Ricorso n. 40 del 3 marzo 2006 (Provincia autonoma di Trento)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 3 marzo 2006 , n. 40
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 3 marzo 2006 (della Provincia autonoma di Trento)
(GU n. 16 del 19-4-2006)
Ricorso della Provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della provincia dott. Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della giunta provinciale n. 290 del 17 febbraio 2006 (doc. 41), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 21 febbraio 2006, rep. n. 26511, rogata dal dott. Tommaso Sussarellu, ufficiale rogante della Provincia (doc. 2) - dal prof. avv. Giandomenico Falcon di Padova, dal prof. avv. Franco Mastragostino di Bologna e dall'avv. Luigi Manzi ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo, in Roma, via Confalonieri n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005 - Supplemento ordinario n. 211 - Legge finanziaria 2006: art. 1, commi da 24 a 26, da 198 a 204, 276, da 282 a 284, da 483 a 492, per violazione dello Statuto speciale e delle relative norme di attuazione, come meglio si specifichera' in prosieguo, nonche' degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, in collegamento con l'art. 10 legge cost. n. 3/2001, nonche' dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione. F a t t o Con la legge 23 dicembre 2005, n. 266, pubblicata nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005, sono state approvate le "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale pluriennale dello Stato (legge Finanziaria 2006)". Tale legge contiene, all'art. 1, comma 610, una espressa clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e per le province autonome, secondo cui: "le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti". Tuttavia, la clausola in questione non e' evidentemente destinata a valere in relazione ad alcune disposizioni della legge, che espressamente dispongono la propria applicazione alla Provincia autonoma di Trento e che si pongono, ad avviso della ricorrente provincia, in violazione delle competenze riconosciute alle province autonome dallo statuto e dalle relative norme di attuazione, nonche' dal nuovo Titolo V, parte seconda della Costituzione; mentre per altre non e' chiaro se esse siano o meno destinate a trovare applicazione anche in relazione alla provincia, ed in caso affermativo violerebbero anch'esse le sue prerogative statutarie e costituzionali. Di qui la necessita' della presente impugnazione, per i motivi ed i profili di seguito indicati. D i r i t t o 1. - Illegittimita' dell'art. 1, commi da 24 a 26. Il comma 24, primo periodo, prevede che per garantire "effettivita' alle prescrizioni contenute nel programma di stabilita' e crescita presentato all'Unione europea, in attuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica ... e al fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica .... come principio di equilibrio fra lo stock patrimoniale e i flussi dei trasferimenti erariali ... nei confronti degli enti territoriali soggetti al patto di stabilita' interno, delle regioni a statuto speciale, delle province autonome ... i trasferimenti erariali a qualsiasi titolo spettanti sono ridotti in misura pari alla differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita". Il secondo periodo del medesimo comma dispone che "nei confronti delle regioni e delle province autonome viene operata un'analoga riduzione sui trasferimenti statali a qualsiasi titolo spettanti". Il comma 25 precisa, poi, che le disposizioni di cui ai commi 23 e 24 non si applicano all'acquisto di immobili da destinare a sedi di ospedali, ospizi, scuole o asili. Innanzitutto si osserva che non si contesta il dovere della provincia di partecipazione al contenimento della spesa pubblica: ma il fatto e' che per tale finalita' c'e' lo strumento generale del Patto di stabilita' concordato fra province autonome (e regioni speciali) e Ministero dell'economia e delle finanze, che non ha alcuna limitazione finanziaria, con la conseguenza che la norma qui impugnata, che introduce misure di riduzione dei trasferimenti, non solo contrasta con lo statuto ma non corrisponde ad alcuna utilita' complessiva, se applicata alle province autonome. Il comma 24 sembra, infatti, da un lato confermare il regime diversificato vigente per le province autonome, dall'altro, tuttavia, richiama espressamente le province autonome unitamente agli enti territoriali soggetti al patto di stabilita' interno, per sottoporle alla specifica disposizione comportante la riduzione dei trasferimenti erariali, a qualsiasi titolo spettanti, in nome - sembrerebbe di capire - di un principio programmatico di contenimento degli acquisti immobiliari da parte degli enti pubblici. La disposizione e' in primo luogo di difficile comprensione. Le province autonome vi sono citate due volte, prima per disporre una riduzione sui trasferimenti "erariali", poi per disporre una riduzione "analoga" sui trasferimenti "statali": in entrambi i casi "a qualsiasi titolo spettanti". Ugualmente di difficile comprensione e' il senso del "principio di equilibrio tra lo stock patrimoniale e i flussi dei trasferimenti erariali". La stessa "differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita" appare casuale: potrebbe non esserci alcuna differenza, o potrebbe indifferentemente esserci un aumento o una diminuzione per circostanze del tutto accidentali. Si puo' supporre che parlando di differenza la norma sottintenda "in aumento", ma gia' si tratta di mera interpretazione. Qualunque sia - se ve ne e' uno - il suo esatto significato, la norma in questione appare indubbiamente lesiva dell'autonomia finanziaria assicurata alla provincia dallo statuto e, in quanto occorra, dall'art. 119 Cost., per una doppia serie di ragioni. In primo luogo, i "trasferimenti" statali alla provincia non sono altro che la realizzazione delle norme statutarie: non si tratta dunque di somme che lo Stato possa discrezionalmente decidere di ridurre a proprio piacere, ma della semplice attuazione dello statuto. Le somme spettanti alla provincia non possono dipendere da qualunque valutazione si voglia dare del trend di spesa relativa agli immobili, ne' la riduzione dei trasferimenti si giustifica ad alcun altro titolo. In secondo luogo, la disposizione si presenta anche come una compressione delle possibili decisioni di spesa per il futuro. Se infatti si ammette che lo Stato possa ridurre i propri trasferimenti a seconda della propria valutazione positiva o negativa in relazione all'oggetto della spesa della provincia, ne risulta un potere statale di indirizzo della spesa, che funziona in modo analogo a vincoli puntuali nei settori di spesa (gia' ritenuti illegittimi da codesta ecc.ma Corte costituzionale), e che e' in diretta contraddizione con il principio di autonomia delle scelte, a base sia dello statuto che del sistema costituzionale dell'autonomia finanziaria regionale. La stessa "esenzione" dal calcolo degli immobili "da destinare a sedi di ospedali, ospizi, scuole o asili" costituisce riprova di quanto ora affermato circa l'interferenza nelle autonome scelte di spesa della provincia, la cui protezione costituzionale non viene, dunque, tenuta in alcuna considerazione. L'illegittimita' del comma 24 e