/1974; che tali
derivazioni   debbono  garantire  il  deflusso  minimo  vitale  senza
indennizzo  a  favore  dei  concessionari; e che i disciplinari delle
concessioni  di  grandi  derivazioni  in  atto  siano  adeguati  alla
previsioni del Piano;
        l'art. 7 del medesimo d.P.R. delega alle province l'esercizio
delle  funzioni  statali in materia di opere idrauliche di prima e di
seconda categoria;
        l'art. 01  del  d.P.R.  n. 235/1977  dispone il trasferimento
alle  province  delle  funzioni  statali in materia di energia, fermo
restando quanto previsto dal d.P.R. n. 381/1974;
        l'art. 1-bis,  inserito nel 1999, prevede anche in materia di
concessioni  di  grandi  derivazioni  la  delega dell'esercizio delle
funzioni  statali alle province. Tale disposizione prevede, altresi',
all'interno  del  complesso  procedimento individuato per il rilascio
delle  concessioni,  che  le  concessioni  di grande derivazione, ivi
compresi  i  canoni  demaniali di concessione, siano disciplinati con
legge  provinciale  nel  rispetto  dei  principi  della  legislazione
statale  e degli obblighi statutari. La stessa disposizione riconosce
altresi'  il diritto per una azienda provinciale (temporaneamente), o
per le imprese degli enti locali (in via ordinaria), di subentrare ad
Enel nel servizio di distribuzione dell'energia, e riconosce ad esse,
nel caso di confronto concorrenziale, lo stesso titolo di preferenza,
a parita' di condizioni, accordato al concessionario uscente.
    Tali  preferenze  sono  state  considerate  contrarie  al diritto
comunitario  dalla Commissione europea: ma la modifica delle norme di
attuazione per superare tali rilievi e' rimasta bloccata dai dissensi
insorti  da  parte statale sulle competenze provinciali in materia di
energia,  di  grandi  derivazioni,  di  demanio  idrico.  Di  qui  la
necessita' di una autonoma legislazione provinciale rivolta a rendere
compatibile la disciplina con il diritto comunitario, contenuta nelle
leggi  provinciali  n. 10  del  2004  e  n. 17 del 2005: leggi la cui
legittimita' costituzionale e' stata contestata dallo Stato, e per le
quali   pende   il   giudizio   davanti   a   codesta   ecc.ma  Corte
costituzionale.
    In tale quadro e' ulteriormente intervenuta la riforma del Titolo
V  della  Costituzione,  che  ha attribuito alla potesta' concorrente
delle  regioni  la  materia  produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale dell'energia elettrica (e su tale profilo, si puo' rinviare
a  Corte  cost.  n. 8/2004 e n. 383/2005, che hanno riconosciuto alla
provincia  una  potesta'  legislativa piu' ampia di quella attribuita
alle  regioni  a  statuto  speciale  e  alle  province autonome dallo
statuto).
    Cio'  posto,  per  come  e'  letteralmente  formulata la serie di
disposizioni in questione, data anche la clausola di salvaguardia, di
cui  al comma 610, sopra ricordata, si dovrebbe ritenere che le norme
qui  in discussione, avendo carattere generale, non toccano il regime
speciale  disposto  per  le  province  autonome e non si applicano ad
esse.
    Tuttavia, il comma 484 abroga l'art. 16 del d.lgs. n. 79/1999 (la
previgente  disciplina  generale)  che,  come meglio si dira', faceva
salve  le  speciali disposizioni per le province autonome e demandava
ad apposite norme di attuazione la disciplina della materia. Inoltre,
il  comma  492  include anche alle province autonome tra gli enti che
entro  novanta giorni armonizzano i propri ordinamenti alle norme dei
commi da 483 a 491".
    Questo  a prescindere dalla circostanza, peraltro non contestata,
che qualora la legge statale contenesse norme fondamentali di riforma
economico-sociale  (quale puo' essere intesa quella della gara per il
rilascio  di concessioni) essa comporterebbe l'obbligo di adeguamento
ai sensi dello statuto e dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.
    Presupponendo,  quindi,  che il legislatore abbia voluto incidere
sull'ordinamento statutario delle province autonome, le norme statali
sopra  ricordate  sarebbero  lesive,  con la conseguenza che si rende
necessaria la presente impugnazione.
