Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 6 maggio 2011 (della Regione Marche).

 

 

 

(GU n. 25 del 8.6.2011)

 

    Ricorso della Regione  Marche,  in  persona  del  Presidente  pro tempore della Giunta regionale, a cio' autorizzato con  deliberazione della Giunta regionale n. 583 del 19  aprile  2011,  rappresentato  e difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi  ed  elettivamente  domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma,  piazza  Barberini  n.  12, come da  procura  speciale  per  atto  del  notaio  Fernando  Rosario Giampietro di Ancona, n. rep. 2182 del 19 aprile 2011;

    Contro lo Stato, in persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri  pro  tempore,  per  la  dichiarazione   di   illegittimita' costituzionale  in  parte  qua  dell'art.  2,  comma  2-quater,   del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di  termini  previsti da disposizioni  legislative  e  di  interventi  urgenti  in  materia tributaria  e  di  sostegno  alle  imprese  e  alle  famiglie),  come convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 26 febbraio  2011,  n.  47 S.O., nella parte in cui ha  introdotto  i  nuovi  commi  5-quater  e 5-quinquies  nell'art.  5  della  legge  24  febbraio  1992,  n.  225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile).

    1. - Il presente ricorso trae origine dalla conversione in  legge del decreto-legge 29  dicembre  2010,  n.  225  (Proroga  di  termini previsti da disposizioni  legislative  e  di  interventi  urgenti  in materia tributaria e di  sostegno  alle  imprese  e  alle  famiglie), avvenuta ad opera della legge 26 febbraio 2011, n. 10.

    In sede di  conversione  il  comma  2-quater  e'  stato  aggiunto all'art. 2 del d.l. n. 225 del  2010.  Sono  starti  cosi'  inseriti, nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992,  n.  225  (Istituzione  del Servizio nazionale della protezione  civile),  due  nuovi  commi:  il 5-quater e il 5-quinquies, nei quali si stabilisce:

        5-quater: «A  seguito  della  dichiarazione  dello  stato  di emergenza, il Presidente della regione interessata  dagli  eventi  di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), qualora  il  bilancio  della regione non  rechi  le  disponibilita'  finanziarie  sufficienti  per effettuare le spese conseguenti all'emergenza ovvero per la copertura degli oneri conseguenti alla  stessa,  e'  autorizzato  a  deliberare aumenti,  sino   al   limite   massimo   consentito   dalla   vigente legislazione, dei tributi, delle addizionali, delle  aliquote  ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla regione,  nonche'  ad elevare  ulteriormente  la  misura  dell'imposta  regionale  di   cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 21  dicembre  1990, n. 398, fino a un massimo di cinque centesimi  per  litro,  ulteriori rispetto alla misura massima consentita»;

        5-quinquies: «Qualora le misure adottate ai sensi  del  comma 5-quater non siano sufficienti, ovvero in tutti  gli  altri  casi  di eventi di cui al comma 5-quater di rilevanza nazionale,  puo'  essere disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale  di  protezione civile. Qualora sia utilizzato il fondo di cui all'articolo 28  della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il  fondo  e'  corrispondentemente  e obbligatoriamente reintegrato in pari misura con le maggiori  entrate derivanti dall'aumento  dell'aliquota  dell'accisa  sulla  benzina  e sulla benzina senza piombo,  nonche'  dell'aliquota  dell'accisa  sul

gasolio usato come carburante di cui all'allegato I del  testo  unico delle  disposizioni  legislative   concernenti   le   imposte   sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504,  e  successive modificazioni. La  misura  dell'aumento,  comunque  non  superiore  a cinque  centesimi  al  litro,  e'  stabilita  con  provvedimento  del direttore dell'Agenzia delle dogane in  misura  tale  da  determinare maggiori entrate corrispondenti all'importo prelevato  dal  fondo  di riserva. La disposizione del terzo  periodo  del  presente  comma  si applica anche per la copertura degli oneri derivanti dal differimento dei termini per i versamenti tributari e contributivi  ai  sensi  del comma 5-ter».

    Con il  presente  atto,  la  Regione  ricorrente  impugna  queste disposizioni perche' dirette a produrre l'effetto di porre  a  carico del bilancio regionale il peso finanziario di tutte  le  funzioni  di protezione  civile  volte  a  fronteggiare  eventi  straordinari,   a prescindere dall'ente competente ad esercitare  tali  funzioni  e  ad effettuare gli  interventi  concreti,  e  cio'  anche  quando  l'ente competente sia lo Stato. La legge statale pone a carico della Regione non solo gli oneri economici e finanziari connessi all'esercizio delle funzioni di competenza regionale, ma anche quelli che  fanno  capo alle funzioni attibuite  a  tutti  gli  altri  enti  coinvolti  dalla situazione di emergenza e, in particolare, alle funzioni esercitate o

facenti capo a organi o servizi dello Stato.

    2. - Il quadro normativo nel quale le disposizioni  impugnate  si inseriscono e' il seguente.

    Il sistema di protezione civile e' disciplinato  dalla  legge  n. 225 del 1992, dagli artt. 107-109 del d.lgs. 31 marzo  1998,  n.  112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello  Stato  alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge  15 marzo 1997, n. 59),  nonche'  dal  d.l.  7  settembre  2001,  n.  343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture  preposte  alle  attivita'  di  protezione  civile  e   per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa  civile), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 401 del 2001.

    In particolare, l'art. 2, comma 1, lett. c), della legge  n.  225 del 1992 stabilisce: «Ai fini dell'attivita' di protezione civile gli eventi  si  distinguono  in:  a)  eventi  naturali  o  connessi   con l'attivita'  dell'uomo  che  possono  essere  fronteggiati   mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via  ordinaria;  b)  eventi  naturali  o  connessi  con   l'attivita' dell'uomo che per loro natura ed estensione  comportano  l'intervento coordinato  di  piu'  enti  o  amministrazioni  competenti   in   via ordinaria; c) calamita' naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed estensione, debbono essere  fronteggiati  con  mezzi  e poteri straordinari».

    L'individuazione delle funzioni che sono destinate  ad  attivarsi dinanzi  a  quest'ultima   categoria   di   eventi   deve   procedere necessariamente tramite l'analisi del successivo  art.  5,  comma  1, della medesima legge. Esso dispone infatti che, «al verificarsi degli eventi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), il  Consiglio  dei ministri, su proposta del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, ovvero, per sua  delega  ai  sensi  dell'articolo  1,  comma  2,  del Ministro per il coordinamento della protezione  civile,  delibera  lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione  territoriale in stretto riferimento alla qualita' ed alla  natura  degli  eventi», aggiungendo che «con le medesime modalita' si procede alla  eventuale revoca  dello  stato  di  emergenza  al  venir  meno   dei   relativi presupposti». Il successivo comma 2  prevede  che  «per  l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione  di  cui al comma 1, si provvede, nel quadro di quanto previsto dagli articoli 12, 13, 14, 15 e 16, anche a mezzo di ordinanze  in  deroga  ad  ogni disposizione  vigente,  e  nel   rispetto   dei   principi   generali dell'ordinamento giuridico», prevedendo altresi'  che  «le  ordinanze sono emanate di concerto, relativamente  agli  aspetti  di  carattere finanziario, con il Ministro dell'economia  e  delle  finanze»  (tale periodo  e'  stato   aggiunto   dall'art.   2,   comma   2-quinquies, dell'impugnato d.l. n. 225 del 2010, come convertito  in  legge).  Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 5 della legge n.  225  del  1992, inoltre, «il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero,  per  sua delega ai  sensi  dell'articolo  1,  comma  2,  il  Ministro  per  il coordinamento  della  protezione  civile,   puo'   emanare   altresi' ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di  pericolo  o  maggiori danni a persone o a cose (...)». Infine, in  base  al  comma  4,  «il Presidente del Consiglio dei ministri,  ovvero,  per  sua  delega  ai sensi dell'articolo 1, comma 2,  il  Ministro  per  il  coordinamento della protezione civile, per l'attuazione degli interventi di cui  ai commi 2 e 3 del  presente  articolo,  puo'  avvalersi  di  commissari delegati (...)».

    Ai sensi dell'art. 107 del d.lgs. n. 112  del  1998,  allo  Stato spetta la «predisposizione, d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati, dei piani di emergenza in caso di eventi  calamitosi  di cui all'articolo 2, comma 1, lettera  c),  della  legge  24  febbraio 1992, n. 225 e la loro attuazione», nonche' il compito di  provvedere al «soccorso tecnico urgente, (alla)  prevenzione  e  lo  spegnimento degli incendi e (allo) spegnimento  con  mezzi  aerei  degli  incendi boschivi».

    L'art. 11 della legge n. 225 del 1992 individua le  strutture  di livello  nazionale  alle  quali  e'  necessario  affidarsi  per   gli interventi operativi. Si tratta: del Corpo nazionale dei  vigili  del fuoco,  delle  Forze  armate,  delle  forze  di  Polizia,  del  Corpo forestale dello Stato, dei  Servizi  tecnici  nazionali,  dei  gruppi nazionali  di   ricerca   scientifica   di   cui   all'articolo   17, dell'Istituto nazionale di  geofisica  (e  di  altre  istituzioni  di ricerca), della Croce rossa italiana, delle  strutture  del  Servizio sanitario nazionale, delle organizzazioni di volontariato e,  infine, del Corpo nazionale soccorso alpino - CNSA (CAI).

    All'attivita' di protezione civile, tuttavia, sono  chiamati,  in collaborazione  tra  loro,  diversi  enti  e  soggetti,   individuati nell'art.  6  della  legge  n.  225  del  1992.  In  articolare,   la disposizione citata, al comma 1, prevede  che  «all'attuazione  delle attivita' di  protezione  civile  provvedono,  secondo  i  rispettivi ordinamenti e le  rispettive  competenze,  le  amministrazioni  dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le comunita' montane, e vi concorrono gli enti pubblici, gli istituti ed  i  gruppi  di  ricerca scientifica con finalita' di protezione civile,  nonche'  ogni  altra istituzione ed organizzazione anche privata».

    Si tratta, tuttavia, di una norma che  riguarda  in  generale  il concorso dei diversi enti che compongono il «Servizio nazionale della protezione civile» a tutte le varie e  molteplici  attivita'  che  al medesimo devono essere ricondotte. Le norme impugnate si riferiscono, in particolare, all'assetto delle competenze concernenti la  gestione degli eventi straordinari di cui all'ad. 2, comma 1, lett. c),  della legge n. 225 del 1992.

