Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 1° marzo 2012 (della Regione Lazio).

 

 

(GU n. 15 del 11.04.2012 ) 

 

 

 

     Ricorso  nell'interesse  della  Regione  Lazio  (codice  fiscale …),  in  persona  della  Presidente  pro   tempore   Renata Polverini autorizzata con deliberazione della Giunta Regionale n.  17 febbraio 2012, n. 44 (doc. 1), rappresentata e difesa dall'avv. Piero d'Amelio   (codice   fiscale…)   ed   elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via della Vite, n.  7  (PEC … - fax …) come da procura  speciale a margine del presente atto);

    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro  tempore  per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale:

        dell'art. 23, commi 14-20 del d.l.  n.  201/2011  convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011 per violazione degli artt. 5, 77, 72 comma 4, 114, 117, comma 2, lettera  p),  118,  comma  2,  119 comma 4 e 3, 120 comma 2 della Costituzione, nonche'  per  violazione dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione;

        dell'art. 31, comma 1 del d.l. n.  201/2011  convertito,  con modificazioni, in legge n. 214/2011 per violazione degli  artt.  3  e 117 comma 4 della Costituzione, nonche' per violazione del  principio di leale cooperazione.

 

                                Fatto

 

    Sul Supplemento Ordinario della Gazzetta  Ufficiale  27  dicembre 2011, n. 300 (doc. 2) e' stata pubblicata la legge 22 dicembre  2011, n. 214,  di  conversione,  con  modificazioni,  del  decreto-legge  6 dicembre 2011, n. 201, recante Disposizioni urgenti per la  crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici.

    Il d.l. n. 201/2011, al dichiarato fine di arginare  gli  effetti della crisi economica in atto, contiene  misure  urgenti  dirette  ad assicurare la stabilita', la crescita e l'equita', con l'obiettivo di avviare una  profonda  riforma  dell'economia  ed  una  significativa riduzione dei costi della politica e degli apparati amministrativi.

    Tra gli interventi previsti vengono qui in  evidenza  la  riforma dell'assetto ordinamentale degli enti territoriali (artt.  23,  commi da 14 a 20) e la liberalizzazione delle attivita'  commerciali  (art. 31, comma 1).

    Le menzionate disposizioni sono lesive delle attribuzioni e delle competenze regionali per i seguenti motivi di   

                               Diritto

 

I. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, commi 14-20 del d.l. n. 201/2011  convertito,  con  modificazioni.  in  legge  n. 214/2011

    L'art. 23 della legge  n.  201/2011,  intitolato  «Riduzione  dei costi di funzionamento delle Autorita' di Governo,  del  CNEL,  delle Autorita' indipendenti  e  delle  Province»,  ai  commi  14-20  cosi' recita:

        «14. Spettano alla Provincia esclusivamente  le  funzioni  di indirizzo e di coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con  legge  statale  o  regionale,  secondo  le rispettive competenze.

    15.  Sono  organi  di  governo  della  Provincia   il   Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi  durano  in carica cinque anni.

    16. Il Consiglio provinciale e' composto da  non  piu'  di  dieci componenti eletti dagli organi  elettivi  dei  Comuni  ricadenti  nel territorio della Provincia. Le modalita' di elezione  sono  stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012.

    17.  Il  Presidente  della  Provincia  e'  eletto  dal  Consiglio provinciale tra i suoi  componenti  secondo  le  modalita'  stabilite dalla legge statale di cui al comma 16.

    18. Fatte salve le funzioni di cui al comma 14,  lo  Stato  e  le Regioni,  con  propria  legge,  secondo  le  rispettive   competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro  il  31  dicembre  2012,  le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo  che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarieta',  differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento  delle  funzioni  da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012,  si  provvede  in  via sostitutiva, ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno  2003,  n. 131, con legge dello Stato.

    19. Lo Stato e le  Regioni,  secondo  le  rispettive  competenze, provvedono altresi' al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite,  assicurando nell'ambito  delle  medesime  risorse  il  necessario   supporto   di segreteria per l'operativita' degli organi della provincia.

