Ricorso n. 47 del 2 marzo 2012 (Regione autonoma della Sardegna)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 2 marzo 2012 (della Regione autonoma della Sardegna).
(GU n. 16 del 18.04.2012 )
Ricorso della regione autonoma della Sardegna (cod. fisc.
…), in persona del Presidente pro-tempore Dott. Ugo
Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del
presente atto e in forza della deliberazione della Giunta regionale
della Regione Autonoma della Sardegna n. 7/1 del 16 febbraio 2012,
dagli Avv.ti Tiziana Ledda (cod. fisc. …, PEC - Posta Elettronica Certificata …) e Prof. Massimo Luciani (cod. fisc. …, PEC - Posta Elettronica
Certificata …), ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo
in Roma, Via Bocca di Leone, n. 78;
Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in persona del
Presidente pro tempore, per la dichiarazione dell'illegittimita'
costituzionale degli articoli 13, 14, comma 13-bis, 1°, 2° e 3°
periodo, 16, commi da 2 a 15-bis, 23, commi da 14 a 22, 28, commi 3,
7, 8, 9, 10 e 11-ter, 31 e 48, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.
201, pubblicato in G.U. n. alla Gazz. Uff., 6 dicembre 2011, n. 284,
Suppl. ordinario n. 251, convertito in legge 22 dicembre 2011, n.
214, pubblicata in G.U. 27 dicembre 2011, n. 300, Suppl. Ordinario n.
276.
F a t t o
1. Il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge
22 dicembre 2011, n. 214, e recante "Disposizioni urgenti per la
crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici", e'
intervenuto in una vasta pluralita' di materie, che - per citare solo
alcuni esempi - vanno dagli aiuti alla crescita economica (art. 1)
alle detrazioni per gli interventi di ristrutturazione (art. 4);
dalle misure per la stabilizzazione del sistema creditizio (art. 8) a
quelle misure per il contrasto dell'evasione (artt. 10 sgg.); dalle
misure per la riduzione della spesa (artt. 21 sgg.) a quelle per la
riduzione del debito pubblico (artt. 25 sgg.); dalle misure per lo
sviluppo industriale (artt. 38 sgg.) a quelle per lo sviluppo
infrastrutturale (artt. 41 sgg.).
E' agevole constatare che alla realizzazione del vasto programma
delineato da tale decreto-legge sono state chiamate anche le
autonomie territoriali. Non e' giustificabile, pero', che per alcuni
significativi profili il concorso di tali autonomie (in particolare
di quelle regionali, e ancor piu' in particolare della Regione
Sardegna) sia stato strutturato in forme e con contenuti del tutto
illegittimi.
2. Specificamente illegittimi, e violativi delle attribuzioni
della ricorrente, sono, nelle parti indicate in epigrafe e che
appresso meglio si identificheranno, gli articoli 13, 14, comma
13-bis, 16, commi da 2 a 15-bis, 23, commi da 14 a 22, 28, commi 3,
7, 8, 9, 10 e 11-ter, 31 e 48. Essi debbono essere pertanto
dichiarati costituzionalmente illegittimi per i seguenti motivi di
D i r i t t o
1. Preliminarmente, e' opportuno ricordare che le disposizioni
oggi impugnate irrompono in un contesto normativo nel quale, per
quanto specificamente riguarda la Regione Autonoma della Sardegna
(hinc inde: Regione o Sardegna), campeggia l'art. 1, comma 834, della
legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha modificato alcune delle
disposizioni piu' qualificanti del Titolo III dello Statuto, recate
dall'art. 8, in materia di fonti delle entrate regionali.
1.1. In base alle disposizioni cosi' novellate, le entrate della
Regione Sardegna derivano "a) dai sette decimi del gettito delle
imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone
giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove decimi
del gettito delle imposte sul bollo, di registro, ipotecarie, sul
consumo dell'energia elettrica e delle tasse sulle concessioni
governative percette nel territorio della regione; c) dai cinque
decimi delle imposte sulle successioni e donazioni riscosse nel
territorio della regione; d) dai nove decimi dell'imposta di
fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta nel
territorio della regione; e) dai nove decimi della quota fiscale
dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli
dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del gettito
dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da
determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie rilevati
annualmente dall'ISTAT; g) dai canoni per le concessioni
idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri tributi
propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in armonia
con i principi del sistema tributario dello Stato; i) dai redditi
derivanti dal proprio patrimonio e dal proprio demanio; l) da
contributi straordinari dello Stato per particolari piani di opere
pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte
le entrate erariali, dirette o indirette, comunque denominate, ad
eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici".
