Ricorso n. 42 del 9 marzo 2015 (Regione Veneto)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 9 marzo 2015 (della Regione Veneto).
(GU n. 17 del 2015-04-29)
Ricorso per la regione Veneto (C.F. … - P.IVA
…), in persona del Presidente della Giunta regionale dott.
Luca Zaia (C.F. …), autorizzato con delibera della
Giunta regionale n. 152 del 10 febbraio 2015, rappresentata e difesa,
come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv.ti
prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova (C.F. …),
Ezio Zanon coordinatore dell'Avvocatura regionale (C.F.
…) e Luigi Manzi del Foro di Roma (C.F.
…), presso quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via
Federico Confalonieri, n. 5 (fax …, posta elettronica
certificata …);
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n.
12;
Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 1,
commi 418, 419, 451 e commi da 421 a 428 della legge 23 dicembre
2014, n. 190, recante «Disposizioni per formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)»
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2014, n. 300, S.O.,
per violazione degli artt. 3, 35, 97, 114, 117, commi terzo e quarto,
118, 119 commi primo, secondo e quarto, 120 della Costituzione della
Repubblica italiana.
F a t t o
In data 29 dicembre 2014 e' stata pubblicata, nella Gazzetta
ufficiale n. 300, la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)».
La predetta legge contiene diverse disposizioni che influiscono
gravemente sul processo di riforma dell'ordinamento degli enti locali
tracciato dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 («Disposizioni sulle
citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di
comuni»), risolvendosi in molteplici e decisivi pregiudizi per le
attribuzioni costituzionali degli enti di area vasta veneti, oltre
che per l'autonomia amministrativa e legislativa della regione
Veneto.
Due sono, in particolare, i complessi normativi che meritano
censura in questa sede.
1. Il primo, costituito dai commi 418, 419 e 451 dell'art. 1
della legge n. 190/2014, incide in modo significativo sulle risorse
proprie di province e citta' metropolitane, minacciandone la
solvibilita' e l'effettiva possibilita' di continuare a svolgere le
funzioni amministrative di loro competenza.
L'art. 1, comma 418 stabilisce, in particolare, che «Le province
e le citta' metropolitane concorrono al contenimento della spesa
pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000
milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno
2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017». (...)
Ciascuna provincia e citta' metropolitana versa ad apposito capitolo
di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai
predetti risparmi di spesa. Vi si prevede, poi, che «l'ammontare
della riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire
e del corrispondente versamento» alle casse dello Stato debba essere
determinato «con decreto di natura non regolamentare del Ministero
dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle
finanze».
Il successivo comma 419 appresta un regime di recupero forzoso
del contributo obbligatorio di cui al precedente comma. «In caso di
mancato versamento del contributo di cui al comma 418, entro il 30
aprile di ciascun anno (...), l'Agenzia delle entrate (...) provvede
al recupero delle predette somme nei confronti delle province e delle
citta' metropolitane interessate, a valere sui versamenti
dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita' civile
derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i
ciclomotori (...). In caso di incapienza (...) il recupero e'
effettuato a valere sui versamenti dell'imposta provinciale di
trascrizione».
L'art. 1, comma 451 della legge n. 190/2014 aggrava ulteriormente
il regime di contribuzione forzosa delineato dai commi 418 e 419
prorogando anche per l'anno 2018 analogo contributo coattivo posto a
carico di province e citta' metropolitane dall'art. 47 del d.l. 24
aprile 2014, n. 66 (pari a «576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e
585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018»).
2. Il secondo complesso normativo e' rappresentato dai commi
421-428 della legge n. 190/2014, con cui il legislatore statale ha
ritenuto di disporre d'autorita' un vero e proprio taglio lineare del
personale in servizio presso citta' metropolitane e province, dagli
effetti immediati e prorompenti sotto il profilo organizzativo e
funzionale.
In base all'art. 1, comma 421 della legge n. 190/2014, «La
dotazione organica delle citta' metropolitane e delle province delle
regioni a statuto ordinario e' stabilita, a decorrere dalla data di
entrata in vigore della presente legge, in misura pari alla spesa del
personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7
aprile 2014, n. 56, ridotta rispettivamente, tenuto conto delle
funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge 7 aprile
2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento e in misura pari
al 30 per cento per le province, con territorio interamente montano e
confinanti con paesi stranieri». Salva restando, per gli enti di area
vasta, la possibilita' di deliberare una riduzione superiore.
I successivi commi da 422 a 428 dell'art. 1 della legge n.
190/2014, in attuazione del comma 421, contengono la disciplina
applicabile al ricollocamento del personale in soprannumero,
stabilendo nel dettaglio scansioni temporali e regole applicabili al
personale in mobilita'.
Il comma 422, in specie, stabilisce che il personale che rimane
assegnato agli enti di area vasta e quello da destinare alle
procedure di mobilita' deve essere individuato entro novanta giorni
dalla data di entrata in vigore della legge n. 190/2014.
Il comma 423 affida a societa' in house statali il compito di
collaborare alla predisposizione di «piani di riassetto
organizzativo, economico, finanziario e patrimoniale degli enti di
cui al comma 421».
In base al comma 424, regioni ed enti locali per gli anni 2015 e
2016 «destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato
(...) all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico
collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di
entrata in vigore della presente legge e alla ricollocazione nei
propri ruoli delle unita' soprannumerarie destinatarie dei processi
di mobilita'».
Il comma 425 disciplina la ricollocazione di parte del personale
in mobilita' «presso le amministrazioni dello Stato, anche ad
ordinamento autonomo, le agenzie, le universita' e gli enti pubblici
non economici», disponendo che tale ricollocazione deve avvenire
prioritariamente «presso gli uffici giudiziari».
Il comma 426 proroga al 31 dicembre 2018 la disciplina volta al
superamento del precariato di cui all'art. 4, commi 6, 8 e 9 del d.l.
