Ricorso n. 41 del 30 marzo 2005 (Regione Marche)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 Marzo 2005 - 30 Marzo 2005 , n. 41
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 30 marzo 2005 (della Regione Marche)
(GU n. 17 del 27-4-2005)
Ricorso della Regione Marche, in persona del presidente pro
tempore della giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione
della giunta regionale, n. 200 del 16 febbraio 2005, rappresentato e
difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi del Foro di Firenze ed
elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo, in Roma,
piazza Barberini n. 12, come da procura speciale per atto del notaio
Stefano Sabatini di Ancona n. rep. 36.919 del 18 febbraio 2005;
Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei
ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, 7 e 8
del d.l. 22 novembre 2004, n. 279, nel testo convertito e modificato
dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5 recante: disposizioni urgenti per
assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica,
convenzionale e biologica (pubblicata nella G.U. n. 22 del 28 gennaio
2005), per violazione degli artt. 117, commi 1, 2, lett. s) 3, 4, 5 e
6 Cost. e 118 Cost., anche in relazione agli artt. 9, 32 e 33 Cost.
F a t t o
1. - Il d.l. n. 279/2004, nel testo convertito dalla legge 28
gennaio 2005, n. 5 contiene una serie di disposizioni che la Regione
Marche ritiene lesive della propria sfera di competenza
costituzionalmente garantita.
Si tratta, in particolare, delle seguenti disposizioni:
l'art. 1 (Finalita) prevede, al primo comma, che «il presente
decreto, in attuazione della Raccomandazione della Commissione
2003/556/CE, del 23 luglio 2003, definisce il quadro normativo minimo
per la coesistenza tra le colture transgeniche, escluse quelle per
fini di ricerca e sperimentazione autorizzate ai sensi del decreto
del Ministro delle politiche agricole e forestali adottato, d'intesa
con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, in base
all'art. 8, comma 6, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, e
quelle convenzionali e biologiche, al fine di non compromettere la
biodiversita' dell'ambiente naturale e di garantire la liberta' di
iniziativa economica, il diritto di scelta dei consumatori e la
qualita' e la tipicita' della produzione agroalimentare nazionale».
Il secondo comma dell'art. 1 fornisce poi le definizioni di
coltivazioni transgeniche, biologiche e convenzionali, specificando
che «ai fini dell'attuazione del presente decreto si intendono per:
a) colture transgeniche: le coltivazioni che fanno uso di organismi
geneticamente modificati secondo la definizione di cui all'art. 3 del
decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224; b) colture biologiche: le
coltivazioni che adottano metodi di produzione di cui al regolamento
(CEE) n. 2092/1991 del Consiglio, del 24 giugno 1991: c) colture
convenzionali; le coltivazioni che non rientrano in quelle definite
alle lettere a) e b)».
l'art. 2 (Salvaguardia del principio di coesistenza)
introduce il principio della «necessaria non compromissione reciproca
tra le varie colture, la cui coesistenza dovra' essere realizzata in
modo da tutelarne le peculiarita' e le specificita' produttive»
prevedendo che:
«1) le colture di cui all'articolo 1 sono praticate senza
che l'esercizio di una di esse possa compromettere lo svolgimento
delle altre»;
«2) la coesistenza tra le colture di cui all'art. 1 e'
realizzata in modo da tutelarne le peculiarita' e le specificita'
produttive e, per quanto riguarda le caratteristiche delle relative
tipologie di sementi, in modo da evitare ogni forma di commistione
tra le sementi transgeniche e quelle convenzionali e biologiche»;
«2-bis nel rispetto del principio di cui al comma 1,
l'introduzione di colture transgeniche avviene senza alcun
pregiudizio per le attivita' agricole preesistenti e senza comportare
per esse l'obbligo di modificare o adeguare le normali tecniche di
coltivazione e allevamento. E' fatta salva ogni disposizione
concernente le aree protette»;
«3) l'attuazione delle regole di coesistenza deve
assicurare agli agricoltori, agli operatori della filiera ed ai
consumatori la reale possibilita' di scelta tra prodotti
convenzionali, biologici e transgenici e, pertanto, le coltivazioni
transgeniche sono praticate all'interno di filiere di produzione
separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche».
Le conseguenti misure applicative sono disciplinate
dall'art. 3 («Applicazione delle misure di coesistenza»), per il
quale:
«1) al fine di prevenire il potenziale pregiudizio
economico e l'impatto della commistione tra colture transgeniche,
biologiche e convenzionali, con decreto del Ministro delle politiche
agricole e forestali, di natura non regolamentare, d'intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, emanato previo parere delle
competenti Commissioni parlamentari, sono definite le norme quadro
per la coesistenza, anche con riferimento alle aree di confine tra
regioni, sulla base delle linee guida predisposte dal Comitato di cui
all'art. 7. Il suddetto decreto e' notificato alla Commissione
europea nell'ambito della procedura prevista dalla direttiva 98/34/CE
del Consiglio, del 22 giugno 1998»;
«2) nell'ambito dei piani regionali di coesistenza le
regioni e le province autonome, in coerenza con la Raccomandazione
della Commissione 2003/556/CE, del 23 luglio 2003, possono
individuare nel loro territorio una o piu' aree omogenee».
L'art. 4 («Piani di coesistenza») - che definisce i
cosiddetti piani di coesistenza, adottati dalle Regioni, che
conterranno le regole tecniche, le condizioni e le modalita' per
assicurare la coesistenza, nel rispetto dei principi di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, che dovranno quindi
essere osservati nei rapporti con gli enti locali (a seguito delle
modifiche apportate dalla Camera dei deputati, e' stata soppressa
l'indicazione del termine per l'adozione da parte delle regioni dei
rispettivi piani, originariamente fissata al 31 dicembre 2005) - nel
testo definitivo prevede che:
«1) le regioni e le province autonome adottano, con proprio
provvedimento, il decreto di cui all'art. 3; tale piano contiene le
regole tecniche per realizzare la coesistenza, prevedendo strumenti
che garantiscono la collaborazione degli enti territoriali locali,
sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed
adeguatezza;
2) le regioni e le province autonome, nello svolgimento
delle procedure di cui al comma 1, assicurano la partecipazione di
organizzazioni, associazioni, organismi ed altri soggetti portatori
di interessi in materia;
3) le regioni e le province autonome promuovono il
raggiungimento, su base volontaria, di accordi tra imprenditori
agricoli, alfine di adottare le misure di gestione previste dal piano
di coesistenza di cui al comma 1 per assicurare la coesistenza tra
colture transgeniche, convenzionali e biologiche;
3-bis le regioni e le province autonome, al fine di
prevedere un equo risarcimento per gli eventuali danni causati dalla
inosservanza del piano di coesione, ferma restando la previsione
dell'articolo 5, comma 1-bis possono istituire un apposito fondo,
finalizzato a consentire il ripristino delle condizioni agronomiche
preesistenti all'evento dannoso, il cui funzionamento e' determinato
con le modalita' stabilite dal decreto di cui all'art. 3, comma 1».
