Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 6 maggio 2011 (della Regione Puglia).

 

 (GU n. 25 del 8.6.2011)

 

    Ricorso della Regione Puglia, in  persona  del  Presidente  della Giunta  regionale  dott.  Nicola  Vendola,  a  cio'  autorizzato  con deliberazione della Giunta regionale  n.  730  del  19  aprile  2011, rappresentato  e  difeso  dall'avv.  prof.  Marcello   Cecchetti   ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo  in  Roma, Via Antonio Mordini n. 14, come da mandato  a  margine  del  presente atto;

    Contro lo Stato, in persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri  pro  tempore,  er  la   dichiarazione   di   illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater,  del  decreto-legge  29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini  previsti  da  disposizioni legislative e di  interventi  urgenti  in  materia  tributaria  e  di sostegno alle imprese e alle famiglie), come convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale 26 febbraio 2011, n. 47 S.O., nella parte  in  cui ha introdotto i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies nell'art. 5  della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione  del  Servigio  nazionale della protezione civile).

 

                              Premessa

 

    1. - La legge 26 febbraio 2011, n. 10, ha convertito in legge  il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di  termini  previsti da disposizioni  legislative  e  di  interventi  urgenti  in  materia tributaria e di sostegno  alle  imprese  e  alle  famiglie).  Tra  le modifiche apportate in sede di conversione in legge, per quel che qui interessa, e' stato aggiunto il comma 2-quater all'art. 2 del d.l. n. 225 del 2010, il quale dispone l'inserimento nell'art. 5 della  legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del  Servizio  nazionale  della protezione civile), dopo il comma  5-ter,  di  due  nuovi  commi:  il 5-quater e il 5-quinquies.

    Le nuove disposizioni cosi' stabiliscono:

        5-quater. «A  seguito  della  dichiarazione  dello  stato  di emergenza, il Presidente della regione interessata  dagli  eventi  di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), qualora  il  bilancio  della regione non  rechi  le  disponibilita'  finanziarie  sufficienti  per effettuare le spese conseguenti all'emergenza ovvero per la copertura degli oneri conseguenti alla  stessa,  e'  autorizzato  a  deliberare aumenti,  sino   al   limite   massimo   consentito   dalla   vigente legislazione, dei tributi, delle addizionali, delle  aliquote  ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla regione,  nonche'  ad elevare  ulteriormente  la  misura  dell'imposta  regionale  di   cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 21  dicembre  1990, n. 398, fino a un massimo di cinque centesimi  per  litro,  ulteriori rispetto alla misura massima consentita»;

        5-quinquies: «Qualora le misure adottate ai sensi  del  comma 5-quater non siano sufficienti, ovvero in tutti  gli  altri  casi  di eventi di cui al comma 5-quater di rilevanza nazionale,  puo'  essere disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale  di  protezione civile. Qualora sia utilizzato il fondo di cui all'articolo 28  della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il  fondo  e'  corrispondentemente  e obbligatoriamente reintegrato in pari misura con le maggiori  entrate derivanti dall'aumento  dell'aliquota  dell'accisa  sulla  benzina  e sulla benzina senza piombo,  nonche'  dell'aliquota  dell'uccisa  sul

gasolio usato come carburante di cui all'allegato I del  testo  unico delle  disposizioni  legislative   concernenti   le   imposte   sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504,  e  successive modificazioni. La  misura  dell'aumento,  comunque  non  superiore  a cinque  centesimi  al  litro,  e'  stabilita  con  provvedimento  del direttore dell'Agenzia delle dogane in  misura  tale  da  determinare maggiori entrate corrispondenti all'importo prelevato  dal  fondo  di riserva. La disposizione del terzo  periodo  del  presente  comma  si applica anche per la copertura degli oneri derivanti dal differimento dei termini per i versamenti tributari e contributivi  ai  sensi  del comma 5-ter».

    E' opportuno notare sin da subito che - come si mostrera' -  tali disposizioni hanno come effetto normativo piu'  immediato  quello  di far gravare sul bilancio  regionale  il  finanziamento  di  tutte  le funzioni di protezione civile connesse alla gestione delle situazioni di  emergenza  conseguenti  ad  eventi  straordinari,  a  prescindere dall'ente competente ad esercitare tali funzioni e ad effettuare  gli interventi  concreti  per  fronteggiare  le  suddette  situazioni  di emergenza. In sintesi, il legislatore statale ha posto a carico della Regione direttamente interessata dall'evento straordinario  non  solo il peso economico delle funzioni di competenza  regionale,  ma  anche quello delle funzioni spettanti a  tutti  gli  altri  enti  coinvolti dalla situazione di  emergenza  e,  in  particolare,  delle  funzioni esercitate o facenti capo ad organi o servizi dello Stato.

    2. - Le norme citate si inseriscono  nel  sistema  di  protezione civile disciplinato dalla legge n. 225 del 1992, dagli artt.  107-109 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e  compiti amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli  enti  locali,  in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), nonche'  dal d.l. 7 settembre 2001, n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte  alle  attivita'  di protezione civile  e  per  migliorare  le  strutture  logistiche  nel settore della difesa civile), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 401 del 2001.

    Per quanto di piu' prossimo interesse in questa sede, deve essere preso in considerazione, innanzi tutto,  l'art.  2,  comma  1,  della citata  legge  n.  225  del  1992,  ai  sensi  del  quale  «ai   fini dell'attivita' di protezione civile gli eventi si distinguono in:  a) eventi naturali o connessi  con  l'attivita'  dell'uomo  che  possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti  e amministrazioni competenti in via ordinaria;  b)  eventi  naturali  o connessi con l'attivita' dell'uomo che per loro natura ed  estensione comportano l'intervento coordinato di  piu'  enti  o  amministrazioni

competenti in via ordinaria;  c)  calamita'  naturali,  catastrofi  o altri eventi  che,  per  intensita'  ed  estensione,  debbono  essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari».

    L'art. 5, comma 1, della medesima legge dispone inoltre che,  «al verificarsi degli eventi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera  c), il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente  del  Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1 , comma 2,  del  Ministro  per  il  coordinamento  della  protezione  civile, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata  ed  estensione territoriale in stretto riferimento  alla  qualita'  ed  alla  natura degli eventi», aggiungendo che «con le medesime modalita' si  procede alla eventuale revoca dello stato di  emergenza  al  venir  meno  dei relativi presupposti». Il successivo  comma  2  stabilisce  che  «per

l'attuazione  degli  interventi   di   emergenza   conseguenti   alla dichiarazione di cui al comma 1, si provvede, nel  quadro  di  quanto previsto dagli articoli 12, 13,  14,  15  e  16,  anche  a  mezzo  di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto  dei principi generali dell'ordinamento  giuridico»,  prevedendo  altresi' che «le  ordinanze  sono  emanate  di  concerto,  relativamente  agli aspetti di carattere finanziario, con  il  Ministro  dell'economia  e delle finanze» (tale periodo e' stato  aggiunto  dall'art.  2,  comma 2-quinquies, dell'impugnato d.l. n. 225 del 2010, come convertito  in legge). Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 5 della legge  n.  225 del 1992, «il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per  sua delega ai  sensi  dell'articolo  1,  comma  2,  il  Ministro  per  il coordinamento  della  protezione  civile,   puo'   emanare   altresi' ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di  pericolo  o  maggiori danni a persone o a cose (...)». Infine, in  base  al  comma  4,  «il Presidente del Consiglio dei Ministri,  ovvero,  per  sua  delega  ai sensi dell'articolo 1, comma 2,  il  Ministro  per  il  coordinamento della protezione civile, per l'attuazione degli interventi di cui  ai commi 2 e 3 del  presente  articolo,  puo'  avvalersi  di  commissari delegati ( ..)». Ai sensi dell'art. 107 del d.lgs. n. 112  del  1998,

allo Stato spetta la «predisposizione, d'intesa con le regioni e  gli enti locali interessati, dei piani di emergenza  in  caso  di  eventi calamitosi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e la loro attuazione», nonche'  il  compito  di provvedere al «soccorso tecnico  urgente,  (alla)  prevenzione  e  lo spegnimento degli incendi e (allo) spegnimento con mezzi aerei  degli incendi boschivi».

    L'art. 11 della legge n. 225 del 1992 individua le  strutture  di livello  nazionale  alle  quali  e'  necessario  affidarsi  per   gli interventi operativi. Si tratta: del Corpo nazionale dei  vigili  del fuoco,  delle  Forze  armate,  delle  forze  di  polizia,  del  Corpo forestale dello Stato, dei  Servizi  tecnici  nazionali,  dei  gruppi nazionali  di   ricerca   scientifica   di   cui   all'articolo   17, dell'Istituto nazionale di  geofisica  (e  di  altre  istituzioni  di ricerca), della Croce rossa italiana, delle  strutture  del  Servizio sanitario nazionale, delle organizzazioni di volontariato e,  infine, del Corpo nazionale soccorso alpino-CNSA (CAI).

    Altri  elementi  determinanti  per  comprendere  il  ruolo  degli apparati amministrativi  dello  Stato  in  materia  sono  rinvenibili nell'art. 5 del d.l. n. 343 del 2001, che individua le  strutture  di cui si avvale direttamente il Presidente del Consiglio  dei  ministri nello    svolgimento    dei    compiti    attribuiti    al    livello dell'Amministrazione statale. Tra queste strutture, al comma  3  sono menzionati il Servizio sismico nazionale,  la  Commissione  nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi  e  il  Comitato operativo della protezione  civile,  quest'ultimo  con  la  specifica funzione di «assicurare» «la direzione unitaria  e  il  coordinamento delle attivita' di emergenza, stabilendo gli interventi di  tutte  le amministrazioni e enti interessati al  soccorso»  (comma  3-ter).  Al Dipartimento della protezione civile,  inoltre,  sono  attribuite  le principali funzioni operative: solo per richiamare  qualche  esempio, la funzione di «promuovere» «l'attivita' tecnico-operativa, volta  ad assicurare i primi interventi, effettuati in concorso con le  regioni e da queste in raccordo con i prefetti e con i  Comitati  provinciali di protezione civile» (comma 4); la funzione di «definire»,  d'intesa con le regioni, «in sede locale e sulla base dei piani di  emergenza, gli  interventi  e   la   struttura   organizzativa   necessari   per fronteggiare gli eventi calamitosi  da  coordinare  con  il  prefetto anche per gli aspetti dell'ordine e della sicurezza pubblica»  (comma 4-bis); tutti i compiti  precedentemente  attribuiti  all'Agenzia  di protezione civile dall'art. 81 del d.lgs. n. 300 del 1999 (comma 6) e tra questi, in particolare, quelli concernenti proprio  le  attivita' connesse con gli eventi calamitosi di cui all'art. 2, comma 1,  lett. c),  della  legge  n.  225  del  1992  (fra  le  quali  spiccano  «la rilevazione dei danni e l'approvazione di piani di  interventi  volti al  superamento  delle  emergenze  ed  alla  ripresa  delle   normali condizioni di vita, da attuarsi di intesa con le regioni e  gli  enti locali interessati»), nonche' «l'attivita' tecnico-operativa volta ad assicurare i primi interventi nell'ambito dei compiti di soccorso  di cui all'articolo 14» della legge n. 225 del 1992 (cfr., in proposito, l'art. 81, comma 1, lettere c) e d) del d.lgs. n. 300 del 1999).

    All'attivita' di protezione civile, tuttavia, sono  chiamati,  in collaborazione  tra  loro,  diversi  enti  e  soggetti,   individuati nell'art.  6  della  legge  n.  225  del  1992.  Per  quel  che   qui specificamente interessa, la disposizione citata, al comma 1, prevede che «all'attuazione delle attivita' di protezione civile  provvedono, secondo i rispettivi  ordinamenti  e  le  rispettive  competenze,  le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni  e  le comunita' montane, e vi concorrono gli enti pubblici, gli istituti ed i gruppi di ricerca scientifica con finalita' di  protezione  civile, nonche' ogni altra istituzione ed organizzazione anche privata».

    L'ultima norma citata riguarda  evidentemente,  in  generale,  il concorso dei diversi enti che compongono il «Servizio nazionale della protezione civile» a tutte le varie e  molteplici  attivita'  che  al medesimo devono essere ricondotte. In questa sede, pero',  interessa, in particolare, l'assetto delle competenze  concernenti  la  gestione degli eventi straordinari di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992. Per comprendere appieno il ruolo giocato dalla Regione (e dagli altri enti sub-statali) in  tale  ambito  e'  dunque necessario rivolgersi altrove.

    Al riguardo si deve notare quanto segue.

    Nell'ambito  suddetto,  agli  enti  locali   sub-regionali   sono affidate  dalla  legge  importanti  (seppur  circoscritte)  funzioni. L'art. 108, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998,  alloca  al  livello comunale la competenza  a  provvedere  alla  «attivazione  dei  primi soccorsi alla popolazione e  degli  interventi  urgenti  necessari  a fronteggiare l'emergenza»; «alla vigilanza sull'attuazione, da  parte delle strutture locali di protezione civile,  dei  servizi  urgenti»;

infine, «all'utilizzo del volontariato di protezione civile a livello comunale e/o intercomunale, sulla base degli  indirizzi  nazionali  e regionali».

