Ricorso n. 44 del 1° marzo 2012 (Regione Lazio)
(GU n. 15 del 11.04.2012 )
Ricorso nell'interesse della Regione Lazio (codice fiscale …), in persona della Presidente pro tempore Renata Polverini autorizzata con deliberazione della Giunta Regionale n. 17 febbraio 2012, n. 44 (doc. 1), rappresentata e difesa dall'avv. Piero d'Amelio (codice fiscale…) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via della Vite, n. 7 (PEC … - fax …) come da procura speciale a margine del presente atto);
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale:
dell'art. 23, commi 14-20 del d.l. n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011 per violazione degli artt. 5, 77, 72 comma 4, 114, 117, comma 2, lettera p), 118, comma 2, 119 comma 4 e 3, 120 comma 2 della Costituzione, nonche' per violazione dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione;
dell'art. 31, comma 1 del d.l. n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011 per violazione degli artt. 3 e 117 comma 4 della Costituzione, nonche' per violazione del principio di leale cooperazione.
Fatto
Sul Supplemento Ordinario della Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2011, n. 300 (doc. 2) e' stata pubblicata la legge 22 dicembre 2011, n. 214, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici.
Il d.l. n. 201/2011, al dichiarato fine di arginare gli effetti della crisi economica in atto, contiene misure urgenti dirette ad assicurare la stabilita', la crescita e l'equita', con l'obiettivo di avviare una profonda riforma dell'economia ed una significativa riduzione dei costi della politica e degli apparati amministrativi.
Tra gli interventi previsti vengono qui in evidenza la riforma dell'assetto ordinamentale degli enti territoriali (artt. 23, commi da 14 a 20) e la liberalizzazione delle attivita' commerciali (art. 31, comma 1).
Le menzionate disposizioni sono lesive delle attribuzioni e delle competenze regionali per i seguenti motivi di
Diritto
I. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, commi 14-20 del d.l. n. 201/2011 convertito, con modificazioni. in legge n. 214/2011
L'art. 23 della legge n. 201/2011, intitolato «Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorita' di Governo, del CNEL, delle Autorita' indipendenti e delle Province», ai commi 14-20 cosi' recita:
«14. Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
15. Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni.
16. Il Consiglio provinciale e' composto da non piu' di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia. Le modalita' di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012.
17. Il Presidente della Provincia e' eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti secondo le modalita' stabilite dalla legge statale di cui al comma 16.
18. Fatte salve le funzioni di cui al comma 14, lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via sostitutiva, ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, con legge dello Stato.
19. Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresi' al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per l'operativita' degli organi della provincia.
20. Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il 31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l'articolo 141 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. Gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al primo e al secondo periodo del presente comma, si procede all'elezione dei nuovi organi provinciali di cui ai commi 16 e 17.».
Premessa: il contenuto delle norme considerate.
Le norme sopra richiamate configurano un intervento di carattere strutturale che investe sia le funzioni che gli organi delle Province, attraverso misure dichiaratamente finalizzate a ridurre i costi di funzionamento delle stesse.
Alle Province si riconoscono unicamente «funzioni di indirizzo e di coordinamento» delle attivita' dei Comuni nelle materie e nei limiti stabiliti con legge statale o regionale (comma 14), mentre le altre funzioni sono trasferite, con le relative risorse e, rispettivamente, con legge statale o regionale, entro il 31 dicembre 2012, ai Comuni o, per l'esercizio unitario, alle Regioni. In caso di mancato trasferimento delle funzioni regionali entro il termine indicato del 31 dicembre 2012, e' previsto il potere sostitutivo dello Stato (commi 18 e 19).
Gli organi di governo della Provincia sono ridotti a due:
Consiglio e Presidente e durano in carica cinque anni (comma 15).
Il Consiglio provinciale dovra' essere composto da un numero massimo di dieci componenti «eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia»; Il Presidente verra' «eletto dal Consiglio provinciale tra i suoi componenti». La determinazione delle modalita' di elezione dei consiglieri e del Presidente e' riservata ad una legge statale da emanarsi entro il 31 dicembre 2012 (commi 16 e 17).
Per le Province i cui organi sono in scadenza alla data del 31 dicembre 2012 e' infine prevista una sorta di commissariamento fino al 31 marzo 2013, mentre gli organi che dovranno essere rinnovati successivamente, restano in carica fino alla loro naturale scadenza (comma 20).
