Ricorso per questione di legittimita' costituzionale   depositato  in cancelleria il 6 maggio 2011 (della Regione Abruzzo).

 

 

(GU n. 25 del 8.6.2011)

 

    Ricorso della Regione Abruzzo,  in  persona  del  Presidente  pro tempore della Giunta regionale, a cio' autorizzato con  deliberazione della Giunta regionale n. 275 del 22  aprile  2011,  rappresentato  e difeso dall'avv. prof. Stefano Grassi  ed  elettivamente  domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Roma,  Piazza  Barberini  n.  12, come da mandato a margine del presente atto;

    Contro lo Stato, in persona  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri  pro  tempore,  per  la  dichiarazione   di   illegittimita' costituzionale  in  parte  qua  dell'art.  2,  comma  2-quater,   del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, (Proroga di termini  previsti da disposizioni  legislative  e  di  interventi  urgenti  in  materia tributaria  e  di  sostegno  alle  imprese  e  alle  famiglie),  come convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 26 febbraio  2011,  n.  47 S.O., nella parte in cui ha  introdotto  i  nuovi  commi  5-quater  e 5-quinquies  nell'art.  5  della  legge  24  febbraio  1992,  n.  225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile).

    1. - La legge 26 febbraio 2011, n. 10, ha convertito in legge  il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di  termini  previsti da disposizioni  legislative  e  di  interventi  urgenti  in  materia tributaria e di sostegno  alle  imprese  e  alle  famiglie).  Tra  le modifiche apportate  in  sede  di  conversione  in  legge,  e'  stato aggiunto il comma 2-quater all'art. 2 del di. n.  225  del  2010,  il quale dispone l'inserimento nell'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione  civile), dopo  il  comma  5-ter,  di  due  nuovi  commi:  il  5-quater  e   il

5-quinquies. Le nuove disposizioni cosi' stabiliscono:

        5-quater: «A  seguito  della  dichiarazione  dello  stato  di emergenza, il Presidente della regione interessata  dagli  eventi  di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), qualora  il  bilancio  della regione non  rechi  le  disponibilita'  finanziarie  sufficienti  per effettuare le spese conseguenti all'emergenza ovvero per la copertura degli oneri conseguenti alla  stessa,  e'  autorizzato  a  deliberare aumenti,  sino   al   limite   massimo   consentito   dalla   vigente legislazione, dei tributi, delle addizionali, delle  aliquote  ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla regione,  nonche'  ad elevare  ulteriormente  la  misura  dell'imposta  regionale  di   cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 21  dicembre  1990, n. 398, fino a un massimo di cinque centesimi  per  litro,  ulteriori rispetto alla misura massima consentita»;

        5-quinquies: «Qualora le misure adottate ai sensi  del  comma 5-quater non siano sufficienti, ovvero in tutti  gli  altri  casi  di eventi di cui al comma 5-quater di rilevanza nazionale,  puo'  essere disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale  di  protezione civile. Qualora sia utilizzato il fondo di cui all'articolo 28  della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il  fondo  e'  corrispondentemente  e obbligatoriamente reintegrato in pari misura con le maggiori  entrate derivanti dall'aumento  dell'aliquota  dell'accisa  sulla  benzina  e sulla benzina senza piombo,  nonche'  dell'aliquota  dell'accisa  sul

gasolio usato come carburante di cui all'allegato I del  testo  unico delle  disposizioni  legislative   concernenti   le   imposte   sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504,  e  successive modificazioni. La  misura  dell'aumento,  comunque  non  superiore  a cinque  centesimi  al  litro,  e'  stabilita  con  provvedimento  del direttore dell'Agenzia delle dogane in  misura  tale  da  determinare maggiori entrate corrispondenti all'importo prelevato  dal  fondo  di riserva. La disposizione del terzo  periodo  del  presente  comma  si applica anche per la copertura degli oneri derivanti dal differimento dei termini per i versamenti tributari e contributivi  ai  sensi  del comma 5-ter».

    E' opportuno notare sin da subito che - come si mostrera' -  tali disposizioni hanno come effetto normativo piu'  immediato  quello  di far gravare sul bilancio  regionale  il  finanziamento  di  tutte  le funzioni di protezione civile connesse alla gestione delle situazioni di  emergenza  conseguenti  ad  eventi  straordinari,  a  prescindere dall'ente competente ad esercitare tali funzioni e ad effettuare  gli interventi  concreti  per  fronteggiare  le  suddette  situazioni  di emergenza. In sintesi, il legislatore statale ha posto a carico della Regione direttamente interessata dall'evento straordinario  non  solo il peso economico delle funzioni di competenza  regionale,  ma  anche quello delle funzioni spettanti a  tutti  gli  altri  enti  coinvolti dalla situazione di  emergenza  e,  in  particolare,  delle  funzioni

esercitate o facenti capo ad organi o servizi dello Stato.

    2. - Le norme citate si inseriscono  nel  sistema  di  protezione civile disciplinato dalla legge n. 225 del 1992, dagli artt.  107-109 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e  compiti amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli  enti  locali,  in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997,  n.  59),  nonche'  dal d.l. 7 settembre 2001, n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte  alle  attivita'  di protezione civile  e  per  migliorare  le  strutture  logistiche  nel settore della difesa civile), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 401 del 2001.

    In questa sede, deve essere preso in  considerazione,  l'art.  2, comma 1, della citata legge n. 225 del 1992, ai sensi del  quale  «ai fini dell'attivita' di protezione civile gli  eventi  si  distinguono in: a) eventi naturali  o  connessi  con  l'attivita'  dell'uomo  che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti  e  amministrazioni  competenti  in  via  ordinaria;  b)  eventi naturali o connessi con l'attivita' dell'uomo che per loro natura  ed estensione  comportano  l'intervento  coordinato  di  piu'   enti   o amministrazioni competenti in via ordinaria; c)  calamita'  naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed estensione,  debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari».

    L'art. 5, comma 1, della medesima legge dispone inoltre che,  «al verificarsi degli eventi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera  c), il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente  del  Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1,  comma 2,  del  Ministro  per  il  coordinamento  della  protezione  civile, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata  ed  estensione territoriale in stretto riferimento  alla  qualita'  ed  alla  natura degli eventi», aggiungendo che «con le medesime modalita' si  procede alla eventuale revoca dello stato di  emergenza  al  venir  meno  dei relativi presupposti». Il successivo  comma  2  stabilisce  che  «per

l'attuazione  degli  interventi   di   emergenza   conseguenti   alla dichiarazione di cui al comma 1, si provvede, nel  quadro  di  quanto previsto dagli articoli 12, 13,  14,  15  e  16,  anche  a  mezzo  di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto  dei principi generali dell'ordinamento  giuridico»,  prevedendo  altresi' che «le  ordinanze  sono  emanate  di  concerto,  relativamente  agli aspetti di carattere finanziario, con  il  Ministro  dell'economia  e delle finanze» (tale periodo e' stato  aggiunto  dall'art.  2,  comma 2-quinquies, dell'impugnato d.1. n. 225 del 2010, come convertito  in legge). Ai sensi del comma 3 del medesimo art. 5 della legge  n.  225 del 1992, «il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per  sua delega ai  sensi  dell'articolo  1,  comma  2,  il  Ministro  per  il coordinamento  della  protezione  civile,   puo'   emanare   altresi' ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di  pericolo  o  maggiori danni a persone o a cose (...)». Infine, in  base  al  comma  4,  «il Presidente del Consiglio dei Ministri,  ovvero,  per  sua  delega  ai sensi dell'articolo 1, comma 2,  il  Ministro  per  il  coordinamento della protezione civile, per l'attuazione degli interventi di cui  ai commi 2 e 3 del  presente  articolo,  puo'  avvalersi  di  commissari delegati (...)».

    Ai sensi dell'art. 107 del d.lgs. n. 112  del  1998,  allo  Stato spetta la «predisposizione, d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati, dei piani di emergenza in caso di eventi  calamitosi  di cui all'articolo 2, comma 1, lettera  c),  della  legge  24  febbraio 1992, n. 225 e la loro attuazione», nonche' il compito di  provvedere al «soccorso tecnico urgente, (alla)  prevenzione  e  lo  spegnimento degli incendi e (allo) spegnimento  con  mezzi  aerei  degli  incendi boschivi».

    L'art. 11 della legge n. 225 del 1992 individua le  strutture  di livello  nazionale  alle  quali  e'  necessario  affidarsi  per   gli interventi operativi. Si tratta: del Corpo nazionale dei  vigili  del fuoco,  delle  Forze  armate,  delle  forze  di  Polizia,  del  Corpo forestale dello Stato, dei  Servizi  tecnici  nazionali,  dei  gruppi nazionali  di   ricerca   scientifica   di   cui   all'articolo   17, dell'Istituto nazionale di  geofisica  (e  di  altre  istituzioni  di ricerca), della Croce rossa italiana, delle  strutture  del  Servizio sanitario nazionale, delle organizzazioni di volontariato e,  infine, del Corpo nazionale soccorso alpino-CNSA (CAI).

    Altri  elementi  determinanti  per  comprendere  il  ruolo  degli apparati amministrativi  dello  Stato  in  materia  sono  rinvenibili nell'art. 5 del d.l. n. 343 del 2001, che individua le  strutture  di cui si avvale direttamente il Presidente del Consiglio  dei  ministri nello    svolgimento    dei    compiti    attribuiti    al    livello dell'Amministrazione statale. Tra queste strutture, al comma  3  sono menzionati il Servizio sismico nazionale,  la  Commissione  nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi  e  il  Comitato operativo della protezione  civile,  quest'ultimo  con  la  specifica funzione di "assicurare" «la direzione unitaria  e  il  coordinamento

delle attivita' di emergenza, stabilendo gli interventi di  tutte  le amministrazioni e enti interessati al  soccorso»  (comma  3-ter).  Al Dipartimento della protezione civile,  inoltre,  sono  attribuite  le principali funzioni operative: solo per richiamare  qualche  esempio, la funzione di "promuovere" «l'attivita' tecnico-operativa, volta  ad assicurare i primi interventi, effettuati in concorso con le  regioni e da queste in raccordo con i prefetti e con i  Comitati  provinciali di protezione civile» (comma 4); la funzione di "definire",  d'intesa con le regioni, «in sede locale e sulla base dei piani di  emergenza, gli  interventi  e   la   struttura   organizzativa   necessari   per fronteggiare gli eventi calamitosi  da  coordinare  con  il  prefetto anche per gli aspetti dell'ordine e della sicurezza pubblica»  (comma 4-bis); tutti i compiti  precedentemente  attribuiti  all'Agenzia  di protezione civile dall'art. 81 del d.lgs. n. 300 del 1999 (comma 6) e tra questi, in particolare, quelli concernenti proprio  le  attivita' connesse con gli eventi calamitosi di cui all'art. 2, comma 1,  lett. c),  della  legge  n.  225  del  1992  (fra  le  quali  spiccano  «la rilevazione dei danni e l'approvazione di piani di  interventi  volti al  superamento  delle  emergenze  ed  alla  ripresa  delle   normali condizioni di vita, da attuarsi di intesa con le regioni e  gli  enti locali interessati»), nonche' «l'attivita' tecnico-operativa volta ad assicurare i primi interventi nell'ambito dei compiti di soccorso  di cui all'articolo 14» della legge n. 225 del 1992 (cfr., in proposito, l'art. 81, comma 1, lettere c) e d), del d.lgs. n. 300 del 1999).

    All'attivita' di protezione civile, tuttavia, sono  chiamati,  in collaborazione  tra  loro,  diversi  enti  e  soggetti,   individuati nell'art.  6  della  legge  n.  225  del  1992.  Per  quel  che   qui specificamente interessa, la disposizione citata, al comma 1, prevede che «all'attuazione delle attivita' di protezione civile  provvedono, secondo i rispettivi  ordinamenti  e  le  rispettive  competenze,  le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni  e  le comunita' montane, e vi concorrono gli enti pubblici, gli istituti ed i gruppi di ricerca scientifica con finalita' di  protezione  civile, nonche' ogni altra istituzione ed organizzazione anche privata».

