Ricorso n. 43 dell'11 marzo 2010 (Regione Lazio)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 11 marzo 2010 , n. 43
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria l'11 marzo 2010 (della Regione Lazio).
(GU n. 13 del 31-3-2010)
Ricorso nell'interesse della Regione Lazio, in persona del Vice-presidente della Giunta regionale, dott. Esterino Montino, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 172 del 7 marzo 2010, rappresentato e difeso giusta delega a margine del presente atto dal prof. avv. Federico Sorrentino (c.f.: SRRFRC42M31H501A) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Lungotevere delle Navi n. 30, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale, previa sospensione cautelare, del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29 (Interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa alla disciplina di attuazione), pubblicato in G.U. n. 54 del 6 marzo 2010. F a t t o Nel corso delle attuali elezioni regionali, si sono verificate gravi irregolarita' nella presentazione di alcune liste. In particolare, nella Regione Lazio, per il collegio della Provincia di Roma, la lista «Il Popolo della liberta'», non essendo stata presentata nei termini di legge, e' rimasta esclusa dalla partecipazione alla competizione elettorale in tale Provincia. Nella Regione Lombardia, poi, la Corte d'appello di Milano ha decretato la non ammissione della lista «Per la Lombardia» avendo riscontrato l'invalidita' dell'autenticazione di tante sottoscrizioni da rendere mancante il numero minimo delle firme necessarie alla presentazione (lista poi riammessa, in via cautelare, dal T.A.R. della Lombardia). A fronte di tali esclusioni dalla competizione elettorale, il Governo e' intervenuto adottando il decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29 (Interpretazione autentica degli articoli 9 e 10 della legge 17 febbraio 1968, n. 108), il quale dispone: all'art. 1, comma 1: «Il primo comma dell'art. 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che il rispetto dei termini orari di presentazione delle liste si considera assolto quando, entro gli stessi, i delegati incaricati della presentazione delle liste, muniti della prescritta documentazione, abbiano fatto ingresso nei locali del Tribunale. La presenza entro il termine di legge nei locali del Tribunale dei delegati puo' essere provata con ogni mezzo idoneo»; all'art. 1, comma 2: «Il terzo comma dell'articolo 9 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che le firme si considerano valide anche se l'autenticazione non risulti corredata da tutti gli elementi richiesti dall'art. 21, comma 2, ultima parte, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, purche' tali dati siano comunque desumibili in modo univoco da altri elementi presenti nella documentazione prodotta. In particolare, la regolarita' della autenticazione delle firme non e' comunque inficiata dalla presenza di una irregolarita' meramente formale quale la mancanza o la non leggibilita' del timbro della autorita' autenticante, dell'indicazione del luogo di autenticazione, nonche' dell'indicazione della qualificazione dell'autorita' autenticante, purche' autorizzata»; all'art. 1, comma 3: «Il quinto comma dell'articolo 10 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che le decisioni di ammissione di liste di candidati o di singoli candidati da parte dell'Ufficio centrale regionale sono definitive, non revocabili o modificabili dallo stesso ufficio. Contro le decisioni di ammissione puo' essere proposto esclusivamente ricorso al Giudice amministrativo soltanto da chi vi abbia interesse. Contro le decisioni di eliminazione di liste di candidati oppure di singoli candidati e' ammesso ricorso all'ufficio centrale regionale, che puo' essere presentato, entro ventiquattro ore dalla comunicazione, soltanto dai delegati della lista alla quale la decisione si riferisce. Avverso la decisione dell'Ufficio centrale regionale e' ammesso immediatamente ricorsa al Giudice amministrativo»; all'art. 1, comma 4: «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle operazioni e ad ogni altra attivita' relative alle elezioni regionali, in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto. Per le medesime elezioni regionali i delegati che si siano trovati nelle condizioni di cui al comma 1 possono effettuare la presentazione delle liste dalle ore otto alle ore venti del primo giorno non festivo successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto»; all'art. 2: «Limitatamente alle consultazioni per il rinnovo degli organi delle Regioni a statuto ordinario fissate per il 28 e 29 marzo 2010, l'affissione del manifesto recante le liste e le candidature ammesse deve avvenire, a cura dei sindaci, non oltre il sesto giorno antecedente la data della votazione». La Regione Lazio ha interesse ad impugnare il d.l. n. 29/2010, non solo in quanto lesivo della sua competenza ad adottare la disciplina di dettaglio in materia di elezioni regionali, garantita dall'art. 122, primo comma, Cost., ma anche in quanto esso e' concretamente volto (come emerge dalle sue stesse premesse) ad interferire con le elezioni gia' indette sia del Consiglio, sia del Presidente, consentendo la riammissione della lista del PDL nel collegio elettorale della Provincia di Roma (in particolare, art. 1, commi 1 e 2) in contrasto con quanto previsto dalla normativa regionale (legge regionale n. 2/2005), determinando cosi' una vistosa alterazione della par condicio tra le diverse liste. La par condicio nella competizione elettorale e' invero un valore essenziale dello Stato democratico e della rappresentanza politica che ne e' alla base; sicche' la Regione ricorrente, nel mentre difende la sua competenza legislativa, si oppone ad interventi che rischiano di alterare la rappresentativita' dell'eligendo Consiglio regionale e dello stesso Presidente. Cio' premesso, si contesta l'illegittimita' costituzionale del citato decreto per le seguenti ragioni di D i r i t t o I) Violazione dell'art. 122, primo comma, Cost. I.1 - Secondo il testo originario dell'art. 122, primo comma, della Costituzione, la disciplina del sistema di elezione dei Consigli delle regioni a statuto ordinario era riservata alla legge statale. Nell'esercizio di tale competenza, il legislatore statale ha dettato le leggi 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale) e 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario). Successivamente, la legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, ha sostituito l'art. 122 Cost., stabilendo che «il sistema di elezione e i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonche' dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi». Codesta Corte ha chiarito che si tratta di una potesta' legislativa concorrente, non diversa, dunque, da quella di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. (cfr. sentenze n. 201/2003 e n. 2/2004) e che, a seguito della riforma del 1999, «le leggi statali in materia conservano la loro efficacia, in forza del principio di continuita' (...), fino a quando non vengano sostituite dalle leggi regionali: ma la potesta' legislativa in tema di elezione dei Consigli regionali spetta ormai alle Regioni» (sentenza 5 giugno 2003, n. 196). Tra l'altro, e' la stessa legge costituzionale n. 1/1999 a prevedere, nelle disposizioni transitorie, che fino alla data di entrata in vigore dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali ai sensi del primo comma dell'art. 122 della Costituzione, come sostituito dall'art. 2 della presente legge costituzionale, l'elezione del Presidente della Giunta regionale (...) si effettua con le modalita' previste dalle disposizioni di legge ordinaria vigenti in materia di elezione dei Consigli regionali», con alcune correzioni. Invero, si tratta di un meccanismo analogo a quello prospettato da codesta Corte nella sentenza n. 376/2002 e poi recepito dall'art. 1 della legge n. 131/2003, in base al quale «le disposizioni normative statali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione regionale continuano ad applicarsi, in ciascuna Regione, fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia». E' bene evidenziare che