Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
Cancelleria il 13 giugno 2014 (della Regione Campania).
 


(GU n. 34 del 2014-08-13)

    Ricorso della Regione Campania (c.f. …), in persona del
Presidente della Giunta regionale  pro  tempore,  On.  Dott.  Stefano
Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della Giunta
regionale n. 155 del 3 giugno 2014,  giusta  procura  a  margine  del
presente atto, unitamente e disgiuntamente,  dall'Avv.  Maria  D'Elia
(c.f. …), dell'Avvocatura regionale, e dal Prof.  Avv.
Beniamino Caravita di Toritto  (c.f.  …),  del  libero
foro, ed elettivamente domiciliata presso l'Ufficio di rappresentanza
della Regione Campania sito in  Roma  alla  Via  Poli,  n.  29  (fax:
…; pec abilitata: …);
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri  pro-tempore  per
la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  1,
commi 4, 5, 6, da 12 a 18, 22, 89, 91, 95, 105, 106, 130 e 149, della
Legge 7 aprile 2014, n. 56, avente  ad  oggetto  «Disposizioni  sulle
citta' metropolitane, sulle  province,  sulle  unioni  e  fusioni  di
comuni, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale - Serie Generale,  n.  81
del 7 aprile 2014, per violazione degli articoli 114, 117,  commi  2,
lett. p), 3, 4 e 6, 118, 120, 123, 133, 136, 138 e 2, 3, 5 e 97 della
Costituzione.
 
                                Fatto
 
    Con l'art. 1 della legge 7 aprile  2014,  n.  56  il  legislatore
statale  ha  approntato  una  serie  di  misure  concernenti   citta'
metropolitane; province, unioni e  fusioni  di  comuni  «al  fine  di
adeguare  il  loro,  ordinamento  ai  principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e adeguatezza».
    In particolare, per quanto qui  di  interesse,  il  comma  4  del
predetto articolo 1 dispone che le unioni di comuni sono enti  locali
costituiti da due o piu' comuni per l'esercizio associato di funzioni
o servizi di propria competenza, e ne lascia la disciplina  specifica
ai commi da 104 a 141.
    A tal proposito, i commi  105  e  106  contengono  previsioni  di
carattere ordinamentale,  intervenendo  su  alcune  disposizioni  del
TUEL. In particolare, il comma 105 apporta alcune modifiche  all'art.
32 d.lgs. n. 267/2000, sostituendone il comma 3 con la previsione che
il Consiglio dell'unione di comuni  sia  composto  da  un  numero  di
consiglieri definito nello statuto, eletti dai singoli  consigli  dei
comuni  associati  tra  i  propri  componenti  in  modo   che   siano
rappresentati tutti i comuni e le minoranze. Ancora,  sostituendo  il
comma 4 dell'art. 32 citato, la disposizione  impugnata  prevede  che
«L'unione ha  potesta'  statutaria  e  regolamentare  e  ad  essa  si
applicano, in quanto compatibili e non derogati con  le  disposizioni
della legge recante disposizioni sulle  citta'  metropolitane,  sulle
province, sulle unioni e fusioni di comuni, i principi  previsti  per
l'ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo status  degli
amministratori, all'ordinamento finanziario e contabile, al personale
e all'organizzazione. Lo statuto dell'unione stabilisce le  modalita'
di funzionamento degli organi e ne disciplina i rapporti. In fase  di
prima istituzione lo statuto dell'unione e'  approvato  dai  consigli
dei comuni partecipanti e le successive modifiche sono approvate  dal
consiglio dell'unione».
    Da ultimo, il comma 105 introduce  il  comma  5-ter  all'art.  32
TUEL, con il quale sancisce che il presidente dell'unione  di  comuni
si avvale di un segretario di un comune  facente  parte  dell'unione,
senza che cio' comporti l'erogazione di ulteriori indennita' e  senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza  pubblica,  facendo  salvi  gli
incarichi per le funzioni di segretario gia' affidati.
    A sua volta, il comma 106 prevede residualmente che,  per  quanto
non previsto dai commi 3, 4 e 5-ter dell'art. 32 del testo unico come
modificati dal comma 105,  lo  statuto  dell'unione  di  comuni  deve
altresi' rispettare i principi di organizzazione e di  funzionamento,
nonche' le soglie  demografiche  minime  eventualmente  disposti  con
legge regionale.
    Sotto diverso profilo, i commi da 5 a 51  dettano  la  disciplina
delle citta' metropolitane.
    Nel dettaglio, il comma 5 oggi impugnato contiene una  previsione
di carattere  generale,  disponendo  che  «in  attesa»  (sic!)  della
riforma del titolo V, parte seconda, della  Costituzione,  le  citta'
metropolitane di Torino,  Milano,  Genova,  Bologna,  Firenze,  Bari,
Napoli e Reggio Calabria sono disciplinate dalla presente legge,  «ai
sensi e nel rispetto di  quanto  previsto  dagli  artt.  114  e  117,
secondo comma, lett. p),  della  Costituzione  e  ferma  restando  la
competenza regionale ai sensi del predetto articolo 117».
    Il  comma  6  prevede  invece,  piu'  nello  specifico,  che   il
territorio della  citta'  metropolitana  coincide  con  quello  della
provincia omonima,  ferma  restando  per  i  comuni  la  facolta'  di
iniziativa,  ai  sensi  dell'art.  133,  primo  comma,   Cost.,   per
modificare le circoscrizioni provinciali limitrofe e per aderire alla
citta' metropolitana. Il secondo periodo del comma 6 prevede poi che,
qualora la regione interessata,  entro  30  giorni  dalla  richiesta,
esprima parere contrario, in tutto o in parte, rispetto alle proposte
formulate dai comuni, il Governo promuove un'intesa tra la regione  e
i comuni interessati, da definire entro  90  giorni  dall'espressione
del parere della regione. Il Consiglio dei ministri, qualora entro il
predetto termine non venga raggiunta l'intesa,  sentito  il  Ministro
per gli affari regionali e il Ministro dell'Interno, nonche' udito il
presidente della regione, decide autonomamente circa l'approvazione e
la successiva presentazione al parlamento del  disegno  di  legge  di
modifica del territorio di province e citta' metropolitane  ai  sensi
dell'art. 133 Cost.
    I   commi   da   12   a   18   prevedono   un    meccanismo    di
soppressione/sostituzione  delle  province  in  corrispondenza  della
costituzione delle neoistituite citta' metropolitane.
    In particolare, e' previsto che tali enti siano costituiti, salvo
per quando previsto per Reggio Calabria dal comma 18, nel  territorio
delle province omonime alla data di entrata  in  vigore  della  legge
(comma 12). Lo statuto delle citta' metropolitane e' redatto  da  una
conferenza statutaria, la cui disciplina e' contenuta nel comma 13.
    Il comma 14 dispone la permanenza in carica, fino al 31  dicembre
2014 e a titolo gratuito, del  presidente  della  provincia  e  della
giunta provinciale in pendenza di mandato alla  data  di  entrata  in
vigore della legge, con funzioni di ordinaria amministrazione  e  per
l'adozione degli atti improrogabili e urgenti. Il  presidente  assume
altresi'  le  funzioni  del   consiglio.   Ove   la   provincia   sia
commissariata, il commissariamento e' altresi' prorogato sino  al  31
dicembre 2014.
    Ai sensi del comma 15, entro il 30 settembre devono aver luogo le
elezioni del consiglio metropolitano e il suo  insediamento,  nonche'
l'insediamento della conferenza metropolitana. Entro il  31  dicembre
2014 il consiglio deve approvare lo statuto.