    L'ultima  norma  citata,  tuttavia,  riguarda  evidentemente   in generale il concorso dei diversi enti  che  compongono  il  "Servizio nazionale della protezione civile" a  tutte  le  varie  e  molteplici attivita' che al medesimo devono essere ricondotte. In  questa  sede, pero',  interessa,  in  particolare,   l'assetto   delle   competenze concernenti la gestione degli eventi straordinari di cui all'art.  2, comma 1, lett. c), della legge  n.  225  del  1992.  Per  comprendere appieno  il  ruolo  giocato  dalla  Regione  (e  dagli   altri   enti sub-statali) in tale ambito e' dunque necessario richiamare le  norme che affidano funzioni agli enti locali sub-regionali.

    A  tali  enti  sono  affidate  dalla  legge  importanti   (seppur circoscritte) funzioni. L'art. 108, comma 1, del d.lgs.  n.  112  del 1998, alloca al livello comunale  la  competenza  a  provvedere  alla «attivazione dei primi soccorsi alla popolazione e  degli  interventi urgenti  necessari  a  fronteggiare  l'emergenza»;  «alla   vigilanza sull'attuazione,  da  parte  delle  strutture  locali  di  protezione civile, dei servizi urgenti»; infine,«all'utilizzo  del  volontariato di protezione civile a livello comunale e/o intercomunale, sulla base degli indirizzi nazionali e regionali».

    Viceversa, alle Regioni spettano competenze che - nell'ambito del quadro suddetto - assumono caratteri marginali. Si veda, al riguardo, quanto previsto dall'art. 107, comma 1, lett. a), nn. 4 e 7,  laddove si affida alla Regione l' «attuazione degli interventi necessari  per favorire il ritorno  alle  normali  condizioni  di  vita  nelle  aree colpite  da  eventi  calamitosi»,  e  le  funzioni   relative   «agli interventi per l'organizzazione e l'utilizzo  del  volontariato».  Si veda, inoltre, il disposto dell'art. 12 della legge n. 225 del  1992, che si limita  ad  affidare  alle  Regioni  il  generico  compito  di

«partecipa(re) all'organizzazione e all'attuazione delle attivita' di protezione civile indicate nell'articolo    della  medesima  legge, ossia (per quel che qui rileva in particolare),  «al  soccorso  delle popolazioni  sinistrate  ed  ogni  altra  attivita'   necessaria   ed indifferibile diretta a superare l'emergenza connessa agli eventi  di cui all'articolo 2».

    A queste competenze delle  Regioni  devono  aggiungersi,  infine, quelle eventualmente affidate alle medesime dalle  singole  ordinanze governative di protezione  civile,  che  provvedano  in  deroga  alle disposizioni vigenti.

    Da   ultimo,   deve   essere   considerata    una    disposizione particolarmente importante nel sistema della protezione civile, ossia l'art. 5, comma 1, del d.l. 343 del 2001, il quale cosi' dispone: «Il Presidente  del  Consiglio   dei   Ministri,   ovvero   il   Ministro dell'interno da lui delegato, determina le  politiche  di  protezione civile, detiene i  poteri  di  ordinanza  in  materia  di  protezione civile,  promuove  e  coordina  le  attivita'  delle  amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, delle  regioni,  delle  province, dei comuni, degli enti pubblici nazionali e territoriali  e  di  ogni altra istituzione ed organizzazione pubblica e privata  presente  sul territorio nazionale, finalizzate alla tutela  dell'integrita'  della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai  danni  o  dal pericolo di danni derivanti da calamita' naturali, da catastrofi e da altri grandi eventi, che determinino  situazioni  di  grave  rischio, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998,  n.  112 (...)». Come si vede, la competenza del Presidente del Consiglio  dei ministri in materia  di  protezione  civile  e'  disegnata  come  una competenza generale e residuale: tutto cio' che non e' specificamente attribuito ad altri enti (e si tratta, come si e' visto,  di  compiti limitati e comunque di minore portata, almeno in relazione al settore degli eventi straordinari di cui all'art.  2,  comma  1,  lettera  c, della legge n.225 del 1992), e' infatti  attribuito  alla  Presidenza del Consiglio. Le stesse competenze degli  altri  enti  territoriali,

peraltro, sono derogabili  mediante  le  ordinanze  con  tingibili  e urgenti  di  protezione  civile,  che  possono  disporre   anche   in difformita' dalle disposizioni legislative vigenti.

    Come si puo' agevolmente constatare alla luce di  quanto  esposto sino  ad  ora,  quelle  volte  a   fronteggiare   eventi   calamitosi straordinari  sono  senz'altro,  nel  loro  complesso,  politiche   e funzioni  governative,  ed  in  particolare  politiche   e   funzioni direttamente intestate al Presidente del Consiglio dei ministri.  Gli enti  territoriali  sub-statali  hanno  una  funzione  esclusivamente ancillare rispetto alle funzioni attribuite al Governo centrale.

    3.  -  Cio'  premesso,  e'  agevole  mostrare  che  dalle   nuove previsioni contenute nei commi 5-quater  e  5-quinquies  dell'art.  5 della legge n. 225 del 1992 si ricavano norme che limitano fortemente l'autonomia costituzionale delle  Regioni.  Si  tratta,  infatti,  di norme che fanno gravare interamente sul bilancio regionale  anche  il finanziamento delle funzioni e degli interventi volti a  fronteggiare l'emergenza  connessa   ad   eventi   straordinari   che   non   sono riconducibili  all'esercizio  delle  funzioni  di  competenza   delle Regioni e che invece fanno capo alle funzioni e  agli  interventi  di competenza dello Stato o degli altri enti territoriali.

    A seguito della dichiarazione dello stato di  emergenza  per  gli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della legge n.  225  del 1992  («calamita'  naturali,  catastrofi  o  altri  eventi  che,  per intensita' ed estensione, debbono essere  fronteggiati  con  mezzi  e poteri straordinari»), si instaura un regime giuridico  straordinario volto a fronteggiare questi ultimi. Tale regime giuridico impone – ai sensi degli arti. 6 e da 11 a 15 della legge n. 225 del  1992,  degli artt. 107 e seguenti del d.lgs. n. 112 del 1992, nonche' dell'art.  5 del  d.l.  n.  343  del  2001  -  la  collaborazione  e  l'intervento coordinato di tutti i  diversi  enti  territoriali  interessati  agli eventi,  oltre  che  di  un'ampia  serie  di   "strutture   operative nazionali" facenti  capo  ad  organi  degli  apparati  amministrativi centrali e periferici dello Stato.  A  tale  riguardo,  e'  difficile negare  che  un  ruolo  di  primo  piano,  non   soltanto   di   mero coordinamento di altri soggetti ma anche propriamente operativo,  sia attribuito  allo  Stato  (e  alle  strutture  o   servizi   da   esso dipendenti), il quale - per mezzo del Governo - delibera lo Stato  di emergenza e adotta le ordinanze, anche in  deroga  alle  disposizioni legislative vigenti,  volte  a  definire  e  attuare  gli  interventi necessari affidati alla cura concreta  di  tutte  le  componenti  del

"Servizio nazionale della protezione civile" di cui al citato art.  6 della legge n.  225  del  1992.  Nonostante  la  pluralita'  di  enti chiamati a fronteggiare l'emergenza, e nonostante il ruolo  di  primo piano che ricopre lo Stato nelle vicende in questione, i nuovi  commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 pongono interamente a  carico  del  bilancio  della  Regione interessata, o delle  Regioni  territorialmente  interessate  da  una dichiarazione di stato di emergenza per gli eventi di cui all'art. 2, comma  1,  lett.  c),  tutti   gli   oneri   finanziari   conseguenti all'emergenza, indipendentemente dagli  organi  e  dall'ente  (Stato, Regione, Province e Comuni) chiamati ad intervenire in concreto sulla base del riparto di competenze stabilito nei richiamati artt.  5-6  e 11-15 della medesima legge n. 225 del 1992 e nell'art. 5 del d.l.  n. 343  del  2001,  nonche'  nelle  ordinanze  contingibili  e   urgenti eventualmente derogatorie rispetto alla normativa legislativa vigente sul riparto  delle  competenze  e,  dunque,  indipendentemente  dalla titolarita' statale, regionale o locale delle funzioni amministrative in concreto esercitate o da esercitare.

    Il bilancio regionale si trova dunque a dover fronteggiare  spese connesse a funzioni che la Regione non e' chiamata  ad  esercitare  e che, viceversa,  fanno  capo  agli  altri  enti  territoriali  e,  in particolare, allo Stato.

    Sempre nel nuovo comma 5-quater e' contenuta una  previsione  che solo all'apparenza determina un ampliamento dei poteri spettanti alle Regioni.  Ai  sensi  di  questa  disposizione,  infatti,  qualora  il bilancio regionale non risulti capiente per la copertura delle  spese citate, il Presidente della Regione  «e'  autorizzato»  a  deliberare aumenti - nella misura massima consentita dalla legislazione  vigente - dei tributi, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di  aliquote attribuite alla Regione, nonche', all'occorrenza, anche un  ulteriore aumento dell'imposta regionale sulla benzina per autotrazione fino ad un massimo di 5  cent.  per  litro.  A  dispetto  della  formulazione testuale che "formalmente" si limita a riconoscere  un  "potere",  si tratta a tutti  gli  effetti  dell'imposizione  al  Presidente  della Regione  di  un  "obbligo"  di  esercitare  la  potesta'   tributaria riconosciuta alla Regione dalla legislazione vigente fino  ai  limiti massimi  consentiti  da   questa   o   fino   all'ulteriore   aumento straordinario  dell'imposta  sulla  benzina  per  autotrazione,   con l'ulteriore (e connesso) "obbligo"  di  destinare  i  proventi  delle entrate tributarie cosi' raccolte al finanziamento  degli  interventi necessari a fronteggiare l'emergenza. Da simili "obblighi" la Regione potrebbe "liberarsi" solo ed esclusivamente mediante  una  variazione di bilancio,  ad  esempio  disponendo  la  riduzione  di  spese  gia' previste in relazione ad altre funzioni.

    Tale conclusione e' supportata  espressamente  dal  disposto  del comma 5-quinquies, primo periodo, laddove si stabilisce che la previa adozione  delle  misure  di  cui  al  comma  5-quater  e  l'eventuale "certificazione" della loro insufficienza a coprire  tutte  le  spese dell'emergenza costituiscono presupposto indispensabile  per  rendere "possibile"  l'accesso  al  Fondo  nazionale  di  protezione  civile, possibilita' quest'ultima interamente rimessa -  peraltro  -  ad  una decisione politica ed  unilaterale  del  Governo  nazionale.  L'unica alternativa  espressamente  contemplata  affinche'   "possa"   essere disposto l'utilizzo del predetto  Fondo  nazionale  e'  quella  della "qualificazione" dell'evento in questione come  evento  di  rilevanza nazionale, ma anche in questo caso la decisione - nonche'  la  stessa "qualificazione" dell'evento - rimane affidata ad una scelta politica e unilaterale del Governo nazionale.

    4. - Che  questa  sia  l'interpretazione  delle  disposizioni  in questione dalla quale e' necessario prendere le  mosse  ai  fini  del presente giudizio e' mostrato con chiarezza  dal  dibattito  avvenuto nelle aule parlamentari in occasione della conversione in  legge  del d.l. n. 225 del 2010.