    L'esame  dell'insieme  di  norme  di  cui  al commi da 483 a 492,
dedicati   alle   grandi   derivazioni   idroelettriche  consente  di
individuare diversi blocchi normativi, e precisamente:
        a)  Un gruppo di disposizioni destinate ad applicarsi (se mai
lo  saranno)  "a  regime",  ovvero  dopo  la  scadenza delle proroghe
contestualmente   concesse   da   un   altro   gruppo   delle  stesse
disposizioni.  Questo  primo  gruppo e' formato dai commi 483 (regola
generale  della  gara),  489  (disposizioni particolari per i rami di
azienda),  490 (procedura  di  determinazione  del valore dei rami in
caso di disaccordo);
        b)  Un gruppo di disposizioni che prorogano le concessioni in
essere  e disciplinano gli adempimenti cui la proroga e' subordinata.
Si tratta dei commi 485, 486, 487 e 488.
    In  effetti,  secondo quanto disposto dal comma 485, a condizione
che  siano  stati  effettuati "congrui" interventi di ammodernamento,
esse  sono prorogate di ben dieci anni rispetto alla data di naturale
scadenza.
    Il  comma  487  precisa che "ai fini di quanto previsto dal comma
485,  si  considerano  congrui interventi di ammodernamento tutti gli
interventi,  non  di manutenzione ordinaria o di mera sostituzione di
parti  di impianto non attive, effettuati o da effettuare nel periodo
compreso  fra  il  1° gennaio 1990 e le scadenze previste dalle norme
vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge, i
quali  comportino  un  miglioramento delle prestazioni energetiche ed
ambientali  dell'impianto per una spesa complessiva che, attualizzata
alla  data  di  entrata  in  vigore  della  presente legge sulla base
dell'indice  Eurostat  e rapportata al periodo esaminato, non risulti
inferiore  ad  1  euro  per  ogni MWh di produzione netta media annua
degli  impianti medesimi" (una riduzione ad un terzo e' prevista "per
le concessioni che comprendano impianti di pompaggio").
    Il  comma  488 dispone, a pena di "nullita' della proroga" (sic),
comode    procedure    di   autocertificazione   dell'entita'   degli
investimenti   effettuati   o  in  corso  o  deliberati,  dando  alle
"amministrazioni  competenti"  sei mesi per "verificare la congruita'
degli   investimenti   autocertificati".   Naturalmente  il  "mancato
completamento  nei termini prestabiliti degli investimenti deliberati
o in corso e causa di decadenza della concessione".
    Ancora,  il  comma  486  prevede  un  "canone  aggiuntivo" per le
concessioni  relative anche a beni demaniali delle province autonome,
i  cui  proventi  sono riservati, per la quota piu' consistente, alle
entrate dello Stato, e la quota residuale ai comuni interessati;
        c) Sia le disposizioni del gruppo a) che quelle del gruppo b)
sono  concepite in termini generali, senza specifici riferimenti alla
Provincia  autonoma di Trento; tuttavia l'intento di applicarsi anche
per   essa   -  nonostante  che  le  vigenti  relative  regole  siano
attualmente  disposte  con norme di attuazione dello statuto - sembra
dedursi  dal  comma  484, secondo il quale "e' abrogato l'art. 16 del
decreto  legislativo  16  marzo  1999,  n. 79".  L'articolo abrogato,
infatti,  stabilisce che: "sono fatte salve le prerogative statutarie
della  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta e delle Province autonome di
Trento   e  Bolzano,  secondo  quanto  previsto  ai  commi  15  e  16
dell'art. 2  della  legge  14  novembre  1985,  n. 481",  e  che  "il
necessario  coordinamento  fra  le  norme  del  presente  decreto e i
vigenti  ordinamenti  statutari ... e' demandato ad apposite norme di
attuazione dei relativi statuti ... nonche' al decreto legislativo da
emanare ai sensi dell'art. 12, comma 10 del presente decreto";
        d)  In  generale, poi, secondo il comma 491, "le disposizioni
del  presente  articolo costituiscono norme di competenza legislativa
esclusiva  statale  ai  sensi dell'art. 117, secondo comma lettera e)
della  Costituzione  e  attuano i principi comunitari resi nel parere
motivato della Commissione europea in data 4 gennaio 2004";
        e) Il comma 492 dispone infine, come detto che "entro novanta
giorni  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della presente legge le
regioni  e le province autonome armonizzano i propri ordinamenti alle
norme dei commi da 483 a 491".