1. Le norme in esame incidono profondamente sulla forma di Stato prevista dalla Costituzione, in quanto sostanzialmente svuotano le Province delle loro funzioni ed incidono sulla composizione e sul procedimento elettivo dei relativi organi in modo cosi' invasivo da modificare notevolmente l'assetto costituzionale delle autonomie locali.
La natura strutturale di tale intervento - come espressamente ammesso nella stessa relazione tecnica del governo (1) - esclude dunque la ravvisabilita' dei requisiti di straordinarieta' e urgenza che legittimano l'adozione di un decreto-legge e lo rende pertanto illegittimo per violazione dell'art. 77 della Costituzione. La riforma avrebbe invero richiesto uno strumento normativo piu' adeguato e concertato, sulla base di un processo condiviso con tutti i livelli di governo coinvolti.
Si e', invece, proceduto con la decretazione d'urgenza a comprimere il sistema delle autonomie locali svuotando, di fatto, il ruolo di un ente territoriale equiordinato allo Stato dall'articolo 114 della Costituzione. Il Governo e' intervenuto con una fonte extra
ordinem su una materia sottratta, inoltre, alla sua disponibilita' anche dall'articolo 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400, che espressamente esclude che le materie previste dall'art. 72, quarto comma, della Costituzione (tra cui sono incluse le norme di carattere
costituzionale o elettorale) possano costituire oggetto di decretazione d'urgenza.
Il ricorso alla decretazione d'urgenza per ridisegnare l'assetto istituzionale delle autonomie territoriali al di fuori di una visione globale, oltre a porsi in contrasto con i parametri costituzionali di cui all'articolo 77 della Costituzione, crea squilibri e asimmetrie nel sistema delle relazioni tra i diversi livelli di governo e, a
cascata, nei rapporti con i cittadini.
2. Le disposizioni in esame appaiono altresi' in evidente contrasto con i principi e le norme costituzionali che incidono sui rapporti tra lo Stato e le autonomie territoriali e, in particolare, violano gli artt. 5, 114, 117 (comma 2, lettera p) e comma 6), 118, 119 e 120 della Costituzione ed i principi generali dell'ordinamento sulla disciplina degli enti locali.
I parametri costituzionali in argomento non consentono al legislatore ordinario di modificare la natura degli elementi costitutivi della Repubblica, quali enti del governo territoriale rappresentativi delle rispettive comunita' ed equiordinati allo Stato.
La disciplina dettata dall'articolo 23 in esame stravolge infatti il ruolo attribuito dalla Costituzione alle Province, declassandole ad ente di secondo grado, con non meglio identificate funzioni di solo coordinamento delle attivita' dei Comuni, privandole altresi' della possibilita' di esercitare le competenze amministrative riconosciute dalla Costituzione.
Lo svuotamento di funzioni amministrative delle Province concretizza poi anche una grave lesione dell'autonomia legislativa regionale, in quanto stravolge l'assetto delle funzioni amministrative previsto dall'articolo 118 della Costituzione sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, vanificando nella sostanza le competenze legislative della Regione nella distribuzione delle funzioni stesse a livello locale.
In particolare la devoluzione alle Regioni di una parte delle funzioni concretizza una violazione della logica sottesa al principio di sussidiarieta' verticale che dovrebbe ispirare l'attribuzione delle funzioni amministrative in quanto, in base al nuovo assetto delineato dalle disposizioni in esame, le Regioni eserciterebbero le funzioni amministrative degli altri enti locali non solo laddove cio' sia necessario per garantirne l'esercizio unitario.
Tali osservazioni sono state espresse anche in sede di Consiglio delle Autonomie Locali del Lazio (CAL) nella seduta del 24 gennaio u.s. che, in tal sede, ha approvato all'unanimita' la deliberazione n. 1, di proposta al Presidente della Regione, ai sensi dell'articolo 41, comma 4, dello Statuto regionale, di ricorso alla Corte
Costituzionale avverso l'articolo 23, commi 14-21, del d.l. n. 201/2011 in esame (doc. 3). Nel rilevare che la precitata norma ha chiaramente lo scopo di coniugare l'opportunita' di non estendere la legittimazione ad agire di fronte alla Corte costituzionale, all'esigenza di consentire comunque anche alle autonomie locali un margine di tutela delle relative prerogative costituzionali, si sottolinea che la norma in questione non riveste soltanto una valenza procedurale, ma prefigura anche potenzialmente un potere-dovere della Regione di difendere il sistema delle autonomie locali, promuovendo la questione di legittimita' costituzionale, allorche' si verifichino lesioni della sfera di autonomia costituzionale delle stesse.