L'art. 8 dello Statuto, nella sua formulazione originaria,
disponeva invece che le entrate della Regione fossero costituite:
"dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui terreni e sui
fabbricati situati nel territorio della Regione e dell'imposta sui
redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio; dai nove
decimi dell'imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della
Regione; dai nove decimi del gettito delle tasse di bollo, sulla
manomorta, in surrogazione del registro e del bollo, sulle
concessioni governative, dell'imposta ipotecaria, dell'imposta di
fabbricazione del gas e dell'energia elettrica, percette nel
territorio della Regione; dai nove decimi della quota fiscale
dell'imposta erariale di consumo relativa ai prodotti dei monopoli
del tabacchi consumati nella Regione; da una quota dell'imposta
generale sull'entrata di competenza dello Stato, riscossa nella
Regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario
d'accordo fra lo Stato e la Regione, in relazione alle spese
necessarie ad adempiere le funzioni normali della Regione; dai canoni
per le concessioni idroelettriche; dai contributi di miglioria ed a
spese per opere determinate, da imposte e tasse sul turismo e da
altri tributi propri, che la Regione ha facolta' di istituire con
legge, in armonia coi principi del sistema tributario dello Stato; da
redditi patrimoniali; da contributi straordinari dello Stato per
particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie".
Le misure previste dalle nuove disposizioni statutarie non hanno
avuto ancora piena e corretta esecuzione per la colpevole inerzia
dello Stato, inerzia che la Regione Sardegna ha gia' censurato
promuovendo innanzi codesta Ecc.ma Corte costituzionale i giudizi
iscritti al n. 8 Reg. Confl. Enti 2011 e ai nn. 96 e 160 Reg. Ric.
2011. Proprio quelle previsioni, pero', sono di centrale importanza
anche nella presente controversia, in una con gli altri parametri che
verranno appresso richiamati.
1.2. La riforma dell'art. 8 dello Statuto si e' resa necessaria
per permettere alla Regione di far fronte all'evoluzione complessiva
della realta' economico-finanziaria territoriale e nazionale. Di
questo e' testimonianza il carteggio intervenuto tra il Ragioniere
Generale dello Stato e la medesima Regione tra l'agosto e il
settembre del 2005, relativamente alla misura delle entrate di
maggiore rilevanza per le finanze regionali: la compartecipazione
all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A.
Con nota del 3 agosto 2005, prot. n. 0102482, il Ragioniere
Generale rappresentava di aver presentato, nell'ambito del precedente
sistema di compartecipazione al gettito d'imposta, che prevedeva una
determinazione annuale in merito, una proposta di quantificazione
delle quote di compartecipazione I.V.A. "nell'attesa che si proceda
alla revisione dell'ordinamento finanziario che consenta di
trasformare la compartecipazione IVA da quota variabile a quota
fissa", e che tale proposta era stata predisposta "abbandonando [...]
il criterio incrementale del tasso di inflazione che, comportando nel
tempo la progressiva svalutazione in termini reali del cespite
regionale, ha di fatto svilito lo strumento di garanzia previsto
dallo Statuto, che mirava a consentire il tempestivo adeguamento
delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di spesa derivanti
dall'espletamento delle funzioni normali della Regione". Con nota del
2 settembre 2005, prot. n. 0112371, ancora il Ragioniere Generale
rappresentava che "il gettito IRPEF regionale [...] registra una
crescita, nell'arco temporale considerato [1991-2003], pari all'1,9,
avallando, pertanto, la tesi della Regione circa l'anomalo trend
dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale".
E' proprio in considerazione della palese insufficienza
(esplicitamente riconosciuta dallo Stato) del quadro finanziario
delle entrate regionali che si e' addivenuti alla seconda modifica
dell'art. 8 dello Statuto, intervenuta, come si e' gia' detto, nel
2006, con la quale - fra l'altro - si e' aggiunto il canale di
finanziamento relativo ai "sette decimi di tutte le entrate erariali,
dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di
spettanza di altri enti pubblici" e - per l'appunto in coerenza con i
rilievi sopra riportati - si e' introdotta la quota fissa di
compartecipazione all'I.V.A. maturata nella Regione Sardegna (v.,
rispettivamente, lett. m) e f) dell'art. 8, comma 1, nella
formulazione vigente).
Risulta dunque per tabulas, sia dalla posizione assunta dallo
Stato nell'interlocuzione con la Regione, sia (e soprattutto) dal
contenuto normativo della novella statutaria del 2006, che il regime
delle entrate regionali e' stato modificato al fine permettere alla
Sardegna di assolvere ai propri compiti istituzionali, in
considerazione delle condizioni fattuali e normative maturate nel
tempo.
Come la Regione Sardegna ha lamentato nei gia' menzionati ricorsi
iscritti al n. 8 del Reg. Confl. Enti 2011 e al n. 96 Reg. Ric. 2011,
lo Stato, dopo aver riconosciuto l'inadeguatezza del vecchio regime,
si e' illegittimamente sottratto al procedimento necessario per dare
esecuzione al nuovo, arrecando un nuovo vulnus all'autonomia
regionale.