    Viceversa, alle Regioni spettano competenze che  -  nel  contesto accennato - assumono caratteri decisamente  marginali.  Si  veda,  al riguardo, quanto previsto dall'art. 107, comma 1, lett. a), nn.  4  e 7, laddove si affida  alla  Regione  l'«attuazione  degli  interventi necessari per favorire il ritorno alle  normali  condizioni  di  vita nelle aree colpite da eventi  calamitosi»,  e  le  funzioni  relative «agli interventi per l'organizzazione e l'utilizzo del volontariato».

Si veda, inoltre, il disposto dell'art. 12 della  legge  n.  225  del 1992, che si limita ad affidare alle Regioni il generico  compito  di «partecipa(re) all'organizzazione e all'attuazione delle attivita' di protezione civile indicate nell'articolo    della  medesima  legge, ossia (per quel che qui rileva in particolare),  «al  soccorso  delle popolazioni  sinistrate  ed  ogni  altra  attivita'   necessaria   ed indifferibile diretta a superare l'emergenza connessa agli eventi  di cui all'articolo 2».

    A queste competenze delle  Regioni  devono  aggiungersi,  infine, quelle eventualmente affidate alle medesime dalle  singole  ordinanze governative di protezione  civile,  che  provvedano  in  deroga  alle disposizioni vigenti.

    Da ultimo, a completamento del disegno  legislativo  sul  riparto delle  competenze,   deve   essere   considerata   una   disposizione particolarmente importante nel sistema della protezione civile, ossia l'art. 5, comma 1, del d.l. n. 343 del 2001, il quale cosi'  dispone:

«Il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  ovvero  il  Ministro dell'interno da lui delegato, determina le  politiche  di  protezione civile, detiene i  poteri  di  ordinanza  in  materia  di  protezione civile,  promuove  e  coordina  le  attivita'  delle  amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, delle  regioni,  delle  province, dei comuni, degli enti pubblici nazionali e territoriali  e  di  ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata  presente  sul territorio nazionale, finalizzate alla tutela  dell'integrita'  della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai  danni  o  dal pericolo di danni derivanti da calamita' naturali, da catastrofi e da altri grandi eventi, che determinino  situazioni  di  grave  rischio, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998,  n.  112 (...)». Come si vede, la competenza del Presidente del Consiglio  dei ministri in materia  di  protezione  civile  e'  disegnata  come  una competenza generale e residuale: tutto cio' che non e' specificamente attribuito ad altri enti (e si tratta, come si e' visto,  di  compiti limitati e comunque di piccolo cabotaggio,  almeno  in  relazione  al settore di cui  qui  in  particolare  e'  necessario  occuparsi),  e' infatti attribuito a tale istituzione.  Le  stesse  competenze  degli altri  enti  territoriali,  peraltro,  sono  derogabili  mediante  le ordinanze contingibili e urgenti di protezione  civile,  che  possono disporre anche in difformita' dalle disposizioni legislative vigenti.

    Come si puo' agevolmente constatare alla luce di  quanto  esposto sino  ad  ora,  quelle  volte  a   fronteggiare   eventi   calamitosi straordinari  sono  senz'altro,  nel  loro  complesso,  politiche   e funzioni  governative  ed  in  particolare   politiche   e   funzioni direttamente intestate al Presidente del Consiglio dei ministri.  Gli enti  territoriali  sub-statali  hanno  una  funzione  esclusivamente ancillare rispetto a tali politiche.

    3.  -  Cio'  premesso,  e'  agevole  mostrare  che  dalle   nuove previsioni contenute nei commi 5-quater  e  5-quinquies  dell'art.  5 della legge n. 225 del 1992 si ricavano  alcune  norme  che  limitano fortemente l'autonomia costituzionale  delle  Regioni.  Quanto  detto soprattutto  perche',  come  gia'  accennato,  esse   fanno   gravare interamente sul  bilancio  regionale  anche  il  finanziamento  delle funzioni e degli interventi volti a fronteggiare l'emergenza connessa ad eventi straordinari che non  sono  riconducibili  alla  competenza delle Regioni e, in particolare, le  funzioni  e  gli  interventi  di

competenza dello Stato o degli altri enti territoriali.

    A seguito della dichiarazione dello stato di  emergenza  per  gli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n.  225  del 1992  («calamita'  naturali,  catastrofi  o  altri  eventi  che,  per intensita' ed estensione, debbono essere  fronteggiati  con  mezzi  e poteri straordinari»), si instaura un regime giuridico  straordinario volto a fronteggiare questi ultimi. Tale regime giuridico impone – ai sensi degli artt. 6 e da 11 a 15 della legge n. 225 del  1992,  degli artt. 107 e seguenti del d.lgs. n. 112 del 1992, nonche' dell'art.  5 del  d.l.  n.  343  del  2001  -  la  collaborazione  e  l'intervento coordinato di tutti i  diversi  enti  territoriali  interessati  agli eventi,  oltre  che  di  un'ampia  serie  di   «strutture   operative nazionali» facenti  capo  ad  organi  degli  apparati  amministrativi centrali e periferici dello Stato.  A  tale  riguardo,  e'  difficile negare  che  un  ruolo  di  primo  piano,  non   soltanto   di   mero coordinamento di altri soggetti ma anche propriamente operativo,  sia attribuito proprio allo Stato (e alle strutture  o  servizi  da  esso dipendenti), il quale - per mezzo del Governo - delibera lo Stato  di emergenza e adotta le ordinanze, anche in  deroga  alle  disposizioni legislative vigenti,  volte  a  definire  e  attuare  gli  interventi necessari affidati alla cura concreta  di  tutte  le  componenti  del «Servizio nazionale della protezione civile» di cui al citato art.  6 della legge n. 225 del 1992.

    Nonostante  la  pluralita'  di  enti  chiamati   a   fronteggiare l'emergenza, e nonostante il ruolo di  primo  piano  che  ricopre  lo Stato  nelle  vicende  in  questione,  i  nuovi  commi   5-quater   e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225  del  1992 pongono interamente a carico del bilancio della Regione  interessata, o delle Regioni territorialmente interessate da una dichiarazione  di stato di emergenza per gli eventi di cui all'art. 2, comma  1,  lett. c),   tutti   gli   oneri   finanziari   conseguenti   all'emergenza, indipendentemente dagli organi e dall'ente (Stato, Regione,  Province e Comuni) chiamati ad intervenire in concreto sulla base del  riparto di competenze stabilito  nei  richiamati  artt.  5-6  e  11-15  della medesima legge n. 225 del 1992 e nell'art. 5  del  d.l.  n.  343  del 2001, nonche' nelle ordinanze contingibili  e  urgenti  eventualmente derogatorie rispetto alla normativa legislativa vigente  sul  riparto delle  competenze  e,  dunque,  indipendentemente  dalla  titolarita' statale, regionale o locale delle funzioni amministrative in concreto esercitate o da esercitare.

    Il bilancio regionale si trova dunque a dover fronteggiare  spese connesse a funzioni che la Regione non e' chiamata  ad  esercitare  e che, viceversa,  fanno  capo  agli  altri  enti  territoriali  e,  in particolare, allo Stato.

    Sempre nel nuovo comma 5-quater e' contenuta una  previsione  che solo all'apparenza determina un ampliamento dei poteri spettanti alle Regioni.  Ai  sensi  di  questa  disposizione,  infatti,  qualora  il bilancio regionale non risulti capiente per la copertura delle  spese citate, il Presidente della Regione  «e'  autorizzato»  a  deliberare aumenti - nella misura massima consentita dalla legislazione  vigente - dei tributi, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di  aliquote attribuite alla Regione, nonche', all'occorrenza, anche un  ulteriore aumento dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione fino ad un massimo di 5  cent.  per  litro.  A  dispetto  della  formulazione testuale che «formalmente» si limita a riconoscere  un  «potere»,  si tratta a tutti  gli  effetti  dell'imposizione  al  Presidente  della Regione  di  un  «obbligo»  di  esercitare  la  potesta'   tributaria riconosciuta alla Regione dalla legislazione vigente fino  ai  limiti massimi  consentiti  da   questa   o   fino   all'ulteriore   aumento straordinario  dell'imposta  sulla  benzina  per  autotrazione,   con l'ulteriore (e connesso) «obbligo»  di  destinare  i  proventi  delle entrate tributarie cosi' raccolte al finanziamento  degli  interventi necessari a fronteggiare l'emergenza. Da simili «obblighi» la Regione potrebbe «liberarsi» solo ed esclusivamente mediante  una  variazione di bilancio,  ad  esempio  disponendo  la  riduzione  di  spese  gia' previste in relazione ad altre funzioni.

    Tale conclusione e' supportata  espressamente  dal  disposto  del comma 5-quinquies, primo periodo, laddove si stabilisce che la previa adozione  delle  misure  di  cui  al  comma  5-quater  e  l'eventuale «certificazione» della loro insufficienza a coprire  tutte  le  spese dell'emergenza costituiscono presupposto indispensabile  per  rendere «possibile»  l'accesso  al  Fondo  nazionale  di  protezione  civile, possibilita' quest'ultima interamente rimessa -  peraltro  -  ad  una decisione politica ed  unilaterale  del  Governo  nazionale.  L'unica alternativa  espressamente  contemplata  affinche'   «possa»   essere disposto l'utilizzo del predetto  Fondo  nazionale  e'  quella  della «qualificazione» dell'evento in questione come  evento  di  rilevanza nazionale, ma anche in questo caso la decisione - nonche'  la  stessa «qualificazione» dell'evento - rimane affidata ad una scelta politica e unilaterale del Governo nazionale.

    4. - Che  questa  sia  l'interpretazione  delle  disposizioni  in questione dalla quale e' necessario prendere le  mosse  ai  fini  del presente giudizio e' mostrato con chiarezza  dal  dibattito  avvenuto nelle aule parlamentari in occasione della conversione in  legge  del d.l. n. 225 del 2010.

    Al riguardo, si possono  richiamare  i  numerosi  interventi  che hanno caratterizzato i lavori svoltisi in  sede  di  Assemblea  della Camera dei deputati durante la seduta di martedi' 22 febbraio 2011. A piu' riprese, infatti, in quella occasione e' stata posta in evidenza la irragionevolezza - ed anzi, la profonda ingiustizia, a  causa  del disinteresse per qualunque meccanismo solidaristico - delle norme qui in discussione, a causa del fatto che  esse  gravano  le  popolazioni colpite  dalle  calamita'  naturali  dell'ulteriore  peso  di   dover sostenere la spesa (per il  tramite  di  una  imposizione  tributaria aggiuntiva) degli interventi necessari a fronteggiare l'emergenza.

    In questo senso, ad esempio, si e'  espresso  tra  gli  altri  il deputato Vannucci, secondo il quale, con le norme de quibus, «in caso di calamita'  le  regioni  sono  autorizzate  ad  aumentare  la  loro imposizione fiscale sui cittadini, che tradotto vuol dire che  ognuno si paga le proprie calamita'». E ancora: «Ma che messaggio e' questo? Un Paese dovra' pur essere solidale, anche perche', l'Italia, proprio in questi momenti, da' le prove  piu'  alte  della  sua  generosita'. Infatti, abbiamo visto, con il  terremoto  in  Abruzzo  e  con  altri eventi, come il nostro popolo  risponda,  si  mobiliti  e  partecipi; mentre  ora  si  dice  «no»,  vogliamo   mortificare   anche   questa peculiarita' nazionale,  il  principio  di  solidarieta'  nemmeno  di fronte alle calamita' deve esserci!> (par. 12 del Resoconto  sommario e stenografico).

    Non e' il caso di proseguire nella citazione testuale  dei  molti passi  del  Resoconto  del  dibattito  parlamentare  ove  i  medesimi argomenti sono stati  proposti  all'attenzione  dell'Assemblea  della Camera dei deputati. Al di la' della gravita' di  una  normativa  che elimina del tutto i meccanismi solidaristici tra territori proprio in occasione dei momenti in cui  alcuni  di  essi  sono  particolarmente colpiti da eventi straordinari e imprevedibili - tema sul quale ci si soffermera' piu'  avanti  -  qui  interessa  soprattutto  mettere  in evidenza che, oltre  ogni  ragionevole  dubbio,  le  disposizioni  in questione sono state intese, da  parte  degli  organi  che  le  hanno deliberate, come volte a far gravare integralmente sul bilancio della Regione interessata (o  delle  Regioni  interessate)  e  sul  sistema tributario regionale il carico finanziario necessario agli interventi posti  in  essere  per  fronteggiare  la  calamita',  salva  la  mera «possibilita'» di utilizzare, ove le risorse  reperite  nel  bilancio regionale non fossero sufficienti, e ove in  tal  senso  deliberi  il Governo, il Fondo nazionale di protezione civile.

    5.  -  Ad  ulteriore  conferma  della  rilevanza,  nel   presente giudizio, dell'interpretazione che qui si assume  delle  disposizioni di  cui  ai  nuovi  commi  5-quater  e  5-quinquies,  primo  periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del  1992  e'  di  estremo  interesse, inoltre, quanto affermato nella direttiva adottata dal Presidente del Consiglio dei ministri in data 14 marzo 2011 e contenente  «Indirizzi per lo svolgimento delle attivita' propedeutiche  alle  deliberazioni del Consiglio dei ministri da adottare ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225  e  per  la  predisposizione  ed attuazione delle ordinane di cui all'art. 5, commi 2 e 3, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonche' per l'attuazione del  decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla  legge 26 febbraio 2011, n. 10».

