Ricorso n. 41 del 6 maggio 2011 (Regione Marche)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 6 maggio 2011 (della Regione Marche).
(GU n. 25 del 8.6.2011)
Ricorso della Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, a cio' autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 583 del 19 aprile 2011, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma, piazza Barberini n. 12, come da procura speciale per atto del notaio Fernando Rosario Giampietro di Ancona, n. rep. 2182 del 19 aprile 2011;
Contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale in parte qua dell'art. 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), come convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 26 febbraio 2011, n. 47 S.O., nella parte in cui ha introdotto i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile).
1. - Il presente ricorso trae origine dalla conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), avvenuta ad opera della legge 26 febbraio 2011, n. 10.
In sede di conversione il comma 2-quater e' stato aggiunto all'art. 2 del d.l. n. 225 del 2010. Sono starti cosi' inseriti, nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), due nuovi commi: il 5-quater e il 5-quinquies, nei quali si stabilisce:
5-quater: «A seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, il Presidente della regione interessata dagli eventi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), qualora il bilancio della regione non rechi le disponibilita' finanziarie sufficienti per effettuare le spese conseguenti all'emergenza ovvero per la copertura degli oneri conseguenti alla stessa, e' autorizzato a deliberare aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla regione, nonche' ad elevare ulteriormente la misura dell'imposta regionale di cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, fino a un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita»;
5-quinquies: «Qualora le misure adottate ai sensi del comma 5-quater non siano sufficienti, ovvero in tutti gli altri casi di eventi di cui al comma 5-quater di rilevanza nazionale, puo' essere disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di protezione civile. Qualora sia utilizzato il fondo di cui all'articolo 28 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il fondo e' corrispondentemente e obbligatoriamente reintegrato in pari misura con le maggiori entrate derivanti dall'aumento dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina senza piombo, nonche' dell'aliquota dell'accisa sul
gasolio usato come carburante di cui all'allegato I del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni. La misura dell'aumento, comunque non superiore a cinque centesimi al litro, e' stabilita con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle dogane in misura tale da determinare maggiori entrate corrispondenti all'importo prelevato dal fondo di riserva. La disposizione del terzo periodo del presente comma si applica anche per la copertura degli oneri derivanti dal differimento dei termini per i versamenti tributari e contributivi ai sensi del comma 5-ter».
Con il presente atto, la Regione ricorrente impugna queste disposizioni perche' dirette a produrre l'effetto di porre a carico del bilancio regionale il peso finanziario di tutte le funzioni di protezione civile volte a fronteggiare eventi straordinari, a prescindere dall'ente competente ad esercitare tali funzioni e ad effettuare gli interventi concreti, e cio' anche quando l'ente competente sia lo Stato. La legge statale pone a carico della Regione non solo gli oneri economici e finanziari connessi all'esercizio delle funzioni di competenza regionale, ma anche quelli che fanno capo alle funzioni attibuite a tutti gli altri enti coinvolti dalla situazione di emergenza e, in particolare, alle funzioni esercitate o
facenti capo a organi o servizi dello Stato.
2. - Il quadro normativo nel quale le disposizioni impugnate si inseriscono e' il seguente.
Il sistema di protezione civile e' disciplinato dalla legge n. 225 del 1992, dagli artt. 107-109 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), nonche' dal d.l. 7 settembre 2001, n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attivita' di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 401 del 2001.
In particolare, l'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992 stabilisce: «Ai fini dell'attivita' di protezione civile gli eventi si distinguono in: a) eventi naturali o connessi con l'attivita' dell'uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria; b) eventi naturali o connessi con l'attivita' dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di piu' enti o amministrazioni competenti in via ordinaria; c) calamita' naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari».
L'individuazione delle funzioni che sono destinate ad attivarsi dinanzi a quest'ultima categoria di eventi deve procedere necessariamente tramite l'analisi del successivo art. 5, comma 1, della medesima legge. Esso dispone infatti che, «al verificarsi degli eventi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualita' ed alla natura degli eventi», aggiungendo che «con le medesime modalita' si procede alla eventuale revoca dello stato di emergenza al venir meno dei relativi presupposti». Il successivo comma 2 prevede che «per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione di cui al comma 1, si provvede, nel quadro di quanto previsto dagli articoli 12, 13, 14, 15 e 16, anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico», prevedendo altresi' che «le ordinanze sono emanate di concerto, relativamente agli aspetti di carattere finanziario, con il Ministro dell'economia e delle finanze» (tale periodo e' stato aggiunto dall'art. 2, comma 2-quinquies, dell'impugnato d.l. n. 225 del 2010, come convertito in legge). Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 5 della legge n. 225 del 1992, inoltre, «il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1, comma 2, il Ministro per il coordinamento della protezione civile, puo' emanare altresi' ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose (...)». Infine, in base al comma 4, «il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1, comma 2, il Ministro per il coordinamento della protezione civile, per l'attuazione degli interventi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, puo' avvalersi di commissari delegati (...)».
Ai sensi dell'art. 107 del d.lgs. n. 112 del 1998, allo Stato spetta la «predisposizione, d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati, dei piani di emergenza in caso di eventi calamitosi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e la loro attuazione», nonche' il compito di provvedere al «soccorso tecnico urgente, (alla) prevenzione e lo spegnimento degli incendi e (allo) spegnimento con mezzi aerei degli incendi boschivi».
L'art. 11 della legge n. 225 del 1992 individua le strutture di livello nazionale alle quali e' necessario affidarsi per gli interventi operativi. Si tratta: del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, delle Forze armate, delle forze di Polizia, del Corpo forestale dello Stato, dei Servizi tecnici nazionali, dei gruppi nazionali di ricerca scientifica di cui all'articolo 17, dell'Istituto nazionale di geofisica (e di altre istituzioni di ricerca), della Croce rossa italiana, delle strutture del Servizio sanitario nazionale, delle organizzazioni di volontariato e, infine, del Corpo nazionale soccorso alpino - CNSA (CAI).
All'attivita' di protezione civile, tuttavia, sono chiamati, in collaborazione tra loro, diversi enti e soggetti, individuati nell'art. 6 della legge n. 225 del 1992. In articolare, la disposizione citata, al comma 1, prevede che «all'attuazione delle attivita' di protezione civile provvedono, secondo i rispettivi ordinamenti e le rispettive competenze, le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le comunita' montane, e vi concorrono gli enti pubblici, gli istituti ed i gruppi di ricerca scientifica con finalita' di protezione civile, nonche' ogni altra istituzione ed organizzazione anche privata».
Si tratta, tuttavia, di una norma che riguarda in generale il concorso dei diversi enti che compongono il «Servizio nazionale della protezione civile» a tutte le varie e molteplici attivita' che al medesimo devono essere ricondotte. Le norme impugnate si riferiscono, in particolare, all'assetto delle competenze concernenti la gestione degli eventi straordinari di cui all'ad. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992.
In relazione a questi eventi, le attribuzioni e funzioni affidate alla Regione (ed agli altri enti sub-statali) si debbono richiamare le norme di cui agli arti. 108 e 107 del d.lgs. n. 112 del 1998 e l'art.12 della legge n. 225 del 1992.
Agli enti locali sub-regionali sono affidate dalla legge importanti (seppur circoscritte) funzioni: l'art. 108, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998, alloca al livello comunale la competenza a provvedere alla «attivazione dei primi soccorsi alla popolazione e degli interventi urgenti necessari a fronteggiare l'emergenza»; «alla vigilanza sull'attuazione, da parte delle strutture locali di protezione civile, dei servizi urgenti»; infine, «all'utilizzo del volontariato di protezione civile a livello comunale e/o intercomunale, sulla base degli indirizzi nazionali e regionali».
Alle regioni spettano competenze che - nell'ambito del quadro suddetto - assumono caratteri complementari: l'art. 107, comma 1, lett. a), numero 4 e 7, affida alla Regione l'«attuazione degli interventi necessari per favorire il ritorno alle normali condizioni di vita nelle aree colpite da eventi calamitosi», e le funzioni relative «agli interventi per l'organizzazione e l'utilizzo del volontariato»; cosi' come l'art. 12 della legge n. 225 del 1992 si limita ad affidare alla Regione il generico compito di «partecipa(re) all'organizzazione e all'attuazione delle attivita' di protezione civile indicate nell'articolo 3» della medesima legge, ossia (per
quel che qui specificamente rileva), «al soccorso delle popolazioni sinistrate ed ogni altra attivita' necessaria ed indifferibile diretta a superare l'emergenza connessa agli eventi di cui all'articolo 2».
