N. 43 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 2 maggio 2003.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 2 maggio 2003 (della Regione Emilia-Romagna)
(GU n. 27 del 9-7-2003)

Ricorso della Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente
della Giunta regionale pro tempore Vasco Errani, autorizzato con
deliberazione della Giunta regionale n. 697 del 23 aprile 2003,
rappresentata e difesa come da procura rogata dal notaio Federico
Stame del Collegio di Bologna con atto n. 47.166 di rep. del
23 aprile 2003, dagli avvocati prof. Giandomenico Falcon e Luigi
Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio
dell'avv. Manzi, via Confalonieri, n. 5

Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
14 febbraio 2003, n. 30, Delega al Governo in materia di occupazione
e mercato del lavoro, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del
26 febbraio 2003, con riferimento alle seguenti disposizioni: art. 1,
comma 2, lettera b), n. 4); art. 1, comma 2, lettera c); art. 1,
comma 2, lettera d); art. 2, comma 1, lettera l); art. 2, comma 1,
lettera b); art. 8, comma 1, per violazione degli artt. 117 e 118
Cost., e delle altre disposizioni costituzionali specificamente
indicate nello svolgimento in diritto, nei modi e per i profili di
seguito illustrati.

F a t t o

La legge 14 febbraio 2003, n. 30, recante Delega al Governo in
materia di occupazione e mercato del lavoro, prevede una complessiva
riorganizzazione degli strumenti di intervento, quali stabiliti dalla
precedente legislazione. In larga misura tali strumenti di intervento
consistono in politiche pubbliche attive e in funzioni amministrative
attraverso le quali i pubblici poteri operano per assicurare un
corretto incontro tra domanda e offerta di lavoro, e piu' in generale
per assicurare il corretto svolgimento del rapporto di lavoro.
Per questi aspetti, dunque, la legge n. 30 del 2003 attiene sia,
fondamentalmente, alla tutela e sicurezza del lavoro, sia in parte
anche alla istruzione e alla formazione professionale: materie
affidate alla competenza legislativa regionale, salvo che (per la
tutela del lavoro e l'istruzione) per la determinazione dei principi
fondamentali, spettante al legislatore ordinario statale: secondo
quanto sancito dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione. La
presente impugnazione non si riferisce a tutte le disposizioni della
legge riferibili alle materie ora indicate (altre si riferiscono
prevalentemente alla disciplina privatistica del rapporto di lavoro),
ma alle disposizioni che disciplinano la materia in violazione della
competenza legislativa regionale. Infatti talvolta il legislatore
delegante mostra di essere consapevole della titolarita' regionale
sancita dalla Costituzione, e di volere dettare una disciplina
conseguente.
Cosi' l'art. 1, comma 1, prevede che la delega in materia di
servizi pubblici e privati per l'impiego e di intermediazione e
interposizione privata nella somministrazione di lavoro sia rivolta
«a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in
materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti
annuali dell'Unione europea in materia di occupabilita', i principi
fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l'impiego». Ed
analogamente (ma non identicamente) l'art. 2, comma 1, dispone che la
delega in materia di riordino dei contratti a contenuto formativo e
di tirocinio sia, anch'essa esercitata «nel rispetto delle competenze
affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro
dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».
A questa stregua - ed al di la' della stranezza del richiamo alla
legge costituzionale di modifica del Titolo V della parte seconda
della Costituzione, anziche' alla Costituzione stessa, nel suo testo
vigente potrebbe sembrare che la legge n. 30 del 2003 fosse, quale
legge di delega, conforme alla Costituzione, e che eventuali censure
si potrebbero semmai rivolgere ai futuri decreti legislativi, ove
questi in concreto non si attenessero ai contenuti di principio e
all'obbligo di rispetto delle competenze regionali risultanti dalla
legge di delega.
Cosi', tuttavia, non e', per la ragione che le stesse
disposizioni della legge di delega dettano poi principi e criteri
direttivi per l'esercizio della delega che ad avviso della ricorrente
Regione Emilia-Romagna violano le compentenze costituzionali delle
Regioni.