31 agosto 2013, n. 101 (convertito in legge dalla legge 30 ottobre
2013, n. 125).
Il legislatore ha poi stabilito (comma 427) che «nelle more della
conclusione delle procedure di mobilita' di cui ai commi da 421 a
428, il relativo personale rimane in servizio presso le citta'
metropolitane e le province con possibilita' di avvalimento da parte
delle regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che
tengano conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico
dell'ente utilizzatore».
Infine (comma 428), qualora al 31 dicembre 2016 «il personale
interessato ai processi di mobilita' di cui ai commi da 421 a 425 non
sia completamente ricollocato», spetta agli enti di area vasta
«definire criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali a tempo
parziale del personale non dirigenziale con maggiore anzianita'
contributiva. (...) In caso di mancato completo assorbimento del
personale in soprannumero e a conclusione del processo di mobilita'
tra gli enti di cui ai commi da 421 a 425, si applicano le
disposizioni dell'articolo 33, commi 7 e 8, del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165».
Avverso le disposizioni della legge n. 190/2014 sin qui ricordate
la regione Veneto propone ricorso ai sensi dell'art. 127 Cost., a
tutela della sua autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria,
nonche' delle attribuzioni costituzionali degli enti di area vasta
veneti (come ammesso dalla giurisprudenza costituzionale consolidata;
in tal senso, ad esempio: Corte cost., 19 luglio 2013, n. 220, punto
5.1 del considerato in diritto; Corte cost., 20 dicembre 2012, n.
311, punto 3.2 del considerato in diritto; Corte cost., 20 novembre
2009, n. 298, punto 7.2 del considerato in diritto), chiedendone la
declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di
D i r i t t o
A. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 418, 419 e 451
dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
A.1. Violazione dell'art. 119 Cost., commi primo, secondo e quarto.
Cio' che l'art. 1, comma 418 della legge n. 190/2014 definisce
«riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno
2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di
euro a decorrere dall'anno 2017», che province e citta' metropolitane
hanno l'obbligo di conseguire, e' in realta', all'evidenza, un
contributo economico forzoso che gli enti di area vasta sono tenuti a
versare alle casse dello Stato. Del tutto analoghe sono le
caratteristiche (e la ratio) del contributo disciplinato dall'art. 47
del d.l. n. 66/2014, prorogato fino al 2018 dall'art. 1, comma 451,
della legge n. 190/2014.
In sostanza, l'obiettivo del «contenimento della spesa pubblica»
di cui ragiona il comma 418 non viene perseguito tramite processi di
ottimizzazione nella gestione delle risorse statali (o locali), ma
attraverso lo spostamento coattivo di risorse dalla periferia al
centro: la leva fiscale e le conseguenti risorse proprie di province
e citta' metropolitane dovranno essere utilizzate (ed in modo
consistente) non per finanziare le funzioni di area vasta, ma per
contribuire al risanamento del bilancio statale.
Si tratta di un meccanismo che sovverte ab imis i principi
costituzionali precipitati nell'art. 119 Cost., a partire da quello
di autonomia finanziaria. Non v'e' dubbio, infatti, che l'«autonomia
finanziaria di entrata e di spesa» (art. 119, comma primo Cost.), le
«risorse autonome» ed i «tributi ed entrate propri» (art. 119, comma
quarto Cost.) di cui possono - e devono - giovarsi province e citta'
metropolitane, hanno a che vedere con la loro capacita' di gestire
responsabilmente le risorse economiche di cui dispongono, senza
vincolo di subordinazione rispetto ad alcun altro ente costitutivo
della Repubblica.
Capacita' che, pero', viene sostanzialmente meno quando si impone
loro di destinare una parte cosi' rilevante di tali risorse al
finanziamento delle funzioni altrui (dello Stato, in specie), in
luogo delle proprie.
La lesione dell'autonomia di entrata e di spesa delle province e
delle citta' metropolitane diviene chiara, del resto, proprio alle
luce delle modalita' di riscossione coattiva del contributo forzoso
delineate dal comma 419, che incide sulle piu' significative forme di
finanziamento delle funzioni di area vasta: l'imposta sulle
assicurazioni contro la responsabilita' civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore, la cui aliquota puo' essere dalle
province innalzata dal 12,5 al 16% (ai sensi dell'art. 17, comma 2,
del d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68); l'imposta provinciale di
trascrizione, sulle cui tariffe le province hanno un margine di
manovra del 30% (in base all'art. 56, comma 2, del d.lgs. 15 dicembre
1997, n. 446).
Il legislatore statale ha, addirittura, dato per scontato che il
prelievo forzoso imposto dall'art. 1, comma 418 della legge n.
190/2014 possa esaurire l'intero gettito derivante dall'imposta sulle
assicurazioni contro la responsabilita' civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore (che rappresenta, da solo, piu'
della meta' delle entrate tributarie di cui dispongono le province -
doc. 1 -). Tant'e' che il comma 419 dispone che «in caso di
incapienza» dei versamenti relativi a quest'ultima, l'Agenzia delle
entrate effettua il recupero delle somme dovute «a valere sui
versamenti dell'imposta provinciale di trascrizione».
Con cio', a ben vedere, viene persino meno la natura di tributi
propri derivati delle due principali imposte provinciali, che
presupporrebbe l'effettivo mantenimento in capo alle province ed alle
citta' metropolitane del relativo gettito. Lo Stato potra', cosi',
giovarsi delle risorse raccolte da province e citta' metropolitane
senza assumere in alcun modo la responsabilita' politica delle
corrispondenti decisioni impositive. Anche sotto questo profilo,
appare evidente la violazione dei principi di autonomia - e di
responsabilita' - finanziaria di cui all'art. 119 Cost.