    20. Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro  il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo  2013,  l'articolo  141 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli  enti  locali,  di cui al decreto legislativo 18  agosto  2000,  n.  267,  e  successive modificazioni. Gli organi provinciali  che  devono  essere  rinnovati successivamente al 31 dicembre  2012  restano  in  carica  fino  alla scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al  primo  e  al  secondo periodo del presente comma, si procede all'elezione dei nuovi  organi provinciali di cui ai commi 16 e 17.».

    Premessa: il contenuto delle norme considerate.

    Le norme sopra richiamate configurano un intervento di  carattere strutturale  che  investe  sia  le  funzioni  che  gli  organi  delle Province, attraverso misure dichiaratamente finalizzate a  ridurre  i costi di funzionamento delle stesse.

    Alle Province si riconoscono unicamente «funzioni di indirizzo  e di coordinamento» delle attivita' dei  Comuni  nelle  materie  e  nei limiti stabiliti con legge statale o regionale (comma 14), mentre  le altre  funzioni  sono  trasferite,  con  le   relative   risorse   e, rispettivamente, con legge statale o regionale, entro il 31  dicembre 2012, ai Comuni o, per l'esercizio unitario, alle Regioni. In caso di mancato trasferimento  delle  funzioni  regionali  entro  il  termine indicato del 31 dicembre 2012,  e'  previsto  il  potere  sostitutivo dello Stato (commi 18 e 19).

    Gli organi  di  governo  della  Provincia  sono  ridotti  a  due:

Consiglio e Presidente e durano in carica cinque anni (comma 15).

    Il Consiglio provinciale dovra'  essere  composto  da  un  numero massimo di dieci componenti «eletti dagli organi elettivi dei  Comuni ricadenti nel  territorio  della  Provincia»;  Il  Presidente  verra' «eletto  dal  Consiglio  provinciale  tra  i  suoi  componenti».   La determinazione delle modalita' di  elezione  dei  consiglieri  e  del Presidente e' riservata ad una legge statale da emanarsi entro il  31 dicembre 2012 (commi 16 e 17).

    Per le Province i cui organi sono in scadenza alla  data  del  31 dicembre 2012 e' infine prevista una sorta di  commissariamento  fino al 31 marzo 2013, mentre gli organi  che  dovranno  essere  rinnovati successivamente, restano in carica fino alla loro  naturale  scadenza (comma 20).

    1. Le norme in esame incidono profondamente sulla forma di  Stato prevista dalla Costituzione, in quanto  sostanzialmente  svuotano  le Province delle loro funzioni ed incidono  sulla  composizione  e  sul procedimento elettivo dei relativi organi in modo cosi'  invasivo  da modificare  notevolmente  l'assetto  costituzionale  delle  autonomie locali.

    La natura strutturale di tale  intervento  -  come  espressamente ammesso nella stessa relazione tecnica  del  governo  (1)  -  esclude dunque la ravvisabilita' dei requisiti di straordinarieta' e  urgenza che legittimano l'adozione di un decreto-legge e  lo  rende  pertanto illegittimo  per  violazione  dell'art.  77  della  Costituzione.  La riforma  avrebbe  invero  richiesto  uno  strumento  normativo   piu' adeguato e concertato, sulla base di un processo condiviso con  tutti i livelli di governo coinvolti.

    Si  e',  invece,  proceduto  con  la  decretazione  d'urgenza   a comprimere il sistema delle autonomie locali svuotando, di fatto,  il ruolo di un ente territoriale equiordinato allo  Stato  dall'articolo 114 della Costituzione. Il Governo e' intervenuto con una fonte extra

ordinem su una materia sottratta, inoltre,  alla  sua  disponibilita' anche dall'articolo 15 della  legge  23  agosto  1988,  n.  400,  che espressamente esclude che le materie previste  dall'art.  72,  quarto comma, della Costituzione (tra cui sono incluse le norme di carattere

costituzionale  o   elettorale)   possano   costituire   oggetto   di decretazione d'urgenza.