In particolare, per quanto riguarda la delega di cui all'art. 1
in materia di servizi pubblici e privati per l'impiego e di
intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di
lavoro:
il comma 2, lettera b), n. 4), prevede il «mantenimento da
parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione
coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro»;
il comma 2, lettera c), prevede il «mantenimento da parte
dello Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione
delle controversie di lavoro individuali e plurime»;
il comma 2, lettera d), prevede il «mantenimento da parte
dello Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in
materia di lavoro, alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori
non appartenenti all'Unione europea, all'autorizzazione per attivita'
lavorative all'estero;
il comma 2, lettera l), prevede la «identificazione di un
unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari
pubblici, e privati, che abbiano adeguati requisiti giuridici e
finanziari, differenziato in funzione del tipo di attivita' svolta,
comprensivo delle ipotesi di trasferimento della autorizzazione e
modulato in relazione alla natura giuridica dell'intermediario, con
particolare riferimento alle associazioni non riconosciute ovvero a
enti o organismi bilaterali costituiti da associazioni dei datori di
lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative a livello nazionale o territoriale, ai consulenti del
lavoro di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, nonche' alle
universita' e agli istituti di scuola secondaria di secondo grado,
prevedendo, altresi', che non vi siano oneri o spese a carico dei
lavoratori», senza lasciare spazio allo svolgersi della potesta'
concorrente delle Regioni e senza riservare alle Regioni stesse e
alla loro disciplina le competenze all'autorizzazione o
all'accreditamento;
Anche la delega di cui all'art. 2 in materia di riordino dei
contratti a contenuto formativo e di tirocinio, risulta lesiva delle
competenze regionali come segue:
il comma 1, lettera b) prevede la disciplina con decreto
legislativo degli «speciali rapporti di lavoro con contenuti
formativi, cosi' da valorizzare l'attivita' formativa svolta in
azienda, confermando l'apprendistato come strumento formativo anche
nella prospettiva di una formazione superiore in alternanza tale da
garantire il raccordo tra i sistemi della istruzione e della
formazione, nonche' il passaggio da un sistema all'altro e,
riconoscendo nel contempo agli enti bilaterali e alle strutture
pubbliche designate competenze autorizzatorie in materia,
specializzando il contratto di formazione e lavoro al fine di
realizzare l'inserimento e il reinserimento mirato del lavoratore in
azienda»: a questo modo ignorando la potesta' legislativa concorrente
delle regioni in materia sia di istruzione che di tutela del lavoro,
e la competenza legislativa esclusiva in materia di formazione
professionale, ed il ruolo spettante conseguentemente alle Regioni
nella disciplina e nella concreta gestione del meccanismo
autorizzativo;
il comma 1, lettera h) prevede la «sperimentazione di
orientamenti, linee-guida e codici di comportamento, al fine di
determinare i contenuti dell'attivita' formativa, concordati da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche all'interno
di enti bilaterali, ovvero, in difetto di accordo, determinati con
atti delle regioni, d'intesa con il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali»: ignorando la competenza legislativa esclusiva
delle regioni in materia di formazione e comunque costringendole ad
un accordo con il Ministero privo di ragione e fondamento
costituzionale.
Inoltre, anche la delega di cui all'articolo 8 (Delega al Governo
per la razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di
previdenza sociale e di lavoro) completamente ignora le competenze
legislative e amministrative regionali, prevedendo sia una disciplina
compiutamente statale sia una gestione amministrativa demandata agli
organi statali. Ne risulta che, nonostante la circostanza che in
alcune delle sue disposizioni la impugnata legge n. 30 del 2003 detti
indirizzi potenzialmente rispettosi del riparto costituzionale di
competenze legislative ed amministrative tra lo Stato e le regioni,
le disposizioni sopra indicate sono invece poste in violazione di
tale riparto, e dunque lesive per le Regioni e costituzionalmente
illegittime per i seguenti motivi di

D i r i t t o

1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, lettera
b), n. 4), in quanto nel delegare il Governo alla disciplina dei
servizi pubblici e privati per l'impiego e di intermediazione e
interposizione privata nella somministrazione di lavoro, prevede il
«mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di
conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro».