il fatto che le disposizioni statali previgenti alla riforma costituzionale restino in vigore, con il carattere della cedevolezza, fino a quando non vengano sostituite da nuove norme dettate dalle Regioni e' espressione del principio di continuita' dell'ordinamento e non comporta alcuna deroga al riparto delle competenze successivamente stabilito. Con la conseguenza che resta ferma la preclusione al legislatore statale di intervenire con disposizioni di dettaglio nelle materie di competenza concorrente e, quindi, anche d'innovare o interpretare quelle preesistenti. Cio' si ricava, con riferimento alla competenza concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., dai principi affermati da codesta Corte nelle sentenze n. 282/2002 e n. 303/2003, laddove affermano che l'inversione della tecnica di riparto delle potesta' legislative e l'enumerazione tassativa delle competenze dello Stato, operata dalla riforma costituzionale del 2001, porta ad escludere la possibilita' di dettare nrme suppletive statali nelle materie di legislazione concorrente. ancorche' cedevoli, con la sola eccezione delle norme necessarie per «assicurare l'immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettivita'» (ipotesi che, com'e' evidente, non ricorre nel caso in esame). In definitiva, puo' affermarsi quanto segue. In seguito alla riforma costituzionale del '99, in materia di elezioni del Consiglio e del Presidente regionale, al legislatore statale spetta il «solo» potere di fissare i principi fondamentali della materia, mentre e' di competenza delle regioni la disciplina di dettaglio del procedimento elettorale. Il rispetto del principio di continuita' dell'ordinamento e' assicurato dalla previsione di cui all'art. 5 della legge costituzionale n. 1/1999, che dispone l'applicabilita', nelle regioni che non si siano dotate di una propria disciplina legislativa, delle leggi 17 febbraio 1968, n. 108 e 23 febbraio 1995, n. 43, nel testo esistente al momento dell'entrata in vigore della legge costituzionale n. 1/1999. Le norme di dettaglio contenute in tali leggi non possono essere ne' modificate, ne' interpretate dal legislatore nazionale dal momento che «la potesta' legislativa in tema di elezione dei Consigli regionali spetta ormai alle Regioni», con il solo limite del rispetto dei principi fondamentali. A quest'ultimo proposito, deve ricordarsi che il potere d'interpretazione autentica altro non e' che un aspetto del potere di legiferare, sicche' nelle materie di spettanza del legislatore regionale - come quella in esame - solo quest'ultimo puo' interpretare le norme esistenti. Il fondamento per l'emanazione delle leggi d'interpretazione autentica va, infatti, ricercato «nella stessa funzione legislativa, oltre che nella continuita' del suo esercizio. La esplicitazione del significato delle proposizioni normative e della terminologia in esse adoperata e' difatti da ritenersi una estrinsecazione del tutto naturale della attivita' legislativa, come si vede laddove, nel testo di una medesima legge, si destina una proposizione normativa a fissare il preciso significato di un termine, di un istituto, di un disposto normativo, contemplato o stabilito dallo stesso provvedimento legislativo; o anche laddove, sempre in un medesimo testo legislativo, s'impone il raccordo a fine esplicativo di una proposizione normativa con un'altra. Ma, ove si voglia procedere a questa esplicazione nel corso del tempo, a distanza cioe' dalla emanazione delle leggi le cui disposizioni normative vengono esplicitate (...), una cosa soprattutto abbisogna, che la potesta' legislativa continui anch'essa nel tempo. E' sin troppo evidente che, se la potesta' legislativa fosse venuta meno, neanche si potrebbe addivenire a quella sua estrinsecazione ora accennata» (A. Amorth, Leggi interpretative e di sanatoria, in rivista trimestrale di diritto pubblico 1958, 77). Pertanto, «l'interpretazione autentica legislativa risponde fondamentalmente alla razionale sistematica dell'ordinamento giuridico: quel "potere", che puo' emanare nuove norme giuridiche, modificarle od abrogarle, ben