    Al riguardo, si possono  richiamare  i  numerosi  interventi  che hanno caratterizzato i lavori svoltisi in  sede  di  Assemblea  della Camera dei deputati durante la seduta di martedi' 22 febbraio 2011. A piu' riprese, infatti, in quella occasione e' stata posta in evidenza la irragionevolezza - ed anzi, la profonda ingiustizia, a  causa  del disinteresse per qualunque meccanismo solidaristico - delle norme qui in discussione, a causa del fatto che  esse  gravano  le  popolazioni colpite  dalle  calamita'  naturali  dell'ulteriore  peso  di   dover sostenere la spesa (per il  tramite  di  una  imposizione  tributaria aggiuntiva) degli interventi necessari a fronteggiare l'emergenza.

    Al di la' della gravita' di una normativa che elimina del tutto i meccanismi solidaristici  tra  territori  proprio  in  occasione  dei momenti in cui alcuni  di  essi  sono  particolarmente  colpiti,  qui interessa mettere in evidenza che, oltre ogni ragionevole dubbio,  le disposizioni in questione sono state intese, da  parte  degli  organi che le hanno deliberate, come volte a far gravare  integralmente  sul bilancio della Regione interessata (o delle  Regioni  interessate)  e sul sistema tributario regionale  il  carico  finanziario  necessario agli interventi posti in essere per fronteggiare la calamita',  salva

la mera "possibilita'" di utilizzare, ove  le  risorse  reperite  nel bilancio regionale non  fossero  sufficienti,  e  ove  in  tal  senso deliberi il Governo, il Fondo nazionale di protezione civile.

    5.  -  Ad  ulteriore  conferma  della  rilevanza,  nel   presente giudizio, dell'interpretazione che qui si assume  delle  disposizioni di  cui  ai  nuovi  commi  5-quater  e  5-quinquies,  primo  periodo, dell'art. 5 della legge n. 225 del  1992  e'  di  estremo  interesse, inoltre, quanto affermato nella direttiva adottata dal Presidente del Consiglio dei ministri in data 14 marzo 2011 e contenente  «Indirizzi per lo svolgimento delle attivita' propedeutiche  alle  deliberazioni del Consiglio dei ministri da adottare ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225  e  per  la  predisposizione  ed attuazione delle ordinanze di cui all'art. 5,  commi  2  e  3,  della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nonche' per l'attuazione del  decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni,  dalla legge  26  febbraio  2011,  n.  10».  Si  consideri,  innanzi  tutto, l'affermazione contenuta in premessa, secondo la quale  la  normativa vigente (come qui si e' evidenziato) attribuisce «al  Presidente  del Consiglio dei ministri la titolarita' delle politiche  di  protezione civile», consentendogli di «emanare  speciali  ordinanze  derogatorie

dell'ordinamento   giuridico   vigente   ed   istituire   altrettanto eccezionali e peculiari assetti organizzativi anche  facenti  capo  a specifici Commissari  delegati».  Ebbene,  secondo  la  direttiva  in questione, ai sensi delle nuove disposizioni introdotte dal  d.l.  n. 225 del 2010, le citate  "politiche"  del  Presidente  del  Consiglio devono essere finanziate, innanzi tutto, a carico del bilancio  della Regione o delle Regioni interessate. Cio' risulta con  chiarezza  dal paragrafo  dedicato  alle  «risorse   necessarie   per   fronteggiare l'emergenza» ove si afferma  che,  «per  il  combinato  disposto  dei citati commi 5-quater e 5-quinquies» della legge n. 225 del 1992, «e' la  Regione  esclusivamente  interessata,  ovvero  sono  le   Regioni interessate (in tal caso pro-quota) a doversi fare  carico  in  primo luogo del reperimento delle  risorse  finanziarie  necessarie  a  far fronte  ai  fabbisogni  occorrenti».  A  questo  fine  -  secondo  la direttiva - la  Regione  (o  le  Regioni  interessate),  dovra':  «a) innanzi tutto (...) reperire  all'interno  del  proprio  bilancio  le disponibilita'  finanziarie  sufficienti  per  effettuare  le   spese conseguenti all'evento emergenziale ovvero  per  la  copertura  degli oneri conseguenti allo stesso; b) poi, qualora il bilancio non  rechi tale disponibilita', (...)  deliberare  aumenti  dei  tributi,  delle addizionali, delle aliquote ovvero delle  maggiorazioni  di  aliquote attribuite alla Regione, sino  al  limite  massimo  consentito  dalla legislazione vigente; c) nonche' (...) - sia nel caso che gli aumenti deliberati ai sensi della  lettera  b)  non  assicurino  comunque  il reperimento di tutte le disponibilita' occorrenti sia in quello della impossibilita' di deliberare aumenti giacche' gli stessi  sono  stati gia' precedentemente operati  nei  limiti  massimi  consentiti  dalla legislazione  vigente  -  (...)  elevare  ulteriormente   la   misura dell'imposta regionale  di  cui  all'art.  17,comma  1,  del  decreto legislativo n, 398 del 1990, fino a un massimo  di  cinque  centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita».

    La  direttiva,  inoltre,  ritiene  di  dover  precisare  che   le iniziative  appena  evocate  non  rappresentano  affatto  «una   mena facolta'  lasciata  alla  libera  iniziativa   discrezionale»   della Regione;  cio'  sulla  base  dell'  incipit  del  comma  5-quinquies, «laddove esso prevede che (solo) "qualora le misure adottate ai sensi del comma 5-quater non siano sufficienti (...) puo'  essere  disposto l'utilizzo delle risorse del Fondo nazionale di protezione  civile"».

Come si puo' osservare, la direttiva si rivela ancora piu' severa con le Regioni di quanto non risulti dalla stessa disposizione normativa:

essa, infatti, con una omissione (che si  deve  supporre)  deliberata nella citazione del primo periodo del  comma  5-quinquies,  evita  di considerare l'alternativa della "rilevanza  nazionale"  degli  eventi che pure, in base al disposto testuale, dovrebbe consentire l'accesso al  Fondo  nazionale.  Con  queste  premesse,  la  conclusione  della direttiva sul punto non puo' che essere drastica: «In altri  termini, perche' si possa utilizzare il predetto Fondo occorre pur sempre che, prima, risultino effettivamente assunte ed applicate le iniziative di competenza regionale sopra descritte». E a tale riguardo, si  precisa che le  Regioni  potranno  accedere  alle  misure  di  cui  al  comma 5-quinquies soltanto «attestando di aver  concretamente  esperito  le

iniziative  di  propria  competenza  di  cui   al   comma   5-quater, evidentemente per la differenza di  fabbisogno  fra  quanto  reperito attraverso le proprie iniziative e quanto  necessario  per  le  spese conseguenti all'evento emergenziale ovvero  per  la  copertura  degli oneri dallo stesso derivanti».

    L'interpretazione  delle  due  nuove  disposizioni  fornita   dal Presidente del Consiglio dei ministri  si  rivela  dunque  di  tenore inequivoco: da esse discende l'effetto di porre a carico del bilancio delle Regioni e dei loro sistemi di imposizione fiscale - almeno fino alla loro "certificata" insufficienza" - tutti gli  oneri  finanziari derivanti  dalla  gestione  degli   interventi   di   emergenza   per fronteggiare gli eventi calamitosi di cui all'art. 2, comma 1,  lett. c), della legge n. 225 del 1992, indipendentemente dagli enti,  dagli organi e dalle strutture  competenti  ad  effettuare  gli  interventi suddetti. E a sgombrare il campo  da  ogni  dubbio  residuo  vale  la

seguente affermazione  finale  contenuta  nel  par.  della  direttiva intitolato alle "risorse necessarie  per  fronteggiare  l'emergenza":

«Da ultimo, va ribadito che le risorse  complessivamente  individuate per far fronte  all'emergenza  dovranno  essere  destinate  anche  al ristoro degli oneri derivanti dall'attivazione o  dall'impiego  delle componenti e delle strutture  operative  del  Servizio  nazionale  di protezione civile».

    6. - La  Regione  Abruzzo,  con  la  deliberazione  della  Giunta indicata in epigrafe, ha espresso la volonta' di impugnare davanti  a questa Corte le disposizioni contenute nell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, come convertito in legge dalla legge n.  10 del   2011,   perche'   costituzionalmente   illegittime   e   lesive dell'autonomia  che  la  Costituzione  riconosce  e  garantisce  alle Regioni, in riferimento agli art. 117, terzo comma, e 119 Cost, anche in relazione ai principi di eguaglianza e di  ragionevolezza  di  cui all'art. 3 Cost., nonche'  al  principio  di  solidarieta'  politica, economica e sociale di cui all'art. 2 Cost. Ad avviso  della  Regione

Abruzzo, inoltre, risulta gravemente  vulnerato  anche  il  principio costituzionale    di    leale    collaborazione.     L'illegittimita' costituzionale che si denuncia con il presente ricorso si  fonda,  in particolare, sulle seguenti ragioni di

 

                            D i r i t t o

 

    7. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies - quest'ultimo limitatamente al primo periodo - nell'art. 5 della legge n. 225 del 1992, per violazione dell'art. 119 Cost.  e, in particolare, del principio, in esso contenuto,  di  corrispondenza tra le risorse finanziarie disponibili in base alle fonti di  cui  ai commi 2 e 3 di tale articolo e le funzioni attribuite in  titolarita' a ciascun ente territoriale della Repubblica.

    7.1. - Il comma 2-quater dell'art. 2 del d.l. n.  225  del  2010, come convertito in legge dalla legge n. 10 del 2011,  ha  aggiunto  i commi 5- quater e 5-quinquies all'art. 5 della legge n. 225 del 1992.

Per  semplificare  l'esposizione,  da  qui   in   avanti   si   fara' riferimento, piuttosto che alle disposizioni dell'impugnato  d.l.  n. 225 del 2010, direttamente alle nuove norme  introdotte  nell'art.  5 della legge n. 225 del 1992.

    Tali norme, come si e' detto, pongono a carico dei bilanci  delle Regioni colpite da calamita' naturali o altri eventi in relazione  ai quali si decida  di  deliberare  lo  stato  di  emergenza,  ai  sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1,  della  legge n. 225 del 1992,il peso economico di tutti gli  interventi  necessari per fronteggiare  l'emergenza,  a  prescindere  dall'ente  cui  debba essere riferita la competenza e la  responsabilita'  in  ordine  alla loro effettiva realizzazione in concreto.

    Le previsioni contenute nei commi 5-quater e  5-quinquies,  primo periodo,  dell'art.  5  della  legge  n.   225   del   1992   violano evidentemente l'art. 119, quarto comma,  Cost.,  poiche'  contrastano con  il  principio  da  esso  desumibile  della  piena  ed  integrale corrispondenza tra le risorse finanziarie disponibili  in  base  alle fonti di cui ai commi secondo e terzo e  le  funzioni  attribuite  in titolarita' a ciascun ente territoriale della Repubblica.

    7.2.  -  Dall'analisi  del  quadro  normativo  richiamato   nelle premesse di fatto (cfr. par. 2) in ordine al riparto delle competenze in materia di protezione civile, emerge chiaramente che,  soprattutto in relazione agli eventi straordinari cui si collega la dichiarazione dello stato di emergenza di cui all'art. 5 della  legge  n.  225  del 1992, tra i vari enti territoriali necessariamente  coinvolti  e'  lo Stato a ricoprire una posizione del tutto preminente, quale  soggetto cui e' attribuita, addirittura, una competenza generale  e  residuale rispetto  a  quelle  specificamente   riconosciute   alle   autonomie territoriali.

