RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 marzo 2006 , n. 41
Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 4 marzo 2006 (della Regione Friuli-Venezia Giulia)
 
(GU n. 16 del 19-4-2006) 
 
 
    Ricorso  della  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  in  persona del
presidente  della  giunta  regionale  pro  tempore,  autorizzato  con
deliberazione  della  giunta  regionale  n. 264  del 20 febbraio 2006
(doc.  1),  rappresentata  e  difesa  - come da procura a margine del
presente  atto  -  dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con
domicilio  eletto  in  Roma  presso l'ufficio di rappresentanza della
Regione, in piazza Colonna n. 335;

    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione  di  illegittimita' costituzione dell'art. 1, commi 24,
26,  88,  148,  da 166 a 169, 198, 204, 276, 280, 281, 283, 284, 285,
286,  337,  340,  357,  359, 366, 368, da 483, a 492 escluso il comma
484),  556,  586  593,  da  597  a 600, della legge 23 dicembre 2005,
n. 266,  Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale  dello  Stato  (legge finanziaria 2006), pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  n. 302  del  29  dicembre  2005  -  Supplemento
ordinario n. 211, per violazione:
        dello  statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia e
delle relative norme di attuazione;
        del  Titolo  V  della  parte  seconda  della Costituzione, in
collegamento con l'art. 10 legge cost. n. 3 del 2001;
        del  principio  di  leale  collaborazione,  del  principio di
ragionevolezza  di  imparzialita' e buon andamento di cui all'art. 97
Cost.), nei termini di seguito esposti.

                            D i r i t t o

    1. - Illegittimita' dell'art. 1, commi da 24 a 26.
    Il   comma   24,   primo   periodo,  prevede  che  per  garantire
"effettivita' alle prescrizioni contenute nel programma di stabilita'
e  crescita presentato all'Unione europea, in attuazione dei principi
di  coordinamento  della  finanza  pubblica... e ai fini della tutela
dell'unita'  economica  della  Repubblica...  ....come  principio  di
equilibrio  tra  lo  stock  patrimoniale e i flussi dei trasferimenti
erariali...  nei  confronti degli enti territoriali soggetti al patto
di  stabilita'  interno,  delle  regioni  a  statuto  speciale, delle
Province  autonome...  i  trasferimenti  erariali  a qualsiasi titolo
spettanti  sono  ridotti  in misura pari alla differenza fra la spesa
sostenuta  nel  2006  per  l'acquisto da terzi di immobili e la spesa
media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita".
    Il  secondo periodo del medesimo comma dispone che "nei confronti
delle  regioni  e  delle  Province  autonome viene operata un'analoga
riduzione sui trasferimenti statali a qualsiasi titolo spettanti".
    Il  comma 25 precisa, poi, che le disposizioni di cui ai commi 23
e 24 non si applicano all'acquisto di immobili da destinare a sedi di
ospedali, ospizi, scuole o asili.
    Il  comma  24 riguarda sicuramente anche le regioni speciali, che
vi sono espressamente nominate.
    La disposizione e' in primo luogo di difficile intellezione.
    Di   difficile   comprensione  e'  il  senso  del  "principio  di
equilibrio  tra  lo  stock  patrimoniale e i flussi dei trasferimenti
erariali".  La stessa "differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per
l'acquisto  da  terzi  di  immobili  e  la  spesa media sostenuta nel
precedente  quinquennio  per  la  stessa  finalita"  appare  casuale:
potrebbe  non esserci alcuna differenza, o potrebbe indifferentemente
esserci  un  aumento  o  una  diminuzione  per  circostanze del tutto
accidentali.  Si  puo'  supporre  che parlando di differenza la norma
sottintenda "in aumento", ma gia' si tratta di mera interpretazione.
    Qualunque  sia  - se ve ne e' uno - il suo esatto significato, la
norma   in   questione  appare  indubbiamente  lesiva  dell'autonomia
finanziaria  regionale assicurata dallo statuto e, in quanto occorra,
dall'art. 119 Cost, per una doppia serie di ragioni.
    In  primo  luogo, i "trasferimenti" statali alla Regione non sono
altro  che  la  realizzazione  delle  norme statutarie: non si tratta
dunque  di  somme  che  lo  Stato possa discrezionalmente decidere di
ridurre  a  proprio  piacere,  ma  della  semplice  attuazione  dello
Statuto.  Le  somme  spettanti  alla Regione non possono dipendere da
qualunque valutazione si voglia dare del trend di spesa relativa agli
immobili,  ne'  la riduzione dei trasferimenti si giustifica ad alcun
altro titolo.
    In  secondo  luogo,  la  disposizione  si presenta anche come una
compressione  delle  possibili  decisioni  di spesa per il futuro. Se
infatti  si ammette che lo Stato possa ridurre i propri trasferimenti
a  seconda della propria valutazione positiva o negativa in relazione
all'oggetto  della  spesa della Regione, ne risulta un potere statale
di  indirizzo  della  spesa,  che  funziona in modo analogo a vincoli
puntuali  nei  settori di spesa (gia' ritenuti illegittimi da codesta
ecc.ma  Corte costituzionale), e che e' in diretta contraddizione con
il  principio di autonomia delle scelte, a base sia dello statuto che
del sistema costituzionale dell'autonomia finanziaria regionale.
    La  stessa "esenzione" dal calcolo degli immobili "da destinare a
sedi  di  ospedali,  ospizi,  scuole  o asili" costituisce riprova di
quanto  ora  affermato  circa l'interferenza nelle autonome scelte di
spesa  della  Regione,  la  cui  protezione costituzionale non viene,
dunque, tenuta in alcuna considerazione.
    L'illegittimita'  del  comma  24 e della deroga "finalizzata" del
comma  25  si  riflette,  poi,  sull'illegittimita' del comma 26, che
prevede  la  soggezione al monitoraggio del Ministero dell'economia e
delle  finanze  delle operazioni immobiliari di cui sopra e gli oneri
di  trasmissione  dei  dati  relativi  ad  acquisti  e  vendite degli
immobili  all'Agenzia  del  Territorio,  con  conseguente  obbligo di
segnalazione  agli  organi competenti (Corte dei conti) per eventuali
responsabilita', e cio' per le medesime ragioni sopra evidenziate, di
contrasto  con  l'ordinamento  delle  autonomie  e  con la disciplina
stabilita dalle norme di attuazione.
    In  ogni  caso,  si tratta di oneri di comunicazione arbitrari ed
irrazionali:  e' appena il caso di dire - con riferimento ai presunti
"fini   del  monitoraggio  degli  obiettivi  strutturali  di  manovra
concordati  con  l'Unione  europea" - che in sede comunitaria nessuna
attenzione  specifica  si  pone  alla  questione ... dell'acquisto di
immobili.  Inoltre,  la  "verifica  di  congruita" di cui allo stesso
comma  realizza  una  forma di controllo del tutto avulsa dal sistema
statutario  ed  una  ingerenza simile ad un controllo di merito sulla
attivita' amministrativa della Regione.
    Nel  loro insieme, dunque, le norme statali di cui ai commi da 24
a  26 si pongono, dunque, in contrasto con gli artt. da 48 a 54 dello
Statuto  -  e segnatamente con l'art. 49 - oltre che con il principio
di  ragionevolezza delle leggi, che codesta Corte ha individuato come
parametro  autonomo  di  legittimita',  quanto  alla correlazione tra
proporzionalita',  adeguatezza  e  ragionevolezza  delle  scelte  del
legislatore,  in  relazione  agli obiettivi (sentenza n. 175/2005 che
richiama le precedenti, nn. 14/2004 e 272/2004).
    2. - Illegittimita' costituzionale del comma 88.
    Il comma 88 aggiunge il comma 6-ter nell'art. 1 del decreto-legge
25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge
23 novembre 2001, n. 410.
    La   nuova   norma  prevede  una  singolare  forma  di  sanatoria
urbanistica degli immobili delle Ferrovie S.p.A. Essa, disponendo che
"i  beni  immobili appartenenti a Ferrovie dello Stato S.p.A. ed alle
societa'  dalla  stessa  direttamente  o indirettamente integralmente
controllate  si presumono costruiti in confonnita' alla legge vigente
al momento della loro edificazione", introduce una presunzione legale
di  regolarita'  urbanistico-edilizia  degli immobili delle Ferrovie,
che  prescinde dalla situazione reale, e disciplina poi una procedura
per  consentire, entro tre anni, la costruzione di una documentazione
attestante  la  stessa  regolarita',  anche  in deroga agli strumenti
urbanistici  vigenti  ("Indipendentemente  dalle  alienazioni di tali
beni,  Ferrovie  dello  Stato  S.p.A.  e  le  societa'  dalla  stessa
direttamente  o  indirettamente  integralmente controllate, entro tre
anni  dalla  data  di  entrata in vigore della presente disposizione,
possono  procedere  all'ottenimento di documentazione che tenga luogo
di quella attestante la regolarita' urbanistica ed edilizia mancante,
in  continuita'  d'uso,  anche  in  deroga agli strumenti urbanistici
vigenti").
    Tale  procedura  prevede che la societa' "proponga" al comune una
"dichiarazione   sostitutiva  della  concessione",  allegando  alcuni
documenti,  fra  i  quali l'"attestazione del versamento di una somma
pari  al  10  per  cento  di  quella che sarebbe stata dovuta in base
all'Allegato   1   del   decreto-legge  30  settembre  2003,  n. 269,
convertito,  con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326,
per  le opere di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), del testo unico
di  cui  al  decreto  del  Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380" (cioe', per le opere di ristrutturazione edilizia).
    Addirittura,  la  dichiarazione  sostitutiva  "produce i medesimi
effetti  di  una  concessione in sanatoria, a meno che entro sessanta
giorni  dal  suo  deposito  il comune non riscontri l'esistenza di un
abuso  non  sanabile  ai  sensi  delle  norme in materia di controllo
dell'attivita'  urbanistico-edilizia  e lo notifichi all'interessato"
(subito   dopo  la  disposizione  precisa  che  "in  nessun  caso  la
dichiarazione  sostitutiva  potra'  valere  come una regolarizzazione
degli abusi non sanabili ai sensi delle norme in materia di controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia").
    La  possibilita'  di  beneficiare della procedura di cui sopra e'
data  anche  "ai  soggetti  che acquistino detti immobili da Ferrovie
dello  Stato  S.p.A.  e  dalle  societa'  dalla stessa direttamente o
indirettamente   integralmente   controllate",   ma   "la   somma  da
corrispondere e' pari al triplo di quella sopra indicata".
    Le   norme   appena  illustrate  rappresentano  il  tentativo  di
correggere   le   conseguenze  dell'art. 1,  comma  6-bis,  del  d.l.
n. 351/2001 (come modificato dall'art. 26, comma 10, d.l. n. 269/2003
e   poi   dall'art. 1,  comma  277,  legge  n. 311/2004)  che,  nella
prospettiva  della  privatizzazione  degli immobili pubblici, dispone
che   "i   beni   immobili   non   piu'   strumentali  alla  gestione
caratteristica  dell'impresa  ferroviaria,  di proprieta' di Ferrovie
dello Stato S.p.A.,... nonche' i beni acquisiti ad altro titolo, sono
alienati  e  valorizzati  da  Ferrovie  dello  Stato  S.p.A., o dalle
societa'  da essa controllate, direttamente o con le modalita' di cui
al  presente decreto", e che "le alienazioni di cui al presente comma
sono  effettuate  con  esonero  dalla consegna dei documenti relativi
alla  proprieta'  e  di quelli attestanti la regolarita' urbanistica,
edilizia e fiscale degli stessi beni".
    Le  norme  qui  impugnate,  pero',  ledono la sfera di competenza
costituzionale della Regione sotto diversi profili.