della deroga "finalizzata" del comma 25 si riflette, poi, sull'illegittimita' del comma 26, che prevede la soggezione al monitoraggio del Ministero dell'economia e delle finanze delle operazioni immobiliari di cui sopra e gli oneri di trasmissione dei dati relativi ad acquisti e vendite degli immobili all'Agenzia del territorio, con conseguente obbligo di segnalazione agli organi competenti (Corte dei conti) per eventuali responsabilita'. Si deve notare che tale disposizione non mira a razionalizzare le forme di vigilanza sulla spesa pubblica, ma si traduce nell'introduzione di una forma illegittima di controllo di merito in capo all'Agenzia del territorio, che oltretutto contrasta apertamente con la disciplina stabilita dalle norme di attuazione e, nel caso, con il d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305, che disciplina i controlli della Corte dei conti sulla provincia e, in particolare, i termini e le modalita' del controllo di gestione economico-finanziaria. In ogni caso, si tratta di oneri di comunicazione arbitrari ed irrazionali: e' appena il caso di dire - con riferimento ai presunti "fini del monitoraggio degli obiettivi strutturali di manovra concordati con l'Unione europea" - che in sede comunitaria nessuna attenzione specifica si pone alla questione ... dell'acquisto di immobili. Inoltre, la "verifica di congruita" di cui allo stesso comma realizza una forma di controllo del tutto avulsa dal sistema statutario, ed una ingerenza sulla attivita' amministrativa della provincia, in violazione anche dell'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992. Nel loro insieme, le norme statali di cui ai commi da 24 a 26 si pongono, dunque, in contrasto con il titolo VI del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, come modificato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386, e con le relative norme di attuazione; in particolare, con il d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305, con gli artt. 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, con il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, nonche' con l'art. 5 della legge n. 386/1989 in uno con l'art. 12 del d.lgs. n. 268/1992, oltre che con il principio di ragionevolezza delle leggi, che codesta Corte ha individuato come parametro autonomo di legittimita', quanto alla correlazione tra proporzionalita', adeguatezza e ragionevolezza delle scelte del legislatore, in relazione agli obiettivi (sentenza n. 175/2005 che richiama le precedenti nn. 14/2004 e 272/2004). 2. - Illegittimita' costituzionale dei commi da 198 a 204. I commi da 138 a 150 (che non costituiscono qui oggetto di impugnazione) pongono le regole del patto di stabilita' interno. In particolare, per quanto riguarda le regioni a statuto speciale e le province autonome il comma 148 detta una specifica disciplina, secondo la quale le autonomie speciali concordano con il Ministero dell'economia il livello delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti. Ancora piu' specificamente e' previsto che, per quanto riguarda la spesa per il personale, si faccia riferimento a quanto previsto dai punti 7 e 12 dall'Accordo 28 luglio 2005 stipulato in sede di Conferenza unificata: il punto 12, in particolare, include nel sistema dell'accordo sul patto di stabilita' la spesa per il personale degli enti strumentali e, per quanto riguarda (fra gli altri) la Provincia di Trento, quella per il personale. Con riferimento alla regioni a statuto ordinario il comma 198 dispone che "le amministrazioni regionali e gli enti locali di cui all'art. 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' gli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all'art. 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento", e che "a tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni". Si tratta di disposizioni che appaiono costituzionalmente illegittime, in quanto pongono alle regioni vincoli puntuali, anziche' vincoli globali, limitandone l'autonomia (v. tra le altre le sentt. n. 417 e 449 del 2005): ma la Provincia di Trento, usufruendo del particolare meccanismo sopra accennato e non essendo espressamente compresa tra i destinatari del comma 198, non avrebbe ragioni di lamentare una propria lesione. Sennonche', il comma 204 stabilisce che "alla verifica del rispetto degli adempimenti previsti dal comma 198 si procede, per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, le province, i comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti e le comunita' montane con popolazione superiore a 50.000 abitanti, attraverso il sistema di monitoraggio di cui all'art. 1, comma 30, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e per gli altri enti destinatari della norma attraverso apposita certificazione, sottoscritta dall'organo di revisione contabile, da inviare al Ministero dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla chiusura dell'esercizio finanziario di riferimento". Con cio' il comma 204 non solo sembra intenda applicarsi esso stesso anche alla Provincia autonoma di Trento, ma sembra anche presupporre l'applicazione dello stesso comma 198. Il dubbio tuttavia e' giustificato, dal momento che il comma 148, nel disporre il peculiare regime del patto di stabilita' per le autonomie speciali, specificamente vi include la spesa per il personale, nei termini previsti dall'Accordo sopra richiamato. Ove i commi 198 e 204 dovessero considerarsi applicabili alla ricorrente provincia, essi risulterebbero, in relazione ad essa, costituzionalmente illegittimi. In effetti, i vincoli posti dai commi 198 e 204, ove ritenuti applicabili alla ricorrente provincia nonostante le disposizioni speciali di cui al comma 148, risulterebbero lesivi dell'autonomia finanziaria provinciale sia per le stesse ragioni per le quali essi sono comunque illegittimi anche in relazione alle regioni ordinarie (v. le sentenze sopra richiamate), sia in quanto posti altresi' in violazione delle regole statutarie di cui al Titolo VI del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, come modificato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386 ed alle relative norme d'attuazione (con riferimento, in particolare con gli articoli 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, ed all'art. 10 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, che prevede una speciale metodologia ispirata alla concertazione paritaria, per la determinazione della quota variabile del gettito tributario devoluto alle province autonome e con essa per la regolazione dei rapporti finanziati delle stesse con lo Stato nonche' per il concorso delle stesse ai generali obiettivi di finanza pubblica). Illegittima sarebbe anche l'applicazione degli stessi vincoli agli enti locali della Provincia, sia per l'illegittimita' intrinseca della regola stessa, sia in quanto tali enti partecipano del sistema provinciale in cui sono inseriti. Per l'illegittimita' in se' della regola valgono le considerazioni gia' svolte. Per la violazione della competenza provinciale e della collocazione istituzionale degli enti locali della Provincia di Trento, sarebbero violati, in particolare l'art. 80, secondo cui "le province hanno competenza legislativa nei limiti stabiliti dall'art. 5, in materia di finanza locale", e l'art. 81, secondo