Al riguardo, giova ricordare come questa Corte abbia dichiarato
l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 119 Cost.,
commi primo e quarto, delle norme che «impongono alle regioni di
deliberare gli aumenti fiscali (...) in presenza di un persistente
accentramento statale del servizio» finanziato con tali risorse.
Norme di tal fatta ledono non solo «l'autonomia di entrata delle
stesse», ma anche «l'autonomia di spesa, poiche' obbligano le regioni
ad utilizzare le proprie entrate a favore di organismi statali (...),
per l'esercizio di compiti istituzionali di questi ultimi. (...)
Risulta violato altresi' il quarto comma dell'art. 119 Cost., sotto
il profilo del legame necessario tra le entrate delle regioni e le
finzioni delle stesse, poiche' lo Stato, pur trattenendo per se' le
funzioni (...), ne accolla i costi alle regioni stesse» (cosi' Corte
cost., 16 febbraio 2012, n. 22, punti 5.2 e 5.3 del considerato in
diritto).
La misura del contributo forzoso imposto dallo Stato e', poi,
tale da rischiare di condurre al dissesto anche gli enti piu'
virtuosi, o comunque da pregiudicare in modo grave il finanziamento
integrale delle funzioni fondamentali delle province e citta'
metropolitane, come confermate dall'art. 1, comma 85, della legge n.
56/2014 (pianificazione territoriale provinciale di coordinamento,
tutela e valorizzazione dell'ambiente, pianificazione dei servizi di
trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in
materia di trasporto privato, costruzione e gestione delle strade
provinciali e regolazione della circolazione stradale; programmazione
provinciale della rete scolastica; raccolta ed elaborazione di dati,
assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; gestione
dell'edilizia scolastica; controllo dei fenomeni discriminatori in
ambito occupazionale e promozione delle pari opportunita' sul
territorio provinciale).
Il contributo forzoso imposto dalla legge di stabilita' per il
2015 alle province venete causera', in particolare, un disequilibrio
grave nei saldi di parte corrente relativi alla spesa per funzioni
fondamentali, pari complessivamente a oltre 50 milioni di euro nel
2015, e ad oltre 120 milioni di euro nel 2016 (doc. 2, pp. 2-4). In
tutte le province venete il saldo di parte corrente diverra'
negativo, con punte nel 2016 di circa 18 milioni di euro (provincia
di Padova - doc. 2, p. 6), 34 milioni di euro (provincia di Treviso -
doc. 2, p. 8), 22 milioni di euro (provincia di Venezia - doc. 2, p.
9), 20 milioni di euro (provincia di Verona - doc. 2, p. 10), 28
milioni di euro (provincia di Vicenza - doc. 2, p. 11).
A pieno regime (dal 2017), la misura massima del contributo (3
miliardi di euro) avra' - ovviamente - effetti ancora piu'
dirompenti.
Da tutto cio' discende, dunque, anche la chiara violazione
dell'art. 119 Cost., comma 4: a causa dell'effetto combinato dei
contributi imposti dall'art. 1, comma 418 della legge n. 190/2014, e
dall'art. 47 del d.l. n. 66/2014 (prorogato fino al 2018 dall'art. 1,
comma 451, della legge n. 190/2014), province e citta' metropolitane
non riusciranno con le proprie risorse a «finanziare integralmente le
funzioni pubbliche loro attribuite».
La violazione dell'autonomia finanziaria delle province trova
conferma, del resto, proprio alla luce della giurisprudenza
costituzionale consolidata in base alla quale il legislatore statale
puo' imporre alle regioni e agli enti locali «vincoli alle politiche
di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti
territoriali», a patto pero' che tali limiti «siano rispettosi del
canone generale della ragionevolezza e proporzionalita'
dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato» (Corte
cost., 11 febbraio 2014, n. 22, punto 4.2.2 del considerato in
diritto; analogamente, tra le altre, Corte cost., 24 luglio 2013, n.
236, punto 3.3 del considerato in diritto).
Non puo' certo dirsi ragionevole, ne' proporzionato, un
contributo forzoso che avra' un impatto pregiudizievole decisivo - di
cui si e' detto - sul loro equilibrio di bilancio, e sullo stesso
svolgimento delle funzioni fondamentali provinciali.
Inoltre, questa corte ha piu' volte ricordato che i limiti alle
politiche di bilancio imposti dallo Stato agli enti territoriali
possono essere ritenuti conformi a Costituzione solo se transitori:
«l'estensione a tempo indeterminato delle misure restrittive» e',
invece, illegittima (cosi' Corte cost., 19 luglio 2012, n. 193, punto
4.2 del considerato in diritto; nello stesso senso, di recente, Corte
cost., 13 marzo 2014, n. 44, punto 6 del considerato in diritto).
Non v'e' dubbio che la disciplina di cui all'art. 1, comma 418
della legge n. 190/2014 e' ab origine concepita come non transitoria:
il contributo forzoso e' infatti stabilito in misura «ridotta» per il
2015 ed il 2016, ma operera' nella misura definitiva, pari a 3.000
milioni di euro, «a decorrere dall'anno 2017», senza che sia
stabilito alcun limite temporale.
Anche sotto questi profili in contributo forzoso de quo e',
quindi, illegittimo per violazione dell'art. 119 Cost.
A.2. Violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost.
Quanto poco sopra considerato in tema di ricadute concrete del
contributo forzoso disciplinato dall'art. 1, commi 418 e 419 della
legge n. 190/2014 (e 451, nei limiti di cui si e' detto) consente di
illustrare ulteriori, numerosi profili di illegittimita'
costituzionale da cui sono affette le disposizioni della legge di
stabilita' per il 2015 in questa sede gravate.