    In  sostanza,  il  comma  88  introduce  un altro caso di condono
edilizio, che risulta, pero', ancora piu' difforme dalla Costituzione
rispetto alla disciplina generale introdotta nel 1985, nel 1994 e nel
2003. Gli aspetti deteriori del comma 88 risultano essere i seguenti:
a)  il condono e' limitato ad una particolare societa', alle societa'
ad  essa  collegate  e  agli  aventi  causa;  b) non essendoci limiti
temporali,  il  condono  potrebbe essere riferito anche agli immobili
realizzati  dopo l'entrata in vigore della legge, per cui le Ferrovie
potrebbero  costruire  un  immobile senza concessione, e poi, entro i
tre anni dall'entrata in vigore della legge. n. 266/2005, proporre la
dichiarazione sostitutiva; c) l'oblazione e' ridotta al 10% di quella
prevista  dal  d.l. n. 269/2003 e si applica comunque quella relativa
alle  ristrutturazioni edilizie, anche se l'abuso e' piu' grave; d)e'
previsto  il  silenzio-assenso ma con un termine molto piu' ristretto
rispetto  a quello del d.l. n. 269/2003; e) non ci sono limiti quanto
alle  volumetrie  sanabili; f) non sono previsti ambiti di intervento
del  legislatore  regionale  (contemplati,  invece,  seppur in misura
ridotta, dal d.l. n. 269/2003).
    In  generale,  poi, colpisce il fatto che la norma non prevede la
possibilita'  di  sanare un abuso, ma e' imperniata sulla presunzione
autoritativa   della   legittimita'   edilizia  dell'immobile  di  un
soggetto,  prevedendo  poi che una dichiarazione del soggetto produca
gli  effetti  della  concessione  in  sanatoria  nel giro di sessanta
giorni (salvo intervento del comune in certi casi).
    Quanto   alla   lesione  delle  competenze  costituzionali  della
Regione,  il  comma 88 viola, in primo luogo, la potesta' legislativa
primaria  e  l'autonomia  amministrativa  in  materia di urbanistica,
previste dall'art. 4, n. 12, e dall'art. 8 dello Statuto speciale. E'
superfluo,  poi,  sottolineare  che  tale  potesta' e', dopo il 2001,
soggetta  solo  ai  limiti  di cui all'art. 117, comma 1, per effetto
dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001.
    Pare  chiaro  che  il  comma  88 e' illegittimo, perlomeno, nella
misura  in  cui  disciplina  dettagliatamente  i  (quasi inesistenti)
limiti  e  la  procedura di condono, senza consentire alle regioni di
modulare  l'ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantita'
e alla tipologia degli abusi sanabili (ferma restando la spettanza al
legislatore  statale della potesta' di individuare la portata massima
del   condono   edilizio  straordinario),  cioe'  di  determinare  la
possibilita',  le  condizioni  e  le modalita' per l'ammissibilita' a
sanatoria  di  tutte  le  tipologie  di  abuso  edilizio"  (v. sentt.
n. 196/2004,  n. 71/2005 e n. 49/2006), eventualmente restringendo le
possibilita' di condono.
    Il  comma  88,  sotto questo profilo, e' ancora piu' lesivo delle
norme   del   d.l.  n. 269/2003,  che  consentivano  qualche  piccola
integrazione  al  legislatore  regionale.  Su  questo punto le sentt.
n. 196/2004,  n. 71/2005  e  n. 49/2006 della Corte costituzionale si
sono  gia'  ampiamente  pronunciate  e  ad esse si puo' rinviare. Fra
l'altro,  la  sent.  n. 196/2004  ha precisato che le possibilita' di
intervento  delle  regioni  speciali sono ancora piu' ampie di quelle
delle  regioni ordinarie: come, per la Regione Friuli-Venezia Giulia,
risulta chiaramente dal carattere primario della potesta' legislativa
in materia di urbanistica.
    Ma,  in  realta', il comma 88 lede le competenze regionali per la
stessa  previsione  della  sanatoria, in quanto per esso non sembrano
poter valere le considerazioni svolte da codesta Corte costituzionale
nella  sent.  n. 196/2004, ove si e' fatto salvo l'an del condono. La
Corte,  infatti,  ha  ritenuto "ragionevole" il nuovo condono (di cui
ovviamente  anche  le  Ferrovie hanno potuto usufruire come tutti) in
quanto  il  d.l. n. 269/2003 faceva riferimento all'entrata in vigore
del  d.P.R.  n. 380/2001  e della legge cost. n. 3/2001 e, dunque, in
connessione con tali fatti nuovi, si poteva comprendere l'esigenza di
"chiudere"  il  passato illegale e di dare avvio ad un nuovo periodo,
caratterizzato  da  una maggiore attenzione nei confronti degli abusi
edilizi
    Il  comma  88  e'  del  tutto  privo di quegli elementi che hanno
indotto  la  Corte  a  far salvo il "principio" del condono. Non c'e'
nessun  fatto  nuovo  e  non c'e' neppure l'esigenza di "chiudere una
stagione";  anzi, mentre i condoni "generali" miravano principalmente
all'estinzione  dei  reati, e a quest'esigenza primaria seguivano poi
quella di estinguere gli illeciti amministrativi e di "far cassa", il
comma  88  non e' volto a soddisfare esigenze di rango costituzionale
ma  ha  solamente  lo  scopo  di  facilitare la privatizzazione degli
immobili  pubblici  (anche se poi prevede che si producano i medesimi
effetti della concessione in sanatoria).
    Dunque,  l'intero  comma 88 viola irragionevolmente le competenze
costituzionali,  legislative  ed  amministrative,  della  Regione  in
materia  di  governo del territorio; in subordine, si chiede che esso
sia  dichiarato  illegittimo  nella  parte  in  cui non consente alle
regioni   di  modulare  l'ampiezza  del  condono  in  relazione  alla
quantita' e alla tipologia degli abusi sanabili, e nella parte in cui
disciplina  con  norme  dettagliate  la procedura di sanatoria. E' da
sottolineare  che  il comma 88 lede le competenze regionali in misura
ancora  maggiore  (sotto il profilo giuridico, ovviamente, non quanto
ad  effetti  concreti)  rispetto  al d.l. n. 269/2003, dato che, come
gia' osservato, non sono previsti limiti temporali per le costruzioni
(per  cui  il  condono  potrebbe  essere riferito anche agli immobili
realizzati  dopo  l'entrata  in  vigore  della legge), e' previsto un
termine  assai  breve  per  il silenzio-assenso comunale, non ci sono
limiti  quanto alle volumetrie sanabili e non sono previsti ambiti di
intervento del legislatore regionale.
    Si  noti,  ulteriormente, che si tratta di un "privilegio" per un
gruppo  di  societa'  e gli aventi causa, il che aggrava la lesivita'
della norma. Essa, infatti, viola anche il principio di eguaglianza e
tale  illegittimita'  si ripercuote sulle prerogative regionali, dato
che  la  previsione  di tale "privilegio" si traduce nella previsione
del condono.
    Infine,  il comma 88, la' dove prevede che l'oblazione e' ridotta
al  10%  di  quella  prevista  dal  d.l. n. 269/2003 e che si applica
comunque  quella  relativa  alle  ristrutturazioni edilizie, anche se
l'abuso  e'  piu'  grave,  viola l'autonomia finanziaria dei comuni e
cio'  si traduce in una lesione dell'autonomia finanziaria regionale,
come   riconosciuto   da  codesta  Corte  nelle  sentt.  n. 533/2002,
n. 196/2004 e n. 417/2005. In particolare, nella sent. n. 196/2004 si
legge   che  "la  stretta  connessione,  in  particolare  in  materia
urbanistica  e  in  tema  di  finanza  regionale  e  locale,  tra  le
attribuzioni  regionali  e  quelle delle autonomie locali consente di
ritenere  che  la  lesione delle competenze locali sia potenzialmente
idonea  a  dterminare  una  vulnerazione  delle competenze regionali"
(punto 14 del Diritto).
    3. - Illegittimita' costituzionale del comma 148.
    Il comma 148 dispone, per quanto qui interessa, che "per gli anni
2006,  2007  e  2008,  le  regioni  a  statuto speciale e le Province
autonome  di  Trento  e  di  Bolzano concordano, entro il 31 marzo di
ciascun  anno,  con  il  Ministero  dell'economia e delle finanze, il
livello  delle  spese  correnti  e  in  conto  capitale,  nonche' dei
relativi pagamenti, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica
per  il periodo 2006-2008, anche con riferimento, per quanto riguarda
le spese di personale, a quanto previsto ai punti 7 e 12 dell'accordo
sottoscritto  tra  Governo,  regioni  e  autonomie  locali in sede di
Conferenza  unificata  il  28 luglio 2005"; e che "in caso di mancato
accordo  si  applicano  le  disposizioni  stabilite  per le regioni a
statuto ordinario".
    La   ricorrente   Regione  non  contesta  il  proprio  dovere  di
partecipare,   come   tutte   le  articolazioni  istituzionali  della
Repubblica,  ai  vincoli  conseguenti  al  patto  di  stabilita', ne'
contesta  il  principio dell'accordo, che vale per tutte le regioni a
statuto speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano.
      Oggetto  della  presente  impugnazione  e' invece da un lato la
disposizione  che  pone il termine del "31 marzo di ciascun anno" per
il  conseguimento dell'accordo, dall'altro la disposizione secondo la
quale  "in  caso  di  mancato  accordo  si  applicano le disposizioni
stabilite  per le regioni a statuto ordinario". La ricorrente Regione
vede in tali disposizioni due distinti profili di illegittimita'.
    In   primo  luogo,  il  principio  dell'accordo  tra  la  Regione
interessata  ed  il Ministero dell'economia e delle finanze ha il suo
fondamento  e  le  sue  radici  nella specialita' della finanza delle
regioni  a  statuto  speciale,  cui  si  correla  anche  la specifica
dimensione  delle  funzioni  legislative ed amministrative affidate a
ciascuna  di  esse.  Si  tratta  dunque  di un principio che non puo'
essere   eluso  semplicemente  collegando  ad  un  generico  "mancato
accordo"  l'applicazione alle autonomie speciali delle regole dettate
per  le  regioni  ordinarie.  Essendo  evidente che tale applicazione
viene   a   disconoscere  proprio  quella  specialita'  che  fonda  e
giustifica  il  regime  di  accordo,  e  dunque  realizza  un  regime
giuridico  ed  istituzionale  deteriore, appare altresi' evidente, ad
avviso  della  ricorrente  Regione, che l'applicazione di tale regime
non  puo' risultare costituzionalmente legittima, ove non risulti che
la  responsabilita'  del  mancato accordo sia della Regione stessa, e
non  -  in ipotesi - di un atteggiamento ostruzionistico o almeno non
collaborativo del Ministero.
    Infatti,  ove  un  simile atteggiamento vi fosse, la disposizione
qui  contestata  consentirebbe  al Ministero di "far scattare" per la
Regione  Friuli-Venezia  Giulia  il  regime  delle  regioni ordinarie
semplicemente  mantenendosi  inerte,  o  trascinando  inutilmente  le
trattative per l'accordo.
    In   secondo   luogo,   tale   lesione  e'  poi  aggravata  dalla
disposizione  che  pone  per il conseguimento dell'accordo il termine
del  31  marzo  di  ogni anno. Questo termine, unitamente alla regola
sopra  criticata,  rende  in  definitiva  il  principio  dell'accordo
meramente  eventuale, ed attribuisce al Ministero nei fatti il potere
di  decidere se la Regione speciale di volta in volta interessata - e
nell'ambito  del  presente ricorso la Regione Friuli-Venezia Giulia -
potra'  concordare la propria partecipazione al patto di stabilita' o
dovra'  vedere  applicate  a  se'  le  regole  dettate per le regioni
ordinarie.
    Di qui l'illegittimita' delle disposizioni impugnate.
    4. - Illegittimita' costituzionale dei commi da 166 a 169.
    Conviene  premettere che la materia del controllo della Corte dei
conti  sulla  Regione  e' disciplinata, per la Regione Friuli-Venezia
Giulia, dal decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975,
n. 902,  come  modificato  dal  d.lgs.  15  maggio  2003,  n. 125. In
particolare,  il controllo di gestione e' analiticamente disciplinato
dall'art. 33  di tale decreto, nella nuova versione. Inoltre, secondo
l'art. 60  dello Statuto, il controllo sugli enti locali e' svolto da
un  organo  della  Regione "nei modi e nei limiti stabiliti con legge
regionale in armonia con i principi delle leggi dello Stato".
    Essendo  il  sistema  ditali  controlli  di  per  se' completo ed
esaustivo,  considerando  anche la clausola di salvaguardia di cui al
comma  610,  dovrebbe  ritenersi  che i conuni da 166 a 169 non siano
destinati  ad  applicarsi nel territorio della Regione. Diversamente,
tali  disposizioni  sarebbero illegittimi per violazione dell'art. 60
dello  Statuto,  e  della  riserva  di  competenza  regionale in esso
contenuta.
