Ricorso n. 42 del 13 giugno 2014 (Regione Veneto)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato il 13
giugno 2014 della Regione Veneto.
(GU n. 33 del 2014-08-06)
Proposto dalla Regione Veneto (C.F. … - P.IVA
…), in persona del Presidente della Giunta Regionale dott.
Luca Zaia (C.F. …), autorizzato con delibera della
Giunta regionale n. 818 del 2 giugno 2014 (all. 1), rappresentato e
difeso, per mandato a margine del presente atto, tanto unitamente
quanto disgiuntamente, dagli avv.ti prof. Luca Antonini (C.F.
…) del Foro di Milano, Ezio Zanon (C.F.
…) coordinatore dell'Avvocatura regionale e Luigi
Manzi (CF….) del Foro di Roma, con domicilio eletto
presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Via Confalonieri, n. 5 (per
eventuali Comunicazioni: fax …, posta elettronica
certificata …;
Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle seguenti
disposizioni della legge n. 56 del 2014, pubblicata nella G.U. n. 81
del 7 aprile 2014:
dell'art. 1, commi 5, 6, 12, e 16 per violazione degli
articoli 3, 5, 114, 117, IV comma e 133, I comma, nonche' di quelle
degli Enti locali che la Regione puo' legittimamente prospettare, ai
sensi dell'articolo 127 della Costituzione;
dell'art. 1, comma 6, per violazione dell'art. 133, I comma,
Cost.;
dell'art. l, commi 8, 9, 16, 19 e 21, per violazione degli
articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, I comma e 118 della Costituzione;
dell'art. 1, commi 55, 56, 58, 60, 67 e 69 per violazione
degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 118 e 138 della Costituzione;
dell'art. 1, commi 54, 55, 56, 58, da 60 a 65, da 69 a 78, 79
per violazione degli articoli 1, 5, 48, 97, 114, 117, 118, 119 e 120
della Costituzione;
dell'art. 1, comma 92, per violazione dell'articolo 117, III
e IV comma, nonche' dell'articolo 118 della Costituzione.
Motivi
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 5, 6, 12, e 16 per
violazione degli articoli 3, 5, 114, 117, IV comma e 133, I comma,
nonche' di quelle norme degli Enti locali che la Regione puo'
legittimamente prospettare, ai sensi dell'articolo 127 della
Costituzione.
Il comma 5 dell'articolo 1 individua le Citta' metropolitane, che
vengono istituite dalla legge n. 56 del 2014 in Torino, Milano,
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Il
comma 6 prevede che, perlomeno nella fase iniziale, il territorio
della Citta' metropolitana coincida con quello della Provincia
omonima. Il comma 12 dispone che le suddette Citta' metropolitane,
salvo quanto previsto dal comma 18 per la Citta' metropolitana di
Reggio Calabria, siano costituite alla data di entrata in vigore
della legge n. 56 del 2014 nel territorio delle Province omonime. Il
comma 16 dispone che il 1° gennaio 2015 le suddette Citta'
metropolitane subentrino alle Province omonime, succedendo ad esse in
tutti i rapporti attivi e passivi, esercitandone le funzioni. Al
riguardo, va preliminarmente precisato che non si mette in
discussione il valore di una prospettiva riformatrice, diretta a
procedere alla istituzione di un ente strategico di area vasta, quale
la Citta' metropolitana, prevista da tempo nel nostro ordinamento, ma
rimasta una sorta di "Araba fenice" del sistema istituzionale. Ne' si
disconosce l'implicita prospettiva di transitorieta' che vorrebbe in
qualche misura che la legge n. 56 del 2014 sia completata dalla
riforma costituzionale prefigurata nel d.d.l. cost. AS n. 1429.
Tuttavia, in questa sede e al momento attuale, si rende necessaria
una valutazione di costituzionalita' avente a parametro
esclusivamente il diritto costituzionale vigente, ed e' in forza di
questa prospettiva - la sola che puo' assumere rilievo - che si
contestualizzano le osservazioni che seguono. Non si tratta quindi
minimamente di una prospettiva poco favorevole ai processi di
riforma, al contrario; proprio per questo si ritiene che le riforme
debbano caratterizzarsi per la loro ragionevolezza, evitando di
replicare le dannose esperienze e l'approssimazione che hanno
condotto agli inadeguati interventi operati con l'art. 23 del d.l. n.
201 del 2011 e con gli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012, poi
dichiarati costituzionalmente illegittimi da codesta Ecc.ma Corte
costituzionale con la sent. n. 220 del 2013.
Fatta questa premessa, occorre innanzitutto rilevare che l'art.
117 Cost., non contempla espressamente la "istituzione delle Citta'
metropolitane", limitandosi ad affidare alla legislazione esclusiva
dello Stato la materia di cui alla lett. p) del secondo comma, ossia
la "legislazione elettorale, organi di governo e funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Citta' metropolitane". Si tratta
pertanto di una competenza che si configura come "delimitata" e che
in quanto tale non sembra idonea a ricomprendere l'intera materia
spettante al legislatore statale prima della legge cost. n. 3 del
2001 e coincidente con il c.d. "ordinamento degli enti locali". Va
rilevato, peraltro, che la legge cost. n. 3 del 2001 ha proprio
disposto l'abrogazione del vecchio art. 128 Cost. ("Le Province e i
Comuni sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi
generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni").
Inoltre, bisogna in ogni caso considerare che gia' nel vigore del
quadro costituzionale antecedente alla riforma del Titolo V del 2001,
la legge n. 142 del 1990 aveva, in ogni caso, affidato alle Regioni
decisivi poteri in ordine ai procedimenenti istitutivi delle Citta'
metropolitane.