L'art. 1, comma 2, lettera b), n. 4), nel delegare il Governo
alla disciplina dei servizi pubblici e privati per l'impiego e di
intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di
lavoro prevede il «mantenimento da parte dello Stato delle competenze
in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema
informativo lavoro».
E' necessario qui ricordare che la disciplina e la gestione di un
sistema informativo e' parte integrante della materia tutela del
lavoro. Infatti il sistema informativo costituisce non solo uno
strumento di conoscenza ma altresi' lo strumento stesso dello
svolgimento di un efficace intervento amministrativo. Non si tratta,
in altre parole, di un sistema collaterale rispetto alla
amministrazione delle politiche del lavoro, ma di una componente
essenziale di tale amministrazione.
A questa stregua, la disciplina e la concreta gestione locale
della acquisizione, conservazione e trasmissione delle informazioni
costituiscono componente essenziale ed ineliminabile della competenza
regionale.
Non si nega certo che - al pari di altri sistemi informativi, dal
campo della sanita' a quello generale della statistica - anche il
sistema informativo lavoro abbia bisogno di elementi di unificazione
e di coordinamento, ne' si nega la peculiare competenza che a questo
titolo spetta allo Stato sia quanto alla posizione di principi
fondamentali di materia, sia quanto al «coordinamento informativo,
statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale,
regionale e locale», ai sensi della lettera r) del comma secondo
dell'art. 117.
Ma, appunto, altro e' il coordinamento dei dati
dell'amministrazione regionale e locale, altro e' la diretta
conduzione di tale sistema. La stessa descrizione della competenza
statale mostra l'illegittimita' costituzionale della pretesa di
mantenere un sistema informativo del lavoro completamente statale,
separato dalle competenze operative regionali, per violazione sia
dell'art. 117, comma secondo e comma terzo, che dell'art. 118, ed in
particolare del principio di sussidiarieta'.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2,
lettera c), in quanto prevede il «mantenimento da parte dello Stato
delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle
controversie di lavoro individuali e plurime». Illegittimita'
dell'art. 8 nella parte in cui si riferisce alle funzioni di
conciliazione.
L'art. 1, comma 2, lettera c) prevede il «mantenimento da parte
dello Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione
delle controversie di lavoro individuali e plurime».
Anche questa riserva statale, come la precedente, era
comprensibile, per le Regioni a statuto ordinario, nel precedente
contesto costituzionale, nel quale le Regioni non avevano competenza
costituzionale in materia; ma e' completamente illegittima nel quadro
della nuova costituzione, per ragioni sostanzialmente corrispondenti
a quelle enunciate nel punto precedente.
E' solo necessario precisare, rispetto a quanto affermato sopra,
che la riserva statale della disciplina e dell'esercizio di funzioni
amministrative tipicamente legate al territorio, come quelle qui in
questione, non potrebbe giustificarsi attraverso l'attribuzione che
la Costituzione fa al solo Stato della materia «giurisdizione e norme
processuali» (art. 117, secondo comma, lettera l). Infatti, e' la
stessa disposizione impugnata a precisare che si tratta qui delle
funzioni amministrative relative alla conciliazione delle
controversie di lavoro: siamo dunque palesemente e per espressa
ammissione al di fuori della materia della giurisdizione affidata
allo Stato.
Non si nega che vi siano nessi e raccordi tra la conciliazione in
via amministrativa e la successiva eventuale fase giurisdizionale:
come ad esempio quando la legge sancisce la obbligatorieta' di una
previa fase di conciliazione amministrativa, o quando si regoli il
rapporto tra questa e la decorrenza dei termini processuali. A ben
vedere, si tratta in entrambi i casi di norme destinate ad essere
applicate nel successivo eventuale processo, e dunque di norme
processuali riservate allo Stato.