1.3. Ancora in via preliminare, e' opportuno precisare che la
violazione dell'art. 8 dello Statuto di autonomia puo' e deve essere
censurata (anche in questa sede, come gia' nei menzionati ricorsi nn.
8 Reg. Confl. Enti 2011 e nn. 96 e 169 Reg. Ric. 2011) sebbene l'art.
8 di tale Statuto sia stato modificato con legge ordinaria, ai sensi
del successivo art. 54.
La qualita' di parametri dei giudizi di legittimita'
costituzionale, invero, deve essere riconosciuta anche alle
disposizioni del Titolo III dello Statuto speciale della Sardegna
che, ai sensi dell'art. 54, comma 5, dello Statuto medesimo, possono
essere modificate con legge ordinaria, previo parere della Regione.
Tali disposizioni, infatti, sebbene sottoposte a quello che e' stato
definito un processo di "decostituzionalizzazione" (come codesta
Ecc.ma Corte ha affermato nella sent. n. 70 del 1987), costituiscono
pur sempre precetti che il legislatore statale deve rispettare, in
quanto il procedimento di modificazione della norma statutaria e'
comunque "assistito da una garanzia del tutto peculiare a favore
della Regione sarda", sicche' la legge statale non puo' derogare la
norma in questione, ma puo' solo modificarla con lo speciale
procedimento di cui all'art. 54 dello Statuto (cosi' ancora la cit.
sent. n. 70 del 1987, cui adde le pur meno dirette affermazioni della
sent. n. 215 del 1996).
1.4. Da ultimo, al fine di agevolare lo svolgimento delle
ulteriori argomentazioni senza dover tediare codesto Ecc.mo Collegio
con inutili ripetizioni, valga di qui in avanti la precisazione che
gli articoli della Costituzione che riconoscono attribuzioni
costituzionali alle Regioni ordinarie sono richiamati ai sensi
dell'art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, che estende alle Regioni a
statuto speciale le disposizioni di maggior favore previste per le
Regioni ordinarie nelle more della revisione dei loro statuti.
2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13 del d.l. n. 201 del
2011, come conv. in 1. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 3,
7 e 8 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna
(l. cost. n. 3 del 1948) e degli artt. 117 e 119 della Costituzione.
Per comodita' di' lettura del presente gravame anzitutto si riporta
(e lo si fara' anche per gli altri articoli censurati) il testo delle
disposizioni impugnate.
L'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, cosi' come conv. in 1. n. 214
del 2011, reca il titolo "Anticipazione sperimentale dell'imposta
municipale propria" e dispone che:
"1. L'istituzione dell'imposta municipale propria e' anticipata,
in via sperimentale, a decorrere dall'anno 2012, ed e' applicata in
tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014 in base agli
articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in
quanto compatibili, ed alle disposizioni che seguono.
Conseguentemente l'applicazione a regime dell'imposta municipale
propria e' fissata al 2015.
2. L'imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di
immobili di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 504, ivi comprese l'abitazione principale e le pertinenze
della stessa. Per abitazione principale si intende l'immobile,
iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unita'
immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede
anagraficamente. Per pertinenze dell'abitazione principale si
intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie
catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un'unita'
pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche
se iscritte in catasto unitamente all'unita' ad uso abitativo.
3. La base imponibile dell'imposta municipale propria e'
costituita dal valore dell'immobile determinato ai sensi
dell'articolo 5, commi 1, 3, 5 e 6 del decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 504, e dei commi 4 e 5 del presente articolo.
4. Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore e' costituito
da quello ottenuto applicando all'ammontare delle rendite risultanti
in catasto, vigenti al 1° gennaio dell'anno di imposizione,
rivalutate del 5 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 48, della
legge 23 dicembre 1996, n. 662, i seguenti moltiplicatori:
a) 160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e
nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della
categoria catastale A/10;
b) 140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e
nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5;
b-bis) 80 per i fabbricati classificati nella categoria
catastale D/5;
c) 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale
A/10;
d) 60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D,
ad eccezione dei fabbricati classificati nella categoria catastale
D/5; tale moltiplicatore e' elevato a 65 a decorrere dal 1 ° gennaio
2013;
e) 55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale
C/1.
5. Per i terreni agricoli, il valore e' costituito da quello
ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante
in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione,
rivalutato del 25 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della
legge 23 dicembre 1996, n. 662, un moltiplicatore pari a 130. Per i
coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali
iscritti nella previdenza agricola il moltiplicatore e' pari a 110.