    In  effetti,  il comma 166 sottopone gli organi degli enti locali
di  revisione  economico-finanziaria  al  dovere  di trasmettere alle
competenti  sezioni  regionali di controllo della Corte dei conti una
relazione  sul  bilancio di previsione dell'esercizio di competenza e
sul rendiconto dell'esercizio medesimo.
    Il  comma 167 addirittura attribuisce alla stessa Corte dei conti
il  potere  di  definire  "unitariamente  criteri  e  linee guida cui
debbono   attenersi   gli  organi  degli  enti  locali  di  revisione
economico-finanziaria nella predisposizione della relazione di cui al
comma 166".
    Il  comma 168 prevede che le sezioni regionali di controllo della
Corte  dei conti, qualora accertino, anche sulla base delle relazioni
di  cui  al  comma  166,  comportamenti  difformi dalla sana gestione
finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto,
adottino  specifica  pronuncia  e  "vigilino"  sull'adozione da parte
dell'ente  locale  delle  necessarie misure correttive e sul rispetto
dei  vincoli  e  limitazioni  posti in caso di mancato rispetto delle
regole  del patto di stabilita' interno. E' evidente che si tratta di
un  controllo  diverso da quello di gestione ed ulteriore rispetto ad
esso,  e  che  esso  ha  piu'  carattere repressivo-sanzionatorio che
carattere collaborativo.
    Il  comma  169 dispone, tra l'altro, che la Corte dei conti possa
avvalersi  "di  personale  degli  enti  locali, fino ad un massimo di
cinquanta  unita', in possesso di laurea in scienze economiche ovvero
di diploma di ragioniere e perito commerciale, collocato in posizione
di   fuori   ruolo  o  di  comando",  venendo  cosi'  ad  interferire
nell'organizzazione  degli  enti  locali,  senza  richiedere  il loro
consenso.
    In  sintesi,  appare  illegittimo  il  controllo nuovo sugli enti
locali,   previsto   al  di  fuori  del  sistema  statutario;  appare
illegittimo  il  potere normativo della Corte dei conti in materia di
controllo  sugli  enti  locali;  appare illegittimo l'avvalimento del
personale degli enti locali unilateralmente disposto.
    5. - Illegittimita' costituzionale del comma 198 e del comma 204.
    I  commi  da  138  a  150  (che  non costituiscono qui oggetto di
impugnazione,  salvo  che  per  quanto  sopra esposto in relazione al
comma 148) pongono le regole del patto di stabilita' interno.
    In particolare, per quanto riguarda le regioni a statuto speciale
e  le  Province autonome il comma 148 detta una specifica disciplina,
secondo  la  quale  le autonomie speciali concordano con il Ministero
dell'economia  il  livello  delle spese correnti e in conto capitale,
nonche'   dei  relativi  pagamenti.  Ancora  piu'  specificamente  e'
previsto  che,  per  quanto  riguarda  la  spesa per il personale, si
faccia riferimento a quanto previsto dai punti 7 e 12 dall'Accordo 28
luglio  2005  stipulato in sede di Conferenza unificata: il punto 12,
in  particolare,  include  nel  sistema  dell'accordo  sul  patto  di
stabilita'  la  spesa  per il personale degli enti strumentali e, per
quanto  riguarda  (fra  gli  altri) la Regione Friuli-Venezia Giulia,
quella per il personale.
    Con  riferimento  alle  regioni  a statuto ordinario il comma 198
dispone  che  "le  amministrazioni regionali e gli enti locali di cui
all'art.  2,  commi  1  e  2,  del  testo  unico  di  cui  al decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n. 267, nonche' gli enti del Servizio
sanitario  nazionale,  fermo restando il conseguimento delle economie
di  cui  all'art.  1,  commi 98  e 107, della legge 30 dicembre 2004,
n. 311,  concorrono  alla  realizzazione  degli  obiettivi di finanza
pubblica  adottando  misure  necessarie  a  garantire che le spese di
personale,   al   lordo   degli   oneri   riflessi   a  carico  delle
amministrazioni  e  dell'IRAP,  non  superino per ciascuno degli anni
2006,   2007  e  2008  il  corrispondente  ammontare  dell'anno  2004
diminuito  dell'1  per cento", e che "a tal fine si considerano anche
le  spese  per  il  personale  a  tempo determinato, con contratto di
collaborazione  coordinata  e continuativa, o che presta servizio con
altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni".
    Si   tratta   di  disposizioni  che  appaiono  costituzionalmente
illegittime,   in  quanto  pongono  alle  regioni  vincoli  puntuali,
anziche' vincoli globali, limitandone l'autonomia (v. tra le altre le
sentt.  n. 417  e 449 del 2005): ma la Regione Friuli-Venezia Giulia,
usufruendo  del  particolare meccanismo sopra accennato e non essendo
espressamente  compresa  tra i destinatari del comma 198, non avrebbe
ragioni di lamentare una propria lesione.
    Sennonche',  il  comma  204  stabilisce  che  "alla  verifica del
rispetto  degli adempimenti previsti dal comma 198 si procede, per le
regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, le Province, i
comuni  con  popolazione  superiore  a 30.000 abitanti e le comunita'
montane  con  popolazione  superiore a 50.000 abitanti, attraverso il
sistema  di  monitoraggio di cui all'art. 1, comma 30, della legge 30
dicembre  2004,  n. 311, e per gli altri enti destinatari della norma
attraverso   apposita  certificazione,  sottoscritta  dall'organo  di
revisione  contabile,  da  inviare al Ministero dell'economia e delle
finanze,   entro   sessanta   giorni  dalla  chiusura  dell'esercizio
finanziario di riferimento".
    Il  riferimento  non  solo  alle  regioni  ma anche alle Province
autonome  di Trento e di Bolzano - cioe' ad autonomie differenziate -
induce  a pensare che il comma 204 non solo sembra intenda applicarsi
esso  stesso  anche  alla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia,  ma anche
presupponga l'applicazione dello stesso comma 198. Il dubbio tuttavia
e'  giustificato,  dal  momento  che  il  comma  148, nel disporre il
peculiare  regime  del patto di stabilita' per le autonomie speciali,
specificamente  vi  include  la  spesa  per il personale, nei termini
previsti  dall'Accordo  sopra  richiamato.  Ove  i  commi  198  e 204
dovessero  considerarsi  applicabili  alla  ricorrente  Regione, essi
risulterebbero, in relazione ad essa, costituzionalmente illegittime.
    In  effetti,  i  vincoli  posti dai commi 198 e 204, ove ritenuti
applicabili  alla  ricorrente,  regione  nonostante  le  disposizioni
speciali  di  cui  al comma 148, risulterebbero lesivi dell'autonomia
finanziaria  regionale  sia  per  le stesse ragioni per le quali essi
sono  comunque  illegittimi anche in relazione alle regioni ordinarie
(v.  le  sentenze  sopra richiamate), ma sarebbero a maggiore ragione
illegittimi  in  quanto  posti  altresi'  in  violazione delle regole
statutarie.  Sarebbe violato, ancora, l'art. 48, secondo il quale "la
Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in
armonia  con i principi di solidarieta' nazionale" nei modi stabiliti
dai seguenti articoli 49 e 50.
    Illegittima  sarebbe  anche  l'applicazione  degli stessi vincoli
agli  enti  locali della Regione, sia per l'illegittimita' intrinseca
della  regola stessa, sia in quanto tali enti partecipano del sistema
regionale in cui sono inseriti.
    Per   l'illegittimita'   in   se'   della   regola   valgono   le
considerazioni  gia'  svolte.  Per  la  violazione  della  competenza
regionale  e della collocazione istituzionale degli enti locali della
Regione,  sarebbe  violato,  in  particolare l'art. 4, secondo comma,
n. 1-bis,  dello  Statuto,  che  assegna  alla  potesta'  primaria la
disciplina  dell'ordinamento  degli enti locali, anche in connessione
con l'art. 53 in materia di finanza locale.
    Del  resto, va ricordato che il comma 148 espressamente riconosce
e  stabilisce  che  "per  gli  enti  locali  dei rispettivi territori
provvedono, alle finalita' di cui ai commi da 138 a 150, le regioni a
statuto  speciale  e  le  Province autonome di Trento e di Bolzano ai
sensi  delle competenze alle stesse attribuite dai rispettivi statuti
di  autonomia  e dalle relative norme di attuazione". Le finalita' di
cui  ai  commi  da  138  a  150 sono, ovviamente, quelle del patto di
stabilita':  non  avrebbe  dunque senso che a tali enti si applicasse
anche, direttamente, la regola posta in generale per gli enti locali,
neppure se tale regola fosse legittima.
    6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 276.
    L'art. 1,  comma  276,  attraverso  la modifica dell'art. 50 d.l.
n. 269/2003  (Disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel
settore  sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie),
introduce   specifiche  sanzioni  amministrative  per  la  mancata  o
incompleta  trasmissione  dei  dati  delle ricette (prevista da norme
previgenti),  e  stabilisce  che  all'accertamento  delle  violazioni
provvede  il  Corpo  della  Guardia di finanza, il quale trasmette il
relativo  rapporto  "alla  direzione  provinciale  dei  servizi  vari
competente  per  territorio,  per  i  conseguenti adempimenti" (nuovi
commi 8-bis, 8-ter e 8-quater).
    Tali   norme   hanno   carattere   estremamente   dettagliato,  e
attribuiscono puntuali funzioni amministrative (di accertamento delle
violazioni)  in  capo  ad organi dello Stato, nella materia "igiene e
sanita',  ivi  compresa  l'assistenza  sanitaria  e ospedaliera", che
spetta  costituzionalmente  alla competenza concorrente della Regione
(artt. 5, n. 15 St., e relative norme di attuazione).
    Le  attribuzioni  della  ricorrente  sono  disconosciute sotto un
duplice   profilo.   In   primo   luogo,  risulta  lesa  la  potesta'
legislativa,  in  quanto  lo  Stato  non  si e' limitato, come invece
avrebbe   dovuto,   a   porre  principi  fondamentali  della  materia
suscettibili  di essere sviluppati dalla legislazione regionale; ne',
d'altro  canto,  il  carattere di principio potrebbe essere sostenuto
argomentando  (dalla sent. n. 361/2003) con la necessita' di tutelare
in  modo  uniforme  su  tutto  il  territorio  nazionale  il  diritto
fondamentale  alla salute, in quanto si tratta, nel presente caso, di
misure sanzionatorie per inadempimenti di carattere amministrativo, a
carico  di  soggetti  integrati  nella  struttura  organizzativa  del
servizio  sanitario  regionale.  A  cio'  si  aggiunge  che  le norme
impugnate ledono le funzioni amministrative, che nel settore spettano
alla Regione, secondo il disposto dell'art. 8 St.
    7. - illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 280-281.
    Con la disposizione dell'art. l, comma 279 (che non forma oggetto
di  impugnazione),  lo Stato ha destinato alle regioni l'importo di 2
miliardi  di  euro,  quale  concorso  al  ripiano  dei  disavanzi del
servizio  sanitario  nazionale  per gli anni 2002, 2003 e 2004; ed ha
aggiunto,  nel primo periodo del comma successivo, che il riparto tra
le  regioni  -  chiamate  a  cofinanziare il ripiano - e' operato con
decreto  ministeriale,  sulla base del numero dei residenti, e previa
intesa con la Conferenza Stato-regioni. Si tratta di un finanziamento
che  trova  causa  nella  corresponsabilita'  dello  Stato  sia nella
determinazione   del  livello  delle  entrate  regionali,  sia  nella
determinazione  delle  prestazioni  sanitarie  di cui hanno diritto i
cittadini:  puo'  quindi  parlarsi  di un concorso costituzionalmente
dovuto.
    Le ulteriori disposizioni del comma 280, tuttavia, subordinano il
fmanziamento statale a due condizioni:
        a) la  prima,  che  entro  il  31  marzo  2006  la Conferenza
unificata  esprima l'intesa sullo schema di Piano sanitario nazionale
2006-2008;
        b)  la  seconda,  che entro lo stesso termine si addivenga ad
una  intesa  tra  Stato  e  regioni,  nella  quale  sia  prevista una
pluralita'  di  misure  organizzative  riferibili alle c.d. "liste di
attesa" per le prestazioni sanitarie.