Questa interferenza certamente legittima lo Stato a dettare,
quali principi fondamentali di materia, i lineamenti di base della
conciliazione quale fase necessariamente previa al successivo
eventuale ricorso giurisdizionale. Ma all'interno di quel quadro la
disciplina propria della conciliazione amministrativa considerata in
se stessa, e la sua concreta gestione, non partecipano affatto del
carattere giurisdizionale, e dunque fanno a pieno titolo parte della
materia regionale tutela del lavoro: con conseguente illegittimita'
della disposizione sia in quanto prevede una disciplina esaustiva
della materia anziche' la sola posizione dei principi fondamentali,
sia in quanto prevede una gestione statale di fenomeni essenzialmente
locali, in violazione, complessivamente, dell'art. 117, commi secondo
e terzo, e dell'art. 118, ed in particolare ancora del principio di
sussidiarieta'.
La contestazione qui svolta si riferisce anche, pro parte,
all'art. 8, ove esso delega il Governo alla «definizione di un quadro
regolatorio finalizzato alla prevenzione delle controversie
individuali di lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di
equita' ed efficienza», evidentemente presupponendo una competenza
statale esclusiva in luogo della effettiva competenza concorrente.
3. - Illegittimita' costituzionale del comma 2, lettera d), in
quanto prevede il «mantenimento da parte dello Stato delle funzioni
amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro, alla
gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti
all'Unione europea, all'autorizzazione per attivita' lavorative
all'estero». Illegittimita' pro parte dell'art. 8.
L'art. 1, comma 2, lettera d) prevede il «mantenimento da parte
dello Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in
materia di lavoro, alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori
non appartenenti all'Unione europea, all'autorizzazione per attivita'
lavorative all'estero».
Anche la previsione di questa riserva di funzioni amministrative
(e prima ancora legislative) allo Stato e' costituzionalmente
illegittima per ragioni corrispondenti a quelle enunciate nei punti
precedenti. Si potrebbe persino dire che l'illegittimita' di questa
riserva e' chiara e palese, dato che le funzioni di vigilanza e la
relativa disciplina e gestione sono state sempre e pacificamente
considerate parte integrante di ciascuna materia regionale anche
sotto il vigore del precedente Titolo V: nel quale era indiscusso il
carattere strumentale della disciplina e dell'attivita' sanzionatoria
rispetto alla materia di base, ed ovviamente quello della vigilanza
rispetto alla stessa attivita' sanzionatoria.
Si noti che per quanto attiene alla vigilanza in generale non si
registra neppure alcuna interferenza con competenze legislative
statali che siano in qualche modo correlate a quelle regionali. Solo
per la gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti
all'Unione europea e per la «autorizzazione per attivita' lavorative
all'estero» si registra connessione significativa con le materie
statali rispettivamente della immigrazione (art. 117, comma secondo,
lettera b) e della politica estera (lettera a).
Tale connessione, tuttavia, non puo' comportare l'attrazione
dell'intera normativa nell'orbita statale. Da un lato, i flussi di
entrata non sono indipendenti dalla concreta domanda di lavoro
esistente nello specifico territorio, e dunque da un elemento che
rientra nella competenza regionale; dall'altro, una volta che il
lavoratore e' stato ammesso ad entrare nel territorio nazionale la
sua destinazione lavorativa rientra - in quanto vi sia necessita' di
intervento - nelle competenze del sistema generale
dell'amministrazione del lavoro.
Quanto poi alla autorizzazione del lavoro all'estero e' chiara la
competenza regionale ad ogni valutazione che non si esaurisca in un
giudizio interdittivo per ragioni di politica estera.
In definitiva, si tratta di attivita' che o (come la vigilanza in
generale) si esauriscono o che comunque rientrano nella tutela del
lavoro, da disciplinare secondo principi fondamentali comuni e da
svolgere in loco secondo il principio di sussidiarieta' e la concreta
disciplina regionale.
Anche la contestazione qui svolta si riferisce, pro parte,
all'art. 8, ove esso delega il Governo al «riassetto della disciplina
vigente sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di
lavoro», presupponendo una competenza statale esclusiva anziche' la
competenza concorrente effettivamente posta dalla Costituzione.
Si noti che l'interferenza con le funzioni ispettive in materia
di previdenza sociale non puo' essere, evidentemente, ragione di
attrazione alla competenza statale anche delle funzioni ispettive in
materia di lavoro, di chiara competenza regionale. Tocca invece al
legislatore statale di stabilire se mantenere la distinzione
costituzionale tra i due sistemi o unificarli, tuttavia nel rispetto
delle competenze regionali ed avvalendosi semmai dell'affidamento
alle Regioni anche delle funzioni amministrative relative al sistema
previdenziale.