La Regione e' dunque legittimata a proporre la presente impugnativa sia per la lesione diretta subita dalle norme contestate, sia per la lesione delle prerogative costituzionali delle Province (le sentenze Corte cost. nn. 417/2005, 196/2004, 95/2007, 169/2007, 289/2009 hanno dichiarato l'ammissibilita' delle censure relative a compressione di sfere di attribuzione provinciale o degli altri enti locali istituiti dall'art. 114 della Cost., da cui derivi una compressione dei poteri delle Regioni).
Nel dettaglio delle singole disposizioni si formulano inoltre le censure che seguono.
2.1. Il comma 14 prevede che spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attivita' dei Comuni, nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
2.1.a. Tale norma viola gli artt. 114, 117, comma 2, lettera p) e 118, comma 2 Cost. in quanto con una fonte impropria svuota le Province delle loro funzioni.
In tema di funzioni delle province occorre ricordare che l'art. 114, comma 2 Cost. stabilisce che le Province, con i Comuni, le Citta' metropolitane e le Regioni, sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati nella
Costituzione.
L'art. 118 comma 2 Cost. stabilisce che le province (ed i comuni e le citta' metropolitane) sono titolari di funzioni amministrative proprie e di funzioni conferite con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze. Tali norme impongono cosi' di distinguere, come ha rilevato attenta dottrina, tra: funzioni fondamentali
(riservate alla legislazione esclusiva dello Stato ex art. 117 comma 2 Cost.), funzioni attribuite ai Comuni (art. 118, comma 1 Cost.), funzioni proprie (di cui sono titolari Comuni, Province e Citta' metropolitane ex art. 188, comma 2 Cost.) e funzioni conferite a province, Citta' metropolitane Regioni e Stato al fine di assicurarne
l'esercizio unitario secondo i principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza ex art. 118 comma 1 Cost. ed ancora una volta conferite a Comuni, Province e Citta' metropolitane con legge statale o regionale, ex art. 118, comma 2, Cost.
L'art. 117, secondo comma, lett. p), attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di funzioni fondamentali delle province, oltre che dei comuni e delle citta' metropolitane.
L'indicazione delle funzioni fondamentali degli enti locali e' contenuta nell'art. 3 del d.lgs. 26 novembre 2010, n. 216 (Determinazione dei fabbisogni standard di comuni, citta' metropolitane e province), che individua in via transitoria le funzioni ed i relativi servizi da considerare quali funzioni fondamentali delle province:
a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;
b) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;
c) funzioni nel campo dei trasporti;
d) funzioni riguardanti la gestione del territorio;
e) funzioni nel campo della tutela ambientale;
f) funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.
Il decreto-legge in esame azzera queste funzioni, richiamando al comma 14 solo la funzione di indirizzo politico e coordinamento, i cui limiti e materia saranno indicati con legge statale o regionale.
Pertanto, tale funzione e' disciplinata separatamente rispetto a quelle funzioni (gia' conferite alle province dalla normativa vigente) che in base al comma 18 lo Stato e le Regioni, ciascuno per quanto di competenza, dovranno trasferire con propria legge ai Comuni entro il 30 aprile 2012.
Ma prevedere una funzione di indirizzo e coordinamento del tutto scollegata rispetto alle funzioni proprie attribuite significa, di fatto, svuotare le competenze delle province, demandando al legislatore statale o regionale la scelta, al limite, di non trasferire nulla. Un siffatto intervento demolitorio travalica la competenza statale ed incontra i limiti stabiliti dall'art. 117, comma 2, lett. p) in stretta correlazione con gli artt. 5 e 114 Cost. istitutivi, appunto, delle autonomie locali e per quanto qui interessa delle province.
Inoltre, attribuire tutte le funzioni gia' provinciali alle Regioni che, a loro volta (e per quanto di loro competenza), le dovranno attribuire ai Comuni o tenerle per se' mentre lo Stato tiene per se' quelle che ritiene non di competenza delle Regioni per attribuirle a sua volta ai Comuni, crea un totale sovvertimento dell'assetto costituzionale del sistema della autonomie locali.