    Il  sistema  della  disposizioni  legislative  vigenti  fornisce, pertanto, una conferma inequivoca di quanto affermato  con  chiarezza dalla direttiva del Presidente del  Consiglio  dei  ministri  del  14 marzo 2011: ossia che quelle volte a fronteggiare  eventi  calamitosi straordinari  sono  senz'altro,  nel   loro   complesso,   "politiche governative", di livello nazionale, affidate,  in  particolare,  alla responsabilita' del Presidente del Consiglio dei ministri, e che  gli enti  territoriali  sub-statali  hanno  una  funzione  esclusivamente ancillare rispetto a tali politiche. Cio' nondimeno, come si e'  gia' posto  in  rilievo,  le  disposizioni  impugnate   in   questa   sede stabiliscono che il peso economico di queste politiche debba  gravare non sul bilancio statale - come sarebbe del tutto normale, essendo le medesime "politiche statali" -  bensi'  sui  bilanci  e  sui  sistemi tributari delle Regioni.

    7.3. - Tale previsione contrasta con il principio posto dall'art. 119 Cost. secondo cui non e' costituzionalmente  consentito  che  una legge  dello  Stato  imponga  alle  Regioni  di  finanziare  funzioni amministrative di esclusiva pertinenza del primo.

    Come  e'  noto,  la  disposizione  costituzionale  sopra   citata stabilisce,  ai  commi  secondo  e  terzo,  le  fonti  ordinarie   di approvvigionamento dei bilanci degli enti  territoriali  sub-statali, individuandole  nei  tributi   e   nelle   entrate   proprie,   nella compartecipazione al gettito dei tributi erariali e  nella  quota  di spettanza del fondo perequativo. Il successivo comma quarto, inoltre, prevede che «le  risorse  derivanti  dalle  fonti  di  cui  ai  commi precedenti  consentono  ai  Comuni,  alle   Province,   alle   Citta' metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le  funzioni pubbliche loro attribuite». Alle risorse previste dai commi secondo e terzo dell'art. 119, inoltre, il successivo comma quinto  aggiunge  - con norma evidentemente di "chiusura"  -  la  previsione  secondo  la quale «lo Stato destina risorse  aggiuntive  ed  effettua  interventi speciali  in  favore  di   determinati   Comuni,   Province,   Citta'

metropolitane e Regioni»,  allo  scopo  di  «promuovere  lo  sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, per  rimuovere  gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi  dal  normale esercizio delle loro funzioni».

    Dall'insieme delle disposizioni appena menzionate si  ricava  con chiarezza il principio generale  secondo  il  quale  le  funzioni  di ciascun ente territoriale sono integralmente finanziate dalle proprie entrate ordinarie, che per gli enti sub-statali sono individuate  dai commi secondo e terzo,  sopra  citati.  L'unica  eccezione  a  questo principio generale di corrispondenza tra funzioni e risorse e' quella espressamente prevista dal comma quinto dell'art. 119: gli interventi speciali e le risorse  aggiuntive  che  lo  Stato  deve  destinare  a singoli enti territoriali al fine di garantire  la  realizzazione  di alcuni   fondamentali    valori    costituzionali    e    l'effettivo esercizio/godimento dei diritti della persona, nonche' - non a caso - per provvedere  a  tutti  gli  scopi  che  fuoriescano  dal  "normale esercizio" delle funzioni ordinariamente spettanti agli enti autonomi territoriali.

    Il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse rileva  qui da due differenti (ma concorrenti) punti di vista. 

        a)  In  primo  luogo,  esso  mostra  chiaramente  che,  oltre all'ipotesi da ultimo citata, di  cui  all'art.  119,  quinto  comma, Cost., il nostro diritto costituzionale non ammette che  le  funzioni di un ente territoriale possano essere finanziate mediante il ricorso ad entrate diverse da quelle che, in via ordinaria, competono al  suo bilancio. Di conseguenza non puo'  che  ritenersi  costituzionalmente illegittima la previsione secondo la quale  la  funzioni  statali  in materia di protezione civile, connesse alla declaratoria dello  stato di emergenza di cui all'art. 2, lett. c),  e  all'art.  5,  comma  1, della legge n. 225 del 1992, sono finanziate a  gravare  sui  bilanci delle Regioni interessate. Con evidenza, le  risorse  provenienti  da questi  bilanci  non  fanno  parte,  infatti,   delle   risorse   che ordinariamente competono allo Stato.

        b) Il principio costituzionale di corrispondenza tra funzioni e risorse, come desumibile dall'art. 119,  Cost.,  rileva  in  questa sede anche sotto un secondo profilo.

    Il quarto comma di  tale  disposizione  costituzionale,  infatti, nell'affermare che le risorse dei  precedenti  commi  «consentono  ai Comuni, alle Province, alle Citta' metropolitane e  alle  Regioni  di finanziare integralmente le funzioni loro attribuite»,  evidentemente presuppone che le risorse in questione siano stabilmente destinate al finanziamento di tali funzioni, e non al  finanziamento  di  funzioni svolte   da   altri   soggetti.   La   medesima   conclusione    deve necessariamente trarsi anche dal testo del  successivo  quinto  comma dell'art. 119 Cost.: se lo  Stato  e'  chiamato  a  porre  in  essere «interventi speciali» e a destinare  «risorse  aggiuntive»  a  favore degli enti autonomi territoriali sub-statali, al fine di  «provvedere a scopi  diversi  dall'esercizio  delle  loro  funzioni»,  a  maggior ragione si  deve  ritenere  che  non  possa  imprimere  alle  risorse "ordinarie" delle Regioni (e degli enti locali) destinazione  diversa da quella del finanziamento di queste funzioni.

    8. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-  quinquies  -  quest'ultimo  limitatamente  al  primo  periodo   - nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992,  per  violazione  dell'art. 119,  quinto  comma,  Cost.,  anche  in  relazione  ai  principi   di eguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.,  nonche'  al principio di  solidarieta'  politica,  economica  e  sociale  di  cui all'art. 2 Cost.

    8.1. - Le norme contenute nei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo,  dell'art.  5  della  legge  n.  225  del  1992  contrastano palesemente e in termini specifici con quanto disposto dall'art. 119, quinto comma, Cost.

    In base a quanto prevede tale disposizione,  come  si  e'  appena posto in rilievo, la Costituzione affida espressamente allo Stato  il compito di "destinare" «risorse aggiuntive» rispetto a quelle di  cui ai commi secondo e terzo del medesimo  art.  119  e  di  "effettuare" «interventi speciali  in  favore  di  determinati  Comuni,  Province, Citta' metropolitane e Regioni». La norma costituzionale  stabilisce, altresi',  le  finalita'  cui  tali  "risorse  aggiuntive"   e   tali "interventi speciali" di competenza statale debbono  essere  rivolti:

la promozione  dello  sviluppo  economico,  della  coesione  e  della solidarieta'  sociale;  la  rimozione  degli  squilibri  economici  e sociali; la migliore garanzia dell'effettivo  esercizio  dei  diritti della persona; la  necessita'  di  provvedere  a  scopi  diversi  dal normale esercizio delle funzioni affidate alla competenza degli  enti autonomi territoriali. In sintesi, e' evidente che l'art. 119, quinto comma, Cost. attribuisce  specificamente  allo  Stato  una  peculiare funzione  "sussidiaria"  a   garanzia   ultima   di   alcuni   valori imprescindibili   dell'ordinamento,   intestando   proprio   all'ente esponenziale  dell'unita'  e  indivisibilita'  della  Repubblica   il compito  di  assicurare  la  disponibilita'  delle  risorse   e   gli interventi necessari allorquando i suddetti valori non possano essere adeguatamente  garantiti  dal  normale   esercizio   delle   funzioni spettanti alle autonomie territoriali.

    Se si considera la tipologia di eventi contemplati  dall'art.  2, comma 1, lett. c), della legge n. 225 del 1992  cui  fanno  esplicito riferimento  le  norme  impugnate  nel   presente   giudizio   (ossia «calamita' naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensita' ed estensione,  debbono  essere  fronteggiati   con   mezzi   e   poteri straordinari»), e' del tutto agevole dedurne che proprio in  presenza di simili circostanze di fatto  ci  si  trova  a  dover  fronteggiare situazioni  che  determinano  un  sicuro  pregiudizio  per  i  valori contemplati nel quinto comma  dell'art.  119  Cost.,  che  certamente fuoriescono dal campo del "normale esercizio"  delle  funzioni  delle

autonomie territoriali e che, pertanto, costituiscono senz'altro  uno dei campi privilegiati di quella responsabilita' "sussidiaria" che la citata norma costituzionale intesta allo Stato. In altre parole,  non puo' seriamente dubitarsi che tra gli «interventi speciali» di cui al quinto comma dell'art. 119, debbano  essere  collocati  anche  quelli svolti in risposta ad "emergenze" rientranti nell'ambito del disposto dell'art. 2, comma 1, letta c), e dell'art. 5, comma 1,  della  legge n. 225 del 1992. E non si puo' dubitare che con le  disposizioni  che qui si contestano  lo  Stato  intende  sottrarsi  dal  finanziare  lo svolgimento di specifici compiti che  la  Costituzione  gli  assegna, mettendo   peraltro   seriamente   a   rischio   la   loro   concreta realizzazione.

    Da  cio'  discende,   in   termini   evidenti,   l'illegittimita' costituzionale di norme legislative quali quelle impugnate in  questa sede, in quanto volte a porre a  carico  delle  Regioni  direttamente interessate dagli eventi catastrofici di cui  all'art.  2,  comma  1, lett. c), della legge n. 225 del 1992 gli oneri  finanziari  connessi con la gestione dell'emergenza e,  dunque,  volte  a  determinare  la sostanziale "abdicazione" da parte dello  Stato  dai  propri  compiti espressamente contemplati nell'art. 119, quinto comma, Cost.

    8.2. - Proprio la  considerazione  dei  valori  costituzionali  a garanzia  dei  quali  gli  interventi  "straordinari"   dello   Stato dovrebbero rivolgersi consente, d'altra parte,  di  ritenere  che  la violazione diretta dell'art. 119, quinto  comma,  Cost.  si  colleghi strettamente con la violazione di numerosi altri  principi  contenuti nella  Carta  costituzionale.  E  la  legittimazione  della   Regione ricorrente a denunciare nel presente giudizio anche simili profili di illegittimita'  costituzionale  trova  sicuro   fondamento   in   due concorrenti ragioni: a) perche' trattasi  di  corollari  direttamente connessi alla affermata violazione di una  norma  costituzionale  sul riparto delle competenze quale quella contenuta nell'art. 119, quinto comma, Cost.; b) perche', in ogni caso, le norme  impugnate  incidono direttamente  sulle   attribuzioni   costituzionali   delle   Regioni limitandone  e  vincolandone  le  sfere  di  autonomia  normativa   e finanziaria, con la  conseguenza  per  cui  la  violazione  di  norme costituzionali extracompetenziali e' in grado di produrre,  nel  caso di specie, quella "lesione indiretta" delle competenze costituzionali delle Regioni cui  la  consolidata  giurisprudenza  di  questa  Corte ancora l'ammissibilita' nel giudizio  in  via  principale  di  simili censure.

    8.2.1. - In primo luogo,  e'  palese  il  contrasto  delle  norme impugnate con i principi di eguaglianza e di  ragionevolezza  di  cui all'art. 3 Cost., dal momento  che  -  a  dispetto  della  menzionata "responsabilita'" dello Stato per la  la  rimozione  degli  squilibri economici  e  sociali  e  per  la  migliore  garanzia  dell'effettivo esercizio dei diritti della persona - viene posto  a  carico  proprio delle  collettivita'  colpite  dalle  calamita'  naturali   o   dalle catastrofi il peso economico degli interventi volti a fronteggiarle.

    Tale profilo  illegittimita'  costituzionale  risulta  ampiamente evocato nell'ambito del dibattito parlamentare svoltosi in  occasione della conversione in legge del d.l. n. 225 del 2010. Al riguardo,  si rinvia al gia' menzionato resoconto  sommario  e  stenografico  della seduta alla Camera dei deputati del giorno martedi' 22 febbraio 2011.

