Ricorso n. 43 del 13 giugno 2014 (Regione Campania)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
Cancelleria il 13 giugno 2014 (della Regione Campania).
(GU n. 34 del 2014-08-13)
Ricorso della Regione Campania (c.f. …), in persona del
Presidente della Giunta regionale pro tempore, On. Dott. Stefano
Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della Giunta
regionale n. 155 del 3 giugno 2014, giusta procura a margine del
presente atto, unitamente e disgiuntamente, dall'Avv. Maria D'Elia
(c.f. …), dell'Avvocatura regionale, e dal Prof. Avv.
Beniamino Caravita di Toritto (c.f. …), del libero
foro, ed elettivamente domiciliata presso l'Ufficio di rappresentanza
della Regione Campania sito in Roma alla Via Poli, n. 29 (fax:
…; pec abilitata: …);
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro-tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo 1,
commi 4, 5, 6, da 12 a 18, 22, 89, 91, 95, 105, 106, 130 e 149, della
Legge 7 aprile 2014, n. 56, avente ad oggetto «Disposizioni sulle
citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di
comuni, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale, n. 81
del 7 aprile 2014, per violazione degli articoli 114, 117, commi 2,
lett. p), 3, 4 e 6, 118, 120, 123, 133, 136, 138 e 2, 3, 5 e 97 della
Costituzione.
Fatto
Con l'art. 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56 il legislatore
statale ha approntato una serie di misure concernenti citta'
metropolitane; province, unioni e fusioni di comuni «al fine di
adeguare il loro, ordinamento ai principi di sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza».
In particolare, per quanto qui di interesse, il comma 4 del
predetto articolo 1 dispone che le unioni di comuni sono enti locali
costituiti da due o piu' comuni per l'esercizio associato di funzioni
o servizi di propria competenza, e ne lascia la disciplina specifica
ai commi da 104 a 141.
A tal proposito, i commi 105 e 106 contengono previsioni di
carattere ordinamentale, intervenendo su alcune disposizioni del
TUEL. In particolare, il comma 105 apporta alcune modifiche all'art.
32 d.lgs. n. 267/2000, sostituendone il comma 3 con la previsione che
il Consiglio dell'unione di comuni sia composto da un numero di
consiglieri definito nello statuto, eletti dai singoli consigli dei
comuni associati tra i propri componenti in modo che siano
rappresentati tutti i comuni e le minoranze. Ancora, sostituendo il
comma 4 dell'art. 32 citato, la disposizione impugnata prevede che
«L'unione ha potesta' statutaria e regolamentare e ad essa si
applicano, in quanto compatibili e non derogati con le disposizioni
della legge recante disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle
province, sulle unioni e fusioni di comuni, i principi previsti per
l'ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo status degli
amministratori, all'ordinamento finanziario e contabile, al personale
e all'organizzazione. Lo statuto dell'unione stabilisce le modalita'
di funzionamento degli organi e ne disciplina i rapporti. In fase di
prima istituzione lo statuto dell'unione e' approvato dai consigli
dei comuni partecipanti e le successive modifiche sono approvate dal
consiglio dell'unione».
Da ultimo, il comma 105 introduce il comma 5-ter all'art. 32
TUEL, con il quale sancisce che il presidente dell'unione di comuni
si avvale di un segretario di un comune facente parte dell'unione,
senza che cio' comporti l'erogazione di ulteriori indennita' e senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, facendo salvi gli
incarichi per le funzioni di segretario gia' affidati.
A sua volta, il comma 106 prevede residualmente che, per quanto
non previsto dai commi 3, 4 e 5-ter dell'art. 32 del testo unico come
modificati dal comma 105, lo statuto dell'unione di comuni deve
altresi' rispettare i principi di organizzazione e di funzionamento,
nonche' le soglie demografiche minime eventualmente disposti con
legge regionale.
Sotto diverso profilo, i commi da 5 a 51 dettano la disciplina
delle citta' metropolitane.
Nel dettaglio, il comma 5 oggi impugnato contiene una previsione
di carattere generale, disponendo che «in attesa» (sic!) della
riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione, le citta'
metropolitane di Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Bari,
Napoli e Reggio Calabria sono disciplinate dalla presente legge, «ai
sensi e nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 114 e 117,
secondo comma, lett. p), della Costituzione e ferma restando la
competenza regionale ai sensi del predetto articolo 117».
Il comma 6 prevede invece, piu' nello specifico, che il
territorio della citta' metropolitana coincide con quello della
provincia omonima, ferma restando per i comuni la facolta' di
iniziativa, ai sensi dell'art. 133, primo comma, Cost., per
modificare le circoscrizioni provinciali limitrofe e per aderire alla
citta' metropolitana. Il secondo periodo del comma 6 prevede poi che,
qualora la regione interessata, entro 30 giorni dalla richiesta,
esprima parere contrario, in tutto o in parte, rispetto alle proposte
formulate dai comuni, il Governo promuove un'intesa tra la regione e
i comuni interessati, da definire entro 90 giorni dall'espressione
del parere della regione. Il Consiglio dei ministri, qualora entro il
predetto termine non venga raggiunta l'intesa, sentito il Ministro
per gli affari regionali e il Ministro dell'Interno, nonche' udito il
presidente della regione, decide autonomamente circa l'approvazione e
la successiva presentazione al parlamento del disegno di legge di
modifica del territorio di province e citta' metropolitane ai sensi
dell'art. 133 Cost.
I commi da 12 a 18 prevedono un meccanismo di
soppressione/sostituzione delle province in corrispondenza della
costituzione delle neoistituite citta' metropolitane.
In particolare, e' previsto che tali enti siano costituiti, salvo
per quando previsto per Reggio Calabria dal comma 18, nel territorio
delle province omonime alla data di entrata in vigore della legge
(comma 12). Lo statuto delle citta' metropolitane e' redatto da una
conferenza statutaria, la cui disciplina e' contenuta nel comma 13.
Il comma 14 dispone la permanenza in carica, fino al 31 dicembre
2014 e a titolo gratuito, del presidente della provincia e della
giunta provinciale in pendenza di mandato alla data di entrata in
vigore della legge, con funzioni di ordinaria amministrazione e per
l'adozione degli atti improrogabili e urgenti. Il presidente assume
altresi' le funzioni del consiglio. Ove la provincia sia
commissariata, il commissariamento e' altresi' prorogato sino al 31
dicembre 2014.
Ai sensi del comma 15, entro il 30 settembre devono aver luogo le
elezioni del consiglio metropolitano e il suo insediamento, nonche'
l'insediamento della conferenza metropolitana. Entro il 31 dicembre
2014 il consiglio deve approvare lo statuto.