    Tale  e'  l'insieme normativo. E' evidente, tuttavia, che la sola
disposizione destinata a non applicarsi prima di dieci anni, e dunque
l'obiettivo essenziale dell'intera disciplina, e' la proroga di tutte
le grandi concessioni di derivazione idroelettrica in corso alla data
di entrata in vigore della legge finanziaria.
    Sia  consentito  innanzitutto  di  rilevare  che l'inserimento in
legge  finanziaria  della  disciplina  delle  concessioni  di  grande
derivazione  e'  avvenuto  inglobando  in blocco lo schema di decreto
legislativo  recante:  "Attuazione  della direttiva 2003/54/CE per la
definizione  della  durata delle concessioni di grande derivazione di
acque  pubbliche  a  scopo idroelettrico". Tale schema, presentato in
data 10 novembre 2005 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha
costituito  oggetto  di  esame  in  sede di istruttoria tecnica della
Conferenza  permanente  per i rapporti Sato-regioni-province autonome
di  cui  al  d.lgs.  n. 281/1998;  rilievi unanimemente negativi sono
stati mossi da parte dei rappresentanti tecnici delle regioni e delle
province.  La  Conferenza Stato-regioni, in data 15 dicembre 2005, ha
preso  atto  del  parere  unanimemente negativo delle regioni e delle
province  autonome: in tale sede, peraltro, si e' preso negativamente
atto  dell'avvenuto  trasferimento  "in  blocco"  del contenuto dello
schema  del  decreto  legislativo. Si noti che il trasferimento dello
schema di decreto nella legge finanziaria dello Stato per l'anno 2006
e' avvenuto senza i necessari adattamenti e senza alcuna modifica fra
quelle proposte in sede di istruttoria tecnica.
    Il  risultato, a parte i rilievi di merito che seguiranno, appare
paradossale gia' sotto il profilo formale. Basti, al riguardo, notare
come  e'  scritto  il  comma  491,  che  recita: "Le disposizioni del
presente  articolo  costituiscono  norme  di  competenza  legislativa
esclusiva  statale  ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e)
della Costituzione ...".
    Apparentemente,  il  legislatore  statale  non si e' accorto che,
date  le  modalita'  di approvazione del "maxiemendamento" alla legge
finanziaria   -   modalita'  che,  sia  detto  per  inciso,  appaiono
gravemente  lesive  dei  principi costituzionali di articolazione che
presiedono  alla formazione delle leggi - la disposizione costituisce
non  piu'  un comma di un articolo specifico del decreto legislativo,
ma un comma dall'articolo unico in cui consiste la legge finanziaria;
ragione  per  cui,  a rigore, si dovrebbe ritenere che l'intera legge
finanziaria  costituirebbe "norme di competenza legislativa esclusiva
statale  ai  sensi  dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera e) della
Costituzione"   -   risultato  ovviamente  assurdo  e  insostenibile.
Tuttavia,  solo  un'operazione interpretativa volonterosa consente di
delimitare  il  richiamo  (che,  come  si  dira',  rimane  ugualmente
ingiustificato) ai commi subito sopra indicati.
    Ci  si  chiede,  gia'  in  termini generali, se sia ammissibile e
costituzionalmente  legittimo  che il legislatore statale emani norme
cosi'  frettolosamente  e irresponsabilmente malformate in materia di
grande  rilevanza  economica,  e  non  solo,  per di piu' cercando di
demolire con esse, come si dira', il complesso sistema costituzionale
delle  relazioni  tra l'ordinamento statale e quello delle autonomie;
ed  inoltre  se  la  denunciata  irrazionalita'  intrinseca di questa
disposizione  non  risulti lesiva anche dell'art. 117, secondo comma,
almeno  nella  parte  in cui autodefinisce come "norme a tutela della
concorrenza" disposizioni indeterminate e indeterminabili.
    Passiamo ora all'esame delle singole norme, esame che consente di
tradurre questa prima considerazione generale in specifiche censure.