6. L'aliquota di base dell'imposta e' pari allo 0,76 per cento. I
comuni con deliberazione del consiglio comunale, adottata ai sensi
dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446,
possono modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base
sino a 0,3 punti percentuali.
7. L'aliquota e' ridotta allo 0,4 per cento per l'abitazione
principale e per le relative pertinenze. I comuni possono modificare,
in aumento o in diminuzione, la suddetta aliquota sino a 0,2 punti
percentuali.
8. L'aliquota e' ridotta allo 0,2 per cento per i fabbricati
rurali ad uso strumentale di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del
decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con
modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133. I comuni possono
ridurre la suddetta aliquota fino allo 0,1 per cento.
9. I comuni possono ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4 per
cento nel caso di immobili non produttivi di reddito fondiario ai
sensi dell'articolo 43 del testo unico di cui al decreto del
Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, ovvero nel caso di
immobili posseduti dai soggetti passivi dell'imposta sul reddito
delle societa', ovvero nel caso di immobili locali.
10. Dall'imposta dovuta per l'unita' immobiliare adibita ad
abitazione principale del soggetto passivo e per le relative
pertinenze, si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, euro
200 rapportati al periodo dell'anno durante il quale si protrae tale
destinazione; se l'unita' immobiliare e' adibita ad abitazione
principale da piu' soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno
di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione
medesima si verifica. Per gli anni 2012 e 2013, la detrazione
prevista dal primo periodo e' maggiorata di 50 euro per ciascun
figlio di eta' non superiore a ventisei anni, purche' dimorante
abitualmente e residente anagraficamente nell'unita' immobiliare
adibita ad abitazione principale. L'importo complessivo della
maggiorazione, al netto della detrazione di base, non puo' superare
l'importo massimo di euro 400. I comuni possono disporre l'elevazione
dell'importo della detrazione, fino a concorrenza dell'imposta
dovuta, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio. In tal caso il
comune che ha adottato detta deliberazione non puo' stabilire
un'aliquota superiore a quella ordinaria per le unita' immobiliari
tenute a disposizione. La suddetta detrazione si applica alle unita'
immobiliari di cui all'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo
30 dicembre 1992, n. 504. L'aliquota ridotta per l'abitazione
principale e per le relative pertinenze e la detrazione si applicano
anche alle fattispecie di cui all'articolo 6, comma 3-bis, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 e i comuni possono
prevedere che queste si applichino anche ai soggetti di cui
all'articolo 3, comma 56, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
11. E' riservata allo Stato la quota di imposta pari alla meta'
dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di tutti gli
immobili, ad eccezione dell'abitazione principale e delle relative
pertinenze di cui al comma 7, nonche' dei fabbricati rurali ad uso
strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di base di cui al comma 6,
primo periodo. La quota di imposta risultante e' versata allo Stato
contestualmente all'imposta municipale propria. Le detrazioni
previste dal presente articolo, nonche' le detrazioni e le riduzioni
di aliquota deliberate dai comuni non si applicano alla quota di
imposta riservata allo Stato di cui al periodo precedente. Per
l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, le sanzioni, gli
interessi ed il contenzioso si applicano le disposizioni vigenti in
materia di imposta municipale propria. Le attivita' di accertamento e
riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune al quale
spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette
attivita' a titolo di imposta, interessi e sanzioni.
12. Il versamento dell'imposta, in deroga all'articolo 52 del
decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e' effettuato secondo
le disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 9
luglio 1997, n. 241, con le modalita' stabilite con provvedimento del
direttore dell'Agenzia delle entrate.
13. Restano ferme le disposizioni dell'articolo 9 e dell'articolo
14, commi 1 e 6 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.
All'articolo 14, comma 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011,
n. 23, le parole: «dal 1° gennaio 2014», sono sostituite dalle
seguenti: «dal 1° gennaio 2012». Al comma 4 dell'articolo 14 del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, ai commi 3 degli
articoli 23, 53 e 76 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507
e al comma 31 dell'articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549,
le parole «ad un quarto» sono sostituite dalle seguenti «alla misura
stabilita dagli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre
1997, n. 472». Ai fini del quarto comma dell'articolo 2752 del codice
civile il riferimento alla «legge per la finanza locale» si intende
effettuato a tutte disposizioni che disciplinano i singoli tributi
comunali e provinciali. La riduzione dei trasferimenti erariali di
cui ai commi 39 e 46 dell'articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre
2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre
2006, n. 286, e successive modificazioni, e' consolidata, a decorrere
dall'anno 2011, all'importo risultante dalle certificazioni di' cui
al decreto 7 aprile 2010 del Ministero dell'economia e delle finanze
emanato, di concerto con il Ministero dell'interno, in attuazione
dell'articolo 2, comma 24, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.