Non appare quindi sostenibile la riconducibilita' della
"istituzione" delle Citta' metropolitane, nel nuovo contesto
derivante dalla riforma del Titolo V, a uno dei tre ambiti di
potesta' legislativa esclusiva statale individuati dalla lett. p),
secondo comma, dell'art. 117 Cost. Pertanto, in assenza di altri
titoli di legittimazione della competenza legislativa ordinaria dello
Stato, non sembra possibile evitare la conclusione che sia da
applicarsi la disposizione generale dell'art. 117, quarto comma,
ossia la c.d. "clausola di residualita'", che affida la competenza
legislativa ordinaria alle Regioni "in riferimento ad ogni materia
non espressamente riservata alla legislazione dello Stato". Ne'
appare giustificabile la tesi che, invocando ragioni di efficienza
ordinamentale, tende a ritenere implicito il potere di istituzione
nella lettera p) del II comma dell'art. 117 Cost.; tale
prospettazione viene agevolmente superata osservando che il
legislatore statale, nel rigoroso rispetto dei limiti della propria
competenza, potrebbe, infatti, definire disciplina elettorale, organi
di governo e funzioni fondamentali delle Citta' metropolitane,
imponendo, nel contempo, alle Regioni un termine per l'esercizio
della loro competenza a disciplinare l'istituzione e a concretamente
istituire i nuovi enti; potrebbe quindi prevedere che, decorso
inutilmente il termine, a fronte dell'inadempimento regionale trovi
poi applicazione il potere sostitutivo statale di cui dell'art. 120.
Da un altro punto di vista, nell'attuale quadro costituzionale la
competenza statale potrebbe semmai trovare fondamento qualora il
legislatore statale si determini nel senso di configurare l'ente
Citta' metropolitana come sostitutivo dell'ente Provincia, poiche' in
tal caso proprio l'inevitabile mutamento delle circoscrizioni
provinciali richiede l'attivazione della speciale competenza
legislativa statale e dello speciale procedimento contemplati
nell'art. 133, primo comma, Cost.
Tale e' in effetti la soluzione accolta nell'impianto della legge
n. 56 del 2014, dove l'istituzione delle Citta' metropolitane, in
base ai commi dell'articolo 1 qui impugnati, si interseca e si
sovrappone con quello di soppressione delle Province omonime.
Tuttavia, in questo caso e' necessario che la legge dello Stato
rispetti integralmente le condizioni poste al primo comma dell'art.
133 Cost., e non inserisca criteri o condizioni che contraddicano o
alterino i principi posti, a tutela del principio autonomistico di
cui all'art. 5 della Costituzione, da questa disposizione
costituzionale. In particolare, e' in questo caso richiesto il
rispetto delle tre condizioni essenziali poste dal primo comma
dell'articolo 133 Cost. Si tratta, infatti, di un procedimento
legislativo "atipico" o "rinforzato" strutturato mediante la
previsione dell'iniziativa procedimentale riservata ai Comuni, del
parere della Regione, e della legge statale quale atto conclusivo del
procedimento. Entrambi i primi due requisiti sono, invece, del tutto
violati dalla disciplina posta dalla legge n. 56 del 2014 che
provvede alla diretta individuazione delle Citta' metropolitane in
corrispondenza alla soppressione delle Province omonime. Vengono
cosi' radicalmente contraddetti i principi posti dall'art. 133, comma
1, Cost. nella parte in cui richiedono, in estrinsecazione del
principio autonomistico di cui all'art. 5 Cost., la necessaria
iniziativa dei Comuni - la cui violazione questa Regione e' abilitata
a rilevare, come codesta Ecc.ma Corte in piu' occasioni ha ricordato
(ex plurimis, sentenze n. 311 del 2012, n. 298 del 2009, n. 169 e n.
95 del 2007, n. 417 del 2005, n. 196 del 2004, n. 220 del 2014) - e
in ogni caso il parere della Regione interessata per ogni forma di
mutamento delle circoscrizioni Provinciali, ivi compresa la loro
cancellazione o sostituzione.
Al riguardo e' oltremodo significativo ricordare che codesta
Ecc.ma Corte costituzionale, proprio nella sentenza n. 220 del 2013
ha ribadito l'indefettibilita' dell'art. 133, comma 1, Cost.,
evidenziando come questa disposizione sia derogabile soltanto con
apposite disposizioni di rango costituzionale, come, ad esempio,
quelle poste negli statuti speciali. Ha, inoltre, affermato: "Si deve
ancora osservare che la modificazione delle singole circoscrizioni
Provinciali richiede, a norma dell'art. 133, primo comma, Cost.,
l'iniziativa dei Comuni interessati - che deve necessariamente
precedere l'iniziativa legislativa in senso stretto - ed il parere,
non vincolante, della Regione. Sin dal dibattito in Assemblea
costituente e' emersa l'esigenza che l'iniziativa di modificare le
circoscrizioni Provinciali - con introduzione di nuovi enti,
soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini
dei rispettivi territori - fosse il frutto di iniziative nascenti
dalle popolazioni interessate, tramite i loro piu' immediati enti
esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte
dall'alto".