    I)  Generale  illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni
impugnate  in  quanto  disciplinano  con legge ordinaria materia gia'
disciplinata  da norme di attuazione dello statuto, ed in difformita'
da tali norme. Specifica illegittimita' dei commi 484 e 492.
    Come  sopra  accennato,  sia l'abrogazione disposta dal comma 484
dell'art. 16   del   d.lgs.   n. 79/1999  (la  previgente  disciplina
generale)  che  faceva salve le speciali disposizioni per le province
autonome  e  demandava  ad apposite norme di attuazione la disciplina
della  materia,  sia l'inclusione, disposta dal comma 492 anche delle
province  autonome tra gli enti che entro novanta giorni "armonizzano
i  propri  ordinamenti  alle norme dei commi da 483 a 491" inducono a
ritenere  che  la  disciplina generale dettata dai commi da 482 a 492
intenda  applicarsi  anche  in  relazione  alla Provincia autonoma di
Trento. Naturalmente, la presente impugnazione non avrebbe ragione di
essere  qualora  si  dovesse  ritenere  che  le  norme statali, ed in
particolare  la proroga delle concessioni in essere da esse disposta,
non sono destinate ad applicarsi nel territorio provinciale.
    Invece,  nella  contraria  ipotesi,  con  norma di semplice legge
ordinaria  si vorrebbe alterare la disciplina disposta dalle norme di
attuazione  e  violare il sistema di competenze da esse stabilito, ed
eliminare le stesse norme di attuazione come necessario meccanismo di
raccordo fra normativa statale ed ordinamenti speciali.
    E'  peraltro un punto fermo della giurisprudenza costituzionale e
della  dottrina costituzionalistica che i decreti di attuazione degli
statuti  speciali  sono  fonti  primarie a competenza riservata; deve
ritenersi,  quindi,  del tutto illegittimo che lo Stato disciplini la
stessa  materia - anche con effetto per la ricorrente provincia - con
legge  ordinaria  abroghi le disposizioni di legge che fanno espresso
rinvio  alle  norme di attuazione dello statuto e con legge ordinaria
disponga  obblighi  di  adeguamento dell'ordinamento provinciale alla
disciplina generale. Ancora, puo' osservarsi che l'art. 16 del d.lgs.
n. 79/1999  e'  norma di natura programmatica e non costituisce fonte
di  legittimazione  delle  norme  di attuazione, che traggono la loro
legittimazione  dall'art.  107  dello statuto; conseguentemente anche
per   questo   profilo   la   sua  abrogazione  appare  di  difficile
comprensione.  In  ogni  caso, e' da escludere che la legge ordinaria
possa  avere  effetti  abrogativi  sul  d.P.R.  n. 235/1977, che, per
quanto  sopra  si  diceva,  si  pone  in  un rango piu' elevato nella
gerarchia delle fonti.
    D'altronde,   la   riconduzione  della  disciplina  di  tutte  le
concessioni  idroelettriche  nel  quadro delle norme di attuazione si
giustifica  pienamente,  considerato  l'inscindibile  intreccio nella
materia, di interessi statali e interessi provinciali.
    Si  noti  che  gli interessi provinciali e la loro rilevanza sono
stati riconosciuti dallo stesso legislatore statale attraverso i vari
atti  di  attuazione dello statuto di specialita', di cui sopra si e'
dato  conto, nei quali alle province autonome sono state riconosciute
svariate funzioni.
    D'altra  parte,  le  derivazioni  di acque per fini idroelettrici
coinvolgono   essenziali   interessi  provinciali,  corrispondenti  a
materie  e  funzioni attribuite a vario titolo alla provincia stessa:
si  pensi al demanio idrico, all'utilizzazione delle acque pubbliche,
all'insieme  di  competenze  riconducibili all'ambiente e alla difesa
del  suolo,  alla gestione e uso del territorio, agli acquedotti e ai
lavori  pubblici di interesse provinciale, alla produzione, trasporto
e  distribuzione  dell'energia,  per  la quale ultima basti citare la
sentenza   di  codesta  Corte  n. 383/2005.  Per  questa  ragione  la
"materia"  costituisce un chiaro esempio di quel settore in cui vi e'
convergenza  e  sovrapposizione  di  una  pluralita'  di  ambiti e di
interessi   in   larghissima   parte   attribuiti   alla   competenza
provinciale.
