Ricorso n. 41 del 4 marzo 2006 (Regione Friuli-Venezia Giulia)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 marzo 2006 , n. 41
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 4 marzo 2006 (della Regione Friuli-Venezia Giulia)
(GU n. 16 del 19-4-2006)
Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 264 del 20 febbraio 2006 (doc. 1), rappresentata e difesa - come da procura a margine del presente atto - dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'ufficio di rappresentanza della Regione, in piazza Colonna n. 335; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzione dell'art. 1, commi 24, 26, 88, 148, da 166 a 169, 198, 204, 276, 280, 281, 283, 284, 285, 286, 337, 340, 357, 359, 366, 368, da 483, a 492 escluso il comma 484), 556, 586 593, da 597 a 600, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005 - Supplemento ordinario n. 211, per violazione: dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia e delle relative norme di attuazione; del Titolo V della parte seconda della Costituzione, in collegamento con l'art. 10 legge cost. n. 3 del 2001; del principio di leale collaborazione, del principio di ragionevolezza di imparzialita' e buon andamento di cui all'art. 97 Cost.), nei termini di seguito esposti. D i r i t t o 1. - Illegittimita' dell'art. 1, commi da 24 a 26. Il comma 24, primo periodo, prevede che per garantire "effettivita' alle prescrizioni contenute nel programma di stabilita' e crescita presentato all'Unione europea, in attuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica... e ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica... ....come principio di equilibrio tra lo stock patrimoniale e i flussi dei trasferimenti erariali... nei confronti degli enti territoriali soggetti al patto di stabilita' interno, delle regioni a statuto speciale, delle Province autonome... i trasferimenti erariali a qualsiasi titolo spettanti sono ridotti in misura pari alla differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita". Il secondo periodo del medesimo comma dispone che "nei confronti delle regioni e delle Province autonome viene operata un'analoga riduzione sui trasferimenti statali a qualsiasi titolo spettanti". Il comma 25 precisa, poi, che le disposizioni di cui ai commi 23 e 24 non si applicano all'acquisto di immobili da destinare a sedi di ospedali, ospizi, scuole o asili. Il comma 24 riguarda sicuramente anche le regioni speciali, che vi sono espressamente nominate. La disposizione e' in primo luogo di difficile intellezione. Di difficile comprensione e' il senso del "principio di equilibrio tra lo stock patrimoniale e i flussi dei trasferimenti erariali". La stessa "differenza fra la spesa sostenuta nel 2006 per l'acquisto da terzi di immobili e la spesa media sostenuta nel precedente quinquennio per la stessa finalita" appare casuale: potrebbe non esserci alcuna differenza, o potrebbe indifferentemente esserci un aumento o una diminuzione per circostanze del tutto accidentali. Si puo' supporre che parlando di differenza la norma sottintenda "in aumento", ma gia' si tratta di mera interpretazione. Qualunque sia - se ve ne e' uno - il suo esatto significato, la norma in questione appare indubbiamente lesiva dell'autonomia finanziaria regionale assicurata dallo statuto e, in quanto occorra, dall'art. 119 Cost, per una doppia serie di ragioni. In primo luogo, i "trasferimenti" statali alla Regione non sono altro che la realizzazione delle norme statutarie: non si tratta dunque di somme che lo Stato possa discrezionalmente decidere di ridurre a proprio piacere, ma della semplice attuazione dello Statuto. Le somme spettanti alla Regione non possono dipendere da qualunque valutazione si voglia dare del trend di spesa relativa agli immobili, ne' la riduzione dei trasferimenti si giustifica ad alcun altro titolo. In secondo luogo, la disposizione si presenta anche come una compressione delle possibili decisioni di spesa per il futuro. Se infatti si ammette che lo Stato possa ridurre i propri trasferimenti a seconda della propria valutazione positiva o negativa in relazione all'oggetto della spesa della Regione, ne risulta un potere statale di indirizzo della spesa, che funziona in modo analogo a vincoli puntuali nei settori di spesa (gia' ritenuti illegittimi da codesta ecc.ma Corte costituzionale), e che e' in diretta contraddizione con il principio di autonomia delle scelte, a base sia dello statuto che del sistema costituzionale dell'autonomia finanziaria regionale. La stessa "esenzione" dal calcolo degli immobili "da destinare a sedi di ospedali, ospizi, scuole o asili" costituisce riprova di quanto ora affermato circa l'interferenza nelle autonome scelte di spesa della Regione, la cui protezione costituzionale non viene, dunque, tenuta in alcuna considerazione. L'illegittimita' del comma 24 e della deroga "finalizzata" del comma 25 si riflette, poi, sull'illegittimita' del comma 26, che prevede la soggezione al monitoraggio del Ministero dell'economia e delle finanze delle operazioni immobiliari di cui sopra e gli oneri di trasmissione dei dati relativi ad acquisti e vendite degli immobili all'Agenzia del Territorio, con conseguente obbligo di segnalazione agli organi competenti (Corte dei conti) per eventuali responsabilita', e cio' per le medesime ragioni sopra evidenziate, di contrasto con l'ordinamento delle autonomie e con la disciplina stabilita dalle norme di attuazione. In ogni caso, si tratta di oneri di comunicazione arbitrari ed irrazionali: e' appena il caso di dire - con riferimento ai presunti "fini del monitoraggio degli obiettivi strutturali di manovra concordati con l'Unione europea" - che in sede comunitaria nessuna attenzione specifica si pone alla questione ... dell'acquisto di immobili. Inoltre, la "verifica di congruita" di cui allo stesso comma realizza una forma di controllo del tutto avulsa dal sistema statutario ed una ingerenza simile ad un controllo di merito sulla attivita' amministrativa della Regione. Nel loro insieme, dunque, le norme statali di cui ai commi da 24 a 26 si pongono, dunque, in contrasto con gli artt. da 48 a 54 dello Statuto - e segnatamente con l'art. 49 - oltre che con il principio di ragionevolezza delle leggi, che codesta Corte ha individuato come parametro autonomo di legittimita', quanto alla correlazione tra proporzionalita', adeguatezza e ragionevolezza delle scelte del legislatore, in relazione agli obiettivi (sentenza n. 175/2005 che richiama le precedenti, nn. 14/2004 e 272/2004). 2. - Illegittimita' costituzionale del comma 88. Il comma 88 aggiunge il comma 6-ter nell'art. 1 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410. La nuova norma prevede una singolare forma di sanatoria urbanistica degli immobili delle Ferrovie S.p.A. Essa, disponendo che "i beni immobili appartenenti a Ferrovie dello Stato S.p.A. ed alle societa' dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate si presumono costruiti in confonnita' alla legge vigente al momento della loro edificazione", introduce una presunzione legale di regolarita' urbanistico-edilizia degli immobili delle Ferrovie, che prescinde dalla situazione reale, e disciplina poi una procedura per consentire, entro tre anni, la costruzione di una documentazione attestante la stessa regolarita', anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti ("Indipendentemente dalle alienazioni di tali beni, Ferrovie dello Stato S.p.A. e le societa' dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, possono procedere all'ottenimento di documentazione che tenga luogo di quella attestante la regolarita' urbanistica ed edilizia mancante, in continuita' d'uso, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti"). Tale procedura prevede che la societa' "proponga" al comune una "dichiarazione sostitutiva della concessione", allegando alcuni documenti, fra i quali l'"attestazione del versamento di una somma pari al 10 per cento di quella che sarebbe stata dovuta in base all'Allegato 1 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per le opere di cui all'art. 3, comma 1, lettera d), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380" (cioe', per le opere di ristrutturazione edilizia). Addirittura, la dichiarazione sostitutiva "produce i medesimi effetti di una concessione in sanatoria, a meno che entro sessanta giorni dal suo deposito il comune non riscontri l'esistenza di un abuso non sanabile ai sensi delle norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia e lo notifichi all'interessato" (subito dopo la disposizione precisa che "in nessun caso la dichiarazione sostitutiva potra' valere come una regolarizzazione degli abusi non sanabili ai sensi delle norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia"). La possibilita' di beneficiare della procedura di cui sopra e' data anche "ai soggetti che acquistino detti immobili da Ferrovie dello Stato S.p.A. e dalle societa' dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate", ma "la somma da corrispondere e' pari al triplo di quella sopra indicata". Le norme appena illustrate rappresentano il tentativo di correggere le conseguenze dell'art. 1, comma 6-bis, del d.l. n. 351/2001 (come modificato dall'art. 26, comma 10, d.l. n. 269/2003 e poi dall'art. 1, comma 277, legge n. 311/2004) che, nella prospettiva della privatizzazione degli immobili pubblici, dispone che "i beni immobili non piu' strumentali alla gestione caratteristica dell'impresa ferroviaria, di proprieta' di Ferrovie dello Stato S.p.A.,... nonche' i beni acquisiti ad altro titolo, sono alienati e valorizzati da Ferrovie dello Stato S.p.A., o dalle societa' da essa controllate, direttamente o con le modalita' di cui al presente decreto", e che "le alienazioni di cui al presente comma sono effettuate con esonero dalla consegna dei documenti relativi alla proprieta' e di quelli attestanti la regolarita' urbanistica, edilizia e fiscale degli stessi beni". Le norme qui impugnate, pero', ledono la sfera di competenza costituzionale della Regione sotto diversi profili. In sostanza, il comma 88 introduce un altro caso di condono edilizio, che risulta, pero', ancora piu' difforme dalla Costituzione rispetto alla disciplina generale introdotta nel 1985, nel 1994 e nel 2003. Gli aspetti deteriori del comma 88 risultano essere i seguenti: a) il condono e' limitato ad una particolare societa', alle societa' ad essa collegate e agli aventi causa; b) non essendoci limiti temporali, il condono potrebbe essere riferito anche agli immobili realizzati dopo l'entrata in vigore della legge, per cui le Ferrovie potrebbero costruire un immobile senza concessione, e poi, entro i tre anni dall'entrata in vigore della legge. n. 266/2005, proporre