Con la legge n. 56 del 2014 il legislatore statale ha invece
ripreso la strada gia' seguita dall'art. 18, comma 1, del d.l. n. 95
del 2012 - poi dichiarato incostituzionale - che aveva direttamente
provveduto all'individuazione delle Citta' metropolitane e alla
contemporanea soppressione delle corrispondenti Province, abrogando
nel contempo entrambi i percorsi (sia quello ordinario previsto dagli
artt. 22 e ss. del d.lgs. n. 267 del 2000 , sia quello provvisorio
posto dall'art. 23 legge n. 42 del 2009) che erano, invece, sebbene
in diverso modo, comunque e in ogni caso caratterizzati
dall'iniziativa "dal basso". La circostanza che quei percorsi non si
fossero concretizzati (come anche quello previsto dalla legge n. 142
del 1990) nel risultato della istituzione delle Citta' metropolitane,
non puo' in ogni caso legittimare soluzioni che contraddicono il
dettato costituzionale. L'iniziativa dei Comuni e il parere della
Regione, ovvero il coinvolgimento delle autonomie presenti sul
territorio, rappresentano infatti, anche per il rispetto dell'art.
114 Cost., condizioni essenziali per la corretta strutturazione e la
funzionalita' di enti strategici come le Citta' metropolitane.
L'effetto di questa omissione nella legge n. 56 del 2014 si dimostra
anche nella irrazionalita' con la quale, "dall'alto", vengono
identificate le nove Citta' metropolitane. Perche' si dia un'area
metropolitana occorre, infatti, che il rapporto residenti/territorio
sia squilibrato al punto tale da rappresentare un'alta densita'
abitativa. Questa condizione sussiste in modo evidente solo nel caso
di Napoli, Roma e Milano. Inoltre, una Citta' metropolitana dovrebbe
avere un significato solo nel caso in cui le rispettive aree
metropolitane si configurino come quelle produttive della maggior
parte del Prodotto Interno Lordo, come accade ad esempio in alcune
aree degli Stati Uniti. Questo dato non emerge nel caso delle nove
Citta' metropolitane previste dalla legge n. 56 del 2014: le Province
trasformate in Citta' metropolitane delle Regioni ordinarie, infatti,
concentrano il 30% della popolazione e solo il 35% del PIL. Sono,
infine, oscure le ragioni che hanno condotto il legislatore a
individuare le suddette nove Citta' metropolitane. Non si comprende,
ad esempio, cosa renda oggettivamente omogenea la circoscrizione
territoriale di Napoli con quella di Reggio Calabria. Oppure perche'
la citta' di Catanzaro sia in condizioni non assimilabili a quelle di
Reggio Calabria. Nella relazione che ha accompagnato la presentazione
del disegno di legge proposto dal Governo non e' riscontrabile alcun
riferimento a motivazioni volte a giustificare la scelta effettuata
"dall'alto", ne' soccorrono gli stessi lavori preparatori relativi
all'approvazione degli emendamenti. In definitiva, si tratta di
scelte che, anche a una sommaria analisi, appaiono viziate anche da
contraddittorieta' e illogicita', in violazione dell'art. 3 Cost. che
ridonda in una ulteriore violazione delle competenze costituzionali
delle Regioni.
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, per violazione
dell'art. 133, I comma, Cost.
L'articolo 1, comma 6, nel prevedere che il territorio della
citta' metropolitana coincida con quello della Provincia omonima,
disciplina il procedimento con cui i Comuni, compresi i Comuni
capoluogo delle Province limitrofe, possono aderire alla Citta'
metropolitana.
La disciplina del procedimento per l'aggregazione di nuovi Comuni
alla Citta' metropolitana, da un lato, viene cosi' irragionevolmente
estesa ai Comuni capoluogo delle Province limitrofe, senza piu'
rispetto del principio della continuita' territoriale, potendo
generare situazioni di Citta' metropolitane con territorio a macchia
di leopardo.
Dall'altro, prevede che qualora la Regione interessata esprima
parere contrario alle proposte formulate dai Comuni, il Governo
promuova un'intesa e, in caso di mancato raggiungimento dell'intesa,
il Consiglio dei ministri, udito il parere del Presidente della
Regione, decida in via definitiva in ordine all'approvazione e alla
presentazione al Parlamento del disegno di legge contenente modifiche
territoriali di Province e di Citta' metropolitane.
Tale procedimento, in sostanza, oltre che viziato di
irragionevolezza, non appare conforme al disposto dell'art. 133, I
comma, che non prevede un simile sub-procedimento, all'interno del
quale, se in apparenza e' rafforzato il ruolo della Regione, in
realta' e' poi assegnato al Governo il ruolo, infine del tutto
discrezionale, di decidere in via definitiva in ordine alla
presentazione del disegno di legge per l'aggregazione dei Comuni alla
Citta' metropolitana e per la modifica delle circoscrizioni
Provinciali. Solo per completezza si ribadisce quanto gia' richiamato
in precedenza, ovvero che codesta Ecc.ma Corte costituzionale proprio
nella sentenza n. 220 del 2013 ha ribadito espressamente
"l'indefettibilita' del procedimento previsto dall'art. 133, primo
comma, Cost.". La disposizione di cui al comma 6 contrasta pertanto
con il principio di ragionevolezza - ridondando in una lesione delle
competenze costituzionali delle Regioni perche' l'esercizio, ai sensi
dell'art. 118, del conferimento di funzioni regionali a Province e
Citta' metropolitane ne risulta distorto e compromesso - e con le
prerogative assegnate alle Regioni dall'art. 133, I comma, Cost..
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 8, 9, 16, 19 e 21,
per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, I comma e 118
della Costituzione.