L'intento che muove il legislatore statale, nemmeno
particolarmente celato, e' quello di comprimere in modo progressivo e
stringente le attribuzioni delle province, in attesa della loro
programmata soppressione, previa eliminazione di ogni riferimento ad
esse dal testo della Costituzione ad opera di una legge di revisione
costituzionale (analoghe considerazioni valgono per il taglio lineare
del personale provinciale disposto dall'art. 1, commi 421-428 della
legge n. 190/2014, sul quale si argomentera' amplius sub B.1).
Il legislatore sembra tuttavia dimenticare che le province, fino
a quando godranno di diretta garanzia costituzionale in quanto enti
costitutivi della Repubblica, sono titolari di insopprimibili
funzioni fondamentali. Funzioni fondamentali, del resto, che il
legislatore statale medesimo ha stabilito debbano continuare ad
essere esercitate dalle province (in base al gia' ricordato art. 1,
comma 85, della legge n. 56/2014).
Ora, non v'e' dubbio che in tanto le province possono continuare
a svolgere le funzioni fondamentali loro spettanti in quanto
dispongano, in concreto, delle risorse necessarie a finanziarle. Il
che difficilmente avverra', se si tengono presenti i gravosi effetti
economici del contributo forzoso di cui all'art. 1, commi 418, 419 e
451, gia' descritti.
La misura del contributo imposto e', oltre che palesemente
irragionevole, anche contraddittoria rispetto al percorso di riforma
degli enti locali tracciato dal legislatore nazionale con la legge n.
56/2014. Legislatore che con una mano conferma la titolarita' di
funzioni fondamentali in capo a province e citta' metropolitane, e
con l'altra le priva delle risorse necessarie a finanziarle.
I commi 418, 419 e 451 dell'art. 1 della legge n. 190/2014 sono
pertanto incostituzionali anche per violazione dell'art. 3 Cost.
sotto il profilo dell'irragionevolezza e della contraddittorieta'
manifesta rispetto alla ratio che ispira l'art. 1, commi 85 e ss.
della legge n. 56/2014. L'intervento statale sulle risorse degli enti
di area vasta non e' conforme, dunque, ai canoni di ragionevolezza e
proporzionalita' richiesti, in questo ambito, dalla giurisprudenza
costituzionale (oltre alle gia' citate Corte cost., 11 febbraio 2014,
n. 22, punto 4.2.2 del considerato in diritto, e Corte cost., 24
luglio 2013, n. 236, punto 3.3 del considerato in diritto, si veda
anche Corte cost., 17 ottobre 2010, n. 326, punto 8.5 del considerato
in diritto).
Peraltro, tale irragionevolezza e contraddittorieta' trasmoda
anche nella chiara violazione degli artt. 97 e 118 Cost.:
l'inadeguatezza delle risorse di cui disporranno province e citta'
metropolitane nei prossimi anni, una volta assolto l'onere di pagare
il contributo forzoso ad esse imposto dallo Stato, pregiudichera'
necessariamente la corretta e regolare erogazione dei servizi
pubblici connessi all'esercizio delle funzioni fondamentali di loro
spettanza. Compromettendo, in tal modo, il principio di buon
andamento ed efficacia della pubblica amministrazione (art. 97
Cost.), e le competenze amministrative ad esse spettanti in base
all'art. 118 Cost., confermate - solo teoricamente? - dall'art. 1,
commi 85 e ss. della legge n. 56/2014.
A.3. Violazione dell'art. 114 Cost.
La lesione dell'autonomia finanziaria e dell'autonomia
amministrativa delle province e delle citta' metropolitane sin qui
evidenziate sono di tale gravita', peraltro, da comportare una piu'
ampia compromissione della dignita' autonoma delle province e delle
citta' metropolitane, quali componenti essenziali della Repubblica ex
art. 114 Cost.
Sembra in effetti assai difficile possano continuare, ad essere
considerati davvero autonomi enti che in sostanza divengono una sorta
di esattori per conto dello Stato, tenuti a versare nel suo bilancio
parte consistente dei tributi propri; ed esposti progressivamente ad
un rischio sempre piu' concreto di incapienza (atteso dallo stesso
legislatore statale, come risulta dalla lettura dell'art. 1, comma
419, della legge n. 190/2014).
Il che mortifica, in ogni caso, la stessa dignita' costituzionale
delle comunita' provinciali, anch'esse costituzionalmente garantite
dall'art. 114 Cost., e meritevoli di ricevere servizi pubblici
adeguati alla loro partecipazione, su base locale, alle pubbliche
spese.
Si consideri, del resto, che le disposizioni della cui
costituzionalita' si dubita non possono essere considerate legittime
nemmeno ove si ritengano ispirate all'esigenza di far fronte ad una -
ormai perenne - situazione di crisi fiscale dello Stato italiano: «la
Costituzione esclude che uno stato di necessita' possa legittimare lo
Stato ad esercitare funzioni legislative in modo da sospendere le
garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali» (Corte
cost., 7 giugno 2012, n. 148, punto 3 del considerato in diritto).
Nel perseguire legittime istanze di risanamento dei conti
pubblici il legislatore statale non puo', quindi, comprimere
l'autonomia degli enti territoriali oltre una certa misura; misura
che, nel caso di specie, e' stata senz'altro superata.
A.4. Violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonche' del principio di
leale collaborazione.
Quanto sin qui considerato non puo' non avere ripercussioni,
infine, sulle competenze amministrative e legislative delle regioni
(della regione Veneto, nel caso di specie) e, piu' in generale, degli
altri enti che compongono il sistema delle autonomie territoriali.
Le disposizioni della legge n. 190/2014 impugnate con il presente
ricorso si inseriscono senz'altro all'interno «di una riforma
complessiva di una parte del sistema delle autonomie locali,
destinata a ripercuotersi sull'intero assetto degli enti esponenziali
delle comunita' territoriali, riconosciuti e garantiti dalla
Costituzione» (Corte cost., 19 luglio 2013, n. 220, punto 11.3 del
considerato in diritto).