il quale "allo scopo di adeguare le finanze dei comuni al raggiungimento delle finalita' e all'esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, le Province di Trento e di Bolzano corrispondono ai comuni stessi idonei mezzi finanziari, da concordare fra il presidente della relativa provincia ed una rappresentanza unitaria dei rispettivi comuni": con i connessi 17 e 18 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268. In particolare, l'art. 17, terzo comma, dispone che "le province disciplinano con legge i criteri per assicurare un equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi compresi i limiti all'assunzione di personale, le modalita' del ricorso all'indebitamento nonche' le procedure per l'attivita' contrattuale". Del resto, va ricordato che il comma 148 espressamente riconosce e stabilisce che "per gli enti locali dei rispettivi territori provvedono, alle finalita' di cui ai commi da 138 a 150, le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi delle competenze alle stesse attribuite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione". Le finalita' di cui ai commi da 138 a 150 sono, ovviamente, quelle del patto di stabilita': non avrebbe dunque senso che a tali enti si applicasse anche, direttamente, la regola posta in generale per gli enti locali, neppure se tale regola fosse legittima. L'illegittimita' costituzionale del comma 198, ove inteso come applicabile alla provincia, si riflette sulla conseguente illegittimita' dei commi 199, 200, 201, 202 e 203, in quanto applicativi dei vincoli di cui al 198. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 276, per violazione degli artt. 9, n. 10 e 16 dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione. L'art. 1, comma 276, attraverso la modifica dell'art. 50 d.l. n. 269/2003 (Disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel settore sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie), introduce specifiche sanzioni amministrative per la mancata o incompleta trasmissione dei dati delle ricette (prevista da norme previgenti), e stabilisce che all'accertamento delle violazioni provvede il Corpo della Guardia di finanza, il quale trasmette il relativo rapporto "alla direzione provinciale dei servizi vari competente per territorio, per i conseguenti adempimenti" (nuovi commi 8-bis, 8-ter e 8-quater). Tali norme non si riferiscono espressamente alla ricorrente provincia, onde e' supponibile che esse - in applicazione delle regole poste dallo statuto e dalle norme di attuazione, ed in particolare dalle disposizioni dell'art. 2 e dell'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, non siano destinate a trovare applicazione nel suo territorio. L'impugnazione ha dunque carattere cautelativo, per l'ipotesi che dovesse essere ritenuto diversamente. Tali norme hanno carattere estremamente dettagliato, e attribuiscono puntuali funzioni amministrative (di accertamento delle violazioni) in capo ad organi dello Stato, nella materia "igiene e sanita', ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera", che spetta costituzionalmente alla competenza concorrente della provincia (art. 9, n. 10, st.; art. 2, comma 2, d.P.R. n. 474/1975, come sostituito dall'art. 1, comma 1. d.P.R. n. 267/1992). Le attribuzioni della ricorrente sono disconosciute sotto un duplice profilo. In primo luogo, risulta lesa la potesta' legislativa, in quanto lo Stato non si e' limitato, come invece avrebbe dovuto, a porre principi fondamentali della materia suscettibili di essere sviluppati dalla legislazione provinciale; ne', d'altro canto, il carattere di principio potrebbe essere sostenuto argomentando (dalla sent. n. 361/2003) con la necessita' di tutelare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale il diritto fondamentale alla salute, in quanto si tratta, nel presente caso, di misure sanzionatorie per inadempimenti di carattere amministrativo, a carico di soggetti integrati nella struttura organizzativa del Servizio sanitario provinciale. A cio' si aggiunge che le norme impugnate ledono le funzioni amministrative, che nel settore spettano alla provincia, tanto secondo il disposto dell'art. 16 st., quanto in base all'art. 4, d.lgs. n. 266/1992, per il quale di regola nelle materie di competenza provinciale non possono essere attribuite ad organi dello Stato "funzioni amministrative, comprese quelle di vigilanza, di polizia amministrative e di accertamento di violazioni amministrative". E giova ricordare che la provincia autonoma, nell'ambito della disciplina contrattuale con i titolari di farmacia, ha gia' attivato un sistema di monitoraggio assolutamente adeguato. 4. - Illegittimita' costituzionale dei commi 282, 283 e 284. I commi 282, 283 e 284 rilevano qui nelle parti in cui: vietano alle aziende sanitarie ed ospedaliere di sospendere le prenotazioni delle prestazioni sanitarie di cui al d.P.C.m. 29 novembre 2001; stabiliscono che la erogazione delle stesse puo' essere sospesa solo per motivi tecnici, che la provincia deve disciplinare dopo avere sentito le associazioni a difesa dei consumatori e degli utenti; comminano la sanzione amministrativa da mille a seimila euro ai soggetti responsabili della violazione del divieto di sospendere le prenotazioni; vincolano la provincia autonoma ad applicare le sanzioni "secondo i criteri fissati dalla Commissione" nazionale sulla appropriatezza delle prescrizioni: e' questo un organo di nuova istituzione, la cui nomina e' riservata al Ministro della salute. La Provincia di Trento desidera sottolineare che essa non mette certo in discussione il proprio dovere di assicurare a tutti - e nei tempi appropriati - le prestazioni sanitarie c.d. "essenziali": a cio' e' tra l'altro tenuta espressamente dal gia' menzionato art. 2, comma 2, d.P.R. n. 474/1975. Le disposizioni impugnate sono tuttavia lesive delle competenze provinciali nella materia "igiene e sanita' ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera" (art. 9, n. 10, statuto). Un primo vizio di costituzionalita' colpisce le norme di carattere puntuale e dettagliato che sono contenute nelle disposizioni descritte (si tratta del divieto di sospendere la attivita' di prenotazione, che non e' in rapporto di necessaria strumentalita' rispetto al dovere di assicurare la prestazione, e della descrizione in termini tassativi dell'illecito amministrativo, con previsione rigida della relativa sanzione). Sono norme alle quali non si puo' attribuire la natura di principi fondamentali della materia, e che confliggono pertanto con l'art. 9, n. 10 dello statuto. La immediata applicabilita' nel territorio provinciale, risultante dalla lettera stessa delle disposizioni, e' poi lesiva delle regole fissate dall'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 266/1992 in ordine al rapporto tra legislazione nazionale e legislazione della provincia autonoma. Un secondo vizio di costituzionalita' riguarda il vincolo procedimentale posto alla attivita' regolative della provincia dal comma 282, nella parte in cui obbliga a sentire le associazioni a difesa dei consumatori e degli utenti prima di regolare i casi eccezionali di sospensione delle prestazioni. Poiche' la provincia, nel rispetto della Costituzione e dello statuto, e' libera di scegliere il tipo di atto mediante il quale