Le responsabilita' sono regolate dalla norma di cui
all'art. 5 («Responsabilita») che, fra l'altro, prevede che:
«Chiunque intenda mettere a coltura organismi geneticamente
modificati e' tenuto a dare la comunicazione di cui all'art. 30,
comma 2, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, ad elaborare
un piano di gestione aziendale per la coesistenza, sulla base del
piano di cui all'art. 4, nonche' a conservare appositi registri
aziendali contenenti informazioni relative alle misure di gestione
adottate» (art. 5, terzo comma) e che «le regioni e le province
autonome provvedono a definire modalita' e procedure per la raccolta
e la tenuta, nell'ambito del Sistema informativo agricolo nazionale
(SIAN) di cui all'art. 15 del decreto legislativo 30 aprile 1998,
n. 173, dei dati e degli elementi di cui al comma 3» (art. 5, quarto
comma).
Sono cosi' previste le sanzioni:
«1. Fatte salve le disposizioni previste negli articoli 35,
comma 10, e 36 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224,
chiunque non rispetti le misure previste dai provvedimenti di cui
all'art. 4, comma 1, e' punito con la sanzione amministrativa
pecuniaria da euro 2.500 a euro 25.000;
2. chiunque non rispetti le disposizioni di cui all'art. 8,
e' punito con l'arresto da uno a due anni o con l'ammenda da euro
4.000 a euro 50.000» (art. 6).
L'attivita' di valutazione, monitoraggio e informazione viene
puntualmente disciplinata dall'art. 7 («Valutazione, monitoraggio e
informazione sulla coesistenza»), prevedendo, in particolare, che
«1. E' istituito presso il Ministero delle politiche
agricole e forestali il "Comitato consultivo in materia di
coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche". 2.
L'organizzazione e le modalita' di funzionamento del Comitato sono
definite con decreto del Ministro delle politiche agricole e
forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio e con il Ministro per gli affari regionali, d'intesa
con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il Comitato e'
composto da esperti qualificati nella materia e di documentata
indipendenza da soggetti portatori di interessi nelle materie di cui
al presente decreto, di cui due nominati dal Ministro delle politiche
agricole e forestali, uno dal Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio, uno designato dal Comitato nazionale per la
biosicurezza e le biotecnologie e quattro designati dalla citata
Conferenza, nonche' due designati dalla Conferenza dei rettori delle
universita' italiane e due dal Consiglio per la ricerca e la
sperimentazione in agricoltura (CRA). 3. Il Comitato di cui al comma
1 propone, in coerenza con la Raccomandazione della Commissione
2003/556/CE, del 23 luglio 2003, entro 120 giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le
linee guida ai fini dell'adozione del decreto di cui all'art. 3,
comma 1. Il Comitato provvede, inoltre a monitorare l'applicazione
dei principi e delle disposizioni del presente decreto ed a
comunicare all'Autorita' nazionale competente i risultati di detta
attivita' di monitoraggio. Ai fini della predisposizione delle linee
guida il Comitato acquisisce i pareri dei rappresentanti delle
organizzazioni appartenenti al Tavolo agroalimentare di cui all'art.
20 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228. 4. Il Comitato ha,
altresi', il compito di proporre le misure relative
all'omogeneizzazione delle modalita' di controllo. Le relative misure
sono adottate con le modalita' di cui all'art. 3, comma 1. 5. Agli
esperti del Comitato non viene corrisposto alcun compenso in aggiunta
al gettone di presenza previsto ai sensi della vigente normativa.
Alla corresponsione del gettone di presenza, al funzionamento del
Comitato e alle connesse attivita', il Ministero delle politiche
agricole e forestali provvede, nell'ambito degli ordinari
stanziamenti di bilancio, senza nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica».
La disciplina transitoria e' regolata dall'art. 8 («Norme
transitorie») per il quale:
«1. per il conseguimento delle finalita' di cui all'art. 1,
fino all'adozione dei singoli provvedimenti di cui all'art. 4, le
colture transgeniche, ad eccezione di quelle autorizzate per fini di
ricerca e di sperimentazione, non sono consentite».
2. - La Regione Marche ha deliberto di impugnare dinanzi a questa
Corte il d.l. n. 279/2004, convertito dalla legge 28 gennaio 2005,
n. 5 con particolare, riferimento agli articoli 1, 2, 3, 4, 5 commi 3
e 4, 6, 7 e 8, perche' lesivo dell'autonomia costituzionalmente
riconosciuta e garantita dagli artt. 117, commi 1, 2, lett. s) 3, 4,
5 e 6 Cost. e 118, Cost., anche in relazione agli artt. 9, 32, 33,
72, 76 e 77, Cost. per i seguenti motivi di diritto.
3. - Illegittimita' costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 5
terzo e quarto comma, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004
n. 279, convertito con modifiche nella legge 28 gennaio 2005, n. 5
per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma Cost., con
riferimento agli artt. 77, nonche' 72, 76 e 117, primo comma, Cost.
Le disposizioni del decreto-legge n. 279/2004, cosi' come
convertito dalla legge n. 5 del 2005, pongono, con l'utilizzo della
potesta' normativa d'urgenza di cui all'art. 77 Cost., una disciplina
diretta ad assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura
transgenica, convenzionale e biologica, in assenza palese dei
presupposti di straordinaria necessita' ed urgenza richiesti dalla
norma costituzionale.