2.1.b. Inoltre, nel prevedere in capo alle Province un generalizzato potere di indirizzo e di coordinamento nei confronti dei Comuni, il comma in discorso viola l'art. 114 Cost., che delinea un sistema equiordinato delle autonomie territoriali.
Dalla formulazione generica della disposizione non si evince, peraltro, in che cosa dovrebbero consistere esattamente tali funzioni di indirizzo e coordinamento ed essendo le stesse riferite esclusivamente all'attivita' dei Comuni, si lascia irrisolta la questione relativa alle «funzioni di governo di area vasta», inconciliabili con la dimensione comunale.
2.2. Sui commi 15, 16 e 17 del d.l. n. 201/2011.
La prevista riduzione della governance e la sottrazione al corpo elettorale dell'investitura diretta degli organi di governo della provincia pur essendo, in linea di principio, riconducibile ad ambiti materiali di competenza esclusiva dello Stato, quale «legislazione elettorale ed organi di governo» di cui all'articolo 117, comma 2, lettera p) della Costituzione, viola gli artt. 5 e 114 Cost. in quanto incide direttamente sulla rappresentativita' democratica dell'ente Provincia, comportando una delegittimazione dei relativi organi ed un conseguente svilimento della natura stessa delle Province, quali elementi costitutivi della Repubblica ed enti esponenziali di una comunita' territoriale che si organizza democraticamente.
Il comma 16 poi, prevedendo un procedimento elettorale che non e' immediatamente operativo (in quanto le modalita' di elezione saranno stabilite da una futura legge dello Stato), lascia notevoli margini di indeterminazione, ponendo in essere un'ipotesi di violazione del principio di ragionevolezza.
2.3. Il comma 18 del d.l. n. 201/2011 viola gli artt. 118 e 120 Cost., in quanto esclude le Province dal novero degli enti territoriali che declinano i principi di sussidiarieta', adeguatezza e differenziazione.
2.3.a. La norma viola innanzi tutto l'art. 120 comma 2 Cost. che prevede l'esercizio del potere sostitutivo dello Stato nelle materie di competenza delle Regioni, limitando la discrezionalita' del Governo ai soli casi indicati tassativamente dall'articolo stesso:
invece con la norma in esame il Governo, con decretazione d'urgenza mancante oltretutto dei relativi presupposti, ha introdotto una nuova fattispecie di potere sostitutivo straordinario priva di copertura costituzionale.
2.3.b. L'obbligo di trasferimento ai comuni delle funzioni finora gia' conferite trova nel comma 18 il solo limite costituito dall'esigenza di assicurarne l'esercizio unitario, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, a garanzia del quale le funzioni possono essere «acquisite» dalle Regioni: tale prevista «acquisizione» viola l'art. 118 Cost. in quanto introduce nell'ordinamento un tertium genus rispetto al trasferimento di funzioni dallo Stato alle regioni o al mantenimento di funzioni in capo alle regioni stesse.
2.3.c. Ancora, la previsione dell'intervento sostitutivo dello Stato viola il principio di leale collaborazione.
Infatti, posto che il dichiarato obiettivo del d.l. n. 201/2011 e' la riduzione delle spese, e che nessun risparmio di spesa deriva dalle norme impugnate (o, se risparmio vi e', e' sicuramente sproporzionato rispetto alla grave intromissione nell'alveo delle garanzie costituzionali), l'introduzione di una siffatta norma
avrebbe richiesto la condivisione con le Regioni, Province e Comuni di una proposta unitaria di riordino complessivo delle istituzioni territoriali.
2.4. Il comma 19 del d.l. n. 201/2011 stabilisce che lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresi' al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando nell'ambito delle medesime risorse il necessario supporto di segreteria per
l'operativita' degli organi della provincia.
2.4.a. Le censure di illegittimita' sopra formulati con riferimento al trasferimento di funzioni previsto dal comma 18 si estendono, per illegittimita' costituzionale derivata, anche al comma che prevede il conseguente trasferimento delle risorse.
2.4.b. La norma viola oltretutto l'autonomia organizzativa delle Province che, in base all'art. 114 Cost. sono enti costitutivi della Repubblica, con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione.
2.5. Il comma 20 viola gli artt. 1, 5 e 114 Cost. e i principi della Carta europea delle autonomie locali, ratificata dal Parlamento italiano.