Il definitivo subentro delle citta' metropolitane alle province
interessate dalla soppressione e' sancito dal comma 16, che pone
quale termine per il compimento di tale passaggio il 1° gennaio 2015.
Tale disposizione prevede altresi' che le citta' metropolitane
succedono alle province omonime «in tutti i rapporti attivi e passivi
e ne esercitano le funzioni, nel rispetto degli equilibri di finanza
pubblica e degli obiettivi del patto di stabilita' interno». Il
predetto comma 16 prevede inoltre che, ove alla predetta data non sia
approvato lo statuto metropolitano, si applichi quello provinciale,
con particolare riferimento alle disposizioni concernenti presidente,
consiglio e giunta provinciali. In caso di mancata approvazione della
statuto metropolitano entro il 30 giugno 2015 si applica la
previsione di cui all'art. 8 della legge n. 131/2003 (comma 17).
Infine, il comma 18 contiene una speciale disciplina per la
citta' metropolitana di Reggio Calabria.
L'art. 1 prevede poi, al comma 22, l'articolazione del territorio
del comune capoluogo della citta' metropolitana in piu' comuni come
condizione necessaria per l'elezione, diretta, del sindaco e del
consiglio metropolitano. Tale articolazione deve avvenire su proposta
del consiglio comunale del comune capoluogo adottata secondo la
procedura prevista dall'art. 6, comma 4, del TUEL, la quale deve
essere poi sottoposta a referendum tra tutti i cittadini dell'area
metropolitana ed approvata dalla maggioranza dei partecipanti al
voto. E' altresi' necessario che la regione abbia provveduto con
propria legge all'istituzione di nuovi comuni e alla loro
denominazione ai sensi dell'art. 133 Cost.
Diversamente, con riferimento alle province, il comma 89 dispone
che lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze,
attribuiscono le funzioni provinciali diverse da quelle di cui al
comma 85 (ovvero quelle non fondamentali e quelle fondamentali non
individuate), in attuazione dell'art. 118 della Costituzione, nonche'
al fine di conseguire «le seguenti finalita': individuazione
dell'ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione;
efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte dei
comuni e delle unioni di comuni; sussistenza di riconosciute esigenze
unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra
gli enti territoriali coinvolti nel processo di riordino, mediante
intese o convenzioni». Nel secondo periodo la disposizione Censurata
valorizza forme di esercizio associato di funzioni da parte di piu'
enti locali, e disciplina lo svolgimento delle funzioni da parte
delle province sino al subentro del nuovo ente.
In collegamento con quanto disposto dal predetto comma 89, il
successivo comma 91 dispone che «Entro tre mesi dalla data di entrata
in vigore della presente legge, sentite le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative, lo Stato e le regioni individuano in
modo puntuale, mediante accordo sancito nella Conferenza unificata,
le funzioni di cui al comma 89 oggetto del riordino e le relative
competenze»: Il comma 95, peraltro, prevede un potere sostitutivo
dello Stato ai sensi dell'art. 8, della legge n. 131/2003 qualora la
regione, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, non abbia
provveduto a dare attuazione all'accordo di cui al comma 91.
In materia di enti comunali, il comma 130, nel disciplinare un
particolare procedimento di fusione tra comuni (fusione per
incorporazione) interviene a regolare l'iniziativa del referendum
consultivo obbligatorio delle popolazioni interessate dal
procedimento di fusione.
Da ultimo, il comma 149 prevede la predisposizione, da parte del
Ministero per gli affari regionali, di programmi e attivita' di
monitoraggio «al fine di procedere all'attuazione di quanto previsto
dall'articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nonche' per
accompagnare e sostenere l'applicazione degli interventi di riforma
di cui alla presente legge».
Le richiamate disposizioni della legge n. 56 del 2014 risultano
gravemente lesive delle prerogative della Regione ricorrente, in
quanto viziate da manifesta illegittimita' costituzionale per i
seguenti motivi di
Diritto
1. Premessa
1.1 La legge n. 56/2014, recante «Disposizioni sulle citta'
metropolitane, sulle province, sulle unioni di comuni e fusioni di
comuni», giunge a conclusione di un percorso assai tortuoso, avviato
da almeno un biennio, mediante il quale il legislatore statale ha
inteso riformare il sistema delle autonomie locali, con particolare
riferimento alla gestione dell'area vasta ed al ridimensionamento del
ruolo delle province, con contestuale istituzione delle citta'
metropolitane. Dal dicembre 2011 ad aprile 2014 si sono succeduti
innumerevoli interventi, in prevalenza attuati tramite Io strumento
della decretazione d'urgenza, che hanno inteso da un lato modificare
il sistema elettorale e l'elenco delle funzioni fondamentali delle
province, dall'altro diminuirne il numero, istituendo le citta'
metropolitane.
Per fare un brevissimo riepilogo della successione degli
interventi, basti ricordare che il primo provvedimento legislativo in
materia risale all'art. 23 del d.l. n. 201/2011 che svuotava le
province, limitando le funzioni a quelle di «indirizzo e
coordinamento» dell'attivita' dei comuni; ne trasformava gli organi
di governo, eliminando la giunta e lasciando solamente Presidente e
Consiglio provinciale, eletti in secondo grado. Nel luglio 2012,
l'art. 17 del d.l. n. 95/2012 riassegnava alle province le funzioni
tradizionalmente di competenza dell'ente di area vasta e
contestualmente prevedeva un piano di riordino territoriale, sulla
base dei criteri e dei requisiti minimi definiti dalla deliberazione
del Consiglio dei ministri del 20 luglio 2012 (350.000 abitanti e
2500 Kmq). All'esito della complessa procedura prevista dal d.l. n.
95/2012, venivano individuate le nuove province nel d.l. 5 novembre
2012, n. 188, che tuttavia non e' stato mai convertito in legge dalle
Camere.
Tra l'adozione del d.l. n. 201/2011 e quella del d.l. n. 95/2012,
il Governo in carica ha presentato alla Camera un disegno di legge
che disciplinava le modalita' di elezione, di secondo grado, degli
organi provinciali. L'esame di tale disegno di legge, presentato il
16 maggio 2012, non si e' mai concluso.
La legge di stabilita' 2013, n. 228/2012 (all' art. 1, comma 115)
si e' preoccupata di prorogare il termine per il riordino,
inizialmente fissato al 31 dicembre 2012, al 31 dicembre 2013, delle
gestioni commissariali avviate in seguito all'entrata in vigore del
d.l. 201/2011.
Nel luglio 2013 e' giunta la sentenza di Codesta ecc.ma Corte n.
220/2013, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.
23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, del d.l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n.