la dichiarazione sostitutiva; c) l'oblazione e' ridotta al 10% di quella prevista dal d.l. n. 269/2003 e si applica comunque quella relativa alle ristrutturazioni edilizie, anche se l'abuso e' piu' grave; d)e' previsto il silenzio-assenso ma con un termine molto piu' ristretto rispetto a quello del d.l. n. 269/2003; e) non ci sono limiti quanto alle volumetrie sanabili; f) non sono previsti ambiti di intervento del legislatore regionale (contemplati, invece, seppur in misura ridotta, dal d.l. n. 269/2003). In generale, poi, colpisce il fatto che la norma non prevede la possibilita' di sanare un abuso, ma e' imperniata sulla presunzione autoritativa della legittimita' edilizia dell'immobile di un soggetto, prevedendo poi che una dichiarazione del soggetto produca gli effetti della concessione in sanatoria nel giro di sessanta giorni (salvo intervento del comune in certi casi). Quanto alla lesione delle competenze costituzionali della Regione, il comma 88 viola, in primo luogo, la potesta' legislativa primaria e l'autonomia amministrativa in materia di urbanistica, previste dall'art. 4, n. 12, e dall'art. 8 dello Statuto speciale. E' superfluo, poi, sottolineare che tale potesta' e', dopo il 2001, soggetta solo ai limiti di cui all'art. 117, comma 1, per effetto dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001. Pare chiaro che il comma 88 e' illegittimo, perlomeno, nella misura in cui disciplina dettagliatamente i (quasi inesistenti) limiti e la procedura di condono, senza consentire alle regioni di modulare l'ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantita' e alla tipologia degli abusi sanabili (ferma restando la spettanza al legislatore statale della potesta' di individuare la portata massima del condono edilizio straordinario), cioe' di determinare la possibilita', le condizioni e le modalita' per l'ammissibilita' a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio" (v. sentt. n. 196/2004, n. 71/2005 e n. 49/2006), eventualmente restringendo le possibilita' di condono. Il comma 88, sotto questo profilo, e' ancora piu' lesivo delle norme del d.l. n. 269/2003, che consentivano qualche piccola integrazione al legislatore regionale. Su questo punto le sentt. n. 196/2004, n. 71/2005 e n. 49/2006 della Corte costituzionale si sono gia' ampiamente pronunciate e ad esse si puo' rinviare. Fra l'altro, la sent. n. 196/2004 ha precisato che le possibilita' di intervento delle regioni speciali sono ancora piu' ampie di quelle delle regioni ordinarie: come, per la Regione Friuli-Venezia Giulia, risulta chiaramente dal carattere primario della potesta' legislativa in materia di urbanistica. Ma, in realta', il comma 88 lede le competenze regionali per la stessa previsione della sanatoria, in quanto per esso non sembrano poter valere le considerazioni svolte da codesta Corte costituzionale nella sent. n. 196/2004, ove si e' fatto salvo l'an del condono. La Corte, infatti, ha ritenuto "ragionevole" il nuovo condono (di cui ovviamente anche le Ferrovie hanno potuto usufruire come tutti) in quanto il d.l. n. 269/2003 faceva riferimento all'entrata in vigore del d.P.R. n. 380/2001 e della legge cost. n. 3/2001 e, dunque, in connessione con tali fatti nuovi, si poteva comprendere l'esigenza di "chiudere" il passato illegale e di dare avvio ad un nuovo periodo, caratterizzato da una maggiore attenzione nei confronti degli abusi edilizi Il comma 88 e' del tutto privo di quegli elementi che hanno indotto la Corte a far salvo il "principio" del condono. Non c'e' nessun fatto nuovo e non c'e' neppure l'esigenza di "chiudere una stagione"; anzi, mentre i condoni "generali" miravano principalmente all'estinzione dei reati, e a quest'esigenza primaria seguivano poi quella di estinguere gli illeciti amministrativi e di "far cassa", il comma 88 non e' volto a soddisfare esigenze di rango costituzionale ma ha solamente lo scopo di facilitare la privatizzazione degli immobili pubblici (anche se poi prevede che si producano i medesimi effetti della concessione in sanatoria). Dunque, l'intero comma 88 viola irragionevolmente le competenze costituzionali, legislative ed amministrative, della Regione in materia di governo del territorio; in subordine, si chiede che esso sia dichiarato illegittimo nella parte in cui non consente alle regioni di modulare l'ampiezza del condono in relazione alla quantita' e alla tipologia degli abusi sanabili, e nella parte in cui disciplina con norme dettagliate la procedura di sanatoria. E' da sottolineare che il comma 88 lede le competenze regionali in misura ancora maggiore (sotto il profilo giuridico, ovviamente, non quanto ad effetti concreti) rispetto al d.l. n. 269/2003, dato che, come gia' osservato, non sono previsti limiti temporali per le costruzioni (per cui il condono potrebbe essere riferito anche agli immobili realizzati dopo l'entrata in vigore della legge), e' previsto un termine assai breve per il silenzio-assenso comunale, non ci sono limiti quanto alle volumetrie sanabili e non sono previsti ambiti di intervento del legislatore regionale. Si noti, ulteriormente, che si tratta di un "privilegio" per un gruppo di societa' e gli aventi causa, il che aggrava la lesivita' della norma. Essa, infatti, viola anche il principio di eguaglianza e tale illegittimita' si ripercuote sulle prerogative regionali, dato che la previsione di tale "privilegio" si traduce nella previsione del condono. Infine, il comma 88, la' dove prevede che l'oblazione e' ridotta al 10% di quella prevista dal d.l. n. 269/2003 e che si applica comunque quella relativa alle ristrutturazioni edilizie, anche se l'abuso e' piu' grave, viola l'autonomia finanziaria dei comuni e cio' si traduce in una lesione dell'autonomia finanziaria regionale, come riconosciuto da codesta Corte nelle sentt. n. 533/2002, n. 196/2004 e n. 417/2005. In particolare, nella sent. n. 196/2004 si legge che "la stretta connessione, in particolare in materia urbanistica e in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a dterminare una vulnerazione delle competenze regionali" (punto 14 del Diritto). 3. - Illegittimita' costituzionale del comma 148. Il comma 148 dispone, per quanto qui interessa, che "per gli anni 2006, 2007 e 2008, le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano concordano, entro il 31 marzo di ciascun anno, con il Ministero dell'economia e delle finanze, il livello delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica per il periodo 2006-2008, anche con riferimento, per quanto riguarda le spese di personale, a quanto previsto ai punti 7 e 12 dell'accordo sottoscritto tra Governo, regioni e autonomie locali in sede di Conferenza unificata il 28 luglio 2005"; e che "in caso di mancato accordo si applicano le disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario". La ricorrente Regione non contesta il proprio dovere di partecipare, come tutte le articolazioni istituzionali della Repubblica, ai vincoli conseguenti al patto di stabilita', ne' contesta il principio dell'accordo, che vale per tutte le regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e di Bolzano. Oggetto della presente impugnazione e' invece da un lato la disposizione che pone il termine del "31 marzo di ciascun anno" per il conseguimento dell'accordo, dall'altro la disposizione secondo la quale "in caso di mancato accordo si applicano le disposizioni stabilite per le regioni a statuto ordinario". La ricorrente Regione vede in tali disposizioni due distinti profili di illegittimita'. In primo luogo, il principio dell'accordo tra la Regione interessata ed il Ministero dell'economia e delle finanze ha il suo fondamento e le sue radici nella specialita' della finanza delle regioni a statuto speciale, cui si correla anche la specifica dimensione delle funzioni legislative ed amministrative affidate a ciascuna di esse. Si tratta dunque di un principio che non puo' essere eluso semplicemente collegando ad un generico "mancato accordo" l'applicazione alle autonomie speciali delle regole dettate per le regioni ordinarie. Essendo evidente che tale applicazione viene a disconoscere proprio quella specialita' che fonda e giustifica il regime di accordo, e dunque realizza un regime giuridico ed istituzionale deteriore, appare altresi' evidente, ad avviso della ricorrente Regione, che l'applicazione di tale regime non puo' risultare costituzionalmente legittima, ove non risulti che la responsabilita' del mancato accordo sia della Regione stessa, e non - in ipotesi - di un atteggiamento ostruzionistico o almeno non collaborativo del Ministero. Infatti, ove un simile atteggiamento vi fosse, la disposizione qui contestata consentirebbe al Ministero di "far scattare" per la Regione Friuli-Venezia Giulia il regime delle regioni ordinarie semplicemente mantenendosi inerte, o trascinando inutilmente le trattative per l'accordo. In secondo luogo, tale lesione e' poi aggravata dalla disposizione che pone per il conseguimento dell'accordo il termine del 31 marzo di ogni anno. Questo termine, unitamente alla regola sopra criticata, rende in definitiva il principio dell'accordo meramente eventuale, ed attribuisce al Ministero nei fatti il potere di decidere se la Regione speciale di volta in volta interessata - e nell'ambito del presente ricorso la Regione Friuli-Venezia Giulia - potra' concordare la propria partecipazione al patto di stabilita' o dovra' vedere applicate a se' le regole dettate per le regioni ordinarie. Di qui l'illegittimita' delle disposizioni impugnate. 