    In tale sede e' stata denunciata la violazione del  principio  di eguaglianza, laddove si configura un  trattamento  deteriore  proprio per  le  popolazioni  residenti  nelle  aree  colpite  da  un  evento catastrofico straordinario, nonche' la palese irragionevolezza di una simile disciplina.

    Il principio di ragionevolezza, in particolare,  e'  violato  per due differenti ma concorrenti ragioni:

        a) innanzi tutto,  per  la  evidente  irrazionalita'  di  una misura che  realizza  l'effetto  di  gravare  le  collettivita'  gia' colpite dalla calamita' naturale da un ulteriore peso, senza che cio' trovi fondamento in alcuna ragione  costituzionalmente  apprezzabile, ed in particolare in una manifestazione di capacita' contributiva, ed anzi a fronte  di  una  diminuzione,  estremamente  probabile,  della capacita' contributiva di molti  dei  soggetti  facenti  parte  delle collettivita' in questione, proprio a causa delle  calamita'  che  li hanno colpiti;

        b)  in  secondo  luogo,  a  causa  della  incoerenza  che  le disposizioni impugnate determinano  nella  legislazione  vigente;  il comma 5-ter del medesimo art. 5 della legge n. 225 del 1992, infatti, si fa carico delle particolari situazioni di difficolta'  in  cui  si possono trovare  le  collettivita'  colpite  dalle  calamita'  e,  in considerazione  di  cio',  prevede   che   «in   relazione   ad   una dichiarazione dello stato di emergenza,  i  soggetti  interessati  da eventi eccezionali e imprevedibili che subiscono danni  riconducibili all'evento, compresi quelli relativi alle abitazioni e agli  immobili sedi di attivita' produttive, possono fruire della sospensione o  del differimento, per un periodo fino a sei mesi,  dei  termini  per  gli adempimenti e i versamenti dei tributi e dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione  obbligatoria  contro gli infortuni e le malattie professionali». A fronte di questa  norma di agevolazione fiscale per i soggetti colpiti,  i  successivi  commi 5-quater  e  5-quinquies,  primo  periodo,  pongono  a  carico  delle collettivita' colpite il peso  economico  degli  interventi  volti  a fronteggiare l'emergenza. Non  vi  e'  chi  non  veda  la  intrinseca contraddittorieta' di queste previsioni normative.

    8.2.2. - Le disposizioni impugnate, sempre in connessione con  la violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost.,  contrastano  altresi' con l'art. 2 Cost. ed il principio di solidarieta' in  esso  sancito.

Come e' noto, infatti, in base a tale disposizione costituzionale «la Repubblica (..) richiede l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di solidarieta'  politica,  economica  e  sociale».   Tale   dovere   di solidarieta' - che proprio l'art. 119, quinto comma,  Cost.  richiama espressamente  tra  le  finalita'  cui  dovrebbero  indirizzarsi   le «risorse aggiuntive» e gli «interventi speciali» posti a carico dello Stato - trova applicazione  anche  tra  le  comunita'  stanziate  sui diversi territori regionali. Come hanno  evidenziato  gli  interventi occorsi in sede di dibattito parlamentare sopra riportati, l'art.  5, commi 5-quater e  5-quinquies,  primo  periodo,  viola  tale  dovere, facendo venir meno - proprio nel momento di massimo  bisogno  di  una collettivita' regionale, dovuto a eventi straordinari e quasi  sempre imprevedibili - il sostegno delle altre collettivita'.

    9. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione dell'art. 119, primo comma, Cost. e,  in  particolare, del principio di autonomia di entrata e di spesa della Regione.

    9.1. - L'art. 119 Cost. risulta  violato  anche  per  un  diverso profilo. Tale disposizione costituzionale - in particolare, al  primo comma - stabilisce che la Regione goda di autonomia di entrata  e  di spesa. Tale autonomia e' evidentemente vulnerata e compressa in  modo grave dalle disposizioni che si contestano in questa sede.

    9.2. -  L'autonomia  finanziaria  regionale,  innanzi  tutto,  e' vulnerata dalla circostanza secondo  la  quale  la  Regione  si  vede imporre, mediante una legge dello Stato, l'obbligo  di  finanziare  a carico del proprio  bilancio  funzioni  esercitate  da  quest'ultimo.

L'autodeterminazione circa l'utilizzazione delle proprie risorse e la connessa   responsabilita'   -   sia   generalmente   politica,   che specificamente fiscale - nei confronti del corpo elettorale regionale vengono evidentemente messe in crisi da tale previsione.

    9.3.  -  La  violazione  dell'autonomia   finanziaria   regionale garantita dal primo comma dell'art. 119 Cost. e'  apprezzabile  anche da un altro punto di vista.

    I commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5  della legge n. 225 del 1992, infatti, nel prevedere che qualora il bilancio regionale non risulti capiente  per  la  copertura  delle  spese,  il Presidente della Regione  debba  esercitare  la  potesta'  tributaria riconosciuta  alla  Regione  dalla  legislazione  nazionale  vigente, deliberando aumenti - nella misura massima consentita da quest'ultima - dei tributi, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di  aliquote attribuite alla Regione, nonche' deliberando - all'occorrenza – anche un  ulteriore  aumento  dell'imposta  regionale  sulla  benzina   per autotrazione fino ad un massimo di 5 cent. per litro, determinano  un vincolo  particolarmente  stringente  all'esercizio  della   potesta' tributaria della Regione, azzerando i margini di scelta  relativi  ad una propria e responsabile "politica di imposizione fiscale". In  tal modo viene dunque fortemente compressa l'autonomia di  entrata  della Regione. A sostegno del presente motivo  di  censura,  inoltre,  puo' essere sottolineato quanto segue.

    La Regione Abruzzo non ignora che le  Regioni,  ove  proprio  non intendano aumentare le entrate tributarie gravanti sulle  popolazioni residenti  sul  territorio  regionale,  possono   "liberarsi"   dalla necessita' di procedere in  tal  senso  mediante  una  variazione  di bilancio, ad  esempio  disponendo  la  riduzione  di  spese  in  esso previste.   Tale   rilievo,   tuttavia,    evidenzia    ulteriormente l'incostituzionalita' delle  disposizioni  impugnate,  poiche'  rende evidente  che  l'unico  modo  che  la  Regione  ha  per  evitare   la compressione  della  propria  autonomia  di  entrata,  e'  quello  di accettare una corrispondente compressione della propria autonomia  di spesa, ossia di deliberare una variazione di bilancio che  elimini  o riduca spese  gia'  precedentemente  stabilite  nell'esercizio  della propria autonomia.

    La  lesione  delle  prerogative  costituzionali  della   Regione, peraltro, risulta ancor piu' evidente ove si consideri, sulla  scorta delle indicazioni provenienti dalla sent. n. 320 del 2004  di  questa Corte, che «in numerose materie di competenza regionale le  politiche pubbliche  consistono  appunto  nella  determinazione  di   incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalita'  per  la  loro  erogazione»  (par.  7  del  Considerato  in diritto). Tale rilievo rende del tutto evidente che la costrizione  - per  il  tramite  della   "minaccia"   costituita   dalla   possibile compressione della autonomia di entrata - a ridurre le  politiche  di

spesa di una Regione  comporta  la  incisione  del  "cuore  pulsante" dell'autonomia di quest'ultima in parecchi degli ambiti materiali che il Titolo V della Parte seconda della Costituzione  attribuisce  alla competenza della medesima.

    9.4.  -  Tali  ultime  considerazioni,  inoltre,  consentono   di apprezzare un ulteriore punto di vista dal  quale  risultano  violati tanto il principio di autonomia finanziaria delle Regioni, quanto  il principio di corrispondenza tra entrate ordinarie di queste ultime  e le funzioni dalle medesime esercitate. In  base  alla  giurisprudenza costituzionale, infatti, le risorse di cui ai commi secondo  e  terzo dell'art. 119 Cost. «consentono - vale a  dire  devono  consentire  - agli enti di 'finanziare integralmente  le  funzioni  pubbliche  loro attribuite" (quarto comma), salva la possibilita'  per  lo  Stato  di destinare risorse aggiuntive ed  effettuare  interventi  speciali  in favore  di  determinati  Comuni,  Province,  Citta'  metropolitane  e Regioni, per gli scopi di sviluppo  e  di  garanzia  enunciati  dalla stessa norma o "per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio" delle funzioni degli enti autonomi (quinto comma)» (sent. n.  37  del 2004, par. 5 del Considerato in diritto; analogamente la sent. n. 370 del 2003, par. 7 del Considerato in diritto).  Ora,  nell'ipotesi  in cui la Regione voglia evitare la compressione della propria autonomia di entrata e, dunque, non intenda  aumentare  le  entrate  tributarie

indicate dal comma 5-quater dell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, si trova  a  dover  ridurre  lo  stanziamento  di  bilancio  volto  a finanziare  proprie   funzioni   amministrative,   potendo   giungere addirittura a dover contemplare la possibilita' di azzerare il  primo ed eliminare le seconde. Con il risultato - evidentemente  gravissimo per l'autonomia regionale - di veder vulnerato proprio quel principio di corrispondenza, il quale richiede che  le  risorse  ordinariamente afferenti al bilancio regionale siano  sufficienti  a  finanziare  le funzioni regionali.

    La conseguenza e' di palmare evidenza:  le  disposizioni  oggetto del  presente  giudizio  mettono  "nell'angolo"  la  Regione.   Essa, infatti, si trova costretta o  ad  accettare  la  compressione  della propria  autonomia  di  entrata  (ed  in  particolare  della  propria autonomia  impositiva),  ovvero  ad  accettare  la   violazione   del principio di corrispondenza  sancito  dall'art.  119,  quarto  comma, Cost., con  il  risultato  di  dover  necessariamente  rinunziare  ad esercitare alcune delle proprie  funzioni  istituite  e/o  finanziate nell'ambito dell'esercizio della propria autonomia.

    E' evidente che - anche in questo caso - determinante al fine del prodursi della violazione qui denunciata e' la circostanza secondo la quale le risorse reperite a carico del bilancio della Regione  o  del sistema tributario regionale ai sensi dell'art.  5,  comma  5-quater, della legge n. 225 del 1992 sono volte a finanziare funzioni (e, piu' in generale, politiche) svolte da altri enti,  in  particolare  dallo Stato. Se, infatti, le funzioni volte a  fronteggiare  gli  stati  di emergenza di cui all'art. 2, comma 1, lett. c), della  legge  n.  225 del 1992 fossero  affidate  alla  competenza  delle  Regioni,  queste ultime certo si vedrebbero gravare di una  notevole  responsabilita', in vista della quale dovrebbero comunque essere dotate delle  risorse necessarie in base ai commi secondo, terzo  e  quarto  dell'art.  119 Cost.,  ma  senza  dubbio   le   disposizioni   qui   impugnate   non determinerebbero la violazione del principio  di  corrispondenza  tra funzioni e risorse, ne' dell'autonomia finanziaria regionale.

    9.5. - Infine, in relazione al presente  motivo  di  ricorso,  si deve osservare quanto segue.