    Il ricorso alla decretazione d'urgenza per ridisegnare  l'assetto istituzionale delle autonomie territoriali al di fuori di una visione globale, oltre a porsi in contrasto con i parametri costituzionali di cui all'articolo 77 della Costituzione, crea squilibri  e  asimmetrie nel sistema delle relazioni tra i diversi livelli  di  governo  e,  a

cascata, nei rapporti con i cittadini.

    2.  Le  disposizioni  in  esame  appaiono  altresi'  in  evidente contrasto con i principi e le norme costituzionali che  incidono  sui rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali e, in  particolare, violano gli artt. 5, 114, 117 (comma 2, lettera p) e comma  6),  118, 119 e 120 della Costituzione ed i principi generali  dell'ordinamento sulla disciplina degli enti locali.

    I  parametri  costituzionali  in  argomento  non  consentono   al legislatore  ordinario  di  modificare  la  natura   degli   elementi costitutivi della Repubblica, quali  enti  del  governo  territoriale rappresentativi  delle  rispettive  comunita'  ed  equiordinati  allo Stato.

    La disciplina dettata dall'articolo 23 in esame stravolge infatti il ruolo attribuito dalla Costituzione alle  Province,  declassandole ad ente di secondo grado, con non  meglio  identificate  funzioni  di solo coordinamento delle attivita' dei  Comuni,  privandole  altresi' della  possibilita'  di  esercitare  le   competenze   amministrative riconosciute dalla Costituzione.

    Lo  svuotamento  di  funzioni   amministrative   delle   Province concretizza poi anche una grave  lesione  dell'autonomia  legislativa regionale,   in   quanto   stravolge   l'assetto    delle    funzioni amministrative previsto dall'articolo 118  della  Costituzione  sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e  adeguatezza, vanificando nella sostanza le competenze  legislative  della  Regione nella distribuzione delle funzioni stesse a livello locale.

    In particolare la devoluzione alle Regioni  di  una  parte  delle funzioni concretizza una violazione della logica sottesa al principio di sussidiarieta'  verticale  che  dovrebbe  ispirare  l'attribuzione delle funzioni amministrative in quanto, in  base  al  nuovo  assetto delineato dalle disposizioni in esame, le Regioni eserciterebbero  le funzioni amministrative degli altri enti locali non solo laddove cio' sia necessario per garantirne l'esercizio unitario.

    Tali osservazioni sono state espresse anche in sede di  Consiglio delle Autonomie Locali del Lazio (CAL) nella seduta  del  24  gennaio u.s. che, in tal sede, ha approvato all'unanimita'  la  deliberazione n. 1, di proposta al Presidente della Regione, ai sensi dell'articolo 41,  comma  4,  dello  Statuto  regionale,  di  ricorso  alla   Corte

Costituzionale avverso  l'articolo  23,  commi  14-21,  del  d.l.  n. 201/2011 in esame (doc. 3). Nel rilevare che la  precitata  norma  ha chiaramente lo scopo di coniugare l'opportunita' di non estendere  la legittimazione  ad  agire  di  fronte  alla   Corte   costituzionale, all'esigenza di consentire comunque anche alle  autonomie  locali  un margine di  tutela  delle  relative  prerogative  costituzionali,  si sottolinea che la norma in questione non riveste soltanto una valenza procedurale, ma prefigura anche potenzialmente un potere-dovere della Regione di difendere il sistema delle autonomie  locali,  promuovendo la questione di legittimita' costituzionale, allorche' si verifichino lesioni della sfera di autonomia costituzionale delle stesse.

    La  Regione  e'  dunque  legittimata  a  proporre   la   presente impugnativa sia per la lesione diretta subita dalle norme contestate, sia per la lesione delle prerogative  costituzionali  delle  Province (le sentenze Corte cost. nn. 417/2005, 196/2004,  95/2007,  169/2007, 289/2009 hanno dichiarato l'ammissibilita' delle censure  relative a compressione di sfere di attribuzione provinciale o degli altri  enti locali istituiti  dall'art.  114  della  Cost.,  da  cui  derivi  una compressione dei poteri delle Regioni).