    Si  consideri,  innanzi  tutto,   l'affermazione   contenuta   in premessa, secondo la quale la  normativa  vigente  (come  qui  si  e' evidenziato) attribuisce «al Presidente del Consiglio dei ministri la titolarita' delle politiche di protezione civile», consentendogli  di «emanare speciali  ordinane  derogatorie  dell'ordinamento  giuridico vigente ed istituire  altrettanto  eccezionali  e  peculiari  assetti organizzativi anche facenti capo a  specifici  Commissari  delegati».

Ebbene, secondo la direttiva  in  questione,  ai  sensi  delle  nuove disposizioni  introdotte  dal  d.l.  n.  225  del  2010,  le   citate «politiche» del Presidente del Consiglio  devono  essere  finanziate, innanzi tutto, a carico del bilancio della Regione  o  delle  Regioni interessate. Cio' risulta con chiarezza dal paragrafo  dedicato  alle «risorse necessarie per fronteggiare l'emergenza» ove si afferma che, «per il combinato disposto dei citati commi 5-quater  e  5-quinquies» della  legge  n.  225  del  1992,  «e'  la   Regione   esclusivamente interessata,  ovvero  sono  le  Regioni  interessate  (in  tal   caso pro-quota) a doversi fare carico in primo luogo del reperimento delle risorse  finanziarie  necessarie   a   far   fronte   ai   fabbisogni occorrenti». A questo fine - secondo la direttiva - la Regione (o  le

Regioni  interessate),  dovra':  «a)  innanzi  tutto  (...)  reperire all'interno  del  proprio  bilancio  le  disponibilita'   finanziarie sufficienti  per   effettuare   le   spese   conseguenti   all'evento emergenziale ovvero per la copertura  degli  oneri  conseguenti  allo stesso; b) poi, qualora il bilancio non  rechi  tale  disponibilita', (...)  deliberare  aumenti  dei  tributi,  delle  addizionali,  delle aliquote ovvero  delle  maggiorazioni  di  aliquote  attribuite  alla Regione,  sino  al  limite  massimo  consentito  dalla   legislazione vigente; c) nonche' (...) - sia nel caso che gli  aumenti  deliberati ai sensi della lettera b) non assicurino comunque il  reperimento  di tutte le disponibilita' occorrenti sia in quello della impossibilita' di  deliberare  aumenti  giacche'  gli   stessi   sono   stati   gia' precedentemente  operati  nei   limiti   massimi   consentiti   dalla legislazione  vigente  -  (...)  elevare  ulteriormente   la   misura dell'imposta regionale di cui  all'art.  17,  comma  1,  del  decreto legislativo n. 398 del 1990, fino a un massimo  di  cinque  centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita».

    La  direttiva,  inoltre,  ritiene  di  dover  precisare  che   le iniziative  appena  evocate  non  rappresentano  affatto  «una   mera facolta'  lasciata  alla  libera  iniziativa   discrezionale»   della Regione; cio' sulla base dell'incipit del comma 5-quinquies, «laddove esso prevede che (solo) "qualora le  misure  adottate  ai  sensi  del comma 5-quater  non  siano  sufficienti  (..)  puo'  essere  disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di protezione  civile"».

Come si puo' osservare, la direttiva si rivela ancora piu' severa con le Regioni di quanto non risulti dalla stessa disposizione normativa: essa, infatti, con una omissione (che si  deve  supporre)  deliberata nella citazione del primo periodo del  comma  5-quinquies,  evita  di considerare l'alternativa della «rilevanza  nazionale»  degli  eventi che pure, in base al disposto testuale, dovrebbe consentire l'accesso al  Fondo  nazionale.  Con  queste  premesse,  la  conclusione  della direttiva sul punto non puo' che essere drastica: «In altri  termini, perche' si possa utilizzare il predetto Fondo occorre pur sempre che, prima, risultino effettivamente assunte ed applicate le iniziative di competenza regionale sopra descritte». E a tale riguardo, si  precisa che le  Regioni  potranno  accedere  alle  misure  di  cui  al  comma 5-quinquies soltanto «attestando di aver  concretamente  esperito  le iniziative  di  propria  competenza  di  cui   al   comma   5-quater, evidentemente per la differenza di  fabbisogno  fra  quanto  reperito attraverso le proprie iniziative e quanto  necessario  per  le  spese conseguenti all'evento emergenziale ovvero  per  la  copertura  degli oneri dallo stesso derivanti».

    L'interpretazione  delle  due  nuove  disposizioni  fornita   dal Presidente del Consiglio dei ministri  si  rivela  dunque  di  tenore inequivoco: da esse discende l'effetto di porre a carico del bilancio delle Regioni e dei loro sistemi di imposizione fiscale - almeno fino alla loro «certificata insufficienza» - tutti  gli  oneri  finanziari derivanti  dalla  gestione  degli   interventi   di   emergenza   per fronteggiare gli eventi calamitosi di cui all'art. 2, comma 1,  lett. c), della legge n. 225 del 1992, indipendentemente dagli enti,  dagli organi e dalle strutture  competenti  ad  effettuare  gli  interventi suddetti. E a sgombrare il campo  da  ogni  dubbio  residuo  vale  la

seguente affermazione  finale  contenuta  nel  par.  della  direttiva intitolato alle «risorse necessarie  per  fronteggiare  l'emergenza»: «Da ultimo, va ribadito che le risorse  complessivamente  individuate per far fronte  all'emergenza  dovranno  essere  destinate  anche  al ristoro degli oneri derivanti dall'attivazione o  dall'impiego  delle componenti e delle strutture  operative  del  Servizio  nazionale  di protezione civile».

    6. -  La  Regione  Puglia,  con  la  deliberazione  della  Giunta indicata in epigrafe, ha espresso la volonta' di impugnare davanti  a questa Corte le disposizioni contenute nell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, come convertito in legge dalla legge n.  10 del   2011,   perche'   costituzionalmente   illegittime   e   lesive dell'autonomia  che  la  Costituzione  riconosce  e  garantisce  alle Regioni, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119  Cost.  Ad avviso della Regione Puglia, inoltre,  risulta  gravemente  vulnerato anche il principio costituzionale di leale collaborazione.

    L'illegittimita' costituzionale che si denuncia con  il  presente ricorso si fonda, in particolare, sulle seguenti ragioni di

 

                               Diritto

 

    7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi 5- quater  e 5-quinquies - quest'ultimo limitatamente al primo periodo - nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione dell'art. 119 Cost.  e, in particolare, del principio, in esso contenuto,  di  corrispondenza tra le risorse finanziarie ordinariamente disponibili da parte  degli enti territoriali che costituiscono la Repubblica e l'esercizio delle funzioni attribuite alla titolarita' di ciascuno di essi.

    7.1. - Il comma 2-quater dell'art. 2 del d.l. n.  225  del  2010, come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011,  ha  aggiunto  i commi 5-quater e 5-quinquies all'art. 5 della legge n. 225 del  1992.

Per  semplificare  l'esposizione,  da  qui   in   avanti   si   fara' riferimento, piuttosto che alle disposizioni dell'impugnato  d.l.  n. 225 del 2010, direttamente alle nuove norme  introdotte  nell'art.  5 della legge n. 225 del 1992.

    Tali norme, come si e' detto, pongono a carico dei bilanci  delle Regioni colpite da calamita' naturali o altri eventi in relazione  ai quali si decida  di  deliberare  lo  stato  di  emergenza,  ai  sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1,  della  legge n. 225 del 1992, il peso economico di tutti gli interventi  necessari per fronteggiare  l'emergenza,  a  prescindere  dall'ente  cui  debba essere riferita la competenza e la  responsabilita'  in  ordine  alla loro effettiva realizzazione in concreto.

    Le previsioni contenute nei commi 5-quater e  5-quinquies,  primo periodo,  dell'art.  5  della  legge  n.   225   del   1992   violano evidentemente l'art. 119, quarto comma,  Cost.,  poiche'  contrastano con  il  principio  da  esso  desumibile  della  piena  ed  integrale corrispondenza tra le risorse finanziarie ordinariamente  disponibili da parte degli enti territoriali che costituiscono  la  Repubblica  e l'esercizio delle funzioni attribuite alla titolarita' di ciascuno di essi.

    7.2. - Dall'analisi del quadro normativo gia' svolta in  premessa (cfr. par. 2) in ordine al riparto delle  competenze  in  materia  di protezione civile, emerge chiaramente che, soprattutto  in  relazione agli eventi straordinari cui si collega la dichiarazione dello  stato di emergenza di cui all'art. 5 della legge n. 225  del  1992,  tra  i vari enti  territoriali  necessariamente  coinvolti  e'  lo  Stato  a ricoprire una posizione del tutto preminente, quale soggetto  cui  e' attribuita, addirittura, una competenza generale e residuale rispetto a quelle specificamente riconosciute alle autonomie territoriali.

    Il  sistema  della  disposizioni  legislative  vigenti  fornisce, pertanto, una conferma inequivoca di quanto affermato  con  chiarezza dalla direttiva del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  del  14 marzo 2011 gia' ampiamente  richiamata:  ossia  che  quelle  volte  a fronteggiare eventi calamitosi straordinari sono senz'altro, nel loro complesso, «politiche governative», di livello  nazionale,  affidate, in particolare, alla responsabilita' del Presidente del Consiglio dei ministri, e che gli enti territoriali sub-statali hanno una  funzione esclusivamente ancillare rispetto a tali politiche.  Cio'  nondimeno, come si e' gia' posto in rilievo, le disposizioni impugnate in questa

sede stabiliscono che il peso economico  di  queste  politiche  debba gravare non sul bilancio statale - come sarebbe  del  tutto  normale, essendo le medesime «politiche statali» - bensi' sui  bilanci  e  sui sistemi tributari delle Regioni.

    7.3. - Tale previsione contrasta con l'importante principio posto dall'art. 119 Cost. che si e' piu' sopra richiamato. Cio'  in  quanto non e'  costituzionalmente  consentito  che  una  legge  dello  Stato imponga  alle  Regioni  di  finanziare  funzioni  amministrative   di esclusiva pertinenza del primo.

    Come  e'  noto,  la  disposizione  costituzionale  sopra   citata stabilisce,  ai  commi  secondo  e  terzo,  le  fonti  ordinarie   di approvvigionamento dei bilanci degli enti  territoriali  sub-statali, individuandole  nei  tributi   e   nelle   entrate   proprie,   nella compartecipazione al gettito dei tributi erariali e  nella  quota  di spettanza del fondo perequativo. Il successivo comma quarto, inoltre, prevede che «le  risorse  derivanti  dalle  fonti  di  cui  ai  commi precedenti  consentono  ai  Comuni,  alle   Province,   alle   Citta' metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le  funzioni pubbliche loro attribuite». Alle risorse previste dai commi secondo e terzo dell'art. 119, inoltre, il successivo comma quinto  aggiunge  - con norma evidentemente di «chiusura»  -  la  previsione  secondo  la quale «lo Stato destina risorse  aggiuntive  ed  effettua  interventi speciali  in  favore  di   determinati   Comuni,   Province,   Citta'

metropolitane e Regioni»,  allo  scopo  di  «promuovere  lo  sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, per  rimuovere  gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi  dal  normale esercizio delle loro funzioni».

    Dall'insieme delle disposizioni appena menzionate si  ricava  con chiarezza  il  principio  generale  di  corrispondenza  tra  funzioni esercitate  ed  entrate   ordinarie   spettanti   ai   diversi   enti territoriali della Repubblica. L'unica eccezione a  questo  principio generale  di  corrispondenza  tra  funzioni  e  risorse   e'   quella espressamente prevista dal comma quinto dell'art. 119: gli interventi speciali e le risorse  aggiuntive  che  lo  Stato  deve  destinare  a singoli enti territoriali al fine di garantire  la  realizzazione  di alcuni   fondamentali    valori    costituzionali    e    l'effettivo esercizio/godimento dei diritti della persona, nonche' - non a caso - per provvedere  a  tutti  gli  scopi  che  fuoriescano  dal  «normale esercizio» delle funzioni ordinariamente spettanti agli enti autonomi territoriali.

    Il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse rileva  qui da due differenti (ma concorrenti) punti di vista.

    a) In primo luogo, esso mostra chiaramente che, oltre all'ipotesi da ultimo citata, di cui all'art. 119, quinto comma, Cost., il nostro diritto costituzionale  non  ammette  che  le  funzioni  di  un  ente territoriale possano essere finanziate mediante il ricorso ad entrate diverse da quelle che, in via ordinaria, competono al  suo  bilancio.

Di conseguenza non puo' che ritenersi costituzionalmente  illegittima la previsione secondo la quale la  funzioni  statali  in  materia  di protezione  civile,  connesse  alla  declaratoria  dello   stato   di emergenza di cui all'art. 2, lett. c), e all'art. 5, comma  1,  della legge n. 225 del 1992, sono finanziate a gravare  sui  bilanci  delle Regioni interessate. Con evidenza, le risorse provenienti  da  questi bilanci non fanno parte, infatti, delle  risorse  che  ordinariamente competono allo Stato.

    b) Il principio costituzionale di corrispondenza tra  funzioni  e risorse, come desumibile dall'art. 119, Cost., rileva in questa  sede anche sotto un secondo profilo.