    Il definitivo subentro delle citta' metropolitane  alle  province
interessate dalla soppressione e' sancito  dal  comma  16,  che  pone
quale termine per il compimento di tale passaggio il 1° gennaio 2015.
Tale  disposizione  prevede  altresi'  che  le  citta'  metropolitane
succedono alle province omonime «in tutti i rapporti attivi e passivi
e ne esercitano le funzioni, nel rispetto degli equilibri di  finanza
pubblica e degli obiettivi  del  patto  di  stabilita'  interno».  Il
predetto comma 16 prevede inoltre che, ove alla predetta data non sia
approvato lo statuto metropolitano, si applichi  quello  provinciale,
con particolare riferimento alle disposizioni concernenti presidente,
consiglio e giunta provinciali. In caso di mancata approvazione della
statuto  metropolitano  entro  il  30  giugno  2015  si  applica   la
previsione di cui all'art. 8 della legge n. 131/2003 (comma 17).
    Infine, il comma 18  contiene  una  speciale  disciplina  per  la
citta' metropolitana di Reggio Calabria.
    L'art. 1 prevede poi, al comma 22, l'articolazione del territorio
del comune capoluogo della citta' metropolitana in piu'  comuni  come
condizione necessaria per l'elezione,  diretta,  del  sindaco  e  del
consiglio metropolitano. Tale articolazione deve avvenire su proposta
del consiglio comunale  del  comune  capoluogo  adottata  secondo  la
procedura prevista dall'art. 6, comma 4,  del  TUEL,  la  quale  deve
essere poi sottoposta a referendum tra tutti  i  cittadini  dell'area
metropolitana ed approvata  dalla  maggioranza  dei  partecipanti  al
voto. E' altresi' necessario che  la  regione  abbia  provveduto  con
propria  legge  all'istituzione  di  nuovi   comuni   e   alla   loro
denominazione ai sensi dell'art. 133 Cost.
    Diversamente, con riferimento alle province, il comma 89  dispone
che  lo  Stato  e  le  Regioni,  secondo  le  rispettive  competenze,
attribuiscono le funzioni provinciali diverse da  quelle  di  cui  al
comma 85 (ovvero quelle non fondamentali e  quelle  fondamentali  non
individuate), in attuazione dell'art. 118 della Costituzione, nonche'
al  fine  di  conseguire  «le  seguenti   finalita':   individuazione
dell'ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione;
efficacia nello svolgimento delle funzioni fondamentali da parte  dei
comuni e delle unioni di comuni; sussistenza di riconosciute esigenze
unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra
gli enti territoriali coinvolti nel processo  di  riordino,  mediante
intese o convenzioni». Nel secondo periodo la disposizione  Censurata
valorizza forme di esercizio associato di funzioni da parte  di  piu'
enti locali, e disciplina lo  svolgimento  delle  funzioni  da  parte
delle province sino al subentro del nuovo ente.
    In collegamento con quanto disposto dal  predetto  comma  89,  il
successivo comma 91 dispone che «Entro tre mesi dalla data di entrata
in vigore della presente legge, sentite le  organizzazioni  sindacali
maggiormente rappresentative, lo Stato e le  regioni  individuano  in
modo puntuale, mediante accordo sancito nella  Conferenza  unificata,
le funzioni di cui al comma 89 oggetto del  riordino  e  le  relative
competenze»: Il comma 95, peraltro,  prevede  un  potere  sostitutivo
dello Stato ai sensi dell'art. 8, della legge n. 131/2003 qualora  la
regione, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, non abbia
provveduto a dare attuazione all'accordo di cui al comma 91.
    In materia di enti comunali, il comma 130,  nel  disciplinare  un
particolare  procedimento  di  fusione  tra   comuni   (fusione   per
incorporazione) interviene a  regolare  l'iniziativa  del  referendum
consultivo   obbligatorio   delle   popolazioni    interessate    dal
procedimento di fusione.
    Da ultimo, il comma 149 prevede la predisposizione, da parte  del
Ministero per gli affari  regionali,  di  programmi  e  attivita'  di
monitoraggio «al fine di procedere all'attuazione di quanto  previsto
dall'articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012,  n.  135,  nonche'  per
accompagnare e sostenere l'applicazione degli interventi  di  riforma
di cui alla presente legge».
    Le richiamate disposizioni della legge n. 56 del  2014  risultano
gravemente lesive delle  prerogative  della  Regione  ricorrente,  in
quanto viziate  da  manifesta  illegittimita'  costituzionale  per  i
seguenti motivi di
 
                               Diritto
 
1. Premessa
    1.1 La legge  n.  56/2014,  recante  «Disposizioni  sulle  citta'
metropolitane, sulle province, sulle unioni di comuni  e  fusioni  di
comuni», giunge a conclusione di un percorso assai tortuoso,  avviato
da almeno un biennio, mediante il quale  il  legislatore  statale  ha
inteso riformare il sistema delle autonomie locali,  con  particolare
riferimento alla gestione dell'area vasta ed al ridimensionamento del
ruolo  delle  province,  con  contestuale  istituzione  delle  citta'
metropolitane. Dal dicembre 2011 ad aprile  2014  si  sono  succeduti
innumerevoli interventi, in prevalenza attuati tramite  Io  strumento
della decretazione d'urgenza, che hanno inteso da un lato  modificare
il sistema elettorale e l'elenco delle  funzioni  fondamentali  delle
province, dall'altro  diminuirne  il  numero,  istituendo  le  citta'
metropolitane.
    Per  fare  un  brevissimo  riepilogo  della   successione   degli
interventi, basti ricordare che il primo provvedimento legislativo in
materia risale all'art. 23 del  d.l.  n.  201/2011  che  svuotava  le
province,  limitando  le  funzioni   a   quelle   di   «indirizzo   e
coordinamento» dell'attivita' dei comuni; ne trasformava  gli  organi
di governo, eliminando la giunta e lasciando solamente  Presidente  e
Consiglio provinciale, eletti in  secondo  grado.  Nel  luglio  2012,
l'art. 17 del d.l. n. 95/2012 riassegnava alle province  le  funzioni
tradizionalmente  di   competenza   dell'ente   di   area   vasta   e
contestualmente prevedeva un piano di  riordino  territoriale,  sulla
base dei criteri e dei requisiti minimi definiti dalla  deliberazione
del Consiglio dei ministri del 20 luglio  2012  (350.000  abitanti  e
2500 Kmq). All'esito della complessa procedura prevista dal  d.l.  n.
95/2012, venivano individuate le nuove province nel d.l.  5  novembre
2012, n. 188, che tuttavia non e' stato mai convertito in legge dalle
Camere.
    Tra l'adozione del d.l. n. 201/2011 e quella del d.l. n. 95/2012,
il Governo in carica ha presentato alla Camera un  disegno  di  legge
che disciplinava le modalita' di elezione, di  secondo  grado,  degli
organi provinciali. L'esame di tale disegno di legge,  presentato  il
16 maggio 2012, non si e' mai concluso.
    La legge di stabilita' 2013, n. 228/2012 (all' art. 1, comma 115)
si  e'  preoccupata  di  prorogare  il  termine  per   il   riordino,
inizialmente fissato al 31 dicembre 2012, al 31 dicembre 2013,  delle
gestioni commissariali avviate in seguito all'entrata in  vigore  del
d.l. 201/2011.
    Nel luglio 2013 e' giunta la sentenza di Codesta ecc.ma Corte  n.
220/2013, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.
23, commi 14, 15, 16, 17, 18, 19 e 20, del  d.l.  n.  201  del  2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011;  degli  artt.  17  e  18  del  d.l.  n.  95  del  2012,
convertito, con modificazioni, dall'ad. 1, comma 1,  della  legge  n.