puo' anche deliberare la loro "interpretazione", vale a dire chiarirle e precisarle quando ne avverta la necessita' o l'opportunita' (...)» (F. Pergolesi, in Giur. Cost. 1957, 803; analogamente si sono espressi: F. Cammeo, L'interpretazione autentica, in Giur. it. 1907, IV, 305 e ss.; F. Racioppi - I. Brunelli, Commento allo Statuto del Regno III, Torino 1909, 588; D. Donati, Scritti di diritto pubblico, Padova 1966, 10; E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano 1971, 204). Anche codesta Corte ha mostrato di aderire a tale ricostruzione affermando che, «non diversamente dalle altre leggi, anche la legge interpretativa innova all'ordine legislativo preesistente: il quid novi che essa introduce in tale ordine consiste nell'attribuire a certe norme anteriori un significato obbligatorio per tutti (con conseguente esclusione di ogni altra possibile interpretazione)» (sentenza n. 118/1957). . Alla luce di quanto sopra esposto e' costituzionalmente illegittimo il decreto-legge qui impugnato innanzitutto perche', con esso, il legislatore statale ha asseritamente interpretato - ma in realta' innovato, come si dira' piu' avanti - la disciplina di dettaglio contenuta nella legge n. 108/1968, cosi' invadendo la sfera di competenza riservata dall'art. 122, primo comma, Cost. alle Regioni. E' del resto evidente che la normativa contestata non riguarda principi fondamentali della materia. Come costantemente affermato da codesta Corte, infatti, la relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio va intesa «nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l'individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi (sentenze n. 430 del 2007 e n. 181 del 2006). In altri termini, la funzione dei principi fondamentali e' quella di costituire un punto di riferimento in grado di orientare l'esercizio del potere legislativo regionale (sentenza n. 177 del 1988)» (cosi', da ultimo, la sentenza 2 luglio 2009, n. 200). Nella specie, si tratta invece di disposizioni non suscettibili di alcuno sviluppo ulteriore da parte del legislatore regionale e palesemente dirette a sanare una situazione particolarissima ed eccezionale verificatasi nelle elezioni regionali in corso, con l'introduzione addirittura di due norme eccezionali e derogatorie, applicabili per le sole elezioni indette per i prossimi 28/29 marzo (l'art. 1, comma 4, che contiene una deroga ai termini di presentazione delle liste e l'art. 2 che deroga ai termini di affissione del manifesto recante le stesse). I.2 - Sotto un ulteriore profilo, con particolare riferimento all'ordinamento della Regione Lazio, assume rilievo la circostanza che il legislatore regionale ha esercitato, dopo l'intervento della legge n. 165/2004, che ha fissato i principi fondamentali della materia, la competenza attribuitole dall'art. 122, primo comma, Cost., emanando la legge 13 gennaio 2005, n. 2 (Disposizioni in materia di elezione del Presidente della Regione e del consiglio e di ineleggibilita' e di incompatibilita' dei componenti della giunta e del consiglio regionale). L'art. 1 di detta legge prevede che «per quanto non espressamente previsto, sono recepite la legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale) e la legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a statuto ordinario), e successive modifiche e integrazioni». Si tratta di un rinvio recettizio, mediante il quale il legislatore regionale ha inteso introdurre una disciplina materialmente identica a quella richiamata (apportandovi alcune modifiche), che esclude ogni successiva modificazione della stessa. E', infatti, chiaro che il legislatore regionale non puo' aver inteso introdurre un meccanismo di rinvio dinamico, che - comportando l'automatico recepimento nell'ordinamento regionale di successive norme, anche di dettaglio, statali - si risolverebbe in un'anomala ed illegittima «abdicazione» alle proprie competenze costituzionalmente garantite. Del resto la disposizione in esame e' analoga a quella prevista dalla legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n. 1, sulla quale codesta Corte si e' pronunciata