Viola anche l'art. 3 Cost. per eccesso di potere legislativo, nonche' il principio di ragionevolezza, in quanto subordina il venir meno degli organi attuali alla precitata successiva legge statale di disciplina delle modalita' di elezione degli stessi.
II. Questione di legittimita' costituzionale dell'art. 31, comma 1 del d.l. n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011.
L'art. 31, intitolato «Esercizi commerciali», al comma l cosi' recita:
«1. In materia di esercizi commerciali, all'articolo 3, comma 1, lettera d-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 sono soppresse le parole: "in via sperimentale" e dopo le parole "dell'esercizio" sono soppresse le seguenti "ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte"».
Premessa: il contenuto della norma considerata.
L'art. 31, comma 1, del d.l. n. 201/2011 modifica l'articolo 3, comma 1 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, che - in espressa attuazione della normativa comunitaria in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la liberta' di concorrenza «ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione» - ha eliminato tutti i limiti e le condizioni all'esercizio delle attivita' commerciali e di somministrazione di cibi e bevande con eccezione delle vendite sottocosto e dei saldi di fine stagione.
La lettera d-bis, che qui interessa, era stata introdotta dal comma 6 dell'art. 35 del d.l. n. 98/2011 che aveva tolto il limite del rispetto degli orari di apertura e di chiusura e l'obbligo della chiusura domenicale, festiva e della mezza giornata di chiusura
infrasettimanale solo pero' «in via sperimentale» e limitatamente ai «comuni inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte».
Le modifiche da ultimo introdotte dalla norma oggetto del presente ricorso hanno eliminato entrambi i limiti suddetti, rendendo cosi' la liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali permanente e non piu' solo sperimentale ed estendendola a tutto il territorio nazionale, e non solo alle localita' turistiche e
d'arte.
La norma e' gravemente lesiva della competenza legislativa esclusiva regionale.
1. Innanzi tutto, viola l'art. 117, comma 4 Cost.: come ha avuto modo di affermare codesta Corte, a seguito della modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione la materia del «commercio» e la disciplina degli orari degli esercizi commerciali rientra nella competenza esclusiva residuale delle Regioni (ordinanza n. 199/2006;
sentenze n. 350/2008 e n. 150/2011).
Non si ignora che codesta ecc.ma Corte ha rilevato che pertengono alla competenza legislativa esclusiva dello Stato le regole in materia di commercio direttamente afferenti alla tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale e volte a garantire condizioni di pari opportunita' ed il corretto ed uniforme
funzionamento del mercato, nonche' ad assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilita' all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale (sentenza n. 288/2010).
Tuttavia, seppure la Corte costituzionale ha riconosciuto che «la tutela della concorrenza non e' materia di estensione certa, ma presenta i tratti di una funzione esercitabile sui piu' diversi oggetti ed e' configurabile come trasversale», ha anche precisato
che, avendo la tutela della concorrenza influenza sulle materie attribuite alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni (come il commercio), «l'esercizio da parte dello Stato della suddetta competenza trasversale ad esso riservata deve essere in sintonia con le accresciute competenze regionali a seguito della
modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione» (sentenza n. 430/2007).
Nella specie, la norma in esame appare illegittima perche', non lasciando spazio ad un intervento del legislatore regionale che rimetta alla programmazione territoriale la tutela di una piu' estesa fruizione degli esercizi commerciali da parte dei consumatori, non lascia alcun margine all'applicazione dell'autonomia regionale nel calare il processo di liberalizzazione nell'ambito della realta' territoriale di riferimento, considerata in tutte le sue specificita'.
2. Dipoi, non e' sufficiente la mera autoqualificazione formale operata dal legislatore statale per ricondurre una disciplina nell'ambito della competenza esclusiva dello Stato, essendo necessario esaminarne il contenuto sostanziale e verificare se lo scopo cui la norma tende permette di ricondurre la stessa in tale ambito.
Precisamente, infatti, la giurisprudenza costituzionale ha rilevato che «l'identificazione della materia nella quale si colloca la norma impugnata richiede di fare riferimento all'oggetto ed alla disciplina stabilita dalla medesima, tenendo conto della sua ratio, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, cosi' da identificare correttamente e compiutamente anche l'interesse tutelato» (sentenze n. 165/2007; n. 450/2006; n. 319/2005; n. 285/2005; n. 430/2007).