    Da  cio'  l'esigenza  primaria  - come ripetutamente ricordato da
questa  ecc.ma  Corte - che la legislazione dello Stato vi intervenga
nell'attento  rispetto  del  quadro  statutario  e delle sue norme di
attuazione   dello   Statuto,   che   costituiscono   a   loro  volta
manifestazione  ante  litteram del principio di leale collaborazione:
cio'  a  maggiore  ragione  trattandosi,  come  nel caso presente, di
intervenire  su  materia gia' disciplinata dalle norme di attuazione,
che  hanno  provveduto  al coordinamento tra la potesta' statale e le
competenze provinciali.
    Di   qui   l'illegittimita'   costituzionale  delle  disposizioni
impugnate  in  quanto  disciplinano  con legge ordinaria materia gia'
disciplinata  da norme di attuazione dello Statuto, ed in difformita'
da  tali  norme.  Un  contrasto  evidente  vi  e'  ad  esempio con la
disposizione  dell'art. 6 del d.P.R. n. 115/1973, come modificato dal
d.lgs.  n. 463/1999,  che  prevede:  che  le  derivazioni  di  acque,
comprese   le   grandi   derivazioni   di  acque  pubbliche  a  scopo
idroelettrico,  siano soggette alle previsioni del Piano generale per
l'utilizzazione  delle  acque  pubbliche  previsto dall'art. 14 dello
statuto  e  disciplinato  dall'art.  8  del  d.P.R. n. 381/1974 e con
l'art. 1-bis,   inserito   nel  1999,  che  disposta  in  materia  di
concessioni  di  grandi  derivazioni  la  delega dell'esercizio delle
funzioni  statali  alle  province, prevede, altresi', all'interno del
complesso procedimento individuato per il rilascio delle concessioni,
che  le  concessioni  di  grande  derivazione,  ivi compresi i canoni
demaniali  di  concessione,  siano disciplinati con legge provinciale
nel rispetto dei principi della legislazione statale e degli obblighi
statutari.
    Sono  poi  illegittimi  i commi 484 e 492, in quanto con semplice
legge  ordinaria  determinano  l'applicazione  della disciplina nella
Provincia  di  Trento  e  pongono  alla  provincia  stessa  doveri di
adeguamento  normativo,  addirittura riducendo a 90 giorni il termine
di  adeguamento,  quando  in  base al d.P.R. n. 266/1992 l'obbligo di
adeguamento  delle leggi regionali e provinciali e' stabilito in mesi
sei, con sua conseguente illegittimita' anche sotto questo profilo.
    II)  Specifica  illegittimita'  costituzionale delle disposizioni
che dispongono e disciplinano la proroga decennale delle concessioni.
        a) Illegittimita' intrinseca della proroga.
    Il  comma 485 dispone che "in relazione ai tempi di completamento
del  processo  di liberalizzazione e integrazione europea del mercato
interno   dell'energia   elettrica,  anche  per  quanto  riguarda  la
definizione di principi comuni in materia di concorrenza e parita' di
trattamento   nella   produzione   idroelettrica,   tutte  le  grandi
concessioni  di  derivazione  idroelettrica,  in  corso  alla data di
entrata  in vigore della presente legge, sono prorogate di dieci anni
rispetto alle date di scadenza".
    Ad  avviso  della  ricorrente  provincia, la disposizione risulta
illegittima e lesiva dei suoi interessi sotto diversi profili.
    In  primo luogo, la proroga risulta in contrasto con le procedure
di  gara  previste  dalle norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 235
del 1977, con particolare riferimento all'art. 1-bis. In particolare,
oltre  a disporre con chiarezza la necessita' di bandire le procedure
di  gara  all'ordinaria scadenza della concessione, tale disposizione
prevede  il  diritto  della provincia di apprezzare l'esistenza di un
"prevalente interesse pubblico ad un diverso uso delle acque".
    In  secondo  luogo,  la  proroga  viola  l'autonomia  finanziaria
provinciale,   privandola  dei  maggiori  importi  che  deriverebbero
dall'affidamento   delle  concessioni  -  se  non  vi  fossero  altri
interessi pubblici prevalenti - alle migliori condizioni del mercato,
il  cui  conseguimento,  nonostante  il canone aggiuntivo, ovviamente
reso impossibile dalla proroga.