    Il  comma  281,  a  sua volta, introduce una terza condizione per
l'accesso  al  contributo:  "le  regioni  che  nel  periodo 2001-2005
abbiano fatto registrare ... un disavanzo medio pari o superiore al 5
per  cento,  ovvero  che  abbiano  fatto registrare nell'anno 2005 un
incremento  del  disavanzo rispetto all'anno 2001 pari o superiore al
200  per  cento"  devono  stipulare  di  un  apposito accordo (ovvero
integrare  accordi gia' sottoscritti ai sensi dell'art. 1, comma 180,
legge  n. 311/2004),  "per  l'adeguamento  alle indicazioni del Piano
sanitario  nazionale  2006-2008  e  il  perseguimento dell'equilibrio
economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza".
    E'  da  evidenziare  come,  nel  loro insieme, le norme impugnate
istituiscano un collegamento necessario tra il finanziamento statale,
resosi  indispensabile  in  relazione ad attivita' di assistenza gia'
prestata, e il consenso delle regioni a tutte le previsioni del Piano
sanitario  2006-2008: le regioni sono infatti costrette ad una scelta
obbligata,  in  quanto  eventuali obiezioni e riserve sullo schema di
Piano  predisposto  dal  Governo  implicano  la rinuncia alle risorse
finanziarie.
    Le condizioni alle quali lo Stato ha subordinato il finanziamento
del  comma  279  sono  costituzionalmente  illegittime per violazione
degli  5,  n. 15,  nonche'  8,  48, 49 e 50 dello Statuto, ed inoltre
dell'art. 119 Cost., e del principio di ragionevolezza.
        b)   Lese  sono  anzitutto  le  attribuzioni  legislative  ed
amministrative  spettanti  alla  Regione  in materia di "tutela della
salute".
    Tra  esse  rientrano  certamente  i  poteri  mediante  i quali la
Regione  concorre  alla  adozione  del Piano sanitario nazionale, sia
attraverso  la  formulazione  di  specifiche proposte, sia attraverso
l'espressione  dell'intesa  sul  Piano  nell'ambito  della Conferenza
unificata   (secondo  quanto  dispone  l'art. 1,  commi  4-5,  d.lgs.
n. 502/1992,  come sostituito dall'art. 1, d.lgs. n. 229/1999). Ed e'
evidente  -  e  imposto  dai principi di tutela della salute (art. 32
Cost.)  e  di  buon andamento della amministrazione (art. 97 Cost.) -
che  le  determinazioni regionali in proposito devono necessariamente
avere  riguardo alle esigenze sanitarie della popolazione nel periodo
preso in considerazione dal Piano, alle risorse economiche necessarie
allo scopo e a quelle che si ritiene saranno disponibili.
    Questi  criteri  di  orientamento  nella  decisione  sono  invece
palesemente  negati  dalle  disposizioni  impugnate,  proprio  per il
legame  che  esse  istituiscono  tra l'accordo sulla approvazione del
Piano, destinato a valere per il futuro, e la copertura del disavanzo
relativo a gestioni passate: di consegenza, risultano sostanzialmente
lesi   i   poteri  regionali  concernenti  la  formazione  del  Piano
sanitario.
    L'illegittima  compressione  delle  competenze  nel settore della
tutela  della  salute  si  manifesta  anche  con  la condizione della
seconda  intesa, relativa alle misure organizzative che devono essere
assunte.
    Dopo  la  riforma  del  titolo V, l'autonomia regionale in ordine
alla  organizzazione  degli  enti  sanitari  e'  piu' vasta di quella
consentita dalla precedente materia "assistenza sanitaria", potendosi
in  principio  spingere  fino  alla  stessa "previsione" di essi, dal
momento   che   cio'   "rappresenta   una   delle  possibili  opzioni
organizzative   per   conseguire  le  finalita'  prescelte  dall'ente
costituzionalmente   responsabile   nella  materia  o  nelle  materie
interessate"  (cosi',  molto  efficacemente,  la  sent.  n. 70/2005).
Orbene,  alcuni  contenuti  dell'intesa  -  alla  cui stipulazione e'
subordinato   il   contributo   finanziario   statale   -  comprimono
indebitamente  l'autonomia regionale sulla disciplina delle strutture
sanitarie:  cio'  vale  in particolare per l'obbligo di stabilire una
quota  minima  di  risorse  da vincolare al contenimento dei tempi di
attesa  per  le prestazioni (comma 280, lett. d), per le modalita' di
realizzazione  del  centro unico di prenotazione (con utilizzo in via
prioritaria  dei  medici  di  medicina  generale;  lett.  d);  per la
attivazione  "di uno specifico flusso informativo per il monitoraggio
delle  liste  di  attesa"  (lett. e);  per  la  imposizione  che alla
certificazione   degli   interventi   in   attuazione  del  piano  di
contenimento  delle  liste  di  attesa  provveda  il  comitato di cui
all'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005 (lett. f).
    Del  resto,  lo  stesso  legislatore  statale  deve  essere stato
consapevole   della  illegittimita'  delle  misure  organizzative  in
discorso,   se  ha  ritenuto  di  non  imporle  in  modo  formalmente
unilaterale, e di farne oggetto di una "intesa": in apparenza essa e'
liberamente  sottoscrivibile  o  rifiutabile (si notera' che il comma
280 ragiona di una intesa "ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge
5  giugno  2003,  n. 131",  di  una  intesa diretta cioe' "a favorire
l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di
posizioni  unitarie  o il conseguimento di obiettivi comuni"), mentre
in  realta'  e' essa imposta alla regione dalla urgente necessita' di
ottenere il contributo finanziario statale.
        c)  Il  legame  tra  il concorso nazionale alla copertura dei
disavanzi  pregressi  e  l'accordo sul Piano sanitario per il periodo
2006-2008,   risulta   incostituzionale   anche  per  violazione  del
principio  di ragionevolezza, in quanto ha ad oggetto due entita' non
omogenee.
    Da  questo  vizio  non  e' esente nemmeno il comma 281, il quale,
come  si  e'  sopra  ricordato,  pone  alle singole regioni che hanno
registrato   negli   anni  passati  un  particolare  (incremento  di)
disavanzo,  la  ulteriore  condizione - per concorrere al riparto del
contributo   statale   -   di  stipulare  un  apposito  accordo  "per
l'adeguamento   alle   indicazioni   del  Piano  sanitario  nazionale
2006-2008  e  il perseguimento dell'equilibrio economico nel rispetto
dei  livelli essenziali di assistenza". Da un lato, infatti, mediante
il   richiamo   dell'art. 1,   comma   180,   legge  n. 311/2004,  la
disposizione  parrebbe  ipotizzare  che  gli  accordi  implichino una
previa  "ricognizione  delle  cause"  del  disavanzo,  ed  assumano a
contenuto   la   elaborazione   di   "un   programma   operativo   di
riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio
sanitario regionale"; d'altro lato, e contraddittorianiente, la norma
impugnata  prevede che il singolo accordo contenga l'adeguamento alle
indicazioni del piano sanitario futuro.
        d)  Gli  argomenti sopra svolti valgono a dimostrazione della
incostituzionalita' delle disposizioni esaminate anche per violazione
dell'art.  119,  comma  4,  Cost.:  se  lo stesso legislatore statale
riconosce  come  necessario un intervento finanziario a copertura dei
disavanzi  pregressi  (e  non  potrebbe  essere  diversamente, per le
ragioni  strutturali  accennate  all'inizio  del  presente  motivo di
ricorso),   e'  in  violazione  del  principio  per  cui  le  risorse
"ordinarie"   delle   regioni   devono   consentire   "di  finanziare
integralmente   le   funzioni   pubbliche   loro   attribuite"   ogni
"condizione"   che   non  abbia  riguardo  a  quelle  stesse  ragioni
strutturali,  e  che non incidano quindi sulle fonti di entrata o sui
livelli delle prestazioni, o sui costi delle medesime.
        e)  Giova ricordare che la questione di costituzionalita' ora
proposta  solo  superficialmente  e'  paragonabile a quella sollevata
dalla   Regione  Emilia-Romagna  contro  l'art. 52,  comma  4,  legge
n. 289/2002,  e  decisa  con  la  sent.  n. 36/2005.  La norma allora
impugnata   condizionava   ad   adempimenti  "futuri"  delle  regioni
"l'adeguamento del finanziamento del Servizio sanitario nazionale per
gli  anni  2003, 2004 e 2005": vi era quindi corrispondenza temporale
tra  le  somme  "aggiuntive"  da  trasferire  agli  enti  autonomi  e
l'imposizione      ad      essi      di      determinati      vincoli
organizzativo-assistenziali;  inoltre, gli impegni di cui all'art. 52
cit.  erano  sostanzialmente  il frutto di procedure concertative tra
Stato  e regioni, e proprio questo carattere negoziale e' stato posto
dalla  Corte  a  fondamento della sentenza n. 36. Per nessuno dei due
aspetti  si  puo'  affermare  una  similitudine con i commi 280 e 281
della legge n. 266.
    8. - Illegittimita' costituzionale dei commi 283 e 284.
    Il comma 282 (qui non impugnato) e i commi 283 e 284 rilevano qui
nelle  parti in cui: vietano alle aziende sanitarie ed ospedaliere di
sospendere  le  prenotazioni  delle  prestazioni  sanitarie di cui al
d.P.C.m.  29  novembre  2001; comminano la sanzione amministrativa da
mille  a  seimila  euro ai soggetti responsabili della violazione del
divieto  di  sospendere  le  prenotazioni;  vincolano ad applicare le
sanzioni  "secondo  i  criteri  fissati  dalla Commissione" nazionale
sulla appropriatezza delle prescrizioni: e' questo un organo di nuova
istituzione, la cui nomina e' riservata al Ministro della salute.
    Le  disposizioni  impugnate  sono  lesive  delle competenze della
regione  nella  materia  "igiene e sanita', ivi compresa l'assistenza
sanitaria e ospedaliera" (art. 5, n. 15, St.).
    Costituzionalemente    illegittimo    appare    il    fatto   che
l'applicazione delle sanzioni amministrative debba avvenire secondo i
criteri  stabiliti  dalla  Commissione nazionale per l'appropriatezza
delle  prescrizioni. Non sussiste infatti alcun titolo costituzionale
che  consenta  allo  Stato di imporsi mediante questo strumento sulla
attivita'  amministrativa  della  Regione.  Il  limite  dei  principi
fondamentali della materia esclude la possibilita' di utilizzare atti
diversi  da quelli legislativi; la previsione di una qualche potesta'
regolamentare  e'  vietata  allo  Stato - nelle materie concorrenti e
residuali  -  dall'art. 117, comma 6, Cost., che la Regione invoca ai
sensi  dell'art. 10,  legge cost. n. 3/2001; la configurazione di una
qualche potesta' di indirizzo e coordinamento e' contraria al sistema
risultante  dalla  riforma  del  Titolo V, "anche alla luce di quanto
espressamente  disposto  dall'art. 8,  comma  6, della legge 5 giugno
2003, n. 131" (cosi', decisamente, la sent. n. 329/2003).
    A  sostegno  della legittimita' della norma in esame non potrebbe
nemmeno  invocarsi  la "chiamata in sussidiarieta" ex art. 118, comma
1,  Cost.:  non  si  vede,  infatti,  quali esigenze unitarie possano
giustificare  la  attrazione  al centro del potere di fissare criteri
per  sanzionare  comportamenti  di  soggetti  che esauriscono la loro
attivita'  all'interno  della  organizzazione  regionale del servizio
sanitario.  In  ogni  modo,  anche  in  questo  caso il difetto della
previsione  dell'intesa  con  la  Conferenza Stato-regioni vizierebbe
comunque la norma.
    Un  secondo  motivo  di illegittimita' investe per violazione del
principio  di  leale collaborazione, l'art. 1, comma 283, nella parte
in cui non prevede che la Commissione nazionale per la appropriatezza
delle  prestazioni  sia  istituita e sia nominata dal Ministro per la
salute previa intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni.