A queste competenze delle regioni si possono aggiungere quelle eventualmente affidate da specifiche ordinanze governative di protezione civile, che provvedano in deroga alle disposizioni vigenti. 11 quadro delle competenze e' definito, in termini piu' generali, dall'art. 5, comma 1, del d.l. n. 343 del 2001, il quale cosi' dispone: «Il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero il Ministro dell'interno da lui delegato, determina le politiche di protezione civile, detiene i poteri di ordinanza in materia di protezione civile, promuove e coordina le attivita' delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni, degli enti pubblici nazionali e
territoriali e di ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale, finalizzate alla tutela dell'integrita' della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamita' naturali, da catastrofi e da altri grandi eventi, che determinino situazioni di grave rischio, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (...)». Come si vede, la competenza del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di
protezione civile e' disegnata come una competenza generale e residuale: tutto cio' che non e' specificamente attribuito ad altri enti (e si tratta, come si e' visto, di compiti limitati e comunque di minore portata, almeno in relazione al settore degli eventi straordinari di cui al cit. art. 2, comma 1, lettera c), legge n. 225 del 1992), e' infatti attribuito alla Presidenza del Consiglio. Le stesse competenze degli altri enti territoriali, peraltro, sono derogabili mediante le ordinanze di protezione civile, che possono disporre anche in difformita' dalle disposizioni legislative vigenti.
Come si puo' agevolmente constatare, quelle volte a fronteggiare eventi calamitosi straordinari sono funzioni, nel loro complesso, affidate alle politiche governative, ed in particolare attribuite al Presidente del Consiglio dei ministri. Gli enti territoriali sub-statali svolgono funzioni di supporto e sostanzialmente ancillari rispetto a quelle affidate agli apparati dello Governo centrale.
3. - Le nuove previsioni contenute nei commi 5-quater e 5-quinquies dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 inseriscono in questo sistema norme che limitano fortemente l'autonomia costituzionale delle regioni. Si tratta, infatti,di norme che fanno gravare interamente sul bilancio regionale anche il finanziamento delle funzioni e degli interventi volti a fronteggiare l'emergenza connessa ad eventi straordinari che non sono riconducibili alla competenza delle regioni e, in particolare, le funzioni e gli interventi di competenza dello Stato o degli altri enti territoriali.
Nonostante la pluralita' di enti chiamati a fronteggiare l'emergenza, e nonostante il ruolo di primo piano che ricopre lo Stato nelle vicende in questione, infatti, i commi 5-quater e 5-quinquies dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 pongono interamente a carico del bilancio della Regione interessata, o delle regioni territorialmente interessate da una dichiarazione di stato di emergenza per gli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), tutti gli oneri finanziari conseguenti all'emergenza, indipendentemente dagli organi e dall'ente (Stato, regione, province e comuni) chiamati ad intervenire in concreto sulla base del riparto di competenze stabilito nei richiamati artt. 5-6 e 11-15 della medesima legge n. 225 del 1992 e nell'art. 5 del d.l. n. 343 del 2001, nonche' nelle ordinanze contingibili e urgenti eventualmente derogatorie rispetto alla normativa legislativa vigente sul riparto delle competenze e, dunque, indipendentemente dalla titolarita' statale, regionale o locale delle funzioni amministrative in concreto esercitate o da esercitare.
Il bilancio regionale si trova dunque a dover fronteggiare spese connesse a funzioni che la Regione non e' chiamata ad esercitare e che, viceversa, fanno capo agli altri enti territoriali e, in particolare, allo Stato.
Sempre nel nuovo comma 5-quater e' contenuta una previsione che solo all'apparenza determina un ampliamento dei poteri spettanti alle regioni. Ai sensi di questa disposizione, infatti, qualora il bilancio regionale non risulti capiente per la copertura delle spese citate, il Presidente della Regione «e' autorizzato» a deliberare aumenti - nella misura massima consentita dalla legislazione vigente - dei tributi, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla Regione, nonche', all'occorrenza, anche un ulteriore aumento dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione fino ad un massimo di 5 cent. per litro. A dispetto della formulazione testuale che «formalmente» si limita a riconoscere un «potere», si tratta a tutti gli effetti dell'imposizione al Presidente della Regione di un «obbligo» di esercitare la potesta' tributaria riconosciuta alla Regione dalla legislazione vigente fino ai limiti massimi consentiti da questa o fino all'ulteriore aumento straordinario dell'imposta sulla benzina per autotrazione, con l'ulteriore (e connesso) «obbligo» di destinare i proventi delle entrate tributarie cosi' raccolte al finanziamento degli interventi necessari a fronteggiare l'emergenza. Da simili «obblighi» la Regione potrebbe «liberarsi» solo ed esclusivamente mediante una variazione
di bilancio, ad esempio disponendo la riduzione di spese gia' previste in relazione ad altre funzioni.
Che le disposizioni impugnate, nella sostanza, impongano un «obbligo» alla Regione e' conclusione supportata espressamente dal disposto del comma 5-quinquies, primo periodo, laddove si stabilisce che la previa adozione delle misure di cui al comma 5-quater e l'eventuale «certificazione» della loro insufficienza a coprire tutte le spese dell'emergenza costituisce presupposto indispensabile per rendere «possibile» l'accesso al Fondo nazionale di protezione civile, possibilita' quest'ultima interamente rimessa - peraltro - ad
una decisione politica ed unilaterale del Governo nazionale. L'unica alternativa espressamente contemplata affinche' «possa» essere disposto l'utilizzo del predetto Fondo nazionale e' quella della "qualificazione" dell'evento in questione come evento di rilevanza nazionale, ma anche in questo caso la decisione - e, dunque, la stessa «qualificazione» dell'evento - rimane affidata ad una scelta politica e unilaterale del Governo nazionale.
4. - Che questa sia l'interpretazione delle disposizioni in questione dalla quale e' necessario prendere le mosse ai fini del presente giudizio e' mostrato con chiarezza dalla direttiva adottata dal Presidente del Consiglio dei ministri all'indomani dell'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 225 del 2010 - in data 14 marzo 2011 - e contenente «Indirizzi per lo svolgimento delle attivita' propedeutiche alle deliberazioni del Consiglio dei ministri da adottare ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e per la predisposizione ed attuazione delle ordinanze di cui all'art. 5, commi 2 e 3, della legge 24 febbraio 1992, n. 225,
nonche' per l'attuazione del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10».
Innanzi tutto, e' significativa l'affermazione contenuta nella premessa della direttiva, secondo la quale la normativa vigente (come qui si e' evidenziato) attribuisce «al Presidente del Consiglio dei ministri la titolarita' delle politiche di protezione civile», consentendogli di «emanare speciali ordinanze derogatorie dell'ordinamento giuridico vigente ed istituire altrettanto eccezionali e peculiari assetti organizzativi anche facenti capo a specifici Commissari delegati». Ebbene, secondo la direttiva in questione, ai sensi delle nuove disposizioni introdotte dal d.l. n. 225 del 2010, le citate «politiche» del Presidente del Consiglio devono essere finanziate, innanzi tutto, a gravare sul bilancio della Regione o delle regioni interessate. Cio' risulta con chiarezza, innanzi tutto, dal paragrafo dedicato alle «risorse necessarie per fronteggiare l'emergenza» ove si afferma che, «per il combinato disposto dei citati commi 5-quater e 5-quinquies» della legge n. 225 del 1992, «e' la Regione esclusivamente interessata, ovvero sono le regioni interessate (in tal caso pro-quota) a doversi fare carico in primo luogo del reperimento delle risorse finanziarie necessarie a far fronte ai fabbisogni occorrenti». A questo fine - secondo la direttiva - la Regione (o le regioni interessate), dovra' (dovranno):
«a) innanzi tutto (...) reperire all'interno del proprio bilancio le disponibilita' finanziarie sufficienti per effettuare le spese conseguenti all'evento emergenziale ovvero per la copertura degli oneri conseguenti allo stesso; b) poi, qualora il bilancio non rechi tale disponibilita', (...) deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla Regione, sino al limite massimo consentito dalla legislazione vigente; c) nonche' (...) - sia nel caso che gli aumenti deliberati ai sensi della lettera b) non assicurino comunque il reperimento di tutte le disponibilita' occorrenti sia in quello della impossibilita' di deliberare aumenti giacche' gli stessi sono stati gia' precedentemente operati nei limiti massimi consentiti dalla legislazione vigente - (...) elevare ulteriormente la misura dell'imposta regionale di cui all'art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 398 del 1990, fino a un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita».