214 del 2011; degli artt. 17 e 18 del d.l. n. 95 del 2012,
convertito, con modificazioni, dall'ad. 1, comma 1, della legge n.
135 del 2012; e dell'art. 23, comma 20-bis, del d.l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n.
214 del 2011.
In conseguenza di detta pronuncia, il decreto legge n. 93/2013 ha
fatto salvi gli effetti dei provvedimenti di scioglimento delle
province e dei conseguenti atti di nomina dei commissari, nonche'
degli atti da questi posti in essere.
Infine, la legge di stabilita' 2014, all'art. 1, comma 325, ha
previsto che le disposizioni relative al commissariamento delle
amministrazioni provinciali si applicassero ai casi di scadenza
naturale del mandato nonche' di cessazione anticipata degli organi
provinciali che fossero intervenuti in una data compresa tra il 1°
gennaio e il 30 giugno 2014.
Il provvedimento legislativo che si porta oggi all'attenzione di
Codesta ecc.ma Corte prende, dunque, le mosse dall'esigenza di
provvedere in primo luogo alla situazione di stallo creatasi a
seguito della sent. n. 220/2013.
Si tratta dunque di una legge che ha la presunzione di
intervenire in modo organico e sistematico sul tema generale
dell'ente di area vasta - nelle diverse sfaccettature in cui puo'
declinarsi l'argomento: citta' metropolitana, provincia o unione e
fusione di comuni -ponendosi, peraltro, nell'ottica di una riforma
che, ancorche' approvata con legge ordinaria, cosi' come chiaramente
e giustamente richiesto dalla gia' citata sent. 220/2013, deve
tuttavia qualificarsi come «momentanea», stando a quanto affermato
piu' volte dallo stesso legislatore («In attesa della riforma del
titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative
norme di attuazione (...)»). Poiche', tuttavia, e' alla normativa
vigente che l'ordinamento fa riferimento, tanto sul piano delle norme
primarie quanto - e tanto piu' - sul fronte delle norme di rango
costituzionale, e' con rispetto a queste ultime che la legge n.
56/2014 presenta vizi di legittimita' che vanno a ledere sia
l'autonomia e le competenze regionali sia le garanzie
costituzionalmente riconosciute agli enti locali. La tutela dei
quali, non essendo previsto il loro ricorso diretto, e' riconosciuta
in capo alle regioni stesse (Cfr., ex multis, Corte cost. n. 298/2009
e n. 131/2003).
1.2 Occorre poi, sempre in via preliminare, svolgere ulteriori
osservazioni. In particolare, e' opportuno sottolineare come,
contestualmente all'approvazione della legge n. 56/2014, ha preso
avvio nelle Aule parlamentari la discussione del disegno di legge di
revisione costituzionale che dovrebbe andare a modificare
sensibilmente il Titolo V della Carta costituzionale, anche e
soprattutto con riferimento all'ente provincia, del quale si prevede
l'espunzione dal novero degli enti costitutivi della Repubblica ex
art. 114 Cost., con la conseguente eliminazione delle garanzie
costituzionali ad oggi riconosciute. La circostanza e' rilevante
giacche', come gia' segnalato, con tecnica legislativa tanto
deprecabile quanto ormai invalsa, in diversi commi dell'articolo
unico di cui si compone la legge n. 56/2014, ci si imbatte nella
locuzione «In attesa della riforma del titolo V della parte seconda
della Costituzione e delle relative norme di attuazione (...)», come
se, per stessa ammissione del legislatore, la legge de qua avesse
«innaturalmente» anticipato la riforma costituzionale e fosse
pertanto destinata ad essere rivista nel momento in cui la riforma
dovesse andare in porto. Ebbene, proprio con riferimento a questa
circostanza non puo' non ricordarsi quanto asserito da Codesta Ecc.ma
Corte nella sent. 220/2013 proprio rispetto alla normativa
riguardante l'assetto degli enti locali le cui componenti essenziali
devono essere, per la loro stessa natura, «disciplinate da leggi
destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed
istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei
principi costituzionali nel processo attuativo delineato dal
legislatore statale ed integrato da quelli regionali».
2. Illegittimita' dell'art. 1, commi 4, 105 e 106 della legge n. 56
del 2014, per contrasto con gli articoli 117, commi 2, lett. p) e 4,
e con l'art. 118 Cost.
In primo luogo, la legge n. 56/2014 risulta viziata da
illegittimita' costituzionale nella parte in cui, all'art. 1, commi
4, 105 e 106, disciplina le Unioni di comuni come enti locali diversi
da quelli elencati all'art. 114 Cost., e al di fuori dei poteri che
l'art. 117, comma 2, lett. p) Cost. rimette allo Stato.
Come visto nella parte in «fatto», i commi censurati concernono
l'ordinamento delle Unioni di comuni, disciplinandone consiglio,
statuto e organizzazione.
Orbene, e' del tutto evidente che le disposizioni statali
impugnate incidono illegittimamente sulla sfera di competenze
legislative che la Costituzione riserva alle Regioni in materia di
disciplina delle forme associative degli Enti locali presenti sul
proprio territorio.
Il consolidato orientamento giurisprudenziale di Codesta Ecc.ma
Corte, infatti, ha da tempo riconosciuto che la disciplina degli enti
locali diversi da quelli indicati all'art. 117, comma 2, lett. p)
rientra nella competenza legislativa residuale delle regioni ai sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost., salvo che vi siano esigenze di
coordinamento della finanza pubblica.
In tal senso, e' stato costantemente affermato che l'obiettivo
del contenimento della spesa pubblica rientra nella finalita'
generale del coordinamento finanziario (Cfr. Corte cost, sentt. n. 27
e n. 156 del 2010, n. 237 e n. 284 del 2009, n. 159 e n. 289 del
2008, n. 417 del 2005 e n. 4 del 2004), e sono stati pertanto
ritenuti legittimi interventi del legislatore statale volti ad
imporre alle regioni vincoli alle politiche di bilancio - anche se
indirettamente incidenti sull'autonomia regionale di spesa -, a
salvaguardia dell'equilibrio unitario della finanza pubblica
complessiva, e del perseguimento degli obblighi comunitari (cfr.
sentt. n. 237 e n. 284 del 2009).
Altrettanto consolidato, tuttavia, e' il principio secondo cui il
sopra citato titolo competenziale sia tale da escludere che un
intervento statale possa spingersi sino a dettare un disciplina di
carattere meramente ordinamentale, potendosi muovere esclusivamente
nei limiti di una solo parziale compressione delle competenze
regionali.