4. - Illegittimita' costituzionale dei commi da 166 a 169. Conviene premettere che la materia del controllo della Corte dei conti sulla Regione e' disciplinata, per la Regione Friuli-Venezia Giulia, dal decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1975, n. 902, come modificato dal d.lgs. 15 maggio 2003, n. 125. In particolare, il controllo di gestione e' analiticamente disciplinato dall'art. 33 di tale decreto, nella nuova versione. Inoltre, secondo l'art. 60 dello Statuto, il controllo sugli enti locali e' svolto da un organo della Regione "nei modi e nei limiti stabiliti con legge regionale in armonia con i principi delle leggi dello Stato". Essendo il sistema ditali controlli di per se' completo ed esaustivo, considerando anche la clausola di salvaguardia di cui al comma 610, dovrebbe ritenersi che i conuni da 166 a 169 non siano destinati ad applicarsi nel territorio della Regione. Diversamente, tali disposizioni sarebbero illegittimi per violazione dell'art. 60 dello Statuto, e della riserva di competenza regionale in esso contenuta. In effetti, il comma 166 sottopone gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria al dovere di trasmettere alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti una relazione sul bilancio di previsione dell'esercizio di competenza e sul rendiconto dell'esercizio medesimo. Il comma 167 addirittura attribuisce alla stessa Corte dei conti il potere di definire "unitariamente criteri e linee guida cui debbono attenersi gli organi degli enti locali di revisione economico-finanziaria nella predisposizione della relazione di cui al comma 166". Il comma 168 prevede che le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, qualora accertino, anche sulla base delle relazioni di cui al comma 166, comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto, adottino specifica pronuncia e "vigilino" sull'adozione da parte dell'ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del patto di stabilita' interno. E' evidente che si tratta di un controllo diverso da quello di gestione ed ulteriore rispetto ad esso, e che esso ha piu' carattere repressivo-sanzionatorio che carattere collaborativo. Il comma 169 dispone, tra l'altro, che la Corte dei conti possa avvalersi "di personale degli enti locali, fino ad un massimo di cinquanta unita', in possesso di laurea in scienze economiche ovvero di diploma di ragioniere e perito commerciale, collocato in posizione di fuori ruolo o di comando", venendo cosi' ad interferire nell'organizzazione degli enti locali, senza richiedere il loro consenso. In sintesi, appare illegittimo il controllo nuovo sugli enti locali, previsto al di fuori del sistema statutario; appare illegittimo il potere normativo della Corte dei conti in materia di controllo sugli enti locali; appare illegittimo l'avvalimento del personale degli enti locali unilateralmente disposto. 5. - Illegittimita' costituzionale del comma 198 e del comma 204. I commi da 138 a 150 (che non costituiscono qui oggetto di impugnazione, salvo che per quanto sopra esposto in relazione al comma 148) pongono le regole del patto di stabilita' interno. In particolare, per quanto riguarda le regioni a statuto speciale e le Province autonome il comma 148 detta una specifica disciplina, secondo la quale le autonomie speciali concordano con il Ministero dell'economia il livello delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti. Ancora piu' specificamente e' previsto che, per quanto riguarda la spesa per il personale, si faccia riferimento a quanto previsto dai punti 7 e 12 dall'Accordo 28 luglio 2005 stipulato in sede di Conferenza unificata: il punto 12, in particolare, include nel sistema dell'accordo sul patto di stabilita' la spesa per il personale degli enti strumentali e, per quanto riguarda (fra gli altri) la Regione Friuli-Venezia Giulia, quella per il personale. Con riferimento alle regioni a statuto ordinario il comma 198 dispone che "le amministrazioni regionali e gli enti locali di cui all'art. 2, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' gli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all'art. 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento", e che "a tal fine si considerano anche le spese per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni". Si tratta di disposizioni che appaiono costituzionalmente illegittime, in quanto pongono alle regioni vincoli puntuali, anziche' vincoli globali, limitandone l'autonomia (v. tra le altre le sentt. n. 417 e 449 del 2005): ma la Regione Friuli-Venezia Giulia, usufruendo del particolare meccanismo sopra accennato e non essendo espressamente compresa tra i destinatari del comma 198, non avrebbe ragioni di lamentare una propria lesione. Sennonche', il comma 204 stabilisce che "alla verifica del rispetto degli adempimenti previsti dal comma 198 si procede, per le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, le Province, i comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti e le comunita' montane con popolazione superiore a 50.000 abitanti, attraverso il sistema di monitoraggio di cui all'art. 1, comma 30, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e per gli altri enti destinatari della norma attraverso apposita certificazione, sottoscritta dall'organo di revisione contabile, da inviare al Ministero dell'economia e delle finanze, entro sessanta giorni dalla chiusura dell'esercizio finanziario di riferimento". Il riferimento non solo alle regioni ma anche alle Province autonome di Trento e di Bolzano - cioe' ad autonomie differenziate - induce a pensare che il comma 204 non solo sembra intenda applicarsi esso stesso anche alla Regione Friuli-Venezia Giulia, ma anche presupponga l'applicazione dello stesso comma 198. Il dubbio tuttavia e' giustificato, dal momento che il comma 148, nel disporre il peculiare regime del patto di stabilita' per le autonomie speciali, specificamente vi include la spesa per il personale, nei termini previsti dall'Accordo sopra richiamato. Ove i commi 198 e 204 dovessero considerarsi applicabili alla ricorrente Regione, essi risulterebbero, in relazione ad essa, costituzionalmente illegittime. In effetti, i vincoli posti dai commi 198 e 204, ove ritenuti applicabili alla ricorrente, regione nonostante le disposizioni speciali di cui al comma 148, risulterebbero lesivi dell'autonomia finanziaria regionale sia per le stesse ragioni per le quali essi sono comunque illegittimi anche in relazione alle regioni ordinarie (v. le sentenze sopra richiamate), ma sarebbero a maggiore ragione illegittimi in quanto posti altresi' in violazione delle regole statutarie. Sarebbe violato, ancora, l'art. 48, secondo il quale "la Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi di solidarieta' nazionale" nei modi stabiliti dai seguenti articoli 49 e 50. Illegittima sarebbe anche l'applicazione degli stessi vincoli agli enti locali della Regione, sia per l'illegittimita' intrinseca della regola stessa, sia in quanto tali enti partecipano del sistema regionale in cui sono inseriti. Per l'illegittimita' in se' della regola valgono le considerazioni gia' svolte. Per la violazione della competenza regionale e della collocazione istituzionale degli enti locali della Regione, sarebbe violato, in particolare l'art. 4, secondo comma, n. 1-bis, dello Statuto, che assegna alla potesta' primaria la disciplina dell'ordinamento degli enti locali, anche in connessione con l'art. 53 in materia di finanza locale. Del resto, va ricordato che il comma 148 espressamente riconosce e stabilisce che "per gli enti locali dei rispettivi territori provvedono, alle finalita' di cui ai commi da 138 a 150, le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi delle competenze alle stesse attribuite dai rispettivi statuti di autonomia e dalle relative norme di attuazione". Le finalita' di cui ai commi da 138 a 150 sono, ovviamente, quelle del patto di stabilita': non avrebbe dunque senso che a tali enti si applicasse anche, direttamente, la regola posta in generale per gli enti locali, neppure se tale regola fosse legittima. 6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 276. L'art. 1, comma 276, attraverso la modifica dell'art. 50 d.l. n. 269/2003 (Disposizioni in materia di monitoraggio della spesa nel settore sanitario e di appropriatezza delle prescrizioni sanitarie), introduce specifiche sanzioni amministrative per la mancata o incompleta trasmissione dei dati delle ricette (prevista da norme previgenti), e stabilisce che all'accertamento delle violazioni provvede il Corpo della Guardia di finanza, il quale trasmette il relativo rapporto "alla direzione provinciale dei servizi vari competente per territorio, per i conseguenti adempimenti" (nuovi commi 8-bis, 8-ter e 8-quater). Tali norme hanno carattere estremamente dettagliato, e attribuiscono puntuali funzioni amministrative (di accertamento delle violazioni) in capo ad organi dello Stato, nella materia "igiene e sanita', ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera", che spetta costituzionalmente alla competenza concorrente della Regione (artt. 5, n. 15 St., e relative norme di attuazione). Le attribuzioni della ricorrente sono disconosciute sotto un duplice profilo. In primo luogo, risulta lesa la potesta' legislativa, in quanto lo Stato non si e' limitato, come invece avrebbe dovuto, a porre principi fondamentali della materia suscettibili di essere sviluppati dalla legislazione regionale; ne', d'altro canto, il carattere di principio potrebbe essere sostenuto argomentando (dalla sent. n. 361/2003) con la necessita' di tutelare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale il diritto fondamentale alla salute, in quanto si tratta, nel presente caso, di misure sanzionatorie per inadempimenti di carattere amministrativo, a carico di soggetti integrati nella struttura organizzativa del servizio sanitario regionale. A cio' si aggiunge che le norme impugnate ledono le funzioni amministrative, che nel settore spettano alla Regione, secondo il disposto dell'art. 8 St. 7. - illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 280-281. Con la disposizione dell'art. l, comma 279 (che non forma oggetto di impugnazione), lo Stato ha destinato alle regioni l'importo di 2 miliardi di euro, quale concorso al ripiano dei disavanzi del servizio sanitario nazionale per gli anni 2002, 2003 e 2004; ed ha aggiunto, nel primo periodo del comma successivo, che il riparto tra le regioni - chiamate a cofinanziare il ripiano - e' operato con decreto ministeriale, sulla base del numero dei residenti, e previa intesa con la Conferenza Stato-regioni. Si tratta di un finanziamento che trova causa nella corresponsabilita' dello Stato sia nella determinazione del livello delle entrate regionali, sia nella determinazione delle prestazioni sanitarie di cui hanno diritto i cittadini: puo' quindi parlarsi di un concorso costituzionalmente dovuto. Le ulteriori disposizioni del comma 280, tuttavia, subordinano il fmanziamento statale a due condizioni: a) la prima, che entro il 31 marzo 2006 la Conferenza unificata esprima l'intesa sullo schema di Piano sanitario nazionale 2006-2008; b) la seconda, che entro lo stesso termine si addivenga ad una intesa tra Stato e regioni, nella quale sia prevista una pluralita' di misure organizzative riferibili alle c.d. "liste di attesa" per le prestazioni sanitarie. Il comma 281, a sua volta, introduce una terza condizione per l'accesso al contributo: "le regioni che nel periodo 2001-2005 abbiano fatto registrare ... un disavanzo medio pari o superiore al 5 per cento, ovvero che abbiano fatto registrare nell'anno 2005 un incremento del disavanzo rispetto all'anno 2001 pari o superiore al 200 per cento" devono stipulare di un apposito accordo (ovvero integrare accordi gia' sottoscritti ai sensi dell'art. 1, comma 180, legge n. 311/2004), "per l'adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario nazionale 