La presente censura e' sicuramente ammissibile, con riferimento
alla lesione delle competenze regionali - invase dalla disciplina
impugnata anche per gli ulteriori motivi dedotti nel presente ricorso
- in quanto la violazione del corretto procedimento di formazione
dell'atto normativo di livello legislativo incide sulla concreta
possibilita' da parte della Regione ricorrente di sviluppare la
propria autonomia legislativa nella materia oggetto della
decretazione d'urgenza.
Come si dira' meglio nei successivi motivi di ricorso, la
disciplina di livello legislativo introdotta dallo Stato invade la
competenza regionale ad attuare i principi e le norme comunitarie in
materia di agricoltura. Il decreto legge si basa, infatti, sul
presupposto erroneo della necessita' di adeguarsi a principi
comunitari vincolanti.
Il decreto-legge n. 279/2004 si definisce infatti attuativo
«della Raccomandazione della Commissione 2003/556/CE del 23 luglio
2003», provvedimento intitolato «Orientamenti per lo sviluppo di
strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza
tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche», che ha
indicato le linee guida per la coesistenza, con atto meramente
indicativo e che non comporta «norme giuridicamente vincolanti» per
gli Stati membri (Corte di giustizia Comunita' europee, 19 marzo
1998, n. 1/1996, in Racc., 1998, I, 1251), non potendo ledere la loro
sovranita' ne' comportare la lesione delle competenze interne statali
e regionali (come evidenziato anche dalla recente giurisprudenza
della Corte di cassazione, per la quale le "raccomandazioni" emanate
dalla Commissione europea costituiscono atti comunitari tipici, non
obbligatori, preordinati allo scopo di assicurare il funzionamento e
lo sviluppo della comunita' europea, mediante la prospettazione della
soluzione che appare preferibile adottare nell'ottica comunitaria e,
conseguentemente, essendo privi di carattere vincolante nei confronti
del legislatore nazionale, il giudice ordinario non e' tenuto a
disapplicare la norma statale che, eventualmente, si ponga in
contrasto con esse» (Cass. Civ., 5 dicembre 2003, n. 18620, in Giust.
Civ., Mass., 2003, f. 12; nelle discussioni parlamentari relative
alla conversione del d.l. n. 279/2004, cfr., anche le osservazioni di
G. Russo Spena, «Atti Parlamentari, nella seduta n. 572 del 20
gennaio 2005 - Aula, Camera dei deputati - secondo cui «non appare
esatto quanto specificato all'articolo 1, secondo il quale il
presente decreto e' emanato in attuazione della raccomandazione della
Commissione della comunita' europea 2003/556/CE del 23 luglio 2003.
Si attua solo cio' che e' vincolante, infatti, non cio' che e'
facoltativo.»).
Conferma tutto cio' la stessa Raccomandazione, che il Governo
sostiene di «dover» attuare, quando, al punto 1.5, precisa «i
presenti orientamenti, sotto forma di raccomandazioni non vincolanti
rivolte agli Stati membri ...».
Il decreto-legge e' comunque privo dei presupposti di necessita'
ed urgenza per la sua emanazione, come risulta dalla semplice
constatazione che esso prevede che le regole relative alla
coesistenza delle colture agricole transgeniche, convenzionali e
biologiche siano rinviate all'adozione di un provvedimento
successivo, di livello regolamentare, elaborato sulla base di un
piano che le regioni saranno chiamate ad adottare.
Si utilizza lo strumento del decreto-legge - per di piu'
rinviando in termini ampi ed inammissibili (anche in violazione
dell'art. 76 Cost.) a successivi atti del Governo - per disciplinare
una materia, come quella della coltivazione a pieno campo degli OGM,
che la stessa Direttiva 2001/18/CE dichiara estremamente delicata e
rischiosa, tale, in ogni caso, da rendere necessarie attente e
prolungate verifiche prima che si concretizzi ogni decisione perche',
«gli organismi viventi immessi nell'ambiente in grandi o piccole
quantita' per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono
riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando
cosi' altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono
essere irreversibili» (4° «considerando», Direttiva 2001/18/CE,
cit.).
A cio' si deve aggiungere che l'adozione della disciplina nelle
forme del decreto-legge espropria sia la Regione ricorrente, sia
tutti i cittadini e tutti i soggetti interessati del loro diritto di
partecipare alla definizione delle regole di coesistenza delle
colture in questione.
E' stata, infatti, respinta la proposta formulata nel corso della
seconda lettura presso il Senato, di attuazione dei principi dettati
dalla stessa normativa comunitaria (ed in particolare dagli articoli
9 e 32, nonche' dal decimo considerando, della direttiva
2001/18/CEE), di attivare una consultazione del pubblico, tramite
referendum consultivo, prima di giungere alla disciplina legislativa
impugnata.
L'adozione di una disciplina in via d'urgenza tende, invece, ad
escludere l'applicazione ditali principi, ribaditi anche dal
protocollo di Cartagena sulla biosicurezza (concluso a Montreal il 29
gennaio 2000 e ratificato dai Paesi dell'Unione europea, nonche'
recepito dall'art. 32 della direttiva 2001/18/CE citata), che
l'art. 23, comma 2, del protocollo che la legge n. 27 del 15 gennaio
2004 ha esplicitamente attuato, prevedendo che «le parti, in
conformita' delle rispettive regole e norme consultano i cittadini
nell'ambito del processo decisionale relativo ad organismi viventi
modificati».
Non sembra, in buona sostanza, ammissibile l'utilizzo della
decretazione d'urgenza con riferimento a normative che esigono una
forma di consultazione e di dibattito ampio e condiviso, quale quello
che si puo' seguire soltanto nel pieno rispetto dell'iter ordinario
per l'esercizio delle competenze costituzionalmente attribuite agli
organi centrali e agli organi regionali (artt. 72 e 117, primo, terzo
e quarto comma, Cost.).
4. - Illegittimita' degli articoli 1, 2, 3, 4, 5 terzo e quarto
comma, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279,
convertito con modifiche nella legge 28 gennaio 2005, n. 5, per
violazione dell'art. 117, secondo, terzo, quarto e quinto comma
Cost., con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost.