    In relazione a questi eventi, le attribuzioni e funzioni affidate alla Regione (ed agli altri enti sub-statali) si  debbono  richiamare le norme di cui agli arti. 108 e 107 del d.lgs. n.  112  del  1998  e l'art.12 della legge n. 225 del 1992.

    Agli  enti  locali  sub-regionali  sono  affidate   dalla   legge importanti (seppur circoscritte) funzioni: l'art. 108, comma  1,  del d.lgs. n. 112 del 1998, alloca al livello comunale  la  competenza  a provvedere alla «attivazione dei primi soccorsi  alla  popolazione  e degli interventi urgenti necessari a fronteggiare l'emergenza»; «alla vigilanza  sull'attuazione,  da  parte  delle  strutture  locali   di protezione civile, dei servizi urgenti»;  infine,  «all'utilizzo  del volontariato  di   protezione   civile   a   livello   comunale   e/o intercomunale, sulla base degli indirizzi nazionali e regionali».

    Alle regioni spettano competenze che  -  nell'ambito  del  quadro suddetto - assumono caratteri complementari:  l'art.  107,  comma  1, lett. a), numero 4 e  7,  affida  alla  Regione  l'«attuazione  degli interventi necessari per favorire il ritorno alle normali  condizioni di vita nelle aree colpite  da  eventi  calamitosi»,  e  le  funzioni relative «agli  interventi  per  l'organizzazione  e  l'utilizzo  del volontariato»; cosi' come l'art. 12 della legge n. 225  del  1992  si limita ad affidare alla Regione il generico compito di «partecipa(re) all'organizzazione e all'attuazione  delle  attivita'  di  protezione civile indicate nell'articolo 3» della  medesima  legge,  ossia  (per

quel che qui specificamente rileva), «al soccorso  delle  popolazioni sinistrate  ed  ogni  altra  attivita'  necessaria  ed  indifferibile diretta  a  superare  l'emergenza  connessa  agli   eventi   di   cui all'articolo 2».

    A queste competenze delle regioni si  possono  aggiungere  quelle eventualmente  affidate  da  specifiche  ordinanze   governative   di protezione  civile,  che  provvedano  in  deroga  alle   disposizioni vigenti. 11 quadro delle competenze  e'  definito,  in  termini  piu' generali, dall'art. 5, comma 1, del d.l. n. 343 del  2001,  il  quale cosi' dispone: «Il Presidente del Consiglio dei ministri,  ovvero  il Ministro dell'interno da lui  delegato,  determina  le  politiche  di protezione civile, detiene  i  poteri  di  ordinanza  in  materia  di protezione  civile,  promuove   e   coordina   le   attivita'   delle amministrazioni centrali e periferiche dello  Stato,  delle  regioni, delle  province,  dei  comuni,  degli  enti  pubblici   nazionali   e

territoriali e di ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale,  finalizzate  alla  tutela dell'integrita'  della  vita,  dei   beni,   degli   insediamenti   e dell'ambiente  dai  danni  o  dal  pericolo  di  danni  derivanti  da calamita' naturali, da catastrofi  e  da  altri  grandi  eventi,  che determinino situazioni di grave rischio, salvo  quanto  previsto  dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (...)». Come  si  vede,  la competenza del Presidente del Consiglio dei ministri  in  materia  di

protezione  civile  e'  disegnata  come  una  competenza  generale  e residuale: tutto cio' che non e' specificamente attribuito  ad  altri enti (e si tratta, come si e' visto, di compiti limitati  e  comunque di minore portata,  almeno  in  relazione  al  settore  degli  eventi straordinari di cui al cit. art. 2, comma 1, lettera c), legge n. 225 del 1992), e' infatti attribuito alla Presidenza  del  Consiglio.  Le stesse competenze  degli  altri  enti  territoriali,  peraltro,  sono derogabili mediante le ordinanze di protezione  civile,  che  possono disporre anche in difformita' dalle disposizioni legislative vigenti.

    Come si puo' agevolmente constatare, quelle volte a  fronteggiare eventi calamitosi straordinari sono  funzioni,  nel  loro  complesso, affidate alle politiche governative, ed in particolare attribuite  al Presidente  del  Consiglio  dei  ministri.  Gli   enti   territoriali sub-statali svolgono funzioni di supporto e sostanzialmente ancillari rispetto a quelle affidate agli apparati dello Governo centrale.

    3.  -  Le  nuove  previsioni  contenute  nei  commi  5-quater   e 5-quinquies dell'art. 5 della legge n. 225 del  1992  inseriscono  in questo   sistema   norme   che   limitano   fortemente    l'autonomia costituzionale delle regioni. Si tratta, infatti,di norme  che  fanno gravare interamente sul bilancio  regionale  anche  il  finanziamento delle funzioni e degli interventi volti  a  fronteggiare  l'emergenza connessa ad eventi  straordinari  che  non  sono  riconducibili  alla competenza delle  regioni  e,  in  particolare,  le  funzioni  e  gli interventi di competenza dello Stato o degli altri enti territoriali.

    Nonostante  la  pluralita'  di  enti  chiamati   a   fronteggiare l'emergenza, e nonostante il ruolo di  primo  piano  che  ricopre  lo Stato nelle  vicende  in  questione,  infatti,  i  commi  5-quater  e 5-quinquies  dell'art.  5  della  legge  n.  225  del  1992   pongono interamente a carico del bilancio della Regione interessata, o  delle regioni territorialmente interessate da una dichiarazione di stato di emergenza per gli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c),  tutti gli oneri  finanziari  conseguenti  all'emergenza,  indipendentemente dagli organi e dall'ente (Stato, regione, province e comuni) chiamati ad intervenire in concreto  sulla  base  del  riparto  di  competenze stabilito nei richiamati artt. 5-6 e 11-15 della  medesima  legge  n. 225 del 1992 e nell'art. 5 del d.l. n. 343 del  2001,  nonche'  nelle ordinanze contingibili e urgenti eventualmente  derogatorie  rispetto alla normativa legislativa vigente sul riparto  delle  competenze  e, dunque, indipendentemente  dalla  titolarita'  statale,  regionale  o locale delle funzioni amministrative  in  concreto  esercitate  o  da esercitare.

    Il bilancio regionale si trova dunque a dover fronteggiare  spese connesse a funzioni che la Regione non e' chiamata  ad  esercitare  e che, viceversa,  fanno  capo  agli  altri  enti  territoriali  e,  in particolare, allo Stato.

    Sempre nel nuovo comma 5-quater e' contenuta una  previsione  che solo all'apparenza determina un ampliamento dei poteri spettanti alle regioni.  Ai  sensi  di  questa  disposizione,  infatti,  qualora  il bilancio regionale non risulti capiente per la copertura delle  spese citate, il Presidente della Regione  «e'  autorizzato»  a  deliberare aumenti - nella misura massima consentita dalla legislazione  vigente - dei tributi, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di  aliquote attribuite alla Regione, nonche', all'occorrenza, anche un  ulteriore aumento dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione fino ad un massimo di 5  cent.  per  litro.  A  dispetto  della  formulazione testuale che «formalmente» si limita a riconoscere  un  «potere»,  si tratta a tutti  gli  effetti  dell'imposizione  al  Presidente  della Regione  di  un  «obbligo»  di  esercitare  la  potesta'   tributaria riconosciuta alla Regione dalla legislazione vigente fino  ai  limiti massimi  consentiti  da   questa   o   fino   all'ulteriore   aumento straordinario  dell'imposta  sulla  benzina  per  autotrazione,   con l'ulteriore (e connesso) «obbligo»  di  destinare  i  proventi  delle entrate tributarie cosi' raccolte al finanziamento  degli  interventi necessari a fronteggiare l'emergenza. Da simili «obblighi» la Regione potrebbe «liberarsi» solo ed esclusivamente mediante  una  variazione

di bilancio,  ad  esempio  disponendo  la  riduzione  di  spese  gia' previste in relazione ad altre funzioni.

    Che le  disposizioni  impugnate,  nella  sostanza,  impongano  un «obbligo» alla Regione e' conclusione  supportata  espressamente  dal disposto del comma 5-quinquies, primo periodo, laddove si  stabilisce che la previa adozione delle  misure  di  cui  al  comma  5-quater  e l'eventuale «certificazione» della loro insufficienza a coprire tutte le spese dell'emergenza costituisce  presupposto  indispensabile  per rendere  «possibile»  l'accesso  al  Fondo  nazionale  di  protezione civile, possibilita' quest'ultima interamente rimessa - peraltro - ad

una decisione politica ed unilaterale del Governo nazionale.  L'unica alternativa  espressamente  contemplata  affinche'   «possa»   essere disposto l'utilizzo del predetto  Fondo  nazionale  e'  quella  della "qualificazione" dell'evento in questione come  evento  di  rilevanza nazionale, ma anche in questo caso  la  decisione  -  e,  dunque,  la stessa «qualificazione» dell'evento - rimane affidata ad  una  scelta politica e unilaterale del Governo nazionale.

    4. - Che  questa  sia  l'interpretazione  delle  disposizioni  in questione dalla quale e' necessario prendere le  mosse  ai  fini  del presente giudizio e' mostrato con chiarezza dalla direttiva  adottata dal Presidente del Consiglio dei ministri  all'indomani  dell'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 225 del  2010  -  in data 14 marzo 2011 - e contenente «Indirizzi per lo svolgimento delle attivita' propedeutiche alle deliberazioni del Consiglio dei ministri da adottare ai sensi dell'art. 5, comma 1, della  legge  24  febbraio 1992, n. 225 e per la predisposizione ed attuazione  delle  ordinanze di cui all'art. 5, commi 2 e 3, della legge 24 febbraio 1992, n. 225,

nonche' per l'attuazione del decreto legge 29 dicembre 2010, n.  225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10».