    Nel dettaglio delle singole disposizioni si formulano inoltre  le censure che seguono.

    2.1.  Il  comma  14   prevede   che   spettano   alla   Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo politico e  di  coordinamento delle attivita' dei Comuni, nelle materie e nei limiti  indicati  con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

    2.1.a. Tale norma viola gli artt. 114, 117, comma 2, lettera p) e 118, comma 2 Cost. in  quanto  con  una  fonte  impropria  svuota  le Province delle loro funzioni.

    In tema di funzioni delle province occorre ricordare  che  l'art. 114, comma 2 Cost. stabilisce che  le  Province,  con  i  Comuni,  le Citta' metropolitane e le Regioni,  sono  enti  autonomi  con  propri statuti,  poteri  e  funzioni  secondo  i  principi   fissati   nella

Costituzione.

    L'art. 118 comma 2 Cost. stabilisce che le province (ed i  comuni e le citta' metropolitane) sono titolari di  funzioni  amministrative proprie e di funzioni conferite con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze. Tali norme impongono cosi' di  distinguere, come  ha  rilevato  attenta  dottrina,  tra:  funzioni   fondamentali

(riservate alla legislazione esclusiva dello Stato ex art. 117  comma 2 Cost.), funzioni attribuite ai Comuni (art. 118,  comma  1  Cost.), funzioni proprie (di cui sono  titolari  Comuni,  Province  e  Citta' metropolitane ex art. 188, comma 2  Cost.)  e  funzioni  conferite  a province, Citta' metropolitane Regioni e Stato al fine di assicurarne

l'esercizio  unitario   secondo   i   principi   di   sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza ex art. 118 comma 1  Cost.  ed  ancora una volta conferite a Comuni, Province  e  Citta'  metropolitane  con legge statale o regionale, ex art. 118, comma 2, Cost.

    L'art. 117, secondo comma, lett. p), attribuisce alla  competenza esclusiva  dello  Stato  la  legislazione  in  materia  di   funzioni fondamentali delle province, oltre che  dei  comuni  e  delle  citta' metropolitane.

    L'indicazione delle funzioni fondamentali degli  enti  locali  e' contenuta  nell'art.  3  del  d.lgs.  26  novembre   2010,   n.   216 (Determinazione   dei   fabbisogni   standard   di   comuni,   citta' metropolitane e  province),  che  individua  in  via  transitoria  le funzioni  ed  i  relativi  servizi  da  considerare  quali   funzioni fondamentali delle province:

        a) funzioni generali di amministrazione,  di  gestione  e  di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla  data  di entrata in vigore della legge in esame;

        b) funzioni di istruzione pubblica, ivi  compresa  l'edilizia scolastica;

        c) funzioni nel campo dei trasporti;

        d) funzioni riguardanti la gestione del territorio;

        e) funzioni nel campo della tutela ambientale;

        f) funzioni nel campo dello sviluppo  economico  relative  ai servizi del mercato del lavoro.

    Il decreto-legge in esame azzera queste funzioni, richiamando  al comma 14 solo la funzione di indirizzo politico  e  coordinamento,  i cui limiti e materia saranno indicati con legge statale o  regionale.

Pertanto, tale funzione  e'  disciplinata  separatamente  rispetto  a quelle  funzioni  (gia'  conferite  alle  province  dalla   normativa vigente) che in base al comma 18 lo Stato e le Regioni, ciascuno  per quanto di competenza, dovranno trasferire con propria legge ai Comuni entro il 30 aprile 2012.

    Ma prevedere una funzione di indirizzo e coordinamento del  tutto scollegata rispetto alle funzioni proprie  attribuite  significa,  di fatto,  svuotare  le  competenze  delle   province,   demandando   al legislatore  statale  o  regionale  la  scelta,  al  limite,  di  non trasferire nulla. Un siffatto  intervento  demolitorio  travalica  la competenza statale ed incontra  i  limiti  stabiliti  dall'art.  117, comma 2, lett. p) in stretta correlazione con gli artt. 5 e 114 Cost. istitutivi,  appunto,  delle  autonomie  locali  e  per  quanto   qui interessa delle province.