    Il quarto comma di  tale  disposizione  costituzionale,  infatti, nell'affermare che le risorse dei  precedenti  commi  «consentono  ai Comuni, alle Province, alle Citta' metropolitane e  alle  Regioni  di finanziare integralmente le funzioni loro attribuite»,  evidentemente presuppone che le risorse in questione siano stabilmente destinate al finanziamento di tali funzioni, e non al  finanziamento  di  funzioni svolte   da   altri   soggetti.   La   medesima   conclusione deve necessariamente trarsi anche dal testo del  successivo  quinto  comma dell'art. 119 Cost.: se lo  Stato  e'  chiamato  a  porre  in  essere «interventi speciali» e a destinare  «risorse  aggiuntive»  a  favore degli enti autonomi territoriali sub-statali, anche - tra  l'altro  - al fine di «provvedere a  scopi  diversi  dall'esercizio  delle  loro funzioni», a maggior ragione si deve ritenere che non possa imprimere alle  risorse  «ordinarie»  delle  Regioni  (e  degli  enti   locali) destinazione diversa da quella del finanziamento di queste funzioni.

    8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies - quest'ultimo limitatamente al primo periodo - nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione dell'art.  119,  quinto comma, Cost., anche in relazione ai  principi  di  eguaglianza  e  di ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost.,  nonche'  al  principio  di solidarieta' politica, economica e sociale di cui all'art. 2 Cost.

    8.1. - Le norme contenute nei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo,  dell'art.  5  della  legge  n.  225  del  1992  contrastano palesemente e in termini specifici con quanto disposto dall'art. 119, quinto comma, Cost.

    In base a quanto prevede tale disposizione,  come  si  e'  appena posto in rilievo, la Costituzione affida espressamente allo Stato  il compito di «destinare» «risorse aggiuntivi,» rispetto a quelle di cui ai commi secondo e terzo del medesimo  art.  119  e  di  «effettuare» «interventi speciali  in  favore  di  determinati  Comuni,  Province, Citta' metropolitane e Regioni». La norma costituzionale  stabilisce, altresi',  le  finalita'  cui  tali  «risorse  aggiuntive»   e   tali «interventi speciali» di competenza statale debbono  essere  rivolti: la promozione  dello  sviluppo  economico,  della  coesione  e  della solidarieta'  sociale;  la  rimozione  degli  squilibri  economici  e sociali; la migliore garanzia dell'effettivo  esercizio  dei  diritti della persona; la  necessita'  di  provvedere  a  scopi  diversi  dal normale esercizio delle funzioni affidate alla competenza degli  enti autonomi territoriali. In sintesi, e' evidente che l'art. 119, quinto comma, Cost. attribuisce  specificamente  allo  Stato  una  peculiare funzione  «sussidiaria»  a   garanzia   ultima   di   alcuni   valori imprescindibili   dell'ordinamento,   intestando   proprio   all'ente esponenziale  dell'unita'  e  indivisibilita'  della  Repubblica   il compito  di  assicurare  la  disponibilita'  delle  risorse   e   gli interventi necessari allorquando i suddetti valori non possano essere adeguatamente  garantiti  dal  normale   esercizio   delle   funzioni spettanti alle autonomie territoriali.

    Se si considera la tipologia di eventi contemplati  dall'art.  2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992  cui  fanno  esplicito riferimento  le  norme  impugnate  nel   presente   giudizio   (ossia «calamita' naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed estensione,  debbono  essere  fronteggiati   con   mezzi   e   poteri straordinari»), e' del tutto agevole dedurne che proprio in  presenza di simili circostanze di fatto  ci  si  trova  a  dover  fronteggiare situazioni  che  determinano  un  sicuro  pregiudizio  per  i  valori contemplati nel quinto comma  dell'art.  119  Cost.,  che  certamente fuoriescono dal campo del «normale esercizio»  delle  funzioni  delle

autonomie territoriali e che, pertanto, costituiscono senz'altro  uno dei campi privilegiati di quella responsabilita' «sussidiaria» che la citata norma costituzionale intesta allo Stato. In altre parole,  non puo' seriamente dubitarsi che tra gli «interventi speciali» di cui al quinto comma dell'art. 119, debbano  essere  collocati  anche  quelli svolti in risposta ad «emergenze» rientranti nell'ambito del disposto dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1,  della  legge n. 225 del 1992. E non puo' dubitarsi che con le disposizioni che qui si contestano lo Stato intende invece sottrarsi alla  responsabilita' di finanziare lo svolgimento di specifici compiti che la Costituzione gli assegna, mettendo peraltro seriamente a rischio la loro  concreta realizzazione.

    Da  cio'  discende,   in   termini   evidenti,   l'illegittimita' costituzionale di norme legislative quali quelle impugnate in  questa sede, in quanto volte a porre a  carico  delle  Regioni  direttamente interessate dagli eventi catastrofici di cui  all'art.  2,  comma  1, lett. c), della legge n. 225 del 1992 gli oneri  finanziari  connessi con la gestione dell'emergenza e,  dunque,  volte  a  determinare  la sostanziale «abdicazione» da parte dello  Stato  dai  propri  compiti espressamente contemplati nell'art. 119, quinto comma, Cost.

    8.2. - Proprio la  considerazione  dei  valori  costituzionali  a garanzia  dei  quali  gli  interventi  «straordinari»   dello   Stato dovrebbero rivolgersi consente, d'altra parte,  di  ritenere  che  la violazione diretta dell'art. 119, quinto  comma,  Cost.  si  colleghi strettamente con la violazione di numerosi altri  principi  contenuti nella  Carta  costituzionale.  E  la  legittimazione  della   Regione ricorrente a denunciare nel presente giudizio anche simili profili di illegittimita'  costituzionale  trova  sicuro   fondamento   in   due concorrenti ragioni: a) perche' trattasi  di  corollari  direttamente connessi alla affermata violazione di una  norma  costituzionale  sul riparto delle competenze quale quella contenuta nell'art. 119, quinto comma, Cost.; b) perche', in ogni caso, le norme  impugnate  incidono direttamente  sulle   attribuzioni   costituzionali   delle   Regioni limitandone  e  vincolandone  le  sfere  di  autonomia  normativa   e finanziaria, con la  conseguenza  per  cui  la  violazione  di  norme costituzionali extracompetenziali e' in grado di produrre,  nel  caso di specie, quella «lesione indiretta» delle competenze costituzionali delle Regioni cui la consolidata giurisprudenza di  questa  Corte  e' ancora l'ammissibilita' nel giudizio  in  via  principale  di  simili censure.

    8.2.1. - In primo luogo,  e'  palese  il  contrasto  delle  norme impugnate con i principi di eguaglianza e di  ragionevolezza  di  cui all'art. 3 Cost., dal momento  che  -  a  dispetto  della  menzionata «responsabilita'»  dello  Stato  per  la  rimozione  degli  squilibri economici  e  sociali  e  per  la  migliore  garanzia  dell'effettivo esercizio dei diritti della persona - viene posto  a  carico  proprio delle  collettivita'  colpite  dalle  calamita'  naturali   o   dalle catastrofi il peso economico degli interventi volti a fronteggiarle.

    Tale profilo  illegittimita'  costituzionale  risulta  ampiamente evocato nell'ambito del dibattito parlamentare svoltosi in  occasione della conversione in legge del d.l. n. 225 del 2010. Al riguardo,  si rinvia al gia' menzionato resoconto  sommario  e  stenografico  della seduta alla Camera dei deputati del giorno martedi' 22 febbraio 2011.

Puo' essere citato, ad esempio, l'intervento del deputato  Cambursano (in  part.  a  pag.  9  del  Resoconto):  «Nel  territorio  dove   si abbatteranno calamita' naturali,  le  regioni  potranno  aumentare  i tributi,  le  addizionali,  l'imposta  regionale  sulla  benzina  per autotrazione e quella, se necessario, anche sulle accise sul gasolio.

In un colpo solo, signor  Presidente,  due  sacri  principi  si  sono abbattuti: il principio della solidarieta' di un territorio verso  un altro, ossia verso il territorio colpito, e  quello  della  capacita' contributiva. Da quello che ricordo aver studiato a suo tempo,  credo che per attivare una nuova  imposta  o  una  nuova  tassa,  ai  sensi dell'articolo  53  della   Costituzione,   occorra   individuare   un presupposto  patrimoniale  e  reddituale.  Qual  e'  il   presupposto patrimoniale o reddituale di questo maggiore  appesantimento  fiscale dei cittadini gia' colpiti dalla calamita?  La  catastrofe  naturale.

Non mi pare che nella Carta costituzionale si facesse cenno a  questi presupposti, ma li avete inventati voi». Nello stesso senso, tra  gli altri, anche il deputato Occhiuto (pag. 17 del Resoconto): «In questo provvedimento, pero', avete fatto anche di  peggio.  Avete  fatto  di piu' e di peggio, come hanno gia' ricordato altri colleghi. Vi  siete persino inventati la tassa sulle disgrazie. Avete previsto,  infatti, di tassare i cittadini anche per  le  calamita'  naturali,  imponendo alle regioni terremotate, per esempio, o alle regioni alluvionate  di aumentare le tasse e le addizionali e, qualora l'aumento delle  tasse regionali non sia sufficiente a fronteggiare la calamita' e si debba, quindi, utilizzare il Fondo di riserva per le spese  impreviste,  che e' istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, avete disposto  che  questo  Fondo  possa  essere  reintegrato  in   misura corrispondente mediante l'aumento dell'accisa  sulla  benzina  e  sul gasolio. L'aumento che  avete  previsto  sara'  deliberato,  come  e' scritto nel provvedimento,  dall'Agenzia  delle  dogane.  Insomma,  i cittadini che subiranno sul loro territorio  una  calamita'  naturale dovranno subire prima i danni della  catastrofe  e  poi  le  stangate fiscali della regione prima e del Governo dopo».

    Alla luce di queste parole, non ci  vuol  molto  per  argomentare l'evidente  violazione  del  principio  di  eguaglianza,  laddove  si configura  un  trattamento  deteriore  proprio  per  le   popolazioni residenti nelle aree colpite da un evento catastrofico straordinario, nonche' la palese irragionevolezza di una simile disciplina.

    Il principio di ragionevolezza, in particolare,  e'  violato  per due differenti ma concorrenti ragioni:

        a) innanzi tutto,  per  la  evidente  irrazionalita'  di  una misura che  realizza  l'effetto  di  gravare  le  collettivita'  gia' colpite dalla calamita' naturale da un ulteriore peso, senza che cio' trovi fondamento in alcuna ragione  costituzionalmente  apprezzabile, ed in particolare in una manifestazione di capacita' contributiva, ed anzi a fronte  di  una  diminuzione,  estremamente  probabile,  della capacita' contributiva di molti  dei  soggetti  facenti  parte  delle collettivita' in questione, proprio a causa delle  calamita'  che  li hanno colpiti;

        b)  in  secondo  luogo,  a  causa  della  incoerenza  che  le disposizioni impugnate determinano  nella  legislazione  vigente;  il comma 5-ter del medesimo art. 5 della legge n. 225 del 1992, infatti, si fa carico delle particolari situazioni di difficolta'  in  cui  si possono trovare  le  collettivita'  colpite  dalle  calamita'  e,  in considerazione  di  cio',  prevede   che   «in   relazione   ad   una dichiarazione dello stato di emergenza,  i  soggetti  interessati  da eventi eccezionali e imprevedibili che subiscono danni  riconducibili all'evento, compresi quelli relativi alle abitazioni e agli  immobili sedi di attivita' produttive, possono fruire della sospensione o  del differimento, per un periodo fino a sei mesi,  dei  termini  per  gli adempimenti e i versamenti dei tributi e dei contributi previdenziali

e assistenziali e dei premi per l'assicurazione  obbligatoria  contro gli infortuni e le malattie professionali». A fronte di questa  norma di agevolazione fiscale per i soggetti colpiti,  i  successivi  commi 5-quater  e  5-quinquies,  primo  periodo,  pongono  a  carico  delle collettivita' colpite il peso  economico  degli  interventi  volti  a fronteggiare l'emergenza. Non  vi  e'  chi  non  veda  la  intrinseca contraddittorieta' di queste previsioni normative.

    8.2.2. - Le disposizioni impugnate, sempre in connessione con  la violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost.,  contrastano  altresi' con l'art. 2 Cost. ed il principio di solidarieta' in  esso  sancito. Come e' noto, infatti, in base a tale disposizione costituzionale «la Repubblica (...) richiede l'adempimento dei  doveri  inderogabili  di solidarieta'  politica,  economica  e  sociale».   Tale   dovere   di solidarieta' - che proprio l'art. 119, quinto comma,  Cost.  richiama espressamente  tra  le  finalita'  cui  dovrebbero  indirizzarsi   le «risorse aggiuntive» e gli «interventi speciali» posti a carico dello Stato - trova applicazione  anche  tra  le  comunita'  stanziate  sui diversi territori regionali. Come hanno  evidenziato  gli  interventi occorsi in sede di dibattito parlamentare sopra riportati, l'art.  5, commi 5-quater e  5-quinquies,  primo  periodo,  viola  tale  dovere, facendo venir meno - proprio nel momento di massimo  bisogno  di  una collettivita' regionale, dovuto a eventi straordinari e quasi  sempre imprevedibili - il sostegno delle altre collettivita'.

    9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione dell'art. 119, primo comma, Cost. e,  in  particolare, del principio di autonomia di entrata e di spesa della Regione.

    9.1. - L'art. 119 Cost. risulta  violato  anche  per  un  diverso profilo. Tale disposizione costituzionale - in particolare, al  primo comma - stabilisce che la Regione goda di autonomia di entrata  e  di spesa. Tale autonomia e' evidentemente vulnerata e compressa in  modo grave dalle disposizioni che si contestano in questa sede.