La disciplina legislativa impugnata e' stata adottata senza che
lo Stato avesse individuato una adeguata base normativa, ed inoltre
e' stata adottata sulla base di un erroneo presupposto di fatto.
La disciplina dettata dal decreto-legge n. 279/2004, nel testo
convertito dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, si fonda, infatti, su
un presupposto erroneo, consistente nel ritenere plausibile la
coesistenza degli OGM con altre colture convenzionali al fine di
«garantire la liberta' di iniziativa economica ed il diritto di
scelta dei consumatori», laddove, invece, immessi nell'ambiente, gli
OGM inquinano lo stesso irrimediabilmente, togliendo ogni liberta' di
iniziativa economica agli agricoltori del prodotto convenzionale e
biologico, e divenendo in tal modo scelta irreversibile e
incontrollabile (come si desume dalle stesse discussioni parlamentari
per la conversione del d.l. n. 279/2004, dove si fa presente che «una
volta che ho inquinato con la contaminazione il mio vicino o colui
che si trova a duecento metri o anche piu' lontano (vi sono ricerche,
secondo le quali la contaminazione puo' avvenire anche a 20
chilometri di distanza e, quindi, di 20 chilometri in 20 chilometri
si percorre tutta l'Italia), non si sa quale sara' il risultato della
liberazione in ambiente naturale, quindi, non controllabile, degli
OGM» (L. Marcora, «Atti Parlamentari», Seduta Camera dei duputati di
martedi' 14 dicembre 2004, Resoconto sommario e stenografico,
n. 559).
La norma di cui all'art. 1, inoltre, che esclude dal quadro
normativo minimo per la coesistenza tra le colture transgeniche
quelle per fini di ricerca e sperimentazione, «non specifica che la
ricerca e la sperimentazione vanno praticate in ambienti confinati» e
in via preventiva rispetto ad ogni futura disciplina in merito
(Zanella, Assemblea, Resoconto stenografico seduta n. 571 del 19
gennaio 2005, Aula, Camera dei deputati, p. 78). Il «quadro normativo
minimo per la coesistenza» di cui parla l'art. 1, della legge,
prescinde, infatti, completamente dal valore fondamentale della
ricerca scientifica e della sperimentazione.
Il che significa che tale «quadro» non tiene in alcun conto la
imprescindibile verifica sulla valutazione dell'impatto ambientale,
economico e agronomico conseguente all'introduzione delle
coltivazioni transgeniche, sulla messa a punto e l'adozione di
specifiche tecniche e misure volte a valutare tale coesistenza,
nonche' sulla possibilita' di isolare sistemi di coltivazione di
prodotti GM senza inquinare quelli non GM. In altri termini, tali
attivita' di ricerca e sperimentazione debbono necessariamente
precedere l'introduzione della citata «coesistenza» e non seguirla,
come avverrebbe ove si procedesse alla libera applicazione della
legge in esame.
Nella stessa legge manca, oltretutto, un espresso riferimento
alla verifica piu' importante, preliminare ad ogni altra, e, cioe',
quella sulla irreversibilita' dell'inquinamento dell'ambiente e
dell'agricoltura una volta introdotti gli OGM, in quanto, se
accertata renderebbe inutile ogni accorgimento produttivo e superfluo
ogni provvedimento ulteriore, compresa la normativa
sull'etichettatura dei prodotti da avviare al consumo.
Se cosi' fosse (e lo stato attuale delle ricerche scientifiche e
relative sperimentazioni in materia induce a ritenere irreversibile
detto inquinamento) sarebbe proprio la liberta' di scelta del
consumatore a venir meno, stante l'inquinamento irreversibile con OGM
di ogni prodotto agricolo destinato al consumo, cosi' come verrebbe
meno la «liberta' di iniziativa economica», dal momento che la stessa
non appartiene solo a chi vuole coltivare gli OGM, ma anche a coloro
che vogliono continuare a coltivare il prodotto convenzionale e
biologico.
Da tale irreversibilita' ne uscirebbe, altresi', pregiudicato, in
maniera gravissima, anche l'ambiente e l'ecosistema.
Ne' sarebbe possibile sostenere l'inammissibilita' del motivo
fondato sulla violazione dell'art. 117, comma secondo, lett. e) ed
s), Cost. in quanto si tratterebbe di materie di esclusiva competenza
statale. Infatti, la regione ha il diritto-dovere e, quindi,
l'interesse ad intervenire, nel caso di inadempimento statale, a
tutela della popolazione di cui la stessa e' espressione in ordine a
materie e valori costituzionalmente garantiti.
La stessa disciplina comunitaria afferma che gli effetti
dell'emissione nell'ambiente di organismi geneticamente modificati
possono essere irreversibili e che la tutela della salute umana,
animale e vegetale dell'ambiente deve essere assicurata sia secondo i
principi della prevenzione e della precauzione che secondo i principi
etici riconosciuti in uno Stato membro, prendendo in esame tutti gli
effetti negativi possibili (diretti, indiretti, immediati, differiti
e cumulativi a lungo termine) determinata dall'immissione deliberata
di OGM, fornendo garanzia agli agricoltori che producono nell'ambito
di produzione a qualita' certificata, consentendo a questi ultimi,
che hanno scelto un'agricoltura convenzionale, di difendere
dall'inquinamento genetico le proprie colture (vedi in tal senso sia
la Direttiva del Parlamento del Consiglio 2001/18/CE del 12 marzo
2001, sia la stessa Raccomandazione del 23 luglio 2003 dell'Unione
europea).
L'adozione di una disciplina statale di attuazione dei principi
comunitari e' di per se' illegittima ove intenda impedire che
nell'ambito di ciascuna Regione si possano individuare criteri di
esclusione delle colture transgeniche, in considerazione delle
particolari condizioni del territorio regionale che rendono
inevitabile la contaminazione e quindi impossibile la coesistenza, e
che si possono risolvere nel porre il divieto della coltura
transgenica come l'unica forma di tutela delle filiere di produzione
agricola non transgeniche e l'unica soluzione per garantire uno
sviluppo rurale che consenta la biodiversita' e la libera scelta dei
consumatori.