135 del 2012; e dell'art. 23, comma 20-bis, del d.l. n. 201 del 2011,
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della  legge  n.
214 del 2011.
    In conseguenza di detta pronuncia, il decreto legge n. 93/2013 ha
fatto salvi gli  effetti  dei  provvedimenti  di  scioglimento  delle
province e dei conseguenti atti di  nomina  dei  commissari,  nonche'
degli atti da questi posti in essere.
    Infine, la legge di stabilita' 2014, all'art. 1,  comma  325,  ha
previsto che  le  disposizioni  relative  al  commissariamento  delle
amministrazioni provinciali  si  applicassero  ai  casi  di  scadenza
naturale del mandato nonche' di cessazione  anticipata  degli  organi
provinciali che fossero intervenuti in una data compresa  tra  il  1°
gennaio e il 30 giugno 2014.
    Il provvedimento legislativo che si porta oggi all'attenzione  di
Codesta ecc.ma  Corte  prende,  dunque,  le  mosse  dall'esigenza  di
provvedere in primo  luogo  alla  situazione  di  stallo  creatasi  a
seguito della sent. n. 220/2013.
    Si  tratta  dunque  di  una  legge  che  ha  la  presunzione   di
intervenire  in  modo  organico  e  sistematico  sul  tema   generale
dell'ente di area vasta - nelle diverse  sfaccettature  in  cui  puo'
declinarsi l'argomento: citta' metropolitana, provincia  o  unione  e
fusione di comuni -ponendosi, peraltro, nell'ottica  di  una  riforma
che, ancorche' approvata con legge ordinaria, cosi' come  chiaramente
e giustamente  richiesto  dalla  gia'  citata  sent.  220/2013,  deve
tuttavia qualificarsi come «momentanea», stando  a  quanto  affermato
piu' volte dallo stesso legislatore («In  attesa  della  riforma  del
titolo V della parte seconda  della  Costituzione  e  delle  relative
norme di attuazione (...)»). Poiche',  tuttavia,  e'  alla  normativa
vigente che l'ordinamento fa riferimento, tanto sul piano delle norme
primarie quanto - e tanto piu' - sul  fronte  delle  norme  di  rango
costituzionale, e' con rispetto a  queste  ultime  che  la  legge  n.
56/2014  presenta  vizi  di  legittimita'  che  vanno  a  ledere  sia
l'autonomia   e   le   competenze   regionali   sia    le    garanzie
costituzionalmente riconosciute  agli  enti  locali.  La  tutela  dei
quali, non essendo previsto il loro ricorso diretto, e'  riconosciuta
in capo alle regioni stesse (Cfr., ex multis, Corte cost. n. 298/2009
e n. 131/2003).
    1.2 Occorre poi, sempre in via  preliminare,  svolgere  ulteriori
osservazioni.  In  particolare,  e'  opportuno   sottolineare   come,
contestualmente all'approvazione della legge  n.  56/2014,  ha  preso
avvio nelle Aule parlamentari la discussione del disegno di legge  di
revisione   costituzionale   che   dovrebbe   andare   a   modificare
sensibilmente  il  Titolo  V  della  Carta  costituzionale,  anche  e
soprattutto con riferimento all'ente provincia, del quale si  prevede
l'espunzione dal novero degli enti costitutivi  della  Repubblica  ex
art. 114  Cost.,  con  la  conseguente  eliminazione  delle  garanzie
costituzionali ad oggi  riconosciute.  La  circostanza  e'  rilevante
giacche',  come  gia'  segnalato,  con  tecnica   legislativa   tanto
deprecabile quanto ormai  invalsa,  in  diversi  commi  dell'articolo
unico di cui si compone la legge n.  56/2014,  ci  si  imbatte  nella
locuzione «In attesa della riforma del titolo V della  parte  seconda
della Costituzione e delle relative norme di attuazione (...)»,  come
se, per stessa ammissione del legislatore, la  legge  de  qua  avesse
«innaturalmente»  anticipato  la  riforma  costituzionale   e   fosse
pertanto destinata ad essere rivista nel momento in  cui  la  riforma
dovesse andare in porto. Ebbene, proprio  con  riferimento  a  questa
circostanza non puo' non ricordarsi quanto asserito da Codesta Ecc.ma
Corte  nella  sent.  220/2013   proprio   rispetto   alla   normativa
riguardante l'assetto degli enti locali le cui componenti  essenziali
devono essere, per la loro  stessa  natura,  «disciplinate  da  leggi
destinate a durare nel tempo e rispondenti  ad  esigenze  sociali  ed
istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di  svolgimento  dei
principi  costituzionali  nel  processo   attuativo   delineato   dal
legislatore statale ed integrato da quelli regionali».
2. Illegittimita' dell'art. 1, commi 4, 105 e 106 della legge  n.  56
del 2014, per contrasto con gli articoli 117, commi 2, lett. p) e  4,
e con l'art. 118 Cost.
    In  primo  luogo,  la  legge  n.  56/2014  risulta   viziata   da
illegittimita' costituzionale nella parte in cui, all'art.  1,  commi
4, 105 e 106, disciplina le Unioni di comuni come enti locali diversi
da quelli elencati all'art. 114 Cost., e al di fuori dei  poteri  che
l'art. 117, comma 2, lett. p) Cost. rimette allo Stato.
    Come visto nella parte in «fatto», i commi  censurati  concernono
l'ordinamento delle  Unioni  di  comuni,  disciplinandone  consiglio,
statuto e organizzazione.
    Orbene,  e'  del  tutto  evidente  che  le  disposizioni  statali
impugnate  incidono  illegittimamente  sulla  sfera   di   competenze
legislative che la Costituzione riserva alle Regioni  in  materia  di
disciplina delle forme associative degli  Enti  locali  presenti  sul
proprio territorio.
    Il consolidato orientamento giurisprudenziale di  Codesta  Ecc.ma
Corte, infatti, ha da tempo riconosciuto che la disciplina degli enti
locali diversi da quelli indicati all'art. 117,  comma  2,  lett.  p)
rientra nella competenza legislativa residuale delle regioni ai sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost., salvo che vi  siano  esigenze  di
coordinamento della finanza pubblica.
    In tal senso, e' stato costantemente  affermato  che  l'obiettivo
del  contenimento  della  spesa  pubblica  rientra  nella   finalita'
generale del coordinamento finanziario (Cfr. Corte cost, sentt. n. 27
e n. 156 del 2010, n. 237 e n. 284 del 2009, n.  159  e  n.  289  del
2008, n. 417 del 2005 e  n.  4  del  2004),  e  sono  stati  pertanto
ritenuti  legittimi  interventi  del  legislatore  statale  volti  ad
imporre alle regioni vincoli alle politiche di bilancio  -  anche  se
indirettamente incidenti  sull'autonomia  regionale  di  spesa  -,  a
salvaguardia  dell'equilibrio   unitario   della   finanza   pubblica
complessiva, e del  perseguimento  degli  obblighi  comunitari  (cfr.
sentt. n. 237 e n. 284 del 2009).
    Altrettanto consolidato, tuttavia, e' il principio secondo cui il
sopra citato titolo  competenziale  sia  tale  da  escludere  che  un
intervento statale possa spingersi sino a dettare  un  disciplina  di
carattere meramente ordinamentale, potendosi  muovere  esclusivamente
nei  limiti  di  una  solo  parziale  compressione  delle  competenze
regionali.