Il comma 16 dell'art. 1, nel disciplinare il subentro al 1°
gennaio 2015 delle Citta' metropolitane alle Province omonime,
stabilisce che alla predetta data il Sindaco del Comune capoluogo
assuma le funzioni di Sindaco metropolitano. Il comma 19 stabilisce
che il Sindaco metropolitano e' di diritto il sindaco del comune
capoluogo e il comma 21 che quando avviene il rinnovo del consiglio
del Comune capoluogo, si proceda a nuove elezioni del consiglio
metropolitano entro sessanta giorni dalla proclamazione del Sindaco
del comune capoluogo. L'art. 1, comma 8 e 9, inoltre, assegna alla
conferenza metropolitana (l'unico organo legittimato dall'elezione
popolare) solo poteri propositivi e consultivi, mentre l'art. 1,
comma 8, attribuisce i poteri di decisione sostanziale agli altri
organi.
Si tratta quindi di una forma di governo dove il Sindaco del
Comune capoluogo e' (perlomeno fino a che lo Statuto eventualmente
non disponga diversamente) di diritto il Sindaco metropolitano,
imponendo una soluzione che non e' in alcun modo riferibile - ne'
direttamente, ne' indirettamente - all'intero corpo elettorale
metropolitano ma solo agli elettori del Comune capoluogo, lasciando,
in violazione del principio di sovranita' popolare, dell'eguaglianza
del voto e del principio di ragionevolezza, del tutto scoperti e con
un sindaco etero-imposto gli elettori degli altri Comuni parimenti
appartenenti al nuovo ente metropolitano. L'art. 1, comma 8 e 9,
inoltre, assegna alla conferenza metropolitana (l'unico organo
legittimato dall'elezione popolare e per il quale si ravvisa una
elezione di primo grado o diretta, mediante la contestuale
investitura della duplice carica, comunale e metropolitana, ad opera
di tutti gli elettori del territorio) solo poteri propositivi e
consultivi. L'art. l, comma 8, attribuisce invece le funzioni di
decisione sostanziale dell'ente (normative e/o amministrative)
ripartendole fra l'organo di vertice e il consiglio, senza che
l'assemblea possa in alcun modo far valere nei loro confronti un
giudizio di responsabilita' politica per il loro operato. Va peraltro
considerato che le funzioni fondamentali assegnate alla Citta'
metropolitana attengono alla cura e gestione di interessi pubblici a
carattere strutturalmente "sovracomunale" e non "intercomunale". Si
tratta, cioe', di funzioni amministrative che non si limitano al mero
coordinamento collaborativo delle funzioni comunali, ma di funzioni,
come la pianificazione territoriale generale (destinata a sovrapporsi
ai piani comunali), che implicano un "governo politico" del livello
di area vasta. In quanto tali, queste funzioni richiederebbero
fisiologicamente di essere affidate ad organi politicamente
responsabili nei confronti della comunita' di riferimento o perlomeno
di strumenti e forme per far valere la suddetta responsabilita'
politica. Il corpo elettorale dell'area metropolitana viene quindi
privato della possibilita' di esprimere un giudizio di
responsabilita' politica all'atto del rinnovo di tali organi; ne' a
tale lacuna puo' in qualche modo sopperire l'organo assembleare che
riunisce tutti i sindaci del territorio, dal momento che questo non
solo risulta titolare di blandi poteri, del tutto marginali e
circoscritti ma, soprattutto, non dispone del potere di sanzionare
con un voto di sfiducia l'operato degli altri due organi.
In questi termini la questione non verte solamente
sull'ammissibilita' di una forma di governo di un ente locale in cui
nessun organo e' eletto direttamente (che e' da ritenersi esclusa
stante la lettera dell'art. 114, I comma, Cost., che pone sullo
stesso piano gli enti ivi menzionati), quanto piuttosto sulla
questione se standard minimi di democraticita' non impongano che
almeno un organo "decisivo" sia riconducibile all'elezione diretta.
In altre parole, piu' che la prospettabilita' di una possibile
differenziazione dei modelli di rappresentanza politica, quello che
qui e' in discussione e' la possibilita' di inquadrare la forma di
governo adottata nel modello stesso della rappresentanza politica.
Va, peraltro constato che a livello comparato soluzioni analoghe
sono state adottate solo nei casi specifici in cui una conurbazione
ruoti intorno a un grande centro abitato, per cui la sproporzione
nella popolosita' e nel ruolo socio-politico viene talvolta
legittimata: il sindaco diviene di diritto il capo della realta'
metropolitana. In questo caso, pero', gli altri sindaci hanno una
rappresentanza nella effettiva sede deliberante: in sostanza, la
presidenza affidata al sindaco ha come interlocutore una platea di
pari livello, cui e' affidato parzialmente o totalmente l'organo
deliberante. La leadership comunale e' in questo modo integrata in
quella metropolitana, anche formalmente, sia nella fase deliberante
che di guida dell'esecutivo. Nel caso della legge n. 56 del 2014
invece non si danno queste condizioni: ad esempio la Citta'
metropolitana di Venezia verrebbe guidata di diritto dal Sindaco di
Venezia che ha una popolazione di 264.044 abitanti e che diventerebbe
di diritto il Sindaco metropolitano di un'area - senza considerare le
possibili ulteriori adesioni di altri Comuni - di 855.142 abitanti
(che e' quella della omonima Provincia).