    9.2. -  L'autonomia  finanziaria  regionale,  innanzi  tutto,  e' vulnerata dalla circostanza secondo  la  quale  la  Regione  si  vede imporre, mediante una legge dello Stato, l'obbligo  di  finanziare  a carico del proprio bilancio funzioni esercitate da quest'ultimo.

    L'autodeterminazione circa l'utilizzazione delle proprie  risorse e la  connessa  responsabilita'  -  sia  generalmente  politica,  che specificamente fiscale - nei confronti del corpo elettorale regionale vengono evidentemente messe in crisi da tale previsione.

    9.3.  -  La  violazione  dell'autonomia   finanziaria   regionale garantita dal primo comma dell'art. 119 Cost. e'  apprezzabile  anche da un altro punto di vista.

    I commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5  della legge n. 225 del 1992, infatti, nel prevedere che qualora il bilancio regionale non risulti capiente  per  la  copertura  delle  spese,  il Presidente della Regione  debba  esercitare  la  potesta'  tributaria riconosciuta  alla  Regione  dalla  legislazione  nazionale  vigente, deliberando aumenti - nella misura massima consentita da quest'ultima - dei tributi, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di  aliquote attribuite alla Regione, nonche' deliberando - all'occorrenza – anche un  ulteriore  aumento  dell'imposta  regionale  sulla  benzina   per autotrazione fino ad un massimo di 5 cent. per litro, determinano  un vincolo  particolarmente  stringente  all'esercizio  della   potesta' tributaria della Regione, azzerando i margini di scelta  relativi  ad una propria e responsabile «politica di imposizione fiscale». In  tal modo viene dunque fortemente compressa l'autonomia di  entrata  della Regione.

    A sostegno del presente motivo di censura, inoltre,  puo'  essere sottolineato quanto segue.

    La Regione Puglia non ignora che  le  Regioni,  ove  proprio  non intendano aumentare le entrate tributarie gravanti sulle  popolazioni residenti  sul  territorio  regionale,  possono   «liberarsi»   dalla necessita' di procedere in  tal  senso  mediante  una  variazione  di bilancio, ad  esempio  disponendo  la  riduzione  di  spese  in  esso previste.   Tale   rilievo,   tuttavia,    evidenzia    ulteriormente l'incostituzionalita' delle  disposizioni  impugnate,  poiche'  rende evidente  che  l'unico  modo  che  la  Regione  ha  per  evitare   la compressione  della  propria  autonomia  di  entrata,  e'  quello  di accettare una corrispondente compressione della propria autonomia  di spesa, ossia di deliberare una variazione di bilancio che  elimini  o riduca spese  gia'  precedentemente  stabilite  nell'esercizio  della propria autonomia. La lesione delle prerogative costituzionali  della Regione, peraltro, risulta ancor  piu'  evidente  ove  si  consideri, sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla  sent.  n.  320  del 2004  di  questa  Corte,  che  «in  numerose  materie  di  competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto  nella  determina ione di incentivi economici ai diversi  soggetti  che  vi  operano  e

nella disciplina delle modalita' per la loro erogazione» (par. 7  del Considerato in diritto). Tale rilievo rende del tutto palese  che  la costrizione -  per  il  tramite  della  «minaccia»  costituita  dalla possibile compressione della autonomia di  entrata  -  a  ridurre  le politiche di spesa di una Regione comporta la  incisione  del  «cuore pulsante» dell'autonomia di quest'ultima  in  parecchi  degli  ambiti materiali che il Titolo V  della  Parte  seconda  della  Costituzione attribuisce alla competenza della medesima.

    9.4.  -  Tali  ultime  considerazioni,  inoltre,  consentono   di apprezzare un ulteriore punto di vista dal  quale  risultano  violati tanto il principio di autonomia finanziaria delle Regioni, quanto  il principio di corrispondenza tra entrate ordinarie di queste ultime  e le funzioni dalle medesime esercitate. In  base  alla  giurisprudenza costituzionale, infatti, le risorse di cui ai commi secondo  e  terzo dell'art. 119 Cost. «consentono - vale a  dire  devono  consentire  - agli enti di "finanziare integralmente  le  funzioni  pubbliche  loro attribuite" (quarto comma), salva la possibilita'  per  lo  Stato  di destinare risorse aggiuntive ed  effettuare  interventi  speciali  in favore  di  determinati  Comuni,  Province,  Citta'  metropolitane  e Regioni, per gli scopi di sviluppo  e  di  garanzia  enunciati  dalla stessa norma o "per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio" delle funzioni degli enti autonomi (quinto comma)» (sent. n.  37  del 2004, par. 5 del Considerato in diritto; analogamente la sent. n. 370 del 2003, par. 7 del Considerato in diritto).  Ora,  nell'ipotesi  in cui la Regione voglia evitare la compressione della propria autonomia di entrata e, dunque, non intenda  aumentare  le  entrate  tributarie

indicate dal comma 5-quater dell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, si trova  a  dover  ridurre  lo  stanziamento  di  bilancio  volto  a finanziare  proprie   funzioni   amministrative,   potendo   giungere addirittura a dover contemplare la possibilita' di azzerare il  primo ed eliminare le seconde. Con il risultato - evidentemente  gravissimo per l'autonomia regionale - di veder vulnerato proprio quel principio di corrispondenza, il quale richiede che  le  risorse  ordinariamente afferenti al bilancio regionale siano  sufficienti  a  finanziare  le funzioni regionali.

    La conseguenza e' di palmare evidenza:  le  disposizioni  oggetto del  presente  giudizio  mettono  «nell'angolo»  la  Regione.   Essa, infatti, si trova costretta o  ad  accettare  la  compressione  della propria  autonomia  di  entrata  (ed  in  particolare  della  propria autonomia  impositiva),  ovvero  ad  accettare  la   violazione   del principio di corrispondenza  sancito  dall'art.  119,  quarto  comma, Cost., con  il  risultato  di  dover  necessariamente  rinunziare  ad esercitare alcune delle proprie  funzioni  istituite  e/o  finanziate nell'ambito dell'esercizio della propria autonomia.

    E' evidente che - anche in questo caso - determinante al fine del prodursi della violazione qui denunciata e' la circostanza secondo la quale le risorse reperite a carico del bilancio della Regione  o  del sistema tributario regionale ai sensi dell'art.  5,  comma  5-quater, della legge n. 225 del 1992 sono volte a finanziare funzioni (e, piu' in generale, politiche) svolte da altri enti,  in  particolare  dallo Stato. Se, infatti, le funzioni volte a  fronteggiare  gli  stati  di emergenza di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della  legge  n.  225 del 1992 fossero  affidate  alla  competenza  delle  Regioni,  queste ultime certo si vedrebbero gravare di una  notevole  responsabilita', in vista della quale dovrebbero comunque essere dotate delle  risorse necessarie in base ai commi secondo, terzo  e  quarto  dell'art.  119 Cost.,  ma  senza  dubbio   le   disposizioni   qui   impugnate   non determinerebbero la violazione del principio  di  corrispondenza  tra funzioni e risorse, ne' dell'autonomia finanziaria regionale.

    9.5. - Infine, in relazione al presente  motivo  di  ricorso,  si deve osservare quanto segue.

    La Regione Puglia non ignora  che  la  giurisprudenza  di  questa Corte concernente  il  sistema  diseg-nato  dall'art.  119  Cost.  ha affermato che quest'ultimo non e' in grado di dispiegare pienamente i propri effetti sino al momento in cui non  sara'  operante  la  legge statale espressamente prevista per  il  coordinamento  della  finanza pubblica  e  del  sistema  tributario.  In  questa  sede,  e'   pero' necessario evidenziare che la medesima giurisprudenza ha chiarito che cio' non comporta la conseguenza secondo la quale, anche prima  della sua attuazione legislativa, l'art. 119 Cost.  non  sia  in  grado  di imporre alcuni precetti direttamente operanti. Tra questi - oltre  al «principio di corrispondenza», sul quale ci  si  e'  gia'  ampiamente soffermati -  e'  stato  individuato  anche  quello  consistente  nel «divieto  imposto  di  procedere  in  senso  inverso  a  quanto  oggi prescritto dall'art. 119 della Costituzione, e  cosi'  di  sopprimere semplicemente,  senza  sostituirli,  gli  spazi  di  autonomia   gia' riconosciuti dalle leggi statali in vigore, alle Regioni e agli  enti locali,  o  di  procedere  a  configurare  un   sistema   finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119»  (cosi' la sent. n. 423 del 2004, par. 3.3 del Considerato  in  diritto,  che richiama le sentt. nn. 320, 241 e 37  del  2004).  E'  evidente  che, invece, tale «procedere in senso inverso» e'  precisamente  l'effetto delle  disposizioni  impugnate:  esse  infatti  -  per   le   ragioni illustrate  -  sopprimono  spazi  di   autonomia   finanziaria   gia' riconosciuti  alle  Regioni  e  pongono  delle   norme   direttamente contrastanti con i principi desumibili dall'art. 119 Cost.

    10. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per  violazione  dell'art.  119  Cost.,  sotto   il   profilo   della imposizione di vincoli di  destinazione  a  risparmi  di  spesa  e  a entrate regionali.

    10.1. - Oltre al «principio di corrispondenza», e al precetto del «divieto  di  procedere  in   senso   inverso»,   la   giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che dall'art. 119 Cost. debba ricavarsi un altro  principio,   direttamente   e   immediatamente   operante, e particolarmente rilevante in questa sede. Si tratta  del  divieto  di istituire  fondi  vincolati  nella  destinazione,   con   particolare riguardo alle materie affidate alla competenza legislativa  residuale regionale o concorrente di Stato e Regioni (tra le molte,  si  vedano le sentt. nn. 370 del 2003, 320 del 2004, 137 e 201 del 2007).

    A tutta evidenza, il caso di specie non e'  certo  quello  di  un fondo, previsto nel bilancio statale, che sia finalizzato  ad  essere trasferito alle Regioni con vincolo di destinazione. Con  altrettanta evidenza,  tuttavia,  il  principio  del  divieto  dei   vincoli   di destinazione  desumibile  dall'art.  119  Cost.  si  configura   come principio  generale  concernente  tutte  le  risorse  garantite  alle autonomie  territoriali  dai  commi  secondo  e  terzo  della   norma costituzionale citata. In dottrina e' stato affermato,  al  riguardo, che «non puo' essere messo in  dubbio»  che  l'autonomia  finanziaria degli enti territoriali «comprenda la possibilita'  di  stabilire  la tipologia e  l'entita'  delle  spese  proprie  di  tali  enti».  Piu' specificamente, si e' evidenziato che il divieto di imprimere vincoli di destinazione al fondo  perequativo  di  cui  all'art.  119,  terzo comma, Cost., produce, in generale, «un effetto  di  tipo  proibitivo nei confronti della normazione primaria e secondaria  che  stabilisca vincoli specifici di destinazione» (G. Fransoni,  G.  Della  Cananea, Art. 119, in R.  Bifulco,  A.  Celotto,  M.  Olivetti  (a  cura  di), Commentario alla  Costituzione,  III,  Utet  giuridica-Wolter  Kluwer Italia Giuridica, Milano, 2006, pagg. 2368 e 2373).

    Tale principio generale e' senz'altro applicabile  anche  a  casi come quello che viene sottoposto al giudizio di  questa  Corte  nella sede odierna.

    E' indubbio, infatti, che  le  norme  qui  censurate  pongono  un vincolo di destinazione.  Tale  vincolo  grava,  alternativamente,  o sulle  somme   derivanti   dall'aumento   del   prelievo   tributario eventualmente stabilito dal Presidente  della  Regione  ai  sensi  di questa disposizione, o sulle somme derivanti dai  risparmi  di  spesa che la Regione deliberi  mediante  una  variazione  di  bilancio  per evitare  di  dover  ricorrere  ai  suddetti  aumenti  tributari.   E' altrettanto indubbio, peraltro,  che  il  divieto  di  vincoli  nella destinazione che grava sui trasferimenti di origine statale non  puo' che  valere,  a  maggior   ragione,   in   relazione   alle   risorse autonomamente  reperite  dalla  Regione  (come  lo  sono  sia  quelle derivanti  dall'incremento  del  prelievo   tributario   che   quelle conseguenti. a risparmi di spesa). In relazione a casi similari, fino ad oggi, la  giurisprudenza  costituzionale  non  ha  avuto  modo  di soffermarsi, forse perche' mai la legislazione statale si era,  prima d'ora,  spinta  cosi'  in  la'  nella   compressione   dell'autonomia finanziaria regionale: e' infatti molto piu' grave  per  quest'ultima un vincolo di destinazione imposto su risorse autonomamente  reperite che il medesimo vincolo gravante su risorse trasferite  dallo  Stato.

Per questa ragione, non vi e' chi  non  veda  che  le  norme  statali impugnate  violano  palesemente  il  principio  costituzionale  della autonomia finanziaria, con particolare riguardo al divieto di imporre vincoli nella destinazione delle risorse.

    11. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art.  119,  secondo comma, Cost., in relazione alla  competenza  legislativa  concorrente nella materia «coordinamento della finanza  pubblica  e  del  sistema tributario».

    11.1. - I commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo,  dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 violano anche l'art. 117, terzo  comma, e 119, secondo comma, Cost., in quanto si pongono in contrasto con il riparto  di  competenze  legislative  concernente  la   materia   del «coordinamento della  finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario» stabilito dalle norme costituzionali citate, cosi'  come  ricostruito dalla giurisprudenza costituzionale.

    Al riguardo, e' possibile evidenziare quanto segue.