    La Regione Abruzzo non ignora che  la  giurisprudenza  di  questa Corte  concernente  il  sistema  disegnato  dall'art.  119  Cost.  ha affermato che quest'ultimo non e' in grado di dispiegare pienamente i propri effetti sino al momento in cui non sara'  pienamente  operante la legge statale espressamente prevista per  il  coordinamento  della finanza pubblica e del sistema tributario. In questa sede,  e'  pero' necessario evidenziare che la medesima giurisprudenza ha chiarito che cio' non comporta la conseguenza secondo la quale, anche prima  della sua attuazione legislativa, l'art. 119 Cost.  non  sia  in  grado  di imporre alcuni precetti direttamente operanti. Tra questi - oltre  al "principio di corrispondenza", sul quale ci  si  e'  gia'  ampiamente soffermati -  e'  stato  individuato  anche  quello  consistente  nel «divieto  imposto  di  procedere  in  senso  inverso  a  quanto  oggi prescritto dall'art. 119 della Costituzione, e  cosi'  di  sopprimere semplicemente,  senza  sostituirli,  gli  spazi  di  autonomia   gia' riconosciuti dalle leggi statali in vigore, alle Regioni e agli  enti locali,  o  di  procedere  a  configurare  un   sistema   finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119»  (cosi' la sent. n. 423 del 2004, par. 3.3 del Considerato  in  diritto,  che richiama le sentt. nn. 320, 241 e 37  del  2004).  E'  evidente  che, invece, tale "procedere in senso inverso" e'  precisamente  l'effetto delle disposizioni  impugnate:  esse  infatti  -  per   le   ragioni illustrate  -  sopprimono  spazi  di   autonomia   finanziaria   gia' riconosciuti  alle  Regioni  e  pongono  delle   norme   direttamente contrastanti con i principi desumibili dall'art. 119 Cost. 

    10. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per  violazione  dell'art.  119  Cost.,  sotto   il   profilo   della imposizione di vincoli di  destinazione  a  risparmi  di  spesa  e  a entrate regionali.

    10.1. - Oltre al "principio di corrispondenza", e al precetto del "divieto  di  procedere  in   senso   inverso",   la   giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che dall'art. 119 Cost. debba ricavarsi un altro  principio,   direttamente   e   immediatamente   operante,   e particolarmente rilevante in questa sede. Si tratta  del  divieto  di istituire  fondi  vincolati  nella  destinazione,   con   particolare riguardo alle materie affidate alla competenza legislativa  residuale regionale o concorrente di Stato e Regioni (tra le molte,  si  vedano le sentt. nn. 370 del 2003, 320 del 2004, 137 e 201 del 2007).

    A tutta evidenza, il caso di specie non e'  certo  quello  di  un fondo, previsto nel bilancio statale, che sia finalizzato  ad  essere trasferito alle Regioni con vincolo di destinazione. Con  altrettanta evidenza,  tuttavia,  il  principio  del  divieto  dei   vincoli   di destinazione  desumibile  dall'art.  119  Cost.  si  configura   come principio  generale  concernente  tutte  le  risorse  garantite  alle autonomie  territoriali  dai  commi  secondo  e  terzo  della   norma costituzionale citata. In dottrina e' stato affermato,  al  riguardo, che «non puo' essere messo in  dubbio»  che  l'autonomia  finanziaria

degli enti territoriali «comprenda la possibilita'  di  stabilire  la tipologia e  l'entita'  delle  spese  proprie  di  tali  enti».  Piu' specificamente, si e' evidenziato che il divieto di imprimere vincoli di destinazione al fondo  perequativo  di  cui  all'art.  119,  terzo comma, Cost., produce, in generale, «un effetto  di  tipo  proibitivo nei confronti della normazione primaria e secondaria  che  stabilisca vincoli specifici di destinazione» (G. Fransoni,  G.  Della  Cananea, Art.  119,  in  R.  Bifulco,  A.  Celotto,  M.   Olivetti   (a   cura di),Commentario alla Costituzione, III, Utet giuridica-Wolter  Kluwer Italia Giuridica, Milano, 2006, pagg. 2368 e 2373).

    Tale principio generale e' senz'altro applicabile  anche  a  casi come quello che viene sottoposto al giudizio di  questa  Corte  nella sede odierna.

    E' indubbio, infatti, che  le  norme  qui  censurate  pongono  un vincolo di destinazione.  Tale  vincolo  grava,  alternativamente,  o sulle  somme   derivanti   dall'aumento   del   prelievo   tributario eventualmente stabilito dal Presidente  della  Regione  ai  sensi  di questa disposizione, o sulle somme derivanti dai  risparmi  di  spesa che la Regione deliberi  mediante  una  variazione  di  bilancio  per evitare  di  dover  ricorrere  ai  suddetti  aumenti  tributari.   E' altrettanto indubbio, peraltro,  che  il  divieto  di  vincoli  nella destinazione che grava sui trasferimenti di origine statale non  puo' che  valere,  a  maggior   ragione,   in   relazione   alle   risorse autonomamente  reperite  dalla  Regione  (come  lo  sono  sia  quelle derivanti  dall'incremento  del  prelievo   tributario   che   quelle conseguenti a risparmi di spesa). In relazione a casi similari,  fino ad oggi, la  giurisprudenza  costituzionale  non  ha  avuto  modo  di soffermarsi, forse perche' mai la legislazione statale si era,  prima d'ora,  spinta  cosi'  in  la'  nella   compressione   dell'autonomia finanziaria regionale: e' infatti molto piu' grave  per  quest'ultima un vincolo di destinazione imposto su risorse autonomamente  reperite che il medesimo vincolo gravante su risorse trasferite  dallo  Stato.

Per questa ragione, non vi e' chi  non  veda  che  le  norme  statali impugnate  violano  palesemente  il  principio  costituzionale  della autonomia finanziaria, con particolare riguardo al divieto di imporre vincoli nella destinazione delle risorse.

    11. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, nella parte in cui ha introdotto i commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art.  119,  secondo comma, Cost., in relazione alla  competenza  legislativa  concorrente nella materia "coordinamento della finanza  pubblica  e  del  sistema tributario".

    11.1. - I commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo,  dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 violano anche l'art. 117, terzo  comma, e 119, secondo comma, Cost., in quanto si pongono in contrasto con il riparto  di  competenze  legislative  concernente  la   materia   del "coordinamento della  finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario" stabilito dalle norme costituzionali citate, cosi'  come  ricostruito dalla giurisprudenza costituzionale.

    Al riguardo, e' possibile evidenziare quanto segue.

    Che la disciplina oggetto di censura debba essere ricondotta alla materia del "coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema tributario"  non  e'  ragionevolmente  discutibile.   Le   norme   in questione, infatti, dettano una disciplina  appositamente  rivolta  a coordinare la "ripartizione" degli oneri finanziari connessi  con  la gestione degli stati di emergenza derivanti da calamita'  naturali  o eventi catastrofici, attribuendone il  peso  interamente  ai  bilanci delle Regioni,  ponendo  limiti  alla  loro  potesta'  di  spesa  (in relazione  a  somme  ottenute  mediante  l'esercizio  della  potesta' tributaria regionale ovvero mediante risparmi di  spesa)  e,  infine, prevedendo la mera "evenutalita'" del ricorso alle risorse del  Fondo nazionale di protezione civile.

    La  materia  de  qua  e'  affidata,  dalla   Costituzione,   alla competenza legislativa concorrente di Stato e' Regioni. E' noto  che, secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  non   e'   possibile stabilire, in generale e a valere per tutte  le  materie  di  cui  al terzo comma dell'art. 117 Cost., cosa sia  principio  fondamentale  e cosa  non  lo  sia.  E'  viceversa  necessario  che  i  criteri   per discriminare le norme di principio da  quelle  di  dettaglio  tengano conto delle peculiarita' delle singole materie. E'  per  questo  che, nel  caso  di  specie,  e'  necessario  (ancor  piu'  che  in   altre situazioni) fare riferimento  alle  pronunce  di  questa  Corte.  Sul punto, rilevano tutte le decisioni  che  hanno  evidenziato  come  le norme  statali  che  impongono  vincoli  alle  spese  possano  essere ritenute espressive di principi fondamentali soltanto (per  quel  che qui specificamente interessa) se tali vincoli sono volti a perseguire l'obiettivo  del  riequilibrio  della  finanza  pubblica.   Si   puo' richiamare, solo per citare un esempio tra le pronunce piu'  recenti, la cent. n. 326 del 2010: «Nella giurisprudenza di  questa  Corte  e' ormai  consolidato  l'orientamento  secondo  cui  norme  statali  che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti  locali  possono qualificarsi principi fondamentali  di  coordinamento  della  finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in  primo  luogo,  che  si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di  un  transitorio  contenimento  complessivo,  anche  se  non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che  non  prevedano in modo esaustivo strumenti o  modalita'  per  il  perseguimento  dei suddetti obiettivi» (par.  8.5  del  Considerato  in  diritto;  nello stesso senso questa Corte si e' espressa, inoltre, nella sent. n.  52 del 2010, al par. 12.3 del Considerato in diritto). 

    Ora, e' noto che, nella maggior parte dei casi,  affermazioni  di tale tenore hanno avuto ad oggetto norme statali che ponevano divieti di spesa, mentre in questo caso le norme impugnate pongono un  limite differente, consistente - come gia' messo in evidenza - in un vincolo nella  destinazione  di  risorse   indiscutibilmente   di   spettanza regionale in quanto riconducibili alle fonti di  entrata  di  cui  ai commi secondo  e  terzo  dell'art.  119  Cost.  La  Regione  Abruzzo, tuttavia,  ritiene  che   l'orientamento   giurisprudenziale   appena richiamato non possa non valere anche per questo diverso  limite,  il quale, come si e' mostrato piu' sopra, e' particolarmente  grave  per l'autonomia regionale proprio perche' destinato ad investire  risorse non trasferite dallo Stato ma autonomamente reperite  dalla  Regione.

Cio',  nel  caso  di  specie,  conduce  senz'altro  ad  escludere  la  qualifica di "principio fondamentale" ai precetti di cui all'art.  5, commi  5-quater  e  5-quinquies,   primo   periodo,   in   quanto   - evidentemente - i limiti che essi impongono non sono  in  alcun  modo finalizzati al perseguimento dell'obiettivo  del  riequilibrio  della finanza pubblica, ne' un simile obiettivo e' in alcun modo desumibile dal tenore testuale delle disposizioni in questione.

    Per questi motivi, si deve ritenere che le norme impugnate, nella parte in cui impongono limiti  e  vincoli  puntuali  all'utilizzo  di risorse finanziarie regionali,  siano  contrastanti  con  il  riparto delle competenze  legislative  in  materia  di  "coordinamento  della finanza pubblica e del sistema tributario", non essendo in alcun modo qualificabili come principi fondamentali di tale materia.

    12. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n.  10  del  2011,  limitatamente   alla   introduzione   del   comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione dell'art. 119, quinto comma, Cost., anche in relazione ai principi di eguaglianza e di  ragionevolezza  di  cui  all'art.  3 Cost., nonche' al principio di  solidarieta'  politica,  economica  e sociale di cui all'art. 2 Cost.,  nella  parte  in  cui  prevede  che l'accesso al Fondo nazionale di protezione  civile  e'  semplicemente "possibile" e  subordinato  a  valutazioni  "politiche"  del  Governo anziche' essere obbligatorio e automatico.

    12.1. - La  presente  censura  e'  proposta  in  via  subordinata rispetto a tutte quelle fin  qui  prospettate.  La  Regione  Abruzzo, infatti, sostiene che - anche nella denegata ipotesi  in  cui  questa Corte ritenesse di respingere  tutte  le  questioni  di  legittimita' costituzionale  concernenti  il  comma   5-quater,   considerato   in combinato  disposto  con  il  comma  5-  quinquies,  primo   periodo, dell'art. 5 della legge n. 225  del  1992  -  esisterebbero  comunque buone ragioni per ritenere  costituzionalmente  illegittima,  in  via

autonoma, quest'ultima disposizione.

    Essa -  lo  si  ricorda  -  prevede  quanto  segue:  «Qualora  le misure adottate ai sensi del comma 5-quater  non  siano  sufficienti, ovvero in tutti gli altri casi di eventi di cui al comma 5-quater  di rilevanza  nazionale, puo' essere disposto l'utilizzo  delle  risorse del Fondo nazionale di protezione civile». In base  a  questa  norma, dunque, l'accesso al Fondo nazionale di protezione civile, anche  nel caso in cui ricorrano gli eventi  straordinari  di  cui  all'art.  2, comma 1, lett. c), e 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, non  e' "obbligatorio" e "automatico". Viceversa,  tale  accesso  e'  innanzi

tutto subordinato, alternativamente, al ricorrere di due  condizioni:

a) che siano state percorse le strade indicate dal comma 5-quater  (o che non possano essere  percorse,  come  correttamente  evidenzia  la direttiva del Presidente del Consiglio piu' sopra citata); b) che sia stata data la qualificazione degli  eventi  calamitosi  in  questione come di "rilevanza nazionale".