normare la materia, la apposizione del vincolo procedimentale contestato risulta lesivo delle competenze provinciali sul procedimento legislativo, regolamentare e amministrativo (in particolare l'art. 54, nn. 1, 2 e 3, l'art. 55, primo comma, nonche' l'art. 31, a sua volta richiamato dall'art. 49). Un ulteriore diverso vizio di legittimita' riguarda la previsione secondo cui l'applicazione delle sanzioni amministrative deve avvenire secondo i criteri stabiliti dalla Commissione nazionale per l'appropriatezza delle prescrizioni. Non sussiste infatti alcun titolo costituzionale che consenta allo Stato di imporsi mediante questo strumento sulla attivita' amministrativa della provincia. Il limite dei principi fondamentali della materia esclude la possibilita' di utilizzare atti diversi da quelli legislativi; la previsione di una qualche potesta' regolamentare e' vietata allo Stato - nelle materie concorrenti e residuali - dall'art. 117, comma 6, Cost., che la provincia invoca ai sensi dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001; la configurazione di una qualche potesta' di indirizzo e coordinamento e' contraria al sistema risultante dalla riforma del Titolo V, "anche alla luce di quanto espressamente disposto dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131" (cosi', decisamente, la sent. n. 329/2003); in ogni caso, poi, se ai criteri stabiliti dalla Commissione si volesse attribuire la natura di atto di indirizzo e coordinamento la previsione di essi sarebbe illegittima per violazione delle regole di cui all'art. 3, d.lgs. n. 266/1992, e del necessario parere della provincia. A sostegno della legittimita' della norma in esame non potrebbe nemmeno invocarsi la "chiamata in sussidiarieta" ex art. 118, comma 1, Cost.: non si vede, infatti, quali esigenze unitarie possano giustificare la attrazione al centro del potere di fissare criteri per sanzionare comportamenti di soggetti che esauriscono la loro attivita' all'interno della organizzazione provinciale del servizio sanitario. In ogni modo, anche in questo caso il difetto della previsione dell'intesa con la Conferenza Stato-regioni vizierebbe comunque la norma. Il via subordinata, la provincia ricorrente chiede che sia dichiarata la incostituzionalita', per violazione del principio di leale collaborazione, dell'art. 1, comma 283, legge n. 266, nella parte in cui non prevede che la Commissione nazionale per la appropriatezza delle prestazioni sia istituita e sia nominata dal Ministro per la salute previa intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni. Ammesso infatti che esigenze unitarie costituzionalmente fondate consentano allo Stato di nominare la Commissione, poiche' essa e' destinata ad operare in materia di sicura competenza provinciale, l'intreccio degli interessi impone che alla nomina si addivenga attraverso un modulo consensuale. Ne' si potrebbe obiettare che la posizione delle autonomie e' gia' garantita dalla previsione - contenuta nella disposizione impugnata - che della Commissione devono necessariamente far parte "rappresentanti designati dalla Conferenza permanente": poiche' la legge non fissa ne' il numero di questi rappresentanti, ne' il rapporto di essi con le altre componenti della Commissione, l'intesa della quale si denuncia la mancanza costituisce l'unico strumento mediante il quale alle regioni e alle province autonome puo' essere riconosciuta una rappresentanza adeguata. 5. - Illegittimita' dei commi da 483 a 492 (sulle concessioni di grandi derivazioni). I commi da 483 a 492 dettano una disciplina statale in materia di grandi concessioni ad uso idroelettrico. Conviene premettere che la disciplina delle concessioni di grandi derivazioni d'acqua, per il territorio della Provincia autonoma di Trento, si e' evoluta nel tempo nel quadro dello statuto di autonomia e delle relative norme di attuazione. Si tratta, in particolare, delle norme di attuazione di cui al d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115, e successive modificazioni (trasferimento del demanio e di beni patrimoniali dello Stato alle Province autonome di Trento e di Bolzano e alla Regione Trentino-Alto Adige), il d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235 (norme di attuazione in materia di produzione e distribuzione di energia elettrica), come integrato e modificato dal d.lgs. 11 novembre 1999, n. 463 (norme di attuazione in materia di demanio idrico, di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica). Tali norme di attuazione hanno conferito alle province autonome - sulla base del secondo statuto di autonomia del 1972 (il d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) che, nel segno del rafforzamento delle caratteristiche peculiari dell'autonomia attribuisce alla potesta' legislativa primaria della provincia tutte le competenze in materia ambientale (artt. 8 e 16 st.) e alla potesta' legislativa concorrente d'utilizzazione delle acque pubbliche escluse le sole grandi derivazioni a scopo idroelettrico di rilievo nazionale (artt. 9, n. 9 e 10) - un complesso organico di beni e di funzioni riconducibili alla materia dell'ambiente e, specialmente, alla tutela e all'utilizzo delle acque localizzate sul territorio. Il criterio ispiratore di tali norme e la prospettiva nella quale si collocano si basa sulla considerazione che la risorsa acqua e la gestione delle derivazioni ad uso idroelettrico (e dunque l'energia), in ragione delle peculiari connotazioni fisiche ed orografiche del territorio e dei riflessi diretti sul suo sviluppo socio-economico, hanno assunto un valore essenziale nella stessa configurazione dell'ordinamento autonomistico della comunita' trentina. Il quadro statutario risulta, cosi' integrato con norme di attuazione di significativa rilevanza ai fini della ampiezza delle funzioni legislative e amministrative della provincia in materia e, segnatamente: l'art. 8 del d.P.R. n. 115/1973, come modificato dal d.lgs. n. 463/1999 dispone il trasferimento alle province dei beni appartenenti al demanio idrico; l'art. 5 del d.P.R. n. 381/1974 in relazione al trasferimento dei suddetti beni attribuisce alle province tutte le funzioni inerenti alla titolarita' del demanio idrico, in particolare quelle di polizia idraulica e tutela dall'inquinamento; l'art. 6 del medesimo d.P.R. prevede: che le derivazioni di acque, comprese le grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico, siano soggette alle previsioni del Piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche previsto dall'art. 14 dello statuto e disciplinato dall'art. 8 del d.P.R. n. 381/1974; che tali derivazioni debbono garantire il deflusso minimo vitale senza indennizzo a favore dei concessionari; e che i disciplinari delle concessioni di grandi derivazioni in atto siano adeguati alla previsioni del Piano; l'art. 7 del medesimo d.P.R. delega alle province l'esercizio delle funzioni statali in materia di opere idrauliche di prima e di seconda categoria; l'art. 01 del d.P.R. n. 235/1977 dispone il trasferimento alle province delle funzioni statali in materia di energia, fermo restando quanto previsto dal d.P.R. n. 381/1974; l'art. 1-bis, inserito nel 1999, prevede anche in materia di concessioni di grandi derivazioni la delega dell'esercizio delle funzioni statali alle province. Tale