Nel caso che ci occupa, la piena ed indiscriminata liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali non e' uno strumento per tutelare la concorrenza. La «tutela della concorrenza» di cui alla lettera e) dell'art. 117 Cost. comprende infatti le misure legislative di tutela in senso proprio che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati e quelle di promozione che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura eliminando barriere all'entrata (sentenza n. 63/2008; n.
430/2007).
Con la liberalizzazione indiscriminata degli orari viene in questione piuttosto il rapporto tra l'Amministrazione ed il privato, e non invece la concorrenza tra gli imprenditori che hanno diritto alla parita' di trattamento e ad agire in un mercato libero senza barriere.
Da una parte, infatti, l'assenza totale di programmazione degli orari di apertura e di chiusura puo' comportare che le grandi distribuzioni commerciali possano facilmente fronteggiare l'estensione degli orari di apertura mentre i piccoli commercianti, avendo maggiori difficolta' ad incrementare il numero di personale dipendente, possono risultare discriminati se vogliono essere competitivi: risulta, percio', chiaro che un fenomeno del genere non e' affatto espressione di tutela concorrenziale, ma piuttosto
rafforzamento di posizioni dominanti.
D'altra parte e' anche possibile che in luoghi dove non sia presente il punto vendita di una grande distribuzione, l'assenza assoluta di un minimo di programmazione degli orari di apertura puo' determinare anche carenza assoluta di servizio in determinate fasce
orarie.
Ne consegue che, poiche' «non possono ricondursi alla "tutela della concorrenza" quelle misure statali che non intendono incidere sull'assetto concorrenziale dei mercati o che addirittura lo riducono o lo eliminano» (sentenza n. 430/2007), la norma in esame e' illegittima anche sotto questo profilo per violazione dell'art. 117, comma 4, Cost.
3. In relazione a quanto sopra la norma considerata viola anche l'art. 3 Cost. per la disparita' di posizione e di condizione che la norma determina tra le grandi distribuzioni ed i piccoli commercianti.
Pur nella consapevolezza che, nei ricorsi costituzionali, in via principale, le Regioni possono dolersi soltanto per «lesioni» del proprio ambito di competenza, e' da ritenere che la compromissione del principio di uguaglianza sostanziale, facendo venir meno il fine della tutela della concorrenza, sia suscettibile di incidere sul radicamento stesso della competenza legislativa in capo allo Stato.
4. Infine, la disposizione in esame costituisce sicuramente una norma di dettaglio che esula dalla competenza statale: sono infatti le regioni che dovrebbero poter esercitare la loro competenza legislativa in materia di commercio, mentre nella specie non sono state minimamente coinvolte - in palese violazione del principio di «leale collaborazione» - in alcun livello del procedimento di adozione della normativa statale.
Domanda di sospensione.
L'art. 35 della legge n. 87/53 consente che la Corte sospenda l'esecuzione delle norme impugnate se c'e' un rischio di pregiudizio grave e irreparabile all'interesse pubblico o per i diritti dei cittadini.
L'art. 23, comma 18 del d.l. n. 201/2011, oggetto del presente ricorso, impone alle regioni di trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni; l'inerzia e' sanzionata con l'intervento sostitutivo dello Stato.
Solo la sospensione dell'efficacia delle norme impugnate consente dunque alla ricorrente Regione Lazio di lasciare impregiudicata la situazione nelle more della decisione della ecc.ma Corte.
(1) Cosi' la relazione: «viene previsto un intervento di carattere strutturale con riguardo all'assetto istituzionale delle Province, con misure che investono le funzioni e gli organi».
P.Q.M.
Si confida che la Corte costituzionale, previa sospensione dell'efficacia delle norme impugnate, dichiari l'illegittimita' costituzionale:
I) dell'art. 23, commi 14-20 del d.l. n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011 per violazione degli artt. 5, 77, 72 comma 4, 114, 117 comma 2, lettera p), 118, comma 2, 119 comma 4 e 120 comma 2 della Costituzione, nonche' per violazione dei principi di ragionevolezza e di leale collaborazione;
II) dell'art. 31, comma 1 del d.l. n. 201/2011 convertito, con modificazioni, in legge n. 214/2011 per violazione degli artt. 3 e 117, comma 4 della Costituzione, nonche' per violazione del principio di leale cooperazione.
Roma, 24 febbraio 2012
Avv. d'Amelio