    Innanzi tutto, e' significativa  l'affermazione  contenuta  nella premessa della direttiva, secondo la quale la normativa vigente (come qui si e' evidenziato) attribuisce «al Presidente del  Consiglio  dei ministri  la  titolarita'  delle  politiche  di  protezione  civile», consentendogli   di   «emanare   speciali    ordinanze    derogatorie dell'ordinamento   giuridico   vigente   ed   istituire   altrettanto eccezionali e peculiari assetti organizzativi anche  facenti  capo  a specifici Commissari  delegati».  Ebbene,  secondo  la  direttiva  in questione, ai sensi delle nuove disposizioni introdotte dal  d.l.  n. 225 del 2010, le citate  «politiche»  del  Presidente  del  Consiglio devono essere finanziate, innanzi tutto, a gravare sul bilancio della Regione o delle regioni  interessate.  Cio'  risulta  con  chiarezza, innanzi tutto, dal paragrafo dedicato alle  «risorse  necessarie  per fronteggiare l'emergenza» ove  si  afferma  che,  «per  il  combinato disposto dei citati commi 5-quater e 5-quinquies» della legge n.  225 del 1992, «e' la Regione esclusivamente interessata, ovvero  sono  le regioni interessate (in tal caso pro-quota) a doversi fare carico  in primo luogo del reperimento delle risorse  finanziarie  necessarie  a far fronte ai fabbisogni occorrenti». A  questo  fine  -  secondo  la direttiva - la Regione (o le regioni interessate), dovra' (dovranno):

«a) innanzi tutto (...) reperire all'interno del proprio bilancio  le disponibilita'  finanziarie  sufficienti  per  effettuare  le   spese conseguenti all'evento emergenziale ovvero  per  la  copertura  degli oneri conseguenti allo stesso; b) poi, qualora il bilancio non  rechi tale disponibilita', (...)  deliberare  aumenti  dei  tributi,  delle addizionali, delle aliquote ovvero delle  maggiorazioni  di  aliquote attribuite alla Regione, sino  al  limite  massimo  consentito  dalla legislazione vigente; c) nonche' (...) - sia nel caso che gli aumenti deliberati ai sensi della  lettera  b)  non  assicurino  comunque  il reperimento di tutte le disponibilita' occorrenti sia in quello della impossibilita' di deliberare aumenti giacche' gli stessi  sono  stati gia' precedentemente operati  nei  limiti  massimi  consentiti  dalla legislazione  vigente  -  (...)  elevare  ulteriormente   la   misura dell'imposta regionale di cui  all'art.  17,  comma  1,  del  decreto legislativo n. 398 del 1990, fino a un massimo  di  cinque  centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita».

    La  direttiva,  inoltre,  Ritiene  di  dover  precisare  che   le iniziative  appena  evocate  non  rappresentano  affatto  «una   mera facolta'  lasciata  alla  libera  iniziativa   discrezionale»   della Regione; cio' sulla base dell'incipit del comma 5-quinquies, «laddove esso prevede che (solo) "qualora le  misure  adottate  ai  sensi  del comma 5-quater non  siano  sufficienti  (...)  puo'  essere  disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di protezione civile''».

Come si puo' osservare, la direttiva si rivela ancora piu' severa con le regioni di quanto non risulti dalla stessa disposizione normativa:

essa, infatti, con una omissione verosimilmente  «consapevole»  nella citazione  del  primo  periodo  del  comma  5-quinquies,   evita   di considerare l'alternativa della «rilevanza  nazionale»  degli  eventi che pure, in base al disposto testuale, dovrebbe consentire l'accesso al  Fondo  nazionale.  Con  queste  premesse,  la  conclusione  della direttiva sul punto non puo' che essere drastica: «In altri  termini, perche' si possa utilizzare il predetto Fondo occorre pur sempre che, prima, risultino effettivamente assunte ed applicate le iniziative di competenza regionale sopra descritte». E a tale riguardo, si  precisa che le  regioni  potranno  accedere  alle  misure  di  cui  al  comma 5-quinquies soltanto «attestando di aver  concretamente  esperito  le

iniziative  di  propria  competenza  di  cui   al   comma   5-quater, evidentemente per la differenza di  fabbisogno  fra  quanto  reperito attraverso le proprie iniziative e quanto  necessario  per  le  spese conseguenti all'evento emergenziale ovvero  per  la  copertura  degli oneri dallo stesso derivanti».

    L'interpretazione  delle  due  nuove  disposizioni  fornita   dal Presidente del Consiglio dei ministri  si  rivela  dunque  di  tenore inequivoco: da esse discende l'effetto di porre a carico del bilancio delle regioni e dei loro sistemi di imposizione fiscale - almeno fino alla loro «certificata insufficienza» - tutti  gli  oneri  finanziari derivanti  dalla  gestione  degli   interventi   di   emergenza   per fronteggiare gli eventi calamitosi di cui all'art. 2, comma 1,  lett. c), della legge n. 225 del 1992, indipendentemente dagli enti,  dagli organi e dalle strutture  competenti  ad  effettuare  gli  interventi suddetti. E a sgombrare il campo da ogni dubbio residuo vale, infine,

la seguente affermazione  contenuta  nel  paragrafo  della  direttiva intitolato alle «risorse necessarie  per  fronteggiare  l'emergenza»:

«Da ultimo, va ribadito che le risorse  complessivamente  individuate per far fronte  all'emergenza  dovranno  essere  destinate  anche  al ristoro degli oneri derivanti dall'attivazione o  dall'impiego  delle componenti e delle strutture  operative  del  Servizio  nazionale  di protezione civile».

    5. - Ad ulteriore sostegno del fatto che quella  appena  indicata sia l'interpretazione delle nuove disposizioni assunta  ufficialmente dal Governo e che essa si riveli gravemente  lesiva  della  posizione costituzionale delle regioni, meritano di essere richiamati  i  fatti che hanno specificamente riguardato la Regione Marche a seguito degli eventi calamitosi verificatisi dal 1° al 6 marzo 2011. La vicenda  e' illustrata con chiarezza nella risoluzione  approvata  dall'Assemblea legislativa delle Marche nel corso della seduta del 5 aprile 2011, n. 40, con la quale  l'organo  legislativo  regionale  ha  impegnato  la Giunta «ad impugnare l'art. 2, comma 2-quater, del  decreto-legge  n. 225/2010 (decreto milleproroghe), convertito nella legge n.  10/2011, innanzi alla Corte costituzionale e la direttiva del  Presidente  del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2011 avanti al competente giudice amministrativo».

    Nelle premesse di fatto della risoluzione si da' atto che:

        «nei giorni dal 1°  al  6  marzo  2011  il  territorio  della Regione Marche e' stato colpito da fenomeni temporaleschi diffusi  di eccezionale  intensita'  che  hanno  provocato  ingenti  danni   alle infrastrutture, agli edifici pubblici e privati,  nonche'  una  grave compromissione delle attivita' produttive nelle zone interessate»;

        «da una prima ricognizione i  danni  ammontano  a  circa  462 milioni di euro, cui vanno aggiunti quelli all'agricoltura»;

        «con decreto del 10 marzo 2011 il  Presidente  del  Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato  di  emergenza  in  relazione  ai suddetti eventi fino al 31 marzo 2012»;

        «la  Regione  ha  chiesto  al  Governo  che  venga   disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale  di  protezione  civile, considerato  il  carattere  di  rilevanza  nazionale   degli   eventi calamitosi»;

        «la Presidenza del  Consiglio  dei  ministri  -  Dipartimento della protezione civile con nota del 31 marzo  2011,  richiamando  la direttiva del Presidente del Consiglio  dei  ministri  del  14  marzo 2011, recante gli indirizzi per lo  svolgimento  delle  attivita'  da adottare per l'adozione delle  ordinanze  di  protezione  civile,  ha ribadito la necessita' che la Regione certifichi: a)  se  sono  state individuate  disponibilita'  all'interno  del  proprio  bilancio  per fronteggiare l'emergenza in questione; b)  se  sono  state  aumentate fino al massimo le aliquote fiscali di competenza  e  in  particolare l'aliquota dell'accisa regionale sulla benzina».

    Di qui la conclusione che  correttamente  ha  tratto  l'Assemblea legislativa delle Marche, secondo  la  quale  «l'interpretazione  del decreto legge n. 225/2010, art.  2,  comma  2-quater,  fornita  dalla direttiva suddetta, condiziona rigidamente  l'intervento  statale  al completo utilizzo da parte delle regioni interessate  della  potesta' tributaria lorda riconosciuta,  negando  in  tal  modo  la  rilevanza nazionale dell'evento e riducendo la giustificazione  dell'intervento nazionale  ad  una   pura   funzione   suppletiva   nell'ipotesi   di insufficienza dei mezzi regionali, indipendentemente dalla  natura  e dalla qualita' degli eventi straordinari».

    6. - La Regione Marche,  pertanto,  con  la  deliberazione  della Giunta indicata in epigrafe, ha espresso  la  volonta'  di  impugnare davanti a questa Corte le disposizioni contenute nell'art.  2,  comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, come convertito  in  legge  dalla legge n. 10 del 2011, perche' costituzionalmente illegittime e lesive dell'autonomia  che  la  Costituzione  riconosce  e  garantisce  alle regioni, in riferimento agli artt. 117, terzo  comma,  e  119  Cost., nonche' al principio costituzionale di leale collaborazione.

    L'illegittimita' costituzionale che si denuncia con  il  presente ricorso si fonda sulle seguenti ragioni di diritto.

    7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione dell'art. 119 Cost. e, in particolare,  del  principio di corrispondenza tra le risorse finanziarie disponibili in base alle fonti di cui ai commi 2 e 3 di tale articolo e le funzioni attribuite in titolarita' a ciascun ente territoriale della Repubblica.

    7.1. - Il comma 2-quater dell'art. 2 del d.l. n.  225  del  2010, come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011,  ha  aggiunto  i commi 5-quater e 5-quinquies all'art. 5 della legge n. 225 del  1992.

Per esigenze di  semplificazione  espositiva,  di  seguito  si  fara' riferimento direttamente alle nuove disposizioni introdotte nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992.

    Tali norme, come si e' detto, pongono a carico dei bilanci  delle regioni colpite da calamita' naturali o altri eventi in relazione  ai quali si decida  di  deliberare  lo  stato  di  emergenza,  ai  sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1,  della  legge n. 225 del 1992, il peso economico di tutti gli interventi  necessari per fronteggiare  l'emergenza,  a  prescindere  dall'ente  cui  debba essere riferita la competenza e la  responsabilita'  in  ordine  alla loro effettiva realizzazione in concreto.

    Le previsioni contenute nei commi 5-quater e  5-quinquies,  primo periodo,  dell'art.  5  della  legge  n.   225   del   1992   violano evidentemente l'art. 119, quarto comma,  Cost.,  poiche'  contrastano con  il  principio  da  esso  desumibile  della  piena  ed  integrale corrispondenza tra le risorse finanziarie disponibili  in  base  alle fonti di cui ai commi secondo e terzo e  le  funzioni  attribuite  in titolarita' a ciascun ente territoriale della Repubblica.