La direttiva, inoltre, Ritiene di dover precisare che le iniziative appena evocate non rappresentano affatto «una mera facolta' lasciata alla libera iniziativa discrezionale» della Regione; cio' sulla base dell'incipit del comma 5-quinquies, «laddove esso prevede che (solo) "qualora le misure adottate ai sensi del comma 5-quater non siano sufficienti (...) puo' essere disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di protezione civile''».
Come si puo' osservare, la direttiva si rivela ancora piu' severa con le regioni di quanto non risulti dalla stessa disposizione normativa:
essa, infatti, con una omissione verosimilmente «consapevole» nella citazione del primo periodo del comma 5-quinquies, evita di considerare l'alternativa della «rilevanza nazionale» degli eventi che pure, in base al disposto testuale, dovrebbe consentire l'accesso al Fondo nazionale. Con queste premesse, la conclusione della direttiva sul punto non puo' che essere drastica: «In altri termini, perche' si possa utilizzare il predetto Fondo occorre pur sempre che, prima, risultino effettivamente assunte ed applicate le iniziative di competenza regionale sopra descritte». E a tale riguardo, si precisa che le regioni potranno accedere alle misure di cui al comma 5-quinquies soltanto «attestando di aver concretamente esperito le
iniziative di propria competenza di cui al comma 5-quater, evidentemente per la differenza di fabbisogno fra quanto reperito attraverso le proprie iniziative e quanto necessario per le spese conseguenti all'evento emergenziale ovvero per la copertura degli oneri dallo stesso derivanti».
L'interpretazione delle due nuove disposizioni fornita dal Presidente del Consiglio dei ministri si rivela dunque di tenore inequivoco: da esse discende l'effetto di porre a carico del bilancio delle regioni e dei loro sistemi di imposizione fiscale - almeno fino alla loro «certificata insufficienza» - tutti gli oneri finanziari derivanti dalla gestione degli interventi di emergenza per fronteggiare gli eventi calamitosi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992, indipendentemente dagli enti, dagli organi e dalle strutture competenti ad effettuare gli interventi suddetti. E a sgombrare il campo da ogni dubbio residuo vale, infine,
la seguente affermazione contenuta nel paragrafo della direttiva intitolato alle «risorse necessarie per fronteggiare l'emergenza»:
«Da ultimo, va ribadito che le risorse complessivamente individuate per far fronte all'emergenza dovranno essere destinate anche al ristoro degli oneri derivanti dall'attivazione o dall'impiego delle componenti e delle strutture operative del Servizio nazionale di protezione civile».
5. - Ad ulteriore sostegno del fatto che quella appena indicata sia l'interpretazione delle nuove disposizioni assunta ufficialmente dal Governo e che essa si riveli gravemente lesiva della posizione costituzionale delle regioni, meritano di essere richiamati i fatti che hanno specificamente riguardato la Regione Marche a seguito degli eventi calamitosi verificatisi dal 1° al 6 marzo 2011. La vicenda e' illustrata con chiarezza nella risoluzione approvata dall'Assemblea legislativa delle Marche nel corso della seduta del 5 aprile 2011, n. 40, con la quale l'organo legislativo regionale ha impegnato la Giunta «ad impugnare l'art. 2, comma 2-quater, del decreto-legge n. 225/2010 (decreto milleproroghe), convertito nella legge n. 10/2011, innanzi alla Corte costituzionale e la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2011 avanti al competente giudice amministrativo».
Nelle premesse di fatto della risoluzione si da' atto che:
«nei giorni dal 1° al 6 marzo 2011 il territorio della Regione Marche e' stato colpito da fenomeni temporaleschi diffusi di eccezionale intensita' che hanno provocato ingenti danni alle infrastrutture, agli edifici pubblici e privati, nonche' una grave compromissione delle attivita' produttive nelle zone interessate»;
«da una prima ricognizione i danni ammontano a circa 462 milioni di euro, cui vanno aggiunti quelli all'agricoltura»;
«con decreto del 10 marzo 2011 il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza in relazione ai suddetti eventi fino al 31 marzo 2012»;
«la Regione ha chiesto al Governo che venga disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di protezione civile, considerato il carattere di rilevanza nazionale degli eventi calamitosi»;
«la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della protezione civile con nota del 31 marzo 2011, richiamando la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2011, recante gli indirizzi per lo svolgimento delle attivita' da adottare per l'adozione delle ordinanze di protezione civile, ha ribadito la necessita' che la Regione certifichi: a) se sono state individuate disponibilita' all'interno del proprio bilancio per fronteggiare l'emergenza in questione; b) se sono state aumentate fino al massimo le aliquote fiscali di competenza e in particolare l'aliquota dell'accisa regionale sulla benzina».
Di qui la conclusione che correttamente ha tratto l'Assemblea legislativa delle Marche, secondo la quale «l'interpretazione del decreto legge n. 225/2010, art. 2, comma 2-quater, fornita dalla direttiva suddetta, condiziona rigidamente l'intervento statale al completo utilizzo da parte delle regioni interessate della potesta' tributaria lorda riconosciuta, negando in tal modo la rilevanza nazionale dell'evento e riducendo la giustificazione dell'intervento nazionale ad una pura funzione suppletiva nell'ipotesi di insufficienza dei mezzi regionali, indipendentemente dalla natura e dalla qualita' degli eventi straordinari».
6. - La Regione Marche, pertanto, con la deliberazione della Giunta indicata in epigrafe, ha espresso la volonta' di impugnare davanti a questa Corte le disposizioni contenute nell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011, perche' costituzionalmente illegittime e lesive dell'autonomia che la Costituzione riconosce e garantisce alle regioni, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., nonche' al principio costituzionale di leale collaborazione.
L'illegittimita' costituzionale che si denuncia con il presente ricorso si fonda sulle seguenti ragioni di diritto.
7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione dell'art. 119 Cost. e, in particolare, del principio di corrispondenza tra le risorse finanziarie disponibili in base alle fonti di cui ai commi 2 e 3 di tale articolo e le funzioni attribuite in titolarita' a ciascun ente territoriale della Repubblica.
7.1. - Il comma 2-quater dell'art. 2 del d.l. n. 225 del 2010, come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011, ha aggiunto i commi 5-quater e 5-quinquies all'art. 5 della legge n. 225 del 1992.
Per esigenze di semplificazione espositiva, di seguito si fara' riferimento direttamente alle nuove disposizioni introdotte nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992.
Tali norme, come si e' detto, pongono a carico dei bilanci delle regioni colpite da calamita' naturali o altri eventi in relazione ai quali si decida di deliberare lo stato di emergenza, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, il peso economico di tutti gli interventi necessari per fronteggiare l'emergenza, a prescindere dall'ente cui debba essere riferita la competenza e la responsabilita' in ordine alla loro effettiva realizzazione in concreto.
Le previsioni contenute nei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 violano evidentemente l'art. 119, quarto comma, Cost., poiche' contrastano con il principio da esso desumibile della piena ed integrale corrispondenza tra le risorse finanziarie disponibili in base alle fonti di cui ai commi secondo e terzo e le funzioni attribuite in titolarita' a ciascun ente territoriale della Repubblica.
7.2. - Dal quadro normativo richiamato nelle premesse di fatto, in ordine al riparto delle competenze in materia di protezione civile, emerge chiaramente che, soprattutto in relazione agli eventi straordinari cui si collega la dichiarazione dello stato di emergenza di cui all'art. 5 della legge n. 225 del 1992, tra i vari enti territoriali necessariamente coinvolti e' lo Stato a ricoprire una posizione del tutto preminente, quale soggetto cui e' attribuita, addirittura, una competenza generale e residuale rispetto a quelle specificamente riconosciute alle autonomie territoriali.