Il d.l. n. 279/2004, intervenendo (come sara' ulteriormente
sottolineato nel successivo motivo di ricorso) con le disposizioni
censurate, nella materia «agricoltura», invade lo spazio di
competenza delle regioni nell'attuazione del diritto comunitario
garantito dall'art. 117, quinto comma, Cost.
Lo Stato, in altri termini, non e' legittimato ad esercitare la
propria funzione legislativa con la finalita' di attuare la normativa
comunitaria al di fuori delle materie attribuite in via esclusiva
dall'art. 117, secondo comma, Cost.
In definitiva, lo spazio di intervento regionale nell'attuazione
del diritto comunitario non puo' essere leso proprio per garantire
l'attuazione delle linee poste dalla stessa Raccomandazione
n. 2003/556/CE del 23 luglio 2003 richiamata dal d.l. n. 279/2004,
che, si ribadisce, espressamente sottolinea che «le strategie e le
migliori pratiche devono essere elaborate e attuate a livello
nazionale o regionale» (art. 1.4), in osservanza pertanto del riparto
di competenze previsto dalla Costituzione.
5. - Illegittimita' degli articoli 1, 2, 3, 4, 5 terzo e quarto
comma, 6, 7 e 8 del 22 novembre 2004, n. 279, convertito con
modifiche dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5 per violazione
dell'art. 117, con particolare riferimento al terzo e quarto comma,
Cost.
La disciplina impugnata si pone in contrasto con la competenza
residuale delle regioni nella materia agricoltura, a norma
dell'art. 117, quarto comma Cost. (riconosciuta anche di recente da
questa Corte nella sentenza 28 luglio 2004, n. 282, punto 3 parte in
diritto, per la quale la competenza regionale residuale garantita
dall'art. 117 Cost. «si presta a comprendere molti aspetti della
disciplina del settore agricolo (quarto comma)»).
E' pacifico che la disciplina relativa alle colture transgeniche
e alla loro compatibilita' con le altre colture rientra nella materia
agricoltura, che ha al suo centro il fenomeno produttivo di base, e
le attivita' definite dal codice civile all'art. 2135, come attivita'
agricole correlate con la coltivazione del fondo, la silvicoltura e
l'allevamento, nonche' l'insieme delle attivita' disciplinate dalle
norme di diritto pubblico che riguardano le condizioni ambientali
indispensabili per lo svolgimento della produzione agricola.
Del resto la nozione di agricoltura, come materia, si e'
affermata attraverso il rinvio alla nozione comunitaria di «politica
agricola» ed in particolare all'art. 32 del Trattato dell'Unione
europea (per il quale il mercato comune comprende l'agricoltura e il
commercio dei prodotti agricoli, intendendosi per prodotti agricoli i
prodotti del suolo, dell'allevamento e della pesca, come pure i
prodotti di prima trasformazione che sono in diretta connessione con
tali prodotti, cosi' come enumerati nell'elenco di cui all'allegato I
del Trattato). Il contenuto minimo della materia e' quindi correlato
al dato naturalistico del fenomeno produttivo, diretto e indiretto,
immediato o mediato, di prodotti alimentari per uomini ed animali.
Risulta quindi evidente come la immissione nella realta'
territoriale della coltura e delle tecniche di produzioni
transgeniche non possa non essere classificata all'interno della
materia «agricoltura» di competenza residuale del legislatore
regionale.
Si deve anche aggiungere che proprio l'appartenenza della
attivita' disciplinata alle attivita' riconducibili alla produzione
agricola implica la necessita' di tener conto delle realta'
territoriali specifiche, che solo il legislatore regionale e' in
grado di considerare adeguatamente.
Ed infatti, la regolazione della produzione transgenica non puo'
non tener conto delle diversita' territoriali, in taluni casi
contraddistinte da una stretta interazione fra aree coltivate ed aree
naturali e boschive, in altri casi condizionate da una dimensione
aziendale «tale che la coesistenza non e' materialmente possibile per
il grave danno economico derivante dal mantenimento di una fascia di
rispetto che ridurrebbe pesantemente l'area coltivabile con prodotti
vendibili come biologici o con segni di qualita» (Vicini, Seduta
Aula, Senato n. 725 del 25 gennaio 2005, Resoconto stenografico, p.
12), per cui «dovrebbero essere i territori, dal basso, ad effettuare
le scelte piu' opportune su tale delicata materia, in modo coordinato
e razionale» (ivi, p. 12), secondo quanto evidenziato dalla stessa
Raccomandazione 2003/556/CE del 23 luglio 2003, per la quale la
gestione delle colture OGM deve tener conto «delle diferenze a
livello regionale (condizioni climatiche, topografia, modelli
produttivi, sistemi di rotazione, strutture aziendali, quota di
colture Gm in una data regione) che possono influenzare il grado di
commistione tra colture Gm e non Gm» (art. 2.1.6. - Specificita'
delle misure - della Raccomandazione 2003/556/CE), il che comporta
che «le strategie e le migliori pratiche devono essere elaborate e
attuate a livello nazionale o regionale, con la partecipazione attiva
degli agricoltori e degli altri soggetti interessati e tenendo conto
di fattori nazionali e regionali» (art. 1.4. - Sussidiarieta' - della
Raccomandazione 2003/556/CE).
Non e' quindi un caso che la competenza regionale sulla gestione
delle agrobiotecnologie abbia trovato conferma con la riforma
costituzionale operata tramite la formulazione del nuovo titolo V
della Costituzione, che ha attribuito alle regioni la competenza
esclusiva nella materia «agricoltura» (art. 117, quarto comma,
Cost.).
E', infatti, evidente che solo le regioni possono adottare le
misure necessarie ad assicurare la coesistenza tra forme di
agricoltura transgenica, convenzionale e biologica, «stabilendo le
aree «OGM free», le quote di colture OGM, il numero ed il tipo di
varieta' vegetali che devono coesistere, le distanze tra le aree a
coltivazione transgenica e quelle a coltivazione convenzionale, le
pratiche regionali di gestione delle imprese agricole, nonche'
promuovere la stipula di contratti tra gli agricoltori al fine di
favorire la coesistenza tra le differenti forme di agricoltura nel
territorio e nelle filiere alimentari» (Vicini, Seduta Aula Senato
n. 725 del 25 gennaio 2005, Resoconto stenografico, p. 12).