14. Sono abrogate, a decorrere dal 1° gennaio 2012, le seguenti
disposizioni:
a) l'articolo 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93,
convertito con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126;
b) il comma 3, dell'articolo 58 e le lettere d), e) ed h) del
comma 1, dell'articolo 59 del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446;
c) l'ultimo periodo del comma 5 dell'articolo 8 e il comma 4
dell'articolo 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23;
d) il comma 1-bis dell'articolo 23 del decreto-legge 30
dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27
febbraio 2009, n. 14;
d-bis) i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell'articolo 7 del
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni,
dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.
14-bis. Le domande di variazione della categoria catastale
presentate, ai sensi del comma 2-bis dell'articolo 7 del
decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni,
dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, anche dopo la scadenza dei
termini originariamente posti e fino alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto, producono gli
effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito di
ruralita', fermo restando il classamento originario degli immobili
rurali ad uso abitativo. Con decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono
stabilite le modalita' per l'inserimento negli atti catastali della
sussistenza del requisito di ruralita', fermo restando il classamento
originario degli immobili rurali ad uso abitativo.
14-ter. I fabbricati rurali iscritti nel catasto dei terreni, con
esclusione di quelli che non costituiscono oggetto di inventariazione
ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto del Ministro delle
finanze 2 gennaio 1998, n. 28, devono essere dichiarati al catasto
edilizio urbano entro il 30 novembre 2012, con le modalita' stabilite
dal decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701.
14-quater. Nelle more della presentazione della dichiarazione di
aggiornamento catastale di cui al comma 14-ter, l'imposta municipale
propria e' corrisposta, a titolo di acconto e salvo conguaglio, sulla
base della rendita delle unita' similari gia' iscritte in catasto. Il
conguaglio dell'imposta e' determinato dai comuni a seguito
dell'attribuzione della rendita catastale con le modalita' di cui al
decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701. In caso di
inottemperanza da parte del soggetto obbligato, si applicano le
disposizioni di cui all'articolo 1, comma 336, della legge 30
dicembre 2004, n. 311, salva l'applicazione delle sanzioni previste
per la violazione degli articoli 20 e 28 del regio decreto-legge 13
aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11
agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni.
15. A decorrere dall'anno d'imposta 2012, tutte le deliberazioni
regolamentari e tariffarie relative alle entrate tributarie degli
enti locali devono essere inviate al Ministero dell'economia e delle
finanze, Dipartimento delle finanze, entro il termine di cui
all'articolo 52, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, e
comunque entro trenta giorni dalla data di scadenza del termine
previsto per l'approvazione del bilancio di previsione. Il mancato
invio delle predette deliberazioni nei termini previsti dal primo
periodo e' sanzionato, previa diffida da parte del Ministero
dell'interno, con il blocco, sino all'adempimento dell'obbligo
dell'invio, delle risorse a qualsiasi titolo dovute agli enti
inadempienti. Con decreto del Ministero dell'economia e delle
finanze, di concerto con il Ministero dell'interno, di natura non
regolamentare sono stabilite le modalita' di attuazione, anche
graduale, delle disposizioni di cui ai primi due periodi del presente
comma. Il Ministero dell'economia e delle finanze pubblica, sul
proprio sito informatico, le deliberazioni inviate dai comuni. Tale
pubblicazione sostituisce l'avviso in Gazzetta Ufficiale previsto
dall'articolo 52, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n.
446 del 1997.
16. All'articolo 1, comma 4, ultimo periodo del decreto
legislativo 28 settembre 1998, n. 360, le parole «31 dicembre» sono
sostituite dalle parole: «20 dicembre». All'articolo 1, comma 11, del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14
settembre 2011, n. 148, le parole da «differenziate» a «legge
statale» sono sostituite dalle seguenti: «utilizzando esclusivamente
gli stessi scaglioni di reddito stabiliti, ai fini dell'imposta sul
reddito delle persone fisiche, dalla legge statale, nel rispetto del
principio di progressivita'». L'Agenzia delle Entrate provvede
all'erogazione dei rimborsi dell'addizionale comunale all'imposta sul
reddito delle persone fisiche gia' richiesti con dichiarazioni o con
istanze presentate entro la data di entrata in vigore del presente
decreto, senza far valere l'eventuale prescrizione decennale del
diritto dei contribuenti.
17. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai
sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e
il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13 del
medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti
erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione
Sardegna variano in ragione delle differenze del gettito stimato ad
aliquota di base derivanti dalle disposizioni di cui al presente
articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del
bilancia dello Stato le somme residue. Con le procedure previste
dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province autonome
di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale
del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio
territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo
stesso articolo 27, a valere sulle quote di compartecipazione ai
tributi erariali, e' accantonato un importo pari al maggior gettito
stimato di cui al precedente periodo. L'importo complessivo della
riduzione del recupero di cui al presente comma e' pari per l'anno
2012 a 1.627 milioni di euro, per l'anno 2013 a 1.762,4 milioni di
euro e per l'anno 2014 a 2.162 milioni di euro.