disposizione prevede, altresi', all'interno del complesso procedimento individuato per il rilascio delle concessioni, che le concessioni di grande derivazione, ivi compresi i canoni demaniali di concessione, siano disciplinati con legge provinciale nel rispetto dei principi della legislazione statale e degli obblighi statutari. La stessa disposizione riconosce altresi' il diritto per una azienda provinciale (temporaneamente), o per le imprese degli enti locali (in via ordinaria), di subentrare ad Enel nel servizio di distribuzione dell'energia, e riconosce ad esse, nel caso di confronto concorrenziale, lo stesso titolo di preferenza, a parita' di condizioni, accordato al concessionario uscente. Tali preferenze sono state considerate contrarie al diritto comunitario dalla Commissione europea: ma la modifica delle norme di attuazione per superare tali rilievi e' rimasta bloccata dai dissensi insorti da parte statale sulle competenze provinciali in materia di energia, di grandi derivazioni, di demanio idrico. Di qui la necessita' di una autonoma legislazione provinciale rivolta a rendere compatibile la disciplina con il diritto comunitario, contenuta nelle leggi provinciali n. 10 del 2004 e n. 17 del 2005: leggi la cui legittimita' costituzionale e' stata contestata dallo Stato, e per le quali pende il giudizio davanti a codesta ecc.ma Corte costituzionale. In tale quadro e' ulteriormente intervenuta la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha attribuito alla potesta' concorrente delle regioni la materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia elettrica (e su tale profilo, si puo' rinviare a Corte cost. n. 8/2004 e n. 383/2005, che hanno riconosciuto alla provincia una potesta' legislativa piu' ampia di quella attribuita alle regioni a statuto speciale e alle province autonome dallo statuto). Cio' posto, per come e' letteralmente formulata la serie di disposizioni in questione, data anche la clausola di salvaguardia, di cui al comma 610, sopra ricordata, si dovrebbe ritenere che le norme qui in discussione, avendo carattere generale, non toccano il regime speciale disposto per le province autonome e non si applicano ad esse. Tuttavia, il comma 484 abroga l'art. 16 del d.lgs. n. 79/1999 (la previgente disciplina generale) che, come meglio si dira', faceva salve le speciali disposizioni per le province autonome e demandava ad apposite norme di attuazione la disciplina della materia. Inoltre, il comma 492 include anche alle province autonome tra gli enti che entro novanta giorni armonizzano i propri ordinamenti alle norme dei commi da 483 a 491". Questo a prescindere dalla circostanza, peraltro non contestata, che qualora la legge statale contenesse norme fondamentali di riforma economico-sociale (quale puo' essere intesa quella della gara per il rilascio di concessioni) essa comporterebbe l'obbligo di adeguamento ai sensi dello statuto e dell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Presupponendo, quindi, che il legislatore abbia voluto incidere sull'ordinamento statutario delle province autonome, le norme statali sopra ricordate sarebbero lesive, con la conseguenza che si rende necessaria la presente impugnazione. L'esame dell'insieme di norme di cui al commi da 483 a 492, dedicati alle grandi derivazioni idroelettriche consente di individuare diversi blocchi normativi, e precisamente: a) Un gruppo di disposizioni destinate ad applicarsi (se mai lo saranno) "a regime", ovvero dopo la scadenza delle proroghe contestualmente concesse da un altro gruppo delle stesse disposizioni. Questo primo gruppo e' formato dai commi 483 (regola generale della gara), 489 (disposizioni particolari per i rami di azienda), 490 (procedura di determinazione del valore dei rami in caso di disaccordo); b) Un gruppo di disposizioni che prorogano le concessioni in essere e disciplinano gli adempimenti cui la proroga e' subordinata. Si tratta dei commi 485, 486, 487 e 488. In effetti, secondo quanto disposto dal comma 485, a condizione che siano stati effettuati "congrui" interventi di ammodernamento, esse sono prorogate di ben dieci anni rispetto alla data di naturale scadenza. Il comma 487 precisa che "ai fini di quanto previsto dal comma 485, si considerano congrui interventi di ammodernamento tutti gli interventi, non di manutenzione ordinaria o di mera sostituzione di parti di impianto non attive, effettuati o da effettuare nel periodo compreso fra il 1° gennaio 1990 e le scadenze previste dalle norme vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge, i quali comportino un miglioramento delle prestazioni energetiche ed ambientali dell'impianto per una spesa complessiva che, attualizzata alla data di entrata in vigore della presente legge sulla base dell'indice Eurostat e rapportata al periodo esaminato, non risulti inferiore ad 1 euro per ogni MWh di produzione netta media annua degli impianti medesimi" (una riduzione ad un terzo e' prevista "per le concessioni che comprendano impianti di pompaggio"). Il comma 488 dispone, a pena di "nullita' della proroga" (sic), comode procedure di autocertificazione dell'entita' degli investimenti effettuati o in corso o deliberati, dando alle "amministrazioni competenti" sei mesi per "verificare la congruita' degli investimenti autocertificati". Naturalmente il "mancato completamento nei termini prestabiliti degli investimenti deliberati o in corso e causa di decadenza della concessione". Ancora, il comma 486 prevede un "canone aggiuntivo" per le concessioni relative anche a beni demaniali delle province autonome, i cui proventi sono riservati, per la quota piu' consistente, alle entrate dello Stato, e la quota residuale ai comuni interessati; c) Sia le disposizioni del gruppo a) che quelle del gruppo b) sono concepite in termini generali, senza specifici riferimenti alla Provincia autonoma di Trento; tuttavia l'intento di applicarsi anche per essa - nonostante che le vigenti relative regole siano attualmente disposte con norme di attuazione dello statuto - sembra dedursi dal comma 484, secondo il quale "e' abrogato l'art. 16 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79". L'articolo abrogato, infatti, stabilisce che: "sono fatte salve le prerogative statutarie della Regione autonoma Valle d'Aosta e delle Province autonome di Trento e Bolzano, secondo quanto previsto ai commi 15 e 16 dell'art. 2 della legge 14 novembre 1985, n. 481", e che "il necessario coordinamento fra le norme del presente decreto e i vigenti ordinamenti statutari ... e' demandato ad apposite norme di attuazione dei relativi statuti ... nonche' al decreto legislativo da emanare ai sensi dell'art. 12, comma 10 del presente decreto"; d) In generale, poi, secondo il comma 491, "le disposizioni del presente articolo costituiscono norme di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma lettera e) della Costituzione e attuano i principi comunitari resi nel parere motivato della Commissione europea in data 4 gennaio 2004"; e) Il comma 492 dispone infine, come detto che "entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni e le province autonome armonizzano i propri ordinamenti alle norme dei commi da 483 a 491". Tale e' l'insieme normativo. E' evidente, tuttavia, che la sola disposizione destinata a non applicarsi prima di dieci