Di qui l'illegittimita' per violazione dell'art. 117, quarto
somma, Cost. dell'art. 1 del d.l. n. 279/2004, nel testo convertito
dalla legge 28 gennaio 2005, n. 5, laddove «definisce il quadro
normativo minimo per la coesistenza tra le colture transgeniche,
escluse quelle per fini di ricerca e sperimentazione, nonche' quelle
convenzionali e biologiche, al fine di garantire la liberta' di
iniziativa economica e il diritto di scelta dei consumatori» (art. 1,
primo comma) e delle successive norme che ne specificano i contenuti.
L'incompetenza del legislatore statale si deve contestare in
particolare:
per l'art. 2, che, nel rispetto del principio di coesistenza,
specifica che l'introduzione degli OGM non deve comportare l'obbligo
di modificare o adeguare le normali tecniche di coltivazione e
allevamento (secondo comma) ed esige che «le coltivazioni
transgeniche sono praticate all'interno di filiere di produzione
separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche» (terzo comma):
si tratta di disciplina dell'attivita' agricola che solo la Regione
puo' dettare;
per l'art. 3, nella parte in cui demanda all'adozione di un
decreto ministeriale la stessa definizione delle norme quadro (primo
comma), nonche' nella parte in cui limita le regioni
nell'individuazione delle aree omogenee (secondo comma); in quanto si
attribuisce ad un organo statale una competenza che limita le
autonome scelte del legislatore regionale;
per l'art. 4, nella parte in cui prescrive l'adozione del
piano di coesistenza (primo comma), nonche' la promozione di accordi
tra conduttori agricoli (secondo comma);
per l'art. 5, nella parte in cui prescrive l'elaborazione di
un piano di gestione aziendale e la conservazione di appositi
registri aziendali (terzo comma) e nella parte in cui prescrive la
definizione delle procedure e delle modalita' per la raccolta e la
tenuta dei dati ricavabili dai registri aziendali di cui al terzo
comma (quarto comma);
per l'art. 8, laddove circoscrive il divieto delle colture
transgeniche sancendone la transitorieta': tutte norme, queste citate
nel presente capoverso, che dettano una disciplina di dettaglio per
le attivita' di produzione agricola che solo il legislatore regionale
puo' definire.
La stessa composizione del Comitato consultivo in materia di
coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche
stabilita dall'art. 7 - quattro rappresentanti delle regioni,
altrettanti del Governo (due designati dal Ministero delle politiche
agricole e forestali, uno dal Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio ed uno dal Comitato nazionale per la biosicurezza e le
biotecnologie), due designati dalla Conferenza dei rettori e due dal
Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA) -
privilegiando la rappresentanza di membri statali rispetto a quelli
regionali nonche' individuando nello stesso Comitato l'organo
competente a proporre le linee guida ai fini dell'adozione del
decreto di cui all'art. 3, che dovra' definire le norme quadro per la
coesistenza, effettua una palese sottrazione alle regioni (titolari
della competenza legislativa esclusiva in materia «agricoltura» e di
competenza legislativa concorrente sull'«alimentazione»), del
controllo del settore, riservando agli organi regionali solo un ruolo
esecutivo marginale nella regolazione degli OGM e sul loro impatto
sull'attivita' e le produzioni agricole. Di qui la denunciata
violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
6. - Illegittimita' degli articoli 1, 2, secondo comma, 3,
secondo comma, 5, terzo e quarto comma, 7, quarto comma e 8 del 22
novembre 2004, n. 279 nel testo convertito dalla legge 28 gennaio
2005, n. 5, per violazione dell'art. 117, terzo e quarto comma, anche
in relazione all'art. 117, secondo comma lett. s), Cost., nonche' in
relazione agli articoli 9, 32 Cost. e 33 Cost.
In ogni caso, la normativa impugnata invade lo spazio di
intervento delle regioni nella materia del diritto alla salute, di
competenza concorrente a norma dell'art. 117, terzo comma Cost., che
legittima lo Stato alla sola formulazione dei principi fondamentali
della materia (sentenza 26 gennaio 2005, n. 30, punto 3 parte in
diritto, per la quale «nelle materie di potesta' concorrente la
normativa statale deve limitarsi alla determinazione dei principi
fondamentali, spettando invece alle regioni la regolamentazione di
dettaglio, trattandosi di fonti tra le quali non vi sono rapporti di
gerarchia, ma di separazione di competenza»).
E', al contrario, evidente che le disposizioni impugnate non
definiscono principi, ma prescrivono misure puntuali e dettagliate,
laddove stabiliscono che «le coltivazioni transgeniche sono praticate
all'interno di filiere di produzione separate rispetto a quelle
convenzionali e biologiche» (art. 2, secondo comma), che le regioni e
le province autonome «possono individuare nel loro territorio una o
piu' aree omogenee» (art. 3, secondo comma), la tenuta e la raccolta
di registri aziendali con le informazioni relative alle misure di
gestione aziendale (art. 5, terzo e quarto comma), le modalita' delle
misure relative all'omogeneizzazione delle stesse modalita' di
controllo (art. 7, quarto comma), l'arco temporale del divieto delle
colture transgeniche (art. 8).
Si osserva, inoltre, che la «liberta' di iniziativa economica e
privata» pur costituendo uno dei fini della normativa introdotta,
sacrifica la stessa tutela della salute e della ricerca scientifica,
e percio' rende le norme impugnate in grado di ledere dei valori
costituzionalmente garantiti, e percio' illegittime (come chiarito da
questa Corte, nella sentenza 26 gennaio 2005, n. 31, punto 3 parte in
diritto, per la quale «questa Corte, nella sentenza n. 423 del 2004,
ha affermato che la ricerca scientifica deve essere considerata non
solo una "materia", ma anche un "valore" costituzionalmente protetto
(art. 9 e 33 della Costituzione), in quanto tale in grado di rilevare
a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati»).
In particolare, l'art. 1 del d.l. n. 279/2004, prevedendo il
quadro normativo minimo per la coesistenza non tiene conto del valore
fondamentale della ricerca scientifica, le cui valutazioni avrebbero
dovuto essere considerate in via preliminare per la necessaria
verifica dell'impatto ambientale che deriva dall'introduzione degli
OGM, anche sotto il profilo dell'irreversibilita' dell'inquinamento
cosi' provocato.