4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, lettera
l), in quanto prevede una disciplina esaustiva che non lascia spazio
alla potesta' concorrente delle Regioni e in quanto non riserva alle
Regioni stesse e alla loro disciplina le competenze
all'autorizzazione o all'accreditamento.
L'art. 1, comma 2, lettera l) prevede la «identificazione di un
unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari
pubblici... e privati, che abbiano adeguati requisiti giuridici e
finanziari, differenziato in funzione del tipo di attivita' svolta,
comprensivo delle ipotesi di trasferimento della autorizzazione e
modulato in relazione alla natura giuridica dell'intermediario, con
particolare riferimento alle associazioni non riconosciute ovvero a
enti o organismi bilaterali costituiti da associazioni dei datori di
lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative a livello nazionale o territoriale, ai consulenti del
lavoro di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, nonche' alle
universita' e agli istituti di scuola secondaria di secondo grado,
prevedendo, altresi', che non vi siano oneri o spese a carico dei
lavoratori».
La disposizione e' da una parte profondamente ambigua,
dall'altra, paradossalmente, eccessivamente rigida e dettagliata.
Essa e' ambigua perche' si riferisce ad un regime che non si sa
se sia autorizzatorio o di accreditamento, e che neppure lascia
intravvedere quali differenze il legislatore delegante intenda
istituire tra i due diversi regimi. E' eccessivamente rigida in
quanto tale regime - di per se' completamente indeterminato - viene
poi definito come unico per i diversi intermediari pubblici e
privati, tra i quali peraltro paradossalmente non figurano gli
apparati amministrativi istituzionalmente competenti in materia.
Ma anche a supporre che la disposizione indichi gli intermediari
in termini non esaustivi, e che percio' essa non escluda la diretta
gestione di tali funzioni da parte delle Regioni, non si comprende
come si possano sottoporre ad un «unico» regime intermediari che
hanno caratteristiche organizzative e scopi istituzionali del tutto
diversi. Da questo punto di vista la disposizione invade le
competenze regionali in violazione non solo degli artt. 117 e 118, ma
altresi' in violazione degli art. 3 e 97 Cost., in quanto impone di
trattare in modo uguale situazioni palesemente disuguali e in quanto
cosi' facendo viola il principio di buon andamento
dell'amministrazione.
Inoltre, la qualificazione di unicita' del meccanismo costituisce
la netta negazione della competenza legislativa regionale, che invece
secondo costituzione e' destinata a svolgersi nei soli principi
fondamentali posti dalla legge statale.
Ancora, la stessa qualificazione lascia temere che il carattere
«unico» del meccanismo di autorizzazione possa essere inteso come
indicativo di un meccanismo accentrato, cioe' non solo disciplinato
ma anche concretamente gestito dal centro statale: mentre e' evidente
che, accanto alla disciplina concorrente della materia spetta alle
Regioni la disciplina, e nei termini di tale disciplina la concreta
gestione, delle attivita' amministrative di autorizzazione o di
accreditamento.
5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2 comma 1, lettera
b), in quanto ignora la potesta' legislativa concorrente delle
Regioni in materia sia di istruzione che di tutela del lavoro, la
competenza legislativa esclusiva in materia di formazione
professionale, ed il ruolo spettante alle Regioni nella disciplina e
nella concreta gestione del meccanismo autorizzativo.
L'art. 2 delega il Governo al «riordino dei contratti a contenuto
formativo e di tirocinio». E' evidente che in questa parte della
materia esiste un complesso intreccio tra la competenza
«privatistica» alla disciplina del rapporto contrattuale di lavoro e
la competenza «pubblicistica» in materia di tutela del lavoro
(concorrente) e di formazione professionale (regionale). Come
ricordato in narrativa, anche tale disposizione, a conferma di tale
intreccio, prevede nella parte introduttiva del comma 1 il «rispetto
delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e
sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3». Sin dove possibile, dunque, tale criterio deve essere
utilizzato anche nell'interpretazione dei principi e criteri
specifici posti da legge.