Il sistema della disposizioni legislative vigenti fornisce, pertanto, una conferma inequivoca di quanto affermato con chiarezza dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2011: ossia che quelle volte a fronteggiare eventi calamitosi straordinari sono senz'altro, nel loro complesso, «politiche governative» di livello nazionale, affidate, in particolare, alla responsabilita' del Presidente del Consiglio dei ministri. Gli enti territoriali sub-statali hanno una funzione esclusivamente ancillare
rispetto a tali politiche. Cio' nondimeno, come si e' gia' posto in rilievo, le disposizioni impugnate in questa sede stabiliscono che il peso economico di queste politiche debba gravare non sul bilancio statale - come sarebbe del tutto normale, essendo le medesime «politiche statali» - bensi' sui bilanci e sui sistemi tributari delle regioni.
7.3. - Tale previsione contrasta con il fondamentale principio posto dall'art. 119 Cost., secondo cui non e' costituzionalmente consentito che una legge dello Stato imponga alle regioni di finanziare funzioni amministrative di pertinenza del primo.
Come e' noto, la disposizione costituzionale sopra citata indica, ai commi secondo e terzo, le fonti ordinarie di approvvigionamento dei bilanci degli enti territoriali sub-statali, individuandole nei tributi e nelle entrate proprie, nella compartecipazione al gettito dei tributi erariali e nella quota di spettanza del fondo perequativo. Il successivo comma quarto, inoltre, prevede che «le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e alle regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite». Alle risorse previste dai commi secondo e terzo dell'art. 119, inoltre, il comma quinto aggiunge - con norma evidentemente di «chiusura» - la previsione secondo la quale «lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati comuni, province, citta' metropolitane e regioni», allo scopo di «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni».
Dall'insieme delle disposizioni appena menzionate si ricava con chiarezza il principio generale secondo il quale le funzioni di ciascun ente territoriale sono integralmente finanziate tramite le proprie entrate ordinarie, che per gli enti sub-statali sono individuate dai commi secondo e terzo, sopra citati. L'unica eccezione a questo principio generale di corrispondenza tra funzioni e risorse e', per l'appunto, quella espressamente prevista dal comma quinto dell'art. 119: gli interventi speciali e le risorse aggiuntive che lo Stato deve destinare a singoli enti territoriali al fine di garantire la realizzazione di alcuni fondamentali valori costituzionali e l'effettivo esercizio/godimento dei diritti della persona, nonche' - non a caso - per provvedere a tutti gli scopi che fuoriescano dal «normale esercizio» delle funzioni ordinariamente spettanti agli enti autonomi territoriali.
Il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse rileva qui da due differenti - ma concorrenti - punti di vista:
a) in primo luogo, esso mostra chiaramente che, oltre all'ipotesi da ultimo citata, di cui all'art. 119, quinto comma, Cost., il nostro diritto costituzionale non ammette che le funzioni di un ente territoriale possano essere finanziate mediante il ricorso ad entrate diverse da quelle che, in via ordinaria, competono al suo bilancio. Di conseguenza non puo' che ritenersi costituzionalmente illegittima la previsione secondo la quale le funzioni statali in materia di protezione civile, connesse alla declaratoria dello stato di emergenza di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), e all'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, sono finanziate a gravare sui bilanci delle regioni interessate. Con evidenza, le risorse provenienti da questi bilanci non fanno parte, infatti, delle risorse che ordinariamente competono allo Stato;
b) il principio costituzionale di corrispondenza tra funzioni e risorse, come desumibile dall'art. 119 Cost., rileva in questa sede anche sotto un secondo profilo.
Il quarto comma di tale disposizione costituzionale, infatti, nell'affermare che le risorse dei precedenti commi «consentono ai comuni, alle province, alle citta' metropolitane e alle regioni di finanziare integralmente le funzioni loro attribuite», evidentemente presuppone che le risorse in questione siano stabilmente destinate al finanziamento di tali funzioni, e non al finanziamento di funzioni svolte da altri soggetti. La medesima conclusione deve necessariamente trarsi anche dal testo del successivo comma quinto dell'art. 119 Cost.: se lo Stato e' chiamato a porre in essere «interventi speciali» e a destinare «risorse aggiuntive», al fine di «provvedere a scopi diversi dall'esercizio delle loro funzioni» (i.e.
delle funzioni degli enti territoriali sub-statali), a maggior ragione si deve ritenere che non possa imprimere alle risorse «ordinarie» delle regioni (e degli enti locali) destinazione diversa da quella del finanziamento di queste funzioni.
8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost.
8.1. - Le norme contenute nei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 contrastano palesemente e in termini specifici con quanto disposto dall'art. 119, quinto comma, Cost.
In base a quanto prevede tale disposizione, come si e' appena posto in rilievo, la Costituzione affida espressamente allo Stato il compito di «destinare» «risorse aggiuntive» rispetto a quelle di cui ai commi secondo e terzo del medesimo art. 119 e di «effettuare» «interventi speciali in favore di determinati Comuni, province, citta' metropolitane e regioni». La norma costituzionale stabilisce, altresi', le finalita' cui tali «risorse aggiuntive» e tali «interventi speciali» di competenza statale debbono essere rivolti:
la promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarieta' sociale; la rimozione degli squilibri economici e sociali; la migliore garanzia dell'effettivo esercizio dei diritti della persona; la necessita' di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni affidate alla competenza degli enti autonomi territoriali. In sintesi, e' evidente che l'art. 119, quinto comma, cost. attribuisce specificamente allo Stato una peculiare funzione «sussidiaria» a garanzia ultima di alcuni valori imprescindibili dell'ordinamento, intestando proprio all'ente esponenziale dell'unita' e indivisibilita' della Repubblica il compito di assicurare la disponibilita' delle risorse e gli interventi necessari allorquando i suddetti valori non possano essere adeguatamente garantiti dal normale esercizio delle funzioni spettanti alle autonomie territoriali.
Se si considera la tipologia di eventi contemplati dall'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992 cui fanno esplicito riferimento le norme impugnate nel presente giudizio (ossia «calamita' naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari»), e' del tutto agevole dedurne che proprio in presenza di simili circostanze di fatto ci si trova a dover fronteggiare situazioni che determinano un sicuro pregiudizio per i valori contemplati nel quinto comma dell'art. 119 Cost., che certamente fuoriescono dal campo del «normale esercizio» delle funzioni delle
autonomie territoriali e che, pertanto, costituiscono senz'altro uno dei campi privilegiati di quella responsabilita' «sussidiaria» che la citata norma costituzionale intesta allo Stato. In altre parole, non puo' seriamente dubitarsi che tra gli «interventi speciali» di cui al quinto comma dell'art. 119, debbano essere collocati anche quelli svolti in risposta ad «emergenze» rientranti nell'ambito del disposto dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992. E non puo' dubitarsi che con le disposizioni che qui si contestano lo Stato intende sottrarsi dal finanziare lo svolgimento di specifici compiti che la Costituzione gli assegna, mettendo peraltro seriamente a rischio la loro concreta
realizzazione.
Da cio' discende, in termini evidenti, l'illegittimita' costituzionale di norme legislative quali quelle impugnate in questa sede, in quanto volte a porre a carico delle regioni direttamente interessate dagli eventi catastrofici di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992 gli oneri finanziari connessi con la gestione dell'emergenza e, dunque, volte a determinare la sostanziale «abdicazione» da parte dello Stato dai propri compiti espressamente contemplati nell'art. 119, quinto comma, Cost.
9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione dell'art. 119, primo comma, cost. e, in particolare, del principio di autonomia di entrata e di spesa della Regione.
9.1. - L'art. 119 Cost. risulta violato anche per un diverso profilo. Tale disposizione costituzionale - in particolare, al primo comma - stabilisce che la Regione goda di autonomia di entrata e di spesa. Tale autonomia e' evidentemente vulnerata e compressa in modo grave dalle disposizioni che si contestano in questa sede.
9.2. - L'autonomia finanziaria regionale, innanzi tutto, e' vulnerata dalla circostanza secondo la quale la Regione si vede imporre, mediante una legge dello Stato, l'obbligo di finanziare a carico del proprio bilancio funzioni esercitate da quest'ultimo.
L'autodeterminazione circa l'utilizzazione delle proprie risorse e la connessa responsabilita' - sia generalmente politica, che specificamente fiscale - nei confronti del corpo elettorale regionale vengono evidentemente messe in crisi da tale previsione.
9.3. - La violazione dell'autonomia finanziaria regionale garantita dal primo comma dell'art. 119 Cost. e' apprezzabile anche da un altro punto di vista.
I commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, infatti, nel prevedere che qualora il bilancio regionale non risulti capiente per la copertura delle spese, il Presidente della Regione debba esercitare la potesta' tributaria riconosciuta alla Regione dalla legislazione nazionale vigente, deliberando aumenti - nella misura massima consentita da quest'ultima - dei tributi, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla Regione, nonche' deliberando - all'occorrenza – anche un ulteriore aumento dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione fino ad un massimo di 5 cent. per litro, determinano un vincolo particolarmente stringente all'esercizio della potesta' tributaria della Regione, azzerando i margini di scelta relativi ad una propria e responsabile «politica di imposizione fiscale». In tal modo viene dunque fortemente compressa l'autonomia di entrata della Regione. A sostegno del presente motivo di censura, inoltre, puo' essere sottolineato quanto segue.
La Regione Marche non ignora che le regioni, ove proprio non intendano aumentare le entrate tributarie gravanti sulle popolazioni residenti sul territorio regionale, possono «liberarsi» dalla necessita' di procedere in tal senso mediante una variazione di bilancio, ad esempio disponendo la riduzione di spese in esso previste. Tale rilievo, tuttavia, evidenzia ulteriormente l'incostituzionalita' delle disposizioni impugnate, poiche' rende evidente che l'unico modo che la Regione ha per evitare la compressione della propria autonomia di entrata, e' quello di accettare una corrispondente compressione della propria autonomia di spesa, ossia di deliberare una variazione di bilancio che elimini o riduca spese gia' precedentemente stabilite nell'esercizio della propria autonomia.
La lesione delle prerogative costituzionali della Regione, peraltro, risulta ancor piu' evidente ove si consideri, sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla sent. n. 320 del 2004 di questa Corte, che «in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalita' per la loro erogazione» (par. 7 del Considerato in diritto). Tale rilievo rende del tutto evidente che la costrizione - per il tramite della «minaccia» costituita dalla possibile compressione della autonomia di entrata - a ridurre le politiche di
spesa di una Regione comporta la incisione del «cuore pulsante» dell'autonomia di quest'ultima in parecchi degli ambiti materiali che il Titolo V della Parte seconda della Costituzione attribuisce alla competenza della medesima.
9.4. - Tali ultime considerazioni, inoltre, consentono di apprezzare un ulteriore punto di vista dal quale risultano violati tanto il principio di autonomia finanziaria delle regioni, quanto il principio di corrispondenza tra entrate ordinarie di queste ultime e le funzioni dalle medesime esercitate. In base alla giurisprudenza costituzionale, infatti, le risorse di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 119 cost. «consentono - vale a dire devono consentire - agli enti di "finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite'' (quarto comma), salva la possibilita' per lo Stato di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati comuni, province, citta' metropolitane e regioni, per gli scopi di sviluppo e di garanzia enunciati dalla stessa norma o "per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio'' delle funzioni degli enti autonomi (quinto comma)» (sent. n. 37 del 2004, par. 5 del Considerato in diritto; analogamente la sent. n. 370 del 2003, par. 7 del Considerato in diritto). Ora, nell'ipotesi in cui la Regione voglia evitare la compressione della propria autonomia di entrata e, dunque, non intenda aumentare le entrate tributarie indicate dal comma 5-quater dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, si trova a dover ridurre lo stanziamento di bilancio volto a finanziare proprie funzioni amministrative, potendo giungere addirittura a dover contemplare la possibilita' di azzerare il primo ed eliminare le seconde. Con il risultato - evidentemente gravissimo per l'autonomia regionale - di veder vulnerato proprio quel principio di corrispondenza, il quale richiede che le risorse ordinariamente afferenti al bilancio regionale siano sufficienti a finanziare le funzioni regionali.
La conseguenza e' di palmare evidenza: le disposizioni oggetto del presente giudizio mettono «nell'angolo» la Regione. Essa, infatti, si trova costretta o ad accettare la compressione della propria autonomia di entrata (ed in particolare della propria autonomia impositiva), ovvero ad accettare la violazione del principio di corrispondenza sancito dall'art. 119, quarto comma, Cost., con il risultato di dover necessariamente rinunziare ad esercitare alcune delle proprie funzioni istituite e/o finanziate nell'ambito dell'esercizio della propria autonomia.
E' evidente che - anche in questo caso - determinante al fine del prodursi della violazione qui denunciata e' la circostanza secondo la quale le risorse reperite a carico del bilancio della Regione o del sistema tributario regionale ai sensi dell'art. 5, comma 5-quater, della legge n. 225 del 1992 sono volte a finanziare funzioni (e, piu' in generale, politiche) svolte da altri enti, in particolare dallo Stato. Se, infatti, le funzioni volte a fronteggiare gli stati di emergenza di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992 fossero affidate alla competenza delle regioni, queste ultime certo si vedrebbero gravare di una notevole responsabilita', in vista della quale dovrebbero comunque essere dotate delle risorse necessarie in base ai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 119
Cost., ma senza dubbio le disposizioni qui impugnate non determinerebbero la violazione del principio di corrispondenza tra funzioni e risorse, ne' dell'autonomia finanziaria regionale.
9.5. - Infine, in relazione al presente motivo di ricorso, si deve osservare quanto segue.
La Regione Marche non ignora che la giurisprudenza di questa Corte concernente il sistema disegnato dall'art. 119 cost. ha affermato che quest'ultimo non e' in grado di dispiegare pienamente i propri effetti sino al momento in cui non sara' pienamente operante la legge statale espressamente prevista per il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. In questa sede, e' pero' necessario evidenziare che la medesima giurisprudenza ha chiarito che cio' non comporta la conseguenza secondo la quale, anche prima della sua attuazione legislativa, l'art. 119 cost. non sia in grado di impone alcuni precetti direttamente operanti. Tra questi - oltre al «principio di corrispondenza», sul quale ci si e' gia' ampiamente soffermati - e' stato individuato anche quello consistente nel «divieto imposto di procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dall'art. 119 della Costituzione, e cosi' di sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di autonomia gia' riconosciuti dalle leggi statali in vigore, alle regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119» (cosi' la sent. n. 423 del 2004, par. 3.3 del Considerato in diritto, che richiama le sentt. nn. 320, 241 e 37 del 2004). E' evidente che, invece, tale «procedere in senso inverso» e' precisamente l'effetto delle disposizioni impugnate: esse infatti - per le ragioni illustrate - sopprimono spazi di autonomia finanziaria gia' riconosciuti alle regioni e pongono delle norme direttamente contrastanti con i principi desumibili dall'art. 119 Cost.
10. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione dell'art. 119 Cost., sotto il profilo della imposizione di vincoli di destinazione a risparmi di spesa e a entrate regionali.
10.1. - Oltre al «principio di corrispondenza», e al precetto del «divieto di procedere in senso inverso», la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che dall'art. 119 Cost. debba ricavarsi un altro principio, direttamente e immediatamente operante, e particolarmente rilevante in questa sede. Si tratta del divieto di istituire fondi vincolati nella destinazione, con particolare riguardo alle materie affidate alla competenza legislativa residuale regionale o concorrente di Stato e regioni (tra le molte, si vedano le sentt. nn. 370 del 2003, 320 del 2004, 137 e 201 del 2007).
A tutta evidenza, il caso di specie non e' certo quello di un fondo, previsto nel bilancio statale, che sia finalizzato ad essere trasferito alle regioni con vincolo di destinazione. Con altrettanta evidenza, tuttavia, il principio del divieto dei vincoli di destinazione desumibile dall'art. 119 cost. si configura come principio generale concernente tutte le risorse garantite alle autonomie territoriali dai commi secondo e terzo della norma costituzionale citata. In dottrina e' stato affermato, al riguardo, che «non puo' essere messo in dubbio» che l'autonomia finanziaria
degli enti territoriali «comprenda la possibilita' di stabilire la tipologia e l'entita' delle spese proprie di tali enti». Piu' specificamente, si e' evidenziato che il divieto di imprimere vincoli di destinazione al fondo perequativo di cui all'art. 119, terzo comma, Cost., produce, in generale, «un effetto di tipo proibitivo nei confronti della formazione primaria e secondaria che stabilisca vincoli specifici di destinazione» (G. Fransoni, G. Della Cananea, Art. 119, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, III, Utet giuridica-Wolter Kluvver Italia Giuridica, Milano, 2006, pagg. 2368 e 2373).
Tale principio generale e' senz'altro applicabile anche a casi come quello che viene sottoposto al giudizio di questa Corte nella sede odierna.
