Ricorso n. 44 del 12 agosto 2008 (Presidente del Consiglio dei ministri)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 12 agosto 2008 , n. 44
Depositato in cancelleria il 12 agosto 2008 (del Presidente del Consiglio dei ministri)
(GU n. 40 del 24-9-2008)
Ricorso ai sensi dell'art. 127 Cost. del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, nei cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12; Contro la Regione Marche, in persona del Presidente in carica, per l'impugnazione della legge regionale n. 11 del 27 maggio 2008, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione Marche n. 53 del 5 giugno 2008, recante «Interpretazione autentica dell'art. 2 della legge regionale 29 ottobre 2004, n. 28 "Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi"». La legge regionale delle Marche 27 maggio 2008, n. 11, provvede, nel suo articolo unico, a dare una interpretazione dell'art. 2 della legge regionale n. 29 ottobre 2004, n. 23, recante «Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi», stabilendo quanto segue: «La lettera a) del comma 1 dell'art. 2 della legge regionale n. 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi), deve essere interpretata nel senso che i vincoli di cui all'art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) ed all'art. 32, comma 27, lettera d), della legge 24 novembre 2003, n. 326 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici) impediscono la sanatoria delle opere abusive solo qualora comportino inedificabilita' assoluta e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere». L'art. 2 delle legge regionale 29 ottobre 2004, n. 23, stabilisce: «1. Non possono formare oggetto di sanatoria le opere abusive rientranti tra le tipologie di cui all'allegato 1 della legge statale, qualora le stesse ricadano in almeno una delle seguenti fattispecie: a) siano in contrasto con i vincoli comportanti inedificabilita' di cui all'art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), ed all'art. 32, comma 27, lettera d), della legge statale, imposti prima della realizzazione delle opere; b - g) ... Omissis... 2. ... Omissis ...». L'art. 33 delle legge 28 febbraio 1985, n. 47, rubricato «Opere non suscettibili di sanatoria», prevede: «Le opere di cui all'art. 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilita' e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonche' dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici; b) vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali; c) vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e della sicurezza interna; d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilita' delle aree. Sono altresi' escluse dalla sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e che non siano compatibili con la tutela medesima». La legge 24 novembre 2003, n. 326, ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269. Questo decreto-legge, all'art. 32, comma 27, nel testo modificato dalla legge di conversione, dispone: «Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: a) - c) ... Omissis ... d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonche' dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformita' del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici; e - g) ... Omissis ...». Si vede, quindi, che la legge regionale qui impugnata ha l'effetto di impedire la sanatoria di opere abusive ricadenti in aree vincolate nei soli casi in cui esista un vincolo comportante l'inedificabilita' assoluta, con esclusione di ogni altra limitazione. La legge regionale e' illegittima per i seguenti M o t i v i 1) In relazione all'art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera l) della Costituzione, violazione della potesta' legislativa esclusiva dello Stato. La legge regionale impugnata si autoqualifica come norma di interpretazione autentica di altra legge regionale, ma e' del tutto evidente che le disposizioni che si interpretano non riguardano la legge regionale delle Marche n. 23/2004, bensi' la normativa statale ed in particolare l'art. 32, comma 27, lettera d), del d.l. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003 nella parte in cui esso - cosi' integrando la previsione dell'art. 33 della legge n. 47/1985 - pone limiti non derogabili alla sanatoria. Infatti, mentre la norma regionale che si assume interpretata si limitava a dichiarare la vigenza dei divieti previsti dalla norma statale (divieti assunti come presupposto e riprodotti dalla norma regionale), la norma di «interpretazione» enuclea all'interno di quell'insieme i soli divieti derivanti da vincoli di inedificabilita' assoluta, dando vigore ad una opzione ermeneutica sulla effettiva estensione delle norme statali - qui non importa se corretta o meno - con esclusione di tutte le altre. La questione che anzi tutto si pone, pertanto, e' se sia lecito per il Legislatore regionale fornire un'interpretazione autentica di una norma statale, indipendentemente dalla giustezza della soluzione interpretativa. A tale quesito occorre evidentemente dare risposta negativa. Perche' possa aversi interpretazione autentica occorre che vi sia coincidenza tra il soggetto cui risale la disposizione interpretata e quello cui risale la disposizione interpretante: cosi' come lo Stato non puo' interpretare autenticamente una legge regionale, a maggior ragione non puo' la regione interpretare autenticamente una legge statale. Quella di interpretazione autentica, infatti, «e' una legge espressione della potesta' legislativa - e non gia' di una "soggettiva" volonta' "chiarificatrice" del suo autore», il che implica che «l'emanazione di una legge di interpretazione autentica presuppone la sussistenza della potesta' legislativa da parte dell'organo legiferante» (cfr. sent. n. 232 del 2006). Questo elementare principio deve, come detto, a fortiori essere fatto valere allorquando sia la regione a pretendere di fornire l'interpretazione di una norma statale, perche' ne risulterebbe violato anche il limite territoriale. E' evidente, infatti, come la regione che prospetti una «propria» interpretazione finisca, sia pure implicitamente, per prendere le mosse da un principio secondo il quale l'interpretazione possa essere diversa da regione a regione. Principio che si porrebbe manifestamente in contrasto con quello secondo il quale l'efficacia della legge statale e' estesa a tutto il territorio nazionale. Inoltre, essendo l'efficacia retroattiva caratteristica indefettibile delle