con la citata sentenza n. 196/2003, chiarendo che: a) mediante il rinvio alle disposizioni della legge statale e la loro parziale sostituzione, si e' data «vita ad una singolare legge regionale dal testo corrispondente a quello della legge statale»; b) tale «recepimento» va inteso «nel senso che la legge regionale viene a dettare, per relationem, disposizioni di contenuto identico a quelle della legge statale, su alcune delle quali, contestualmente, gli articoli successivi operano modificandole o sostituendole: ferma restandone la diversa forza formale e la diversa sfera di efficacia»; c) «la legge statale continua a spiegare l'efficacia che le e' propria; la legge regionale non fa che introdurre una disciplina materialmente identica, in cui le disposizioni che vengono dettate in «sostituzione» di quelle corrispondenti della legge dello Stato esplicano tale effetto sostitutivo solo con riguardo alla sfera di efficacia della legge regionale di "recepimento", senza intaccare la diversa sfera di efficacia della legge statale». Nella Regione Lazio, quindi, le elezioni del Consiglio e del Presidente sono regolate dalla legge regionale n. 2/2005, che prevede una disciplina materialmente identica, tranne alcune modifiche, a quella recata, all'epoca della sua entrata in vigore, dalle leggi n. 108/1968 e n. 43/1995. Tale disciplina, ai sensi dell'art. 122, primo comma, Cost., puo' essere modificata o interpretata dal solo legislatore regionale. Di qui l'incostituzionalita' del decreto-legge impugnato, mediante il quale il legislatore statale - attraverso una (fittizia) interpretazione della disciplina del '68, recepita dalla legge regionale - pretende d'incidere sulla concreta portata di quest'ultima, cosi eludendo il limite postogli dall'art. 122, comma 1, Cost. I.3 - Deve a questo punto evidenziarsi che il decreto-legge impugnato definisce interpretativa una disciplina che, invece, ha natura innovativa. Le disposizioni di cui al decreto-legge n. 29/2010 non assegnano, infatti, alle disposizioni pretesamente interpretate un significato in esse gia' contenuto, ma fanno, invece, valere un significato diverso da quello desumibile dal loro testo originario, di fatto abrogandole e sostituendole - con efficacia retroattiva - con norme nuove e diverse. Piu' in particolare: A) sul carattere innovativo dell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 29/2010: La prima disposizione pretesamente interpretata e' l'art. 9, comma 1, della legge n. 108/1968, il quale dispone che «le liste dei candidati per ogni collegio devono essere presentate alla cancelleria del tribunale di cui al primo comma dell'articolo precedente dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedenti quelli della votazione; a tale scopo, per il periodo suddetto, la cancelleria del tribunale rimane aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore 8 alle ore 20». Il testo della norma e' chiaro nel riferire i termini ad un preciso adempimento: la presentazione delle liste alla cancelleria del tribunale. La norma in esame, invece, riferisce i termini di cui al primo comma dell'art. 9, non piu' all'adempimento della presentazione delle liste alla cancelleria del tribunale, bensi' all'ingresso dei delegati di lista nei locali del Tribunale. Si tratta chiaramente di un significato non ricavabile dal testo della norma «interpretata» - che utilizza l'espressione, inequivoca, «alla cancelleria» - e che la innova: alla stregua della disciplina contestata, infatti, l'adempimento da effettuarsi entro i termini stabiliti non e' piu' la presentazione delle liste ala cancelleria, ma il semplice ingresso nei locali del Tribunale. B) sul carattere innovativo dell'art. 1, comma 2, del d.l. n. 29/2010: Altra norma pretesamente interpretata e' quella contenuta nell'articolo 9 della legge n. 108/1968, ai sensi del quale «la firma degli elettori (...) deve essere autenticata da uno dei soggetti di cui all'art. 