E' indubbio, infatti, che le norme qui censurate pongono un vincolo di destinazione. Tale vincolo grava, alternativamente, o sulle somme derivanti dall'aumento del prelievo tributario eventualmente stabilito dal Presidente della Regione ai sensi di questa disposizione, o sulle somme derivanti dai risparmi di spesa che la Regione deliberi mediante una variazione di bilancio per evitare di dover ricorrere ai suddetti aumenti tributari. E' altrettanto indubbio, peraltro, che il divieto di vincoli nella destinazione che grava sui trasferimenti di origine statale non puo' che valere, a maggior ragione, in relazione alle risorse autonomamente reperite dalla Regione (come lo sono sia quelle derivanti dall'incremento del prelievo tributario che quelle conseguenti a risparmi di spesa). In relazione a casi similari, fino ad oggi, la giurisprudenza costituzionale non ha avuto modo di soffermarsi, forse perche' mai la legislazione statale si era, prima d'ora, spinta cosi' in la' nella compressione dell'autonomia finanziaria regionale: e' infatti molto piu' grave per quest'ultima un vincolo di destinazione imposto su risorse autonomamente reperite che il medesimo vincolo gravante su risorse trasferite dallo Stato.
Per questa ragione, non vi e' chi non veda che le norme statali impugnate violano palesemente il principio costituzionale della autonomia finanziaria, con particolare riguardo al divieto di imporre vincoli nella destinazione delle risorse.
11. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 119, secondo comma, Cost., in relazione alla competenza legislativa concorrente nella materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario».
11.1. - I commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 violano anche l'art. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., in quanto si pongono in contrasto con il riparto di competenze legislative concernente la materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» stabilito dalle norme costituzionali citate, cosi' come ricostruito dalla giurisprudenza costituzionale.
Al riguardo, e' possibile evidenziare quanto segue.
Che la disciplina oggetto di censura debba essere ricondotta alla materia del «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» non e' ragionevolmente discutibile. Le norme in questione, infatti, dettano una disciplina appositamente rivolta a coordinare la «ripartizione» degli oneri finanziari connessi con la gestione degli stati di emergenza derivanti da calamita' naturali o eventi catastrofici, attribuendone il peso interamente ai bilanci delle regioni, ponendo limiti alla loro potesta' di spesa (in relazione a somme ottenute mediante l'esercizio della potesta' tributaria regionale ovvero mediante risparmi di spesa) e, infine, prevedendo la mera «eventualita'» del ricorso alle risorse del Fondo nazionale di protezione civile.
La materia de qua e' affidata, dalla Costituzione, alla competenza legislativa concorrente di Stato e' regioni. E' noto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non e' possibile stabilire, in generale e a valere per tutte le materie di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost., cosa sia principio fondamentale e cosa non lo sia. E' viceversa necessario che i criteri per discriminare le norme di principio da quelle di dettaglio tengano conto delle peculiarita' delle singole materie. E' per questo che, nel caso di specie, e' necessario (ancor piu' che in altre situazioni) fare riferimento alle pronunce di questa Corte.
Sul punto, rilevano tutte le decisioni che hanno evidenziato come le norme statali che impongono vincoli alle spese possano essere ritenute espressive di principi fondamentali soltanto (per quel che qui specificamente interessa) se tali vincoli sono volti a perseguire l'obiettivo del riequilibrio della finanza pubblica. Si puo' richiamare, solo per citare un esempio tra le pronunce piu' recenti, la sent. n. 326 del 2010: «Nella giurisprudenza di questa Corte e' ormai consolidato l'orientamento secondo cui norme statali che fissano limiti alla spesa delle regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (par. 8.5 del Considerato in diritto).
Ora, e' noto che nella maggior parte dei casi affermazioni di tale tenore hanno avuto ad oggetto norme statali che ponevano divieti di spesa, mentre in questo caso le norme impugnate pongono un limite differente, consistente - come gia' messo in evidenza - in un vincolo nella destinazione di risorse indiscutibilmente di spettanza regionale in quanto riconducibili alle fonti di entrata di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 119 Cost. La Regione Marche, tuttavia, ritiene che l'orientamento giurisprudenziale appena richiamato non possa non valere anche per questo diverso limite, il quale, come si e' mostrato piu' sopra, e' particolarmente grave per l'autonomia regionale proprio perche' destinato ad investire risorse non trasferite dallo Stato ma autonomamente reperite dalla Regione.
Cio', nel caso di specie, conduce senz'altro ad escludere la qualifica di «principio fondamentale» ai precetti di cui all'art. 5, commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, in quanto - evidentemente - i limiti che essi impongono non sono in alcun modo finalizzati al perseguimento dell'obiettivo del riequilibrio della finanza pubblica, ne' un simile obiettivo e' in alcun modo desumibile dal tenore testuale delle disposizioni in questione.
Per questi motivi, si deve ritenere che le norme impugnate, nella parte in cui impongono limiti e vincoli puntuali all'utilizzo di risorse finanziarie regionali, siano contrastanti con il riparto delle competenze legislative in materia di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», non essendo in alcun modo qualificabili come principi fondamentali ditale materia.
12. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011, limitatamente alla introduzione del comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost., nella parte in cui prevede che l'accesso al Fondo nazionale di protezione civile e' semplicemente «possibile» e subordinato a valutazioni «politiche» del Governo anziche' essere obbligatorio e automatico.
12.1. - La presente censura e' proposta in via subordinata rispetto a tutte quelle fin qui prospettate. La Regione Marche, infatti, sostiene che - anche nella denegata ipotesi in cui questa Corte ritenesse di respingere tutte le questioni di legittimita' costituzionale concernenti il comma 5-quater, considerato in combinato disposto con il comma 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 - esisterebbero comunque buone ragioni per ritenere costituzionalmente illegittima, in via autonoma,
quest'ultima disposizione.
Essa - lo si ricorda - prevede quanto segue: «Qualora le misure adottate ai sensi del comma 5-quater non siano sufficienti, ovvero in tutti gli altri casi di eventi di cui al comma 5-quater di rilevanza nazionale, puo' essere disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di protezione civile». In base a questa norma, dunque, l'accesso al Fondo nazionale di protezione civile, anche nel caso in cui ricorrano gli eventi straordinari di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), e 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, non e' «obbligatorio» e «automatico». Viceversa, tale accesso e' innanzi tutto subordinato, alternativamente, al ricorrere di due condizioni:
a) che siano state percorse le strade indicate dal comma 5-quater (o che non possano essere percorse, come correttamente evidenzia la direttiva del Presidente del Consiglio piu' sopra citata); b) che sia stata data la qualificazione degli eventi calamitosi in questione come di «rilevanza nazionale».
In presenza di queste condizioni, l'accesso al Fondo nazionale e' consentito soltanto a seguito di una valutazione «unilaterale», «politica» ed «insindacabile» dello Stato.
E' dunque possibile, ad esempio, che la Regione colpita dalla calamita' o evento straordinario deliberi gli aumenti tributari ai sensi dell'art. 5, comma 5-quater, della legge n. 225 del 1992, e tuttavia cio' non sia sufficiente per coprire le spese degli interventi necessari a fronteggiare l'emergenza. Cio' nonostante, lo Stato puo' negare - al fine di coprire queste spese - l'accesso al Fondo nazionale di protezione civile, in base ad una propria unilaterale valutazione.
12.2. - Nel precedente motivo di censura, di cui al par. 8, si e' messo in luce come il combinato disposto dei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 abbia come effetto quello di vulnerare gravemente l'art. 119, quinto comma, Cost. In base a quanto prevede tale disposizione, infatti, la Costituzione affida allo Stato il compito di «destinare» «risorse aggiuntive» rispetto a quelle di cui ai commi secondo e terzo del medesimo art. 119 e di «effettuare» «interventi speciali in favore di
determinati comuni, province, citta' metropolitane e regioni». La norma costituzionale stabilisce, altresi', le finalita' cui tali «risorse aggiuntive» e tali «interventi speciali» di competenza statale debbono essere rivolti: la promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarieta' sociale; la rimozione degli squilibri economici e sociali; la migliore garanzia dell'effettivo esercizio dei diritti della persona; la necessita' di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni affidate alla competenza degli enti autonomi territoriali. In sintesi, come si e' gia' argomentato, e' evidente che l'art. 119, quinto comma, cost. attribuisce specificamente allo Stato una peculiare funzione «sussidiaria» a garanzia ultima di alcuni valori imprescindibili dell'ordinamento, intestando proprio all'ente esponenziale dell'unita' e indivisibilita' della Repubblica il compito di assicurare la disponibilita' delle risorse e gli interventi necessari allorquando i suddetti valori non possano essere adeguatamente garantiti dal normale esercizio delle funzioni spettanti alle autonomie territoriali.