    7.2. - Dal quadro normativo richiamato nelle premesse  di  fatto, in ordine al  riparto  delle  competenze  in  materia  di  protezione civile, emerge chiaramente che, soprattutto in relazione agli  eventi straordinari cui si collega la dichiarazione dello stato di emergenza di cui all'art. 5 della legge n.  225  del  1992,  tra  i  vari  enti territoriali necessariamente coinvolti e' lo Stato  a  ricoprire  una posizione del tutto preminente, quale  soggetto  cui  e'  attribuita, addirittura, una competenza generale e residuale  rispetto  a  quelle specificamente riconosciute alle autonomie territoriali.

    Il  sistema  della  disposizioni  legislative  vigenti  fornisce, pertanto, una conferma inequivoca di quanto affermato  con  chiarezza dalla direttiva del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  del  14 marzo 2011: ossia che quelle volte a fronteggiare  eventi  calamitosi straordinari  sono  senz'altro,  nel   loro   complesso,   «politiche governative» di livello nazionale,  affidate,  in  particolare,  alla responsabilita' del Presidente del Consiglio dei ministri.  Gli  enti territoriali sub-statali hanno una funzione esclusivamente  ancillare

rispetto a tali politiche. Cio' nondimeno, come si e' gia'  posto  in rilievo, le disposizioni impugnate in questa sede stabiliscono che il peso economico di queste politiche debba  gravare  non  sul  bilancio statale -  come  sarebbe  del  tutto  normale,  essendo  le  medesime «politiche statali» - bensi' sui  bilanci  e  sui  sistemi  tributari delle regioni.

    7.3. - Tale previsione contrasta con  il  fondamentale  principio posto dall'art. 119 Cost.,  secondo  cui  non  e'  costituzionalmente consentito  che  una  legge  dello  Stato  imponga  alle  regioni  di finanziare funzioni amministrative di pertinenza del primo.

    Come e' noto, la disposizione costituzionale sopra citata indica, ai commi secondo e terzo, le fonti  ordinarie  di  approvvigionamento dei bilanci degli enti territoriali sub-statali,  individuandole  nei tributi e nelle entrate proprie, nella compartecipazione  al  gettito dei  tributi  erariali  e  nella  quota  di   spettanza   del   fondo perequativo. Il successivo comma quarto,  inoltre,  prevede  che  «le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi  precedenti  consentono ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e alle regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite». Alle risorse previste dai commi secondo e terzo dell'art. 119, inoltre, il comma quinto aggiunge - con norma evidentemente di  «chiusura»  -  la previsione secondo la quale «lo Stato destina risorse  aggiuntive  ed effettua  interventi  speciali  in  favore  di  determinati   comuni, province, citta' metropolitane e regioni», allo scopo di  «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e  la  solidarieta'  sociale,  per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni».

    Dall'insieme delle disposizioni appena menzionate si  ricava  con chiarezza il principio generale  secondo  il  quale  le  funzioni  di ciascun ente territoriale sono integralmente  finanziate  tramite  le proprie  entrate  ordinarie,  che  per  gli  enti  sub-statali   sono individuate  dai  commi  secondo  e  terzo,  sopra  citati.   L'unica eccezione a questo principio generale di corrispondenza tra  funzioni e risorse e', per l'appunto, quella espressamente prevista dal  comma quinto dell'art. 119: gli interventi speciali e le risorse aggiuntive che lo Stato deve destinare a singoli enti territoriali  al  fine  di garantire   la   realizzazione   di   alcuni   fondamentali    valori costituzionali e l'effettivo esercizio/godimento  dei  diritti  della persona, nonche' - non a caso - per provvedere a tutti gli scopi  che fuoriescano dal «normale  esercizio»  delle  funzioni  ordinariamente spettanti agli enti autonomi territoriali.

    Il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse rileva  qui da due differenti - ma concorrenti - punti di vista:

        a)  in  primo  luogo,  esso  mostra  chiaramente  che,  oltre all'ipotesi da ultimo citata, di  cui  all'art.  119,  quinto  comma, Cost., il nostro diritto costituzionale non ammette che  le  funzioni di un ente territoriale possano essere finanziate mediante il ricorso ad entrate diverse da quelle che, in via ordinaria, competono al  suo bilancio. Di conseguenza non puo'  che  ritenersi  costituzionalmente illegittima la previsione secondo la quale  le  funzioni  statali  in materia di protezione civile, connesse alla declaratoria dello  stato di emergenza di cui all'art. 2, comma 1,  lett.  c),  e  all'art.  5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, sono finanziate a  gravare  sui bilanci  delle  regioni  interessate.  Con   evidenza,   le   risorse provenienti da questi bilanci non fanno parte, infatti, delle risorse che ordinariamente competono allo Stato;

        b) il principio costituzionale di corrispondenza tra funzioni e risorse, come desumibile dall'art. 119 Cost., rileva in questa sede anche sotto un secondo profilo.

    Il quarto comma di  tale  disposizione  costituzionale,  infatti, nell'affermare che le risorse dei  precedenti  commi  «consentono  ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e  alle  regioni  di finanziare integralmente le funzioni loro attribuite»,  evidentemente presuppone che le risorse in questione siano stabilmente destinate al finanziamento di tali funzioni, e non al  finanziamento  di  funzioni svolte   da   altri   soggetti.   La   medesima   conclusione    deve necessariamente trarsi anche dal testo del  successivo  comma  quinto dell'art. 119 Cost.: se lo  Stato  e'  chiamato  a  porre  in  essere «interventi speciali» e a destinare «risorse aggiuntive», al fine  di «provvedere a scopi diversi dall'esercizio delle loro funzioni» (i.e.

delle  funzioni  degli  enti  territoriali  sub-statali),  a  maggior ragione si  deve  ritenere  che  non  possa  imprimere  alle  risorse «ordinarie» delle regioni (e degli enti locali) destinazione  diversa da quella del finanziamento di queste funzioni.

    8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost.

    8.1. - Le norme contenute nei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo,  dell'art.  5  della  legge  n.  225  del  1992  contrastano palesemente e in termini specifici con quanto disposto dall'art. 119, quinto comma, Cost.

    In base a quanto prevede tale disposizione,  come  si  e'  appena posto in rilievo, la Costituzione affida espressamente allo Stato  il compito di «destinare» «risorse aggiuntive» rispetto a quelle di  cui ai commi secondo e terzo del medesimo  art.  119  e  di  «effettuare» «interventi speciali  in  favore  di  determinati  Comuni,  province, citta' metropolitane e regioni». La norma costituzionale  stabilisce, altresi',  le  finalita'  cui  tali  «risorse  aggiuntive»   e   tali «interventi speciali» di competenza statale debbono  essere  rivolti:

la promozione  dello  sviluppo  economico,  della  coesione  e  della solidarieta'  sociale;  la  rimozione  degli  squilibri  economici  e sociali; la migliore garanzia dell'effettivo  esercizio  dei  diritti della persona; la  necessita'  di  provvedere  a  scopi  diversi  dal normale esercizio delle funzioni affidate alla competenza degli  enti autonomi territoriali. In sintesi, e' evidente che l'art. 119, quinto comma, cost. attribuisce  specificamente  allo  Stato  una  peculiare funzione  «sussidiaria»  a   garanzia   ultima   di   alcuni   valori imprescindibili   dell'ordinamento,   intestando   proprio   all'ente esponenziale  dell'unita'  e  indivisibilita'  della  Repubblica   il compito  di  assicurare  la  disponibilita'  delle  risorse   e   gli interventi necessari allorquando i suddetti valori non possano essere adeguatamente  garantiti  dal  normale   esercizio   delle   funzioni spettanti alle autonomie territoriali.

    Se si considera la tipologia di eventi contemplati  dall'art.  2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992  cui  fanno  esplicito riferimento  le  norme  impugnate  nel   presente   giudizio   (ossia «calamita' naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed estensione,  debbono  essere  fronteggiati   con   mezzi   e   poteri straordinari»), e' del tutto agevole dedurne che proprio in  presenza di simili circostanze di fatto  ci  si  trova  a  dover  fronteggiare situazioni  che  determinano  un  sicuro  pregiudizio  per  i  valori contemplati nel quinto comma  dell'art.  119  Cost.,  che  certamente fuoriescono dal campo del «normale esercizio»  delle  funzioni  delle

autonomie territoriali e che, pertanto, costituiscono senz'altro  uno dei campi privilegiati di quella responsabilita' «sussidiaria» che la citata norma costituzionale intesta allo Stato. In altre parole,  non puo' seriamente dubitarsi che tra gli «interventi speciali» di cui al quinto comma dell'art. 119, debbano  essere  collocati  anche  quelli svolti in risposta ad «emergenze» rientranti nell'ambito del disposto dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1,  della  legge n. 225 del 1992. E non puo' dubitarsi che con le disposizioni che qui si  contestano  lo  Stato  intende  sottrarsi   dal   finanziare   lo svolgimento di specifici compiti che  la  Costituzione  gli  assegna, mettendo   peraltro   seriamente   a   rischio   la   loro   concreta

realizzazione.

    Da  cio'  discende,   in   termini   evidenti,   l'illegittimita' costituzionale di norme legislative quali quelle impugnate in  questa sede, in quanto volte a porre a  carico  delle  regioni  direttamente interessate dagli eventi catastrofici di cui  all'art.  2,  comma  1, lett. c), della legge n. 225 del 1992 gli oneri  finanziari  connessi con la gestione dell'emergenza e,  dunque,  volte  a  determinare  la sostanziale «abdicazione» da parte dello  Stato  dai  propri  compiti espressamente contemplati nell'art. 119, quinto comma, Cost.

    9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione dell'art. 119, primo comma, cost. e,  in  particolare, del principio di autonomia di entrata e di spesa della Regione.

    9.1. - L'art. 119 Cost. risulta  violato  anche  per  un  diverso profilo. Tale disposizione costituzionale - in particolare, al  primo comma - stabilisce che la Regione goda di autonomia di entrata  e  di spesa. Tale autonomia e' evidentemente vulnerata e compressa in  modo grave dalle disposizioni che si contestano in questa sede.

    9.2. -  L'autonomia  finanziaria  regionale,  innanzi  tutto,  e' vulnerata dalla circostanza secondo  la  quale  la  Regione  si  vede imporre, mediante una legge dello Stato, l'obbligo  di  finanziare  a carico del proprio  bilancio  funzioni  esercitate  da  quest'ultimo.