Nei termini sopra esposti la forma di governo definita dalle
norme impugnate contrasta anche sia con il principio autonomistico di
cui all'art. 5 Cost., sia con l'art. 117, primo comma, Cost., in
ragione della violazione del parametro interposto costituito
dall'art. 3 (in particolare del suo comma secondo) della Carta
europea dell'autonomia locale, resa pienamente esecutiva
nell'ordinamento italiano, senza riserve, con la legge n. 439 del
1989. Tale disposizione prevede che l'esercizio dell'autonomia sia
realizzato tramite "Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti
a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale, in
grado di disporre di organi esecutivi responsabili nei loro
confronti". Non a caso la recente raccomandazione (n. 337)
all'Italia, del Congresso dei poteri locali e regionali (https
://wcd.coe. int/ViewDoc.jsp?id=2049001 & Site=COE) del Consiglio
d'Europa, del 19/21 marzo 2013, ha criticato le tendenze legislative
italiane. La Carta europea dell'autonomia locale impone quindi che
per il governo delle autonomie locali sia previsto almeno un organo
collegiale eletto a suffragio universale e diretto, al quale gli
organi esecutivi siano legati da un rapporto di responsabilita'
politica. Tale obbligo internazionale, evidentemente, non e' in alcun
modo rispettato dalle norme impugnate, che si pongono in violazione
degli obblighi internazionali cui fa riferimento l'art. 117, primo
comma, Cost., come ha ormai definitivamente chiarito la consolidata
giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte a partire dalle sentenze nn.
348 e 349/2007. E' opportuno precisare che questi profili di
incostituzionalita' hanno una ricaduta diretta sulla sfera di
competenza regionale. Quello delle autonomie territoriali configurato
dalla Costituzione e' un vero e proprio sistema (si veda in questi
termini gia' la sentenza n. 343 del 1991 di codesta Ecc.ma Corte),
per cui l'alterazione della struttura costituzionale di uno di questi
enti si riflette inevitabilmente sugli altri, menomandone la sfera di
competenza. Nel caso di specie la Regione risulta, ad esempio,
menomata nell'esercizio del proprio potere di attuare pienamente i
principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione
nell'allocare le funzioni amministrative nelle materie di propria
competenza, ai sensi degli articoli 118, I e II comma, della
Costituzione. Assume, infatti, un rilievo politico e istituzionale
profondamente diverso allocare le funzioni amministrative ad un ente
correttamente configurato dal disegno costituzionale, piuttosto che
allocarle a un ente privo di quegli standard minimi che consentono di
ritenerlo dotato non solo di rappresentativita' diretta delle
popolazioni interessate, ma anche della stessa rappresentativita'
politica.
Le disposizioni impugnate, in definitiva, incidono
sull'equilibrio fondante l'integrita' della Repubblica disegnata
dalla Carta costituzionale e definiscono una forma di governo
incompatibile con il vigente modello costituzionale di distribuzione
delle funzioni amministrative con un vulnus che ridonda anche in una
lesione delle prerogative costituzionali garantite alle Regioni.
S'introduce, peraltro, in tale modo e con le disposizioni di
seguito impugnate relative alla nuova disciplina delle province, un
principio di contradditorieta' e incongruenza nel quadro complessivo
dell'esercizio delle funzioni amministrative, cosi' come delineato
dal combinato disposto degli artt. 5, 114 e 118 della Costituzione
della Repubblica italiana.
La complessiva lettura di tali disposizioni, infatti, pare
imporre, sulla base dei criteri direttivi posti dai principi di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, una visione omogenea
delle funzioni amministrative da attribuire ai diversi livelli
territoriali che costituiscono la Repubblica, dovuta al loro naturale
intersecarsi e sovrapporsi oltreche' a una intrinseca omogeneita'
sotto il profilo dell'interesse pubblico sotteso al loro esercizio.
Con la conseguenza che suddividere l'esercizio delle complessive
funzioni amministrative, intersecantisi e omegenee sotto il profilo
teleologico dell'interesse pubblico sotteso alle stesse, tra un
soggetto che le eserciti in carenza di una autentica legittimazione
democratica o anche piu' semplicemente degli standard minimi di
rappresentativita', come nel caso delle citta' metropolitane e delle
province, cosi' come ridisegnate dalla legge qui impugnata, e, un
comune, eletto dalla relativa comunita' e dotato di quegli standard,
non e' una mera questione di archittettura amministrativa, ma invece
determina una sostanziale alterazione delle funzioni medesime e del
loro esercizio.
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 55, 56, 58, 60, 67 e
69 per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 118 e 138 della
Costituzione.
I commi 55, 56, 58, 60, 67 e 69 trasformano, per volonta' di una
fonte primaria e percio' senza utilizzare il procedimento di
revisione costituzionale di cui all'art. 138 Cost., le Province da
ente politico rappresentativo della popolazione inclusa nell'ambito
territoriale di riferimento ad ente di secondo grado, facendone
venire meno la natura di istituzioni esponenziali delle Comunita'
territoriali, previste come elementi costitutivi della Repubblica
nell'articolo 114 della Costituzione.
Nello specifico, sulla base delle suddette disposizioni, gli
organi della Provincia sono il presidente, il consiglio provinciale e
l'assemblea dei sindaci. Il riparto di competenza stabilito e'
analogo a quello fissato per gli organi della Citta' metropolitana.
Il presidente e' eletto dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni
della Provincia; sono eleggibili i sindaci della Provincia il cui
mandato scada non prima di 18 mesi dalla data delle elezioni.