Nel precedente par. 8 si e' evidenziato, altresi', come tali principi costituzionali siano violati da un sistema che affidi alle regioni il compito di finanziare, eventualmente innalzando la propria pressione tributaria, gli interventi volti a fronteggiare le emergenze. Qui deve invece essere messo in luce che - anche ove fosse ritenuto conforme a Costituzione il comma 5-quater dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 - analoghe ragioni di incostituzionalita' permarrebbero in relazione allo specifico disposto del comma 5-quinquies, primo periodo, del citato art. 5.
I principi di solidarieta' ed eguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, che la medesima affida alla garanzia «ultima» dello Stato e che, sotto tale profilo, trovano concretizzazione soprattutto nell'art. 119, quinto comma, Cost., infatti, verrebbero senza dubbio compromessi ove - pur avendo la Regione colpita da un evento straordinario rientrante tra quelli disciplinati dall'art. 2, comma 1, lett. c), e 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992 adottato tutte le misure previste dal comma 5-quater del medesimo articolo, senza pero' giungere a coprire integralmente le spese degli interventi necessari - lo Stato, in base al primo periodo del successivo comma 5-quinquies, si determinasse a negare l'accesso al Fondo nazionale di protezione civile per gli importi che residuano.
Anche in questo caso, infatti, risulterebbe compromessa quella funzione «solidaristica» e «sussidiaria», a tutela di alcuni beni giuridici fondamentali, che l'art. 119, quinto comma, Cost., affida allo Stato.
Tale incostituzionalita', invece, non sussisterebbe, ove l'accesso al Fondo suddetto - una volta che la Regione abbia dimostrato l'avvenuta adozione delle misure di cui al comma 5-quater o l'impossibilita' di adottarle e, comunque, l'insufficienza delle risorse reperite - fosse «obbligatorio» ed «automatico», ossia non subordinato a valutazioni discrezionali da parte del Governo. Il comma 5-quinquies dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 deve dunque essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, pure in presenza delle due condizioni sopra accennate (impossibilita' di coprire il fabbisogno finanziario con le misure di cui al comma 5-quater; qualificazione delle emergenze come aventi rilievo nazionale) subordina l'accesso al Fondo nazionale di protezione civile ad una valutazione «politica» dello Stato che lo rende meramente possibile anziche' obbligatorio ed automatico.
13. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011, limitatamente alla introduzione del comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. (in relazione alla materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»), nonche' del principio costituzionale di leale collaborazione, nella parte in cui la norma censurata rende «possibile» il ricorso al Fondo nazionale di protezione civile solo a seguito di decisioni unilaterali affidate al libero apprezzamento politico del Governo nazionale, anziche' Prevedere che tali decisioni siano adottate a seguito di un procedimento concertato al quale prendano parte pariteticamente lo Stato e la Regione interessata.
13.1. - In subordine rispetto alle censure illustrate ai precedenti parr. 7-11, nonche' in ulteriore subordine rispetto alla censura illustrata al precedente par. 12, la Regione ricorrente Ritiene che l'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, della legge n. 225 del 1992, sia costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonche' del principio di leale collaborazione tra gli enti che costituiscono la Repubblica.
Quanto esposto nei paragrafi precedenti dovrebbe condurre a ritenere la normativa impugnata costituzionalmente illegittima nel suo complesso, dal momento che pone interamente a carico del bilancio regionale le spese volte a sostenere gli interventi realizzati per fronteggiare le situazioni di emergenza derivanti dagli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992. Le argomentazioni gia' spese, inoltre, dovrebbero (in via subordinata) condurre a ritenere incostituzionale, comunque, il meccanismo previsto dall'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, che non rende
«automatica» la possibilita' di fruire del Fondo nazionale di protezione civile ove le risorse di cui al precedente comma 5-quater siano state reperite e non siano sufficienti, ovvero non possano essere reperite. Tuttavia, nella denegata ipotesi in cui anche quest'ultimo profilo di censura non fosse ritenuto fondato, il primo periodo del citato comma 5-quinquies deve comunque essere ritenuto costituzionalmente illegittimo perche' subordina la decisione circa l'utilizzo del Fondo nazionale di protezione civile ad una decisione unilaterale dello Stato, senza alcun coinvolgimento della Regione.
Tale disciplina viola evidentemente il principio di leale collaborazione e lo statuto costituzionale della «chiamata in sussidiarieta'» nelle materie di potesta' legislativa concorrente, cosi' come ricostruito dalla giurisprudenza di questa Corte.
Come gia' illustrato al paragrafo precedente, l'utilizzazione del Fondo nazionale di protezione civile, infatti, e' subordinata, innanzi tutto, disgiuntivamente alle seguenti condizioni: a) che siano state percorse le strade indicate dal comma 5-quater (o che esse non possano essere percorse, come correttamente evidenzia la direttiva del Presidente del Consiglio piu' sopra citata); b) che sia intervenuta la qualificazione, da parte del Governo, degli eventicalamitosi in questione come di «rilevanza nazionale». In presenza diqueste condizioni, l'accesso al Fondo nazionale e' consentito soltanto a seguito di una valutazione «unilaterale», «politica» ed «insindacabile» dello Stato.
13.2. - Per apprezzare l'illegittimita' costituzionale della normativa in esame da questo specifico punto di vista e' necessario procedere, innanzi tutto, alla sua collocazione nell'ambito del riparto di competenze di cui all'art. 117, commi secondo, terzo e quarto, cost. In base a quanto si e' gia' sostenuto al par. 11.1, la materia interessata dalla specifica disposizione di cui all'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo - trattandosi di disciplina che coordina la ripartizione degli oneri finanziari derivanti da eventi catastrofici e regola le modalita' di accesso alle risorse del Fondo nazionale di protezione civile - e' evidentemente quella del
«coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», affidata, ai sensi del terzo comma dell'art. 117 Cost., alla competenza concorrente di Stato e regioni. L'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, istituisce - come piu' sopra evidenziato - una funzione amministrativa nella quale ha modo di esplicarsi la discrezionalita' delle scelte statali. Si tratta della decisione, concernente la concessione o meno dell'accesso al Fondo nazionale di protezione civile, ove sussistano le condizioni indicate sub a) e b).
Come e' noto, a partire dalle sentt. nn. 303 del 2003 e 6 del 2004, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto costituzionalmente legittimo che la legge statale avochi al livello centrale funzioni amministrative in materie differenti da quelle di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., soltanto ove venga rispettato uno specifico «statuto» costituzionale, caratterizzato sia da presupposti sostanziali (la sussistenza di esigenze unitarie) che da obblighi procedurali (la necessita' di prevedere forme di esercizio della funzione che contemplino una «intesa» con la Regione interessata).
La Regione Marche ritiene che l'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, della legge n. 225 del 1992 sia incostituzionale, in quanto individua una funzione amministrativa discrezionale ove invece avrebbe dovuto configurare un automatismo: questo punto e' stato illustrato nel precedente par. 12. Ove pero' si considerasse costituzionalmente legittima la configurazione di questa funzione amministrativa discrezionale, la ricorrente non nega la sussistenza delle esigenze unitarie in grado di legittimare l'allocazione al livello statale della funzione. Ritiene, pero', che il modo in cui l'esercizio della medesima sia stato disciplinato dalla legge statale non rispetti lo «statuto» elaborato al riguardo dalla giurisprudenza costituzionale.
Tra le altre, infatti, la sent. n. 6 del 2004 e la sent. n. 383 del 2005 hanno evidenziato, al di la' di ogni possibile dubbio, come le funzioni amministrative avocate dallo Stato in sussidiarieta' nelle materie di competenza concorrente ovvero residuale regionale, devono essere esercitate mediante un procedimento che contempli una «intesa forte» con la singola Regione interessata. Il punto e' stato efficacemente approfondito dalla recentissima sent. n. 33 del 2011, che offre elementi di sicuro rilievo in relazione alla presente questione di legittimita' costituzionale.