anni, e dunque l'obiettivo essenziale dell'intera disciplina, e' la proroga di tutte le grandi concessioni di derivazione idroelettrica in corso alla data di entrata in vigore della legge finanziaria. Sia consentito innanzitutto di rilevare che l'inserimento in legge finanziaria della disciplina delle concessioni di grande derivazione e' avvenuto inglobando in blocco lo schema di decreto legislativo recante: "Attuazione della direttiva 2003/54/CE per la definizione della durata delle concessioni di grande derivazione di acque pubbliche a scopo idroelettrico". Tale schema, presentato in data 10 novembre 2005 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha costituito oggetto di esame in sede di istruttoria tecnica della Conferenza permanente per i rapporti Sato-regioni-province autonome di cui al d.lgs. n. 281/1998; rilievi unanimemente negativi sono stati mossi da parte dei rappresentanti tecnici delle regioni e delle province. La Conferenza Stato-regioni, in data 15 dicembre 2005, ha preso atto del parere unanimemente negativo delle regioni e delle province autonome: in tale sede, peraltro, si e' preso negativamente atto dell'avvenuto trasferimento "in blocco" del contenuto dello schema del decreto legislativo. Si noti che il trasferimento dello schema di decreto nella legge finanziaria dello Stato per l'anno 2006 e' avvenuto senza i necessari adattamenti e senza alcuna modifica fra quelle proposte in sede di istruttoria tecnica. Il risultato, a parte i rilievi di merito che seguiranno, appare paradossale gia' sotto il profilo formale. Basti, al riguardo, notare come e' scritto il comma 491, che recita: "Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione ...". Apparentemente, il legislatore statale non si e' accorto che, date le modalita' di approvazione del "maxiemendamento" alla legge finanziaria - modalita' che, sia detto per inciso, appaiono gravemente lesive dei principi costituzionali di articolazione che presiedono alla formazione delle leggi - la disposizione costituisce non piu' un comma di un articolo specifico del decreto legislativo, ma un comma dall'articolo unico in cui consiste la legge finanziaria; ragione per cui, a rigore, si dovrebbe ritenere che l'intera legge finanziaria costituirebbe "norme di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione" - risultato ovviamente assurdo e insostenibile. Tuttavia, solo un'operazione interpretativa volonterosa consente di delimitare il richiamo (che, come si dira', rimane ugualmente ingiustificato) ai commi subito sopra indicati. Ci si chiede, gia' in termini generali, se sia ammissibile e costituzionalmente legittimo che il legislatore statale emani norme cosi' frettolosamente e irresponsabilmente malformate in materia di grande rilevanza economica, e non solo, per di piu' cercando di demolire con esse, come si dira', il complesso sistema costituzionale delle relazioni tra l'ordinamento statale e quello delle autonomie; ed inoltre se la denunciata irrazionalita' intrinseca di questa disposizione non risulti lesiva anche dell'art. 117, secondo comma, almeno nella parte in cui autodefinisce come "norme a tutela della concorrenza" disposizioni indeterminate e indeterminabili. Passiamo ora all'esame delle singole norme, esame che consente di tradurre questa prima considerazione generale in specifiche censure. I) Generale illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate in quanto disciplinano con legge ordinaria materia gia' disciplinata da norme di attuazione dello statuto, ed in difformita' da tali norme. Specifica illegittimita' dei commi 484 e 492. Come sopra accennato, sia l'abrogazione disposta dal comma 484 dell'art. 16 del d.lgs. n. 79/1999 (la previgente disciplina generale) che faceva salve le speciali disposizioni per le province autonome e demandava ad apposite norme di attuazione la disciplina della materia, sia l'inclusione, disposta dal comma 492 anche delle province autonome tra gli enti che entro novanta giorni "armonizzano i propri ordinamenti alle norme dei commi da 483 a 491" inducono a ritenere che la disciplina generale dettata dai commi da 482 a 492 intenda applicarsi anche in relazione alla Provincia autonoma di Trento. Naturalmente, la presente impugnazione non avrebbe ragione di essere qualora si dovesse ritenere che le norme statali, ed in particolare la proroga delle concessioni in essere da esse disposta, non sono destinate ad applicarsi nel territorio provinciale. Invece, nella contraria ipotesi, con norma di semplice legge ordinaria si vorrebbe alterare la disciplina disposta dalle norme di attuazione e violare il sistema di competenze da esse stabilito, ed eliminare le stesse norme di attuazione come necessario meccanismo di raccordo fra normativa statale ed ordinamenti speciali. E' peraltro un punto fermo della giurisprudenza costituzionale e della dottrina costituzionalistica che i decreti di attuazione degli statuti speciali sono fonti primarie a competenza riservata; deve ritenersi, quindi, del tutto illegittimo che lo Stato disciplini la stessa materia - anche con effetto per la ricorrente provincia - con legge ordinaria abroghi le disposizioni di legge che fanno espresso rinvio alle norme di attuazione dello statuto e con legge ordinaria disponga obblighi di adeguamento dell'ordinamento provinciale alla disciplina generale. Ancora, puo' osservarsi che l'art. 16 del d.lgs. n. 79/1999 e' norma di natura programmatica e non costituisce fonte di legittimazione delle norme di attuazione, che traggono la loro legittimazione dall'art. 107 dello statuto; conseguentemente anche per questo profilo la sua abrogazione appare di difficile comprensione. In ogni caso, e' da escludere che la legge ordinaria possa avere effetti abrogativi sul d.P.R. n. 235/1977, che, per quanto sopra si diceva, si pone in un rango piu' elevato nella gerarchia delle fonti. D'altronde, la riconduzione della disciplina di tutte le concessioni idroelettriche nel quadro delle norme di attuazione si giustifica pienamente, considerato l'inscindibile intreccio nella materia, di interessi statali e interessi provinciali. Si noti che gli interessi provinciali e la loro rilevanza sono stati riconosciuti dallo stesso legislatore statale attraverso i vari atti di attuazione dello statuto di specialita', di cui sopra si e' dato conto, nei quali alle province autonome sono state riconosciute svariate funzioni. D'altra parte, le derivazioni di acque per fini idroelettrici coinvolgono essenziali interessi provinciali, corrispondenti a materie e funzioni attribuite a vario titolo alla provincia stessa: si pensi al demanio idrico, all'utilizzazione delle acque pubbliche, all'insieme di competenze riconducibili all'ambiente e alla difesa del suolo, alla gestione e uso del territorio, agli acquedotti e ai lavori pubblici di interesse provinciale, alla produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, per la quale ultima basti citare la sentenza di codesta Corte n. 383/2005. Per questa ragione la "materia" costituisce un chiaro esempio di quel settore in cui vi e' convergenza e sovrapposizione di una pluralita' di ambiti e di interessi in larghissima parte attribuiti alla competenza provinciale. Da cio' l'esigenza primaria - come ripetutamente ricordato da questa ecc.ma Corte - che la legislazione