Il consiglio Provinciale e' organo elettivo di secondo grado e
dura in carica 2 anni; hanno diritto di elettorato attivo e passivo i
sindaci e i consiglieri dei Comuni della Provincia. Nello specifico
va osservato che, sempre in analogia con le disposizioni riguardanti
le Citta' metroplitane, l'art. l, comma 55, configura l'assemblea dei
Sindaci come organo dotato solo di poteri propositivi e consultivi,
attribuendo i poteri di decisione sostanziale agli altri organi in
assenza di una qualunque forma di responsabilita' politica nei
confronti della collettivita' di riferimento.
Valgono quindi per intero le stesse motivazioni addotte in
relazione alle analoghe norme concernenti la forma di governo delle
Citta' metropolitane, riguardo al venir meno degli standard minimi di
rappresentativita' e di democraticita', anche in considerazione delle
funzioni fondamentali svolte dalle Province, che anch'esse non
attengono solamente a forme di coordinamento intercomunale, ma
riguardano funzioni, come la gestione dell'edilizia scolastica, che
fisiologicamente richiedono di essere affidate ad organi
politicamente responsabili nei confronti della Comunita' di
riferimento o perlomeno di strumenti e forme per far valere la
suddetta responsabilita' politica.
Inoltre, va precisato che mentre la Citta' metropolitana sara' un
livello ordinamentale ove, se lo Statuto eventualmente disponga in
tal senso, potra' essere governata da organi eletti a suffragio
universale, nelle Province gli organi dei vertici politici
effettivamente decisionali saranno determinati sempre e soltanto
mediante elezioni di secondo livello. Nelle Province, quindi, in via
definitiva gli elettori non saranno mai tutti i cittadini residenti
dotati della capacita' elettorale, ma soltanto i titolari degli
organi comunali presenti nell'ambito Provinciale. Il fatto che nel
territorio nazionale si diversifichi il diritto di voto per
l'elezione degli organi degli enti di area vasta, produce un'evidente
differenza di trattamento circa le modalita' di esercizio dei diritti
politici che non puo' essere accettata in mancanza di ragionevoli
motivi - ma nei lavori preparatori della legge n. 56 del 2014 non
risulta alcuna motivazione sulla scelta adottata dal legislatore.
In ogni caso, appare evidente che le Province sono state previste
dalla Costituzione come enti di governo locale elettivi e che questa
scelta e' stata confermata e soprattutto rafforzata dalla riforma del
Titolo V, che le ha configurate, cosi' come i Comuni, quali "enti
autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi
fissati dalla Costituzione" (art. 114, II comma, Cost.) , a
costituire proprio in tale veste - assieme ai Comuni, alle Citta'
metropolitane e alle Regioni - la Repubblica (art. 114, I Comma). Lo
stesso principio autonomista di cui all'art. 5 della Costituzione,
prevedendo che "la Repubblica, una e indivisibile riconosce e
promuove le autonomie locali", impedisce al legislatore ordinario di
incidere in via definitiva sul carattere direttamente democratico
dell'ente, che rappresenta uno dei requisiti essenziali
dell'ordinamento repubblicano. Il principio autonomista implica il
principio democratico: e' quest'ultimo che richiede che il popolo
abbia una rappresentanza che emerga da elezioni generali, dirette,
libere, uguali e segrete e che la rappresentanza abbia una
consistenza tale da conseguire due risultati: in primo luogo,
l'espressione del pluralismo politico, compatibilmente con la
governabilita'; in secondo luogo, la capacita' di indirizzo e
controllo da parte della rappresentanza medesima sull'ente. E' utile
al riguardo rimarcare che codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 165
del 2002 ha precisato: "si deve in proposito osservare che il legame
Parlamento-sovranita' popolare costituisce inconfutabilmente un
portato dei principi' democratico-rappresentativi, ma non descrive i
termini di una relazione di identita', sicche' la tesi per la quale,
secondo la nostra Costituzione, nel Parlamento si risolverebbe, in
sostanza, la sovranita' popolare, senza che le autonomie territoriali
concorrano a plasmarne l'essenza, non puo' essere condivisa nella sua
assolutezza". E ancora: "Semmai potrebbe dirsi che il nucleo centrale
attorno al quale esse [le idee sulla democrazia, sulla sovranita'
popolare e sul principio autonomistico] ruotavano abbia trovato oggi
una positiva eco nella formulazione del nuovo art. 114 della
Costituzione, nel quale gli enti territoriali autonomi sono collocati
al fianco dello Stato come elementi costitutivi della Repubblica
quasi a svelarne, in una formulazione sintetica, la comune
derivazione dal principio democratico e dalla sovranita' popolare".
Ne' sembra possibile sostenere che la rappresentativita' indiretta
configurata dalle disposizioni impugnate risponda, nel caso delle
Province, alla stessa caratura democratica derivante da una elezione
popolare. Si tratterebbe di un argomento non privo di rilevanti
conseguenze, dal momento che tutti gli enti elencati dall'art. 5,
Cost. sono posti dalla Costituzione sullo stesso piano, quanto a
garanzie di autonomia politica. Ad ammetterlo, ne deriverebbe infatti
la legittimita' di una legge statale ordinaria che stabilisse come
principio fondamentale, ai sensi dell'art. 122 Cost., anche per i
Consigli regionali un meccanismo del tipo di quello previsto dalla
disposizione impugnata. O che prevedesse che i Consigli comunali
siano composti da eletti tra i consigli di quartiere, ad esempio.