La sopravvenuta inadeguatezza del sistema di finanziamento
provinciale ed ogni eventuale disservizio nell'erogazione delle
prestazioni e dei servizi provinciali si tradurra', inevitabilmente,
in altrettante disfunzioni finanziarie ed amministrative dei comuni o
della regione. Molteplici sono, infatti, le connessioni tra servizi
pubblici provinciali e servizi pubblici comunali e regionali.
Ne' si puo' ignorare che, in attuazione della riforma del sistema
degli enti locali delineata della legge n. 56/2014, alla regione ed
ai comuni dovrebbero essere attribuite in tutto od in parte (con
legge regionale), le funzioni non fondamentali di attuale spettanza
delle province, con ogni conseguenza sul piano finanziario: nel
distribuire le competenze provinciali vanno «considerate le risorse
finanziarie, gia' spettanti alle province ai sensi dell'articolo 119
della Costituzione, che devono essere trasferite agli enti
subentranti per l'esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte
quelle necessarie alle funzioni fondamentali» (cosi' l'art. 1, comma
92, della legge n. 56/2014; analogamente dispongono il punto 15,
lett. e), dell'Accordo raggiunto nella Conferenza unificata dell'11
settembre 2014, e l'art. 1, comma 1, lett. b) del d.P.C.M. 26
settembre 2014).
Le funzioni amministrative provinciali non fondamentali, che
dovranno essere trasferite alla regione od ai comuni, continueranno
quindi ad essere finanziate con le risorse proprie delle province,
anch'esse da trasferire agli enti subentranti. Ne consegue che il
contributo forzoso imposto dall'art. 1, commi 418, 419 e 451 della
legge n. 190/2014, oltre a pregiudicare direttamente le province,
pregiudichera' quindi indirettamente anche gli enti subentranti, che
difficilmente potranno disporre delle risorse necessarie a finanziare
le funzioni non fondamentali loro attribuite.
Il contestato contributo forzoso incide gravemente, dunque, anche
sulla corretta distribuzione delle funzioni amministrative tra enti
di area vasta, regione e comuni, che spetterebbe alla regione
disciplinare nell'esercizio della sua competenza legislativa, nel
rispetto degli artt. 117 e 118 Cost. (art. 1, comma 89 della legge n.
56/2014: «lo Stato e le regioni, secondo le rispettive competenze,
attribuiscono le funzioni provinciali diverse da quelle di cui al
comma 85, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione»).
In Veneto, le funzioni provinciali non fondamentali sono
riconducibili alle seguenti materie (ricadenti nella potesta'
legislativa concorrente o residuale della regione): servizi per il
lavoro, formazione e istruzione, politiche sociali, turismo, sport,
cultura e spettacolo, agriturismo, attivita' produttive. In tutti
questi ambiti, la regione vedra' inevitabilmente ed illegittimamente
compressa la propria potesta' legislativa, de facto vincolata e
limitata dalla scarsita' di risorse finanziarie provinciali imposta
dallo Stato, tramite il contributo forzoso de quo.
Ne discende, dunque, la violazione degli artt. 117, commi terzo e
quarto, e 118 Cost. Nonche', a ben vedere, del principio di leale
collaborazione (di cui agli artt. 5 e 120 Cost.): la libera
attribuzione delle funzioni provinciali non fondamentali
nell'esercizio dei rispettivi ambiti di competenza legislativa,
ribadita e concordata tra Stato e regioni anche in sede di Accordo
raggiunto nella Conferenza unificata dell'11 settembre 2014, appare
incompatibile con la successiva decisione statale di intervenire in
modo cosi' drastico ed unilaterale sulle risorse delle province, con
tutte le conseguenze pregiudizievoli per l'intero sistema delle
autonomie locali, sin qui evidenziate.
B. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da 421 a 428
della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
B.1. Violazione degli artt. 3 e 35 Cost.
Rilievi d'incostituzionalita' non dissimili, e forse ancora piu'
netti, possono essere mossi ai commi da 421 a 428 dell'art. 1 della
legge n. 190/2014, che obbligano province e citta' metropolitane a
ridurre la loro dotazione organica del 50% e del 30% rispettivamente.
Anche questo vero e proprio «taglio lineare» del personale in
servizio presso gli enti di area vasta risponde alla logica (gia'
evidenziata sub A.2) di ridurre in concreto le loro capacita'
amministrative ed organizzative, costringendoli in sostanza a
dismettere, con il personale, funzioni e competenze.
La riduzione forzosa della dotazione organica disposta dall'art.
1, comma 421 della legge n. 190/2014 e' tuttavia tale - nel quomodo e
nel quantum - da contraddire in modo netto ed irreversibile il
percorso di riforma del sistema delle autonomie territoriali
tracciato dalla legge n. 56/2014, e da ledere irrimediabilmente
l'autonomia e la dignita' costituzionale delle province e delle
citta' metropolitane.
In base a quanto stabilisce l'art. 1, commi 92 e 96 della legge
n. 56/2014, il personale delle province e delle citta' metropolitane
avrebbe dovuto essere trasferito agli enti subentranti, unitamente
alle relative dotazioni strumentali e risorse finanziarie, dopo la
(ed in funzione della) riallocazione delle funzioni non fondamentali.
Salvo restando, evidentemente, il mantenimento in servizio presso gli
enti di area vasta del personale dedicato alle funzioni fondamentali.
I commi 421 e ss. dell'art. 1 della legge n. 190/2014, invece,
prescindono da qualunque previa determinazione in ordine alle
funzioni effettivamente attribuite - ed attribuibili - a province e
citta' metropolitane, disponendo una riduzione coattiva del personale
in servizio del tutto immotivata ed illogica. E la contraddizione e'
tanto piu' evidente se si considera che a piu' riprese, nei commi 421
e ss. della legge n. 190/2014, il legislatore richiama espressamente
la legge n. 56/2014, dichiarando persino - comma 421 - di voler
tenere conto «delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla
medesima legge 7 aprile 2014, n. 56».