In tal senso, Codesta Ecc.ma Corte ha infatti espressamente
chiarito che «norme statali che fissano limiti alla spesa delle
Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente
duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi
di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio
contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa
corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti obiettivi»
(sent. n. 237 del 2009, citata; nello stesso senso, sent. n. 341 del
2009).
Di conseguenza, e' del tutto evidente che deve ritenersi
riservata alla potesta' statale la sola previsione di un limite
complessivo di spesa che faccia salva un'ampia discrezionalita' degli
enti territoriali nell'allocazione delle risorse tra i diversi ambiti
e obiettivi di spesa e nella scelta di eventuali tagli.
Orbene, appare chiaro che previsioni, come quelle impugnate, che
attengano esclusivamente all'ordinamento dell'Unione dei Comuni
assorbendo la disciplina dell'intera materia, non rispondono a tale
duplice condizione, ridondando in una evidente compressione delle
competenze legislative e amministrative regionali.
A sostegno di quanto sin qui detto sia consentito ricordare come,
con sent. n. 44 del 2014, Codesto Ecc.mo Collegio, nel pronunciarsi
circa l'illegittimita' costituzionale dell'art.16, comma 5, del d.l.
n. 138/2011 - attinente all'istituzione di Unioni di comuni -, ha
avuto modo di affermare che una disposizione che attenga
esclusivamente all'ambito dell'ordinamento dei predetti organismi
esuli dalla materia del coordinamento della finanza pubblica,
ritenendola dunque «estranea alle esigenze di contenimento della
spesa corrente».
Ne', del resto, ad escludere l'illegittimita' dell'intervento
normativo censurato potrebbe invocarsi la competenza esclusiva
statale ex art. 117, comma 2, lettera p), Cost., relativa a
«legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali
di Comuni, Province e Citta' metropolitane». Codesta Ecc.ma Corte ha
da tempo chiarito (da ultimo con la citata sent. n. 44/2014) come il
suddetto titolo competenziale debba essere inteso nel senso che il
riferimento deve ritenersi tassativamente rivolto agli Enti locali
elencati all'art. 114 Cost., cosi' come tassativo e' il contesto
oggettivo interessato, che si sostanzia esclusivamente nella
disciplina del sistema elettorale, della forma di governo e delle
funzioni fondamentali di detti enti.
Di contro, al di fuori dell'ambito materiale come ora
circoscritto, la regolamentazione degli Enti locali deve essere di
certo ricondotta nella competenza residuale delle Regioni ex art.
117, comma 4, Cost., e cio' anche al fine di garantire la
possibilita' che la singola Regione, nel ruolo di ente
rappresentativo delle diverse istanze presenti sul proprio
territorio, provveda all'adozione di previsioni differenziate che
tengano in adeguata considerazione le esigenze espresse dalla
comunita' di riferimento, in osservanza dei principi di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione consacrati nell'art.
118, comma 1, Cost.
Tali considerazioni trovano peraltro conferma nella citata
sentenza n. 44/2014 di Codesto Ecc.mo Collegio, nella quale e'
precisato che «si deve escludere che, a giustificazione
dell'Intervento legislativo dello Stato, possa essere invocato l'art.
117, secondo comma, lettera p), Cost., nella parte in cui assegna
alla competenza esclusiva statale la materia relativa a «legislazione
elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni,
Province e Citta' metropolitane», in quanto il riferimento a tali
enti si deve ritenere tassativo, mentre nella suddetta elencazione
manca ogni riferimento all'unione di Comuni».
Sia inoltre consentito ricordare come tale orientamento sia
radicato nella costante giurisprudenza costituzionale, sviluppatasi
in particolare in merito alla disciplina delle comunita' montane. E'
opportuno precisare come alle stesse sia stata attribuita la natura
giuridica di ente autonomo, quali proiezione dei Comuni facenti capo
ad esse, ovvero quali «unioni di comuni, enti locali costituiti fra
comuni montani» (Corte cost., sent. n. 244 del 2005, richiamata da
ultimo dalla sent. n. 27 del 2010).
In tal senso, Codesta Ecc.ma Corte ha avuto modo di precisare che
la disciplina delle comunita' montane rientra nella competenza
residuale delle Regioni (si vedano, in particolare, le sentt. n. 237
del 2009, n. 456 e n. 244 del 2005).
Il riconoscimento della predetta potesta' regionale esclusiva
trova, in particolare, fondamento nel fatto che tali comunita' devono
essere identificate come autonomie sub-regionali meramente
strumentali e non gia' rientranti tra gli enti necessari sulla base
di norme costituzionali; alla luce di cio', pertanto, «rientra nella
potesta' legislativa delle Regioni disporne anche, eventualmente, la
soppressione» (Corte cost., sent. n. 27 del 2010, citata, e le ivi
richiamate sentt. n. 237 del 2009, citata, e n. 229 del 2001).
Orbene, e' dunque del tutto evidente che i principi affermati
dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte nelle pronunce sopra
richiamate trovino immediata applicabilita' alla normativa statale
della cui legittimita' costituzionale si discute. Se la ratio della
competenza regionale in materia di comunita' montane deve essere
rinvenuta nel carattere non essenziale e non costituzionalmente
indefettibile delle stesse, non puo' dubitarsi allora come nella
suddetta competenza vada, altresi', ricondotta la disciplina delle
forme associative di Comuni e, in particolare, delle unioni.
Cosi' correttamente ricostruito il riparto di attribuzioni tra
Stato e Regioni in materia, risulta netto il contrasto del citato
art. 1, commi 4, 105 e 106 della legge n. 56/2014 con il dettato
costituzionale, derivandone di conseguenza la manifesta violazione
delle competenze normative regionali.
3. Illegittimita' dell'art. 1, comma 5 e comma 6, della legge n.
56/2014 per contrasto con gli articoli 3, 97, 117, 133 e 138 Cost.
3.1 La legge 56/2014 all'art. 1, comma 5, istituisce le citta'
metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze,
Bari, Napoli e Reggio Calabria; contestualmente, all'art. 1, comma 6,
viene previsto che il loro territorio coincida con quello delle
province omonime. La legge statale, dunque, individua, nominatim, gli
enti territoriali di area vasta (secondo la definizione usata dallo
stesso legislatore statale) che vengono assoggettati ad un regime
differenziato rispetto a quello delle province, ivi compresa la
provincia di Napoli che viene soppressa e sostituita con l'omonima
citta' metropolitana. La disposizione, cosi' concepita, e'
illegittima sotto diversi profili.
In primo luogo e' opportuno rilevare come non sussista alcun
chiaro titolo che legittimi un intervento legislativo dello Stato
nella materia.