2006-2008 e il perseguimento dell'equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza". E' da evidenziare come, nel loro insieme, le norme impugnate istituiscano un collegamento necessario tra il finanziamento statale, resosi indispensabile in relazione ad attivita' di assistenza gia' prestata, e il consenso delle regioni a tutte le previsioni del Piano sanitario 2006-2008: le regioni sono infatti costrette ad una scelta obbligata, in quanto eventuali obiezioni e riserve sullo schema di Piano predisposto dal Governo implicano la rinuncia alle risorse finanziarie. Le condizioni alle quali lo Stato ha subordinato il finanziamento del comma 279 sono costituzionalmente illegittime per violazione degli 5, n. 15, nonche' 8, 48, 49 e 50 dello Statuto, ed inoltre dell'art. 119 Cost., e del principio di ragionevolezza. b) Lese sono anzitutto le attribuzioni legislative ed amministrative spettanti alla Regione in materia di "tutela della salute". Tra esse rientrano certamente i poteri mediante i quali la Regione concorre alla adozione del Piano sanitario nazionale, sia attraverso la formulazione di specifiche proposte, sia attraverso l'espressione dell'intesa sul Piano nell'ambito della Conferenza unificata (secondo quanto dispone l'art. 1, commi 4-5, d.lgs. n. 502/1992, come sostituito dall'art. 1, d.lgs. n. 229/1999). Ed e' evidente - e imposto dai principi di tutela della salute (art. 32 Cost.) e di buon andamento della amministrazione (art. 97 Cost.) - che le determinazioni regionali in proposito devono necessariamente avere riguardo alle esigenze sanitarie della popolazione nel periodo preso in considerazione dal Piano, alle risorse economiche necessarie allo scopo e a quelle che si ritiene saranno disponibili. Questi criteri di orientamento nella decisione sono invece palesemente negati dalle disposizioni impugnate, proprio per il legame che esse istituiscono tra l'accordo sulla approvazione del Piano, destinato a valere per il futuro, e la copertura del disavanzo relativo a gestioni passate: di consegenza, risultano sostanzialmente lesi i poteri regionali concernenti la formazione del Piano sanitario. L'illegittima compressione delle competenze nel settore della tutela della salute si manifesta anche con la condizione della seconda intesa, relativa alle misure organizzative che devono essere assunte. Dopo la riforma del titolo V, l'autonomia regionale in ordine alla organizzazione degli enti sanitari e' piu' vasta di quella consentita dalla precedente materia "assistenza sanitaria", potendosi in principio spingere fino alla stessa "previsione" di essi, dal momento che cio' "rappresenta una delle possibili opzioni organizzative per conseguire le finalita' prescelte dall'ente costituzionalmente responsabile nella materia o nelle materie interessate" (cosi', molto efficacemente, la sent. n. 70/2005). Orbene, alcuni contenuti dell'intesa - alla cui stipulazione e' subordinato il contributo finanziario statale - comprimono indebitamente l'autonomia regionale sulla disciplina delle strutture sanitarie: cio' vale in particolare per l'obbligo di stabilire una quota minima di risorse da vincolare al contenimento dei tempi di attesa per le prestazioni (comma 280, lett. d), per le modalita' di realizzazione del centro unico di prenotazione (con utilizzo in via prioritaria dei medici di medicina generale; lett. d); per la attivazione "di uno specifico flusso informativo per il monitoraggio delle liste di attesa" (lett. e); per la imposizione che alla certificazione degli interventi in attuazione del piano di contenimento delle liste di attesa provveda il comitato di cui all'intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005 (lett. f). Del resto, lo stesso legislatore statale deve essere stato consapevole della illegittimita' delle misure organizzative in discorso, se ha ritenuto di non imporle in modo formalmente unilaterale, e di farne oggetto di una "intesa": in apparenza essa e' liberamente sottoscrivibile o rifiutabile (si notera' che il comma 280 ragiona di una intesa "ai sensi dell'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131", di una intesa diretta cioe' "a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni"), mentre in realta' e' essa imposta alla regione dalla urgente necessita' di ottenere il contributo finanziario statale. c) Il legame tra il concorso nazionale alla copertura dei disavanzi pregressi e l'accordo sul Piano sanitario per il periodo 2006-2008, risulta incostituzionale anche per violazione del principio di ragionevolezza, in quanto ha ad oggetto due entita' non omogenee. Da questo vizio non e' esente nemmeno il comma 281, il quale, come si e' sopra ricordato, pone alle singole regioni che hanno registrato negli anni passati un particolare (incremento di) disavanzo, la ulteriore condizione - per concorrere al riparto del contributo statale - di stipulare un apposito accordo "per l'adeguamento alle indicazioni del Piano sanitario nazionale 2006-2008 e il perseguimento dell'equilibrio economico nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza". Da un lato, infatti, mediante il richiamo dell'art. 1, comma 180, legge n. 311/2004, la disposizione parrebbe ipotizzare che gli accordi implichino una previa "ricognizione delle cause" del disavanzo, ed assumano a contenuto la elaborazione di "un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale"; d'altro lato, e contraddittorianiente, la norma impugnata prevede che il singolo accordo contenga l'adeguamento alle indicazioni del piano sanitario futuro. d) Gli argomenti sopra svolti valgono a dimostrazione della incostituzionalita' delle disposizioni esaminate anche per violazione dell'art. 119, comma 4, Cost.: se lo stesso legislatore statale riconosce come necessario un intervento finanziario a copertura dei disavanzi pregressi (e non potrebbe essere diversamente, per le ragioni strutturali accennate all'inizio del presente motivo di ricorso), e' in violazione del principio per cui le risorse "ordinarie" delle regioni devono consentire "di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite" ogni "condizione" che non abbia riguardo a quelle stesse ragioni strutturali, e che non incidano quindi sulle fonti di entrata o sui livelli delle prestazioni, o sui costi delle medesime. e) Giova ricordare che la questione di costituzionalita' ora proposta solo superficialmente e' paragonabile a quella sollevata dalla Regione Emilia-Romagna contro l'art. 52, comma 4, legge n. 289/2002, e decisa con la sent. n. 36/2005. La norma allora impugnata condizionava ad adempimenti "futuri" delle regioni "l'adeguamento del finanziamento del Servizio sanitario nazionale per gli anni 2003, 2004 e 2005": vi era quindi corrispondenza temporale tra le somme "aggiuntive" da trasferire agli enti autonomi e l'imposizione ad essi di determinati vincoli organizzativo-assistenziali; inoltre, gli impegni di cui all'art. 52 cit. erano sostanzialmente il frutto di procedure concertative tra Stato e regioni, e proprio questo carattere negoziale e' stato posto dalla Corte a fondamento della sentenza n. 36. Per nessuno dei due aspetti si puo' affermare una similitudine con i commi 280 e 281 della legge n. 266. 8. - Illegittimita' costituzionale dei commi 283 e 284. Il comma 282 (qui non impugnato) e i commi 283 e 284 rilevano qui nelle parti in cui: vietano alle aziende sanitarie ed ospedaliere di sospendere le prenotazioni delle prestazioni sanitarie di cui al d.P.C.m. 29 novembre 2001; comminano la sanzione amministrativa da mille a seimila euro ai soggetti responsabili della violazione del divieto di sospendere le prenotazioni; vincolano ad applicare le sanzioni "secondo i criteri fissati dalla Commissione" nazionale sulla appropriatezza delle prescrizioni: e' questo un organo di nuova istituzione, la cui nomina e' riservata al Ministro della salute. Le disposizioni impugnate sono lesive delle competenze della regione nella materia "igiene e sanita', ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera" (art. 5, n. 15, St.). Costituzionalemente illegittimo appare il fatto che l'applicazione delle sanzioni amministrative debba avvenire secondo i criteri stabiliti dalla Commissione nazionale per l'appropriatezza delle prescrizioni. Non sussiste infatti alcun titolo costituzionale che consenta allo Stato di imporsi mediante questo strumento sulla attivita' amministrativa della Regione. Il limite dei principi fondamentali della materia esclude la possibilita' di utilizzare atti diversi da quelli legislativi; la previsione di una qualche potesta' regolamentare e' vietata allo Stato - nelle materie concorrenti e residuali - dall'art. 117, comma 6, Cost., che la Regione invoca ai sensi dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001; la configurazione di una qualche potesta' di indirizzo e coordinamento e' contraria al sistema risultante dalla riforma del Titolo V, "anche alla luce di quanto espressamente disposto dall'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131" (cosi', decisamente, la sent. n. 329/2003). A sostegno della legittimita' della norma in esame non potrebbe nemmeno invocarsi la "chiamata in sussidiarieta" ex art. 118, comma 1, Cost.: non si vede, infatti, quali esigenze unitarie possano giustificare la attrazione al centro del potere di fissare criteri per sanzionare comportamenti di soggetti che esauriscono la loro attivita' all'interno della organizzazione regionale del servizio sanitario. In ogni modo, anche in questo caso il difetto della previsione dell'intesa con la Conferenza Stato-regioni vizierebbe comunque la norma. Un secondo motivo di illegittimita' investe per violazione del principio di leale collaborazione, l'art. 1, comma 283, nella parte in cui non prevede che la Commissione nazionale per la appropriatezza delle prestazioni sia istituita e sia nominata dal Ministro per la salute previa intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni. Ammesso infatti che esigenze unitarie costituzionalmente fondate consentano allo Stato di nominare la Commissione, poiche' essa e' destinata ad operare in materia di sicura competenza regionale, l'intreccio degli interessi impone che alla nomina si addivenga attraverso un modulo consensuale. Ne' si potrebbe obiettare che la posizione delle autonomie e' gia' garantita dalla previsione - contenuta nella disposizione impugnata - che della Commissione devono necessariamente far parte "rappresentanti designati dalla Conferenza permanente": poiche' la legge non fissa ne' il numero di questi rappresentanti, ne' il rapporto di essi con le altre componenti della Commissione, l'intesa della quale si denuncia la mancanza costituisce l'unico strumento mediante il quale alle regioni e alle Province autonome puo' essere riconosciuta una rappresentanza adeguata. 