18. All'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo 14 marzo
2011, n. 23 dopo le parole: «gettito di cui ai commi 1 e 2», sono
aggiunte le seguenti: «nonche', per gli anni 2012, 2013 e 2014, dalla
compartecipazione di cui al comma 4».
19. Per gli anni 2012, 2013 e 2014, non trovano applicazione le
disposizioni recate dall'ultimo periodo del comma 4 dell'articolo 2,
nonche' dal comma 10 dell'articolo 14 del decreto legislativo 14
marzo 2011, n. 23.
19-bis. Per gli anni 2012, 2013 e 2014, il decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 2, comma 4, del
decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e' esclusivamente
finalizzato a fissare la percentuale di compartecipazione al gettito
dell'imposta sul valore aggiunto, nel rispetto dei saldi di finanza
pubblica, in misura finanziariamente equivalente alla
compartecipazione del 2 per cento del gettito dell'imposta sul
reddito delle persone fisiche.
20. La dotazione del fondo di solidarieta' per i mutui per
l'acquisto della prima casa e' incrementata di 10 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2012 e 2013".
2.1. Come si vede, l'articolo ora riportato dispone
l'anticipazione sperimentale gia' per l'anno 2012 dell'imposta
municipale propria, tributo di nuova istituzione disciplinato dal
d.lgs. n. 23 del 2011.
L'applicazione di tale tributo nelle Regioni a statuto speciale
risultava inizialmente subordinata, in ragione dell'art. 14, comma 3,
del cit. d.lgs. n. 23 del 2011, all'adozione di specifiche
"modalita'" da parte delle stesse autonomie speciali "in conformita'
con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione". Erano
fatte salve, poi, (comma 2) le "procedure previste dall'articolo 27
della [...] legge n. 42 del 2009". Tanto, al fine di garantire - fra
l'altro - la neutralita' finanziaria, il necessario coordinamento tra
Stato e Regione in materia di finanza locale, la considerazione dei
livelli di reddito e dei costi connessi all'insularita'. Il rinvio a
particolari procedure di attuazione, originariamente previsto,
riprendeva un modello regolativo correttamente rispettoso delle
competenze delle Regioni a statuto speciale che, con forme diverse,
era stato gia' sperimentato nell'ordinamento tributario, anche prima
dell'approvazione della l. n. 42 del 2009. Basti pensare, a tal
proposito, a quanto disposto dall'art. 1, comma 8, della 1. n. 244
del 2007 (legge finanziaria del 2008) che, in tema di rimborso
dell'ICI per i Comuni situati nelle Regioni a Statuto speciale
prevedeva che "In relazione alle competenze attribuite alle regioni a
statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano in
materia di finanza locale, i rimborsi di cui al comma 7 sono disposti
a favore dei citati enti, che provvedono all'attribuzione delle quote
dovute ai comuni compresi nei rispettivi territori, nel rispetto
degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione".
2.2. Inopinatamente, l'imposta municipale propria e' stata
modificata dall'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 in piu' parti
rispetto al testo originariamente stabilito, e senza piu' prevedere,
in ordine alle modalita' applicative nelle Regioni a Statuto
speciale, il previo passaggio attraverso la ricordata procedura di
attuazione ed esecuzione e anzi stabilendo, al comma 1 del medesimo
art. 13, l'applicazione immediata a tutti i comuni su tutto il
territorio nazionale. In questo modo e' stata disattesa la precedente
previsione normativa volta a garantire le peculiarita' dei sistemi
finanziari dei territori ad autonomia differenziata e l'invarianza di
gettito delle loro entrate.
Risultano cosi' violati gli artt. 7 e 8 dello Statuto della
Regione Sardegna, che garantiscono alla Regione stessa un'adeguata
autonomia finanziaria, e sono parimenti violati gli artt. 117 e 119
della Costituzione, che confermano la tutela della particolare
autonomia economico-finanziaria della Regione e attribuiscono alla
Sardegna la competenza concorrente nella materia del coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario.