Gli unici dati espressi ricavabili dalla lettura del dettato
costituzionale sono quelli attinenti, da un lato, alla competenza
statale in ordine all'istituzione delle province (art. 133, comma 1,
Cost.), dall'altro alla competenza delle Regioni per l'istituzione
dei Comuni (art. 133, comma 2, Cost.). Di converso, non e' dato
rinvenire alcuna disposizione costituzionale che disciplini la
spettanza del potere di istituzione delle citta' metropolitane.
E', peraltro, evidente come lo stesso non possa certo essere
ricondotto alla potesta' legislativa statale in materia di
«legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali»
di cui all'art. 117, comma 2, lett. p), Cost. Codesta Ecc.ma Corte
ha, infatti, da tempo chiarito che il suddetto titolo competenziale
deve intendersi rivolto al contesto oggettivo tassativamente
interessato, che si sostanzia esclusivamente nella disciplina del
sistema elettorale, della forma di governo e delle sole funzioni
fondamentali di detti enti (ex plurimis, sent. n. 43 del 2004).
Se, dunque, rispetto alle citta' metropolitane, il legislatore
statale e' certamente competente in ordine alla disciplina del
sistema elettorale e degli organi, nonche' alla determinazione delle
funzioni fondamentali, lo stesso non puo' dirsi per quanto attiene
all'istituzione di detti enti locali.
Pertanto, secondo il principio della competenza legislativa
regionale residuale, alla stregua del quale «spetta alle Regioni la
potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato» (art. 117, quarto comma,
Cost.), puo' senza dubbio affermarsi che il silenzio in ordine a
detta competenza investe senz'altro la Regione dei predetti poteri.
Stabilito, dunque, che non rientra in alcun modo nella potesta'
legislativa esclusiva statale la competenza in ordine
all'individuazione del territorio della citta' metropolitana, non
puo' in alcun modo rilevare l'inciso con cui si apre il comma 5,
dell'art. 1 (in attesa della riforma del titolo V della parte seconda
della Costituzione e delle relative norme di attuazione») che fa
riferimento al progetto di legge di revisione costituzionale proposto
dal Governo in carica (AS 1429) in base al quale verrebbe attribuita
allo Stato la competenza sull'«ordinamento delle citta'
metropolitane» (procedendo, dunque alla necessaria integrazione del
vigente testo dell'art. 117, comma secondo, lettera p), Cost. Tale
inciso, in luogo di costituire titolo autorizzativo per il
legislatore statale, appare, invece, in evidente contrasto con l'art.
117, primo comma, Cost. e si pone altresi' in contrasto con il
principio di rigidita' costituzionale (art. 138 Cost.), anticipando
un titolo competenziale che evidentemente allo stato di vigenza manca
nel testo costituzionale.
3.2 Peraltro, anche nella denegata e non creduta ipotesi in cui
Codesta Ecc.ma Corte non voglia ritenere la competenza esercitata
dallo Stato come eccedente rispetto alla previsione di cui all'art.
117, comma secondo, lettera p), Cost. e lesiva, dunque, della
competenza residuale ex art. 117, comma quarto, Cost., la
disposizione de qua risulta illegittima anche sotto altro profilo. La
evidente natura di legge-provvedimento, oltre a porsi in contrasto
con i principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale in
materia di chiamata in sussidiarieta' a partire dalla sent. 303/2003,
comporta, infatti, che si debba rinvenire nella norma la negazione
del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e che si debba
rilevare il contrasto con il principio di imparzialita' cui
soggiacciono necessariamente le leggi di carattere provvedimentale
(art. 97 Cost.). La Regione ricorrente non puo', infatti, non
osservare come la censurata disciplina si caratterizza, rispetto alle
precedenti disposizioni statali in materia, per l'eliminazione di una
disciplina di carattere generale sul procedimento di istituzione
delle citta' metropolitane. E' evidente, infatti, come l'art. 1,
comma 5 si limiti ad individuare 9 province esistenti, decretandone
la soppressione e la contestuale sostituzione con le relative citta'
metropolitane. Non appare revocabile in dubbio che tali previsioni,
nella parte in cui individuano singolarmente le province da
trasformare in citta' metropolitane, difettano dei requisiti di
generalita' e astrattezza, connotandosi quindi per il carattere di
legge provvedimento. Tuttavia, sotto tale aspetto, le previsioni
censurate appaiono sprovviste di qualsivoglia ragionevole
giustificazione, con cio' ponendosi in palese contrasto con i gia'
menzionati principi di eguaglianza e ragionevolezza sanciti dall'art.
3 Cost., nonche' con il canone di imparzialita' espresso dall'art. 97
Cost.
Peraltro, sia consentito osservare che il principio della
ragionevolezza, sotto il profilo della proporzionalita' e
dell'adeguatezza rispetto ai fini, costituisce canone di legittimita'
costantemente affermato dalla giurisprudenza costituzionale,
soprattutto nel caso in cui il legislatore statale intervenga in
materie che incidono su aspetti connessi all'autonomia degli enti
locali o su materie riservate alla potesta' legislativa regionale.
Secondo l'insegnamento di Codesta Ecc.ma Corte, il sindacato di
legittimita' costituzionale di una norma non rifugge dal controllo
sulla ragionevolezza della stessa in relazione alle finalita'
perseguite (cfr. Corte cost., sent. n. 148 del 2009), essendo ben
possibile la verifica che le previsioni impugnate «non appaiano
irragionevoli, ne' sproporzionate rispetto alle esigenze indicate»
(Corte cost., sent. n. 326 del 2008) e che gli strumenti normativi
rimessi allo scrutinio di legittimita' costituzionale appaiono
«disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli
obiettivi attesi» (Corte cost., sent. n. 452 del 2007 e le ivi citate
sentt. n. 274 e n. 14 del 2004). In definitiva, come ribadito in
altra occasione da Codesta Ecc.ma Corte, «l'intervento del
legislatore statale e' legittimo se contenuto entro i limiti dei
canoni di adeguatezza e proporzionalita'» (Corte cost. n. 345 del
2004). Orbene, con riferimento al caso di specie, non e' dato
rinvenire all'interno della disposizione impugnata alcuna indicazione
circa le ragioni che hanno mosso il legislatore statale ad
individuare solamente alcune determinate province come destinatarie
dell'intervento di trasformazione in citta' metropolitane. La norma,
infatti, non chiarisce quali siano i criteri alla stregua dei quali
si e' ritenuta necessaria la soppressione dei preesistenti enti
provinciali e la loro contestuale sostituzione con le nuove realta'
istituzionali. Ne', tanto meno, appare possibile affermare se sara'
eventualmente possibile costituire in futuro altre citta'
metropolitane, ne' in che modo e a quali condizioni cio' potra'
avvenire. Da tutto quanto appena osservato, appare evidente come la
disciplina recata dall'art. 1 comma 5 si palesi, altresi', del tutto
irragionevole, laddove realizza un'ingiustificata disparita' di
trattamento a danno delle Province sopprimende.