    In tal senso,  Codesta  Ecc.ma  Corte  ha  infatti  espressamente
chiarito che «norme statali  che  fissano  limiti  alla  spesa  delle
Regioni  e  degli   enti   locali   possono   qualificarsi   principi
fondamentali di coordinamento della finanza  pubblica  alla  seguente
duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi
di riequilibrio della medesima, intesi nel senso  di  un  transitorio
contenimento  complessivo,  anche  se  non  generale,   della   spesa
corrente; in secondo luogo,  che  non  prevedano  in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»
(sent. n. 237 del 2009, citata; nello stesso senso, sent. n. 341  del
2009).
    Di  conseguenza,  e'  del  tutto  evidente  che  deve   ritenersi
riservata alla potesta' statale  la  sola  previsione  di  un  limite
complessivo di spesa che faccia salva un'ampia discrezionalita' degli
enti territoriali nell'allocazione delle risorse tra i diversi ambiti
e obiettivi di spesa e nella scelta di eventuali tagli.
    Orbene, appare chiaro che previsioni, come quelle impugnate,  che
attengano  esclusivamente  all'ordinamento  dell'Unione  dei   Comuni
assorbendo la disciplina dell'intera materia, non rispondono  a  tale
duplice condizione, ridondando in  una  evidente  compressione  delle
competenze legislative e amministrative regionali.
    A sostegno di quanto sin qui detto sia consentito ricordare come,
con sent. n. 44 del 2014, Codesto Ecc.mo Collegio,  nel  pronunciarsi
circa l'illegittimita' costituzionale dell'art.16, comma 5, del  d.l.
n. 138/2011 - attinente all'istituzione di Unioni  di  comuni  -,  ha
avuto  modo  di  affermare   che   una   disposizione   che   attenga
esclusivamente all'ambito  dell'ordinamento  dei  predetti  organismi
esuli  dalla  materia  del  coordinamento  della  finanza   pubblica,
ritenendola dunque «estranea  alle  esigenze  di  contenimento  della
spesa corrente».
    Ne', del resto,  ad  escludere  l'illegittimita'  dell'intervento
normativo  censurato  potrebbe  invocarsi  la  competenza   esclusiva
statale  ex  art.  117,  comma  2,  lettera  p),  Cost.,  relativa  a
«legislazione elettorale, organi di governo e  funzioni  fondamentali
di Comuni, Province e Citta' metropolitane». Codesta Ecc.ma Corte  ha
da tempo chiarito (da ultimo con la citata sent. n. 44/2014) come  il
suddetto titolo competenziale debba essere inteso nel  senso  che  il
riferimento deve ritenersi tassativamente rivolto  agli  Enti  locali
elencati all'art. 114 Cost., cosi'  come  tassativo  e'  il  contesto
oggettivo  interessato,  che  si   sostanzia   esclusivamente   nella
disciplina del sistema elettorale, della forma  di  governo  e  delle
funzioni fondamentali di detti enti.
    Di  contro,  al  di  fuori   dell'ambito   materiale   come   ora
circoscritto, la regolamentazione degli Enti locali  deve  essere  di
certo ricondotta nella competenza residuale  delle  Regioni  ex  art.
117,  comma  4,  Cost.,  e  cio'  anche  al  fine  di  garantire   la
possibilita'  che   la   singola   Regione,   nel   ruolo   di   ente
rappresentativo  delle   diverse   istanze   presenti   sul   proprio
territorio, provveda all'adozione  di  previsioni  differenziate  che
tengano  in  adeguata  considerazione  le  esigenze  espresse   dalla
comunita'   di   riferimento,   in   osservanza   dei   principi   di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione  consacrati  nell'art.
118, comma 1, Cost.
    Tali  considerazioni  trovano  peraltro  conferma  nella   citata
sentenza n. 44/2014  di  Codesto  Ecc.mo  Collegio,  nella  quale  e'
precisato   che   «si   deve   escludere   che,   a   giustificazione
dell'Intervento legislativo dello Stato, possa essere invocato l'art.
117, secondo comma, lettera p), Cost., nella  parte  in  cui  assegna
alla competenza esclusiva statale la materia relativa a «legislazione
elettorale, organi di governo  e  funzioni  fondamentali  di  Comuni,
Province e Citta' metropolitane», in quanto  il  riferimento  a  tali
enti si deve ritenere tassativo, mentre  nella  suddetta  elencazione
manca ogni riferimento all'unione di Comuni».
    Sia inoltre  consentito  ricordare  come  tale  orientamento  sia
radicato nella costante giurisprudenza  costituzionale,  sviluppatasi
in particolare in merito alla disciplina delle comunita' montane.  E'
opportuno precisare come alle stesse sia stata attribuita  la  natura
giuridica di ente autonomo, quali proiezione dei Comuni facenti  capo
ad esse, ovvero quali «unioni di comuni, enti locali  costituiti  fra
comuni montani» (Corte cost., sent. n. 244 del  2005,  richiamata  da
ultimo dalla sent. n. 27 del 2010).
    In tal senso, Codesta Ecc.ma Corte ha avuto modo di precisare che
la  disciplina  delle  comunita'  montane  rientra  nella  competenza
residuale delle Regioni (si vedano, in particolare, le sentt. n.  237
del 2009, n. 456 e n. 244 del 2005).
    Il riconoscimento della  predetta  potesta'  regionale  esclusiva
trova, in particolare, fondamento nel fatto che tali comunita' devono
essere   identificate   come   autonomie   sub-regionali    meramente
strumentali e non gia' rientranti tra gli enti necessari  sulla  base
di norme costituzionali; alla luce di cio', pertanto, «rientra  nella
potesta' legislativa delle Regioni disporne anche, eventualmente,  la
soppressione» (Corte cost., sent. n. 27 del 2010, citata,  e  le  ivi
richiamate sentt. n. 237 del 2009, citata, e n. 229 del 2001).
    Orbene, e' dunque del tutto evidente  che  i  principi  affermati
dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma  Corte  nelle  pronunce  sopra
richiamate trovino immediata applicabilita'  alla  normativa  statale
della cui legittimita' costituzionale si discute. Se la  ratio  della
competenza regionale in materia  di  comunita'  montane  deve  essere
rinvenuta nel  carattere  non  essenziale  e  non  costituzionalmente
indefettibile delle stesse, non  puo'  dubitarsi  allora  come  nella
suddetta competenza vada, altresi', ricondotta  la  disciplina  delle
forme associative di Comuni e, in particolare, delle unioni.
    Cosi' correttamente ricostruito il riparto  di  attribuzioni  tra
Stato e Regioni in materia, risulta netto  il  contrasto  del  citato
art. 1, commi 4, 105 e 106 della legge  n.  56/2014  con  il  dettato
costituzionale, derivandone di conseguenza  la  manifesta  violazione
delle competenze normative regionali.
3. Illegittimita' dell'art. 1, comma 5 e  comma  6,  della  legge  n.
56/2014 per contrasto con gli articoli 3, 97, 117, 133 e 138 Cost.
    3.1 La legge 56/2014 all'art. 1, comma 5,  istituisce  le  citta'
metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova,  Bologna,  Firenze,
Bari, Napoli e Reggio Calabria; contestualmente, all'art. 1, comma 6,
viene previsto che il  loro  territorio  coincida  con  quello  delle
province omonime. La legge statale, dunque, individua, nominatim, gli
enti territoriali di area vasta (secondo la definizione  usata  dallo
stesso legislatore statale) che vengono  assoggettati  ad  un  regime
differenziato rispetto a  quello  delle  province,  ivi  compresa  la
provincia di Napoli che viene soppressa e  sostituita  con  l'omonima
citta'  metropolitana.   La   disposizione,   cosi'   concepita,   e'
illegittima sotto diversi profili.