    Inoltre, attribuire  tutte  le  funzioni  gia'  provinciali  alle Regioni che, a loro volta (e  per  quanto  di  loro  competenza),  le dovranno attribuire ai Comuni o tenerle per se' mentre lo Stato tiene per se' quelle che  ritiene  non  di  competenza  delle  Regioni  per attribuirle a sua volta  ai  Comuni,  crea  un  totale  sovvertimento dell'assetto costituzionale del sistema della autonomie locali.

    2.1.b.  Inoltre,  nel  prevedere  in  capo   alle   Province   un generalizzato potere di indirizzo e di  coordinamento  nei  confronti dei Comuni, il comma in discorso viola l'art. 114 Cost., che  delinea un sistema equiordinato delle autonomie territoriali.

    Dalla formulazione generica della  disposizione  non  si  evince, peraltro, in che cosa dovrebbero consistere esattamente tali funzioni di  indirizzo  e  coordinamento  ed  essendo   le   stesse   riferite esclusivamente all'attivita'  dei  Comuni,  si  lascia  irrisolta  la questione  relativa  alle  «funzioni  di  governo  di  area   vasta», inconciliabili con la dimensione comunale.

    2.2. Sui commi 15, 16 e 17 del d.l. n. 201/2011.

    La prevista riduzione della governance e la sottrazione al  corpo elettorale dell'investitura diretta degli  organi  di  governo  della provincia pur essendo, in linea di principio, riconducibile ad ambiti materiali di competenza esclusiva dello  Stato,  quale  «legislazione elettorale ed organi di governo» di cui all'articolo  117,  comma  2, lettera p) della Costituzione, viola gli  artt.  5  e  114  Cost.  in quanto  incide  direttamente  sulla  rappresentativita'   democratica dell'ente Provincia, comportando una  delegittimazione  dei  relativi organi  ed  un  conseguente  svilimento  della  natura  stessa  delle Province,  quali  elementi  costitutivi  della  Repubblica  ed   enti esponenziali  di  una  comunita'  territoriale   che   si   organizza democraticamente.

    Il comma 16 poi, prevedendo un procedimento elettorale che non e' immediatamente operativo (in quanto le modalita' di elezione  saranno stabilite da una futura legge dello Stato), lascia  notevoli  margini di indeterminazione, ponendo in essere un'ipotesi di  violazione  del principio di ragionevolezza.

    2.3. Il comma 18 del d.l. n. 201/2011 viola gli artt. 118  e  120 Cost.,  in  quanto  esclude  le  Province  dal  novero   degli   enti territoriali che declinano i principi di sussidiarieta',  adeguatezza e differenziazione.

    2.3.a. La norma viola innanzi tutto l'art. 120 comma 2 Cost.  che prevede l'esercizio del potere sostitutivo dello Stato nelle  materie di  competenza  delle  Regioni,  limitando  la  discrezionalita'  del Governo ai soli casi indicati  tassativamente  dall'articolo  stesso:

invece con la norma in esame il Governo, con  decretazione  d'urgenza mancante oltretutto dei relativi presupposti, ha introdotto una nuova fattispecie di potere sostitutivo straordinario  priva  di  copertura costituzionale.

    2.3.b. L'obbligo di trasferimento ai comuni delle funzioni finora gia'  conferite  trova  nel  comma  18  il  solo  limite   costituito dall'esigenza di assicurarne l'esercizio  unitario,  sulla  base  dei principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed  adeguatezza,   a garanzia del quale  le  funzioni  possono  essere  «acquisite»  dalle Regioni: tale prevista  «acquisizione»  viola  l'art.  118  Cost.  in quanto  introduce  nell'ordinamento  un  tertium  genus  rispetto  al trasferimento di funzioni dallo Stato alle regioni o al  mantenimento di funzioni in capo alle regioni stesse.

    2.3.c. Ancora, la previsione  dell'intervento  sostitutivo  dello Stato viola il principio di leale collaborazione.