9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 285. Il comma 285 interviene sulle "risorse residue finalizzate alla costruzione, ristrutturazione e adeguamento di presidi ospedalieri" (in attuazione dell'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67), e ne impone la destinazione ad un certo tipo di interventi: quelli che comprendono degenze per acuti con almeno 250 posti letto (ridotti a 120 se si tratta di presidi per lungodegenza o riabilitazione), e quelli necessari al rispetto dei requisiti minimi strutturali e tecnologici dei presidi attivi avviati alla data del 31 dicembre 2005. La disposizione viola palesemente la competenza legislativa spettante alla Regione in ordine alla organizzazione dell'assistenza ospedaliera (art. 5, n. 16, St., e relative norme di attuazione), e l'autonomia finanziaria nelle decisioni di spesa e relativa destinazione; inoltre, a prescindere dalla originaria legittimita' delle disposizioni che avevano impresso il vincolo di destinazione alle somme in discorso, vincoli del genere si pongono in contrasto con i principi risultanti dal nuovo art. 119, commi 1, 4, e 5, Cost. (principi che, traducendosi in una forma piu' ampia di autonomia, sono invocabili dalla Regione Friuli-Venezia Giulia per effetto dell'art. 10, legge cost. n. 3/2001). 10. - Illegittimita' costituzionale del comma 286. Il comma 286 dell'art. 1 della legge vincola l'autonomia patrimoniale e gestionale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, stabilendo che "la cessione a titolo di donazione di apparecchiature e altri materiali dismessi" avvenga attraverso la "Alleanza degli ospedali italiani nel mondo", a beneficio delle strutture sanitarie dei Paesi in via di sviluppo o in transizione. Al di la' della formulazione contorta del primo periodo, l'intendimento di vincolare gli enti sanitari quanto alla destinazione dei materiali dismessi, risulta chiaramente dal secondo periodo del comma, la' dove si obbligano gli enti a comunicare alla Alleanza la disponibilita' delle attrezzature sanitarie in questione; d'altronde, una sorta di intesa (ammesso che sia tale) tra Alleanza e strutture parrebbe ipotizzata solo per le "modalita" della comunicazione, mentre "il parere favorevole della Regione interessata" sembrerebbe condizionare solo il fatto in se' della cessione dei materiali, e non anche la individuazione dei destinatari e le modalita' secondo le quali essa deve seguire. Si e' dunque in primo luogo in presenza di una norma statale assai dettagliata e puntuale, la quale incide su un aspetto della organizzazione di enti che - operando nelle materie della tutela della salute e della ricerca scientifica - ricadono nella competenza legislativa della Regione. Giova in proposito ricordare che la Corte costituzionale con la sent. n. 270/2005 ha recentemente ribadito che "di norma tutti gli enti pubblici operanti in queste materie di competenza del1e regioni siano oggetto della corrispondente potesta' legislativa regionale (la quale deve peraltro svolgersi, ovviamente, nell'ambito dei principi fondamentali determinati dal legislatore statale), "dal momento che la loro previsione e disciplina rappresenta una delle possibili opzioni organizzative per conseguire le finalita' prescelte dall'ente costituzionalmente responsabile nella materia o nelle materie interessate". In secondo luogo, il vincolo ad una determinata destinazione delle risorse dismesse viola l'autonomia regionale nell'utilizzazione di beni che appartengono alla comunita', e che in altra forma alla stessa comunita' potrebbero essere utili. Ed anche quando la regione intendesse destinarle alla cooperazione allo sviluppo cio' non potrebbe avvenire che nei termini disciplinati dalla stessa legge regionale: nel caso specifico si tratta della legge regionale 30 ottobre 2000, n. 19, Interventi per la promozione, a livello regionale e locale, delle attivita' di cooperazione allo sviluppo epartenariato internazionale, pacificamente vigente nella Regione gia' in forza della stessa legge statale n. 19 del 1991. 11. - Illegittimita' dei commi 337 e 340. Il comma 337 dispone che, "per l'anno finanziario 2006, ed a titolo iniziale e sperimentale,... una quota pari al 5 per mille dell'imposta stessa e' destinata in base alla scelta del contribuente alle seguenti finalita': a) sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilita' sociale... nonche' delle associazioni di promozione sociale iscritte" in determinati registri, e delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori di cui all'art. 10, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460; b) finanziamento della ricerca scientifica e dell'universita'; c) finanziamento della ricerca sanitaria; d) attivita' sociali svolte dal comune di residenza del contribuente". Come risulta chiaramente, tutte le finalita' richiamate attengono a materie di competenza regionale, o concorrente (ricerca scientifica) o piena (politiche sociali), in virtu' dell'art. 117 Cost. e dell'art. 10 legge cost. n. 3/2001. Quanto alle "associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori di cui all'art. 10, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460", tali settori sono l'"assistenza sociale e socio-sanitaria", l'"assistenza sanitaria", la "beneficenza", l'"istruzione", la "formazione", lo "sport dilettantistico", la "tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico", la "tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente", la "promozione della cultura e dell'arte", la "tutela dei diritti civili" e la "ricerca scientifica di particolare interesse sociale". Anche questi settori ricadono nella competenza concorrente o piena della Regione, in virtu' dell'art. 117 Cost. e dell'art. 10 legge cost. n. 3/2001, oltre che dell'art. 4, n. l4, dello Statuto, che attribuisce potesta' primaria in materia di "istituzioni culturali, ricreative e sportive; musei e biblioteche di interesse locale e regionale". Il comma 340 stabilisce che, "con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabilite le modalita' di richiesta, le liste dei soggetti ammessi al riparto e le modalita' del riparto delle somme stesse, sentite le Commissioni parlamentari competenti relativamente alle finalita' di cui al comma. 337, lettera a)". La disposizione aggiunge che "il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato a provvedere, con propri decreti, alla riassegnazione ad apposite unita' previsionali di base dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze delle somme affluite all'entrata per essere destinate ad alimentare un apposito fondo". In sostanza, lo Stato ha istituito un fondo settoriale in materia regionale, destinato a finanziare direttamente i soggetti di cui al comma 337. Il comma 337 appare chiaramente elusivo della giurisprudenza costituzionale che ha vietato i fmanziamenti statali diretti dei privati in materie regionali: se lo Stato non puo' destinare risorse a specifici scopi nelle materie regionali, esso non puo' eludere questo divieto facendo scegliere la concreta destinazione ai contribuenti (per di piu' nell'ambito di una cerchia ben definita di finalita). Il comma 337, dunque, viola l'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria della Regione nelle materie sopra indicate, cioe' gli artt. 4, 5, 8 e 48 ss. dello Statuto, oltre agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, in collegamento con l'art. 10 legge cost. n. 3/2001 e con la consolidata giurisprudenza costituzionale in materia, nella parte in cui non destina i fondi cosi' resi disponibili alle regioni per il finanziamento delle rispettive politiche. Se anche codesta Corte non ritenesse illegittimo il comma 337, sarebbe comunque lesivo il comma 340, attinente alla gestione del fondo, nella parte in cui, invece di prevedere il riparto delle risorse fra le regioni, contempla una gestione accentrata del fondo e la sua regolamentazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. La gestione accentrata viola l'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria della Regione nelle materie di cui al comma 337, tutte di competenza regionale, non sussistendo alcuna esigenza di esercizio unitario che giustifichi la competenza statale. L'utilizzo delle risorse per le finalita' di cui al comma 337 puo' avvenire con piena efficacia a livello regionale, sulla base di una disciplina regionale. La Regione, dunque, chiede una sentenza sostitutiva che affidi alle regioni la gestione concreta (e la relativa disciplina) dei finanziamenti previsti dal comma 337. Se anche si dovesse ritenere giustificata - per esigenze unitarie che la Regione non riesce ad intravedere - tale forma di gestione, il comma 340 sarebbe comunque illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione, perche' il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in esso previsto e' adottato senza alcun coinvolgimento delle regioni. In subordine si chiede, dunque, che esso sia dichiarato illegittimo perlomeno nella parte in cui non prevede l'intesa con la Conferenza Stato-regioni. 12. - Illegittimita' costituzionale dei commi 357 e 359. Il comma 357 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il fondo per l'innovazione, la crescita e l'occupazione, di seguito denominato, destinato a finanziare da un lato i progetti individuati dal Piano per l'innovazione, la crescita e l'occupazione, dall'altro generici interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario. Il comma 359 dispone che il fondo sia ripartito "esclusivamente tra gli interventi individuati dal Piano di cui al comma 357, nonche' tra gli interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario, proposti dal Ministro della salute, con apposite delibere del CIPE, il quale stabilisce i criteri e le modalita' di attuazione degli interventi in base alle risorse affluite al fondo, riservando il 15 per cento dell'importo da ripartire agli interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario. Si tratta della creazione di un fondo settoriale, per di piu' a gestione centralizzata, in materia regionale, in difetto di esigenze di carattere unitario. Ad avviso della ricorrente regione, e' ovvio che la natura degli interventi non muta per il fatto che il Piano sia "elaborato nel quadro del rilancio della Strategia di Lisbona deciso dal Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo del 16 e 17 giugno 2005", espressione che del resto non allude ad alcunche' di definito. In ogni modo, tale giustificazione non potrebbe valere per gli "interventi di adeguamento tecnologico nel settore sanitario" (i quali per giunta non possono che avere senso all'interno di una programmazione regionale. In ogni