    Ammesso  infatti che esigenze unitarie costituzionalmente fondate
consentano  allo  Stato  di  nominare la Commissione, poiche' essa e'
destinata  ad  operare  in  materia  di  sicura competenza regionale,
l'intreccio  degli  interessi  impone  che  alla  nomina si addivenga
attraverso  un  modulo  consensuale. Ne' si potrebbe obiettare che la
posizione  delle  autonomie  e'  gia'  garantita  dalla  previsione -
contenuta nella disposizione impugnata - che della Commissione devono
necessariamente  far parte "rappresentanti designati dalla Conferenza
permanente":  poiche'  la  legge  non  fissa  ne' il numero di questi
rappresentanti, ne' il rapporto di essi con le altre componenti della
Commissione, l'intesa della quale si denuncia la mancanza costituisce
l'unico  strumento  mediante  il  quale  alle regioni e alle Province
autonome puo' essere riconosciuta una rappresentanza adeguata.
    9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 285.
    Il  comma  285 interviene sulle "risorse residue finalizzate alla
costruzione,  ristrutturazione  e adeguamento di presidi ospedalieri"
(in  attuazione  dell'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67), e ne
impone  la  destinazione  ad  un certo tipo di interventi: quelli che
comprendono  degenze  per acuti con almeno 250 posti letto (ridotti a
120  se  si  tratta  di presidi per lungodegenza o riabilitazione), e
quelli  necessari  al  rispetto  dei  requisiti  minimi strutturali e
tecnologici  dei  presidi  attivi  avviati  alla data del 31 dicembre
2005.
    La  disposizione  viola  palesemente  la  competenza  legislativa
spettante  alla Regione in ordine alla organizzazione dell'assistenza
ospedaliera  (art. 5,  n. 16, St., e relative norme di attuazione), e
l'autonomia   finanziaria   nelle   decisioni  di  spesa  e  relativa
destinazione;  inoltre,  a  prescindere dalla originaria legittimita'
delle  disposizioni  che  avevano impresso il vincolo di destinazione
alle  somme  in  discorso, vincoli del genere si pongono in contrasto
con  i principi risultanti dal nuovo art. 119, commi 1, 4, e 5, Cost.
(principi  che,  traducendosi  in  una forma piu' ampia di autonomia,
sono  invocabili  dalla  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  per effetto
dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001).
    10. - Illegittimita' costituzionale del comma 286.
    Il   comma   286  dell'art. 1  della  legge  vincola  l'autonomia
patrimoniale  e  gestionale  delle  aziende  sanitarie  locali, delle
aziende  ospedaliere  e degli istituti di ricovero e cura a carattere
scientifico di diritto pubblico, stabilendo che "la cessione a titolo
di  donazione  di apparecchiature e altri materiali dismessi" avvenga
attraverso  la  "Alleanza  degli  ospedali  italiani  nel  mondo",  a
beneficio delle strutture sanitarie dei Paesi in via di sviluppo o in
transizione.
    Al   di  la'  della  formulazione  contorta  del  primo  periodo,
l'intendimento   di   vincolare   gli   enti   sanitari  quanto  alla
destinazione  dei materiali dismessi, risulta chiaramente dal secondo
periodo  del  comma, la' dove si obbligano gli enti a comunicare alla
Alleanza la disponibilita' delle attrezzature sanitarie in questione;
d'altronde, una sorta di intesa (ammesso che sia tale) tra Alleanza e
strutture   parrebbe   ipotizzata   solo   per  le  "modalita"  della
comunicazione,   mentre   "il   parere   favorevole   della   Regione
interessata"  sembrerebbe  condizionare  solo  il  fatto in se' della
cessione dei materiali, e non anche la individuazione dei destinatari
e le modalita' secondo le quali essa deve seguire.
    Si  e'  dunque  in  primo  luogo in presenza di una norma statale
assai  dettagliata  e  puntuale,  la quale incide su un aspetto della
organizzazione  di  enti  che  -  operando nelle materie della tutela
della  salute e della ricerca scientifica - ricadono nella competenza
legislativa  della Regione. Giova in proposito ricordare che la Corte
costituzionale  con la sent. n. 270/2005 ha recentemente ribadito che
"di  norma  tutti  gli  enti  pubblici  operanti in queste materie di
competenza  del1e regioni siano oggetto della corrispondente potesta'
legislativa  regionale (la quale deve peraltro svolgersi, ovviamente,
nell'ambito  dei  principi  fondamentali  determinati dal legislatore
statale),   "dal   momento   che  la  loro  previsione  e  disciplina
rappresenta  una delle possibili opzioni organizzative per conseguire
le  finalita'  prescelte  dall'ente  costituzionalmente  responsabile
nella materia o nelle materie interessate".
    In  secondo  luogo,  il  vincolo  ad una determinata destinazione
delle risorse dismesse viola l'autonomia regionale nell'utilizzazione
di  beni  che  appartengono alla comunita', e che in altra forma alla
stessa  comunita' potrebbero essere utili. Ed anche quando la regione
intendesse  destinarle  alla  cooperazione  allo  sviluppo  cio'  non
potrebbe  avvenire  che  nei  termini disciplinati dalla stessa legge
regionale:  nel  caso  specifico  si  tratta  della  legge  regionale
30 ottobre  2000,  n. 19,  Interventi  per  la  promozione, a livello
regionale  e  locale,  delle  attivita' di cooperazione allo sviluppo
epartenariato  internazionale,  pacificamente  vigente  nella Regione
gia' in forza della stessa legge statale n. 19 del 1991.
     11. - Illegittimita' dei commi 337 e 340.
    Il  comma  337  dispone  che,  "per l'anno finanziario 2006, ed a
titolo  iniziale  e  sperimentale,...  una  quota pari al 5 per mille
dell'imposta stessa e' destinata in base alla scelta del contribuente
alle  seguenti  finalita': a) sostegno del volontariato e delle altre
organizzazioni  non  lucrative  di  utilita' sociale... nonche' delle
associazioni di promozione sociale iscritte" in determinati registri,
e  delle  associazioni  e  fondazioni  riconosciute  che  operano nei
settori  di  cui  all'art. 10,  comma  1,  lettera  a),  del  decreto
legislativo  4  dicembre 1997, n. 460; b) finanziamento della ricerca
scientifica   e  dell'universita';  c)  finanziamento  della  ricerca
sanitaria;  d)  attivita'  sociali svolte dal comune di residenza del
contribuente".   Come   risulta   chiaramente,   tutte  le  finalita'
richiamate attengono a materie di competenza regionale, o concorrente
(ricerca   scientifica)   o  piena  (politiche  sociali),  in  virtu'
dell'art. 117 Cost. e dell'art. 10 legge cost. n. 3/2001.
    Quanto  alle  "associazioni e fondazioni riconosciute che operano
nei  settori  di  cui  all'art.  10, comma 1, lettera a), del decreto
legislativo 4 dicembre 1997, n. 460", tali settori sono l'"assistenza
sociale    e    socio-sanitaria",    l'"assistenza   sanitaria",   la
"beneficenza",    l'"istruzione",    la   "formazione",   lo   "sport
dilettantistico",  la "tutela, promozione e valorizzazione delle cose
d'interesse  artistico  e storico", la "tutela e valorizzazione della
natura  e  dell'ambiente", la "promozione della cultura e dell'arte",
la   "tutela  dei  diritti  civili"  e  la  "ricerca  scientifica  di
particolare  interesse  sociale". Anche questi settori ricadono nella
competenza concorrente o piena della Regione, in virtu' dell'art. 117
Cost.  e  dell'art. 10  legge cost. n. 3/2001, oltre che dell'art. 4,
n. l4, dello Statuto, che attribuisce potesta' primaria in materia di
"istituzioni culturali, ricreative e sportive; musei e biblioteche di
interesse locale e regionale".
    Il   comma  340  stabilisce  che,  "con  decreto  di  natura  non
regolamentare  del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta
del  Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e del
Ministro  della  salute,  di concerto con il Ministro dell'economia e
delle finanze, sono stabilite le modalita' di richiesta, le liste dei
soggetti  ammessi  al  riparto e le modalita' del riparto delle somme
stesse,  sentite le Commissioni parlamentari competenti relativamente
alle  finalita'  di  cui  al comma. 337, lettera a)". La disposizione
aggiunge   che   "il   Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  e'
autorizzato  a provvedere, con propri decreti, alla riassegnazione ad
apposite  unita'  previsionali  di base dello stato di previsione del
Ministero   dell'economia   e  delle  finanze  delle  somme  affluite
all'entrata per essere destinate ad alimentare un apposito fondo".
    In sostanza, lo Stato ha istituito un fondo settoriale in materia
regionale,  destinato  a finanziare direttamente i soggetti di cui al
comma   337.   Il   comma   337   appare  chiaramente  elusivo  della
giurisprudenza  costituzionale  che ha vietato i fmanziamenti statali
diretti  dei  privati  in  materie  regionali:  se  lo Stato non puo'
destinare risorse a specifici scopi nelle materie regionali, esso non
puo'   eludere   questo   divieto   facendo   scegliere  la  concreta
destinazione  ai contribuenti (per di piu' nell'ambito di una cerchia
ben  definita  di  finalita). Il comma 337, dunque, viola l'autonomia
legislativa, amministrativa e finanziaria della Regione nelle materie
sopra indicate, cioe' gli artt. 4, 5, 8 e 48 ss. dello Statuto, oltre
agli  artt. 117,  118  e  119 della Costituzione, in collegamento con
l'art. 10  legge  cost. n. 3/2001 e con la consolidata giurisprudenza
costituzionale  in  materia,  nella  parte in cui non destina i fondi
cosi'  resi  disponibili  alle  regioni  per  il  finanziamento delle
rispettive politiche.
    Se  anche  codesta  Corte non ritenesse illegittimo il comma 337,
sarebbe  comunque  lesivo  il  comma 340, attinente alla gestione del
fondo,  nella  parte  in  cui,  invece  di prevedere il riparto delle
risorse fra le regioni, contempla una gestione accentrata del fondo e
la  sua regolamentazione con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri.  La  gestione  accentrata  viola  l'autonomia  legislativa,
amministrativa  e  finanziaria  della Regione nelle materie di cui al
comma  337,  tutte  di  competenza  regionale, non sussistendo alcuna
esigenza di esercizio unitario che giustifichi la competenza statale.
L'utilizzo  delle  risorse  per le finalita' di cui al comma 337 puo'
avvenire  con  piena efficacia a livello regionale, sulla base di una
disciplina   regionale.  La  Regione,  dunque,  chiede  una  sentenza
sostitutiva  che  affidi  alle  regioni  la  gestione  concreta (e la
relativa disciplina) dei finanziamenti previsti dal comma 337.
    Se anche si dovesse ritenere giustificata - per esigenze unitarie
che la Regione non riesce ad intravedere - tale forma di gestione, il
comma  340  sarebbe comunque illegittimo per violazione del principio
di  leale  collaborazione,  perche'  il  decreto  del  Presidente del
Consiglio  dei  ministri  in  esso  previsto  e' adottato senza alcun
coinvolgimento  delle  regioni.  In  subordine si chiede, dunque, che
esso  sia  dichiarato  illegittimo  perlomeno  nella parte in cui non
prevede l'intesa con la Conferenza Stato-regioni.
    12. - Illegittimita' costituzionale dei commi 357 e 359.
    Il  comma  357  istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei
ministri, il fondo per l'innovazione, la crescita e l'occupazione, di
seguito  denominato,  destinato  a  finanziare  da un lato i progetti
individuati dal Piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione,
dall'altro generici interventi di adeguamento tecnologico nel settore
sanitario.
    Il  comma  359 dispone che il fondo sia ripartito "esclusivamente
tra gli interventi individuati dal Piano di cui al comma 357, nonche'
tra  gli interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario,
proposti  dal  Ministro della salute, con apposite delibere del CIPE,
il  quale  stabilisce  i  criteri  e le modalita' di attuazione degli
interventi  in  base alle risorse affluite al fondo, riservando il 15
per  cento  dell'importo  da ripartire agli interventi di adeguamento
tecnologico nel settore sanitario.