Vero e', invece, che disponendo d'autorita' il taglio lineare del
personale prima della riallocazione delle funzioni amministrative
provinciali, e senza alcun collegamento ad essa, il legislatore ha
agito in modo evidentemente contraddittorio ed irragionevole, in
violazione dell'art. 3 Cost.: in pendenza di un processo di
riorganizzazione delle autonomie locali, disporre un trasferimento
coattivo di personale senza sapere prima quali funzioni continueranno
ad essere svolte dall'ente di partenza, e quali saranno attribuite
all'ente di arrivo, contrasta con il comune buon senso, prima ancora
che con la Costituzione italiana.
Come del tutto contrario al comune buon senso e contraddittorio
e' che il taglio del personale venga disposto linearmente, senza
tenere conto di quale parte del personale delle singole province sia
effettivamente destinato a svolgere funzioni fondamentali.
L'irragionevolezza diviene manifesta proprio alla luce dei dati
concreti, quali risultano dalla ricognizione dei costi del personale
degli enti veneti di area vasta (in esecuzione dell'art. 2, comma 2,
del d.P.C.M. 26 settembre 2014 e' stata, infatti, eseguita una
puntale mappatura delle risorse connesse a tutte le funzioni
provinciali, i cui esiti si allegano sub docc. 3 - 9).
Qualche esempio puo' essere utile:
a) per quanto riguarda la provincia di Padova, il costo
complessivo lordo annuo del personale (comprese le figure
dirigenziali) e' pari a quasi 18 milioni di euro; il costo
complessivo lordo annuo del personale riconducibile alle funzioni
fondamentali (dirigenti inclusi) di cui all'art. 1, comma 85, della
legge n. 56/2014, e' pari a quasi 14 milioni di euro (doc. 3); in
sostanza, oltre il 76% della spesa per il personale della provincia
di Padova riguarda le sole funzioni fondamentali;
b) in provincia di Verona, il costo complessivo lordo annuo
del personale (comprese le figure dirigenziali) ammonta a poco piu'
di 19 milioni di euro. Il costo complessivo lordo annuo del personale
riconducibile alle funzioni fondamentali (dirigenti inclusi) e' pari
a circa 17 milioni di euro (doc. 4); per un totale di quasi l'89%
della spesa del personale dedicata alle funzioni fondamentali;
c) in provincia di Treviso il costo complessivo lordo annuo
del personale (comprese le figure dirigenziali) supera i 24 milioni
di euro; il costo complessivo lordo annuo del personale riconducibile
alle funzioni fondamentali (dirigenti inclusi) e' pari a quasi 18,5
milioni di euro (doc. 5), che ammonta a piu' del 76% del costo
complessivo;
d) in provincia di Vicenza il costo complessivo lordo annuo
del personale (comprese le figure dirigenziali) e' quasi di 16
milioni di euro; il costo complessivo lordo annuo del personale
riconducibile alle funzioni fondamentali (dirigenti inclusi) e' di
quasi 14 milioni di euro (doc. 6), pari a circa l'88% del costo
complessivo del personale;
Tali conteggi (che possono essere similmente effettuati con
riferimento alle rimanenti province venete, alla luce dei dati
risultanti dagli allegati docc. 7 - 9), consentono di evidenziare che
il taglio della dotazione organica disposto dall'art. 1, comma 421
della legge n. 190/2014 comportera' anche la necessita' di collocare
in mobilita' personale destinato alle funzioni fondamentali:
vanificando, dunque, la stessa ratio dell'art. 1, comma 85, della
legge n. 56/2014.
Ne' si puo' tacere che, in base all'art. 1, comma 92, della legge
n. 56/2014, il processo di riallocazione delle funzioni
amministrative provinciali avrebbe dovuto garantire «i rapporti di
lavoro a tempo indeterminato in corso, nonche' quelli a tempo
determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista».
L'art. 1, comma 428 della legge n. 190/2014 pacificamente
ammette, invece, la possibilita' di mancato riassorbimento di tutto
il personale in soprannumero, ove stabilisce che in questa ipotesi
«si applicano le disposizioni dell'articolo 33, commi 7 e 8, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». L'articolo da ultimo
richiamato disciplina, si ricordi, il collocamento in disponibilita'
del personale pubblico, che puo' durare fino ad un periodo massimo di
24 mesi al termine del quale, in caso di mancata ricollocazione
presso altra pubblica amministrazione, il rapporto di lavoro si
risolve.
Con cio' si determina, oltre, ad un'evidente ulteriore
contraddittorieta' intrinseca, anche una chiara violazione dell'art.
35 Cost., che la regione e' in questa sede senz'altro legittimata a
far valere, considerate le ricadute che il taglio del personale
disposto dal legislatore statale ha sull'intero sistema organizzativo
delle autonomie territoriali.
B.2. Violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost.
Il taglio lineare del personale disposto dall'art. 1, commi 421 e
ss. della legge n. 190/2014 viola l'art. 3 Cost., poi, nella misura
in cui tratta tutte le province e le citta' metropolitane italiane
nello stesso modo, senza considerare che sul territorio nazionale la
loro situazione organizzativa e' fortemente differenziata: non solo
per quanto il riguarda il numero (ed il costo) del personale addetto
alle funzioni provinciali, fondamentali e non (se ne trae conferma
gia' esaminando i dati di cui ai docc. 3 - 9), ma anche per cio' che
concerne il rapporto tra esigenze amministrative di un dato
territorio (popolazione) e numero di dipendenti provinciali (e loro
costo).