2.3. Nell'esame delle disposizioni censurate, poi, si deve
considerare la specifica competenza della Regione Sardegna nella
materia "finanza locale". Essa e' di sicura spettanza regionale, in
ragione dell'artt. 3, comma 1, lett. b) ("la Regione ha potesta'
legislativa nelle seguenti materie: b) ordinamento degli enti locali
e delle relative circoscrizioni)" e 7 ("La Regione ha una propria
finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi
della solidarieta' nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli
seguenti") dello statuto speciale. Si deve aggiungere anche che, ai
sensi dell'art. 8 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, recante "Norme
di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento
alla L. 22 luglio 1975, n. 382, e al d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616",
"Lo Stato determina gli obiettivi della programmazione economica
nazionale con il concorso della regione" (comma 1); "La regione
determina i programmi regionali di sviluppo, in armonia con gli
obiettivi della programmazione economica nazionale e con il concorso
degli enti locali territoriali e degli organismi comprensoriali,
secondo le modalita' indicate nella propria legislazione" (comma 2);
"Nei programmi regionali di sviluppo gli interventi di competenza
regionale sono coordinati con quelli dello Stato e con quelli di
competenza degli enti locali territoriali" (comma 3); "La
programmazione costituisce riferimento per il coordinamento della
finanza pubblica" (comma 4). Previsioni, queste, che dimostrano -
tutte - come la Regione Sardegna goda di un consistente margine di
autonomia nella materia che ne occupa, che, pur dovendo coordinarsi
con gli indirizzi statali, non puo' essere certamente annullata, come
vorrebbe il legislatore statale con la disposizioni censurate.
Anche codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ribadito che la
competenza della Regione Sardegna in materia di finanza locale e'
esclusiva e come tale deve essere tutelata. Come si legge nella sent.
n. 275 del 2007, infatti, la "materia della finanza locale, [...] per
la Regione sarda, e' devoluta alla competenza legislativa esclusiva
della Regione in forza dell'art. 3, lettera b), del relativo statuto
speciale" (ma v. anche la sent. n. 102 del 2008 circa la specifica
autonomia che lo Statuto attribuisce alla Regione Sardegna nella
materia dell'imposizione fiscale e, seppure in maniera meno evidente,
la sent. n. 229 del 2011).
Anche alla luce delle considerazioni ora svolte, appare chiaro
che l'art. 13 del d.1. n. 201 del 2011 viola le attribuzioni
costituzionali della Regione Sardegna, (anche) perche' non lascia
alla Regione alcun ambito di autonoma regolamentazione di un tipico
tributo locale.
2.4. Non solo. Dal complesso delle disposizioni contenute nel
censurato art. 13 risulta violato per un altro profilo l'art. 3 dello
Statuto della Regione Sardegna che, al comma 1, lett. b), attribuisce
alla Regione la competenza nella materia "ordinamento degli enti
locali e delle relative circoscrizioni", atteso che alla lesione
dell'autonomia finanziaria degli enti locali corrisponde la lesione
della relativa competenza normativa regionale generale. Sono,
inoltre, nuovamente violati anche gli artt. 7 e 8 dello Statuto, in
quanto il finanziamento inadeguato delle autonomie locali, che
consegue al mancato rispetto della procedura di cui alla l. n. 42 del
2009 e al d.lgs. n. 23 del 2011 (nonche', come appresso si vedra',
all'esclusione della compensazione statale per la soppressione
dell'ICI) comporta vincoli e pregiudizi tangibili all'autonomia
finanziaria regionale, costretta a far fronte al depauperamento delle
risorse comunali con uno specifico sostegno finanziario.
2.5. La lesione delle attribuzioni della ricorrente e' ancor piu'
evidente in riferimento al comma 11 dell'art. 13 del d.l. n. 201 del
2011, in cui si prevede che "e' riservata allo Stato la quota di
imposta pari alla meta' dell'importo calcolato applicando alla base
imponibile di tutti gli immobili, ad eccezione dell'abitazione
principale e delle relative pertinenze di cui al comma 7, nonche' dei
fabbricati rurali ad uso strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di
base di cui al comma 6, primo periodo". In questo modo, infatti, la
legislazione statale elude il regime di compartecipazione previsto
dall'art. 8, comma 1, lett. m), dello Statuto della Regione Sardegna,
il quale prevede che "Le entrate della regione sono costituite [...]
m) dai sette decimi di tutte le entrate erariali, dirette o
indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle di spettanza
di altri enti pubblici".
A questo proposito si deve anche considerare che l'I.M.U., ai
sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 23 del 2011, "sostituisce, per la
componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e
le relative addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari
relativi ai beni non locati". Cio' significa che il legislatore
statale, con la disposizione in esame, da una parte ha eliminato una
forma di imposizione cui la Regione compartecipava ai sensi dell'art.
8, comma 1, lett. a), dello Statuto, in cui si dispone che "Le
entrate della regione sono costituite: a) dai sette decimi del
gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito
delle persone giuridiche riscosse nel territorio della regione"),
dall'altra ha reso il medesimo indicatore di reddito/presupposto di
imposta (la proprieta' immobiliare) soggetto ad altra forma di
imposizione, dalla quale la Regione e' esplicitamente esclusa.