    Infatti, posto che il dichiarato obiettivo del d.l.  n.  201/2011 e' la riduzione delle spese, e che nessun risparmio di  spesa  deriva dalle  norme  impugnate  (o,  se  risparmio  vi  e',  e'  sicuramente sproporzionato rispetto alla  grave  intromissione  nell'alveo  delle garanzie  costituzionali),  l'introduzione  di  una  siffatta   norma

avrebbe richiesto la condivisione con le Regioni, Province  e  Comuni di una proposta unitaria di riordino  complessivo  delle  istituzioni territoriali.

    2.4. Il comma 19 del d.l. n. 201/2011 stabilisce che lo  Stato  e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresi'  al trasferimento delle risorse  umane,  finanziarie  e  strumentali  per l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito  delle medesime  risorse  il   necessario   supporto   di   segreteria   per

l'operativita' degli organi della provincia.

    2.4.a.  Le  censure  di  illegittimita'   sopra   formulati   con riferimento al trasferimento di funzioni previsto  dal  comma  18  si estendono, per illegittimita' costituzionale derivata, anche al comma che prevede il conseguente trasferimento delle risorse.

    2.4.b. La norma viola oltretutto l'autonomia organizzativa  delle Province che, in base all'art. 114 Cost. sono enti costitutivi  della Repubblica, con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione.

    2.5. Il comma 20 viola gli artt. 1, 5 e 114 Cost.  e  i  principi della Carta europea delle autonomie locali, ratificata dal Parlamento italiano.

    Viola anche l'art. 3 Cost. per  eccesso  di  potere  legislativo, nonche' il principio di ragionevolezza, in quanto subordina il  venir meno degli organi attuali alla precitata successiva legge statale  di disciplina delle modalita' di elezione degli stessi.

II. Questione di legittimita' costituzionale dell'art.  31,  comma  1 del d.l. n. 201/2011  convertito,  con  modificazioni,  in  legge  n. 214/2011.

    L'art. 31, intitolato «Esercizi commerciali», al  comma  l  cosi' recita:

        «1. In materia di esercizi commerciali, all'articolo 3, comma 1,  lettera  d-bis,  del  decreto-legge  4  luglio  2006,   n.   223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 sono soppresse  le  parole:  "in  via  sperimentale"  e  dopo  le   parole "dell'esercizio" sono  soppresse  le  seguenti  "ubicato  nei  comuni inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche  o  citta' d'arte"».

    Premessa: il contenuto della norma considerata.

    L'art. 31, comma 1, del d.l. n. 201/2011 modifica  l'articolo  3, comma 1 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, che  -  in  espressa attuazione della normativa comunitaria in  materia  di  tutela  della concorrenza e libera circolazione delle merci e  dei  servizi  ed  al fine di garantire la liberta' di concorrenza «ai sensi  dell'articolo 117, comma secondo, lettere  e)  ed  m),  della  Costituzione»  -  ha eliminato  tutti  i  limiti  e  le  condizioni  all'esercizio   delle attivita' commerciali e di somministrazione di  cibi  e  bevande  con eccezione delle vendite sottocosto e dei saldi di fine stagione.

    La lettera d-bis, che qui interessa,  era  stata  introdotta  dal comma 6 dell'art. 35 del d.l. n. 98/2011 che aveva  tolto  il  limite del rispetto degli orari di apertura e di chiusura e l'obbligo  della chiusura domenicale, festiva  e  della  mezza  giornata  di  chiusura

infrasettimanale solo pero' «in via sperimentale» e limitatamente  ai «comuni inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche  o citta' d'arte».

    Le  modifiche  da  ultimo  introdotte  dalla  norma  oggetto  del presente ricorso hanno eliminato entrambi i limiti suddetti, rendendo cosi' la liberalizzazione degli  orari  di  apertura  degli  esercizi commerciali permanente e non piu' solo sperimentale ed estendendola a tutto il territorio nazionale, e non solo alle localita' turistiche e

d'arte.

    La  norma  e'  gravemente  lesiva  della  competenza  legislativa esclusiva regionale.