    In presenza di queste condizioni, l'accesso al Fondo nazionale e' consentito soltanto  a  seguito  di  una  valutazione  "unilaterale", "politica" ed "insindacabile" dello Stato.

    E' dunque possibile, ad esempio, che  la  Regione  colpita  dalla calamita' o evento straordinario deliberi gli  aumenti  tributari  ai sensi dell'art. 5, comma 5-quater, della legge n.  225  del  1992,  e tuttavia  cio'  non  sia  sufficiente  per  coprire  le  spese  degli interventi necessari a fronteggiare l'emergenza. Cio' nonostante,  lo Stato puo' negare - al fine di coprire queste spese  -  l'accesso  al Fondo  nazionale  di  protezione  civile,  in  base  ad  una  propria unilaterale valutazione.

    12.2. - Nel precedente motivo di censura , di cui al par.  8,  si e' messo in luce come il combinato  disposto  dei  commi  5-quater  e 5-quinquies, primo periodo, dell'art. 5 della legge n. 225  del  1992 abbia come effetto quello di vulnerare gravemente l'art. 119,  quinto comma, Cost., in connessione con il principio  solidaristico  di  cui all'art. 2 Cost. e con i principi di eguaglianza e di  ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.

    In base a quanto prevede la prima di tali disposizioni,  infatti, la Costituzione affida allo Stato il compito di "destinare"  «risorse aggiuntive» rispetto a quelle di cui ai commi  secondo  e  terzo  del medesimo art. 119 e di "effettuare" «interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Citta'  metropolitane  e  Regioni».  La norma costituzionale stabilisce,  altresi',  le  finalita'  cui  tali "risorse aggiuntive"  e  tali  "interventi  speciali"  di  competenza statale  debbono  essere  rivolti:  la  promozione   dello   sviluppo economico, della coesione e della solidarieta' sociale; la  rimozione degli  squilibri  economici   e   sociali;   la   migliore   garanzia

dell'effettivo esercizio dei diritti della persona; la necessita'  di provvedere a scopi  diversi  dal  normale  esercizio  delle  funzioni affidate  alla  competenza  degli  enti  autonomi  territoriali.   In sintesi, come si e' gia' argomentato, e'  evidente  che  l'art.  119, quinto  comma,  Cost.  attribuisce  specificamente  allo  Stato   una peculiare funzione "sussidiaria" a garanzia ultima di  alcuni  valori imprescindibili   dell'ordinamento,   intestando   proprio   all'ente esponenziale  dell'unita'  e  indivisibilita'  della  Repubblica   il compito  di  assicurare  la  disponibilita'  delle  risorse   e   gli interventi necessari allorquando i suddetti valori non possano essere adeguatamente  garantiti  dal  normale   esercizio   delle   funzioni spettanti alle  autonomie  territoriali.  Si  tratta,  dunque,  della specifica declinazione che assumono, in relazione al rapporto  tra  i diversi enti che compongono la Repubblica, il principio solidaristico di cui all'art. 2  Cost.  ed  il  principio  di  eguaglianza  di  cui all'art. 3 Cost.

    Nel precedente par. 8 si  e'  evidenziato,  altresi',  come  tali principi costituzionali siano violati da un sistema che  affidi  alle Regioni il compito di finanziare, eventualmente innalzando la propria pressione  tributaria,  gli  interventi  volti  a   fronteggiare   le emergenze. Qui deve invece essere messo in luce che - anche ove fosse ritenuto conforme a Costituzione il comma 5-quater dell'art. 5  della legge n. 225 del  1992  -  analoghe  ragioni  di  incostituzionalita' permarrebbero  in  relazione  allo  specifico  disposto   del   comma 5-quinquies, primo periodo, del citato art. 5.

    I principi di solidarieta' ed eguaglianza di cui agli arti. 2 e 3 della Costituzione, che la medesima  affida  alla  garanzia  "ultima" dello Stato e  che,  sotto  tale  profilo,  trovano  concretizzazione soprattutto nell'art. 119, quinto comma, Cost.,  infatti,  verrebbero senza dubbio compromessi ove - pur avendo la Regione  colpita  da  un evento straordinario rientrante tra quelli disciplinati dall'art.  2, comma 1, lett. c), e 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992 adottato tutte le misure previste dal comma 5-quater  del  medesimo  articolo, senza  pero'  giungere  a  coprire  integralmente  le   spese   degli interventi  necessari  -lo  Stato,  in  base  al  primo  periodo  del successivo comma 5-quinquies, si determinasse a negare  l'accesso  al Fondo nazionale di protezione civile per gli importi  che  residuano.

Anche  in  questo  caso,  infatti,  risulterebbe  compromessa  quella funzione "solidaristica" e "sussidiaria", a  tutela  di  alcuni  beni giuridici fondamentali, che l'art. 119, quinto comma,  Cost.,  affida allo Stato.

    Tale  incostituzionalita',   invece,   non   sussisterebbe,   ove l'accesso al  Fondo  suddetto  -  una  volta  che  la  Regione  abbia dimostrato l'avvenuta adozione delle misure di cui al comma  5-quater o l'impossibilita' di adottarle e,  comunque,  l'insufficienza  delle risorse reperite - fosse "obbligatorio" ed  "automatico",  ossia  non subordinato a valutazioni discrezionali  da  parte  del  Governo.  Il comma 5-quinquies dell'art. 5 della legge n. 225 del 1992 deve dunque essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in  cui, pure in presenza delle due condizioni sopra accennate (impossibilita' di coprire il fabbisogno finanziario con le misure di  cui  al  comma 5-quater;  qualificazione  delle  emergenze   come   aventi   rilievo nazionale) subordina  l'accesso  al  Fondo  nazionale  di  protezione civile ad  una  valutazione  "politica"  dello  Stato  che  lo  rende meramente possibile anziche' obbligatorio ed automatico.

    13. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n.  10  del  2011,  limitatamente   alla   introduzione   del   comma 5-quinquies, primo periodo, nell'art. 5 della legge n. 225 del  1992, per violazione degli artt. 117, terzo  comma,  e  118,  primo  comma, Cost.  (in  relazione  alla  materia  "coordinamento  della   finanza pubblica  e  del  sistema   tributario"),   nonche'   del   principio costituzionale di leale collaborazione, nella parte in cui  la  norma censurata  rende  "possibile"  il  ricorso  al  Fondo  nazionale   di protezione civile solo a seguito di decisioni unilaterali affidate al libero  apprezzamento  politico  del  Governo   nazionale,   anziche' prevedere  che  tali  decisioni  siano  adottate  a  seguito  di   un procedimento concertato al quale prendano  parte  pariteticamente  lo Stato e la Regione interessata.

    13.1.  -  In  subordine  rispetto  alle  censure  illustrate   ai precedenti parr. 7-11, nonche' in ulteriore subordine  rispetto  alla censura illustrata al  precedente  par.  12,  la  Regione  ricorrente ritiene che l'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo,  della  legge n. 225 del 1992, sia costituzionalmente  illegittimo  per  violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonche'  del principio di leale collaborazione tra gli enti che  costituiscono  la Repubblica.

    Quanto esposto  nei  paragrafi  precedenti  dovrebbe  condurre  a ritenere la normativa impugnata  costituzionalmente  illegittima  nel suo complesso, dal momento che pone interamente a carico del bilancio regionale le spese volte a sostenere gli  interventi  realizzati  per fronteggiare le situazioni di emergenza derivanti dagli eventi di cui all'art. 2, comma 1, lett. c),  della  legge  n.  225  del  1992.  Le argomentazioni gia' spese, inoltre, dovrebbero (in  via  subordinata) condurre  a  ritenere  incostituzionale,  comunque,   il   meccanismo previsto dall'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, che non rende

"automatica"  la  possibilita'  di  fruire  del  Fondo  nazionale  di protezione civile ove le risorse di cui al precedente comma  5-quater siano state reperite e non  siano  sufficienti,  ovvero  non  possano essere reperite.  Tuttavia,  nella  denegata  ipotesi  in  cui  anche quest'ultimo profilo di censura non fosse ritenuto fondato, il  primo periodo del citato comma 5-quinqiues deve  comunque  essere  ritenuto costituzionalmente illegittimo perche' subordina la  decisione  circa l'utilizzo del Fondo nazionale di protezione civile ad una  decisione unilaterale dello Stato, senza alcun coinvolgimento della Regione.

    Tale  disciplina  viola  evidentemente  il  principio  di   leale collaborazione  e  lo  statuto  costituzionale  della  "chiamata   in sussidiarieta'" nelle materie di  potesta'  legislativa  concorrente, cosi' come ricostruito dalla giurisprudenza di questa Corte.

    Come gia' illustrato al paragrafo precedente, l'utilizzazione del Fondo  nazionale  di  protezione  civile,  infatti,  e'  subordinata, innanzi tutto, disgiuntivamente  alle  seguenti  condizioni:  a)  che siano state percorse le strade indicate dal  comma  5-quater  (o  che esse non possano essere percorse,  come  correttamente  evidenzia  la direttiva del Presidente del Consiglio piu' sopra citata); b) che sia intervenuta la qualificazione, da parte  del  Governo,  degli  eventi calamitosi in questione come di "rilevanza nazionale". In presenza di queste  condizioni,  l'accesso  al  Fondo  nazionale  e'   consentito soltanto a seguito di una valutazione  "unilaterale",  "politica"  ed "insindacabile" dello Stato.

    13.2. -  Per  apprezzare  l'illegittimita'  costituzionale  della normativa in esame da questo specifico punto di vista  e'  necessario procedere, innanzi  tutto,  alla  sua  collocazione  nell'ambito  del riparto di competenze di cui all'art. 117,  commi  secondo,  terzo  e quarto, Cost. In base a quanto si e' gia' sostenuto al par. 11.1,  la materia interessata dalla specifica disposizione di cui  all'art.  5, comma 5-quinquies, primo periodo  -  trattandosi  di  disciplina  che coordina la ripartizione degli oneri finanziari derivanti  da  eventi catastrofici e regola le modalita' di accesso alle risorse del  Fondo nazionale  di  protezione  civile  -  e'  evidentemente  quella   del

"coordinamento della finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario", affidata,  ai  sensi  del  terzo  comma  dell'art.  117  Cost.,  alla competenza  concorrente  di  Stato  e  Regioni.   L'art.   5,   comma 5-quinquies, primo periodo, istituisce - come piu' sopra  evidenziato - una funzione amministrativa nella quale ha modo  di  esplicarsi  la discrezionalita' delle scelte statali.  Si  tratta  della  decisione, concernente la concessione o meno dell'accesso al Fondo nazionale  di protezione civile, ove sussistano le condizioni indicate sub a) e b).

    Come e' noto, a partire dalle senti. nn. 303 del  2003  e  6  del 2004,   la   giurisprudenza   di    questa    Corte    ha    ritenuto costituzionalmente legittimo che la legge statale avochi  al  livello centrale funzioni amministrative in materie differenti da  quelle  di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., soltanto ove venga rispettato uno  specifico  "statuto"  costituzionale,  caratterizzato   sia   da presupposti sostanziali (la sussistenza di esigenze unitarie) che  da obblighi procedurali (la necessita' di prevedere forme  di  esercizio della  funzione  che  contemplino  una  "intesa"   con   la   Regione interessata).