leggi di interpretazione autentica, la legge regionale pretenderebbe di determinare effetti retroattivi su una norma di legge statale. Per tali ragioni, codesta ecc.ma Corte ha, sin da epoca risalente, chiarito che «non e' ammissibile che la regione regoli con una sua norma, avente efficacia retroattiva, situazioni gia' disciplinate da una legge statale. Il potere che, entro limiti piu' o meno ampi, ha la regione di dettare nuove e diverse norme nella stessa materia gia' regolata da leggi statali non puo' riflettersi sul passato, essendo ovvio che la regione non puo' annullare o togliere efficacia ad atti che si sono compiuti nell'ambito del suo territorio in base a leggi statali. Una diversa opinione contrasterebbe con il principio ormai pacifico, secondo cui la legge statale entra in vigore e produce tutti i suoi effetti nell'intero territorio dello Stato. Tali effetti non possono essere paralizzati da una legge regionale, senza violare il principio fondamentale dell'unita' dell'ordinamento giuridico dello Stato: unita' la quale, se consente che una nuova legge regionale deroghi, sempre nei limiti consentiti, per l'avvenire ad una precedente legge statale, non tollera che la legge regionale si sovrapponga con effetti ex tunc ad una legge statale» (cfr. sentenza n. 44 del 1957). In conclusione, e' chiaro che l'interpretazione dell'ambito applicativo dell'art. 32, comma 27, lettera d) del d.l. n. 269 del 2003 (conv. con mod. dalla legge n. 326 del 2003) spetta agli organi giurisdizionali e, al limite, alla legge statale, ma non certo alla legge regionale. 2) In relazione all'art.117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, violazione della potesta' legislativa esclusiva dello Stato nella materia della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali». La ripartizione degli ambiti di competenza legislativa tra Stato, regioni ed enti locali nella materia del condono edilizio di tipo straordinario e' stata, da tempo, chiarita dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che ha rilevato come, a seguito della sentenza n. 196 del 2004, la disciplina contenuta nell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 ha subito una radicale modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento alle regioni del potere di modulare l'ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantita' e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al legislatore statale di individuare la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili (cfr. sentt. n. 70, 71 e 304 del 2005). Esula quindi dalla potesta' delle regioni, come ha chiaramente ribadito la citata sentenza n. 70 del 2005, il «potere di rimuovere i limiti massimi di ampiezza del condono individuati dal legislatore statale». Limiti che, alla luce della giurisprudenza teste' richiamata, non sono da intendersi esclusivamente in senso volumetrico. Alla stregua di questi pacifici principi si dimostra illegittima la legge regionale delle Marche in esame, perche' essa tende ad attribuire una portata limitata alle previsioni dell'art. 32, comma 27, lettera d) del d.l. n. 269 del 2003 ed a rendere inapplicabili, nel territorio della regione, disposizioni che, limitando consapevolmente la possibilita' di condono nelle aree vincolate, incidono sulla tutela dei beni culturali e paesaggistici, vale a dire su materia riservata alla potesta' esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione e nel cui ambito si sogliono inscrivere i vincoli di inedificabilita' diversi da quelli «assoluti» (questi ultimi essendo in genere riferiti, secondo una distinzione dalla portata applicativa peraltro dubbia e controversa, ad interessi propri della materia urbanistica). E' pertanto evidente, oltre la violazione di norme statali di principio, l'invasione della sfera di potesta' legislativa esclusiva statale. La situazione, benche' apparentemente analoga, e' ben diversa da quella sulla quale codesta ecc.ma Corte si e' pronunciata con sentenza n. 49 del 2006. In tale circostanza, la Corte si e', tra l'altro, occupata dell'art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004, secondo il quale «(n)elle aree soggette a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, nonche' dei beni ambientali e paesaggistici, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora il vincolo comporti inedificabilita' assoluta e sia stato imposto prima dell'esecuzione delle opere» (enfasi aggiunta). Come si evince dalla lettura della sentenza, secondo la difesa della Regione Lombardia la norma voleva limitarsi a «ribadire e consacrare, anche in un testo legislativo regionale, quanto previsto dalla legislazione statale». Questa lettura e' stata accolta dalla Corte, che ha chiarito che la disposizione «si limita, effettivamente, a recepire la normativa statale concernente la sanatoria degli abusi realizzati nelle aree vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle previste dal decreto-legge n. 269 del 2003». In buona sostanza, la legge regionale lombarda si risolveva in una, forse inutile, ripetizione della previsione statale, secondo la quale l'esistenza di un vincolo di identificabilita' assoluta esclude certamente il condono, ma l'assenza di un vincolo di questo tipo non e' condizione sufficiente per affermare il diritto alla sanatoria. Per questo motivo la legge della Regione Lombardia e' stata giudicata non incostituzionale da codesta ecc.ma Corte, peraltro con il risultato utile, proprio dell'interpretazione adeguatrice, di avere escluso per cio' stesso l'ammissibilita' di altre e fuorvianti interpretazioni ampliative della norma. Una simile conclusione non sembra pero' percorribile nel caso della legge regionale delle Marche qui impugnata, in quanto l'utilizzo dell'avverbio «solo», riferito ai vincoli di inedificabilita' assoluta (in luogo dell'avverbio «comunque» usato dalla legge lombarda), attribuisce alla norma l'inequivoco significato di ammettere il condono in tutti gli altri casi, cioe' in tutti i casi in cui non si versi nell'ipotesi dell'assoluta inedificabilita' ex art. 33 della legge n. 47 del 1985 (il che non e' quanto afferma la normativa statale, secondo l'interpretazione fornita della prevalente giurisprudenza, penale e amministrativa).
P. Q. M. Alla stregua di quanto precede si confida che codesta ecc.ma Corte vorra' dichiarare l'illegittimita' della legge regionale della Marche n. 11 del 27 maggio 2008. Roma, addi' 2 agosto 2008 L'Avvocato dello Stato: Sergio Fiorentino