    1. Innanzi tutto, viola l'art. 117, comma 4 Cost.: come ha  avuto modo di affermare codesta Corte, a seguito della modifica del  Titolo V della Parte II della Costituzione la materia del «commercio»  e  la disciplina degli  orari  degli  esercizi  commerciali  rientra  nella competenza esclusiva residuale delle Regioni (ordinanza n.  199/2006;

sentenze n. 350/2008 e n. 150/2011).

    Non si ignora che codesta ecc.ma Corte ha rilevato che pertengono alla competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato  le  regole  in materia  di  commercio  direttamente  afferenti  alla  tutela   della concorrenza nel settore della distribuzione  commerciale  e  volte  a garantire condizioni di pari opportunita' ed il corretto ed  uniforme

funzionamento del  mercato,  nonche'  ad  assicurare  ai  consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di  accessibilita' all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale (sentenza n. 288/2010).

    Tuttavia, seppure la Corte costituzionale ha riconosciuto che «la tutela della concorrenza non  e'  materia  di  estensione  certa,  ma presenta i tratti di  una  funzione  esercitabile  sui  piu'  diversi oggetti ed e' configurabile come  trasversale»,  ha  anche  precisato

che, avendo la  tutela  della  concorrenza  influenza  sulle  materie attribuite alla competenza legislativa concorrente o residuale  delle Regioni (come il commercio), «l'esercizio da parte dello Stato  della suddetta competenza trasversale ad  esso  riservata  deve  essere  in sintonia con le accresciute  competenze  regionali  a  seguito  della

modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione» (sentenza n. 430/2007).

    Nella specie, la norma in esame appare illegittima  perche',  non lasciando spazio ad  un  intervento  del  legislatore  regionale  che rimetta alla programmazione territoriale la tutela di una piu' estesa fruizione degli esercizi commerciali da parte  dei  consumatori,  non lascia alcun margine all'applicazione  dell'autonomia  regionale  nel calare il processo  di  liberalizzazione  nell'ambito  della  realta' territoriale  di   riferimento,   considerata   in   tutte   le   sue specificita'.

    2. Dipoi, non e' sufficiente la mera  autoqualificazione  formale operata  dal  legislatore  statale  per  ricondurre  una   disciplina nell'ambito  della  competenza   esclusiva   dello   Stato,   essendo necessario esaminarne il contenuto sostanziale  e  verificare  se  lo scopo cui la norma tende permette di ricondurre  la  stessa  in  tale ambito.

    Precisamente,  infatti,  la  giurisprudenza   costituzionale   ha rilevato che «l'identificazione della materia nella quale si  colloca la norma impugnata richiede di fare riferimento all'oggetto  ed  alla disciplina stabilita dalla medesima, tenendo conto della  sua  ratio, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi,  cosi'  da identificare  correttamente   e   compiutamente   anche   l'interesse tutelato»  (sentenze  n.  165/2007;  n.  450/2006;  n.  319/2005;  n. 285/2005; n. 430/2007).

    Nel  caso   che   ci   occupa,   la   piena   ed   indiscriminata liberalizzazione degli orari di apertura degli  esercizi  commerciali non e' uno strumento per tutelare la concorrenza.  La  «tutela  della concorrenza» di cui alla lettera e)  dell'art.  117  Cost.  comprende infatti le misure legislative di tutela in senso proprio che hanno ad oggetto gli atti  ed  i  comportamenti  delle  imprese  che  incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei  mercati  e  quelle  di promozione  che  mirano  ad  aprire  un  mercato  o  a   consolidarne l'apertura eliminando barriere all'entrata (sentenza n.  63/2008;  n.

430/2007).

    Con la  liberalizzazione  indiscriminata  degli  orari  viene  in questione piuttosto il rapporto tra l'Amministrazione ed il  privato, e non invece la concorrenza tra gli imprenditori  che  hanno  diritto alla parita' di trattamento e ad agire in  un  mercato  libero  senza barriere.