    In  terzo  luogo, le disposizioni impugnate interferiscono con le
competenze  provinciali  in  violazione  di  quella stessa regola che
secondo  lo Stato dovrebbe fondare la sua competenza, cioe' la regola
della  tutela  della  concorrenza. E' evidente infatti che, al di la'
delle  ambigue parole del comma (la proroga e' disposta "in relazione
ai   tempi  di  completamento  del  processo  di  liberalizzazione  e
integrazione europea del mercato interno dell'energia elettrica"!) la
proroga   per  la  propria  intrinseca  natura  viola  le  regole  di
concorrenza, impedendone il funzionamento.
    In  definitiva, appare palese che le tutela della concorrenza nel
settore  idroelettrico  invocata  dalla  Commissione  e' platealmente
negata  dalle  norme dello Stato, che la pospone di un lasso di tempo
notevolissimo,  con  grave  danno  tanto  per la liberalizzazione del
settore, che per la programmazione economica della provincia, nonche'
in contrasto con le disposizioni comunitarie.
    Che  cio' avvenga in nome della "tutela della concorrenza" appare
persino   provocatorio.  Ad  avviso  della  ricorrente  provincia  e'
evidente  che  la potesta' esclusiva dello Stato in materia di tutela
della  concorrenza a termini dell'art. 117, secondo comma, lettera e)
Cost.,  non  puo'  essere  esercitata  per introdurre norme contrarie
all'instaurazione   di   mercati   concorrenziali  e  alle  politiche
comunitarie  di liberalizzazione. E si noti che non si tratta affatto
soltanto  di una questione europea - questione che pure e' ovviamente
rilevante  -  dal  momento  che  anche  la  concorrenza  tra  imprese
nazionali rimane ugualmente e contestualmente impedita.
    Al  di  la'  di  questo  sul  piano generale, va osservato che la
proroga  si  pone,  nel caso di specie, nelle intenzioni dello Stato,
come   deroga   al   principio   della   concorrenza  concepito  come
compensazione   temporanea   e   limitata  alla  cancellazione  della
preferenza accordata al concessionario uscente dal d.lgs. n. 79/1999.
Con  una  differenza  sostanziale,  pero',  rispetto  alla situazione
vigente nella Provincia di Trento, a fronte della circostanza che nel
d.P.R. n. 235/1977, a differenza del d.lgs. n. 79/1999, le preferenze
da eliminare riguardano sia il concessionario uscente, che le aziende
degli  Enti  locali.  Tuttavia, la deroga al principio di concorrenza
comunque   verrebbe  fatta  operare  indistintamente  nel  territorio
nazionale  e nel territorio del Trentino Alto Adige/Su"dtirol, e cio'
del  tutto  ingiustificatamente  e  sostanzialmente  a  scapito delle
legittime  aspettative  degli  enti  locali di poter subentrare nella
gestione,  se  non  in virtu' della preferenza - che pure ad essi era
riconosciuta  -  in  virtu'  almeno  di procedure competitive di gara
finalmente  attivate. Si tratta di garanzie date alle istituzioni del
Trentino  in  relazione al peculiare assetto degli interessi e quindi
delle  competenze  vigenti  nella  provincia  autonoma,  che si fonda
sull'attuazione  di  specifiche  misure previste nel Pacchetto per il
Trentino.
    Sia consentito qui ricordare - anche stante la connessione con il
giudizio  di  legittimita'  costituzionale della l.p. n. 17 del 2005,
gia'  pendente davanti a codesta ecc.ma Corte costituzionale - che la
rilevata  illegittimita'  della proroga delle concessioni si riflette
anche  su  quelle concessioni per le quali la legge provinciale n. 17
del  2005  ha  gia'  avviato le procedure di rinnovo, essendo esse in
scadenza  al  31 dicembre 2005 (si ricorda, infatti, che in tale data
sono venuti a scadere i termini di tutte le concessioni rilasciate ad
Enel,  sia  nel  Trentino  che  nell'Alto  Adige,  nonche'  di quella
rilasciata  ad Edison per gli impianti di S. Giustina che rappresenta
il piu' grande invaso artificiale del Trentino).