    In primo luogo e' opportuno  rilevare  come  non  sussista  alcun
chiaro titolo che legittimi un  intervento  legislativo  dello  Stato
nella materia.
    Gli unici dati espressi  ricavabili  dalla  lettura  del  dettato
costituzionale sono quelli attinenti, da  un  lato,  alla  competenza
statale in ordine all'istituzione delle province (art. 133, comma  1,
Cost.), dall'altro alla competenza delle  Regioni  per  l'istituzione
dei Comuni (art. 133, comma 2,  Cost.).  Di  converso,  non  e'  dato
rinvenire  alcuna  disposizione  costituzionale  che  disciplini   la
spettanza del potere di istituzione delle citta' metropolitane.
    E', peraltro, evidente come lo  stesso  non  possa  certo  essere
ricondotto  alla  potesta'  legislativa   statale   in   materia   di
«legislazione elettorale, organi di governo e funzioni  fondamentali»
di cui all'art. 117, comma 2, lett. p), Cost.  Codesta  Ecc.ma  Corte
ha, infatti, da tempo chiarito che il suddetto  titolo  competenziale
deve  intendersi  rivolto  al   contesto   oggettivo   tassativamente
interessato, che si sostanzia  esclusivamente  nella  disciplina  del
sistema elettorale, della forma di  governo  e  delle  sole  funzioni
fondamentali di detti enti (ex plurimis, sent. n. 43 del 2004).
    Se, dunque, rispetto alle citta'  metropolitane,  il  legislatore
statale e'  certamente  competente  in  ordine  alla  disciplina  del
sistema elettorale e degli organi, nonche' alla determinazione  delle
funzioni fondamentali, lo stesso non puo' dirsi  per  quanto  attiene
all'istituzione di detti enti locali.
    Pertanto,  secondo  il  principio  della  competenza  legislativa
regionale residuale, alla stregua del quale «spetta alle  Regioni  la
potesta' legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato»  (art.  117,  quarto  comma,
Cost.), puo' senza dubbio affermarsi che  il  silenzio  in  ordine  a
detta competenza investe senz'altro la Regione dei  predetti  poteri.
Stabilito, dunque, che non  rientra  in  alcun  modo  nella  potesta'
legislativa   esclusiva   statale    la    competenza    in    ordine
all'individuazione del territorio  della  citta'  metropolitana,  non
puo' in alcun modo rilevare l'inciso con cui  si  apre  il  comma  5,
dell'art. 1 (in attesa della riforma del titolo V della parte seconda
della Costituzione e delle relative  norme  di  attuazione»)  che  fa
riferimento al progetto di legge di revisione costituzionale proposto
dal Governo in carica (AS 1429) in base al quale verrebbe  attribuita
allo   Stato   la   competenza   sull'«ordinamento    delle    citta'
metropolitane» (procedendo, dunque alla necessaria  integrazione  del
vigente testo dell'art. 117, comma secondo, lettera  p),  Cost.  Tale
inciso,  in  luogo  di  costituire  titolo   autorizzativo   per   il
legislatore statale, appare, invece, in evidente contrasto con l'art.
117, primo comma, Cost. e  si  pone  altresi'  in  contrasto  con  il
principio di rigidita' costituzionale (art. 138  Cost.),  anticipando
un titolo competenziale che evidentemente allo stato di vigenza manca
nel testo costituzionale.
    3.2 Peraltro, anche nella denegata e non creduta ipotesi  in  cui
Codesta Ecc.ma Corte non voglia  ritenere  la  competenza  esercitata
dallo Stato come eccedente rispetto alla previsione di  cui  all'art.
117, comma  secondo,  lettera  p),  Cost.  e  lesiva,  dunque,  della
competenza  residuale  ex  art.  117,   comma   quarto,   Cost.,   la
disposizione de qua risulta illegittima anche sotto altro profilo. La
evidente natura di legge-provvedimento, oltre a  porsi  in  contrasto
con i  principi  enucleati  dalla  giurisprudenza  costituzionale  in
materia di chiamata in sussidiarieta' a partire dalla sent. 303/2003,
comporta, infatti, che si debba rinvenire nella  norma  la  negazione
del principio di  ragionevolezza  (art.  3  Cost.)  e  che  si  debba
rilevare  il  contrasto  con  il  principio  di   imparzialita'   cui
soggiacciono necessariamente le leggi  di  carattere  provvedimentale
(art. 97  Cost.).  La  Regione  ricorrente  non  puo',  infatti,  non
osservare come la censurata disciplina si caratterizza, rispetto alle
precedenti disposizioni statali in materia, per l'eliminazione di una
disciplina di carattere  generale  sul  procedimento  di  istituzione
delle citta' metropolitane. E'  evidente,  infatti,  come  l'art.  1,
comma 5 si limiti ad individuare 9 province  esistenti,  decretandone
la soppressione e la contestuale sostituzione con le relative  citta'
metropolitane. Non appare revocabile in dubbio che  tali  previsioni,
nella  parte  in  cui  individuano  singolarmente  le   province   da
trasformare in  citta'  metropolitane,  difettano  dei  requisiti  di
generalita' e astrattezza, connotandosi quindi per  il  carattere  di
legge provvedimento. Tuttavia,  sotto  tale  aspetto,  le  previsioni
censurate   appaiono   sprovviste   di    qualsivoglia    ragionevole
giustificazione, con cio' ponendosi in palese contrasto  con  i  gia'
menzionati principi di eguaglianza e ragionevolezza sanciti dall'art.
3 Cost., nonche' con il canone di imparzialita' espresso dall'art. 97
Cost.
    Peraltro,  sia  consentito  osservare  che  il  principio   della
ragionevolezza,   sotto   il   profilo   della   proporzionalita'   e
dell'adeguatezza rispetto ai fini, costituisce canone di legittimita'
costantemente   affermato   dalla   giurisprudenza    costituzionale,
soprattutto nel caso in cui  il  legislatore  statale  intervenga  in
materie che incidono su aspetti  connessi  all'autonomia  degli  enti
locali o su materie riservate alla  potesta'  legislativa  regionale.
Secondo l'insegnamento di  Codesta  Ecc.ma  Corte,  il  sindacato  di
legittimita' costituzionale di una norma non  rifugge  dal  controllo
sulla  ragionevolezza  della  stessa  in  relazione  alle   finalita'
perseguite (cfr. Corte cost., sent. n. 148  del  2009),  essendo  ben
possibile la verifica  che  le  previsioni  impugnate  «non  appaiano
irragionevoli, ne' sproporzionate rispetto  alle  esigenze  indicate»
(Corte cost., sent. n. 326 del 2008) e che  gli  strumenti  normativi
rimessi  allo  scrutinio  di  legittimita'  costituzionale   appaiono
«disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto  agli
obiettivi attesi» (Corte cost., sent. n. 452 del 2007 e le ivi citate
sentt. n. 274 e n. 14 del 2004).  In  definitiva,  come  ribadito  in
altra  occasione  da  Codesta   Ecc.ma   Corte,   «l'intervento   del
legislatore statale e' legittimo se  contenuto  entro  i  limiti  dei
canoni di adeguatezza e proporzionalita'» (Corte  cost.  n.  345  del
2004). Orbene, con  riferimento  al  caso  di  specie,  non  e'  dato
rinvenire all'interno della disposizione impugnata alcuna indicazione
circa  le  ragioni  che  hanno  mosso  il  legislatore   statale   ad
individuare solamente alcune determinate province  come  destinatarie
dell'intervento di trasformazione in citta' metropolitane. La  norma,
infatti, non chiarisce quali siano i criteri alla stregua  dei  quali
si e' ritenuta  necessaria  la  soppressione  dei  preesistenti  enti
provinciali e la loro contestuale sostituzione con le  nuove  realta'
istituzionali. Ne', tanto meno, appare possibile affermare  se  sara'
eventualmente   possibile   costituire   in   futuro   altre   citta'
metropolitane, ne' in che modo  e  a  quali  condizioni  cio'  potra'
avvenire. Da tutto quanto appena osservato, appare evidente  come  la
disciplina recata dall'art. 1 comma 5 si palesi, altresi', del  tutto
irragionevole,  laddove  realizza  un'ingiustificata  disparita'   di
trattamento a danno delle Province sopprimende.