3.3 Ai motivi di censura sopraelencati, deve aggiungersi la
lesione delle prerogative regionali data dall'esclusione della
previsione di qualsiasi forma di partecipazione delle Regioni
all'interno del procedimento di istituzione delle citta'
metropolitane.
In tal senso, la ricorrente non puo' esimersi dal rilevare come
l'odierna disciplina si distanzi notevolmente dalle precedenti
previsioni normative in materia. Appare, infatti, significativo come
lo stesso art. 22 del d.lgs. n. 267/2000 rimettesse proprio alla
Regione, su conforme proposta degli enti locali interessati, la
delimitazione territoriale dell'area metropolitana. Cio', nonostante
tale articolo fosse stato adottato nella vigenza del precedente
assetto istituzionale delineato dalla vecchia formulazione del Titolo
V. Sorprende, pertanto, come la disciplina odierna, introdotta in un
contesto di formale e sostanziale equiordinazione di Stato e Regioni,
non riconosca a queste ultime alcun coinvolgimento nella creazione
delle citta' metropolitane, in totale spregio del canone di leale
collaborazione. Ma la totale pretermissione dell'ente regionale
dall'iter istitutivo della citta' metropolitana si palesa ancora piu'
grave laddove si consideri che la disposizione censurata procede alla
contestuale soppressione delle province elencate (tra le quali la
Provincia di Napoli).
3.4 Con riguardo, infine, alle previsioni di cui all'art. 1,
comma 6 e commi da 12 a 18, occorre rilevare che tali disposizioni,
nella parte in cui disciplinano un procedimento di
soppressione-sostituzione delle Province in corrispondenza della
costituzione delle Citta' metropolitane si pongono in deroga alle
previsioni recate dall'art. 133, primo comma, della Costituzione, e
sono, pertanto, passibili di censura anche per violazione di questo
parametro di legittimita'. Sia consentito rammentare che per
l'istituzione delle Province l'art. 133, comma 1, Cost. delinea un
particolare procedimento, nell'ambito del quale la Regione deve
esprimere il proprio parere. Se, dunque, la Costituzione riserva alla
Regione un particolare ruolo, sia pure consultivo, all'interno della
vicenda genetica della Provincia, risulta indubitabile come tale
ruolo debba essere altrettanto osservato e garantito laddove della
Provincia si decida la soppressione.
Peraltro, a conferma di cio', Codesta Ecc.ma Corte, nella sent.
220/2013, ha affermato che «sin dal dibattito in Assemblea
costituente e' emersa l'esigenza che I iniziativa di modificare le
circoscrizioni provinciali - con introduzione di nuovi enti,
soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini
dei rispettivi territori -fosse il frutto di iniziative nascenti
dalle popolazioni interessate, tramite i loro piu' immediati enti
esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte
dall'alto» (diritto 12.2). Non e' dubbio pertanto che la predetta
disposizione costituzionale si applica anche per la soppressione
delle Province esistenti ed e' norma indefettibile e derogabile
soltanto con apposite disposizioni di rango costituzionale.
Particolarmente grave e', poi, dal punto di vista della deroga
all'art. 133 Cost., la previsione in base alla quale le modifiche
delle circoscrizioni provinciali limitrofe alle citta' metropolitane
possa avvenire solo per l'adesione alle citta' medesime ma non anche,
per l'ipotesi inversa, in uscita dalla costituenda citta'
metropolitana verso le Province contermini.
D'altra parte, la violazione dell'art. 133 rileva anche sotto un
altro profilo. E, infatti, anche a voler accogliere la tesi -
fantasiosa! - che la competenza statale in tema di istituzione delle
citta' metropolitane deriva da una loro sostanziale equiparazione con
le Province, e' evidente che alla istituzione delle citta'
metropolitane deve applicarsi la stessa procedura prevista per le
province!
4. Illegittimita' dell'art. 1, commi 22 e 130, della legge n. 56 del
2014, per contrasto con gli articoli 123 e 133 Cost.
Ulteriore profilo di incostituzionalita' della disciplina statale
deve essere rinvenuto nelle previsioni di cui ai commi 22 e 130 i
quali, nel prevedere rispettivamente l'articolazione del territorio
del comune capoluogo della citta' metropolitana in piu' comuni, e un
particolare procedimento di fusione di piu' comuni (fusione per
incorporazione), intervengono a regolare l'iniziativa del referendum
consultivo obbligatorio delle popolazioni interessate.
Risulta chiaro come le disposizioni suddette collidano con l'art.
133, comma 2, Cost., a norma del quale l'istituzione di nuovi comuni
nel territorio regionale, ovvero la modificazione delle loro
circoscrizioni o denominazioni sono rimesse al legislatore regionale,
sentite le popolazioni interessate.
Come costantemente riconosciuto da Codesta Ecc.ma Corte sul
punto, «spetta alla legge regionale dare attuazione all'art. 133,
secondo comma, della Costituzione, individuando le popolazioni
interessate alla variazione territoriale; che e' sempre
costituzionalmente obbligatoria la consultazione delle popolazioni
residenti nei territori che sono destinati a passare da un Comune
preesistente ad uno di nuova istituzione, ovvero ad un altro Comune
preesistente» (Corte cost., sent. n. 47 del 2003).
L'assoluta incompatibilita' della disciplina introdotta dai commi
22 e 130 rispetto alla richiamata disposizione costituzionale e'
sufficiente ad evidenziare la manifesta incostituzionalita' del
predetto intervento statale.
Ma le norme censurate risultano viziate anche sotto ulteriore
profilo, nella parte in cui dispongono che le proposte di nuove
articolazioni del territorio siano sottoposte a referendum tra tutti
i cittadini dell'area interessata, da effettuare sulla base delle
rispettive leggi regionali, e approvata dalla maggioranza dei
partecipanti al voto.
Le previsioni suddette invadono con ogni evidenza la riserva
statutaria regionale in materia di regolamentazione del referendum
sulle leggi e sui provvedimenti amministrativi regionali, sancita
dall'art. 123, comma 1, Cost. In particolare, dando attuazione a tale
attribuzione costituzionale, il legislatore statutario campano, con
l'art. 14, comma 2, dello Statuto, ha previsto espressamente che
«sono obbligatoriamente sottoposte a referendum consultivo delle
popolazioni interessate le proposte di legge concernenti la
istituzione di nuovi comuni e i mutamenti delle circoscrizioni e
delle denominazioni comunali».