    La  legge  provinciale n. 17 del 2005, infatti, tenendo conto sia
della  mancata emanazione della nuova norma di attuazione statutaria,
sia dei contenuti dello schema del decreto legislativo di adeguamento
ai rilievi comunitari, fissa in modo trasparente rispetto a tutti gli
interessati  le norme per lo svolgimento della procedura di confronto
concorrenziale,  consentendo loro di presentare, entro il 31 dicembre
2005,  le  rispettive  domande,  disponendo  di  un  quadro  chiaro e
coerente  delle norme procedurali a mente della quali sarebbero state
effettuate le istruttorie da parte della provincia.
    La disciplina che la legge provinciale ha introdotto mira, quindi
a   garantire  la  tutela  della  concorrenza,  in  conformita'  alle
osservazioni  mosse  dalla Commissione europea. Non cosi', invece, la
norma statale: essa, infatti, lungi da creare le condizioni di tutela
della concorrenza, mira al solo obiettivo di preservare gli interessi
del  concessionario uscente, che si vede prorogata la concessione per
10  anni, in pratica sino al 31 dicembre 2020 (altri 10 anni rispetto
alla scadenza "naturale" del 31 dicembre 2010).
        b)  Illegittimita' della proroga in relazione alle condizioni
alle quali e' collegata.
    Ugualmente  illegittima  appare  la  proroga con riferimento alle
condizioni alle quali essa e' collegata.
    Da una parte, infatti, il comma 487 collega la proroga automatica
in  larga  parte  ad  interventi  di  ammodernamento  gia'  compiuti,
evidentemente  all'interno  del  quadro  economico  della  precedente
concessione,  attribuendo  arbitrariamente  ad  essi rilevanza per il
mantenimento della concessione.
    Peraltro,  non  puo'  non sottolinearsi che anche per la parte in
cui  questi "congrui interventi di ammodernamento degli impianti" non
siano  gia' stati effettuati in passato, ma siano ancora da attuarsi,
manca  qualsiasi  riferimento  all'ovvia  esigenza  che miglioramenti
delle  "prestazioni ambientali" dell'impianto siano concordate con la
provincia,  che nei settori ambientali interessati ha responsabilita'
e competenza esclusiva.
        c)   Illegittimita'   specifica   del  comma  488  in  quanto
disciplina  le funzioni amministrative di controllo della sussistenza
delle condizioni per la proroga.
    Anche   il   comma  488,  secondo  il  quale  "i  titolari  delle
concessioni,  a pena di nullita' della proroga, autocertificano entro
sei  mesi  dalle  scadenze di cui ai commi precedenti l'entita' degli
investimenti  effettuati  o  in  corso  o  deliberati e forniscono la
relativa  documentazione",  dando  poi  sei mesi alle amministrazioni
competenti  per  la  verificare  della  congruita' degli investimenti
autocertificati,  viola  le  competenze  legislative e amministrative
provinciali   previste  dalle  citate  norme  di  attuazione,  ed  in
particolare  dall'art. 1-bis  del d.P.R. n. 235 del 1977, sia laddove
prevede   gli  adempimenti  a  carico  dei  concessionari,  sia  dove
stabilisce  il  termine  entro il quale la provincia deve compiere le
proprie   verifiche.   Si   tratta   infatti   di  materia  attinente
all'esercizio  di  funzioni  amministrative  provinciali  e spettante
all'autonomia  provinciale,  anche  a  termini  degli artt. 2 e 4 del
d.lgs. n. 266 del 1992 e dell'art. 1-bis, ultimo comma, seconda frase
del  d.P.R.  n. 235  del  1977 (secondo cui "le concessioni di grande
derivazione a scopo idroelettrico, ivi compresi i canoni demaniali di
concessione, sono disciplinati con legge provinciale nel rispetto dei
principi della legislazione statale e degli obblighi comunitari").
        d)  Specifica  illegittimita'  del  comma 486, che prevede un
canone aggiuntivo e la destinazione delle risorse che ne derivano.