    Si  tratta  della creazione di un fondo settoriale, per di piu' a
gestione  centralizzata, in materia regionale, in difetto di esigenze
di  carattere  unitario. Ad avviso della ricorrente regione, e' ovvio
che la natura degli interventi non muta per il fatto che il Piano sia
"elaborato  nel quadro del rilancio della Strategia di Lisbona deciso
dal  Consiglio  europeo  dei  Capi  di Stato e di Governo del 16 e 17
giugno  2005",  espressione  che del resto non allude ad alcunche' di
definito.  In ogni modo, tale giustificazione non potrebbe valere per
gli  "interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario" (i
quali  per  giunta  non  possono  che  avere senso all'interno di una
programmazione regionale.
    In  ogni  modo,  se anche in denegata ipotesi il fondo settoriale
fosse  legittimo e la gestione accentrata si giustificasse in nome di
non  facilmente  individuabili esisgenze unitarie, le disposizioni in
questione  rimarrebbero  illegittime  per  mancata  previsione  delle
necessarie  intese  della  Conferenza Stato-regioni sia sul Piano che
sulle delibere di riparto del Cipe.
    13.  -  Illegittimita'  costituzionale  del comma 366 e del comma
368, lett. b), n. 1 e 2, e lett. d).
    Il  comma 366 dispone che "ai fini dell'applicazione dei commi da
367 a 372, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di
concerto  con il Ministro delle attivita' produttive, con il Ministro
delle    politiche    agricole   e   forestali,   con   il   Ministro
dell'istruzione,  dell'universita'  e della ricerca e con il Ministro
per l'innovazione e le tecnologie" siano definite "le caratteristiche
e  le  modalita'  di  individuazione  dei distretti produttivi, quali
libere  aggregazioni  di  imprese articolate sul piano territoriale e
sul piano funzionale, con l'obiettivo di accrescere lo sviluppo delle
aree  e  dei  settori  di  riferimento,  di  migliorare  l'efficienza
nell'organizzazione   e   nella   produzione,   secondo  principi  di
sussidiarieta' verticale ed orizzontale, anche individuando modalita'
di collaborazione con le associazioni imprenditoriali".
    La  connessione  e  l'interferenza  dell'istituto  dei  distretti
produttivi  con  la  potesta'  legislativa  regionale  in  materia di
politica  economica  e  di interventi nell'economia. Infatti, gia' lo
Statuto  affida all'art. 4 alla potesta' primaria della Regione tutte
le  materie  dello  sviluppo economico, e segnatamente: agricoltura e
economia  montana  in  genere, caccia e pesca, industria e commercio,
artigianato,  mercati  e  fiere,  turismo  e  industria  alberghiera,
trasporti,  acque minerali e termali (rispettivamente nn. 2, 3, 6, 7,
8,  10,  11, 13). Inoltre, lo Statuto riconosce alla Regione potesta'
legislativa  concorrente,  oltre  che  in materia di servizi pubblici
(art. 5,  n. 7), tra l'altro in relazione all'ordinamento "degli enti
aventi  carattere  locale  o  regionale  per  i  finanziamenti  delle
attivita'  economiche  nella  Regione"  (art. 5,  primo comma, n. 8),
nonche'  in  materia  di  "istituzione  e  ordinamento di enti aventi
carattere  locale  o regionale per lo studio di programmi di sviluppo
economico"  (n. 9).  Cio'  rende  superfluo  ricordare che competenza
residuale  nelle  materie  dello  sviluppo  economico spetta ormai in
generale  alla  Regione  a termini dell'art. 117, quarto comma, della
Costituzione  (e,  ove occorresse, alla ricorrente Regione, in virtu'
dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001).
    Il  legislatore  statale, ove avesse ritenuto di potere tracciare
il  quadro  generale  di  tale  istituto,  data  la  connessione  con
interventi - ad esempio di carattere fiscale - di competenza statale,
avrebbe  tuttavia  dovuto, appunto, limitarsi a tale quadro generale,
chiamando  le  regioni  a  tracciarne  i contenuti specifici per ogni
realta' regionale. Invece, esso ha disciplinato l'istituto in termini
tali  da  precludere  alle  regioni  l'esercizio  della loro potesta'
legislativa.    Di   qui   un   primo   profilo   di   illegittimita'
costituzionale.
    Invece  di  fare  cio',  il legislatore ha in pratica abdicato al
proprio  compito,  per delegare la normazione a decreti ministeriali,
in  violazione  dell'art. 117,  sesto  comma,  che  limita  il potere
regolamentare  statale  alle materie di competenza statale esclusiva:
quale  questa,  all'evidenza,  non  e'.  In  piu',  vi  e'  anche  la
violazione  del principio di legalita' sostanziale, data l'assenza di
criteri e parametri legislativi per l'esercizio del potere.
    In   subordine,   ove   dovesse  ritenersi  giustificato  che  le
caratteristiche dei distretti e i criteri di individuazione venissero
stabiliti   con  decreto  ministeriale,  la  norma  sarebbe  comunque
illegittima  per  la  mancata  previsione di qualunque partecipazione
alla decisione delle regioni, pur in materia di loro competenza, e in
particolare  per  la  mancata previsione dell'intesa della Conferenza
Stato-regioni.
    Inoltre,  la  norma  neppure  riconosce un ruolo necessario della
Regione  nella  concreta individuazione di ciascun distretto, persino
questo  essendo  affidato a regole ministeriali: e questo concretizza
un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale.
    Accanto  a quella del comma 366, sotto i profili ora indicati, la
ricorrente  Regione contesta la legittimita' costituzionale di alcune
ulteriori   specifiche  disposizioni  della  disciplina  relativa  ai
distretti,  in  relazione  al  comma 368.  Si tratta, in primo luogo,
della  lett. b), relativa alle misure definite come amministrative, e
precisamente dei nn. 1) e 2). Si tratta ancora, della lett. d).
    Quanto  alla  lett.  b),  il  n. 1)  di  essa stabilisce: che "le
imprese  aderenti  possono  intrattenere  rapporti  con  le pubbliche
amministrazioni e con gli enti pubblici, anche economici, ovvero dare
avvio  presso gli stessi a procedimenti amministrativi per il tramite
del distretto di cui esse fanno parte"; che "in tal caso, le domande,
richieste,  istanze  ovvero qualunque altro atto idoneo ad avviare ed
eseguire  il  rapporto  ovvero  il  procedimento  amministrativo, ivi
incluse,  relativamente  a  quest'ultimo,  le  fasi partecipative del
procedimento,    qualora    espressamente   formati   dai   distretti
nell'interesse   delle   imprese  aderenti  si  intendono  senz'altro
riferiti,  quanto  agli effetti, alle medesime imprese"; che "qualora
il  distretto  dichiari  altresi'  di  avere verificato, nei riguardi
delle  imprese  aderenti,  la  sussistenza dei presupposti ovvero dei
requisiti, anche di legittimazione, necessari, sulla base delle leggi
vigenti,  per  l'avvio  del  procedimento  amministrativo  e  per  la
partecipazione  allo  stesso, nonche' per la sua conclusione con atto
formale  ovvero  con effetto finale favorevole alle imprese aderenti,
le  pubbliche  amministrazioni  e  gli enti pubblici provvedono senza
altro  accertamento  nei  riguardi  delle  imprese  aderenti"; che "i
distretti  possono accedere, sulla base di apposita convenzione, alle
banche  dati  formate  e  detenute  dalle pubbliche amministrazioni e
dagli  enti  pubblici". Infme, e' previsto che "con decreto di natura
non  regolamentare  del  Ministro  dell'economia  e delle finanze, di
concerto  con il Ministro per la funzione pubblica, sono stabilite le
modalita' applicative delle disposizioni del presente numero".
    Tutte  tali  disposizioni  costituiscono  illegittima  disciplina
dell'azione  amministrativa  in  relazione alle imprese, spettante in
toto  alla  competenza  della  ricorrente  Regione,  tranne  che  per
eventuali  interventi macroeconomici di competenza dello Stato. Ferma
restando  l'illegittimita' costituzionale di tutte tali disposizioni,
in  quanto  si riferiscano ad attivita' amministrativa o procedimenti
regionali  (come  e'  confermato dal riferimento anche ai "contributi
erogati  a  qualunque titolo sulla base di leggi regionali" contenuto
al  comma  368,  lett.  b),  n. 2),  sia  consentito osservare che la
lesione  e'  particolarmente  grave  in  relazione  alla norma che in
sostanza  espropria  le amministrazioni dall'attivita' amministrativa
di propria competenza, affidandola a corpi espressivi degli interessi
parziali delle imprese, di cui per di piu' nessuna legge definisce le
caratteristiche: di fronte alle dichiarazioni dei distretti "di avere
verificato,  nei  riguardi delle imprese aderenti, la sussistenza dei
presupposti ovvero dei requisiti, anche di legittimazione, necessari,
sulla   base  delle  leggi  vigenti,  per  l'avvio  del  procedimento
amministrativo  e  per  la partecipazione allo stesso, nonche' per la
sua conclusione con atto formale ovvero con effetto finale favorevole
alle  imprese  aderenti,  le  pubbliche  amministrazioni  e  gli enti
pubblici  provvedono  senza  altro  accertamento  nei  riguardi delle
imprese aderenti".
    Tale  norma  o  insieme di norme appare incostituzionale non solo
per  l'evidente  totale  espropiazione  della potesta' legislativa di
disciplina  della  funzione  amministrativa,  ma  per la compressione
della   stessa   potesta'   amministrativa,   in  violazione  diretta
dell'art. 8  dello  Statuto,  che  garantisce  alla Regione - e non a
"libere  aggregazioni  di  imprese" (che poi libere non sono affatto,
essendo   soggette   a   ...  potesta'  normativa  ministeriale!)  la
titolarita'  della  potesta' amministrativa nelle materie in cui essa
gode  di  potesta'  legislativa.  E'  evidente inoltre che e' violato
anche  l'art. 97  della Costituzione, data l'evidente parzialita' del
soggetto  cui  vengono  affidate le funzioni amministrative, e la sua
inidoneita' alla valutazione degli interessi pubblici in generale; ed
e'  evidente  che  la  Regione e' pienamente legittimata a far valere
questo  vizio,  trattandosi  della  funzione  amministrativa  ad essa
costituzionalmente spettante.
    Quanto  alla  lett.  b)  n. 2,  secondo  la  quale  "al  fine  di
facilitare  l'accesso  ai contributi erogati a qualunque titolo sulla
base  di leggi regionali, nazionali o di disposizioni comunitarie, le
imprese  che  aderiscono  ai  distretti  di  cui al comma 366 possono
presentare  le  relative  istanze  ed avviare i relativi procedimenti
amministrativi,  anche mediante un unico procedimento collettivo, per
il  tramite  dei  distretti  medesimi  che  forniscono  consulenza ed
assistenza  alle  imprese  stesse  e  che possono, qualora le imprese
siano  in  possesso dei requisiti per l'accesso ai citati contributi,
certificarne  il  diritto",  con  la  ulteriore  previsione  che "con
decreto  di  natura  non  regolamentare  del Ministro dell'economia e
delle  finanze sono stabilite le modalita' applicative della presente
disposizione,  valgono  in sostanza i medesimi argomenti sopra svolti
per  il n. 1). Da un lato, infatti, si tratta sempre della disciplina
del   procedimento   amministrativo   regionale,   dall'altro   della
illegittima  previsione  di poteri normativi ministeriali, ovviamente
preclusi   in   relazione   alla   attivita'   amministrativa  ed  ai
procedimenti   regionali:   atti  sempre,  naturalmente,  "di  natura
regolamentare"  (come  se potessero queste mere parole fare qualunque
differenza)  e  sempre  da assumere senza alcuna partecipazione delle
regioni.
    Infine,   viola   le  competenze  legislative  ed  amministrative
regionali  anche  la costituzione ed organizzazione della Agenzia per
la  diffusione  delle  tecnologie  per  l'innovazione,  senza  alcuna
partecipazione  delle  regioni: infatti tale Agenzia e' soggetta alla
vigilanza  della  Presidenza  del Consiglio dei ministri la quale con
propri    decreti    (naturalmente    anch'essi    "di   natura   non
regolamentare"),  sentiti  una mezza dozzina di Ministeri (alcuni dei
quali,  dice  la  norma  non  senza  sottile umorismo, "se nominati")
definisce  "criteri  e  modalita'  per lo svolgimento delle attivita'
istituzionali",  mentre  lo stesso statuto dell' Agenzia "e' soggetto
all'approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri", sempre
senza  partecipazione  alcuna  delle  regioni, ne' alcuna garanzia di
loro presenza all'interno dell'agenzia.