modo, se anche in denegata ipotesi il fondo settoriale fosse legittimo e la gestione accentrata si giustificasse in nome di non facilmente individuabili esisgenze unitarie, le disposizioni in questione rimarrebbero illegittime per mancata previsione delle necessarie intese della Conferenza Stato-regioni sia sul Piano che sulle delibere di riparto del Cipe. 13. - Illegittimita' costituzionale del comma 366 e del comma 368, lett. b), n. 1 e 2, e lett. d). Il comma 366 dispone che "ai fini dell'applicazione dei commi da 367 a 372, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attivita' produttive, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, con il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e con il Ministro per l'innovazione e le tecnologie" siano definite "le caratteristiche e le modalita' di individuazione dei distretti produttivi, quali libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l'obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l'efficienza nell'organizzazione e nella produzione, secondo principi di sussidiarieta' verticale ed orizzontale, anche individuando modalita' di collaborazione con le associazioni imprenditoriali". La connessione e l'interferenza dell'istituto dei distretti produttivi con la potesta' legislativa regionale in materia di politica economica e di interventi nell'economia. Infatti, gia' lo Statuto affida all'art. 4 alla potesta' primaria della Regione tutte le materie dello sviluppo economico, e segnatamente: agricoltura e economia montana in genere, caccia e pesca, industria e commercio, artigianato, mercati e fiere, turismo e industria alberghiera, trasporti, acque minerali e termali (rispettivamente nn. 2, 3, 6, 7, 8, 10, 11, 13). Inoltre, lo Statuto riconosce alla Regione potesta' legislativa concorrente, oltre che in materia di servizi pubblici (art. 5, n. 7), tra l'altro in relazione all'ordinamento "degli enti aventi carattere locale o regionale per i finanziamenti delle attivita' economiche nella Regione" (art. 5, primo comma, n. 8), nonche' in materia di "istituzione e ordinamento di enti aventi carattere locale o regionale per lo studio di programmi di sviluppo economico" (n. 9). Cio' rende superfluo ricordare che competenza residuale nelle materie dello sviluppo economico spetta ormai in generale alla Regione a termini dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione (e, ove occorresse, alla ricorrente Regione, in virtu' dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001). Il legislatore statale, ove avesse ritenuto di potere tracciare il quadro generale di tale istituto, data la connessione con interventi - ad esempio di carattere fiscale - di competenza statale, avrebbe tuttavia dovuto, appunto, limitarsi a tale quadro generale, chiamando le regioni a tracciarne i contenuti specifici per ogni realta' regionale. Invece, esso ha disciplinato l'istituto in termini tali da precludere alle regioni l'esercizio della loro potesta' legislativa. Di qui un primo profilo di illegittimita' costituzionale. Invece di fare cio', il legislatore ha in pratica abdicato al proprio compito, per delegare la normazione a decreti ministeriali, in violazione dell'art. 117, sesto comma, che limita il potere regolamentare statale alle materie di competenza statale esclusiva: quale questa, all'evidenza, non e'. In piu', vi e' anche la violazione del principio di legalita' sostanziale, data l'assenza di criteri e parametri legislativi per l'esercizio del potere. In subordine, ove dovesse ritenersi giustificato che le caratteristiche dei distretti e i criteri di individuazione venissero stabiliti con decreto ministeriale, la norma sarebbe comunque illegittima per la mancata previsione di qualunque partecipazione alla decisione delle regioni, pur in materia di loro competenza, e in particolare per la mancata previsione dell'intesa della Conferenza Stato-regioni. Inoltre, la norma neppure riconosce un ruolo necessario della Regione nella concreta individuazione di ciascun distretto, persino questo essendo affidato a regole ministeriali: e questo concretizza un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale. Accanto a quella del comma 366, sotto i profili ora indicati, la ricorrente Regione contesta la legittimita' costituzionale di alcune ulteriori specifiche disposizioni della disciplina relativa ai distretti, in relazione al comma 368. Si tratta, in primo luogo, della lett. b), relativa alle misure definite come amministrative, e precisamente dei nn. 1) e 2). Si tratta ancora, della lett. d). Quanto alla lett. b), il n. 1) di essa stabilisce: che "le imprese aderenti possono intrattenere rapporti con le pubbliche amministrazioni e con gli enti pubblici, anche economici, ovvero dare avvio presso gli stessi a procedimenti amministrativi per il tramite del distretto di cui esse fanno parte"; che "in tal caso, le domande, richieste, istanze ovvero qualunque altro atto idoneo ad avviare ed eseguire il rapporto ovvero il procedimento amministrativo, ivi incluse, relativamente a quest'ultimo, le fasi partecipative del procedimento, qualora espressamente formati dai distretti nell'interesse delle imprese aderenti si intendono senz'altro riferiti, quanto agli effetti, alle medesime imprese"; che "qualora il distretto dichiari altresi' di avere verificato, nei riguardi delle imprese aderenti, la sussistenza dei presupposti ovvero dei requisiti, anche di legittimazione, necessari, sulla base delle leggi vigenti, per l'avvio del procedimento amministrativo e per la partecipazione allo stesso, nonche' per la sua conclusione con atto formale ovvero con effetto finale favorevole alle imprese aderenti, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici provvedono senza altro accertamento nei riguardi delle imprese aderenti"; che "i distretti possono accedere, sulla base di apposita convenzione, alle banche dati formate e detenute dalle pubbliche amministrazioni e dagli enti pubblici". Infme, e' previsto che "con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, sono stabilite le modalita' applicative delle disposizioni del presente numero". Tutte tali disposizioni costituiscono illegittima disciplina dell'azione amministrativa in relazione alle imprese, spettante in toto alla competenza della ricorrente Regione, tranne che per eventuali interventi macroeconomici di competenza dello Stato. Ferma restando l'illegittimita' costituzionale di tutte tali disposizioni, in quanto si riferiscano ad attivita' amministrativa o procedimenti regionali (come e' confermato dal riferimento anche ai "contributi erogati a qualunque titolo sulla base di leggi regionali" contenuto al comma 368, lett. b), n. 2), sia consentito osservare che la lesione e' particolarmente grave in relazione alla norma che in sostanza espropria le amministrazioni dall'attivita' amministrativa di propria competenza, affidandola a corpi espressivi degli interessi parziali delle imprese, di cui per di piu' nessuna legge definisce le caratteristiche: di fronte alle dichiarazioni dei distretti "di avere verificato, nei riguardi delle imprese aderenti, la sussistenza dei presupposti ovvero dei requisiti, anche di legittimazione, necessari, sulla base delle leggi vigenti, per l'avvio del procedimento amministrativo e per la partecipazione allo stesso, nonche' per la sua conclusione con atto formale ovvero con effetto finale favorevole alle imprese aderenti, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici provvedono senza altro accertamento nei riguardi delle imprese aderenti". Tale norma o insieme di norme appare incostituzionale non solo per l'evidente totale espropiazione della potesta' legislativa di disciplina della funzione amministrativa, ma per la compressione della stessa potesta' amministrativa, in violazione diretta dell'art. 8 dello Statuto, che garantisce alla Regione - e non a "libere aggregazioni di imprese" (che poi libere non sono affatto, essendo soggette a ... potesta' normativa ministeriale!) la titolarita' della potesta' amministrativa nelle materie in cui essa gode di potesta' legislativa. E' evidente inoltre che e' violato anche l'art. 97 della Costituzione, data l'evidente parzialita' del soggetto cui vengono affidate le funzioni amministrative, e la sua inidoneita' alla valutazione degli interessi pubblici in generale; ed e' evidente che la Regione e' pienamente legittimata a far valere questo vizio, trattandosi della funzione amministrativa ad essa costituzionalmente spettante. Quanto alla lett. b) n. 2, secondo la quale "al fine di facilitare l'accesso ai contributi erogati a qualunque titolo sulla base di leggi regionali, nazionali o di disposizioni comunitarie, le imprese che aderiscono ai distretti di cui al comma 366 possono presentare le relative istanze ed avviare i relativi procedimenti amministrativi, anche mediante un unico procedimento collettivo, per il tramite dei distretti medesimi che forniscono consulenza ed assistenza alle imprese stesse e che possono, qualora le imprese siano in possesso dei requisiti per l'accesso ai citati contributi, certificarne il diritto", con la ulteriore previsione che "con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalita' applicative della presente disposizione, valgono in sostanza i medesimi argomenti sopra svolti per il n. 1). Da un lato, infatti, si tratta sempre della disciplina del procedimento amministrativo regionale, dall'altro della illegittima previsione di poteri normativi ministeriali, ovviamente preclusi in relazione alla attivita' amministrativa ed ai procedimenti regionali: atti sempre, naturalmente, "di natura regolamentare" (come se potessero queste mere parole fare qualunque differenza) e sempre da assumere senza alcuna partecipazione delle regioni. Infine, viola le competenze legislative ed amministrative regionali anche la costituzione ed organizzazione della Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, senza alcuna partecipazione delle regioni: infatti tale Agenzia e' soggetta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri la quale con propri decreti (naturalmente anch'essi "di natura non regolamentare"), sentiti una mezza dozzina di Ministeri (alcuni dei quali, dice la norma non senza sottile umorismo, "se nominati") definisce "criteri e modalita' per lo svolgimento delle attivita' istituzionali", mentre lo stesso statuto dell' Agenzia "e' soggetto all'approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri", sempre senza partecipazione alcuna delle regioni, ne' alcuna garanzia di loro presenza all'interno dell'agenzia. Indubbiamente alla ricorrente regione appare impressionante il complessivo quadro di illegittimita' costituzionale e di violazione delle competenze regionali che caratterizza la disciplina dei distretti: ed a tale quadro essa chiede a codesta ecc.ma Corte di porre rimedio mediante le richieste pronunce. 