    3.3 Ai motivi  di  censura  sopraelencati,  deve  aggiungersi  la
lesione  delle  prerogative  regionali  data  dall'esclusione   della
previsione  di  qualsiasi  forma  di  partecipazione  delle   Regioni
all'interno   del   procedimento   di   istituzione   delle    citta'
metropolitane.
    In tal senso, la ricorrente non puo' esimersi dal  rilevare  come
l'odierna  disciplina  si  distanzi  notevolmente  dalle   precedenti
previsioni normative in materia. Appare, infatti, significativo  come
lo stesso art. 22 del d.lgs.  n.  267/2000  rimettesse  proprio  alla
Regione, su conforme  proposta  degli  enti  locali  interessati,  la
delimitazione territoriale dell'area metropolitana. Cio',  nonostante
tale articolo fosse  stato  adottato  nella  vigenza  del  precedente
assetto istituzionale delineato dalla vecchia formulazione del Titolo
V. Sorprende, pertanto, come la disciplina odierna, introdotta in  un
contesto di formale e sostanziale equiordinazione di Stato e Regioni,
non riconosca a queste ultime alcun  coinvolgimento  nella  creazione
delle citta' metropolitane, in totale spregio  del  canone  di  leale
collaborazione.  Ma  la  totale  pretermissione  dell'ente  regionale
dall'iter istitutivo della citta' metropolitana si palesa ancora piu'
grave laddove si consideri che la disposizione censurata procede alla
contestuale soppressione delle province elencate  (tra  le  quali  la
Provincia di Napoli).
    3.4 Con riguardo, infine, alle  previsioni  di  cui  all'art.  1,
comma 6 e commi da 12 a 18, occorre rilevare che  tali  disposizioni,
nella   parte   in    cui    disciplinano    un    procedimento    di
soppressione-sostituzione  delle  Province  in  corrispondenza  della
costituzione delle Citta' metropolitane si  pongono  in  deroga  alle
previsioni recate dall'art. 133, primo comma, della  Costituzione,  e
sono, pertanto, passibili di censura anche per violazione  di  questo
parametro  di  legittimita'.  Sia  consentito  rammentare   che   per
l'istituzione delle Province l'art. 133, comma 1,  Cost.  delinea  un
particolare procedimento,  nell'ambito  del  quale  la  Regione  deve
esprimere il proprio parere. Se, dunque, la Costituzione riserva alla
Regione un particolare ruolo, sia pure consultivo, all'interno  della
vicenda genetica della  Provincia,  risulta  indubitabile  come  tale
ruolo debba essere altrettanto osservato e  garantito  laddove  della
Provincia si decida la soppressione.
    Peraltro, a conferma di cio', Codesta Ecc.ma Corte,  nella  sent.
220/2013,  ha  affermato  che  «sin  dal   dibattito   in   Assemblea
costituente e' emersa l'esigenza che I iniziativa  di  modificare  le
circoscrizioni  provinciali  -  con  introduzione  di   nuovi   enti,
soppressione di quelli esistenti o semplice ridefinizione dei confini
dei rispettivi territori -fosse  il  frutto  di  iniziative  nascenti
dalle popolazioni interessate, tramite i  loro  piu'  immediati  enti
esponenziali, i Comuni, non il portato di decisioni politiche imposte
dall'alto» (diritto 12.2). Non e' dubbio  pertanto  che  la  predetta
disposizione costituzionale si  applica  anche  per  la  soppressione
delle Province esistenti  ed  e'  norma  indefettibile  e  derogabile
soltanto con apposite disposizioni di rango costituzionale.
    Particolarmente grave e', poi, dal punto di  vista  della  deroga
all'art. 133 Cost., la previsione in base  alla  quale  le  modifiche
delle circoscrizioni provinciali limitrofe alle citta'  metropolitane
possa avvenire solo per l'adesione alle citta' medesime ma non anche,
per  l'ipotesi  inversa,   in   uscita   dalla   costituenda   citta'
metropolitana verso le Province contermini.
    D'altra parte, la violazione dell'art. 133 rileva anche sotto  un
altro profilo. E,  infatti,  anche  a  voler  accogliere  la  tesi  -
fantasiosa! - che la competenza statale in tema di istituzione  delle
citta' metropolitane deriva da una loro sostanziale equiparazione con
le  Province,  e'  evidente  che  alla   istituzione   delle   citta'
metropolitane deve applicarsi la stessa  procedura  prevista  per  le
province!
4. Illegittimita' dell'art. 1, commi 22 e 130, della legge n. 56  del
2014, per contrasto con gli articoli 123 e 133 Cost.
    Ulteriore profilo di incostituzionalita' della disciplina statale
deve essere rinvenuto nelle previsioni di cui ai commi  22  e  130  i
quali, nel prevedere rispettivamente l'articolazione  del  territorio
del comune capoluogo della citta' metropolitana in piu' comuni, e  un
particolare procedimento di  fusione  di  piu'  comuni  (fusione  per
incorporazione), intervengono a regolare l'iniziativa del  referendum
consultivo obbligatorio delle popolazioni interessate.
    Risulta chiaro come le disposizioni suddette collidano con l'art.
133, comma 2, Cost., a norma del quale l'istituzione di nuovi  comuni
nel  territorio  regionale,  ovvero  la  modificazione   delle   loro
circoscrizioni o denominazioni sono rimesse al legislatore regionale,
sentite le popolazioni interessate.
    Come costantemente  riconosciuto  da  Codesta  Ecc.ma  Corte  sul
punto, «spetta alla legge regionale  dare  attuazione  all'art.  133,
secondo  comma,  della  Costituzione,  individuando  le   popolazioni
interessate   alla   variazione   territoriale;   che    e'    sempre
costituzionalmente obbligatoria la  consultazione  delle  popolazioni
residenti nei territori che sono destinati a  passare  da  un  Comune
preesistente ad uno di nuova istituzione, ovvero ad un  altro  Comune
preesistente» (Corte cost., sent. n. 47 del 2003).
    L'assoluta incompatibilita' della disciplina introdotta dai commi
22 e 130 rispetto  alla  richiamata  disposizione  costituzionale  e'
sufficiente  ad  evidenziare  la  manifesta  incostituzionalita'  del
predetto intervento statale.
    Ma le norme censurate risultano  viziate  anche  sotto  ulteriore
profilo, nella parte in cui  dispongono  che  le  proposte  di  nuove
articolazioni del territorio siano sottoposte a referendum tra  tutti
i cittadini dell'area interessata, da  effettuare  sulla  base  delle
rispettive  leggi  regionali,  e  approvata  dalla  maggioranza   dei
partecipanti al voto.
    Le previsioni suddette invadono  con  ogni  evidenza  la  riserva
statutaria regionale in materia di  regolamentazione  del  referendum
sulle leggi e sui  provvedimenti  amministrativi  regionali,  sancita
dall'art. 123, comma 1, Cost. In particolare, dando attuazione a tale
attribuzione costituzionale, il legislatore statutario  campano,  con
l'art. 14, comma 2, dello  Statuto,  ha  previsto  espressamente  che
«sono obbligatoriamente  sottoposte  a  referendum  consultivo  delle
popolazioni  interessate  le  proposte  di   legge   concernenti   la
istituzione di nuovi comuni e  i  mutamenti  delle  circoscrizioni  e
delle denominazioni comunali».