    Che la disciplina oggetto di censura debba essere ricondotta alla materia del «coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema tributario»  non  e'  ragionevolmente  discutibile.   Le   norme   in questione, infatti, dettano una disciplina  appositamente  rivolta  a coordinare la «ripartizione» degli oneri finanziari connessi  con  la gestione degli stati di emergenza derivanti da calamita'  naturali o eventi catastrofici, attribuendone il  peso  interamente  ai  bilanci delle Regioni,  ponendo  limiti  alla  loro  potesta'  di  spesa  (in relazione  a  somme  ottenute  mediante  l'esercizio  della  potesta' tributaria regionale ovvero mediante risparmi di  spesa)  e,  infine,

prevedendo la mera «eventualita'» del ricorso alle risorse del  Fondo nazionale di protezione civile.

    La  materia  de  qua  e'  affidata,  dalla   Costituzione,   alla competenza legislativa concorrente di Stato e' Regioni. E' noto  che, secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  non   e'   possibile stabilire, in generale e a valere per tutte  le  materie  di  cui  al terzo comma dell'art. 117 Cost., cosa sia  principio  fondamentale  e cosa  non  lo  sia.  E'  viceversa  necessario  che  i  criteri   per discriminare le norme di principio da  quelle  di  dettaglio  tengano conto delle peculiarita' delle singole materie. E', per  questo  che, nel  caso  di  specie,  e'  necessario  (ancor  piu'  che  in   altre situazioni) fare riferimento alle pronunce di questa Corte.

    Sul punto, rilevano tutte le decisioni che hanno evidenziato come le norme statali che impongono  vincoli  alle  spese  possano  essere ritenute espressive di principi fondamentali soltanto (per  quel  che qui specificamente interessa) se tali vincoli sono volti a perseguire l'obiettivo  del  riequilibrio  della  finanza  pubblica.   Si   puo' richiamare, solo per citare un esempio tra le pronunce piu'  recenti, la sent. n. 326 del 2010: «Nella giurisprudenza di  questa  Corte  e' ormai  consolidato  l'orientamento  secondo  cui  norme  statali  che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti  locali  possono qualificarsi principi fondamentali  di  coordinamento  della  finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in  primo  luogo,  che  si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di  un  transitorio  contenimento  complessivo,  anche  se  non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che  non  prevedano in modo esaustivo strumenti o  modalita'  per  il  perseguimento  dei suddetti obiettivi» (par.  8.5  del  Considerato  in  diritto;  nello stesso senso questa Corte si e' espressa, inoltre, nella sent. n.  52 del 2010, al par. 12.3 del Considerato in diritto).

    Ora, e' noto che, nella maggior parte dei casi,  affermazioni  di tale tenore hanno avuto ad oggetto norme statali che ponevano divieti di spesa, mentre in questo caso le norme impugnate pongono un  limite differente, consistente - come gia' messo in evidenza - in un vincolo nella  destinazione  di  risorse   indiscutibilmente   di   spettanza regionale in quanto riconducibili alle fonti di  entrata  di  cui  ai commi  secondo  e  terzo  dell'art.  119  Cost.  La  Regione  Puglia, tuttavia,  ritiene  che   l'orientamento   giurisprudenziale   appena richiamato non possa non valere anche per questo diverso  limite,  il quale, come si e' mostrato piu' sopra, e' particolarmente  grave  per l'autonomia regionale proprio perche' destinato ad investire  risorse non trasferite dallo Stato ma autonomamente reperite  dalla  Regione.

Cio',  nel  caso  di  specie,  conduce  senz'altro  ad  escludere  la qualifica di «principio fondamentale» ai precetti di cui all'art.  5, commi  5-quater  e  5-quinquies,   primo   periodo,   in   quanto - evidentemente - i limiti che essi impongono non sono  in  alcun  modo finalizzati al perseguimento dell'obiettivo  del  riequilibrio  della finanza pubblica, ne' un simile obiettivo e' in alcun modo desumibile dal tenore testuale delle disposizioni in questione.

    Per questi motivi, si deve ritenere che le norme impugnate, nella parte in cui impongono limiti  e  vincoli  puntuali  all'utilizzo  di risorse finanziarie regionali,  siano  contrastanti  con  il  riparto delle competenze  legislative  in  materia  di  «coordinamento  della finanza pubblica e del sistema tributario», non essendo in alcun modo qualificabili come principi fondamentali di tale materia.

    12. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n.  10  del  2011,  limitatamente   alla   introduzione   del   comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n.  225  de1 1992, per violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost., anche in relazione ai principi di eguaglianza e di  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3 Cost., nonche' al principio di  solidarieta'  politica,  economica  e sociale di cui all'art. 2 Cost.,  nella  parte  in  cui  prevede  che l'accesso al Fondo nazionale di protezione  civile  e'  semplicemente «possibile» e  subordinato  a  valutazioni  «politiche»  del  Governo anziche' essere obbligatorio e automatico.

    12.1. - La  presente  censura  e'  proposta  in  via  subordinata rispetto a tutte quelle  fin  qui  prospettate.  La  Regione  Puglia, infatti, sostiene che - anche nella denegata ipotesi  in  cui  questa Corte ritenesse di respingere  tutte  le  questioni  di  legittimita' costituzionale  concernenti  il  comma   5-quater,   considerato   in combinato disposto con il comma 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 - esisterebbero comunque buone  ragioni per  ritenere  costituzionalmente  illegittima,  in   via   autonoma, quest'ultima disposizione.

    Essa - lo si ricorda - prevede quanto segue: «Qualora  le  misure adottate ai sensi del comma 5-quater non siano sufficienti, ovvero in tutti gli altri casi di eventi di cui al comma 5-quater di  rilevanza nazionale, puo' essere disposto l'utilizzo delle  risorse  del  Fondo nazionale di protezione civile». In  base  a  questa  norma,  dunque, l'accesso al Fondo nazionale di protezione civile, anche nel caso  in cui ricorrano gli eventi straordinari di cui  all'art.  2,  comma  1, lett. c), e 5,  comma  1,  della  legge  n.  225  del  1992,  non  e' «obbligatorio» e «automatico». Viceversa,  tale  accesso  e'  innanzi tutto subordinato, alternativamente, al ricorrere di due  condizioni:

a) che siano state percorse le strade indicate dal comma 5-quater  (o che non possano essere  percorse,  come  correttamente  evidenzia  la direttiva del Presidente del Consiglio piu' sopra citata); b) che sia stata data la qualificazione degli  eventi  calamitosi  in  questione come di «rilevanza nazionale».

    In presenza di queste condizioni, l'accesso al Fondo nazionale e' consentito soltanto  a  seguito  di  una  valutazione  «unilaterale», «politica» ed «insindacabile» dello Stato.

    E'  dunque  possibile,  ad  esempio,  il  verificarsi  di  simili occorrenze: la Regione colpita dalla calamita' o evento straordinario delibera gli aumenti tributari ai sensi dell'art. 5, comma  5-quater, della legge n. 225 del 1992, e tuttavia cio' non e'  sufficiente  per coprire  le  spese  degli   interventi   necessari   a   fronteggiare l'emergenza. Cio' nonostante, lo Stato nega  -  al  fine  di  coprire queste spese - l'accesso al Fondo nazionale di protezione civile,  in base ad una propria unilaterale valutazione.

    12.2. - Nel precedente motivo di censura illustrato al par. 8  si e' messo in luce come il combinato  disposto  dei  commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225  del  1992 abbia come effetto quello di vulnerare gravemente l'art. 119,  quinto comma, Cost., in connessione con il principio  solidaristico  di  cui all'art. 2 Cost. e con i principi di eguaglianza e di  ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.

    In base a quanto prevede la prima di tali disposizioni,  infatti, la Costituzione affida allo Stato il compito di «destinare»  «risorse aggiuntive» rispetto a quelle di cui ai commi  secondo  e  terzo  del medesimo art. 119 e di «effettuare» «interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Citta'  metropolitane  e  Regioni».  La norma costituzionale stabilisce,  altresi',  le  finalita'  cui  tali «risorse aggiuntive»  e  tali  «interventi  speciali»  di  competenza statale  debbono  essere  rivolti:  la  promozione   dello   sviluppo economico, della coesione e della solidarieta' sociale; la  rimozione degli  squilibri  economici   e   sociali;   la   migliore   garanzia dell'effettivo esercizio dei diritti della persona; la necessita'  di provvedere a scopi  diversi  dal  normale  esercizio  delle  funzioni affidate  alla  competenza  degli  enti  autonomi  territoriali.   In sintesi, come si e' gia' argomentato, e'  evidente  che  l'art.  119, quinto  comma,  Cost.  attribuisce  specificamente  allo  Stato   una peculiare funzione «sussidiaria» a garanzia ultima di  alcuni  valori imprescindibili   dell'ordinamento,   intestando   proprio   all'ente esponenziale  dell'unita'  e  indivisibilita'  della  Repubblica   il compito  di  assicurare  la  disponibilita'  delle  risorse   e   gli interventi necessari allorquando i suddetti valori non possano essere adeguatamente  garantiti  dal  normale   esercizio   delle   funzioni spettanti alle  autonomie  territoriali.  Si  tratta,  dunque,  della specifica declinazione che assumono, in relazione al rapporto  tra  i diversi enti che compongono la Repubblica, il principio solidaristico di cui all'art. 2  Cost.  ed  il  principio  di  eguaglianza  di  cui all'art. 3 Cost.

    Nel precedente par. 8 si  e'  evidenziato,  altresi',  come  tali principi costituzionali siano violati da un sistema che  affidi  alle Regioni il compito di finanziare, eventualmente innalzando la propria pressione  tributaria,  gli  interventi  volti  a   fronteggiare   le emergenze. Qui deve invece essere messo in luce che - anche ove fosse ritenuto conforme a Costituzione il comma 5-quater dell'art. 5  della legge n. 225 del  1992  -  analoghe  ragioni  di  incostituzionalita' permarrebbero  in  relazione  allo  specifico  disposto   del   comma 5-quinquies, primo periodo, del citato art. 5.

    I principi di solidarieta' ed eguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, che la medesima  affida  alla  garanzia  «ultima» dello Stato e  che,  sotto  tale  profilo,  trovano  concretizzazione soprattutto nell'art. 119, quinto comma, Cost.,  infatti,  verrebbero senza dubbio compromessi ove - pur avendo la Regione  colpita  da  un evento straordinario rientrante tra quelli disciplinati dall'art.  2, comma 1, lett. c), e 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992 adottato tutte le misure previste dal comma 5-quater  del  medesimo  articolo, senza  pero'  giungere  a  coprire  integralmente  le   spese   degli interventi necessari -  lo  Stato,  in  base  al  primo  periodo  del successivo comma 5-quinquies,  potesse  determinarsi  a  negare,  del tutto irrazionalmente, l'accesso al  Fondo  nazionale  di  protezione civile per gli importi che residuano. Anche in questo caso,  infatti, risulterebbe compromessa,  per  di  piu'  in  termini  manifestamente irragionevoli, quella funzione  «solidaristica»  e  «sussidiaria»,  a tutela di alcuni beni giuridici fondamentali, che l'art. 119,  quinto comma, Cost., affida allo Stato.

    Tale  incostituzionalita',   invece,   non   sussisterebbe,   ove l'accesso al  Fondo  suddetto  -  una  volta  che  la  Regione  abbia dimostrato l'avvenuta adozione delle misure di cui al comma  5-quater o l'impossibilita' di adottarle e,  comunque,  l'insufficienza  delle risorse reperite - fosse «obbligatorio» ed  «automatico»,  ossia  non subordinato a valutazioni discrezionali  da  parte  del  Governo.  Il comma 5-quinquies dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 deve dunque essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in  cui, pure in presenza delle due condizioni sopra accennate (impossibilita' di coprire il fabbisogno finanziario con le misure di  cui  al  comma 5-quater,  qualificazione  delle   emergenze   come   «di   rilevanza nazionale») subordina l'accesso  al  Fondo  nazionale  di  protezione

civile ad  una  valutazione  «politica»  dello  Stato  che  lo  rende meramente possibile  anziche'  obbligatorio  ed  automatico  come  la Costituzione richiederebbe.

    13. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n.  10  del  2011,  limitatamente   alla   introduzione   del   comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n.  225  de11992, per violazione degli artt. 117, terzo  comma,  e  118,  primo  comma, Cost.  (in  relazione  alla  materia  «coordinamento  della   finanza pubblica  e  del  sistema   tributario»),   nonche'   del   principio costituzionale di leale collaborazione, nella parte in cui  la  norma censurata  rende  «possibile»  il  ricorso  al  Fondo  nazionale   di protezione civile solo a seguito di decisioni unilaterali affidate al libero  apprezzamento  politico  del  Governo   nazionale,   anziche' prevedere  che  tali  decisioni  siano  adottate  a  seguito  di   un procedimento concertato al quale prendano  parte  pariteticamente  lo Stato e la Regione interessata.

    13.1.  -  In  subordine  rispetto  alle  censure  illustrate   ai precedenti parr. 7-11, nonche' in ulteriore subordine  rispetto  alla censura illustrata al  precedente  par.  12,  la  Regione  ricorrente ritiene che l'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo,  della  legge n. 225 del 1992, sia costituzionalmente  illegittimo  per  violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonche'  del principio di leale collaborazione tra gli enti che  costituiscono  la Repubblica.