14. - Illegittimita' dei commi da 483 a 492 (sulle concessioni di grandi derivazioni). I commi da 483 a 492 dettano una disciplina statale in materia di grandi concessioni ad uso idroelettrico. Conviene premettere che le competenze della Regione Friuli-Venezia Giulia nella materia sono precisate dalle norme di attuazione dello Statuto, e precisamente dal d.lgs. 25 maggio 2001, n. 265. L'art. 1, comma 1, di tale decreto dispone che sono trasferiti alla Regione Friuli-Venezia Giulia "tutti i beni dello Stato appartenenti al demanio idrico, comprese le acque pubbliche, gli alvei e le pertinenze, i laghi e le opere idrauliche, situati nel territorio regionale, con esclusione del fiume Judrio, nel tratto, classificato di prima categoria, nonche' dei fiumi Tagliamento e Livenza, nei tratti che fanno da confine con la Regione Veneto", ed il comma 3 precisa che la Regione esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarita' dei beni trasferiti. L'art. 2 riguarda il Trasferimento di funzioni amministrative. Il comma 1 trasferisce alla Regione "tutte le funzioni amministrative relative ai beni di cui all'art. 1, ivi comprese quelle relative alle derivazioni ed opere idrauliche, che gia' non le spettino", ed il comma 2 sancisce che "sono, altresi', delegate alla Regione le funzioni amministrative inerenti alle grandi derivazioni". L'art. 3 aggiuntivamente trasferisce alla Regione tutte le funzioni non espressamente indicate nell'art. 88 del d.lgs. n. 112 del 1998. In tale quadro e' ulteriormente intervenuta la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha attribuito alla potesta' concorrente delle regioni la materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia elettrica. La Regione ha disciplinato la materia, da ultimo con l'ampia legge regionale 3 luglio 2002, n. 16. Cio' posto, data anche la clausola di salvaguardia, di cui al comma 610, sopra ricordata, si dovrebbe ritenere che le norme qui in discussione, avendo carattere generale, non toccano il regime speciale disposto per la Regione Friuli-Venezia Giulia e non si applicano ad esse. Tuttavia, la circostanza che il comma 492 includa non solo "le regioni" ma anche le Province autonome tra gli enti che entro novanta giorni "armonizzano i propri ordinamenti alle norme dei commi da 483 a 491" lascia pensare che, come le Province autonome, anche le regioni a statuto speciale siano destinatarie della nuova normativa statale. E' per tale ragione che si rende necessaria la presente impugnazione. L'esame dell'insieme di norme di cui ai commi da 483 a 492, dedicati alle grandi. derivazioni idroelettriche consente di individuare diversi blocchi normativi, e precisamente: a) Un gruppo di disposizioni destinate ad applicarsi (se mai lo saranno) "a regime", ovvero dopo la scadenza delle proroghe contestualmente concesse da un altro gruppo delle stesse disposizioni. Questo primo gruppo e' formato dai commi 483 (regola generale della gara), 489 (disposizioni particolari per i rami di azienda), 490 (procedura di determinazione del valore dei rami in caso di disaccordo); b) Un gruppo di disposizioni che prorogano le concessioni in essere e disciplinano gli adempimenti cui la proroga e' subordinata. Si tratta dei commi 485, 486, 487 e 488. In effetti, secondo quanto disposto dal comma 485, a condizione che siano stati effettuati "congrui" interventi di ammodernamento, esse sono prorogate di ben dieci anni rispetto alla data di naturale scadenza. Il comma 487 precisa che "ai fini di quanto previsto dal comma 485, si considerano congrui interventi di ammodernamento tutti gli interventi, non di manutenzione ordinaria o di mera sostituzione di parti di impianto non attive effettuati o da effettuare nel periodo compreso fra il 1° gennaio 1990 e le scadenze previste dalle norme vigenti prima della data di entrata in vigore della presente legge, i quali comportino un miglioramento delle prestazioni energetiche ed ambientali dell'impianto per una spesa complessiva che, attualizzata alla data di entrata in vigore della presente legge sulla base dell'indice Eurostat e rapportata al periodo esaminato, non risulti inferiore a 1 euro per ogni MWh di produzione netta media annua degli impianti medesimi" (una riduzione ad un terzo e' prevista "per le concessioni che comprendano impianti di pompaggio"). Il comma 488 dispone, a pena di "nullita' della proroga" (sic), comode procedure di autocertificazione dell'entita' degli investimenti effettuati o in corso o deliberati, dando alle "amministrazioni competenti" sei mesi per "verificare la congruita' degli investimenti autocertificati". Naturalmente il "mancato completamento nei termini prestabiliti degli investimenti deliberati o in corso" e' "causa di decadenza della concessione". Ancora, il comma 486 prevede un "canone aggiuntivo" per le concessioni relative anche a beni demaniali delle province autonome, i cui proventi sono riservati, per la quota piu' consistente, alle entrate dello Stato, e la quota residuale ai comuni interessati. c) Sia le disposizioni del gruppo a) che quelle del gruppo b) sono concepite in termini generali, senza specifici riferimenti alla Regione Friuli-Venezia Giulia, ma s'e' gia' detto che talune disposizioni lasciano intendere che la nuova disciplina voglia riferirsi anche al territorio della ricorrente Regione. d) In generale, poi, secondo il comma 491, "le disposizioni del presente articolo costituiscono norme di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e attuano i principi comunitari resi nel parere motivato della Commissione europea in data 4 gennaio 2004" (in realta' non esiste alcun "presente articolo", dato che si tratta di un articolo unico, e solo un'operazione interpretativa volonterosa consente di delimitare il richiamo ai commi subito sopra indicati. e) Il comma 492 dispone infine, come detto che "entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni e le Province autonome armonizzano i propri ordinamenti alle norme dei commi da 483 a 491". Tale e' l'insieme normativo. E' evidente, tuttavia, che la sola disposizione destinata a non applicarsi prima di dieci anni, e dunque l'obiettivo essenziale dell'intera disciplina, e' la proroga di tutte le grandi concessioni di derivazione idroelettrica in corso alla data di entrata in vigore della legge finanziaria. I) Illegittimita' costituzionale delle disposizioni che dispongono e disciplinano la proroga decennale delle concessioni. a) legittimita' intrinseca della proroga. Il comma 485 dispone che "in relazione ai tempi di completamento del processo di liberalizzazione e integrazione europea del mercato interno dell'energia elettrica, anche per quanto riguarda la definizione di principi comuni in materia di concorrenza e parita' di trattamento nella produzione idroelettrica, tutte le grandi concessioni di derivazione idroelettrica, in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, sono prorogate di dieci anni rispetto alle date di scadenza". Ad avviso della ricorrente regione, la disposizione risulta illegittima e lesiva dei (suoi interessi sotto diversi profili. In primo luogo, la proroga risulta in contrasto con le procedure ordinarie di gestione del gene pubblico affidate alla Regione dalle norme di attuazione sopra ricordate. In secondo luogo, la proroga viola l'autonomia finanziaria regionale, privandola dei maggiori importi che deriverebbero dall'affidamento delle concessioni - se non vi fossero altri interessi pubblici prevalenti - alle migliori condizioni del mercato, il cui conseguimento, nonostante il canone aggiuntivo, e' ovviamente reso impossibile dalla proroga. In terzo luogo, le disposizioni impugnate interferiscono con le competenze regionali in violazione di quella stessa regola che secondo lo Stato dovrebbe fondare la sua competenza, cioe' la regola della tutela della concorrenza. E' evidente infatti che, al di la' delle ambigue parole del comma (la proroga e' disposta "in relazione ai tempi di completamento del processo di liberalizzazione e integrazione europea del mercato interno dell'energia elettrica"!) la proroga per la propria intrinseca natura viola le regole di concorrenza, impedendone il funzionamento. In definitiva, appare palese che le tutela della concorrenza nel settore idroelettrico invocata dalla Commissione, e' platealmente negata dalle norme dello Stato, che la pospone di un lasso di tempo notevolissimo, con grave danno tanto per la liberalizzazione del settore, che per la programmazione economica della Regione, nonche' in contrasto con le disposizioni comunitarie. Ad avviso della ricorrente regione e' evidente che la potesta' eslusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza a termini dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., non puo' essere esercitata per introdurre norme contrarie all'instaurazione di mercati concorrenziali e alle politiche comunitarie di liberalizzazione. E si noti che non si tratta affatto soltanto di una questione europea - questione che pure e' ovviamente rilevante - dal momento che anche la concorrenza tra imprese nazionali rimane ugualmente e contestualmente impedita. b) illegittimita' della proroga in relazione alle condizioni alle quali e' collegata. Ugualmente illegittima appare la proroga con riferimento alle condizioni alle quali essa e' collegata. Da una parte, infatti, il comma 487 collega la proroga automatica in larga parte ad interventi di ammodernamento gia' compiuti, evidentemente all'interno del quadro economico della precedente concessione, attribuendo arbitrariamente ad essi rilevanza per il mantenimento della concessione. Peraltro, non puo' non sottolinearsi che anche per la parte in cui questi "congrui interventi di ammodernamento degli impianti" non siano gia' stati effettuati in passato, ma siano ancora da attuarsi, manca qualsiasi riferimento all'ovvia esigenza che miglioramenti delle "prestazioni ambientali" dell'impianto siano concordate con la Regione, che nei settori ambientali interessati ha responsabilita' e competenza propria. c) illegittimita' del comma 488 in quanto disciplina le funzioni amniinistrative di controllo della sussistenza delle condizioni per la proroga. Anche il comma 488, secondo il quale "i titolari delle concessioni, a pena di nullita' della proroga, autocertificano entro sei mesi dalle scadenze di cui ai commi precedenti l'entita' degli investimenti effettuati o in corso o deliberati e forniscono la relativa documentazione", dando poi sei mesi alle amministrazioni competenti per verificare la congruita' degli investimenti autocertificati, viola le competenze legislative e amministrative