    Indubbiamente  alla  ricorrente  regione appare impressionante il
complessivo  quadro  di illegittimita' costituzionale e di violazione
delle   competenze  regionali  che  caratterizza  la  disciplina  dei
distretti:  ed  a  tale  quadro essa chiede a codesta ecc.ma Corte di
porre rimedio mediante le richieste pronunce.
    14. - Illegittimita' dei commi da 483 a 492 (sulle concessioni di
grandi derivazioni).
    I commi da 483 a 492 dettano una disciplina statale in materia di
grandi concessioni ad uso idroelettrico.
    Conviene    premettere    che   le   competenze   della   Regione
Friuli-Venezia  Giulia  nella  materia  sono precisate dalle norme di
attuazione  dello  Statuto, e precisamente dal d.lgs. 25 maggio 2001,
n. 265.
    L'art. 1,  comma  1,  di tale decreto dispone che sono trasferiti
alla   Regione  Friuli-Venezia  Giulia  "tutti  i  beni  dello  Stato
appartenenti  al  demanio  idrico,  comprese  le acque pubbliche, gli
alvei  e  le  pertinenze,  i laghi e le opere idrauliche, situati nel
territorio  regionale,  con  esclusione del fiume Judrio, nel tratto,
classificato  di  prima  categoria,  nonche'  dei fiumi Tagliamento e
Livenza,  nei  tratti che fanno da confine con la Regione Veneto", ed
il  comma 3  precisa  che  la  Regione esercita tutte le attribuzioni
inerenti alla titolarita' dei beni trasferiti.
    L'art. 2 riguarda il Trasferimento di funzioni amministrative. Il
comma  1  trasferisce  alla Regione "tutte le funzioni amministrative
relative ai beni di cui all'art. 1, ivi comprese quelle relative alle
derivazioni  ed  opere  idrauliche,  che gia' non le spettino", ed il
comma  2  sancisce  che  "sono,  altresi',  delegate  alla Regione le
funzioni  amministrative  inerenti alle grandi derivazioni". L'art. 3
aggiuntivamente  trasferisce  alla  Regione  tutte  le  funzioni  non
espressamente indicate nell'art. 88 del d.lgs. n. 112 del 1998.
    In tale quadro e' ulteriormente intervenuta la riforma del Titolo
V  della  Costituzione,  che  ha attribuito alla potesta' concorrente
delle  regioni  la  materia  produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale dell'energia elettrica.
    La  Regione  ha  disciplinato  la  materia, da ultimo con l'ampia
legge regionale 3 luglio 2002, n. 16.
    Cio'  posto,  data  anche  la clausola di salvaguardia, di cui al
comma  610, sopra ricordata, si dovrebbe ritenere che le norme qui in
discussione,   avendo  carattere  generale,  non  toccano  il  regime
speciale  disposto  per  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia e non si
applicano ad esse.
    Tuttavia,  la  circostanza  che il comma 492 includa non solo "le
regioni" ma anche le Province autonome tra gli enti che entro novanta
giorni  "armonizzano i propri ordinamenti alle norme dei commi da 483
a  491"  lascia  pensare  che,  come  le  Province autonome, anche le
regioni  a  statuto speciale siano destinatarie della nuova normativa
statale.
    E'   per  tale  ragione  che  si  rende  necessaria  la  presente
impugnazione.
    L'esame  dell'insieme  di  norme  di  cui  ai commi da 483 a 492,
dedicati   alle   grandi.   derivazioni  idroelettriche  consente  di
individuare diversi blocchi normativi, e precisamente:
        a)  Un gruppo di disposizioni destinate ad applicarsi (se mai
lo  saranno)  "a  regime",  ovvero  dopo  la  scadenza delle proroghe
contestualmente   concesse   da   un   altro   gruppo   delle  stesse
disposizioni.  Questo  primo  gruppo e' formato dai commi 483 (regola
generale  della  gara),  489  (disposizioni particolari per i rami di
azienda),  490  (procedura  di  determinazione del valore dei rami in
caso di disaccordo);
        b)  Un gruppo di disposizioni che prorogano le concessioni in
essere  e disciplinano gli adempimenti cui la proroga e' subordinata.
Si tratta dei commi 485, 486, 487 e 488.
    In  effetti,  secondo quanto disposto dal comma 485, a condizione
che  siano  stati  effettuati "congrui" interventi di ammodernamento,
esse  sono prorogate di ben dieci anni rispetto alla data di naturale
scadenza.
    Il  comma  487  precisa che "ai fini di quanto previsto dal comma
485,  si  considerano  congrui interventi di ammodernamento tutti gli
interventi,  non  di manutenzione ordinaria o di mera sostituzione di
parti  di  impianto non attive effettuati o da effettuare nel periodo
compreso  fra  il  1° gennaio 1990 e le scadenze previste dalle norme
vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge, i
quali  comportino  un  miglioramento delle prestazioni energetiche ed
ambientali  dell'impianto per una spesa complessiva che, attualizzata
alla  data  di  entrata  in  vigore  della  presente legge sulla base
dell'indice  Eurostat  e rapportata al periodo esaminato, non risulti
inferiore a 1 euro per ogni MWh di produzione netta media annua degli
impianti  medesimi"  (una  riduzione  ad un terzo e' prevista "per le
concessioni che comprendano impianti di pompaggio").
    Il  comma  488 dispone, a pena di "nullita' della proroga" (sic),
comode    procedure    di   autocertificazione   dell'entita'   degli
investimenti   effettuati   o  in  corso  o  deliberati,  dando  alle
"amministrazioni  competenti"  sei mesi per "verificare la congruita'
degli   investimenti   autocertificati".   Naturalmente  il  "mancato
completamento  nei termini prestabiliti degli investimenti deliberati
o in corso" e' "causa di decadenza della concessione".
    Ancora,  il  comma  486  prevede  un  "canone  aggiuntivo" per le
concessioni  relative anche a beni demaniali delle province autonome,
i  cui  proventi  sono riservati, per la quota piu' consistente, alle
entrate dello Stato, e la quota residuale ai comuni interessati.
        c) Sia le disposizioni del gruppo a) che quelle del gruppo b)
sono  concepite in termini generali, senza specifici riferimenti alla
Regione   Friuli-Venezia  Giulia,  ma  s'e'  gia'  detto  che  talune
disposizioni  lasciano  intendere  che  la  nuova  disciplina  voglia
riferirsi anche al territorio della ricorrente Regione.
          d) In generale, poi, secondo il comma 491, "le disposizioni
del  presente  articolo costituiscono norme di competenza legislativa
esclusiva  statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e),
della  Costituzione  e  attuano i principi comunitari resi nel parere
motivato  della  Commissione  europea  in  data  4  gennaio 2004" (in
realta'  non  esiste alcun "presente articolo", dato che si tratta di
un  articolo  unico,  e solo un'operazione interpretativa volonterosa
consente di delimitare il richiamo ai commi subito sopra indicati.
        e) Il comma 492 dispone infine, come detto che "entro novanta
giorni  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della presente legge le
regioni  e le Province autonome armonizzano i propri ordinamenti alle
norme dei commi da 483 a 491".
    Tale  e'  l'insieme normativo. E' evidente, tuttavia, che la sola
disposizione destinata a non applicarsi prima di dieci anni, e dunque
l'obiettivo essenziale dell'intera disciplina, e' la proroga di tutte
le grandi concessioni di derivazione idroelettrica in corso alla data
di entrata in vigore della legge finanziaria.
    I)   Illegittimita'   costituzionale   delle   disposizioni   che
dispongono e disciplinano la proroga decennale delle concessioni.
        a) legittimita' intrinseca della proroga.
    Il  comma 485 dispone che "in relazione ai tempi di completamento
del  processo  di liberalizzazione e integrazione europea del mercato
interno   dell'energia   elettrica,  anche  per  quanto  riguarda  la
definizione di principi comuni in materia di concorrenza e parita' di
trattamento   nella   produzione   idroelettrica,   tutte  le  grandi
concessioni  di  derivazione  idroelettrica,  in  corso  alla data di
entrata  in vigore della presente legge, sono prorogate di dieci anni
rispetto alle date di scadenza".
    Ad  avviso  della  ricorrente  regione,  la  disposizione risulta
illegittima e lesiva dei (suoi interessi sotto diversi profili.
    In  primo luogo, la proroga risulta in contrasto con le procedure
ordinarie  di  gestione del gene pubblico affidate alla Regione dalle
norme di attuazione sopra ricordate.
    In  secondo  luogo,  la  proroga  viola  l'autonomia  finanziaria
regionale,   privandola   dei   maggiori  importi  che  deriverebbero
dall'affidamento   delle  concessioni  -  se  non  vi  fossero  altri
interessi pubblici prevalenti - alle migliori condizioni del mercato,
il  cui conseguimento, nonostante il canone aggiuntivo, e' ovviamente
reso impossibile dalla proroga.
    In  terzo  luogo, le disposizioni impugnate interferiscono con le
competenze  regionali  in  violazione  di  quella  stessa  regola che
secondo  lo Stato dovrebbe fondare la sua competenza, cioe' la regola
della  tutela  della  concorrenza. E' evidente infatti che, al di la'
delle  ambigue parole del comma (la proroga e' disposta "in relazione
ai   tempi  di  completamento  del  processo  di  liberalizzazione  e
integrazione europea del mercato interno dell'energia elettrica"!) la
proroga   per  la  propria  intrinseca  natura  viola  le  regole  di
concorrenza, impedendone il funzionamento.
    In  definitiva, appare palese che le tutela della concorrenza nel
settore  idroelettrico  invocata  dalla  Commissione, e' platealmente
negata  dalle  norme dello Stato, che la pospone di un lasso di tempo
notevolissimo,  con  grave  danno  tanto  per la liberalizzazione del
settore,  che  per la programmazione economica della Regione, nonche'
in contrasto con le disposizioni comunitarie.
    Ad  avviso  della  ricorrente regione e' evidente che la potesta'
eslusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza a termini
dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  e),  Cost., non puo' essere
esercitata   per  introdurre  norme  contrarie  all'instaurazione  di
mercati    concorrenziali    e    alle   politiche   comunitarie   di
liberalizzazione. E si noti che non si tratta affatto soltanto di una
questione  europea - questione che pure e' ovviamente rilevante - dal
momento  che  anche  la  concorrenza  tra  imprese  nazionali  rimane
ugualmente e contestualmente impedita.
        b)  illegittimita' della proroga in relazione alle condizioni
alle quali e' collegata.
    Ugualmente  illegittima  appare  la  proroga con riferimento alle
condizioni alle quali essa e' collegata.
    Da una parte, infatti, il comma 487 collega la proroga automatica
in  larga  parte  ad  interventi  di  ammodernamento  gia'  compiuti,
evidentemente  all'interno  del  quadro  economico  della  precedente
concessione,  attribuendo  arbitrariamente  ad  essi rilevanza per il
mantenimento della concessione.
    Peraltro,  non  puo'  non sottolinearsi che anche per la parte in
cui  questi "congrui interventi di ammodernamento degli impianti" non
siano  gia' stati effettuati in passato, ma siano ancora da attuarsi,
manca  qualsiasi  riferimento  all'ovvia  esigenza  che miglioramenti
delle  "prestazioni ambientali" dell'impianto siano concordate con la
Regione,  che nei settori ambientali interessati ha responsabilita' e
competenza propria.
        c)  illegittimita'  del  comma  488  in  quanto disciplina le
funzioni   amniinistrative   di  controllo  della  sussistenza  delle
condizioni per la proroga.
    Anche   il   comma  488,  secondo  il  quale  "i  titolari  delle
concessioni,  a pena di nullita' della proroga, autocertificano entro
sei  mesi  dalle  scadenze di cui ai commi precedenti l'entita' degli
investimenti  effettuati  o  in  corso  o  deliberati e forniscono la
relativa  documentazione",  dando  poi  sei mesi alle amministrazioni
competenti   per   verificare   la   congruita'   degli  investimenti
autocertificati,  viola  le  competenze  legislative e amministrative
regionali previste dalle norme di attuazione, sia laddove prevede gli
adempimenti  a  carico  dei  concessionari,  sia  dove  stabilisce il
termine entro il quale la Regione deve compiere le proprie verifiche.