    Quanto esposto  nei  paragrafi  precedenti  dovrebbe  condurre  a ritenere la normativa impugnata  costituzionalmente  illegittima  nel suo complesso, dal momento che pone interamente a carico del bilancio regionale le spese volte a sostenere gli  interventi  realizzati  per fronteggiare le situazioni di emergenza derivanti dagli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c),  della  legge  n.  225  del  1992.  Le argomentazioni gia' spese, inoltre, dovrebbero (in  via  subordinata) condurre  a  ritenere  incostituzionale,  comunque,   il   meccanismo previsto dall'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, che non rende

«automatica»  la  possibilita'  di  fruire  del  Fondo  nazionale  di protezione civile ove le risorse di cui al precedente comma  5-quater siano state reperite e non  siano  sufficienti,  ovvero  non  possano essere reperite.  Tuttavia,  nella  denegata  ipotesi  in  cui  anche quest'ultimo profilo di censura non fosse ritenuto fondato, il  primo periodo del citato comma 5-quinqiues deve  comunque  essere  ritenuto costituzionalmente illegittimo perche' subordina la  decisione  circa l'utilizzo del Fondo nazionale di protezione civile ad una  decisione unilaterale della Stato, senza alcun coinvolgimento della Regione.

    Tale  disciplina  viola  evidentemente  il  principio  di   leale collaborazione  e  lo  statuto  costituzionale  della  «chiamata   in sussidiarieta'» nelle materie di  potesta'  legislativa  concorrente, cosi' come ricostruito dalla giurisprudenza di questa Corte.

    13.2.  -  Come   gia'   illustrato   al   paragrafo   precedente, l'utilizzazione  del  Fondo  nazionale  di  protezione  civile  viene subordinata,   innanzi   tutto,   disgiuntivamente   alle    seguenti condizioni: a) che siano state percorse le strade indicate dal  comma 5-quater (o che esse non possano essere percorse, come  correttamente evidenzia la  direttiva  del  Presidente  del  Consiglio  piu'  sopra citata); b) che sia  intervenuta  la  qualificazione,  da  parte  del Governo, degli eventi calamitosi  in  questione  come  di  «rilevanza nazionale». In presenza di  queste  condizioni,  l'accesso  al  Fondo nazionale  e'  consentito  soltanto  a  seguito  di  una  valutazione «unilaterale», «politica» ed «insindacabile» dello Stato.

    Per apprezzare l'illegittimita' costituzionale della normativa in esame da questo specifico punto di vista,  e'  necessario  procedere, innanzi tutto, alla  sua  collocazione  nell'ambito  del  riparto  di competenze di cui all'art. 117, commi secondo, terzo e quarto,  Cost. In base a quanto si e'  gia'  sostenuto  al  par.  11.1,  la  materia interessata dalla specifica disposizione di  cui  all'art.  5,  comma 5-quinquies, primo periodo - trattandosi di disciplina  che  coordina la  ripartizione  degli  oneri   finanziari   derivanti   da   eventi catastrofici e regola le modalita' di accesso alle risorse del  Fondo nazionale  di  protezione  civile  -  e'  evidentemente  quella   del «coordinamento della finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario», affidata,  ai  sensi  del  terzo  comma  dell'art.  117  Cost.,  alla competenza  concorrente  di  Stato  e  Regioni.   L'art.   5,   comma 5-quinquies, primo periodo, istituisce - come piu' sopra  evidenziato - una funzione amministrativa nella quale ha modo  di  esplicarsi  la discrezionalita' delle scelte statali.  Si  tratta  della  decisione, concernente la concessione o meno dell'accesso al Fondo nazionale  di

protezione civile, ove sussistano le condizioni indicate sub a) e b).

    Come e' noto, a partire dalle sentt. nn. 303 del  2003  e  6  del 2004,   la   giurisprudenza   di    questa    Corte    ha    ritenuto costituzionalmente legittimo che la legge statale avochi  al  livello centrale funzioni amministrative in materie differenti da  quelle  di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., soltanto ove venga rispettato uno  specifico  «statuto»  costituzionale,  caratterizzato   sia   da presupposti sostanziali (la sussistenza di esigenze unitarie) che  da obblighi procedurali (la necessita' di prevedere forme  di  esercizio della  funzione  che  contemplino  una  «intesa»   con   la   Regione interessata).  La  Regione  Puglia  ritiene  che  l'art.   5,   comma 5-quinquies,  primo  periodo,  della  legge  n.  225  del  1992   sia incostituzionale, in quanto  individua  una  funzione  amministrativa discrezionale ove invece avrebbe dovuto configurare  un  automatismo:

questo punto e' stato illustrato nel precedente par. 12. Ove pero' si considerasse costituzionalmente legittima la configurazione di questa funzione amministrativa discrezionale,  la  ricorrente  non  nega  la sussistenza  delle  esigenze  unitarie  in   grado   di   legittimare l'allocazione al livello statale della funzione. Ritiene, pero',  che il modo in cui l'esercizio  della  medesima  sia  stato  disciplinato dalla legge statale non rispetti lo «statuto» elaborato  al  riguardo dalla giurisprudenza costituzionale.

    Tra le altre, infatti, la sent. n. 6 del 2004 e la sent.  n.  383 del 2005 hanno evidenziato, al di la' di ogni possibile dubbio,  come le funzioni amministrative  avocate  dallo  Stato  in  sussidiarieta' nelle materie di competenza concorrente ovvero  residuale  regionale, devono essere esercitate mediante un procedimento che  contempli  una «intesa forte» con la singola Regione interessata. Il punto e'  stato efficacemente approfondito dalla recentissima sent. n. 33  del  2011, che offre elementi di  sicuro  rilievo  in  relazione  alla  presente questione di legittimita' costituzionale.

    In questa decisione,  infatti,  e'  stata  ribadita  l'esclusione della «legittimita' di una disciplina che ai fini del perfezionamento dell'intesa contenga la "drastica previsione" della decisivita' della volonta' di una sola parte, affermandosi,  viceversa,  la  necessita' che il contenuto dell'atto sia frutto di una codecisione paritaria  e indicando, altresi', la necessita' di prevedere - in caso di dissenso -  idonee  procedure  per  consentire  lo  svolgimento  di  reiterate trattative volte a superare le divergenze (sentenze n. 121 del  2010, n. 24 del 2007, n. 383 e n. 339 del 2005)». Inoltre, alla stregua  di queste indicazioni, e' stata ritenuta  conforme  a  Costituzione  una disciplina  caratterizzata  da  «un  procedimento  che  si   articola dapprima,  attraverso  la  nomina  di  un  comitato  a   composizione paritaria il cui scopo e' appunto quello di addivenire all'accordo, e quindi, in caso di esito  negativo,  attraverso  l'emanazione  di  un decreto del Presidente della Repubblica adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri  cui  prende  parte  il  Presidente  della Regione interessata». Cio' in virtu' delle  seguenti  considerazioni:

i)  «in  mancanza  dell'accordo  regionale,  si  determina  non  gia' l'automatico trasferimento del potere decisorio in capo  allo  Stato, bensi'  l'attivazione  di  un  procedimento  volto  a  consentire  lo svolgimento di ulteriori trattative attraverso la costituzione di  un soggetto terzo nominato dalle parti in  modo  paritario»;  ii)  «solo laddove neppure in tale sede sia possibile addivenire  ad  un'intesa, allora la decisione viene rimessa al Governo con  il  coinvolgimento, peraltro,  anche  del  Presidente  della  Regione»;  iii)  su  questa decisione, che «assume la forma  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica si esercita, inoltre,  la  funzione  di  controllo  tipica dell'emanazione di tali atti, avverso i  quali  ben  potranno  essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali,  nonche'  eventualmente il  ricorso  avanti  a  questa  Corte  in  sede   di   conflitto   di attribuzione» (cfr. in  part.  il  par.  7.1.2.  del  Considerato  in diritto).

    Queste considerazioni sono estremamente pertinenti  in  relazione al caso di specie, perche' mostrano come le decisioni concernenti  le funzioni amministrative esercitate al livello statale  nelle  materie diverse da quelle di  competenza  esclusiva  di  quest'ultimo  devono essere adottate mediante un procedimento  concertato,  caratterizzato da una posizione paritaria di  Stato  e  Regione  interessata.  Nella vicenda che qui specificamente interessa cio' comporta che -  ove  la Regione  faccia  richiesta  di  utilizzare  il  Fondo  nazionale   di protezione civile per gli interventi realizzati o da  realizzare  nel proprio territorio in conseguenza di un evento straordinario ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1,  della  legge n. 225 del 1992, in presenza delle condizioni suddette,  e  lo  Stato invece intenda negare tale richiesta - la decisione finale  (negativa o positiva  che  sia)  non  possa  essere  presa  unilateralmente  da quest'ultimo. Viceversa, per il caso in cui le parti non  riescano  a trovare  un  accordo  al  riguardo,  la  legge   dovrebbe   prevedere «l'attivazione di un procedimento volto a consentire  lo  svolgimento di ulteriori trattative attraverso la  costituzione  di  un  soggetto terzo nominato dalle parti in  modo  paritario»,  nonche'  meccanismi decisori «finali» che conservino la  «equiordinazione»  delle  parti, similmente a quella disciplina  -  scrutinata  con  esito  favorevole dalla sent. n. 33 del 2011 - che prevede lo svolgersi della «funzione di controllo tipica dell'emanazione» degli atti del Presidente  della Repubblica, nei confronti dei quali, peraltro, «ben  potranno  essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali,  nonche'  eventualmente il  ricorso  avanti  a  questa  Corte  in  sede   di   conflitto   di attribuzione» (cfr. in  part.  il  par.  7.1.2.  del  Considerato  in diritto).

    Ora, la Regione Puglia non intende sostenere che quello accennato sia l'unico procedimento costituzionalmente legittimo per  conseguire lo scopo di superare le eventuali situazioni di stallo derivanti  dal mancato raggiungimento dell'intesa circa la concessione o meno  della possibilita' di utilizzare il Fondo nazionale di  protezione  civile.

Cio' che pero' si ricava in termini evidenti dalla  decisione  appena menzionata  e'  che  il  procedimento  che  il  legislatore   statale predisponga a questo specifico scopo deve necessariamente uniformarsi ai principi che caratterizzano la  disciplina  brevemente  richiamata piu' sopra e che, come si e' visto, hanno consentito alla medesima di passare indenne il vaglio di costituzionalita'.  Il  procedimento  in questione,  dunque,   una   volta   acclarata   l'impossibilita'   di raggiungere l'intesa nel confronto diretto tra le parti  interessate, deve individuare una  ulteriore  sede  decisionale  (ad  esempio,  un comitato paritetico) rispettando il principio di parita' delle  parti (statale e regionale) e, ove ritenga di affidare ulteriormente ad una sola di esse (ossia al Governo)  il  potere  di  superare  lo  stallo eventualmente prodottosi  anche  in  questa  sede,  deve  predisporre strumenti di controllo della correttezza (e del rispetto della  leale collaborazione) della  decisione  finale  adottata  che,  ancora  una volta, si caratterizzino per la loro terzieta'.

    Come e' agevole constatare, nulla di tutto cio' e' previsto dalla disciplina impugnata in questa sede, che si limita ad  attribuire  la decisione circa la  utilizzazione  del  Fondo  al  solo  Governo.  Si tratta, dunque, della «secca» devoluzione ad una  delle  parti  della decisione. Nulla di piu' lontano da quella garanzia di «paritarieta'» e  di  leale  collaborazione  (effettiva)   che   la   giurisprudenza costituzionale ha  sempre  tenuto  a  ribadire.  Da  cio'  l'evidente incostituzionalita' della disciplina  in  questione  anche  sotto  il profilo appena considerato.

    14. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, limitatamente all'introduzione del comma 5-quinquies, primo  periodo,  nell'art.  5  della  legge  n,  225  del  1992,  per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118,  primo  comma,  Cost. (in relazione alla materia «coordinamento della  finanza  pubblica  e del sistema tributario»), nonche'  del  principio  costituzionale  di leale collaborazione, nella parte in  cui  affida  la  qualificazione degli eventi calamitosi  come  di  «rilevanza  nazionale»  al  libero apprezzamento politico del Governo nazionale, anziche' prevedere  che tali decisioni siano adottate a seguito di un procedimento concertato al quale  prendano  parte  pariteticamente  lo  Stato  e  la  Regione interessata.

    14.1.  -  In  subordine  rispetto  alle  censure  illustrate   ai precedenti parr. 7-11, la Regione  ricorrente  ritiene,  infine,  che l'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, della legge  n.  225  del 1992, sia costituzionalmente illegittimo per violazione  degli  artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonche' del principio di leale collaborazione tra gli enti che  costituiscono  la  Repubblica, sotto un ulteriore profilo.

    La   disposizione   in   questione   istituisce   una    funzione amministrativa in una materia di competenza concorrente (quella, gia' piu' volte evocata, del «coordinamento della finanza pubblica  e  del sistema tributario»). Si tratta della qualificazione degli eventi  di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), e all'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, come di «rilevanza nazionale»: qualificazione  dalla quale viene fatta dipendere la possibilita' di accedere alle  risorse del Fondo nazionale di protezione civile. Anche  in  questo  caso  la norma  che  affida  al  solo  Stato  lo  svolgimento  della  funzione amministrativa in questione  e'  incostituzionale,  per  le  medesime ragioni illustrate nel par. 13. La giurisprudenza  costituzionale  ha infatti chiarito che, nelle materie  di  competenza  concorrente,  la avocazione da parte dello Stato di una funzione  amministrativa  puo' essere ritenuta costituzionalmente corretta  solo  quando  sussistano alcuni presupposti. Per quel che qui interessa, lo svolgimento  della funzione deve  essere  disciplinato  in  modo  tale  da  affidare  la decisione ad una «intesa» con la Regione interessata.