    In aggiunta, e' doveroso rilevare come, con l.r. n.  25/1975,  la
Regione Campania abbia dato compiuta disciplina alla predetta ipotesi
di consultazione popolare, prescrivendo anche un apposito  quorum  di
validita'.
    E' palese,  pertanto,  che  le  disposizioni  statali  censurate,
introducendo  una  nuova   ipotesi   di   referendum   consultivo   e
disciplinando le modalita' ed i  tempi  di  svolgimento,  contrastano
manifestamente con la predetta  previsione  statutaria,  violando  di
conseguenza l'art. 123, comma 1, Cost.
5. Illegittimita' dell'art. 1, commi 89 e 91, della legge n.  56  del
2014, per contrasto con gli articoli 114 e 118 Cost.
    5.1 Come visto nella parte in «Fatto», il comma 89 prevede che lo
Stato e le regioni, secondo le rispettive  competenze,  attribuiscano
le funzioni provinciali diverse da quelle di cui al comma 85 (vale  a
dire le funzioni fondamentali non espressamente individuate  e  tutte
le funzioni non fondamentali conferite alle  regioni)  in  attuazione
dell'art. 118, nonche' al fine di conseguire le  ulteriori  finalita'
previste dal comma medesimo.
    Il  comma  91  prevede  poi  che  entro  l'8  luglio  2014  siano
individuate in modo puntuale le funzioni provinciali non fondamentali
oggetto di riordino e le relative competenze, il  tutto  con  accordo
stipulato in sede  di  Conferenza  unificata  tra  Stato,  Regioni  e
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
    Tali disposizioni sono manifestamente illegittime,  ponendosi  in
stridente contrasto con gli artt. 114 e 118 Cost.
    Preliminarmente  e  in  via  generale,  e'  appena  il  caso   di
sottolineare come l'intervento legislativo statale denoti  una  grave
carenza di valutazione in termini di  compatibilita'  costituzionale,
dimensione effettiva della trasformazione  e  funzionalita'  rispetto
agli obiettivi da perseguire.
    Le impugnate  disposizioni  renderebbero  infatti  necessaria  la
riallocazione di personale e strutture verso  i  Comuni,  nonche'  di
risorse che garantiscano una  adeguata  copertura  finanziaria  delle
funzioni trasferite, comportando  tutta  una  serie  di  problemi  di
natura tecnica che non sembrano esser stati presi  in  considerazione
dall'intervento legislativo (si pensi, ad esempio ai procedimenti  di
individuazione e trasferimento del personale, all'individuazione  dei
rapporti attivi e passivi, patrimoniali  e  contenziosi,  oggetto  di
trasferimento, alla verifica circa le possibili ricadute  finanziarie
del processo di trasferimento sugli enti subentranti, etc.).
    Peraltro, dovendosi escludere che tutte le  funzioni  provinciali
da riallocare, in base ai principi di sussidiarieta',  adeguatezza  e
differenziazione, possano essere assunte direttamente dalla  Regione,
e' da ritenere che - fino a una futura razionalizzazione dell'assetto
organizzativo degli enti locali regionali - si verifichera', con ogni
probabilita', un aumento dei costi, determinato  dall'istituzione  di
nuovi apparati amministrativi sovra-comunali, dal  venir  meno  delle
economie di scala su base provinciale e, comunque,  dalla  necessita'
di far fronte ad una fase di riorganizzazione certamente complessa  e
conflittuale.
    5.2  Fatta  questa  premessa  generale,  appare  in  primo  luogo
necessario sottolineare come da  una  lettura  del  comma  89  emerga
evidentemente l'obbligo, per la Regione, di mantenere  in  capo  alle
province le  sole  funzioni  individuate  dalla  legge  statale  come
fondamentali, dovendo ridistribuire ai Comuni le  funzioni  residuali
gia' facenti capo ai predetti enti locali.
    In tal modo, la disciplina statale impedisce evidentemente che la
singola  Regione  possa  ricoprire   il   proprio   ruolo   di   ente
rappresentativo  delle   diverse   istanze   presenti   sul   proprio
territorio, provvedendo all'adozione di previsioni differenziate  che
tengano  in  adeguata  considerazione  le  esigenze  espresse   dalla
comunita'   di   riferimento,   in   osservanza   dei   principi   di
sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione  consacrati  nell'art.
118, comma 1, Cost.
    Tali  conclusioni  risultano  vieppiu'  confermate   laddove   si
consideri la terminologia usata dal legislatore statale. Il comma  89
si esprime infatti in termini di attribuzione di competenze  anziche'
di conferimento, cosi' implicitamente intendendo imporre alla regioni
di riallocare funzioni, gia' provinciali, esclusivamente in  capo  ai
comuni e non anche, per assicurarne  l'esercizio  unitario,  in  capo
alle province medesime, alle citta' metropolitane o alla Regione.
    Sotto analogo profilo risulta altresi' viziato il comma 91.  Come
gia' visto, tale disposizione, letta in combinato disposto con quanto
previsto  dal  precedente  comma   89,   prevede   che   un   accordo
Stato-regioni-organizzazioni sindacali individui le funzioni  oggetto
di riordino che la regione dovra' successivamente allocare con  legge
in forza del predetto comma 89.
    Orbene, tale previsione risulta evidentemente  illegittima  nella
parte in cui riferisce all'accordo non  solo  l'individuazione  delle
funzioni da riallocare,  bensi'  anche  quella  delle  competenze  da
attribuire, in tal modo ledendo la riserva di competenza  legislativa
regionale in materia di conferimento delle funzioni amministrative.
    E' infatti  evidente  che  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata della disposizione in esame richiederebbe  che,  una  volta
definito il  perimetro  delle  funzioni  fondamentali,  l'accordo  si
limitasse a definire l'ambito delle  funzioni  oggetto  di  riordino,
lasciando al legislatore regionale la piu' ampia autonomia nella fase
di  riorganizzazione  delle  funzioni  non  fondamentali,  anche   in
relazione alla  loro  collocazione.  L'accordo  non  dovrebbe  dunque
stabilire presso quale soggetto allocare  una  determinata  funzione,
trattandosi di scelta  che  attiene  esclusivamente  alla  competenza
della Regione.
    Le disposizioni censurate dunque, contrariamente a quanto sancito
dal primo comma dell'art. 1 della legge n. 56/2014 secondo  cui  tale
intervento statale si porrebbe come  fine  l'adeguamento  degli  enti
locali ai principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza,
contrastano con i suddetti principi, e  risultano  gravemente  lesiva
delle prerogative della Regione Campania.
6. Illegittimita' dell'art 1, comma 95, della legge n. 56  del  2014,
per contrasto con gli articoli 118, 120 e 3 Cost.
    Sotto diverso profilo, la disciplina di cui alla legge n. 56/2014
risulta altresi' incompatibile con gli artt.  3,  118  e  120,  nella
parte in cui viene configurata un'ipotesi  di  esercizio  del  potere
sostitutivo del Governo nei  confronti  delle  Regioni  nel  caso  di
mancata attuazione dell'accordo di cui al comma 91.
    In particolare, il comma 95 dell'art. 1, dispone che «La regione,
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della  presente  legge
(dunque entro l'8 ottobre 2014), provvede, sentite le  organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative, a dare attuazione all'accordo
di cui al comma 91. Decorso il termine senza  che  la  regione  abbia
provveduto, si applica l'articolo 8 della legge  5  giugno  2003,  n.