    Il  comma  486,  che  prevede  un  canone aggiuntivo, sovverte le
attuali   regole   statutarie   sulle   concessioni   di  derivazione
idroelettrica.  Infatti,  il  demanio  idrico  e' stato integralmente
trasferito   alla   potesta'   legislativa  ed  amministrativa  della
provincia  (si ricorda che il d.P.R. n. 115/1973, come modificato dal
d.lgs.  n. 463/1999,  ha  disposto il trasferimento alle province dei
beni  appartenenti  al  demanio  idrico, comprese le aree fluviali, i
ghiacciai,  i  laghi,  le opere idrauliche e i beni mobili e immobili
strumentali  all'esercizio  delle funzioni conferite relativamente al
demanio  idrico,  mentre  il  d.P.R.  n. 381/1974  ha attribuito alle
province  tutte  le  funzioni  gestorie inerenti alla titolarita' del
demanio  idrico). Inoltre, la disciplina dei canoni e' stata delegata
alla  provincia  dal  comma 16 dell'art 1-bis del d.P.R. n. 235/1977;
oggi  tale  delega  si  intende  assorbita nella potesta' legislativa
derivante dall'art. 117 Cost., terzo comma e dall'art. l0 della legge
cost. n. 3/2001 e non vi e' dubbio che ad essa spettino integralmente
i canoni relativi al demanio idrico trasferito.
    La  norma  impugnata,  invece,  istituisce  un  canone aggiuntivo
unico, da corrispondere per soli quattro anni in relazione all'intera
durata della concessione, i cui importi affluiscono al bilancio dello
Stato  per  i  5/6, mentre per il restante sesto vengono direttamente
attribuiti ai "comuni interessati".
    La  norma  resta  indeterminata in molti suoi elementi, ma per un
unico   profilo   appare   assolutamente  chiara  e,  cioe',  laddove
stabilisce  che  lo  Stato  si  fa illegittimamente retribuire con un
canone  -  aggiuntivo rispetto a quelli gia' esistenti - per l'uso di
un  bene  del demanio provinciale, per l'illegittimo favore che viene
reso all'ente concessionario.
    In  relazione  alla  destinazione  delle  risorse risulta violato
anche l'art. 1-bis, ultimo comma, del d.P.R. n. 235 del 1977, secondo
il  quale  "i proventi derivanti dall'utilizzo delle acque pubbliche,
ivi compresi di canoni demaniali di concessione di grandi derivazioni
a   scopo  idroelettrico,  spettano  alla  provincia  competente  per
territorio".
    III)  Specifica  illegittimita'  costituzionale del comma 491, in
relazione alla autoqualificazione che esso effettua.
    Il  comma  491 afferma che "le disposizioni del presente articolo
costituiscono  norme  di  competenza legislativa esclusiva statale ai
sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione
e  attuano  i  principi  comunitari  resi  nel  parere motivato della
Commissione europea in data 4 gennaio 2004".
    Ora,  a  parte la palese non corrispondenza delle disposizioni in
questione  con  i principi comunitari - che non richiedono certamente
proroghe  delle  concessioni in essere! - la norma risulta, ad avviso
della  ricorrente  provincia,  illegittima  in quanto "autoqualifica"
tali  norme  come  norme di competenza esclusiva statale, mentre tale
qualificazione  non puo' essere "imposta" dal legislatore, essendo un
dato  oggettivo,  soggetto  ad  accertamento  e  verifica da parte di
codesta ecc.ma Corte costituzionale.
    Per la stessa ragione sono state dichiarate illegittime norme che
autoqualificavano    insiemi    di   disposizioni   quali   "principi
fondamentali"  della  materia  (cfr. ad esempio sent. 16 luglio 1991,
n. 349 e sent. Corte cost., 7 novembre 1995, n. 482).
    Cio'  a  prescindere  da  ogni  questione sullo stesso valore del
riparto  di  competenze  tracciato  dall'art.  117, secondo comma, in
relazione alle competenze statutarie della ricorrente provincia.

        
      
                              P. Q. M.
    Chiede voglia codesta Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando  l'illegittimita'  delle disposizioni sopra indicate, nei
termini sopra esposti.
        Padova-Bologna-Roma, addi' 24 febbraio 2006
  Prof. avv. Giandomenico Falcon - Prof. avv. Franco Mastragostino
                         - Avv. Luigi Manzi
 
 

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