    Da una parte, infatti, l'assenza totale di  programmazione  degli orari di apertura  e  di  chiusura  puo'  comportare  che  le  grandi distribuzioni    commerciali    possano    facilmente    fronteggiare l'estensione degli orari di apertura mentre i  piccoli  commercianti, avendo maggiori difficolta' ad incrementare il  numero  di  personale dipendente,  possono  risultare  discriminati  se   vogliono   essere competitivi: risulta, percio', chiaro che un fenomeno del genere  non e'  affatto  espressione  di  tutela  concorrenziale,  ma   piuttosto

rafforzamento di posizioni dominanti.

    D'altra parte e' anche possibile  che  in  luoghi  dove  non  sia presente il punto vendita  di  una  grande  distribuzione,  l'assenza assoluta di un minimo di programmazione degli orari di apertura  puo' determinare anche carenza assoluta di servizio in  determinate  fasce

orarie.

    Ne consegue che, poiche' «non  possono  ricondursi  alla  "tutela della concorrenza" quelle misure statali che non  intendono  incidere sull'assetto concorrenziale dei mercati o che addirittura lo riducono o lo  eliminano»  (sentenza  n.  430/2007),  la  norma  in  esame  e' illegittima anche sotto questo profilo per violazione dell'art.  117, comma 4, Cost.

    3. In relazione a quanto sopra la norma considerata  viola  anche l'art. 3 Cost. per la disparita' di posizione e di condizione che  la norma  determina  tra  le   grandi   distribuzioni   ed   i   piccoli commercianti.

    Pur nella consapevolezza che, nei ricorsi costituzionali, in  via principale, le Regioni possono dolersi  soltanto  per  «lesioni»  del proprio ambito di competenza, e' da ritenere  che  la  compromissione del principio di uguaglianza sostanziale, facendo venir meno il  fine della tutela della concorrenza,  sia  suscettibile  di  incidere  sul radicamento stesso della competenza legislativa in capo allo Stato.

    4. Infine, la disposizione in esame costituisce  sicuramente  una norma di dettaglio che esula dalla competenza statale:  sono  infatti le  regioni  che  dovrebbero  poter  esercitare  la  loro  competenza legislativa in materia di commercio, mentre  nella  specie  non  sono state minimamente coinvolte - in palese violazione del  principio  di «leale  collaborazione»  -  in  alcun  livello  del  procedimento  di adozione della normativa statale.

    Domanda di sospensione.

    L'art. 35 della legge n. 87/53 consente  che  la  Corte  sospenda l'esecuzione delle norme impugnate se c'e' un rischio di  pregiudizio grave e irreparabile all'interesse  pubblico  o  per  i  diritti  dei cittadini.

    L'art. 23, comma 18 del d.l. n. 201/2011,  oggetto  del  presente ricorso, impone alle regioni di trasferire ai  Comuni,  entro  il  31 dicembre 2012, le funzioni conferite  dalla  normativa  vigente  alle Province salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario,  le  stesse siano  acquisite  dalle  Regioni;   l'inerzia   e'   sanzionata   con l'intervento sostitutivo dello Stato.

    Solo la sospensione dell'efficacia delle norme impugnate consente dunque alla ricorrente Regione Lazio di  lasciare  impregiudicata  la situazione nelle more della decisione della ecc.ma Corte.

 

(1) Cosi' la relazione: «viene previsto un  intervento  di  carattere     strutturale  con   riguardo   all'assetto   istituzionale   delle     Province, con misure che investono le funzioni e gli organi».

 

 

                               P.Q.M.

 

    Si  confida  che  la  Corte  costituzionale,  previa  sospensione dell'efficacia  delle  norme  impugnate,  dichiari   l'illegittimita' costituzionale:

        I) dell'art. 23, commi 14-20 del d.l. n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011 per violazione degli artt. 5, 77, 72 comma 4, 114, 117 comma 2, lettera p), 118, comma 2, 119 comma 4 e 120 comma  2  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione  dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione;

        II) dell'art. 31, comma 1 del d.l.  n.  201/2011  convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011 per violazione degli artt.  3 e 117,  comma  4  della  Costituzione,  nonche'  per  violazione  del principio di leale cooperazione.

 

          Roma, 24 febbraio 2012

 

                            Avv. d'Amelio

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