L'autodeterminazione circa l'utilizzazione delle proprie risorse e la connessa   responsabilita'   -   sia   generalmente   politica,   che specificamente fiscale - nei confronti del corpo elettorale regionale vengono evidentemente messe in crisi da tale previsione.

    9.3.  -  La  violazione  dell'autonomia   finanziaria   regionale garantita dal primo comma dell'art. 119 Cost. e'  apprezzabile  anche da un altro punto di vista.

    I commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5  della legge n. 225 del 1992, infatti, nel prevedere che qualora il bilancio regionale non risulti capiente  per  la  copertura  delle  spese,  il Presidente della Regione  debba  esercitare  la  potesta'  tributaria riconosciuta  alla  Regione  dalla  legislazione  nazionale  vigente, deliberando aumenti - nella misura massima consentita da quest'ultima - dei tributi, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di  aliquote attribuite alla Regione, nonche' deliberando - all'occorrenza – anche un  ulteriore  aumento  dell'imposta  regionale  sulla  benzina   per autotrazione fino ad un massimo di 5 cent. per litro, determinano  un vincolo  particolarmente  stringente  all'esercizio  della   potesta' tributaria della Regione, azzerando i margini di scelta  relativi  ad una propria e responsabile «politica di imposizione fiscale». In  tal modo viene dunque fortemente compressa l'autonomia di  entrata  della Regione. A sostegno del presente motivo  di  censura,  inoltre,  puo' essere sottolineato quanto segue.

    La Regione Marche non ignora che  le  regioni,  ove  proprio  non intendano aumentare le entrate tributarie gravanti sulle  popolazioni residenti  sul  territorio  regionale,  possono   «liberarsi»   dalla necessita' di procedere in  tal  senso  mediante  una  variazione  di bilancio, ad  esempio  disponendo  la  riduzione  di  spese  in  esso previste.   Tale   rilievo,   tuttavia,    evidenzia    ulteriormente l'incostituzionalita' delle  disposizioni  impugnate,  poiche'  rende evidente  che  l'unico  modo  che  la  Regione  ha  per  evitare   la compressione  della  propria  autonomia  di  entrata,  e'  quello  di accettare una corrispondente compressione della propria autonomia  di spesa, ossia di deliberare una variazione di bilancio che  elimini  o riduca spese  gia'  precedentemente  stabilite  nell'esercizio  della propria autonomia.

    La  lesione  delle  prerogative  costituzionali  della   Regione, peraltro, risulta ancor piu' evidente ove si consideri, sulla  scorta delle indicazioni provenienti dalla sent. n. 320 del 2004  di  questa Corte, che «in numerose materie di competenza regionale le  politiche pubbliche  consistono  appunto  nella  determinazione  di   incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalita'  per  la  loro  erogazione»  (par.  7  del  Considerato in diritto). Tale rilievo rende del tutto evidente che la costrizione  - per  il  tramite  della   «minaccia»   costituita   dalla   possibile compressione della autonomia di entrata - a ridurre le  politiche  di

spesa di una Regione  comporta  la  incisione  del  «cuore  pulsante» dell'autonomia di quest'ultima in parecchi degli ambiti materiali che il Titolo V della Parte seconda della Costituzione  attribuisce  alla competenza della medesima.

    9.4.  -  Tali  ultime  considerazioni,  inoltre,  consentono   di apprezzare un ulteriore punto di vista dal  quale  risultano  violati tanto il principio di autonomia finanziaria delle regioni, quanto  il principio di corrispondenza tra entrate ordinarie di queste ultime  e le funzioni dalle medesime esercitate. In  base  alla  giurisprudenza costituzionale, infatti, le risorse di cui ai commi secondo  e  terzo dell'art. 119 cost. «consentono - vale a  dire  devono  consentire  - agli enti di "finanziare integralmente  le  funzioni  pubbliche  loro attribuite'' (quarto comma), salva la possibilita' per  lo  Stato  di destinare risorse aggiuntive ed  effettuare  interventi  speciali  in favore  di  determinati  comuni,  province,  citta'  metropolitane  e regioni, per gli scopi di sviluppo  e  di  garanzia  enunciati  dalla stessa  norma  o  "per  provvedere  a  scopi  diversi   dal   normale esercizio'' delle funzioni degli enti autonomi (quinto comma)» (sent. n. 37 del 2004, par. 5 del Considerato in  diritto;  analogamente  la sent. n. 370 del 2003, par.  7  del  Considerato  in  diritto).  Ora, nell'ipotesi in cui la Regione voglia evitare la  compressione  della propria autonomia di entrata e,  dunque,  non  intenda  aumentare  le entrate tributarie indicate dal  comma  5-quater  dell'art.  5  della legge n. 225 del 1992, si trova a dover ridurre  lo  stanziamento  di bilancio volto a finanziare proprie funzioni amministrative,  potendo giungere addirittura a dover contemplare la possibilita' di  azzerare il primo ed eliminare le seconde. Con il  risultato  -  evidentemente gravissimo per l'autonomia regionale -  di  veder  vulnerato  proprio quel principio di corrispondenza, il quale richiede  che  le  risorse ordinariamente afferenti al bilancio regionale  siano  sufficienti  a finanziare le funzioni regionali.

    La conseguenza e' di palmare evidenza:  le  disposizioni  oggetto del  presente  giudizio  mettono  «nell'angolo»  la  Regione.   Essa, infatti, si trova costretta o  ad  accettare  la  compressione  della propria  autonomia  di  entrata  (ed  in  particolare  della  propria autonomia  impositiva),  ovvero  ad  accettare  la   violazione   del principio di corrispondenza  sancito  dall'art.  119,  quarto  comma, Cost., con  il  risultato  di  dover  necessariamente  rinunziare  ad esercitare alcune delle proprie  funzioni  istituite  e/o  finanziate nell'ambito dell'esercizio della propria autonomia.

    E' evidente che - anche in questo caso - determinante al fine del prodursi della violazione qui denunciata e' la circostanza secondo la quale le risorse reperite a carico del bilancio della Regione  o  del sistema tributario regionale ai sensi dell'art.  5,  comma  5-quater, della legge n. 225 del 1992 sono volte a finanziare funzioni (e, piu' in generale, politiche) svolte da altri enti,  in  particolare  dallo Stato. Se, infatti, le funzioni volte a  fronteggiare  gli  stati  di emergenza di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della  legge  n.  225 del 1992 fossero  affidate  alla  competenza  delle  regioni,  queste ultime certo si vedrebbero gravare di una  notevole  responsabilita', in vista della quale dovrebbero comunque essere dotate delle  risorse necessarie in base ai commi secondo, terzo  e  quarto  dell'art.  119

Cost.,  ma  senza  dubbio   le   disposizioni   qui   impugnate   non determinerebbero la violazione del principio  di  corrispondenza  tra funzioni e risorse, ne' dell'autonomia finanziaria regionale.

    9.5. - Infine, in relazione al presente  motivo  di  ricorso,  si deve osservare quanto segue.

    La Regione Marche non ignora  che  la  giurisprudenza  di  questa Corte  concernente  il  sistema  disegnato  dall'art.  119  cost.  ha affermato che quest'ultimo non e' in grado di dispiegare pienamente i propri effetti sino al momento in cui non sara'  pienamente  operante la legge statale espressamente prevista per  il  coordinamento  della finanza pubblica e del sistema tributario. In questa sede,  e'  pero' necessario evidenziare che la medesima giurisprudenza ha chiarito che cio' non comporta la conseguenza secondo la quale, anche prima  della sua attuazione legislativa, l'art. 119 cost.  non  sia  in  grado  di impone alcuni precetti direttamente operanti. Tra questi -  oltre  al «principio di corrispondenza», sul quale ci  si  e'  gia'  ampiamente soffermati -  e'  stato  individuato  anche  quello  consistente  nel «divieto  imposto  di  procedere  in  senso  inverso  a  quanto  oggi prescritto dall'art. 119 della Costituzione, e  cosi'  di  sopprimere semplicemente,  senza  sostituirli,  gli  spazi  di  autonomia   gia' riconosciuti dalle leggi statali in vigore, alle regioni e agli  enti locali,  o  di  procedere  a  configurare  un   sistema   finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119»  (cosi' la sent. n. 423 del 2004, par. 3.3 del Considerato  in  diritto,  che richiama le sentt. nn. 320, 241 e 37  del  2004).  E'  evidente  che, invece, tale «procedere in senso inverso» e'  precisamente  l'effetto delle  disposizioni  impugnate:  esse  infatti  -  per   le   ragioni illustrate  -  sopprimono  spazi  di   autonomia   finanziaria   gia' riconosciuti  alle  regioni  e  pongono  delle   norme   direttamente contrastanti con i principi desumibili dall'art. 119 Cost.

    10. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per  violazione  dell'art.  119  Cost.,  sotto   il   profilo   della imposizione di vincoli di  destinazione  a  risparmi  di  spesa  e  a entrate regionali.

    10.1. - Oltre al «principio di corrispondenza», e al precetto del «divieto  di  procedere  in   senso   inverso»,   la   giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che dall'art. 119 Cost. debba ricavarsi un altro  principio,   direttamente   e   immediatamente   operante,   e particolarmente rilevante in questa sede. Si tratta  del  divieto  di istituire  fondi  vincolati  nella  destinazione,   con   particolare riguardo alle materie affidate alla competenza legislativa  residuale regionale o concorrente di Stato e regioni (tra le molte,  si  vedano le sentt. nn. 370 del 2003, 320 del 2004, 137 e 201 del 2007).

    A tutta evidenza, il caso di specie non e'  certo  quello  di  un fondo, previsto nel bilancio statale, che sia finalizzato  ad  essere trasferito alle regioni con vincolo di destinazione. Con  altrettanta evidenza,  tuttavia,  il  principio  del  divieto  dei   vincoli   di destinazione  desumibile  dall'art.  119  cost.  si  configura   come principio  generale  concernente  tutte  le  risorse  garantite  alle autonomie  territoriali  dai  commi  secondo  e  terzo  della   norma costituzionale citata. In dottrina e' stato affermato,  al  riguardo, che «non puo' essere messo in  dubbio»  che  l'autonomia  finanziaria

degli enti territoriali «comprenda la possibilita'  di  stabilire  la tipologia e  l'entita'  delle  spese  proprie  di  tali  enti».  Piu' specificamente, si e' evidenziato che il divieto di imprimere vincoli di destinazione al fondo  perequativo  di  cui  all'art.  119,  terzo comma, Cost., produce, in generale, «un effetto  di  tipo  proibitivo nei confronti della formazione primaria e secondaria  che  stabilisca vincoli specifici di destinazione» (G. Fransoni,  G.  Della  Cananea, Art. 119, in R.  Bifulco,  A.  Celotto,  M.  Olivetti  (a  cura  di), Commentario alla Costituzione,  III,  Utet  giuridica-Wolter  Kluvver Italia Giuridica, Milano, 2006, pagg. 2368 e 2373).