dello Stato vi intervenga nell'attento rispetto del quadro statutario e delle sue norme di attuazione dello Statuto, che costituiscono a loro volta manifestazione ante litteram del principio di leale collaborazione: cio' a maggiore ragione trattandosi, come nel caso presente, di intervenire su materia gia' disciplinata dalle norme di attuazione, che hanno provveduto al coordinamento tra la potesta' statale e le competenze provinciali. Di qui l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni impugnate in quanto disciplinano con legge ordinaria materia gia' disciplinata da norme di attuazione dello Statuto, ed in difformita' da tali norme. Un contrasto evidente vi e' ad esempio con la disposizione dell'art. 6 del d.P.R. n. 115/1973, come modificato dal d.lgs. n. 463/1999, che prevede: che le derivazioni di acque, comprese le grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico, siano soggette alle previsioni del Piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche previsto dall'art. 14 dello statuto e disciplinato dall'art. 8 del d.P.R. n. 381/1974 e con l'art. 1-bis, inserito nel 1999, che disposta in materia di concessioni di grandi derivazioni la delega dell'esercizio delle funzioni statali alle province, prevede, altresi', all'interno del complesso procedimento individuato per il rilascio delle concessioni, che le concessioni di grande derivazione, ivi compresi i canoni demaniali di concessione, siano disciplinati con legge provinciale nel rispetto dei principi della legislazione statale e degli obblighi statutari. Sono poi illegittimi i commi 484 e 492, in quanto con semplice legge ordinaria determinano l'applicazione della disciplina nella Provincia di Trento e pongono alla provincia stessa doveri di adeguamento normativo, addirittura riducendo a 90 giorni il termine di adeguamento, quando in base al d.P.R. n. 266/1992 l'obbligo di adeguamento delle leggi regionali e provinciali e' stabilito in mesi sei, con sua conseguente illegittimita' anche sotto questo profilo. II) Specifica illegittimita' costituzionale delle disposizioni che dispongono e disciplinano la proroga decennale delle concessioni. a) Illegittimita' intrinseca della proroga. Il comma 485 dispone che "in relazione ai tempi di completamento del processo di liberalizzazione e integrazione europea del mercato interno dell'energia elettrica, anche per quanto riguarda la definizione di principi comuni in materia di concorrenza e parita' di trattamento nella produzione idroelettrica, tutte le grandi concessioni di derivazione idroelettrica, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, sono prorogate di dieci anni rispetto alle date di scadenza". Ad avviso della ricorrente provincia, la disposizione risulta illegittima e lesiva dei suoi interessi sotto diversi profili. In primo luogo, la proroga risulta in contrasto con le procedure di gara previste dalle norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 235 del 1977, con particolare riferimento all'art. 1-bis. In particolare, oltre a disporre con chiarezza la necessita' di bandire le procedure di gara all'ordinaria scadenza della concessione, tale disposizione prevede il diritto della provincia di apprezzare l'esistenza di un "prevalente interesse pubblico ad un diverso uso delle acque". In secondo luogo, la proroga viola l'autonomia finanziaria provinciale, privandola dei maggiori importi che deriverebbero dall'affidamento delle concessioni - se non vi fossero altri interessi pubblici prevalenti - alle migliori condizioni del mercato, il cui conseguimento, nonostante il canone aggiuntivo, ovviamente reso impossibile dalla proroga. In terzo luogo, le disposizioni impugnate interferiscono con le competenze provinciali in violazione di quella stessa regola che secondo lo Stato dovrebbe fondare la sua competenza, cioe' la regola della tutela della concorrenza. E' evidente infatti che, al di la' delle ambigue parole del comma (la proroga e' disposta "in relazione ai tempi di completamento del processo di liberalizzazione e integrazione europea del mercato interno dell'energia elettrica"!) la proroga per la propria intrinseca natura viola le regole di concorrenza, impedendone il funzionamento. In definitiva, appare palese che le tutela della concorrenza nel settore idroelettrico invocata dalla Commissione e' platealmente negata dalle norme dello Stato, che la pospone di un lasso di tempo notevolissimo, con grave danno tanto per la liberalizzazione del settore, che per la programmazione economica della provincia, nonche' in contrasto con le disposizioni comunitarie. Che cio' avvenga in nome della "tutela della concorrenza" appare persino provocatorio. Ad avviso della ricorrente provincia e' evidente che la potesta' esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza a termini dell'art. 117, secondo comma, lettera e) Cost., non puo' essere esercitata per introdurre norme contrarie all'instaurazione di mercati concorrenziali e alle politiche comunitarie di liberalizzazione. E si noti che non si tratta affatto soltanto di una questione europea - questione che pure e' ovviamente rilevante - dal momento che anche la concorrenza tra imprese nazionali rimane ugualmente e contestualmente impedita. Al di la' di questo sul piano generale, va osservato che la proroga si pone, nel caso di specie, nelle intenzioni dello Stato, come deroga al principio della concorrenza concepito come compensazione temporanea e limitata alla cancellazione della preferenza accordata al concessionario uscente dal d.lgs. n. 79/1999. Con una differenza sostanziale, pero', rispetto alla situazione vigente nella Provincia di Trento, a fronte della circostanza che nel d.P.R. n. 235/1977, a differenza del d.lgs. n. 79/1999, le preferenze da eliminare riguardano sia il concessionario uscente, che le aziende degli Enti locali. Tuttavia, la deroga al principio di concorrenza comunque verrebbe fatta operare indistintamente nel territorio nazionale e nel territorio del Trentino Alto Adige/Su"dtirol, e cio' del tutto ingiustificatamente e sostanzialmente a scapito delle legittime aspettative degli enti locali di poter subentrare nella gestione, se non in virtu' della preferenza - che pure ad essi era riconosciuta - in virtu' almeno di procedure competitive di gara finalmente attivate. Si tratta di garanzie date alle istituzioni del Trentino in relazione al peculiare assetto degli interessi e quindi delle competenze vigenti nella provincia autonoma, che si fonda sull'attuazione di specifiche misure previste nel Pacchetto per il Trentino. Sia consentito qui ricordare - anche stante la connessione con il giudizio di legittimita' costituzionale della l.p. n. 17 del 2005, gia' pendente davanti a codesta ecc.ma Corte costituzionale - che la rilevata illegittimita' della proroga delle concessioni si riflette anche su quelle concessioni per le quali la legge provinciale n. 17 del 2005 ha gia' avviato le procedure di rinnovo, essendo esse in scadenza al 31 dicembre 2005 (si ricorda, infatti, che in tale data sono venuti a scadere i termini di tutte le concessioni rilasciate ad Enel, sia nel Trentino che nell'Alto Adige, nonche' di quella rilasciata ad Edison per gli impianti di S. Giustina che rappresenta il piu' grande invaso artificiale del Trentino). La legge provinciale