E' opportuno precisare che i profili di incostituzionalita' qui
motivati hanno una ricaduta diretta sulla sfera di competenza
regionale. Come si e' detto nel punto precedente riguardo alle Citta'
metropolitane, quello delle autonomie territoriali configurato dalla
Costituzione e' un vero e proprio sistema, per cui l'alterazione
della struttura essenziale e costitutiva di uno di questi enti si
riflette inevitabilmente sugli altri, menomandone la sfera di
competenza. Nel caso di specie la Regione risulta, ad esempio,
menomata nell'esercizio del proprio potere di attuare pienamente i
principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione
nell'allocare le funzioni amministrative nelle materie di propria
competenza, ai sensi degli articoli 118, I e II comma, della
Costituzione. Assume, infatti, un rilievo politico e istituzionale
profondamente diverso allocare le funzioni amministrative all'ente
Provincia cosi' come configurato dal disegno costituzionale prima
ricordato, piuttosto che allocarle a un ente privo di
rappresentativita' diretta delle popolazioni interessate. Ad esempio,
in materia urbanistica, la Regione Veneto ha assegnato (legge
regionale n. 11 del 2004) alle Province competenza a provvedere alla
pianificazione territoriale per il governo del territorio (artt.
22-24), nonche' la competenza ad approvare i piani comunali di
assetto del territorio (artt. 14 e 15). Tali assegnazioni di
competenze si fondano sulla struttura direttamente rappresentativa
della Provincia e sulla possibilita' del diretto controllo
democratico del cittadino elettore (che viene meno nelle disposizioni
impugnate).
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 54, 55, 56, 58, da
60 a 65, da 69 a 78, 79 per violazione degli articoli 1, 48, 5, 97,
114,117,118, 119 e 120 della Costituzione.
I commi 54, istitutivo dei nuovi organi amministrativi, 55,
attributivo delle funzioni al nuovo presidente della Provincia, 56
costitutivo dell'assemblea dei sindaci, 58 sulle modalita' di
elezione del presidente, da 60 a 65 sulla eleggibilita' e sulle
modalita' di elezione del presidente della Provincia, da 69 a 78
sulle modalita' di elezione del Consiglio Provinciale, il comma 79
che disciplina temporaneamente l'attivita' commissariale dopo il 30
giugno 2014, e il comma 80 sulla eleggibilita' dei consiglieri
Provinciali, appaiono viziati dagli stessi motivi esposti nel punto
precedente. Soprattutto va evidenziato che la regione Veneto ha
provveduto, con la DGR n. 162 del 20 febbraio 2014 a proporre ricorso
in via principale avverso l'art. 1, comma 325, della legge 27
dicembre 2013, n. 147, recante "Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita'
2014)". Nella predetta delibera era stata oggetto dell'impugnazione
la proroga del commissariamento, gia' previsto dall'art. 1, comma 115
della legge n. 228/2012, in quanto applicato in caso di scadenza
naturale o di cessazione anticipata degli organi Provinciali che
intervengono in una data ricompresa tra il primo gennaio e il 30
giugno 2014. In quel contesto l'impugnativa concerneva il contrasto
con gli articoli 5, 97, 114,117,118, 119 e 120 della Costituzione.
Ora, il comma 79 dell'art. 1 della legge n. 56 del 2014 prevede che
l'elezione del nuovo Consiglio provinciale sia indetta: entro il 30
settembre 2014 per le province i cui organi scadono per fine mandato
nel 2014; entro trenta giorni dalla scadenza per fine mandato o dalla
decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali, qualora
tali eventi si verifichino dal 2015 in poi. In base ai commi 81 e 82
il nuovo Consiglio ha il compito di preparare le modifiche statutarie
previste dalla riforma, che dovranno essere approvate dall'Assemblea
dei sindaci entro il successivo 31 dicembre 2014. Entro la medesima
data, si procede alla elezione del Presidente della provincia secondo
le nuove regole; fino all'insediamento di quest'ultimo e, in ogni
caso, non oltre il 31 dicembre 2014, restano in carica il Presidente
della provincia in carica alla data di entrata in vigore della legge,
che assume anche le funzioni del consiglio provinciale, e la giunta
provinciale, ovvero - qualora si tratti di provincia commissariata -
il commissario in carica, ai fini dell'ordinaria amministrazione e
per gli atti indifferibili ed urgenti (comma 82).
Le disposizioni esaminate hanno una duplice incidenza sul quadro
normativo vigente, in quanto, da un lato, prorogano i
commissariamenti delle province gia' in atto e, dall'altro,
impediscono che vengano commissariate le province in scadenza nel
2014, in quanto prevedono per queste ultime una proroga dei
presidenti e delle giunte uscenti. Cio' in deroga alla norme della
legge di stabilita' 2014 (art. 1, co. 325 e 441, legge n. 147 del
2013) che hanno prorogato le gestioni commissariali gia' in essere al
31 dicembre 2013 fino al 30 giugno del 2014 e legittimato di nuove
purche' fino al 30 giugno 2014.
Ora, nello specifico, il comma 79 riproduce per certi aspetti
un'estensione del regime commissariale che parimenti determina
un'alterazione del corretto svolgimento dei compiti amministrativi
assegnati all'ente Provincia ed altera in via mediata, le competenze
degli altri enti locali che, a vario livello, attraverso i principi
di sussidiarieta', o attraverso la delega o l'affidamento di funzioni
di provenienza regionale, concorrono con la Provincia all'esercizio
delle funzioni locali.