    Tale principio generale e' senz'altro applicabile  anche  a  casi come quello che viene sottoposto al giudizio di  questa  Corte  nella sede odierna.

    E' indubbio, infatti, che  le  norme  qui  censurate  pongono  un vincolo di destinazione.  Tale  vincolo  grava,  alternativamente,  o sulle  somme   derivanti   dall'aumento   del   prelievo   tributario eventualmente stabilito dal Presidente  della  Regione  ai  sensi  di questa disposizione, o sulle somme derivanti dai  risparmi  di  spesa che la Regione deliberi  mediante  una  variazione  di  bilancio  per evitare  di  dover  ricorrere  ai  suddetti  aumenti  tributari.   E' altrettanto indubbio, peraltro,  che  il  divieto  di  vincoli  nella destinazione che grava sui trasferimenti di origine statale non  puo' che  valere,  a  maggior   ragione,   in   relazione   alle   risorse autonomamente  reperite  dalla  Regione  (come  lo  sono  sia  quelle derivanti  dall'incremento  del  prelievo   tributario   che   quelle conseguenti a risparmi di spesa). In relazione a casi similari,  fino ad oggi, la  giurisprudenza  costituzionale  non  ha  avuto  modo  di soffermarsi, forse perche' mai la legislazione statale si era,  prima d'ora,  spinta  cosi'  in  la'  nella   compressione   dell'autonomia finanziaria regionale: e' infatti molto piu' grave  per  quest'ultima un vincolo di destinazione imposto su risorse autonomamente  reperite che il medesimo vincolo gravante su risorse trasferite  dallo  Stato.

Per questa ragione, non vi e' chi  non  veda  che  le  norme  statali impugnate  violano  palesemente  il  principio  costituzionale  della autonomia finanziaria, con particolare riguardo al divieto di imporre vincoli nella destinazione delle risorse.

    11. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art.  119,  secondo comma, Cost., in relazione alla  competenza  legislativa  concorrente nella materia «coordinamento della finanza  pubblica  e  del  sistema tributario».

    11.1. - I commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo,  dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 violano anche l'art. 117, terzo  comma, e 119, secondo comma, Cost., in quanto si pongono in contrasto con il riparto  di  competenze  legislative  concernente  la   materia   del «coordinamento della  finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario» stabilito dalle norme costituzionali citate, cosi'  come  ricostruito dalla giurisprudenza costituzionale.

    Al riguardo, e' possibile evidenziare quanto segue.

    Che la disciplina oggetto di censura debba essere ricondotta alla materia del «coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema tributario»  non  e'  ragionevolmente  discutibile.   Le   norme   in questione, infatti, dettano una disciplina  appositamente  rivolta  a coordinare la «ripartizione» degli oneri finanziari connessi  con  la gestione degli stati di emergenza derivanti da calamita'  naturali  o eventi catastrofici, attribuendone il  peso  interamente  ai  bilanci delle regioni,  ponendo  limiti  alla  loro  potesta'  di  spesa  (in relazione  a  somme  ottenute  mediante  l'esercizio  della  potesta' tributaria regionale ovvero mediante risparmi di  spesa)  e,  infine, prevedendo la mera «eventualita'» del ricorso alle risorse del  Fondo nazionale di protezione civile.

    La  materia  de  qua  e'  affidata,  dalla   Costituzione,   alla competenza legislativa concorrente di Stato e' regioni. E' noto  che, secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  non   e'   possibile stabilire, in generale e a valere per tutte  le  materie  di  cui  al terzo comma dell'art. 117 Cost., cosa sia  principio  fondamentale  e cosa  non  lo  sia.  E'  viceversa  necessario  che  i  criteri   per discriminare le norme di principio da  quelle  di  dettaglio  tengano conto delle peculiarita' delle singole materie. E'  per  questo  che, nel  caso  di  specie,  e'  necessario  (ancor  piu'  che  in   altre situazioni) fare riferimento alle pronunce di questa Corte.

    Sul punto, rilevano tutte le decisioni che hanno evidenziato come le norme statali che impongono  vincoli  alle  spese  possano  essere ritenute espressive di principi fondamentali soltanto (per  quel  che qui specificamente interessa) se tali vincoli sono volti a perseguire l'obiettivo  del  riequilibrio  della  finanza  pubblica.   Si   puo' richiamare, solo per citare un esempio tra le pronunce piu'  recenti, la sent. n. 326 del 2010: «Nella giurisprudenza di  questa  Corte  e' ormai  consolidato  l'orientamento  secondo  cui  norme  statali  che fissano limiti alla spesa delle regioni e degli enti  locali  possono qualificarsi principi fondamentali  di  coordinamento  della  finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in  primo  luogo,  che  si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di  un  transitorio  contenimento  complessivo,  anche  se  non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che  non  prevedano in modo esaustivo strumenti o  modalita'  per  il  perseguimento  dei suddetti obiettivi» (par. 8.5 del Considerato in diritto).

    Ora, e' noto che nella maggior parte  dei  casi  affermazioni  di tale tenore hanno avuto ad oggetto norme statali che ponevano divieti di spesa, mentre in questo caso le norme impugnate pongono un  limite differente, consistente - come gia' messo in evidenza - in un vincolo nella  destinazione  di  risorse   indiscutibilmente   di   spettanza regionale in quanto riconducibili alle fonti di  entrata  di  cui  ai commi  secondo  e  terzo  dell'art.  119  Cost.  La  Regione  Marche, tuttavia,  ritiene  che   l'orientamento   giurisprudenziale   appena richiamato non possa non valere anche per questo diverso  limite,  il quale, come si e' mostrato piu' sopra, e' particolarmente  grave  per l'autonomia regionale proprio perche' destinato ad investire  risorse non trasferite dallo Stato ma autonomamente reperite  dalla  Regione.

Cio',  nel  caso  di  specie,  conduce  senz'altro  ad  escludere  la qualifica di «principio fondamentale» ai precetti di cui all'art.  5, commi  5-quater  e  5-quinquies,   primo   periodo,   in   quanto   - evidentemente - i limiti che essi impongono non sono  in  alcun  modo finalizzati al perseguimento dell'obiettivo  del  riequilibrio  della finanza pubblica, ne' un simile obiettivo e' in alcun modo desumibile dal tenore testuale delle disposizioni in questione.

    Per questi motivi, si deve ritenere che le norme impugnate, nella parte in cui impongono limiti  e  vincoli  puntuali  all'utilizzo  di risorse finanziarie regionali,  siano  contrastanti  con  il  riparto delle competenze  legislative  in  materia  di  «coordinamento  della finanza pubblica e del sistema tributario», non essendo in alcun modo qualificabili come principi fondamentali ditale materia.

    12. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n.  10  del  2011,  limitatamente   alla   introduzione   del   comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost., nella parte in cui prevede che l'accesso al Fondo  nazionale  di  protezione  civile  e' semplicemente «possibile» e subordinato a valutazioni «politiche» del Governo anziche' essere obbligatorio e automatico.

    12.1. - La  presente  censura  e'  proposta  in  via  subordinata rispetto a tutte quelle  fin  qui  prospettate.  La  Regione  Marche, infatti, sostiene che - anche nella denegata ipotesi  in  cui  questa Corte ritenesse di respingere  tutte  le  questioni  di  legittimita' costituzionale  concernenti  il  comma   5-quater,   considerato   in combinato disposto con il comma 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 - esisterebbero comunque buone  ragioni per  ritenere  costituzionalmente  illegittima,  in   via   autonoma,

quest'ultima disposizione.

    Essa - lo si ricorda - prevede quanto segue: «Qualora  le  misure adottate ai sensi del comma 5-quater non siano sufficienti, ovvero in tutti gli altri casi di eventi di cui al comma 5-quater di  rilevanza nazionale, puo' essere disposto l'utilizzo delle  risorse  del  Fondo nazionale di protezione civile». In  base  a  questa  norma,  dunque, l'accesso al Fondo nazionale di protezione civile, anche nel caso  in cui ricorrano gli eventi straordinari di cui  all'art.  2,  comma  1, lett. c), e 5,  comma  1,  della  legge  n.  225  del  1992,  non  e' «obbligatorio» e «automatico». Viceversa,  tale  accesso  e'  innanzi tutto subordinato, alternativamente, al ricorrere di due  condizioni:

a) che siano state percorse le strade indicate dal comma 5-quater  (o che non possano essere  percorse,  come  correttamente  evidenzia  la direttiva del Presidente del Consiglio piu' sopra citata); b) che sia stata data la qualificazione degli  eventi  calamitosi  in  questione come di «rilevanza nazionale».

    In presenza di queste condizioni, l'accesso al Fondo nazionale e' consentito soltanto  a  seguito  di  una  valutazione  «unilaterale», «politica» ed «insindacabile» dello Stato.

    E' dunque possibile, ad esempio, che  la  Regione  colpita  dalla calamita' o evento straordinario deliberi gli  aumenti  tributari  ai sensi dell'art. 5, comma 5-quater, della legge n.  225  del  1992,  e tuttavia  cio'  non  sia  sufficiente  per  coprire  le  spese  degli interventi necessari a fronteggiare l'emergenza. Cio' nonostante,  lo Stato puo' negare - al fine di coprire queste spese  -  l'accesso  al Fondo  nazionale  di  protezione  civile,  in  base  ad  una  propria unilaterale valutazione.