131.»
    In primo luogo, e' opportuno sottolineare l'insanabile  contrasto
di tale previsione con l'art. 120 Cost., ai sensi del quale i  poteri
sostitutivi devono essere esercitati nel rispetto  del  principio  di
leale collaborazione. Dall'esame della disciplina censurata, infatti,
emerge come l'eventuale ritardo nell'attuazione dell'accordo ex  art.
1, comma 91 comporti l'automatica sostituzione del Governo, senza che
sia  previsto  «un  procedimento  nel  quale  l'ente  sostituito  sia
comunque  messo  in  grado  di  evitare  la  sostituzione  attraverso
l'autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso  procedimento»
(Corte cost. sent. n. 43/2004), e senza che sia  possibile  rinvenire
all'interno   della   disciplina   censurata   alcuna   delle    fasi
procedimentali prescritte, a tal fine, dall'art. 8 legge n. 131/2003.
    Tale automatismo risulta tanto piu' illegittimo ove si  consideri
che il termine previsto dal comma 91 per l'adozione dell'accordo  tra
organizzazioni  sindacali  maggiormente  rappresentative,   Stato   e
Regioni (ovvero l'8 luglio 2014) ha evidentemente natura  ordinatoria
e prorogabile, diversamente da quello posto in capo alle Regioni  per
l'attuazione dell'accordo medesimo.
    La scadenza di  questo  secondo  termine  consente  infatti  allo
Stato, come  visto,  l'immediato  ed  automatico  ricorso  ai  poteri
sostitutivi, ed ha dunque carattere perentorio e tassativo.
    Orbene, tale  illogica  scansione  temporale  comporta  con  ogni
evidenza  che  non  sia  garantito,  sul  piano  procedimentale,   il
passaggio di un congruo lasso di  tempo  tra  la  data  di  effettiva
adozione dell'accordo e il termine imposto  alle  regioni  per  darvi
attuazione, con la conseguenza che l'accordo  potrebbe  anche  essere
raggiunto successivamente alla scadenza  del  termine  regionale  per
l'esecuzione. Al verificarsi di tale irragionevole  ipotesi,  dunque,
le regioni potrebbero risultare inadempienti pur non essendo ad  esse
imputabile  l'eventuale   ritardo,   con   evidente   violazione   di
qualsivoglia principio di ragionevolezza riconducile all'art. 3 Cost.
    In secondo luogo, il comma censurato risulta altresi' illegittimo
per violazione dell'art. 118, nella parte in cui non prevede  che  il
sopraggiungere della legge regionale di attuazione dell'accordo  -  e
dunque di attribuzione delle funzioni amministrative agli enti locali
- faccia venir meno il presupposto che legittima l'intervento statale
in materia, ovvero l'inerzia regionale.
    E' infatti noto che l'intervento sostitutivo  esercitabile  dallo
Stato ai sensi dell'art. 120 Cost. debba  avere  carattere  cedevole,
perdendo  efficacia  qualora  le  regioni,  anche  tardivamente,   si
conformino agli obblighi loro spettanti.
    Da ultimo,  la  disposizione  di  cui  al  comma  95  risulta  in
contrasto con gli artt.  118  e  120  altresi'  nella  parte  in  cui
individua come oggetto del potere  sostitutivo  statale  l'attuazione
dell'accordo con cui Stato e regioni individuano in modo puntuale  le
funzioni provinciali oggetto del riordino «e le relative competenze»,
e non invece il conferimento delle funzioni individuate  nell'accordo
medesimo con riferimento agli enti territoriali, alle modalita' e  ai
principi indicati dal citato art. 118 Cost.
    Per tutto quanto sopra detto, il meccanismo sostitutivo delineato
dalla disciplina  statale  impugnata  risulta  dunque  manifestamente
illegittimo per violazione degli artt. 118 e  120,  comma  2,  Cost.,
nonche' per contrasto con l'essenziale principio  di  ragionevolezza,
sancito dall'art. 3 Cost.
7. Illegittimita' dell'art. 1, comma 149, della legge n. 56 del 2014,
per contrasto con gli articoli 97, 117, 118, 123 e 136 Cost.
    Sotto profilo ancora  ulteriore,  la  legge  n.  56/2014  risulta
altresi' viziata da illegittimita' costituzionale nell'art. 1,  comma
149, per violazione degli articoli 97, 117, 118, 123 e 136 Cost.
    In particolare,  tale  disposizione  prevede  che,  «al  fine  di
procedere  all'attuazione  di  quanto  previsto   dall'art.   9   del
decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95»,  il  Ministro  per  gli  affari
regionali  predispone  appositi  programmi  di  attivita'  contenenti
modalita' operative e altre indicazioni.  Ebbene,  risulta  in  primo
luogo di immediata evidenza l'illegittimita' di tale disposizione per
violazione degli art. 97 e 136 Cost. La richiamata  disposizione  del
D.L. n. 95, infatti, e' stata abrogata dall'art. 1, comma 562,  lett.
a),  della  legge  n.  147/2013,  ed  e'  stata  altresi'  dichiarata
parzialmente illegittima dalla Corte costituzionale con  la  sentenza
n. 236 del 2013. Nondimeno, dalla lettura del comma  149  non  sembra
potersi trovare altra interpretazione della volonta' del  legislatore
se non quella di  richiamare  in  vita  l'art.  9  d.l.  n.  95/2012,
presupponendone la vigenza.
    E' appena il  caso  di  notare,  tuttavia,  come  Codesto  Ecc.mo
Collegio, recentemente esprimendosi in merito,  ha  chiarito  che  il
fenomeno della reviviscenza  di  norme  abrogate  non  opera  in  via
generale e automatica, e «puo' essere  ammesso  soltanto  in  ipotesi
tipiche e molto limitate, quando cio' sia disposto in modo  espresso»
(Corte cost., sent. n. 13/2013).
    L'intervento  statale  di  cui  si  discute  produce  dunque  una
disciplina  normativa  «foriera  di  incertezza»  (Corte   cost.   n.
364/2010)  e  che   determina   un   «irrazionale   esercizio   della
discrezionalita' legislativa» (Corte cost. n. 70/2013).
    Peraltro, il richiamo alla disposizione abrogata  ai  fini  della
sua applicazione  determina  altresi'  la  violazione  del  giudicato
costituzionale, in virtu' della declaratoria  di  incostituzionalita'
dell'art. 9, comma 4, del d.l. n. 95/2012  avvenuta  ad  opera  della
sentenza n. 236/2013.
    La violazione degli artt. 97 e 136 Cost. ridonda  necessariamente
nella  lesione  delle   attribuzione   regionali   costituzionalmente
garantite in materia di organizzazione amministrativa  regionale,  in
contrasto con gli articoli 117, 118 e 123 Cost.

 
                               P.Q.M.
 
    La Regione Campania, come sopra rappresentata  e  difesa,  chiede
che Codesta Ecc.ma  Corte,  in  accoglimento  del  presente  ricorso,
voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art.  1  commi
4, 5, 6, da 12 a 18, 22, 89, 91, 95, 105, 106, 130 e 149, della Legge
7 aprile 2014, n. 56, per violazione degli articoli 114,  117,  commi
2, lett. p), 3, 4 e 6, 118, 120, 123, 133, 136, 138 e 2, 3,  5  e  97
della Costituzione.
        Roma-Napoli, 6 giugno 2014
 
              Prof. Avv.: Beniamino Caravita di Toritto
 
 
                         Avv.: Maria D'Elia

 

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