In aggiunta, e' doveroso rilevare come, con l.r. n. 25/1975, la
Regione Campania abbia dato compiuta disciplina alla predetta ipotesi
di consultazione popolare, prescrivendo anche un apposito quorum di
validita'.
E' palese, pertanto, che le disposizioni statali censurate,
introducendo una nuova ipotesi di referendum consultivo e
disciplinando le modalita' ed i tempi di svolgimento, contrastano
manifestamente con la predetta previsione statutaria, violando di
conseguenza l'art. 123, comma 1, Cost.
5. Illegittimita' dell'art. 1, commi 89 e 91, della legge n. 56 del
2014, per contrasto con gli articoli 114 e 118 Cost.
5.1 Come visto nella parte in «Fatto», il comma 89 prevede che lo
Stato e le regioni, secondo le rispettive competenze, attribuiscano
le funzioni provinciali diverse da quelle di cui al comma 85 (vale a
dire le funzioni fondamentali non espressamente individuate e tutte
le funzioni non fondamentali conferite alle regioni) in attuazione
dell'art. 118, nonche' al fine di conseguire le ulteriori finalita'
previste dal comma medesimo.
Il comma 91 prevede poi che entro l'8 luglio 2014 siano
individuate in modo puntuale le funzioni provinciali non fondamentali
oggetto di riordino e le relative competenze, il tutto con accordo
stipulato in sede di Conferenza unificata tra Stato, Regioni e
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Tali disposizioni sono manifestamente illegittime, ponendosi in
stridente contrasto con gli artt. 114 e 118 Cost.
Preliminarmente e in via generale, e' appena il caso di
sottolineare come l'intervento legislativo statale denoti una grave
carenza di valutazione in termini di compatibilita' costituzionale,
dimensione effettiva della trasformazione e funzionalita' rispetto
agli obiettivi da perseguire.
Le impugnate disposizioni renderebbero infatti necessaria la
riallocazione di personale e strutture verso i Comuni, nonche' di
risorse che garantiscano una adeguata copertura finanziaria delle
funzioni trasferite, comportando tutta una serie di problemi di
natura tecnica che non sembrano esser stati presi in considerazione
dall'intervento legislativo (si pensi, ad esempio ai procedimenti di
individuazione e trasferimento del personale, all'individuazione dei
rapporti attivi e passivi, patrimoniali e contenziosi, oggetto di
trasferimento, alla verifica circa le possibili ricadute finanziarie
del processo di trasferimento sugli enti subentranti, etc.).
Peraltro, dovendosi escludere che tutte le funzioni provinciali
da riallocare, in base ai principi di sussidiarieta', adeguatezza e
differenziazione, possano essere assunte direttamente dalla Regione,
e' da ritenere che - fino a una futura razionalizzazione dell'assetto
organizzativo degli enti locali regionali - si verifichera', con ogni
probabilita', un aumento dei costi, determinato dall'istituzione di
nuovi apparati amministrativi sovra-comunali, dal venir meno delle
economie di scala su base provinciale e, comunque, dalla necessita'
di far fronte ad una fase di riorganizzazione certamente complessa e
conflittuale.
5.2 Fatta questa premessa generale, appare in primo luogo
necessario sottolineare come da una lettura del comma 89 emerga
evidentemente l'obbligo, per la Regione, di mantenere in capo alle
province le sole funzioni individuate dalla legge statale come
fondamentali, dovendo ridistribuire ai Comuni le funzioni residuali
gia' facenti capo ai predetti enti locali.
In tal modo, la disciplina statale impedisce evidentemente che la
singola Regione possa ricoprire il proprio ruolo di ente
rappresentativo delle diverse istanze presenti sul proprio
territorio, provvedendo all'adozione di previsioni differenziate che
tengano in adeguata considerazione le esigenze espresse dalla
comunita' di riferimento, in osservanza dei principi di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione consacrati nell'art.
118, comma 1, Cost.
Tali conclusioni risultano vieppiu' confermate laddove si
consideri la terminologia usata dal legislatore statale. Il comma 89
si esprime infatti in termini di attribuzione di competenze anziche'
di conferimento, cosi' implicitamente intendendo imporre alla regioni
di riallocare funzioni, gia' provinciali, esclusivamente in capo ai
comuni e non anche, per assicurarne l'esercizio unitario, in capo
alle province medesime, alle citta' metropolitane o alla Regione.
Sotto analogo profilo risulta altresi' viziato il comma 91. Come
gia' visto, tale disposizione, letta in combinato disposto con quanto
previsto dal precedente comma 89, prevede che un accordo
Stato-regioni-organizzazioni sindacali individui le funzioni oggetto
di riordino che la regione dovra' successivamente allocare con legge
in forza del predetto comma 89.
Orbene, tale previsione risulta evidentemente illegittima nella
parte in cui riferisce all'accordo non solo l'individuazione delle
funzioni da riallocare, bensi' anche quella delle competenze da
attribuire, in tal modo ledendo la riserva di competenza legislativa
regionale in materia di conferimento delle funzioni amministrative.
E' infatti evidente che un'interpretazione costituzionalmente
orientata della disposizione in esame richiederebbe che, una volta
definito il perimetro delle funzioni fondamentali, l'accordo si
limitasse a definire l'ambito delle funzioni oggetto di riordino,
lasciando al legislatore regionale la piu' ampia autonomia nella fase
di riorganizzazione delle funzioni non fondamentali, anche in
relazione alla loro collocazione. L'accordo non dovrebbe dunque
stabilire presso quale soggetto allocare una determinata funzione,
trattandosi di scelta che attiene esclusivamente alla competenza
della Regione.
Le disposizioni censurate dunque, contrariamente a quanto sancito
dal primo comma dell'art. 1 della legge n. 56/2014 secondo cui tale
intervento statale si porrebbe come fine l'adeguamento degli enti
locali ai principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza,
contrastano con i suddetti principi, e risultano gravemente lesiva
delle prerogative della Regione Campania.
6. Illegittimita' dell'art 1, comma 95, della legge n. 56 del 2014,
per contrasto con gli articoli 118, 120 e 3 Cost.
Sotto diverso profilo, la disciplina di cui alla legge n. 56/2014
risulta altresi' incompatibile con gli artt. 3, 118 e 120, nella
parte in cui viene configurata un'ipotesi di esercizio del potere
sostitutivo del Governo nei confronti delle Regioni nel caso di
mancata attuazione dell'accordo di cui al comma 91.
In particolare, il comma 95 dell'art. 1, dispone che «La regione,
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge
(dunque entro l'8 ottobre 2014), provvede, sentite le organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative, a dare attuazione all'accordo
di cui al comma 91. Decorso il termine senza che la regione abbia
provveduto, si applica l'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n.