    12.2. - Nel precedente motivo di censura, di cui al par. 8, si e' messo in luce  come  il  combinato  disposto  dei  commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225  del  1992 abbia come effetto quello di vulnerare gravemente l'art. 119,  quinto comma, Cost. In base a quanto prevede tale disposizione, infatti,  la Costituzione affida allo Stato il  compito  di  «destinare»  «risorse aggiuntive» rispetto a quelle di cui ai commi  secondo  e  terzo  del medesimo art. 119 e di «effettuare» «interventi speciali in favore di

determinati comuni, province, citta'  metropolitane  e  regioni».  La norma costituzionale stabilisce,  altresi',  le  finalita'  cui  tali «risorse aggiuntive»  e  tali  «interventi  speciali»  di  competenza statale  debbono  essere  rivolti:  la  promozione   dello   sviluppo economico, della coesione e della solidarieta' sociale; la  rimozione degli  squilibri  economici   e   sociali;   la   migliore   garanzia dell'effettivo esercizio dei diritti della persona; la necessita'  di provvedere a scopi  diversi  dal  normale  esercizio  delle  funzioni affidate  alla  competenza  degli  enti  autonomi  territoriali.   In sintesi, come si e' gia' argomentato, e'  evidente  che  l'art.  119, quinto  comma,  cost.  attribuisce  specificamente  allo  Stato   una peculiare funzione «sussidiaria» a garanzia ultima di  alcuni  valori imprescindibili   dell'ordinamento,   intestando   proprio   all'ente esponenziale  dell'unita'  e  indivisibilita'  della  Repubblica   il compito  di  assicurare  la  disponibilita'  delle  risorse   e   gli interventi necessari allorquando i suddetti valori non possano essere adeguatamente  garantiti  dal  normale   esercizio   delle   funzioni spettanti alle autonomie territoriali.

    Nel precedente par. 8 si  e'  evidenziato,  altresi',  come  tali principi costituzionali siano violati da un sistema che  affidi  alle regioni il compito di finanziare, eventualmente innalzando la propria pressione  tributaria,  gli  interventi  volti  a   fronteggiare   le emergenze. Qui deve invece essere messo in luce che - anche ove fosse ritenuto conforme a Costituzione il comma 5-quater dell'art. 5  della legge n. 225 del  1992  -  analoghe  ragioni  di  incostituzionalita' permarrebbero  in  relazione  allo  specifico  disposto   del   comma 5-quinquies, primo periodo, del citato art. 5.

    I principi di solidarieta' ed eguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, che la medesima  affida  alla  garanzia  «ultima» dello Stato e  che,  sotto  tale  profilo,  trovano  concretizzazione soprattutto nell'art. 119, quinto comma, Cost.,  infatti,  verrebbero senza dubbio compromessi ove - pur avendo la Regione  colpita  da  un evento straordinario rientrante tra quelli disciplinati dall'art.  2, comma 1, lett. c), e 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992 adottato tutte le misure previste dal comma 5-quater  del  medesimo  articolo, senza  pero'  giungere  a  coprire  integralmente  le   spese   degli interventi necessari -  lo  Stato,  in  base  al  primo  periodo  del successivo comma 5-quinquies, si determinasse a negare  l'accesso  al Fondo nazionale di protezione civile per gli importi  che  residuano.

Anche  in  questo  caso,  infatti,  risulterebbe  compromessa  quella funzione «solidaristica» e «sussidiaria», a  tutela  di  alcuni  beni giuridici fondamentali, che l'art. 119, quinto comma,  Cost.,  affida allo Stato.

    Tale  incostituzionalita',   invece,   non   sussisterebbe,   ove l'accesso al  Fondo  suddetto  -  una  volta  che  la  Regione  abbia dimostrato l'avvenuta adozione delle misure di cui al comma  5-quater o l'impossibilita' di adottarle e,  comunque,  l'insufficienza  delle risorse reperite - fosse «obbligatorio» ed  «automatico»,  ossia  non subordinato a valutazioni discrezionali  da  parte  del  Governo.  Il comma 5-quinquies dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 deve dunque essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in  cui, pure in presenza delle due condizioni sopra accennate (impossibilita' di coprire il fabbisogno finanziario con le misure di  cui  al  comma 5-quater;  qualificazione  delle  emergenze   come   aventi   rilievo nazionale) subordina  l'accesso  al  Fondo  nazionale  di  protezione civile ad  una  valutazione  «politica»  dello  Stato  che  lo  rende meramente possibile anziche' obbligatorio ed automatico.

    13. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n.  10  del  2011,  limitatamente   alla   introduzione   del   comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione degli artt. 117, terzo  comma,  e  118,  primo  comma, Cost.  (in  relazione  alla  materia  «coordinamento  della   finanza pubblica  e  del  sistema   tributario»),   nonche'   del   principio costituzionale di leale collaborazione, nella parte in cui  la  norma censurata  rende  «possibile»  il  ricorso  al  Fondo  nazionale   di protezione civile solo a seguito di decisioni unilaterali affidate al libero  apprezzamento  politico  del  Governo   nazionale,   anziche' Prevedere  che  tali  decisioni  siano  adottate  a  seguito  di   un procedimento concertato al quale prendano  parte  pariteticamente  lo Stato e la Regione interessata.

    13.1.  -  In  subordine  rispetto  alle  censure  illustrate   ai precedenti parr. 7-11, nonche' in ulteriore subordine  rispetto  alla censura illustrata al  precedente  par.  12,  la  Regione  ricorrente Ritiene che l'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo,  della  legge n. 225 del 1992, sia costituzionalmente  illegittimo  per  violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonche'  del principio di leale collaborazione tra gli enti che  costituiscono  la Repubblica.

    Quanto esposto  nei  paragrafi  precedenti  dovrebbe  condurre  a ritenere la normativa impugnata  costituzionalmente  illegittima  nel suo complesso, dal momento che pone interamente a carico del bilancio regionale le spese volte a sostenere gli  interventi  realizzati  per fronteggiare le situazioni di emergenza derivanti dagli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c),  della  legge  n.  225  del  1992.  Le argomentazioni gia' spese, inoltre, dovrebbero (in  via  subordinata) condurre  a  ritenere  incostituzionale,  comunque,   il   meccanismo previsto dall'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, che non rende

«automatica»  la  possibilita'  di  fruire  del  Fondo  nazionale  di protezione civile ove le risorse di cui al precedente comma  5-quater siano state reperite e non  siano  sufficienti,  ovvero  non  possano essere reperite.  Tuttavia,  nella  denegata  ipotesi  in  cui  anche quest'ultimo profilo di censura non fosse ritenuto fondato, il  primo periodo del citato comma 5-quinquies deve  comunque  essere  ritenuto costituzionalmente illegittimo perche' subordina la  decisione  circa l'utilizzo del Fondo nazionale di protezione civile ad una  decisione unilaterale dello Stato, senza alcun coinvolgimento della Regione.

    Tale  disciplina  viola  evidentemente  il  principio  di   leale collaborazione  e  lo  statuto  costituzionale  della  «chiamata   in sussidiarieta'» nelle materie di  potesta'  legislativa  concorrente, cosi' come ricostruito dalla giurisprudenza di questa Corte.

    Come gia' illustrato al paragrafo precedente, l'utilizzazione del Fondo  nazionale  di  protezione  civile,  infatti,  e'  subordinata, innanzi tutto, disgiuntivamente  alle  seguenti  condizioni:  a)  che siano state percorse le strade indicate dal  comma  5-quater  (o  che esse non possano essere percorse,  come  correttamente  evidenzia  la direttiva del Presidente del Consiglio piu' sopra citata); b) che sia intervenuta la qualificazione, da parte  del  Governo,  degli  eventicalamitosi in questione come di «rilevanza nazionale». In presenza diqueste  condizioni,  l'accesso  al  Fondo  nazionale  e'   consentito soltanto a seguito di una valutazione  «unilaterale»,  «politica»  ed «insindacabile» dello Stato.

    13.2. -  Per  apprezzare  l'illegittimita'  costituzionale  della normativa in esame da questo specifico punto di vista  e'  necessario procedere, innanzi  tutto,  alla  sua  collocazione  nell'ambito  del riparto di competenze di cui all'art. 117,  commi  secondo,  terzo  e quarto, cost. In base a quanto si e' gia' sostenuto al par. 11.1,  la materia interessata dalla specifica disposizione di cui  all'art.  5, comma 5-quinquies, primo periodo  -  trattandosi  di  disciplina  che coordina la ripartizione degli oneri finanziari derivanti  da  eventi catastrofici e regola le modalita' di accesso alle risorse del  Fondo nazionale  di  protezione  civile  -  e'  evidentemente  quella   del

«coordinamento della finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario», affidata,  ai  sensi  del  terzo  comma  dell'art.  117  Cost.,  alla competenza  concorrente  di  Stato  e  regioni.   L'art.   5,   comma 5-quinquies, primo periodo, istituisce - come piu' sopra  evidenziato - una funzione amministrativa nella quale ha modo  di  esplicarsi  la discrezionalita' delle scelte statali.  Si  tratta  della  decisione, concernente la concessione o meno dell'accesso al Fondo nazionale  di protezione civile, ove sussistano le condizioni indicate sub a) e b).

    Come e' noto, a partire dalle sentt. nn. 303 del  2003  e  6  del 2004,   la   giurisprudenza   di    questa    Corte    ha    ritenuto  costituzionalmente legittimo che la legge statale avochi  al  livello centrale funzioni amministrative in materie differenti da  quelle  di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., soltanto ove venga rispettato uno  specifico  «statuto»  costituzionale,  caratterizzato   sia   da presupposti sostanziali (la sussistenza di esigenze unitarie) che  da obblighi procedurali (la necessita' di prevedere forme  di  esercizio della  funzione  che  contemplino  una  «intesa»   con   la   Regione interessata).

    La Regione Marche ritiene che l'art. 5, comma 5-quinquies,  primo periodo, della legge n. 225 del 1992 sia incostituzionale, in  quanto individua  una  funzione  amministrativa  discrezionale  ove   invece avrebbe dovuto configurare un  automatismo:  questo  punto  e'  stato illustrato  nel  precedente  par.  12.  Ove  pero'  si   considerasse costituzionalmente legittima la  configurazione  di  questa  funzione amministrativa discrezionale, la ricorrente non nega  la  sussistenza delle esigenze unitarie in  grado  di  legittimare  l'allocazione  al livello statale della funzione. Ritiene, pero', che il  modo  in  cui l'esercizio della medesima sia stato disciplinato dalla legge statale non rispetti lo «statuto» elaborato al riguardo dalla  giurisprudenza costituzionale.

    Tra le altre, infatti, la sent. n. 6 del 2004 e la sent.  n.  383 del 2005 hanno evidenziato, al di la' di ogni possibile dubbio,  come le funzioni amministrative  avocate  dallo  Stato  in  sussidiarieta' nelle materie di competenza concorrente ovvero  residuale  regionale, devono essere esercitate mediante un procedimento che  contempli  una «intesa forte» con la singola Regione interessata. Il punto e'  stato efficacemente approfondito dalla recentissima sent. n. 33  del  2011, che offre elementi di  sicuro  rilievo  in  relazione  alla  presente questione di legittimita' costituzionale.