    Al riguardo - come gia' messo in luce nel paragrafo precedente  - rileva inoltre cio' che e' stato affermato  dalla  sent.  n.  33  del 2011, ossia che, quando vi sia dissenso tra le parti, il procedimento predisposto dalla legge in questione deve individuare  una  ulteriore sede decisionale (ad esempio, un comitato paritetico) rispettando  il principio di parita' delle parti (statale e regionale) e, ove ritenga di affidare ulteriormente ad una sola di esse (ossia al  Governo)  il potere di superare lo stallo eventualmente prodottosi anche in questa sede, deve  predisporre  strumenti  di  controllo  della  correttezza politica (e del rispetto della leale collaborazione) della  decisione finale adottata che, ancora una volta, si caratterizzino per la  loro terzieta'.

    E' agevole constatare che nulla di tutto cio' e'  previsto  dalla disciplina impugnata, la quale si limita ad attribuire  la  decisione circa la qualificazione dell'evento straordinario da cui e' scaturita l'emergenza al solo Governo, in  tal  modo  determinando  la  «secca» devoluzione ad una delle parti della decisione. Nulla di piu' lontano da quella  garanzia  di  «paritarieta'»  e  di  leale  collaborazione (effettiva)  che   la   giurisprudenza   costituzionale   ha   sempre considerato imprescindibile e dalla cui mancanza discende  l'evidente illegittimita' costituzionale della  disciplina  in  questione  anche sotto il profilo appena considerato.

    15. - Sintesi delle questioni proposte.

    In chiusura del  presente  ricorso,  la  Regione  Puglia  ritiene opportuno offrire una sintetica ricapitolazione  delle  questioni  di legittimita' costituzionale sottoposte al giudizio di questa Corte.

    I) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge  n. 10 del 2011, nella parte in cui ha  introdotto  i  commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, in quanto tali norme pongono  a  carico  dei  bilanci  delle  Regioni colpite  da  calamita'  naturali  o  altri  eventi  catastrofici   in relazione ai quali si decida di deliberare lo stato di emergenza,  ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma  1,  della legge n. 225 del 1992, il peso  economico  di  tutti  gli  interventi necessari per fronteggiare l'emergenza (a prescindere  dall'ente  cui debba essere riferita la competenza e la  responsabilita'  in  ordine alla loro realizzazione) ed in particolare il  peso  economico  delle funzioni affidate alla competenza dello Stato, per violazione:

        dell'art. 119 Cost. e, in particolare, del principio generale di corrispondenza tra funzioni esercitate  ed  entrate  ordinarie  da esso desumibile, poiche'  tale  principio:  a)  non  ammette  che  le funzioni di un ente territoriale possano essere  finanziate  mediante il ricorso ad entrate  diverse  da  quelle  che,  in  via  ordinaria, competono al suo bilancio; b) richiede che le entrate ordinarie degli enti  territoriali  sub-statali  siano   stabilmente   destinate   al finanziamento delle funzioni di questi ultimi e non al  finanziamento di funzioni svolte da altri soggetti, ed in particolare dallo Stato.

    II) Illegittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo nell'art. 5 della legge n. 225  del  1992, per violazione:

        dell'art. 119, quinto comma, Cost.,  anche  in  relazione  ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3  Cost., nonche' al principio di solidarieta' politica, economica e sociale di cui all'art. 2 Cost., in quanto le norme impugnate: a) determinano la violazione del dovere solidaristico imposto allo Stato di  assicurare la  disponibilita'  di  «risorse  aggiuntive»   e   gli   «interventi necessari» a  garantire  i  valori  imprescindibili  dell'ordinamento indicati dalle disposizioni costituzionali sopra citate,  allorquando i suddetti valori non  possano  essere  adeguatamente  garantiti  dal «normale  esercizio  delle   funzioni»   spettanti   alle   autonomie territoriali; b) pongono irrazionalmente, in violazione dei doveri di

solidarieta' di cui all'art. 2 Cost. e dei principi di eguaglianza  e ragionevolezza di cui  all'art.  3  Cost.,  a  carico  proprio  delle collettivita' colpite dalle calamita' naturali o dalle catastrofi  il peso economico degli interventi volti  a  fronteggiarle,  a  dispetto della «responsabilita'» dello Stato per la rimozione degli  squilibri economici  e  sociali  e  per  la  migliore  garanzia  dell'effettivo esercizio dei diritti della persona; c)  introducono  una  disciplina incoerente e contraddittoria, la quale, a fronte  delle  agevolazioni fiscali previste dal comma 5-ter del medesimo art. 5 della  legge  n. 225 del 1992, pone a  carico  delle  collettivita'  colpite  il  peso economico degli interventi volti a fronteggiare l'emergenza.

    III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione:

        dell'art. 119, primo comma,  Cost.  e,  in  particolare,  del principio di autonomia di entrata e di spesa della Regione, in quanto le norme impugnate: a) impongono l'obbligo di finanziare a carico del bilancio regionale funzioni esercitate dallo Stato, impedendo  dunque la possibilita', per la collettivita' regionale, di  autodeterminarsi circa l'utilizzazione delle  proprie  risorse,  nonche'  l'esplicarsi della  connessa  responsabilita'  politica  e  fiscale  degli  organi regionali dinnanzi al corpo elettorale della Regione; b)  determinano un vincolo particolarmente stringente  all'esercizio  della  potesta' tributaria regionale, azzerando i margini di scelta relativi  ad  una propria  e  responsabile  «politica   di   imposizione   fiscale»   e comprimendo  cosi'  l'autonomia  di   entrata   della   Regione;   c) costringono la Regione o ad accettare la compressione  della  propria autonomia di entrata  (ed  in  particolare  della  propria  autonomia impositiva),  ovvero  ad  accettare  la  violazione   della   propria autonomia di spesa,  nonche'  del  principio  di  corrispondenza  tra entrate e funzioni sancito dall'art. 119, quarto comma, Cost., con il risultato di dover necessariamente rinunziare  ad  esercitare  alcune delle  proprie  funzioni   istituite   e/o   finanziate   nell'ambito dell'esercizio  della  propria  autonomia,  per   finanziare   invece funzioni di altri enti territoriali ed in particolare dello Stato; d) determinano la violazione del «divieto imposto di procedere in  senso inverso a quanto oggi prescritto dall'art. 119 della Costituzione,  e cosi' di sopprimere semplicemente, senza sostituirli,  gli  spazi  di autonomia gia' riconosciuti  dalle  leggi  statali  in  vigore,  alle Regioni e agli enti locali» (sent. n. 423 del 2004).

    IV) Illegittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione:

        dell'art. 119 Cost., in quanto le norme  impugnate  impongono vincoli  di  destinazione  a  risorse  reperite  autonomamente  dalle Regioni  (maggiori  entrate  tributarie  o  risparmi  di  spesa),  in contrasto con il  principio  dell'autonomia  finanziaria  degli  enti territoriali, che comprende anche, per questi ultimi, la possibilita' di stabilire autonomamente la tipologia  e  l'entita'  delle  proprie spese.

    V) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge  n. 10 del 2011, nella parte in cui ha  introdotto  i  commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione:

        dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 119,  secondo  comma, Cost., poiche',  con  disposizioni  riconducibili  alla  materia  del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema  tributario»,  il legislatore statale ha imposto  limiti  alle  spese  e  alle  entrate spettanti alle Regioni non qualificabili come «principi fondamentali» della suddetta materia.

    In via subordinata rispetto a tutte le censure precedenti:

        VI)  Illegittimita'   costituzionale   dell'art.   2,   comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come  convertito  in  legge dalla legge n. 10 del 2011, limitatamente alla introduzione del comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, nella parte in  cui,  pure  in  presenza  delle  due  condizioni  ivi contemplate (impossibilita' di coprire il fabbisogno finanziario  con le misure di cui al comma 5-quater,  qualificazione  delle  emergenze come  «di  rilevanza  nazionale»),  subordina  l'accesso   al   Fondo nazionale di protezione civile ad una  valutazione  «politica»  dello Stato che lo  rende  meramente  possibile  anziche'  prevederlo  come conseguenza obbligatoria ed automatica, per violazione:

          dell'art. 119, quinto comma, Cost., anche in  relazione  ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3  Cost., nonche' al principio di solidarieta' politica, economica e sociale di cui all'art. 2 Cost., in quanto la  norma  impugnata  contrasta,  del tutto irrazionalmente, con il dovere solidaristico imposto allo Stato di  assicurare  la  disponibilita'  di  «risorse  aggiuntive»  e  gli «interventi  necessari»  a   garantire   i   valori   imprescindibili dell'ordinamento indicati  dalle  disposizioni  costituzionali  sopra citate,  allorquando   i   suddetti   valori   non   possano   essere adeguatamente  garantiti  dal  «normale  esercizio  delle   funzioni» spettanti alle autonomie territoriali.

    In via subordinata  rispetto  alla  censura  VI,  dunque  in  via ulteriormente subordinata rispetto alle censure I-V:

        VII)  Illegittimita'  costituzionale   dell'art.   2,   comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come  convertito  in  legge dalla legge n. 10 del 2011, limitatamente alla introduzione del comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, nella parte in cui rende «possibile» il ricorso al Fondo nazionale di protezione civile solo a seguito di decisioni unilaterali affidate al libero  apprezzamento  politico  del  Governo   nazionale,   anziche' prevedere  che  tali  decisioni  siano  adottate  a  seguito  di   un procedimento concertato al quale prendano  parte  pariteticamente  lo Stato e la Regione interessata, per violazione:

          degli artt. 117, terzo comma, 118, primo  comma,  Cost.,  e del principio di leale collaborazione, poiche',  in  una  materia  di competenza concorrente tra  Stato  e  Regioni  («coordinamento  della finanza pubblica e  del  sistema  tributario»),  la  norma  impugnata attribuisce una funzione amministrativa allo  Stato,  prevedendo  che quest'ultimo la possa  esercitare  in  modo  totalmente  unilaterale, dovendo invece il legislatore statale - in base  allo  statuto  della c.d. «chiamata in sussidiarieta'» - disporre che  tale  funzione  sia esercitata mediante  modalita'  procedimentali  che  garantiscano  la paritarieta' tra lo Stato e la Regione interessata,  in  particolare, prevedendo  la  necessita'  dell'intesa  e   (una   volta   acclarata l'impossibilita'  di  raggiungere  l'accordo   sulla   decisione   da

prendere) individuando una ulteriore sede decisionale che rispetti il principio di parita' delle parti, nonche',  infine,  ove  ritenga  di affidare ulteriormente ad una sola di  esse  (ossia  al  Governo)  il potere di superare lo stallo eventualmente prodottosi anche in questa sede, predisponendo strumenti di controllo della correttezza  (e  del rispetto della leale collaborazione) della decisione finale  adottata che si caratterizzino per la loro terzieta'.

    In via subordinata rispetto alle questioni I-V:

        VIII)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.   2,   comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi  come  convertito  in  legge dalla legge n. 10 del 2011, limitatamente all'introduzione del  comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, nella parte in cui affida la qualificazione degli  eventi  calamitosi come di «rilevanza nazionale» al libero  apprezzamento  politico  del Governo, anziche' prevedere  che  tali  decisioni  siano  adottate  a seguito  di  un  procedimento  concertato  al  quale  prendano  parte pariteticamente lo Stato e la Regione interessata, per violazione:

          degli artt. 117, terzo comma, 118, primo  comma,  Cost.,  e del principio di leale collaborazione, poiche',  in  una  materia  di competenza concorrente tra  Stato  e  Regioni  («coordinamento  della finanza pubblica e  del  sistema  tributario»),  la  norma  impugnata attribuisce una funzione amministrativa allo  Stato,  prevedendo  che quest'ultimo la possa  esercitare  in  modo  totalmente  unilaterale, dovendo invece il legislatore statale - in base  allo  statuto  della c.d. «chiamata in sussidiarieta'» - disporre che  tale  funzione  sia esercitata mediante  modalita'  procedimentali  che  garantiscano  la paritarieta' tra lo Stato e la Regione interessata,  in  particolare, prevedendo  la  necessita'  dell'intesa  e   (una   volta   acclarata l'impossibilita'  di  raggiungere  l'accordo   sulla   decisione   da prendere) individuando una ulteriore sede decisionale che rispetti il principio di parita' delle parti, nonche',  infine,  ove  ritenga  di affidare ulteriormente ad una sola di  esse  (ossia  al  Governo)  il potere di superare lo stallo eventualmente prodottosi anche in questa sede, predisponendo strumenti di controllo della correttezza  (e  del rispetto della leale collaborazione) della decisione finale  adottata che si caratterizzino per la loro terzieta'.

 

                               P.Q.M.

 

    Si chiede che questa ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del  presente  ricorso,  dichiari   l'illegittimita'   costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre  2010,  n. 225 (Proroga di termini previsti da  disposizioni  legislative  e  di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), come convertito in legge,  con  modificazioni,  dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in  cui  ha  introdotto  i nuovi commi  5-quater  e  5-quinquies  nell'art.  5  della  legge  24 febbraio 1992, n. 225, nei termini sopra esposti.

 

    Con ossequio.

        Roma, addi' 20 aprile 2011

 

                           Avv. Cecchetti

 

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