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53 (...)». Ora, l'art. 14 della legge n. 53/1990 cui tale articolo rinvia, non solo indica i soggetti competenti ad autenticare la sottoscrizione delle liste, ma - tramite il rinvio all'art. 20, comma 3, della legge 4 gennaio 1968, n. 15 - stabilisce che il pubblico ufficiale che autentica «deve indicare le modalita' di identificazione, la data e il luogo della autenticazione, il proprio nome e cognome, la qualifica rivestita, nonche' apporre la propria firma per esteso ed il timbro dell'ufficio». L'art. 21, comma 2, del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (che, all'art. 77, ha abrogato la legge 4 gennaio 1968, n. 15), ha ribadito che «(...) il pubblico ufficiale, che autentica, attesta che la sottoscrizione e' stata apposta in sua presenza, previo accertamento dell'identita' del dichiarante, indicando le modalita' di identificazione, la data ed il luogo di autenticazione, il proprio nome, cognome e la qualifica rivestita, nonche' apponendo la propria firma e il timbro dell'ufficio». E' sempre stato pacifico, poi, che la regolarita' delle operazioni di autenticazione costituisce un momento essenziale della presentazione della lista, inteso a garantire che la sottoscrizione della stessa corrisponda effettivamente alla volonta' della frazione di elettorato, e che «sia la firma del soggetto che procede all'autenticazione, sia la data ed il luogo in cui la stessa e' effettuata sono richieste ad substantiam per il raggiungimento dello scopo al quale e' preordinato l'atto accertativo, consistente nel provare la verita' dei fatti dichiarati, e che quindi devono ritenersi elementi essenziali dell'attivita' certificativa svolta dal pubblico ufficiale, sicche' il difetto dei suddetti requisiti determina la nullita' dell'autenticazione delle firme dei sottoscrittori della lista e la sua ricusazione, da reputarsi insanabile, in quanto ogni eventuale successiva produzione integrativa finirebbe col frustrare la imprescindibile esigenza di certezza perseguita dall'atto» (cosi', da ultimo, T.A.R. Campania - Napoli, Sez. II, 29 maggio 2009, n. 3017, che conferma il costante orientamento seguito dai giudici amministrativi sin dalla decisione del Consiglio di Stato 29 giugno 1979, n. 470). Deriva da quanto sin qui affermato che il comma 2 dell'art. 1 del decreto-legge n. 29/2010 ha chiaramente natura innovativa nella parte in cui «trasforma» la carenza delle forme richieste ad substantiam per la validita' dell'autenticazione in «un'irregolarita' meramente formale». C) sulla natura espressamente innovativa dell'art. 1, comma 4, e dell'art. 2 del d.l. n. 29/2010. Il d.l. n. 29/2010 reca poi alcune disposizioni, la cui natura innovativa viene riconosciuta dallo stesso legislatore. La prima e' l'art. 1, comma 4, ai sensi del quale i delegati che, alle elezioni regionali attualmente in corso, non hanno assolto, entro i termini di cui all'art. 9, comma 1, della legge n. 108/1968, all'adempimento della presentazione delle liste presso la cancelleria, se provano di essersi trovati, entro detti termini, nei locali del tribunale muniti della documentazione prescritta, «possono effettuare la presentazione delle liste dalle ore otto alle ore venti del primo giorno non festivo successivo a quello dell'entrata in vigore del presente decreto». Si tratta, quindi, di una disposizione eccezionale e derogatoria dei termini di presentazione delle liste previsti dall'art. 9, comma 1, della legge n. 108/1968. Altrettanto deve dirsi dell'art. 2, rubricato «norma di coordinamento del procedimento elettorale», che deroga, per le elezioni regionali attualmente in corso, i termini di affissione del manifesto recante le liste e le candidature ammesse previsto dall'art. 11 della legge n. 108/1968. I.4 - La natura innovativa del decreto-legge impugnato rende allora ancor piu' grave ed evidente la violazione dell'art. 122, secondo comma, Cost. Invero, il trasferimento della competenza legislativa alle Regioni comporta la preclusione al legislatore statale del potere di legiferare in materia - se non per introdurre i principi fondamentali della stessa - e quindi anche di dettare un'interpretazione autentica della disciplina di dettaglio previgente, applicabile alle Regioni che