Tale quadro normativo e, in particolare, il previsto passaggio
dal regime commissariale al regime apparentemente transitorio, ma in
sostanza "ordinario" e permanente relativo al nuovo assetto delle
province e delle citta' metropolitane, conferma quanto gia' in
precedenza svolto in ordine all'illegittimita' delle disposizioni
della legge 7 aprile 2014, n. 56. Difatti, un regime come quello
commissariale, per sua natura straordinario, in quanto motivato da
contingenti ragioni di eccezionalita' e connotato da un evidente
deficit "democratico" o rectius di "rappresentativita'", diviene,
invero, nel nuovo disegno tracciato dal legislatore ordinario, sia
pure con le dovute differenze, un regime ordinario e potenzialmente
vigente sine die. Con la conseguenza che, se gia' il regime
commissariale rappresentava un'evidente violazione dei parametri
costituzionali sopra indicati, la disciplina introdotta in ordine al
nuovo assetto degli enti provinciali e delle Citta' metropolitane non
solo presenta i medesimi vizi di illegittimita' costituzionale, ma li
vede aggravati dalla durevolezza delle novelle previsioni.
In questi termini le norme impugnate, e in particolare il comma
79, si pongono in violazione degli articoli 97, sul buon andamento
della Pubblica Amministrazione, ridondando anche in una violazione
degli articoli 117 e 118 sul riparto di competenze legislative e
sulla possibilita' di una corretta attuazione del principio di
sussidiarieta' da parte della Regione. Risulta anche violato
l'articolo 120 in quanto non rispettato il principio di leale
collaborazione cui l'esercizio del potere sostitutivo deve
informarsi.
Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 92, per violazione
degli articoli 117, III e IV comma, nonche' l'articolo 118 della
Costituzione.
L'art. l, comma 92, anche nella versione modificata dall'art. 46,
comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, prevede che entro
tre mesi dall'entrata in vigore della legge, attraverso un DPCM,
previa intesa in Conferenza unificata, si proceda alla definizione
dei criteri generali sul trasferimento, dalle Province agli altri
Enti subentranti, dei beni, risorse finanziarie, umane, strumentali e
organizzative connessi all'esercizio delle funzioni, anche se
inerenti a competenze assegnate in via residuale alla legislazione
regionale.
Tale previsione implica sostanzialmente una sorta di
rovesciamento nel procedimento di allocazione delle funzioni, perche'
la definizione dei criteri del trasferimento delle funzioni non
fondamentali, quindi, di fatto non avviene sulla base di previe
disposizioni di legge regionale, anche identificative dei criteri
generali, nel rispetto del riparto di competenze previsto
dall'articolo 117, commi III e IV, della Costituzione, ma sulla base
di un accordo sancito in Conferenza unificata (comma 91) e di una
intesa (comma 92) che poi si traduce in un DPCM statale. Nonostante
l'art. 1, comma 89, solo formalmente disponga che "fermo restando
quanto disposto dal comma 88, lo Stato e le Regioni, secondo le
rispettive competenze, attribuiscono le funzioni Provinciali diverse
da quelle di cui al comma 85, in attuazione dell'articolo 118 della
Costituzione", di fatto viene posto in essere un procedimento che si
risolve nella preventiva adozione di un atto (il DPCM) che - senza
attendere l'intervento della legge regionale (ai sensi dell'art. 1,
comma 144 alle regioni viene dato un anno di tempo per adeguare la
propria legislazione alla legge n. 56 del 2014), richiesto invece
dall'art. 118, II comma - invade in modo sostanziale la competenza
legislativa concorrente e residuale nell'attribuzione e nella
disciplina di importanti funzioni amministrative di rilevanza
territoriale. In altre parole, alla sequenza costituzionalmente
necessaria che prevede la previa legge regionale di identificazione e
conferimento delle funzioni, si sostituisce una sequenza dove
l'accordo, l'intesa e il DPCM precedono la legge regionale, anche se
le funzioni attengono a materie di competenza regionale residuale.
Tale invasione delle competenze legislative regionali e' evidente
anche nel meccanismo previsto dal comma 95 per il quale lo Stato si
sostituisce alla Regione se questa non procede entro sei mesi a
trasferire le funzioni, anche nelle proprie materie di competenza
legislativa esclusiva, secondo quanto previsto dall'accordo in
Conferenza unificata.
P.Q.M.
La Regione del Veneto chiede che l'Ecc.ma Corte costituzionale
dichiari l'illegittimita' costituzionale delle seguenti disposizioni
della legge n. 56 del 2014, pubblicata sulla G.U. n. 81 del 7 aprile
2014:
1. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 5, 6, 12,
e 16 per violazione degli articoli 3, 5, 114, 117, IV comma e 133, I
comma, nonche' di quelle degli Enti locali che la Regione puo'
legittimamente prospettare, ai sensi dell'articolo 127 della
Costituzione;
2. illegittimita' costituzionale dell'art.1, comma 6, per
violazione dell'art. 133, I comma, della Costituzione;
3. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 8, 9, 16,
19 e 21, per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 117, I comma
e 118 della Costituzione;
4. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 55, 56,
58, 60, 67 e 69 per violazione degli articoli 1, 3, 5, 48, 114, 118 e
138 della Costituzione;
4. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 54, 55,
56, 58, da 60 a 65, da 69 a 78, 79 per violazione degli articoli 1,
5, 48, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione;
5. illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 92, per
violazione degli articoli 117, III e IV comma, nonche' dell'articolo
118 della Costituzione.
Si depositano:
1. delibera della Giunta Regionale n. 818 del 2 giugno 2014,
di autorizzazione a proporre ricorso e affidamento dell'incarico di
patrocinio per la difesa regionale.
Venezia-Roma, 4 giugno 2014
Avv. prof. Antonini
Avv. Zanon
Avv. Manzi