Tuttavia, la lett. b) del comma 1 prevede che con decreto
legislativo sia data disciplina agli «speciali rapporti di lavoro con
contenuti formativi, cosi' da valorizzare l'attivita' formativa
svolta in azienda, confermando l'apprendistato come strumento
formativo anche nella prospettiva di una formazione superiore in
alternanza tale da garantire il raccordo tra i sistemi della
istruzione e della formazione, nonche' il passaggio da un sistema
all'altro e, riconoscendo nel contempo agli enti bilaterali e alle
strutture pubbliche designate competenze autorizzatorie in materia,
specializzando il contratto li formazione e lavoro al fine di
realizzare l'inserimento e il reinserimento mirato del lavoratore in
azienda».
Il tenore complessivo di tale disposizione lascia pensare che si
intendano assorbiti nella competenza «privatistica» statale il
raccordo tra i sistemi della istruzione e della formazione e il
passaggio da un sistema all'altro.
Va invece ribadito che tali materie attengono alla competenza
regionale, nel quadro di principi statali per quanto attiene al
rapporti con il sistema della istruzione.
Per quanto attiene alla formazione, invece, il raccordo
necessario tra il sistema pubblicistico e il sistema dei «contratti a
contenuto formativo» non puo' che manifestarsi nella affermazione
della competenza regionale: tale raccordo, infatti, sfugge
completamente alla logica privatistica del rapporto di lavoro, ed
attiene ai requisiti per il passaggio dall'uno all'altro, alle
relative veirifiche preventive o successive, al sistema di
valutazione, ecc.: in altre parole al tipico contenuto della
competenza regionale in materia di formazione professionale.
Per quanto poi riguarda le competenze autorizzatorie da
riconoscere agli enti bilaterali e alle strutture pubbliche designate
in materia, sembra evidente che esse rientrano in pieno nella
competenza regionale in materia di formazione professionale, la quale
ha come ben noto carattere residuale esclusivo.
L'indicazione della legge statale potrebbe costituire tutt'al
piu' un indirizzo rivolto al legislatore regionale, ma risulta del
tutto illegittimo come principio giuridico vincolante, che dovrebbe
poi essere ulteriormente sviluppato dal legislatore delegato. Spetta
invece alle Regioni decidere, in conformita' ai principi
costituzionali (ivi compreso il principio di sussidiarieta'
orizzontale di cui all'art. 118, ultimo comma) la concreta
allocazione delle competenze autorizzatorie.
6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera
h), in quanto ignora la competenza legislativa regionale e in quanto
vincola le determinazioni regionali alla previa intesa con il
Ministro del lavoro.
La lettera h) dello stesso comma 1 dell'art. 2 prevede la
«sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di
comportamento, al fine di determinare i contenuti dell'attivita'
formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di
lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale e
territoriale, anche all'interno di enti bilaterali, ovvero, in
difetto di accordo, determinati con atti delle regioni, d'intesa con
il Ministro del lavoro e delle politiche sociali».
La disposizione presenta, ad avviso della ricorrente Regione, un
doppio profilo di illegittimita'. Da un lato essa limita,
azzerandola, la compentenza legislativa regionale alla disciplina
della attivita' formativa concordata tra datori e prestatori di
lavoro: mentre una disciplina regionale e' evidentemente non solo
possibile ma addirittura necessaria proprio in vista del «raccordo»
con il sistema pubblico della formazione di cui si e' detto sopra.
In secondo luogo, esso stabilisce una competenza del Ministro del
lavoro a condizionare in modo vincolante il contenuto degli atti
regionali da assumere in caso di mancato accordo tra prestatori e
datori di lavoro, al di fuori di qualunque competenza costituzionale
dello Stato, e comunque al di fuori dei principi e regole che
riguardano eventuali poteri amministrativi statali interferenti con
materie regionali.

P. Q. M.
Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando l'illegittimita' delle disposizioni sopra indicate in
epigrafe, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso.
Padova-Roma, addi' 4 aprile 2003
Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi

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