    II)  Illegittimita'  costituzionale  del  comma 491, in relazione
alla autoqualificazione che esso effettua.
    Il  comma  491 afferma che "le disposizioni del presente articolo
costituiscono  norme  di  competenza legislativa esclusiva statale ai
sensi  dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e
attuano   i  principi  comunitari  resi  nel  parere  motivato  della
Commissione europea in data 4 gennaio 2004".
    Ora,  a  parte la palese non corrispondenza delle disposizioni in
questione  con  i principi comunitari - che non richiedono certamente
proroghe  delle  concessioni  in essere! - la norma risulta ad avviso
della  ricorrente  Regione  in quanto "autoqualifica" tali norme come
norme di competenza esclusiva statale, mentre tale qualificazione non
puo'  essere  "imposta"  dal  legislatore, essendo un dato oggettivo,
soggetto  ad accertamento e verifica da parte di codesta ecc.ma Corte
costituzionale.
    Per la stessa ragione sono state dichiarate illegittime norme che
autoqualificavano    insiemi    di   disposizioni   quali   "principi
fondamentali"  della  materia  (cfr. ad esempio sent. 16 luglio 1991,
n. 349 e sent. Corte cost., 7 novembre 1995, n. 482).
    Cio'  a  prescindere  da  ogni  questione sullo stesso valore del
riparto  di  competenze  tracciato  dall'art. 117,  comma secondo, in
relazione alle competenze statutarie della ricorrente Regione.
    III)  Illegittimita'  costituzionale  del  comma  492,  in quanto
impone un onere di adeguamento alle norme statali.
    Il  comma  492 stabilisce che "entro novanta giorni dalla data di
entrata  in  vigore  della  presente  legge  le regioni e le Province
autonome armonizzano i propri ordinamenti alle norme dei commi da 483
a 491".
    Si  tratta di un onere di adeguamento che non ha alcun fondamento
costituzionale,   dato   che   le   acque   pubbliche,  in  generale,
appartengono    alla   potesta'   regionale   residuale,   ai   sensi
dell'art. 117,  comma  4 (operante in virtu' dell'art. 10 legge cost.
n. 3 del 2001).
    Se anche vi fosse titolo costituzionale per l'intervento statale,
la  disposizione  rimarrebbe  illegittima.  In  primo luogo non se ne
comprende il senso, non potendosi supporre che l'onere di adeguamento
consista  nel ... dovere di prorogare ugualmente tutte le concessioni
idroelettriche!  In  secondo  luogo,  se  si  dovesse  supporre cio',
risulta   evidente,   ad   avviso   della   ricorrente  Regione,  che
l'imposizione   di   un   siffatto   dovere   e'   costituzionalmente
illegittimo,  non  potendosi  vincolare  le regioni, nel quadro delle
proprie  competenze,  ad  una  proroga  che non puo' corrispondere ad
alcun principio, e che inoltre e' gia' illegittima anche per il campo
di applicazione diretta delle norme qui impugnate.
    l5. - Illegittimita' costituzionale del comma 556.
    Il  comma  556  dispone  in primo luogo che "al fine di prevenire
fenomeni   di   disagio   giovanile   legato   all'uso   di  sostanze
stupefacenti,  e'  istituito  presso il Dipartimento nazionale per le
politiche  antidroga  della  Presidenza  del  Consiglio dei ministri,
l'"Osservatorio    per    il    disagio    giovanile    legato   alle
tossicodipendenze".    La    Regione   non   contesta   l'istituzione
dell'Osservatorio  nazionale,  ma  ritiene  che  la  disposizione sia
illegittima   in   quanto   non  prevede  l'intesa  della  Conferenza
Stato-regioni    sulle   caratteristiche   di   composizione   e   di
organizzazione dell'Osservatorio.
    In secondo luogo, si dispone che presso il Dipartimento nazionale
per  le  politiche  antidroga  della  Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri,   e'   istituito  il  "Fondo  nazionale  per  le  comunita'
giovanili"  per  favorire  le  attivita'  dei  giovani  in materia di
sensibilizzazione     e     prevenzione     del     fenomeno    delle
tossicodipendenze";  che  la  dotazione finanziaria di tale Fondo sia
fissata in 5 milioni di euro per l'anno 2006; che il 95 per cento del
Fondo  venga  destinato  "alle  comunita'  giovanili  individuate con
decreto  del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  da emanare entro sessanta
giorni  dalla  data  di  entrata in vigore della presente legge"; che
infine  con  tale  decreto  (immancabilmente  definito "di natura non
regolamentare") vengano determinati anche "i criteri per l'accesso al
Fondo e le modalita' di presentazione delle istanze".
    La  presente  impugnazione non riguarda il 5% del fondo destinato
alle sue attivita' di comunicazione. Per il rimanente 95%, invece, si
tratta  di un fondo settoriale in materia di competenza regionale, la
cui  previsione,  secondo  la  giurisprudenza  ormai  consolidata  di
codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale,  e'  illegittima,  a maggiore
ragione   quando   tale   fondo   sia  destinato  ad  essere  gestito
centralmente  dallo  Stato,  nonostante  che  si tratti di finanziare
singole  comunita' giovanili nelle diverse regioni (si vedano in tema
di  fondi settoriali, ad esempio, le sentenze n. 370 del 2003, la 16,
la 49, la 308 e la 320 del 2004).
    Qualora  - come e' stato ritenuto con la sentenza n. 423 del 2004
per  il  Fondo  delle  politiche  sociali  -  un  fondo settoriale si
giustificasse  temporaneamente  nel  campo  della  prevenzione  delle
tossicodipendenze,  la  disposizione rimarrebbe illegittima in quanto
la  disciplina  degli  interventi  e la determinazione delle relative
modalita'  di  gestione  amministrativa  appartiene  alla  competenza
regionale,  e  dunque  vi  e'  illegittimita'  in quanto il Fondo non
viene,  per  la quota del 95%, ripartito tra le regioni, ed in quanto
la   disciplina   attuativa  viene  affidata  ad  un  atto  normativo
ministeriale.
    In  ulteriore  subordine, ove si ritenesse - benche' non sembrino
affatto ricorrerne i presupposti - che il principio di sussidiarieta'
imponga   la   gestione  centrale  del  fondo,  la  norma  rimarrebbe
illegittima  per  difetto  assoluto  dei  meccanismi  di cooperazione
necessari a termini della sentenza n. 303 del 2003: sarebbe dunque in
ogni  caso  illegittima  la mancata previsione previsione dell'intesa
della   Conferenza  Stato-regioni  sul  decreto  del  Presidente  del
Consiglio   dei   ministri   che  individua  le  comunita'  giovanili
destinarie  del finaziamento ed i criteri per l'accesso al Fondo e le
modalita' di presentazione delle istanze.
    16. - Illegittimita' dei commi 586 e 593.
    I   commi   da   583   al  593  introducono  la  categoria  degli
"insediamenti  turistici  di  qualita'  di  interesse nazionale" e ne
disciplina la realizzazione.
    Benche'  la  legittimita'  costituzionale dell'intera disciplina,
che  ricade  nalla materia del turismo, ormai di competenza residuale
regionale,  sia  dubbia,  la  Regione  Friuli-Venezia  Giulia intende
limitare la propria impugnazione a soli due aspetti della disciplina,
che ritiene particolarmente lesivi delle proprie attribuzioni.
    Si  tratta,  in primo luogo, del comma 586, ai sensi del quale la
realizzazione degli interventi puo' essere proposta dagli enti locali
territorialmente  competenti,  anche  associati, dai soggetti ammessi
dalla  legge  n. 109/1994 a partecipare alle procedure di affidamento
dei  lavori  pubblici,  anche  come  partner associati con gestori di
servizi o enti finanziatori, nonche' da ogni altro soggetto dotato di
requisiti  tecnici, organizzativi e finanziari, la cui definizione e'
rinviata  ad  un regolamento del Ministro delle attivita' produttive,
di  concerto con altri Ministri, ma senza alcuna partecipazione delle
regioni.  La  ricorrente  Regione intende far valere l'illegittimita'
che  consiste  nella mancata previsione dell'intesa con la Conferenza
Stato-regioni,   evidentemente  necessaria  ove  si  ritenga  che  il
principio di sussidiarieta' giustifichi la competenza ministeriale.
    In  secondo  luogo,  la regione impugna la disposizione del comma
593,  secondo  la  quale  "i  comuni  interessati  possono  prevedere
l'applicazione  di  regimi  agevolati  ai  fini del contributo di cui
all'art.   16  del  testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari  in  materia edilizia, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380".
    La norma evidentemente invade la competenza primaria regionale in
materia  di  urbanistica  (art. 4, secondo comma, n. 12, Statuto), il
risultato  di  consentire  ai  comuni,  in applicazione diretta della
norma   statale,  di  disapplicare  le  norme  regionali  attualmente
vigenti. Si noti che il principio per cui, in materie attribuite alla
competenza  regionale  lo  Stato  non puo' emanare norme di dettaglio
autoapplicative, tanto piu' quando la Regione abbia gia' disciplinato
la  materia con proprie leggi, e' stato riconosciuto da codesta Corte
costituzionale   anche   in   relazione   alle  materie  di  potesta'
concorrente (sent. 6/2004). A maggiore ragione, ovviamente, esso vale
nelle materie di potesta' primaria.
    17 . - Illegittimita' costituzionale dei commi da 597 a 600.
    I  commni  da  597  a 600 disciplinano una porzione della materia
edilizia  residenziale  pubblica,  ed  in particolare le procedure di
alienazione   degli  immobili  nonche'  l'utilizzazione  delle  somme
ricavate.  Complessivamente, si tratta di una disciplina, per di piu'
dettagliata,  in  una  materia,  quale quella indicata, di competenza
regionale  residuale.  Manca  dunque un titolo di competenza statale,
con conseguente illegittimita' costituzionale dell'intera disciplina.
    Precisamente,  il comma 597 dispone che "con apposito decreto del
Presidente  del  Consiglio dei ministri sono semplificate le norme in
materia  di  alienazione  degli immobili di proprieta' degli Istituti
medesimi".  Come  detto,  manca  un  titolo di competenza legislativa
statale,  e  la lesione di competenza non viene meno per il fatto che
tale  decreto  e'  da  emanare,  una volta tanto, "previo accordo tra
Governo e regioni".
    Per  la  stessa ragione sono illegittimi i "principi" imposti dal
comma  598  quali  contenuti indefettibili dell'accordo tra Governo e
regioni,  come  pure  il  comma  600,  che  autorizza  gli enti e gli
Istituti   proprietari   ad   "affidare   a  societa'  di  comprovata
professionalita'   ed   esperienza   in  materia  immobiliare  e  con
specifiche   competenze   nell'edilizia   residenziale  pubblica,  la
gestione    delle    attivita'   necessarie   al   censimento,   alla
regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni immobili".
    Sia  consentito  di  notare  che  la  lett.  c) del  comma  598 e'
ulteriormente  illegittima  per  il  fatto  che  pone un vincolo alla
utilizzazione  dei  proventi delle alienazioni, prescrivendo che essi
siano destinati "alla realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento
degli  oneri  dei mutui sottoscritti da giovani coppie per l'acquisto
della  prima  casa,  a  promuovere  il recupero sociale dei quartieri
degradati  e per azioni in favore di famiglie in particolare stato di
bisogno":  con  evidente intromissione nelle determinazioni regionali
circa l'uso delle risorse a disposizione.

        
      
                              P. Q. M.
    Chiede    voglia    codesta   Corte   costituzionale   dichiarare
l'illegittimita'  constituzionale dell'art. 1, commi 24, 26, 88, 148,
da  166 a 169, 198, 204, 276, 280, 281, 283, 284, 285, 286, 337, 340,
357,  359,  366,  368, da 483 a 492 (escluso il comma 484), 556, 586,
593, da 597 a 600, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni
per  la  formazione  del  bilancio  annuale e pluriennale dello Stato
(legge   finanziaria  2006),  nelle  parti  e  per  i  profili  sopra
illustrati.
        Padova, addi' 24 febbraio 2006
                   Prof. avv. Giandomenico Falcon

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