Lo stesso Comitato economico e sociale dell'Unione europea, «nel
parere espresso lo scorso 11 gennaio, ha ritenuto che nel territorio
italiano la coesistenza costituisca un obiettivo estremamente costoso
e, di fatto, impraticabile, posto che, allo stato, non sono ancora
disponibili studi approfonditi e sufficientemente affidabili relativi
all'impatto ambientale degli organismi geneticamente modificati sulla
flora autoctona e la biodiversita» (De Petris, seduta 282, 25 gennaio
2005, Commissione agricoltura e produzione agroalimentare, Senato).
Di qui la violazione di altro valore costituzionalmente protetto,
la tutela dell'ambiente, che non puo' essere prerogativa esclusiva
dello Stato laddove incida su interessi di competenza regionale.
Questa Corte, anche di recente, ha precisato che «secondo l'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., lo Stato ha legislazione
esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e dei
beni culturali. Tuttavia questa Corte ha precisato che non tutti gli
ambiti specificati nel secondo comma dell'art. 117 possono, in quanto
tali, configurarsi come «materie» in senso stretto, poiche', in
alcuni casi, si tratta piu' esattamente di competenze del legislatore
statale idonee ad investire una pluralita' di materie, ed ha escluso
la configurabilita' di una "materia" riconducibile in senso tecnico
in via esclusiva alla «tutela dell'ambiente», qualficando l'ambiente
come "valore" costituzionalmente protetto, che, in quanto tale,
delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si
manifestano competenze diverse, che possono ben essere regionali,
spettando allo Stato il compito di fissare standard di tutela
uniformi sull'intero territorio nazionale (sentenze n. 96 del 2003 e
n. 407 del 2002)» (Corte costituzionale, 22 luglio 2004, n. 259,
punto 2 parte in diritto; v., in precedenza, sentenze n. 307 del 7
ottobre 2003, n. 407 del 26 luglio 2002, n. 222 del 24 giugno 2003).
7. - Illegittimita' del d.l. 22 novembre 2004, n. 279, in
relazione agli articoli 3, comma 1, 4, comma 3-bis, 7, commi 2 e 4,
per violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost. e in relazione agli
articoli 5, terzo e quarto comma e 7 per violazione dell'art. 118
Cost. Violazione art. 76 Cost.
7.1. - Il d.l. n. 279/2004 viola l'art. 117, sesto comma, Cost.,
nella parte in cui demanda ad un decreto ministeriale
l'individuazione delle «norme quadro per la coesistenza» (art. 3,
primo comma), dovendosi escludere la possibilita' per lo Stato di
intervenire nella materia oggetto di intervento (agricoltura) con
atti normativi di rango sublegislativo, «anche alla luce di quanto
espressamente disposto dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno
2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale
stabilisce che «nelle materie di cui all'art. 117, terzo e quarto
comma, della Costituzione, non possono essere adottati gli atti di
indirizzo e di coordinamento di cui all'art. 8 della legge 15 marzo
1997, n. 59, e all'art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112» (Corte costituzionale, 27 ottobre 2003, n. 329, punto 4 della
parte in diritto).
Se con tale successivo provvedimento del Governo, di natura
giuridica non chiara ed incerta, il Governo medesimo intende
autodelegare se stesso, superando il dettato dell'art. 15, comma 2,
lett. a), della legge n. 400 del 1988, che vieta il conferimento di
deleghe legislative tramite decreto-legge, e' necessario far rilevare
che, per l'art. 76 della Costituzione, solo con legge ordinaria di
delega il Governo puo' attivare propri interventi legislativi
successivi delegati.
Anche questa Corte (con la sentenza n. 63 del 17 marzo 1998) ha
puntualizzato che «l'atto di conferimento al Governo di delega
legislativa puo' avvenire solo con legge» (punto 7.3 della parte in
diritto).
Ne' puo' aver rilevanza la precisazione della norma che si tratta
di un decreto «non regolamentare» (art. 3, primo comma), dal momento
che tale formulazione, oltre a confermare la del tutto anomala fonte
del diritto che si vuole introdurre, non puo' giustificare tout court
la negazione del carattere regolamentare a detto decreto «poiche' la
mancata indicazione espressa della natura regolamentare non puo'
assumere valore decisivo ai fini della relativa qualificazione
normativa» (Cons. Stato, Ad. Gen., 26 settembre 1996, n. 135).
Il decreto ministeriale previsto non puo' neppure essere
considerato mero atto di coordinamento tecnico dal momento che
interviene per individuare previsioni legislative che si traducono in
«norme quadro per la coesistenza» (C. Franci, «Atti Parlamentari»,
seduta Camera dei deputati n. 572 del 20 gennaio 2005, evidenzia, al
riguardo, che «Il Governo, con questo emendamento, cerca di risolvere
parzialmente il problema, precisando che si tratta di un decreto di
natura non regolamentare, tentando in tal modo, di dare risposta alle
osservazioni che anche la prima Commissione rivolge al provvedimento,
e che troviamo allegata al testo in esame. La Commissione affari
costituzionali afferma, infatti, che "(...) considerato che, dopo
l'entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
(...) e' venuta meno per lo Stato la possibilita' di emanare atti di
indirizzo e coordinamento nelle materie di cui all'art. 117, terzo e
quarto comma, della Costituzione (...) e che la Corte costituzionale,
nelle sentenze n. 376 del 2003 e n. 17 del 2004, ha avviato un
indirizzo giurisprudenziale che sembra consentire allo Stato, in
relazione alle materie rientranti, a titolo sia residuale che
concorrente, nella competenza regionale, soltanto l'adozione di atti
di mero coordinamento tecnico (...)". Un decreto ministeriale certo
non sarebbe un atto di mero coordinamento tecnico»). Ne' e' in alcun
modo sostenibile che le norme previste dal decreto impugnato
costituiscano mere norme tecniche. Cio' non solo perche' si
riferiscono a discipline complesse, ma chiaramente connesse a scelte
discrezionali ed a valutazioni comparative tra gli interessi in
gioco; ma anche perche' le stesse modalita' della loro produzione (in
particolare la previsione dell'accordo o intesa con le regioni)
implica la sicura ammissione della natura di disciplina normativa e
non di scelta tecnica che le previsioni sulla «coesistenza» dovranno
assumere.