non si sono dotate di una propria legge in forza del principio di continuita'. E' tuttavia chiaro che l'invasione nella sfera riservata al legislatore statale e' ancor piu' grave ed evidente se si tratta di una disciplina solo fittiziamente interpretativa, ma in realta' innovativa. Con particolare riferimento alla Regione Lazio, che ha disciplinato il procedimento elettorale con una propria legge, deve poi Osservarsi che l'intervento legislativo contestato, avendo carattere innovativo, e' volto addirittura a sostituire (e non solo ad interpretare; il che, si ripete, sarebbe comunque illegittimo) la disciplina regionale, in aperta violazione dell'art. 122 Cost. II) Violazione degli artt. 3, 24, 25, 48, 102, 104 e 111 Cost. La natura solo fittiziamente interpretativa del decreto-legge contestato ne determina, inoltre, l'illegittimita' costituzionale anche in riferimento all'art. 3 Cost. In proposito, giova richiamare il costante insegnamento di codesta Corte secondo cui «va riconosciuto carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo, ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo e' espresso dalla coesistenza delle due norme (quella precedente e l'altra successiva che ne esplicita il signfficato), le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi anche idonee ad essere modificate separatamente». Il legislatore, mentre puo' legittimamente porre in essere una legge avente tali caratteristiche, non puo' invece distorcere la tipica funzione dell'interpretazione autentica, con il connaturato effetto retroattivo, attribuendo carattere interpretativo a disposizioni che hanno invece portata innovativa: cosi' facendo, infatti, egli snatura la funzione propria della legge interpretativa, oltrepassando i limiti della ragionevolezza, in violazione dell'art. 3 cost. (Corte costituzionale, 4 aprile 1990, n. 155). Inoltre, secondo l'ormai consolidato orientamento della Corte costituzionale, poiche' le leggi di interpretazione autentica appartengono al genus delle leggi retroattive, incontrano i medesimi limiti, indipendentemente dal loro carattere effettivamente o «fittiziamente» interpretativo. Pertanto esse sono costituzionalmente legittime solo se hanno natura extra-penale ed a condizione che la retroattivita' non si ponga in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, tra i quali vanno ricompresi la tutela dell'affidamento, la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico ed il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenze 23 novembre 1994, n. 397; 11 giugno 1999, n. 229; 27 luglio 2000, n. 374; 22 novembre 2000, n. 525; 17 maggio 2001, n. 136; 23 luglio 2002, n. 374; 4 agosto 2003, n. 291; 6 dicembre 2004, n. 376; 26 giugno 2007, n. 234). Deve allora evidenziarsi che il decreto-legge contestato e' stato adottato quando erano gia' pendenti, dinanzi ai giudici amministrativi, i ricorsi aventi ad oggetto l'ammissibilita' della lista «Il Popolo della liberta'» nella Provincia di Roma e della lista «Per la Lombardia» in Lombardia, con norme intenzionalmente e preordinatamente dirette ad influire su detti giudizi, onde provocare la riammissione delle suddette liste. L'esercizio della funzione legislativa, tuttavia, anche in sede d'interpretazione autentica, deve risolversi nella sola emanazione di norme generali ed astratte senza interferire nello svolgimento della diversa funzione di interpretazione ed applicazione della legge ai casi concreti, essendo questa riservata dalla Costituzione agli organi giudiziari. Per questa ragione, il d.l. n. 29/2010 vulnera la funzione giurisdizionale ed altera le garanzie del giusto processo in contrasto con gli artt. 24, 102, 104 e 111 cost. (cfr. sentenza 23 novembre 1994, n. 397). Infine, sotto un ulteriore profilo, deve evidenziarsi che il decreto-legge contestato viola altresi' gli artt. 3 e 48 Cost. in quanto l'uguaglianza del voto e' garantita solo se, nel procedimento presupposto alla votazione, vi sia stata par condicio. III) Violazione degli artt. 72, comma 4, e 77, comma 2, Cost. In materia elettorale l'art. 72, quarto comma Cost., prevede una riserva