regionali previste dalle norme di attuazione, sia laddove prevede gli adempimenti a carico dei concessionari, sia dove stabilisce il termine entro il quale la Regione deve compiere le proprie verifiche. II) Illegittimita' costituzionale del comma 491, in relazione alla autoqualificazione che esso effettua. Il comma 491 afferma che "le disposizioni del presente articolo costituiscono norme di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e attuano i principi comunitari resi nel parere motivato della Commissione europea in data 4 gennaio 2004". Ora, a parte la palese non corrispondenza delle disposizioni in questione con i principi comunitari - che non richiedono certamente proroghe delle concessioni in essere! - la norma risulta ad avviso della ricorrente Regione in quanto "autoqualifica" tali norme come norme di competenza esclusiva statale, mentre tale qualificazione non puo' essere "imposta" dal legislatore, essendo un dato oggettivo, soggetto ad accertamento e verifica da parte di codesta ecc.ma Corte costituzionale. Per la stessa ragione sono state dichiarate illegittime norme che autoqualificavano insiemi di disposizioni quali "principi fondamentali" della materia (cfr. ad esempio sent. 16 luglio 1991, n. 349 e sent. Corte cost., 7 novembre 1995, n. 482). Cio' a prescindere da ogni questione sullo stesso valore del riparto di competenze tracciato dall'art. 117, comma secondo, in relazione alle competenze statutarie della ricorrente Regione. III) Illegittimita' costituzionale del comma 492, in quanto impone un onere di adeguamento alle norme statali. Il comma 492 stabilisce che "entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge le regioni e le Province autonome armonizzano i propri ordinamenti alle norme dei commi da 483 a 491". Si tratta di un onere di adeguamento che non ha alcun fondamento costituzionale, dato che le acque pubbliche, in generale, appartengono alla potesta' regionale residuale, ai sensi dell'art. 117, comma 4 (operante in virtu' dell'art. 10 legge cost. n. 3 del 2001). Se anche vi fosse titolo costituzionale per l'intervento statale, la disposizione rimarrebbe illegittima. In primo luogo non se ne comprende il senso, non potendosi supporre che l'onere di adeguamento consista nel ... dovere di prorogare ugualmente tutte le concessioni idroelettriche! In secondo luogo, se si dovesse supporre cio', risulta evidente, ad avviso della ricorrente Regione, che l'imposizione di un siffatto dovere e' costituzionalmente illegittimo, non potendosi vincolare le regioni, nel quadro delle proprie competenze, ad una proroga che non puo' corrispondere ad alcun principio, e che inoltre e' gia' illegittima anche per il campo di applicazione diretta delle norme qui impugnate. l5. - Illegittimita' costituzionale del comma 556. Il comma 556 dispone in primo luogo che "al fine di prevenire fenomeni di disagio giovanile legato all'uso di sostanze stupefacenti, e' istituito presso il Dipartimento nazionale per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, l'"Osservatorio per il disagio giovanile legato alle tossicodipendenze". La Regione non contesta l'istituzione dell'Osservatorio nazionale, ma ritiene che la disposizione sia illegittima in quanto non prevede l'intesa della Conferenza Stato-regioni sulle caratteristiche di composizione e di organizzazione dell'Osservatorio. In secondo luogo, si dispone che presso il Dipartimento nazionale per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, e' istituito il "Fondo nazionale per le comunita' giovanili" per favorire le attivita' dei giovani in materia di sensibilizzazione e prevenzione del fenomeno delle tossicodipendenze"; che la dotazione finanziaria di tale Fondo sia fissata in 5 milioni di euro per l'anno 2006; che il 95 per cento del Fondo venga destinato "alle comunita' giovanili individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge"; che infine con tale decreto (immancabilmente definito "di natura non regolamentare") vengano determinati anche "i criteri per l'accesso al Fondo e le modalita' di presentazione delle istanze". La presente impugnazione non riguarda il 5% del fondo destinato alle sue attivita' di comunicazione. Per il rimanente 95%, invece, si tratta di un fondo settoriale in materia di competenza regionale, la cui previsione, secondo la giurisprudenza ormai consolidata di codesta ecc.ma Corte costituzionale, e' illegittima, a maggiore ragione quando tale fondo sia destinato ad essere gestito centralmente dallo Stato, nonostante che si tratti di finanziare singole comunita' giovanili nelle diverse regioni (si vedano in tema di fondi settoriali, ad esempio, le sentenze n. 370 del 2003, la 16, la 49, la 308 e la 320 del 2004). Qualora - come e' stato ritenuto con la sentenza n. 423 del 2004 per il Fondo delle politiche sociali - un fondo settoriale si giustificasse temporaneamente nel campo della prevenzione delle tossicodipendenze, la disposizione rimarrebbe illegittima in quanto la disciplina degli interventi e la determinazione delle relative modalita' di gestione amministrativa appartiene alla competenza regionale, e dunque vi e' illegittimita' in quanto il Fondo non viene, per la quota del 95%, ripartito tra le regioni, ed in quanto la disciplina attuativa viene affidata ad un atto normativo ministeriale. In ulteriore subordine, ove si ritenesse - benche' non sembrino affatto ricorrerne i presupposti - che il principio di sussidiarieta' imponga la gestione centrale del fondo, la norma rimarrebbe illegittima per difetto assoluto dei meccanismi di cooperazione necessari a termini della sentenza n. 303 del 2003: sarebbe dunque in ogni caso illegittima la mancata previsione previsione dell'intesa della Conferenza Stato-regioni sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che individua le comunita' giovanili destinarie del finaziamento ed i criteri per l'accesso al Fondo e le modalita' di presentazione delle istanze. 16. - Illegittimita' dei commi 586 e 593. I commi da 583 al 593 introducono la categoria degli "insediamenti turistici di qualita' di interesse nazionale" e ne disciplina la realizzazione. Benche' la legittimita' costituzionale dell'intera disciplina, che ricade nalla materia del turismo, ormai di competenza residuale regionale, sia dubbia, la Regione Friuli-Venezia Giulia intende limitare la propria impugnazione a soli due aspetti della disciplina, che ritiene particolarmente lesivi delle proprie attribuzioni. Si tratta, in primo luogo, del comma 586, ai sensi del quale la realizzazione degli interventi puo' essere proposta dagli enti locali territorialmente competenti, anche associati, dai soggetti ammessi dalla legge n. 109/1994 a partecipare alle procedure di affidamento dei lavori pubblici, anche come partner associati con gestori di servizi o enti finanziatori, nonche' da ogni altro soggetto dotato di requisiti tecnici, organizzativi e finanziari, la cui definizione e' rinviata ad un regolamento del Ministro delle attivita' produttive, di concerto con altri Ministri, ma senza alcuna partecipazione delle regioni. La ricorrente Regione intende far valere l'illegittimita' che consiste nella mancata previsione dell'intesa con la Conferenza Stato-regioni, evidentemente necessaria ove si ritenga che il principio di sussidiarieta' giustifichi la competenza ministeriale. In secondo luogo, la regione impugna la disposizione del comma 593, secondo la quale "i comuni interessati possono prevedere l'applicazione di regimi agevolati ai fini del contributo di cui all'art. 16 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". La norma evidentemente invade la competenza primaria regionale in materia di urbanistica (art. 4, secondo comma, n. 12, Statuto), il risultato di consentire ai comuni, in applicazione diretta della norma statale, di disapplicare le norme regionali attualmente vigenti. Si noti che il principio per cui, in materie attribuite alla competenza regionale lo Stato non puo' emanare norme di dettaglio autoapplicative, tanto piu' quando la Regione abbia gia' disciplinato la materia con proprie leggi, e' stato riconosciuto da codesta Corte costituzionale anche in relazione alle materie di potesta' concorrente (sent. 6/2004). A maggiore ragione, ovviamente, esso vale nelle materie di potesta' primaria. 17 . - Illegittimita' costituzionale dei commi da 597 a 600. I commni da 597 a 600 disciplinano una porzione della materia edilizia residenziale pubblica, ed in particolare le procedure di alienazione degli immobili nonche' l'utilizzazione delle somme ricavate. Complessivamente, si tratta di una disciplina, per di piu' dettagliata, in una materia, quale quella indicata, di competenza regionale residuale. Manca dunque un titolo di competenza statale, con conseguente illegittimita' costituzionale dell'intera disciplina. Precisamente, il comma 597 dispone che "con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono semplificate le norme in materia di alienazione degli immobili di proprieta' degli Istituti medesimi". Come detto, manca un titolo di competenza legislativa statale, e la lesione di competenza non viene meno per il fatto che tale decreto e' da emanare, una volta tanto, "previo accordo tra Governo e regioni". Per la stessa ragione sono illegittimi i "principi" imposti dal comma 598 quali contenuti indefettibili dell'accordo tra Governo e regioni, come pure il comma 600, che autorizza gli enti e gli Istituti proprietari ad "affidare a societa' di comprovata professionalita' ed esperienza in materia immobiliare e con specifiche competenze nell'edilizia residenziale pubblica, la gestione delle attivita' necessarie al censimento, alla regolarizzazione ed alla vendita dei singoli beni immobili". Sia consentito di notare che la lett. c) del comma 598 e' ulteriormente illegittima per il fatto che pone un vincolo alla utilizzazione dei proventi delle alienazioni, prescrivendo che essi siano destinati "alla realizzazione di nuovi alloggi, al contenimento degli oneri dei mutui sottoscritti da giovani coppie per l'acquisto della prima casa, a promuovere il recupero sociale dei quartieri degradati e per azioni in favore di famiglie in particolare stato di bisogno": con evidente intromissione nelle determinazioni regionali circa l'uso delle risorse a disposizione.
P. Q. M. Chiede voglia codesta Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' constituzionale dell'art. 1, commi 24, 26, 88, 148, da 166 a 169, 198, 204, 276, 280, 281, 283, 284, 285, 286, 337, 340, 357, 359, 366, 368, da 483 a 492 (escluso il comma 484), 556, 586, 593, da 597 a 600, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006), nelle parti e per i profili sopra illustrati. Padova, addi' 24 febbraio 2006 Prof. avv. Giandomenico Falcon