    La Regione Abruzzo ritiene che l'art. 5, comma 5-quinquies, primo periodo, della legge n. 225 del 1992 sia incostituzionale, in  quanto individua  una  funzione  amministrativa  discrezionale  ove   invece avrebbe dovuto configurare un  automatismo:  questo  punto  e'  stato illustrato  nel  precedente  par.  12.  Ove  pero'  si   considerasse costituzionalmente legittima la  configurazione  di  questa  funzione amministrativa discrezionale, la ricorrente non nega  la  sussistenza delle esigenze unitarie in  grado  di  legittimare  l'allocazione  al livello statale della funzione. Ritiene, pero', che il  modo  in  cui l'esercizio della medesima sia stato disciplinato dalla legge statale non rispetti lo "statuto" elaborato al riguardo dalla  giurisprudenza costituzionale.

    Tra le altre, infatti, la sent. n. 6 del 2004 e la sent.  n.  383 del 2005 hanno evidenziato, al di la' di ogni possibile dubbio,  come le funzioni amministrative  avocate  dallo  Stato  in  sussidiarieta' nelle materie di competenza concorrente ovvero  residuale  regionale, devono essere esercitate mediante un procedimento che  contempli  una "intesa forte" con la singola Regione interessata. Il punto e'  stato efficacemente approfondito dalla recentissima sent. n. 33  del  2011, che offre elementi di  sicuro  rilievo  in  relazione  alla  presente questione di legittimita' costituzionale.

    In questa decisione,  infatti,  e'  stata  ribadita  l'esclusione della «legittimita' di una disciplina che ai fini del perfezionamento dell'intesa contenga la "drastica previsione" della decisivita' della volonta' di una sola parte, affermandosi,  viceversa,  la  necessita' che il contenuto dell'atto sia frutto di una codecisione paritaria  e indicando, altresi', la necessita' di prevedere - in caso di dissenso -  idonee  procedure  per  consentire  lo  svolgimento  di  reiterate trattative volte a superare le divergenze (sentenze n. 121 del  2010, n. 24 del 2007, n. 383 e n. 339 del 2005)». Inoltre, alla stregua  di queste indicazioni, e' stata ritenuta  conforme  a  Costituzione  una disciplina  caratterizzata  da  «un  procedimento  che  si   articola dapprima,  attraverso  la  nomina  di  un  comitato  a   composizione paritaria il cui scopo e' appunto quello di addivenire all'accordo, e quindi, in caso di esito  negativo,  attraverso  l'emanazione  di  un decreto del Presidente della Repubblica adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri  cui  prende  parte  il  Presidente  della Regione interessata». Cio' in virtu' delle  seguenti  considerazioni:

i)  «in  mancanza  dell'accordo  regionale,  si  determina  non  gia' l'automatico trasferimento del potere decisorio in capo  allo  Stato, bensi'  l'attivazione  di  un  procedimento  volto  a  consentire  lo svolgimento di ulteriori trattative attraverso la costituzione di  un soggetto terzo nominato dalle parti in  modo  paritario»;  ii)  «solo laddove neppure in tale sede sia possibile addivenire  ad  un'intesa, allora la decisione viene rimessa al Governo con  il  coinvolgimento, peraltro,  anche  del  Presidente  della  Regione»;  iii)  su  questa decisione, che «assume la forma  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica si esercita, inoltre,  la  funzione  di  controllo  tipica dell'emanazione di tali atti, avverso i  quali  ben  potranno  essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali,  nonche'  eventualmente il  ricorso  avanti  a  questa  Corte  in  sede   di   conflitto   di attribuzione» (cfr. in  part.  il  par.  7.1.2.  del  Considerato  in diritto).

    Queste considerazioni sono estremamente pertinenti  in  relazione al caso di specie, perche' mostrano come le decisioni concernenti  le funzioni amministrative esercitate al livello statale  nelle  materie diverse da quelle di  competenza  esclusiva  di  quest'ultimo  devono essere adottate mediante un procedimento  concertato,  caratterizzato da una posizione paritaria di  Stato  e  Regione  interessata.  Nella vicenda che qui specificamente interessa cio' comporta che -  ove  la Regione  faccia  richiesta  di  utilizzare  il  Fondo  nazionale   di protezione civile per gli interventi realizzati o da  realizzare  nel proprio territorio in conseguenza di un evento straordinario ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c), e dell'art. 5, comma 1,  della  legge n. 225 del 1992, in presenza delle condizioni suddette,  e  lo  Stato invece intenda negare tale richiesta - la decisione finale  (negativa o positiva  che  sia)  non  possa  essere  presa  unilateralmente  da quest'ultimo. Viceversa, per il caso in cui le parti non  riescano  a trovare  un  accordo  al  riguardo,  la  legge   dovrebbe   prevedere «l'attivazione di un procedimento volto a consentire  lo  svolgimento di ulteriori trattative attraverso la  costituzione  di  un  soggetto terzo nominato dalle parti in  modo  paritario»,  nonche'  meccanismi decisori "finali" che conservino la  "equiordinazione"  delle  parti, similmente a quella disciplina  -  scrutinata  con  esito  favorevole dalla sent. n. 33 del 2011 - che prevede lo svolgersi della «funzione di controllo tipica dell'emanazione» degli atti del Presidente  della Repubblica, nei confronti dei quali, peraltro, «ben  potranno  essere esperiti gli ordinari rimedi giurisdizionali,  nonche'  eventualmente il  ricorso  avanti  a  questa  Corte  in  sede   di   conflitto   di attribuzione» (cfr. in  part.  il  par.  7.1.2.  del  Considerato  in diritto).

    Ora,  la  Regione  Abruzzo  non  intende  sostenere  che   quello accennato sia l'unico procedimento costituzionalmente  legittimo  per conseguire lo scopo di superare le  eventuali  situazioni  di  stallo derivanti dal mancato raggiungimento dell'intesa circa la concessione o meno  della  possibilita'  di  utilizzare  il  Fondo  nazionale  di protezione civile. Cio' che pero' si ricava in termini evidenti dalla decisione appena menzionata e' che il procedimento che il legislatore statale predisponga a questo  specifico  scopo  deve  necessariamente uniformarsi ai principi che caratterizzano la  disciplina  brevemente richiamata piu' sopra e che, come si e' visto, hanno consentito  alla

medesima di  passare  indenne  il  vaglio  di  costituzionalita'.  Il procedimento   in   questione,   dunque,    una    volta    acclarata l'impossibilita' di raggiungere l' intesa nel confronto  diretto  tra le parti interessate, deve individuare una ulteriore sede decisionale (ad esempio, un comitato  paritetico)  rispettando  il  principio  di parita' delle parti (statale e regionale) e, ove ritenga di  affidare ulteriormente ad una sola di esse (ossia al  Governo)  il  potere  di superare lo stallo eventualmente prodottosi  anche  in  questa  sede, deve predispone strumenti  di  controllo  della  correttezza  (e  del rispetto della leale collaborazione) della decisione finale  adottata che, ancora una volta, si caratterizzino per la loro terzieta'.

    Come e' agevole constatare, nulla di tutto cio' e' previsto dalla disciplina impugnata in questa sede, che si limita ad  attribuire  la decisione circa la  utilizzazione  del  Fondo  al  solo  Governo.  Si tratta, dunque, della "secca" devoluzione ad una  delle  parti  della decisione. Nulla di piu' lontano da quella garanzia di "paritarieta'" e  di  leale  collaborazione  (effettiva)   che   la   giurisprudenza costituzionale ha sempre tenuto  a  ribadire.  Da  cio'  l'  evidente incostituzionalita' della disciplina  in  questione  anche  sotto  il profilo appena considerato.

    14. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  2-quater, del d.l. n. 225 del 2010, cosi' come convertito in legge dalla  legge n. 10 del 2011, limitatamente all'introduzione del comma 5-quinquies, primo  periodo,  nell'art.  5  della  legge  n.  225  del  1992,  per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118,  primo  comma,  Cost. (in relazione alla materia "coordinamento della  finanza  pubblica  e del sistema tributario"), nonche'  del  principio  costituzionale  di leale collaborazione, nella parte in  cui  affida  la  qualificazione degli eventi calamitosi  come  di  "rilevanza  nazionale"  al  libero apprezzamento politico del Governo nazionale, anziche' prevedere  che tali decisioni siano adottate a seguito di un procedimento concertato al quale  prendano  parte  pariteticamente  lo  Stato  e  la  Regione interessata.

    14.1.  -  In  subordine  rispetto  alle  censure  illustrate   ai precedenti parr. 7-11, la Regione  ricorrente  ritiene,  infine,  che l'art. 5, comma 5- quinquies, primo periodo, della legge n.  225  del 1992, sia costituzionalmente illegittimo per violazione  degli  artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonche' del principio di leale collaborazione tra gli enti che  costituiscono  la  Repubblica, sotto un ulteriore profilo.

    La   disposizione   in   questione   istituisce   una    funzione amministrativa in una materia di competenza  concorrente.  Si  tratta della qualificazione degli eventi di cui all'art. 2, comma  1,  lett. c), e all'art. 5, comma 1, della legge  n.  225  del  1992,  come  di "rilevanza  nazionale":  qualificazione  dalla   quale   dipende   la possibilita' di accedere al Fondo  nazionale  di  protezione  civile.

Anche in questo caso la norma che affida al solo Stato lo svolgimento della funzione amministrativa in questione e'  incostituzionale,  per le  medesime  ragioni  illustrate  nel  par.  13.  La  giurisprudenza costituzionale ha infatti chiarito che, nelle materie  di  competenza concorrente la avocazione  da  parte  dello  Stato  di  una  funzione amministrativa puo' essere ritenuta costituzionalmente corretta  solo quando sussistano alcuni presupposti. Per quel che qui interessa,  lo svolgimento della funzione deve essere disciplinato in modo  tale  da affidare la decisione ad una "intesa" con la Regione interessata.

    Al riguardo - come gia' messo in luce nel paragrafo precedente  - rileva inoltre cio' che e' stato affermato  dalla  sent.  n.  33  del 2011, ossia che, quando vi sia dissenso tra le parti, il procedimento predisposto dalla legge in questione deve individuare  una  ulteriore sede decisionale (ad esempio, un comitato paritetico) rispettando  il principio di parita' delle parti (statale e regionale) e, ove ritenga di affidare ulteriormente ad una sola di esse (ossia al  Governo)  il potere di superare lo stallo eventualmente prodottosi anche in questa sede,  deve  predispone  strumenti  di  controllo  della  correttezza politica (e del rispetto della leale collaborazione) della  decisione finale adottata che, ancora una volta, si caratterizzino per la  loro terzieta'.

    Come e' agevole constatare, nulla di tutto cio' e' previsto dalla disciplina impugnata in questa sede, che si limita ad  attribuire  la decisione circa la qualificazione dell'evento straordinario da cui e' scaturita l'emergenza al  solo  Governo.  Si  tratta,  dunque,  della "secca" devoluzione ad una delle parti della decisione. Nulla di piu' lontano  da  quella   garanzia   di   "paritarieta'"   e   di   leale collaborazione (effettiva) che la  giurisprudenza  costituzionale  ha sempre tenuto a  ribadire.  Da  cio'  l'evidente  incostituzionalita' della  disciplina  in  questione  anche  sotto  il   profilo   appena considerato.

 

                               P. Q. M.

 

    Si chiede che questa Ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del  presente  ricorso,  dichiari   l'illegittimita'   costituzionale dell'art. 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre  2010,  n. 225 (Proroga di termini previsti da  disposizioni  legislative  e  di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), come convertito in legge,  con  modificazioni,  dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in  cui  ha  introdotto  i nuovi commi 5- quater  e  5-quinquies  nell'art.  5  della  legge  24 febbraio 1992, n. 225, nei termini sopra esposti.

    Con ossequio.

        Roma, addi' 22 aprile 2011

 

                             Avv. Grassi

 

 

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