di assemblea, sicche', detta materia puo' essere disciplinata solo dalla legge, intesa in senso formale, e non da altri atti aventi forza di legge. Tale limite, direttamente ricavabile dalla disposizione costituzionale, e' stato esplicitato dall'art. 15, comma 2, lettera b), della legge n. 400/1988 ed e' nella specie chiaramente violato. Inoltre, il carattere pretesamente interpretativo di norme vigenti da oltre quarant'anni e la retroattivita' del decreto-legge censurato testimoniano l'assenza, nella specie, dei presupposti di necessita' e di urgenza che soli legittimano il ricorso alla decretazione d'urgenza, con conseguente violazione dell'art. 77, secondo comma, Cost. Istanza cautelare Si chiede a codesta ccc.ma Corte di voler sospendere l'esecuzione delle norme impugnate ai sensi dell'art. 35, comma 1, della legge n. 87/1953. E' infatti evidente il grave ed irreparabile pregiudizio che deriverebbe all'interesse pubblico al regolare svolgimento delle elezioni regionali nel caso in cui le consultazioni del 28-29 marzo 2010 si svolgessero sulla base di norme suscettibili di declaratoria di incostituzionalita'. In particolare si evidenzia che le disposizioni di cui all'art. 1, commi 1 e 4, sono volte proprio a sanare la dichiarata inammissibilita' della lista del PDL nel collegio della Provincia di Roma. E' chiaro tuttavia che qualora detta lista venisse ammessa ai sensi dell'art. 1 del decreto-legge n. 29/2010, la declaratoria d'incostituzionalita' di tale articolo travolgerebbe, invalidandolo, il risultato elettorale, con conseguente grave pregiudizio sia per la Regione, sia per i cittadini elettori. All'illustrissimo Presidente della Corte costituzionale Istanza di riduzione dei termini In considerazione dell'estrema urgenza di una pronuncia di codesta Corte sulla legittimita' costituzionale del decreto-legge impugnato, che pretende di regolare il procedimento per le elezioni regionali indette per il 28/29 marzo 2010, si chiede alla s.v. ill.ma di voler disporre, ai sensi dell'art. 9 della legge Cost. n. 1/1953, la riduzione dei termini del presente procedimento nella misura piu' ampia possibile. (1) E' bene evidenziare che il caso deciso nella sentenza n. 232/2006 e' del tutto analogo a quello di specie: la Regione Trentino-Alto Adige aveva adottato una legge interpretativa di una norma regionale in materia di elezione dei consiglieri provinciali, sebbene la legge costituzionale n. 2 del 2001, modificando l'art. 47 dello statuto speciale, avesse trasferito alle Province autonome di Trento e Bolzano la competenza legislativa in materia. La legge costituzionale citata aveva peraltro previsto, nelle disposizioni transitorie, che, nella Provincia di Bolzano, si continuassero ad applicare «le leggi elettorali vigenti» fino alla data di entrata in vigore della legge provinciale. Quest'ultima era si' intervenuta, ma si era limitata a richiamare al riguardo la precedente legge regionale, apportandovi alcune modifiche. In tale contesto, la Corte ha chiarito che «la disposizione transitoria (...) non vale certamente a ripristinare in capo alla Regione la competenza legislativa sottrattale con il primo comma». Essa infatti e' volta a «far salva, in via transitoria, non gia' la competenza legislativa regionale, ma le leggi elettorali "vigenti" emanate da chi, fino a quel momento, aveva la relativa competenza». Sicche', «la riproduzione pressoche' letterale della norma transitoria da parte della legge provinciale (...) non incide affatto sull'unica, decisiva circostanza della perdita da parte del Consiglio regionale della potesta' legislativa in materia, e cio' a prescindere del tutto dall'esercizio da parte della Provincia autonoma di tale potesta'».
P. Q. M. Si chiede a codesta ecc.ma Corte di voler dichiarare, previa sospensione degli effetti, l'illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 del decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29, in riferimento all'art. 122, primo comma, Cost., nonche' agli artt. 3, 48, 72, comma 4, 77, comma 2, 25 e 111 Cost. Roma, addi' 10 marzo 2010 Prof. avv.: Federico Sorrentino