n. 17 del 2005, infatti, tenendo conto sia della mancata emanazione della nuova norma di attuazione statutaria, sia dei contenuti dello schema del decreto legislativo di adeguamento ai rilievi comunitari, fissa in modo trasparente rispetto a tutti gli interessati le norme per lo svolgimento della procedura di confronto concorrenziale, consentendo loro di presentare, entro il 31 dicembre 2005, le rispettive domande, disponendo di un quadro chiaro e coerente delle norme procedurali a mente della quali sarebbero state effettuate le istruttorie da parte della provincia. La disciplina che la legge provinciale ha introdotto mira, quindi a garantire la tutela della concorrenza, in conformita' alle osservazioni mosse dalla Commissione europea. Non cosi', invece, la norma statale: essa, infatti, lungi da creare le condizioni di tutela della concorrenza, mira al solo obiettivo di preservare gli interessi del concessionario uscente, che si vede prorogata la concessione per 10 anni, in pratica sino al 31 dicembre 2020 (altri 10 anni rispetto alla scadenza "naturale" del 31 dicembre 2010). b) Illegittimita' della proroga in relazione alle condizioni alle quali e' collegata. Ugualmente illegittima appare la proroga con riferimento alle condizioni alle quali essa e' collegata. Da una parte, infatti, il comma 487 collega la proroga automatica in larga parte ad interventi di ammodernamento gia' compiuti, evidentemente all'interno del quadro economico della precedente concessione, attribuendo arbitrariamente ad essi rilevanza per il mantenimento della concessione. Peraltro, non puo' non sottolinearsi che anche per la parte in cui questi "congrui interventi di ammodernamento degli impianti" non siano gia' stati effettuati in passato, ma siano ancora da attuarsi, manca qualsiasi riferimento all'ovvia esigenza che miglioramenti delle "prestazioni ambientali" dell'impianto siano concordate con la provincia, che nei settori ambientali interessati ha responsabilita' e competenza esclusiva. c) Illegittimita' specifica del comma 488 in quanto disciplina le funzioni amministrative di controllo della sussistenza delle condizioni per la proroga. Anche il comma 488, secondo il quale "i titolari delle concessioni, a pena di nullita' della proroga, autocertificano entro sei mesi dalle scadenze di cui ai commi precedenti l'entita' degli investimenti effettuati o in corso o deliberati e forniscono la relativa documentazione", dando poi sei mesi alle amministrazioni competenti per la verificare della congruita' degli investimenti autocertificati, viola le competenze legislative e amministrative provinciali previste dalle citate norme di attuazione, ed in particolare dall'art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977, sia laddove prevede gli adempimenti a carico dei concessionari, sia dove stabilisce il termine entro il quale la provincia deve compiere le proprie verifiche. Si tratta infatti di materia attinente all'esercizio di funzioni amministrative provinciali e spettante all'autonomia provinciale, anche a termini degli artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992 e dell'art. 1-bis, ultimo comma, seconda frase del d.P.R. n. 235 del 1977 (secondo cui "le concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, ivi compresi i canoni demaniali di concessione, sono disciplinati con legge provinciale nel rispetto dei principi della legislazione statale e degli obblighi comunitari"). d) Specifica illegittimita' del comma 486, che prevede un canone aggiuntivo e la destinazione delle risorse che ne derivano. Il comma 486, che prevede un canone aggiuntivo, sovverte le attuali regole statutarie sulle concessioni di derivazione idroelettrica. Infatti, il demanio idrico e' stato integralmente trasferito alla potesta' legislativa ed amministrativa della provincia (si ricorda che il d.P.R. n. 115/1973, come modificato dal d.lgs. n. 463/1999, ha disposto il trasferimento alle province dei beni appartenenti al demanio idrico, comprese le aree fluviali, i ghiacciai, i laghi, le opere idrauliche e i beni mobili e immobili strumentali all'esercizio delle funzioni conferite relativamente al demanio idrico, mentre il d.P.R. n. 381/1974 ha attribuito alle province tutte le funzioni gestorie inerenti alla titolarita' del demanio idrico). Inoltre, la disciplina dei canoni e' stata delegata alla provincia dal comma 16 dell'art 1-bis del d.P.R. n. 235/1977; oggi tale delega si intende assorbita nella potesta' legislativa derivante dall'art. 117 Cost., terzo comma e dall'art. l0 della legge cost. n. 3/2001 e non vi e' dubbio che ad essa spettino integralmente i canoni relativi al demanio idrico trasferito. La norma impugnata, invece, istituisce un canone aggiuntivo unico, da corrispondere per soli quattro anni in relazione all'intera durata della concessione, i cui importi affluiscono al bilancio dello Stato per i 5/6, mentre per il restante sesto vengono direttamente attribuiti ai "comuni interessati". La norma resta indeterminata in molti suoi elementi, ma per un unico profilo appare assolutamente chiara e, cioe', laddove stabilisce che lo Stato si fa illegittimamente retribuire con un canone - aggiuntivo rispetto a quelli gia' esistenti - per l'uso di un bene del demanio provinciale, per l'illegittimo favore che viene reso all'ente concessionario. In relazione alla destinazione delle risorse risulta violato anche l'art. 1-bis, ultimo comma, del d.P.R. n. 235 del 1977, secondo il quale "i proventi derivanti dall'utilizzo delle acque pubbliche, ivi compresi di canoni demaniali di concessione di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, spettano alla provincia competente per territorio". III) Specifica illegittimita' costituzionale del comma 491, in relazione alla autoqualificazione che esso effettua. Il comma 491 afferma che "le disposizioni del presente articolo costituiscono norme di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera e) della Costituzione e attuano i principi comunitari resi nel parere motivato della Commissione europea in data 4 gennaio 2004". Ora, a parte la palese non corrispondenza delle disposizioni in questione con i principi comunitari - che non richiedono certamente proroghe delle concessioni in essere! - la norma risulta, ad avviso della ricorrente provincia, illegittima in quanto "autoqualifica" tali norme come norme di competenza esclusiva statale, mentre tale qualificazione non puo' essere "imposta" dal legislatore, essendo un dato oggettivo, soggetto ad accertamento e verifica da parte di codesta ecc.ma Corte costituzionale. Per la stessa ragione sono state dichiarate illegittime norme che autoqualificavano insiemi di disposizioni quali "principi fondamentali" della materia (cfr. ad esempio sent. 16 luglio 1991, n. 349 e sent. Corte cost., 7 novembre 1995, n. 482). Cio' a prescindere da ogni questione sullo stesso valore del riparto di competenze tracciato dall'art. 117, secondo comma, in relazione alle competenze statutarie della ricorrente provincia.
P. Q. M. Chiede voglia codesta Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando l'illegittimita' delle disposizioni sopra indicate, nei termini sopra esposti. Padova-Bologna-Roma, addi' 24 febbraio 2006 Prof. avv. Giandomenico Falcon - Prof. avv. Franco Mastragostino - Avv. Luigi Manzi