Disporre d'autorita' l'indifferenziato dimezzamento della
dotazione organica di tutte le province, senza alcun criterio
razionale, provoca l'irragionevole effetto di penalizzare le
amministrazioni che hanno gia' ottimizzato la loro struttura
organizzativa, e di favorire invece quelle ancora ipertrofiche. Ad
essere piu' colpiti dal taglio lineare saranno, infatti, gli enti di
area vasta che, in rapporto alle funzioni amministrative svolte,
hanno il numero (ed il costo) minore di personale.
Come accadra' puntualmente in Veneto, in cui l'applicazione
dell'art. 1, commi 421 e ss. della legge n. 190/2014 comportera'
anche la necessita' di collocare in mobilita' personale destinato
alle funzioni fondamentali; con immediato pregiudizio, dunque, per i
servizi essenziali e per il corretto svolgimento delle stesse
funzioni fondamentali che sono ancora di spettanza degli enti di area
vasta.
Il taglio indiscriminato disposto dallo Stato viola quindi anche
i piu' basilari principi di buona amministrazione e di corretta
distribuzione delle funzioni amministrative, di cui rispettivamente
agli artt. 97 e 118 Cost.
La pubblica amministrazione ha, in base ai consolidati principi
desumibili dall'art. 97 Cost., confermati dall'art. 1 della legge 14
agosto 1990, n. 241, precisi obblighi di efficienza ed efficacia, che
rispondono ad una logica fortemente procedimentalizzata
dell'attivita' amministrativa: ogni intervento d'autorita' sulla
pianta organica degli enti pubblici che prescinda da qualunque previa
ed approfondita valutazione su quanto personale (e di quale
qualifica) sia effettivamente necessario per portare a compimento in
modo efficace ed efficiente l'attivita' amministrativa dell'ente e',
pertanto, non solo irragionevole, ma anche contrario al principio del
buon andamento.
A diverse conclusioni si sarebbe potuti giungere se il
legislatore statale si fosse fatto carico di modulare il taglio
coattivo del personale sulla base di qualche criterio plausibile (per
quanto «standardizzato») di computo delle esigenze organiche degli
enti di area vasta, tenendo conto della popolazione residente, delle
funzioni loro attribuite e delle conseguenze sul piano
procedimentale. Ma cosi' non e'.
La costante giurisprudenza di questa Corte ha qualificato come
principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza
pubblica le norme statali che incidono sulla spesa per il personale
(da ultimo Corte cost., 3 dicembre 2014, n. 269, punto 5.1 del
considerato in diritto). Cio' non legittima, tuttavia, il legislatore
statale ad intervenire in questo ambito senza alcun criterio: tant'e'
che le ipotesi con cui la giurisprudenza costituzionale si e' piu'
spesso confrontata riguardano limiti alla spesa per il personale non
formulati in termini assoluti, ma in connessione alla spesa corrente
(cosi', ad esempio, il limite a nuove assunzioni di cui all'art. 76,
comma 7, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112; convertito dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, sul quale si vedano, ad esempio, Corte cost., 6
dicembre 2013, n. 289, e Corte cost., 7 giugno 2012, n. 148, punto
5.1 del considerato in diritto).
Le disfunzioni e disomogeneita' organizzative cui condurra' il
dimezzamento della dotazione organica di tutte le province finira'
per riflettersi, d'altra parte, sulla corretta distribuzione delle
funzioni amministrative tra gli altri enti (comuni e regione) che
compongono il sistema delle autonomie locali: come facilmente
ipotizzabile, gli eventuali disservizi nelle funzioni amministrative
provinciali rischieranno di tradursi in altrettanti disservizi nelle
funzioni amministrative regionali e comunali connesse.
Inoltre, si deve ricordare che spetterebbe alla regione,
nell'esercizio della sua potesta' legislativa, attribuire «le
funzioni provinciali diverse da quelle di cui al comma 85, in
attuazione dell'articolo 118 della Costituzione», individuando
l'«ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione»
(art. 1, comma 89, della legge n. 56/2014). La riduzione coattiva del
personale e' tale da impedire, invece, qualunque ragionata
distribuzione delle funzioni amministrative non fondamentali: dato
che le province non potranno disporre del personale necessario a
svolgerle, la regione si vedra' costretta ad attribuire a se'
medesima ed ai comuni anche le funzioni non fondamentali che invece
potrebbero meritare, alla luce dei principi di sussidiarieta' e
adeguatezza, di essere conservate in capo alle province.
Da cio' la chiara lesione anche dell'art. 118 Cost., primo comma
(oltre che dell'art. 117 Cost., come si avra' modo di rilevare sub
B.4).
B.3. Violazione dell'art. 114 Cost.
La riduzione coattiva ed indiscriminata della dotazione organica
degli enti di area vasta determina, analogamente a quanto gia'
considerato (sub A.3) con riferimento al contributo forzoso imposto
dall'art. 1, comma 418, della legge n. 190/2014, una piu' ampia
compromissione della dignita' autonoma delle province e delle citta'
metropolitane, quali componenti essenziali della Repubblica ex art.
114 Cost.
Come puo' essere considerato davvero autonomo un ente la cui
dotazione organica viene definita aliunde, ed in base a criteri che
prescindono completamente da una previa valutazione sull'efficienza
ed efficacia della sua azione amministrativa? Province e citta'
metropolitane non sono articolazioni periferiche dell'amministrazione
statale, e la dotazione organica costituisce senz'altro uno dei
profili piu' significativi e caratterizzanti della loro struttura
organizzativa. L'intervento statale d'autorita' sulla dotazione
organica degli enti di area vasta lede dunque, per la misura che lo
contraddistingue e per i modi con cui e' stato disposto, la loro
dignita' costituzionale, in violazione dell'art. 114 Cost.
Ne' si possono tacere le conseguenze per le collettivita' locali
amministrate dagli enti di area vasta, anch'esse tutelate dall'art.
114 Cost., ed anch'esse pregiudicate da una decisione dello Stato
centrale che - per quanto sin qui evidenziato - avra' un inevitabile
impatto negativo sull'erogazione dei servizi pubblici e sulle
funzioni fondamentali che province e citta' metropolitane dovranno
continuare a svolgere.