    In questa decisione,  infatti,  e'  stata  ribadita  l'esclusione della «legittimita' di una disciplina che ai fini del perfezionamento dell'intesa contenga  la  "drastica  previsione''  della  decisivita' della  volonta'  di  una  sola  parte,  affermandosi,  viceversa,  la necessita' che il contenuto dell'atto sia frutto di  una  codecisione paritaria e indicando, altresi', la necessita' di prevedere - in caso di dissenso - idonee  procedure  per  consentire  lo  svolgimento  di reiterate trattative volte a superare le divergenze (sentenze n.  121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 383 e n. 339 del 2005)».  Inoltre,  alla stregua  di  queste  indicazioni,  e'  stata  ritenuta   conforme a Costituzione una disciplina caratterizzata da «un procedimento che si

articola dapprima, attraverso la nomina di un comitato a composizione paritaria il cui scopo e' appunto quello di addivenire all'accordo, e quindi, in caso di esito  negativo,  attraverso  l'emanazione  di  un decreto del Presidente della Repubblica adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri  cui  prende  parte  il  Presidente  della Regione interessata». Cio' in virtu' delle  seguenti  considerazioni:

i)  «in  mancanza  dell'accordo  regionale,  si  determina  non  gia' l'automatico trasferimento del potere decisorio in capo  allo  Stato, bensi'  l'attivazione  di  un  procedimento  volto  a  consentire  lo svolgimento di ulteriori trattative attraverso la costituzione di  un soggetto terzo nominato dalle parli in  modo  paritario»;  ii)  «solo laddove neppure in tale sede sia possibile addivenire  ad  un'intesa, allora la decisione viene rimessa al Governo con  il  coinvolgimento, peraltro,  anche  del  Presidente  della  Regione»;  iii)  su  questa decisione, che «assume la forma  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica si esercita, inoltre,  la  funzione  di  controllo  tipica dell'emanazione di tali atti, avverso i  quali  ben  potranno  essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali,  nonche'  eventualmente il  ricorso  avanti  a  questa  Corte  in  sede   di   conflitto   di attribuzione» (cfr. in  part.  il  par.  7.1.2.  del  Considerato  in diritto).

    Queste considerazioni sono estremamente pertinenti  in  relazione al caso di specie, perche' mostrano come le decisioni concernenti  le funzioni amministrative esercitate al livello statale  nelle  materie diverse da quelle di  competenza  esclusiva  di  quest'ultimo  devono essere adottate mediante un procedimento  concertato,  caratterizzato da una posizione paritaria di  Stato  e  Regione  interessata.  Nella vicenda che qui specificamente interessa cio' comporta che -  ove  la Regione  faccia  richiesta  di  utilizzare  il  Fondo  nazionale   di protezione civile per gli interventi realizzati o da  realizzare  nel proprio territorio in conseguenza di un evento straordinario ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1,  della  legge n. 225 del 1992, in presenza delle condizioni suddette,  e  lo  Stato invece intenda negare tale richiesta - la decisione finale  (negativa o positiva  che  sia)  non  possa  essere  presa  unilateralmente  da quest'ultimo. Viceversa, per il caso in cui le parti non  riescano  a trovare  un  accordo  al  riguardo,  la  legge   dovrebbe   prevedere «l'attivazione di un procedimento volto a consentire  lo  svolgimento di ulteriori trattative attraverso la  costituzione  di  un  soggetto terzo nominato dalle parti in  modo  paritario»,  nonche'  meccanismi decisori «finali» che conservino la  «equiordinazione»  delle  parti, similmente a quella disciplina scrutinata con esito favorevole  dalla sent. n. 33 del 2011 - che prevede lo svolgersi  della  «funzione  di controllo tipica dell'emanazione» degli  atti  del  Presidente  della Repubblica, nei confronti dei quali, peraltro, «ben  potranno  essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali,  nonche'  eventualmente il  ricorso  avanti  a  questa  Corte  in  sede   di   conflitto   di attribuzione» (cfr.  in  part.  il  par.  7.12.  del  Considerato  in diritto).

    Ora, la Regione Marche non intende sostenere che quello accennato sia l'unico procedimento costituzionalmente legittimo per  conseguire lo scopo di superare le eventuali situazioni di stallo derivanti  dal mancato raggiungimento dell'intesa circa la concessione o meno  della possibilita' di utilizzare il Fondo nazionale di  protezione  civile.

Cio' che pero' si ricava in termini evidenti dalla  decisione  appena menzionata  e'  che  il  procedimento  che  il  legislatore   statale predisponga a questo specifico scopo deve necessariamente uniformarsi ai principi che caratterizzano la  disciplina  brevemente  richiamata piu' sopra e che, come si e' visto, hanno consentito alla medesima di passare indenne il vaglio di costituzionalita'.  Il  procedimento  in questione,  dunque,   una   volta   acclarata   l'impossibilita'   di raggiungere l'intesa nel confronto diretto tra le parti  interessate, deve individuare una  ulteriore  sede  decisionale  (ad  esempio,  un comitato paritetico) rispettando il principio di parita' delle  parti (statale e regionale) e, ove ritenga di affidare ulteriormente ad una sola di esse (ossia al Governo)  il  potere  di  superare  lo  stallo eventualmente  prodottosi  anche  in  questa  sede,  deve  predispone strumenti di controllo della correttezza (e del rispetto della  leale collaborazione) della  decisione  finale  adottata  che,  ancora  una volta, si caratterizzino per la loro terzieta'.

    Come e' agevole constatare, nulla di tutto cio' e' previsto dalla disciplina impugnata in questa sede, che si limita ad  attribuire  la decisione circa la  utilizzazione  del  Fondo  al  solo  Governo.  Si tratta, dunque, della «secca» devoluzione ad una  delle  parti  della decisione. Nulla di piu' lontano  da  quella  garanzia  di  «paritari eta'» e di leale collaborazione  (effettiva)  che  la  giurisprudenza costituzionale ha  sempre  tenuto  a  ribadire.  Da  cio'  l'evidente incostituzionalita' della disciplina  in  questione  anche  sotto  il profilo appena considerato.

    14. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, limitatamente all'introduzione del comma 5-quinquies, primo  periodo,  nell'art.  5  della  legge  n.  225  del  1992,  per violazione degli arti 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. (in relazione alla materia «coordinamento della finanza  pubblica  e  del sistema tributario»), nonche' del principio costituzionale  di  leale collaborazione, nella parte in cui  affida  la  qualificazione  degli eventi  calamitosi  come   di   «rilevanza   nazionale»   al   libero apprezzamento politico del Governo nazionale, anziche' prevedere  che tali decisioni siano adottate a seguito di un procedimento concertato al quale  prendano  parte  pariteticamente  lo  Stato  e  la  Regione interessata.

    14.1.  -  In  subordine  rispetto  alle  censure  illustrate   ai precedenti parr. 7-11, la Regione  ricorrente  ritiene,  infine,  che l'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, della legge  n.  225  del 1992, sia costituzionalmente illegittimo per violazione  degli  artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonche' del principio di leale collaborazione tra gli enti che  costituiscono  la  Repubblica, sotto un ulteriore profilo.

    La   disposizione   in   questione   istituisce   una    funzione amministrativa in una materia di competenza  concorrente.  Si  tratta della qualificazione degli eventi di cui all'art. 2, comma  1,  lett. c), e all'art. 5, comma 1, della legge  n.  225  del  1992,  come  di «rilevanza  nazionale»:  qualificazione  dalla   quale   dipende   la possibilita' di accedere al Fondo  nazionale  di  protezione  civile.

Anche in questo caso la norma che affida al solo Stato lo svolgimento della funzione amministrativa in questione e'  incostituzionale,  per le  medesime  ragioni  illustrate  nel  par.  13.  La  giurisprudenza costituzionale ha infatti chiarito che, nelle materie  di  competenza concorrente la avocazione  da  parte  dello  Stato  di  una  funzione amministrativa puo' essere ritenuta costituzionalmente corretta  solo quando sussistano alcuni presupposti. Per quel che qui interessa,  lo svolgimento della funzione deve essere disciplinato in modo  tale  da affidare la decisione ad una «intesa» con la Regione interessata.

    Al riguardo - come gia' messo in luce nel paragrafo precedente  - rileva inoltre cio' che e' stato affermato  dalla  sent.  n.  33  del 2011, ossia che, quando vi sia dissenso tra le parti, il procedimento predisposto dalla legge in questione deve individuare  una  ulteriore sede decisionale (ad esempio, un comitato paritetico) rispettando  il principio di parita' delle parti (statale e regionale) e, ove ritenga di affidare ulteriormente ad una sola di esse (ossia al  Governo)  il potere di superare lo stallo eventualmente prodottosi anche in questa sede, deve  predisporre  strumenti  di  controllo  della  correttezza politica (e del rispetto della leale collaborazione) della  decisione finale adottata che, ancora una volta, si caratterizzino per la  loro terzieta'.

    Come e' agevole constatare, nulla di tutto cio' e' previsto dalla disciplina impugnata in questa sede, che si limita ad  attribuire  la decisione circa la qualificazione dell'evento straordinario da cui e' scaturita l'emergenza al  solo  Governo.  Si  tratta,  dunque,  della «secca» devoluzione ad una delle parti della decisione. Nulla di piu' lontano  da  quella  garanzia  di  «paritari   eta'»   e   di   leale collaborazione (effettiva) che la  giurisprudenza  costituzionale  ha sempre tenuto a  ribadire.  Da  cio'  l'evidente  incostituzionalita' della  disciplina  in  questione  anche  sotto  il   profilo   appena considerato.

 

                              P. Q. M.

 

    Si chiede che questa ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del  presente  ricorso,  dichiari   l'illegittimita'   costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre  2010,  n. 225 (Proroga di termini previsti da  disposizioni  legislative  e  di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), come convertito in legge,  con  modificazioni,  dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in  cui  ha  introdotto  i nuovi commi  5-quater  e  5-quinquies  nell'art.  5  della  legge  24 febbraio 1992, n. 225, nei termini sopra esposti.

 

    Con ossequio.

      Roma, addi' 22 aprile 2011

 

                             Avv. Grassi

 

 

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