131.»
In primo luogo, e' opportuno sottolineare l'insanabile contrasto
di tale previsione con l'art. 120 Cost., ai sensi del quale i poteri
sostitutivi devono essere esercitati nel rispetto del principio di
leale collaborazione. Dall'esame della disciplina censurata, infatti,
emerge come l'eventuale ritardo nell'attuazione dell'accordo ex art.
1, comma 91 comporti l'automatica sostituzione del Governo, senza che
sia previsto «un procedimento nel quale l'ente sostituito sia
comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso
l'autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento»
(Corte cost. sent. n. 43/2004), e senza che sia possibile rinvenire
all'interno della disciplina censurata alcuna delle fasi
procedimentali prescritte, a tal fine, dall'art. 8 legge n. 131/2003.
Tale automatismo risulta tanto piu' illegittimo ove si consideri
che il termine previsto dal comma 91 per l'adozione dell'accordo tra
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, Stato e
Regioni (ovvero l'8 luglio 2014) ha evidentemente natura ordinatoria
e prorogabile, diversamente da quello posto in capo alle Regioni per
l'attuazione dell'accordo medesimo.
La scadenza di questo secondo termine consente infatti allo
Stato, come visto, l'immediato ed automatico ricorso ai poteri
sostitutivi, ed ha dunque carattere perentorio e tassativo.
Orbene, tale illogica scansione temporale comporta con ogni
evidenza che non sia garantito, sul piano procedimentale, il
passaggio di un congruo lasso di tempo tra la data di effettiva
adozione dell'accordo e il termine imposto alle regioni per darvi
attuazione, con la conseguenza che l'accordo potrebbe anche essere
raggiunto successivamente alla scadenza del termine regionale per
l'esecuzione. Al verificarsi di tale irragionevole ipotesi, dunque,
le regioni potrebbero risultare inadempienti pur non essendo ad esse
imputabile l'eventuale ritardo, con evidente violazione di
qualsivoglia principio di ragionevolezza riconducile all'art. 3 Cost.
In secondo luogo, il comma censurato risulta altresi' illegittimo
per violazione dell'art. 118, nella parte in cui non prevede che il
sopraggiungere della legge regionale di attuazione dell'accordo - e
dunque di attribuzione delle funzioni amministrative agli enti locali
- faccia venir meno il presupposto che legittima l'intervento statale
in materia, ovvero l'inerzia regionale.
E' infatti noto che l'intervento sostitutivo esercitabile dallo
Stato ai sensi dell'art. 120 Cost. debba avere carattere cedevole,
perdendo efficacia qualora le regioni, anche tardivamente, si
conformino agli obblighi loro spettanti.
Da ultimo, la disposizione di cui al comma 95 risulta in
contrasto con gli artt. 118 e 120 altresi' nella parte in cui
individua come oggetto del potere sostitutivo statale l'attuazione
dell'accordo con cui Stato e regioni individuano in modo puntuale le
funzioni provinciali oggetto del riordino «e le relative competenze»,
e non invece il conferimento delle funzioni individuate nell'accordo
medesimo con riferimento agli enti territoriali, alle modalita' e ai
principi indicati dal citato art. 118 Cost.
Per tutto quanto sopra detto, il meccanismo sostitutivo delineato
dalla disciplina statale impugnata risulta dunque manifestamente
illegittimo per violazione degli artt. 118 e 120, comma 2, Cost.,
nonche' per contrasto con l'essenziale principio di ragionevolezza,
sancito dall'art. 3 Cost.
7. Illegittimita' dell'art. 1, comma 149, della legge n. 56 del 2014,
per contrasto con gli articoli 97, 117, 118, 123 e 136 Cost.
Sotto profilo ancora ulteriore, la legge n. 56/2014 risulta
altresi' viziata da illegittimita' costituzionale nell'art. 1, comma
149, per violazione degli articoli 97, 117, 118, 123 e 136 Cost.
In particolare, tale disposizione prevede che, «al fine di
procedere all'attuazione di quanto previsto dall'art. 9 del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95», il Ministro per gli affari
regionali predispone appositi programmi di attivita' contenenti
modalita' operative e altre indicazioni. Ebbene, risulta in primo
luogo di immediata evidenza l'illegittimita' di tale disposizione per
violazione degli art. 97 e 136 Cost. La richiamata disposizione del
D.L. n. 95, infatti, e' stata abrogata dall'art. 1, comma 562, lett.
a), della legge n. 147/2013, ed e' stata altresi' dichiarata
parzialmente illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza
n. 236 del 2013. Nondimeno, dalla lettura del comma 149 non sembra
potersi trovare altra interpretazione della volonta' del legislatore
se non quella di richiamare in vita l'art. 9 d.l. n. 95/2012,
presupponendone la vigenza.
E' appena il caso di notare, tuttavia, come Codesto Ecc.mo
Collegio, recentemente esprimendosi in merito, ha chiarito che il
fenomeno della reviviscenza di norme abrogate non opera in via
generale e automatica, e «puo' essere ammesso soltanto in ipotesi
tipiche e molto limitate, quando cio' sia disposto in modo espresso»
(Corte cost., sent. n. 13/2013).
L'intervento statale di cui si discute produce dunque una
disciplina normativa «foriera di incertezza» (Corte cost. n.
364/2010) e che determina un «irrazionale esercizio della
discrezionalita' legislativa» (Corte cost. n. 70/2013).
Peraltro, il richiamo alla disposizione abrogata ai fini della
sua applicazione determina altresi' la violazione del giudicato
costituzionale, in virtu' della declaratoria di incostituzionalita'
dell'art. 9, comma 4, del d.l. n. 95/2012 avvenuta ad opera della
sentenza n. 236/2013.
La violazione degli artt. 97 e 136 Cost. ridonda necessariamente
nella lesione delle attribuzione regionali costituzionalmente
garantite in materia di organizzazione amministrativa regionale, in
contrasto con gli articoli 117, 118 e 123 Cost.
P.Q.M.
La Regione Campania, come sopra rappresentata e difesa, chiede
che Codesta Ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso,
voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 commi
4, 5, 6, da 12 a 18, 22, 89, 91, 95, 105, 106, 130 e 149, della Legge
7 aprile 2014, n. 56, per violazione degli articoli 114, 117, commi
2, lett. p), 3, 4 e 6, 118, 120, 123, 133, 136, 138 e 2, 3, 5 e 97
della Costituzione.
Roma-Napoli, 6 giugno 2014
Prof. Avv.: Beniamino Caravita di Toritto
Avv.: Maria D'Elia