Il chiaro intento perseguito dal legislatore nazionale, anche con
i commi 421-428 dell'art. 1 della legge n. 190 (ridimensionare
oltremodo le province, in attesa della loro eliminazione
dall'ordinamento giuridico italiano), non giustifica un intervento
legislativo di tal fatta, alla luce della vigente Costituzione: la
revisione costituzionale continua ad essere condizione necessaria di
ogni eventuale, ulteriore «depotenziamento» delle province.
B.4. Violazione dell'art. 117 Cost., commi 3 e 4, nonche' del
principio di leale collaborazione.
Anche i commi da 421 a 428 dell'art. 1 della legge n. 190/2014
meritano, infine, censura sotto il profilo della violazione delle
competenze legislative della regione.
Si e' gia' ricordato come in base all'art. 1, comma 89 della
legge n. 56/2014, le funzioni non fondamentali delle province e delle
citta' metropolitane debbano essere riallocate dallo Stato e dalle
regioni nei limiti delle rispettive competenze legislative, previo
accordo in Conferenza unificata. In virtu' dell'accordo raggiunto
nella Conferenza unificata dell'11 settembre 2014, lo Stato si e'
riservato il riordino delle funzioni amministrative non fondamentali
in tema di tutela delle minoranze (punto 9, lett. b) dell'Accordo),
riconoscendo alle regioni la competenza a provvedere per tutte le
altre funzioni non fondamentali attualmente esercitate dalle
province.
La regione Veneto potrebbe - e dovrebbe -, dunque, disporre delle
funzioni amministrative provinciali non fondamentali, riconducibili
alle materie di propria competenza legislativa (servizi per il
lavoro, formazione e istruzione, politiche sociali, turismo, sport,
cultura e spettacolo, agriturismo, attivita' produttive).
In tutti questi ambiti, appartenenti alla sua competenza
legislativa concorrente o residuale, spetta alla regione Veneto
decidere se le connesse funzioni amministrative siano da confermare
in capo alle province, oppure debbano essere attribuite ai comuni od
alla regione medesima. A tale decisione dovrebbero seguire,
conformemente all'art. 1, commi 92 e 96 della legge n. 56/2014, tutti
i necessari trasferimenti di personale, dotazioni strumentali e
risorse.
Nulla di tutto cio' potra' davvero avvenire, a causa del taglio
lineare delle dotazioni organiche disposto dall'art. 1, comma 421,
della legge n. 190/201. Gli enti di area vasta (e le province in
particolare) non avranno a disposizione neppure personale sufficiente
a svolgere in modo efficace ed effettivo le funzioni fondamentali;
riesce difficile comprendere, dunque, con quali risorse umane
dovrebbero svolgere anche le ulteriori funzioni non fondamentali,
teoricamente loro attribuibili dalla regione. Il pieno esercizio del
potere legislativo regionale e' dunque sostanzialmente vanificato ex
ante, o comunque gravemente limitato e pregiudicato.
La decisione dello Stato di dimezzare il personale degli enti di
area vasta prima della - ed a prescindere dalla - riallocazione delle
funzioni amministrative comporta, percio', la violazione di tutte le
relative competenze legislative regionali, in violazione dell'art.
117 Cost., commi terzo e quarto.
Evidente e', poi, anche la violazione del principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dato che il percorso
di riforma del sistema delle autonomie locali era stato ben
diversamente delineato dall'art. 1, commi 91 e 92, della legge n.
56/2014, ed altrettanto diversamente concordato in sede di Conferenza
unificata (Accordo dell'11 settembre 2014). Tanto la legge n. 56/2014
quanto l'Accordo appena ricordato confermano che il trasferimento del
personale sarebbe dovuto avvenire dopo la (ed in funzione della)
riallocazione delle funzioni non fondamentali, ed entrambi
riconoscevano la piena legittimazione delle regioni a legiferare
liberamente al riguardo, nei limiti delle loro competenze.
Tanto premesso la regione Veneto, come sopra rappresentata e
difesa, dimette le seguenti,
Conclusioni
Voglia l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare
l'illegittimita' costituzionale:
a) dell'art. 1, commi 418, 419, e 451 della legge 23 dicembre
2014, n. 190; recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)»
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2014, n. 300, S.O.,
per violazione degli artt. 3, 97, 114, 117, commi terzo e quarto,
118, 119 commi primo, secondo e quarto, e 120 della Costituzione
della Repubblica italiana;
b) dell'art. 1, commi da 421 a 428 della legge 23 dicembre
2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)»
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2014, n. 300, S.O.,
per violazione degli artt. 3, 35, 97, 114, 117, commi terzo e quarto,
118, 119 commi primo, secondo e quarto, e 120 della Costituzione
della Repubblica italiana.
Si allega al presente ricorso:
deliberazione della Giunta della regione Veneto n. 152 del 10
febbraio 2015 recante l'autorizzazione alla proposizione del ricorso;
1) prospetto riassuntivo entrate tributarie (province venete);
2) prospetto equilibri di bilancio funzioni fondamentali
(province venete);
3) mappatura (numero e costi per funzione) del personale della
provincia di Padova;
4) mappatura (numero e costi per funzione) del personale della
provincia di Verona;
5) mappatura (numero e costi per funzione) del personale della
provincia di Treviso;
6) mappatura (numero e costi per funzione) del personale della
provincia di Vicenza;
7) mappatura (numero e costi per funzione) del personale della
provincia di Venezia;
8) mappatura (numero e costi per funzione) del personale della
provincia di Rovigo;
9) mappatura (numero e costi per funzione) del personale della
provincia di Belluno.
Padova-Venezia-Roma, 23 febbraio 2015
avv. prof. Mario Bertolissi - avv. Ezio Zanon - avv. Luigi Manzi