In questa decisione, infatti, e' stata ribadita l'esclusione della «legittimita' di una disciplina che ai fini del perfezionamento dell'intesa contenga la "drastica previsione'' della decisivita' della volonta' di una sola parte, affermandosi, viceversa, la necessita' che il contenuto dell'atto sia frutto di una codecisione paritaria e indicando, altresi', la necessita' di prevedere - in caso di dissenso - idonee procedure per consentire lo svolgimento di reiterate trattative volte a superare le divergenze (sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del 2007, n. 383 e n. 339 del 2005)». Inoltre, alla stregua di queste indicazioni, e' stata ritenuta conforme a Costituzione una disciplina caratterizzata da «un procedimento che si
articola dapprima, attraverso la nomina di un comitato a composizione paritaria il cui scopo e' appunto quello di addivenire all'accordo, e quindi, in caso di esito negativo, attraverso l'emanazione di un decreto del Presidente della Repubblica adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri cui prende parte il Presidente della Regione interessata». Cio' in virtu' delle seguenti considerazioni:
i) «in mancanza dell'accordo regionale, si determina non gia' l'automatico trasferimento del potere decisorio in capo allo Stato, bensi' l'attivazione di un procedimento volto a consentire lo svolgimento di ulteriori trattative attraverso la costituzione di un soggetto terzo nominato dalle parli in modo paritario»; ii) «solo laddove neppure in tale sede sia possibile addivenire ad un'intesa, allora la decisione viene rimessa al Governo con il coinvolgimento, peraltro, anche del Presidente della Regione»; iii) su questa decisione, che «assume la forma del decreto del Presidente della Repubblica si esercita, inoltre, la funzione di controllo tipica dell'emanazione di tali atti, avverso i quali ben potranno essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali, nonche' eventualmente il ricorso avanti a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione» (cfr. in part. il par. 7.1.2. del Considerato in diritto).
Queste considerazioni sono estremamente pertinenti in relazione al caso di specie, perche' mostrano come le decisioni concernenti le funzioni amministrative esercitate al livello statale nelle materie diverse da quelle di competenza esclusiva di quest'ultimo devono essere adottate mediante un procedimento concertato, caratterizzato da una posizione paritaria di Stato e Regione interessata. Nella vicenda che qui specificamente interessa cio' comporta che - ove la Regione faccia richiesta di utilizzare il Fondo nazionale di protezione civile per gli interventi realizzati o da realizzare nel proprio territorio in conseguenza di un evento straordinario ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, in presenza delle condizioni suddette, e lo Stato invece intenda negare tale richiesta - la decisione finale (negativa o positiva che sia) non possa essere presa unilateralmente da quest'ultimo. Viceversa, per il caso in cui le parti non riescano a trovare un accordo al riguardo, la legge dovrebbe prevedere «l'attivazione di un procedimento volto a consentire lo svolgimento di ulteriori trattative attraverso la costituzione di un soggetto terzo nominato dalle parti in modo paritario», nonche' meccanismi decisori «finali» che conservino la «equiordinazione» delle parti, similmente a quella disciplina scrutinata con esito favorevole dalla sent. n. 33 del 2011 - che prevede lo svolgersi della «funzione di controllo tipica dell'emanazione» degli atti del Presidente della Repubblica, nei confronti dei quali, peraltro, «ben potranno essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali, nonche' eventualmente il ricorso avanti a questa Corte in sede di conflitto di attribuzione» (cfr. in part. il par. 7.12. del Considerato in diritto).
Ora, la Regione Marche non intende sostenere che quello accennato sia l'unico procedimento costituzionalmente legittimo per conseguire lo scopo di superare le eventuali situazioni di stallo derivanti dal mancato raggiungimento dell'intesa circa la concessione o meno della possibilita' di utilizzare il Fondo nazionale di protezione civile.
Cio' che pero' si ricava in termini evidenti dalla decisione appena menzionata e' che il procedimento che il legislatore statale predisponga a questo specifico scopo deve necessariamente uniformarsi ai principi che caratterizzano la disciplina brevemente richiamata piu' sopra e che, come si e' visto, hanno consentito alla medesima di passare indenne il vaglio di costituzionalita'. Il procedimento in questione, dunque, una volta acclarata l'impossibilita' di raggiungere l'intesa nel confronto diretto tra le parti interessate, deve individuare una ulteriore sede decisionale (ad esempio, un comitato paritetico) rispettando il principio di parita' delle parti (statale e regionale) e, ove ritenga di affidare ulteriormente ad una sola di esse (ossia al Governo) il potere di superare lo stallo eventualmente prodottosi anche in questa sede, deve predispone strumenti di controllo della correttezza (e del rispetto della leale collaborazione) della decisione finale adottata che, ancora una volta, si caratterizzino per la loro terzieta'.
Come e' agevole constatare, nulla di tutto cio' e' previsto dalla disciplina impugnata in questa sede, che si limita ad attribuire la decisione circa la utilizzazione del Fondo al solo Governo. Si tratta, dunque, della «secca» devoluzione ad una delle parti della decisione. Nulla di piu' lontano da quella garanzia di «paritari eta'» e di leale collaborazione (effettiva) che la giurisprudenza costituzionale ha sempre tenuto a ribadire. Da cio' l'evidente incostituzionalita' della disciplina in questione anche sotto il profilo appena considerato.
14. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011, limitatamente all'introduzione del comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione degli arti 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. (in relazione alla materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»), nonche' del principio costituzionale di leale collaborazione, nella parte in cui affida la qualificazione degli eventi calamitosi come di «rilevanza nazionale» al libero apprezzamento politico del Governo nazionale, anziche' prevedere che tali decisioni siano adottate a seguito di un procedimento concertato al quale prendano parte pariteticamente lo Stato e la Regione interessata.
14.1. - In subordine rispetto alle censure illustrate ai precedenti parr. 7-11, la Regione ricorrente ritiene, infine, che l'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, della legge n. 225 del 1992, sia costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonche' del principio di leale collaborazione tra gli enti che costituiscono la Repubblica, sotto un ulteriore profilo.
La disposizione in questione istituisce una funzione amministrativa in una materia di competenza concorrente. Si tratta della qualificazione degli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), e all'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, come di «rilevanza nazionale»: qualificazione dalla quale dipende la possibilita' di accedere al Fondo nazionale di protezione civile.
Anche in questo caso la norma che affida al solo Stato lo svolgimento della funzione amministrativa in questione e' incostituzionale, per le medesime ragioni illustrate nel par. 13. La giurisprudenza costituzionale ha infatti chiarito che, nelle materie di competenza concorrente la avocazione da parte dello Stato di una funzione amministrativa puo' essere ritenuta costituzionalmente corretta solo quando sussistano alcuni presupposti. Per quel che qui interessa, lo svolgimento della funzione deve essere disciplinato in modo tale da affidare la decisione ad una «intesa» con la Regione interessata.
Al riguardo - come gia' messo in luce nel paragrafo precedente - rileva inoltre cio' che e' stato affermato dalla sent. n. 33 del 2011, ossia che, quando vi sia dissenso tra le parti, il procedimento predisposto dalla legge in questione deve individuare una ulteriore sede decisionale (ad esempio, un comitato paritetico) rispettando il principio di parita' delle parti (statale e regionale) e, ove ritenga di affidare ulteriormente ad una sola di esse (ossia al Governo) il potere di superare lo stallo eventualmente prodottosi anche in questa sede, deve predisporre strumenti di controllo della correttezza politica (e del rispetto della leale collaborazione) della decisione finale adottata che, ancora una volta, si caratterizzino per la loro terzieta'.
Come e' agevole constatare, nulla di tutto cio' e' previsto dalla disciplina impugnata in questa sede, che si limita ad attribuire la decisione circa la qualificazione dell'evento straordinario da cui e' scaturita l'emergenza al solo Governo. Si tratta, dunque, della «secca» devoluzione ad una delle parti della decisione. Nulla di piu' lontano da quella garanzia di «paritari eta'» e di leale collaborazione (effettiva) che la giurisprudenza costituzionale ha sempre tenuto a ribadire. Da cio' l'evidente incostituzionalita' della disciplina in questione anche sotto il profilo appena considerato.
P. Q. M.
Si chiede che questa ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiari l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), come convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui ha introdotto i nuovi commi 5-quater e 5-quinquies nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nei termini sopra esposti.
Con ossequio.
Roma, addi' 22 aprile 2011
Avv. Grassi