Del resto la giurisprudenza di questa Corte «in diverse
occasioni, ha avuto modo di evidenziare come - gia' sotto la vigenza
del vecchio testo dell'art. 117 della Costituzione - lo Stato non
potesse imporre vincoli alle regioni nelle materie di propria
competenza se non mediante una legge, e non, invece, per mezzo di un
atto regolamentare. Le regioni, infatti, «non sono soggette, in linea
di principio, alla disciplina dettata con i regolamenti governativi
(sentenza n. 507 del 2000; nello stesso senso, si vedano anche le
sentenze n. 250 del 1996 e n. 482 del 1995)» (Corte costituzionale,
22 luglio 2003, n. 267, punto 3 parte in diritto).
7.2. - Analoga violazione si rinviene: nell'art. 4, comma 3-bis,
laddove demanda allo stesso decreto previsto dall'art. 3
l'individuazione delle modalita' di funzionamento dell'apposito fondo
per indennizzare i danni causati dall'inquinamento genetico;
nell'art. 7, comma 2, che demanda ad un decreto ministeriale
l'organizzazione e le modalita' di funzionamento del Comitato
consultivo in materia di coesistenza tra colture transgeniche,
convenzionali e biologiche istituito dal primo comma dello stesso
art. 7; nell'art. 7, comma 4, che demanda al decreto ministeriale di
cui all'art. 3, primo comma l'adozione delle modalita' per le misure
relative all'omogeneizzazione delle modalita' di controllo.
Per quanto concerne la norma di cui all'art. 6 (sanzioni),
vertendo, come evidenziato, nella materia agricoltura, di competenza
residuale, e' proprio questa Corte ad aver chiarito che «e'
orientamento saldo nella giurisprudenza di questa Corte che la
competenza sanzionatoria amministrativa non e' in grado di
autonomizzarsi come materia in se', ma accede alle materie
sostanziali (cfr. sentenze n. 361 del 2003; n. 28 del 1996; n. 85 del
1996; n. 187 del 1996; n. 115 del 1995; n. 60 del 1993)» (Corte
costituzionale, 13 gennaio 2004, n. 12, punto 4 parte in diritto). Di
qui l'illegittimita' costituzionale anche di queste previsioni della
legge impugnata, per contrasto con le norme indicate in rubrica.
Sempre sotto il profilo della violazione degli artt. 117, sesto
comma e 118 Cost., si devono denunciare le norme di cui agli articoli
5, terzo, e quarto comma, sulla tenuta dei registri per le
informazioni relative alle misure di gestione adottate e di cui
all'art. 7, che, per l'attivita' di monitoraggio, informazione e
valutazione, istituisce presso il Ministero delle politiche agricole
e forestali il Comitato consultivo in materia di coesistenza tra
colture transgeniche, convenzionali e biologiche, disciplinando
funzioni amministrative relative ad una materia di competenza
legislativa regionale.
Infatti, «come questa Corte ha gia' piu' ampiamente argomentato
(cfr. sentenze numeri 43, 69, 70, 71, 72, 73 e 112 del 2004), con
l'avvenuta riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, i
mutati criteri di riparto delle funzioni amministrative si sono
articolati, per un verso, nell'attribuzione generale delle stesse
all'ente comunale e, per l'altro, nella flessibilita' assicurata al
sistema della clausola in base alla quale si prevede, al fine di
"assicurarne l'esercizio unitario", il conferimento di funzioni
amministrative a province, citta' metropolitane, regioni e Stato,
"sulla base dei principi di sussidiarieta', e differenziazione ed
adeguatezza" (art. 118, primo comma, della Costituzione). Sulla
scorta della compenetrazione tra questi due criteri, la concreta
allocazione delle funzioni amministrative ai vari livelli di governo
non puo' prescindere da un intervento legislativo (statale o
regionale, a seconda della ripartizione della competenza legislativa
in materia), che deve, di volta in volta, manifestare la prevalenza
del criterio generale di allocazione al livello comunale ovvero la
necessaria preminente considerazione di esigenze unitarie che
impongono una allocazione diversa» (Corte costituzionale, 11 giugno
2004, n. 172, punto 4.1 parte in diritto).
Nessuna giustificazione adeguata e nessuna competenza legislativa
statale e' in grado di giustificare sotto il profilo denunciato le
norme di cui agli artt. 5, commi 3 e 4, nonche' 7 della legge
impugnata.
7.3. - Ancor piu' la disciplina impugnata e' da ritenere
illegittima, in quanto, in materia di competenza regionale, individua
una modalita' dell'intervento normativo attuativo, che sottrae alle
regioni la stessa scelta della fonte del diritto da adottare,
imponendo un procedimento speciale nel quale solo parzialmente (ed in
termini vincolati, sia nella forma sia nella tipologia degli atti) le
regioni possono partecipare.
Cio' vale sia per la previsione dell'art. 3 («Applicazione delle
misure di coesistenza»), sia, in particolare, per la previsione di
cui all'art. 4 («Piani di coesistenza») che detta le modalita' con le
quali la regione deve adottare «provvedimenti» che definiscano i
piani di coesistenza. La disciplina statale e' illegittima sia nel
prevedere i modi di adozione di tali provvedimenti, sia nello
stabilire che solo con un «provvedimento» e non con una legge (come
discrezionalmente e nel rispetto dei principi internazionali e
comunitari in materia sarebbe possibile) le regioni possano adottare
tali piani.
P. Q. M.
Si chiede che questa Corte voglia dichiarare l'illegittimita'
degli articoli 1, 2, 3, 4, 5 commi 3 e 4, 6, 7 e 8 del decreto-legge
22 novembre 2004, n. 279 nel testo convertito con modifiche dalla
legge 28 gennaio 2005, n. 5, per violazione degli artt. 117 commi 1,
2 lett. s), 3, 4, 5 e 6 Cost. e 118 Cost., anche in relazione agli
artt. 9, 32, 33, 72, 76 e 77 Cost.
Roma, addi' 16 marzo 2005
Prof. avv. Stefano Grassi