Tutto cio' considerato, l'art. 13 del d.1. n. 201 del 2011, come
conv. in 1. n. 214 del 2011, viola (oltre che per quelli gia'
segnalati) anche per questi ulteriori profili l'art. 8 dello Statuto,
che, come indicato, attribuisce alla Regione una partecipazione
maggioritaria alle entrate che lo Stato, ora, vorrebbe riservarsi.
Ulteriormente violato e' anche l'art. 7 dello Statuto, in quanto la
compartecipazione alle entrate e' elemento consustanziale e
necessario alla garanzia dell'autonomia finanziaria regionale. E
ulteriormente violati, anche per il profilo segnalato, sono anche gli
artt. 117 e 119 Cost., della Costituzione, che confermano la tutela
della particolare autonomia economico-finanziaria della Regione e
attribuiscono alla Sardegna la competenza concorrente nella materia
del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
2.6. Specificamente lesivo il comma 11 del censurato art. 13 lo
e' anche nella parte in cui prevede che "le attivita' di accertamento
e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune al quale
spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette
attivita' a titolo di imposta, interessi e sanzioni" (ultimo
periodo). In questo modo la Regione e' esclusa dalla quota di
compartecipazione alle entrate statali che e' prevista dall'art. 8
dello Statuto anche per il semplice fatto che l'attivita' di
riscossione, per elementi di patologia non certo dovuti alla Regione
medesima, genera "interessi e sanzioni", al cui gettito la Regione
non potrebbe partecipare.
Ne' si potrebbe eccepire che la fattispecie in esame integri la
deroga prevista nell'art. 8, comma 1, lett. m), dello Statuto, per
cui la Regione compartecipa delle entrate erariali "ad eccezione di
quelle di spettanza di altri enti pubblici": non v'e' alcun dubbio
sul fatto che l'imposta municipale sia, per la meta' del gettito, di
spettanza dello Stato e questa attribuzione non puo' mutare pel fatto
che la Pubblica Amministrazione non riesce ad incamerare le somme di
spettanza in via ordinaria e deve, invece, attivare un procedimento
successivo di recupero di quanto non versato all'erario.
L'anticipazione dell'applicazione dell'imposta municipale
propria, poi, esclude la previsione delle quote compensative statali
riconosciute ai Comuni per la soppressione dell'ICI sulla prima casa,
arrecando in tal modo un grave danno ai bilanci delle autonomie
speciali e dei rispettivi Enti locali, in violazione dei parametri (e
per i profili) gia' invocati in via generale, nonche' degli artt. 5 e
117, commi 3 e 4, Cost., nei quali si riconoscono e promuovono le
autonomie locali e si attribuisce alle Regioni la competenza
legislativa concorrente in materia di armonizzazione dei bilanci
pubblici e coordinamento della finanza pubblica.
2.7. Particolarmente lesivo delle attribuzioni della Regione
Sardegna, poi, e' il comma 17 del censurato art. 13, ove si prevede
che "il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi
dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e il
fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13 del
medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti
erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione
Sardegna variano in ragione delle differenze del gettito stimato ad
aliquota di base derivanti dalle disposizioni di cui al presente
articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata del
bilancio dello Stato le somme residue".
La disposizione in esame, oltre ai parametri (e in ordine ai
profili) gia' invocati in via generale) viola l'art. 3 Cost., in
combinato disposto con gli artt. 3, 7 e 8 dello Statuto, in quanto
reca un pregiudizio a valere solamente nei confronti degli enti
locali della Regione Sardegna (oltre che di quella Siciliana), senza
elementi obiettivi che giustifichino la discriminazione ora
descritta. A nulla vale che la diminuzione dei trasferimenti erariali
sia determinata in misura corrispondente al gettito derivante dalla
maggiorazione della tariffa prevista dal comma 13 del medesimo art.
14, in quanto la disposizione in esame lascia intendere che i comuni
delle altre Regioni beneficeranno sia del gettito derivante dall'IMU,
sia dei trasferimenti statali eventualmente previsti da altre norme.
3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 13-bis, del
d.1. n. 201 del 2011, come conv. in 1. n. 214 del 2011, per
violazione dell'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt. 3,
7 e 8 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna
(1. cost. n. 3 del 1948). L'art. 14 reca il titolo "Istituzione del
tributo comunale sui rifiuti e sui servizi". Esso - appunto -
istituisce "in tutti i comuni del territorio nazionale il tributo
comunale sui rifiuti e sui servizi, a copertura dei costi relativi al
servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati
avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni, e
dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni" (comma 1).
Il comma 13-bis del medesimo articolo prevede che "a decorrere
dall'anno 2013 il fondo sperimentale di riequilibrio, come
determinato ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo
2011, n. 23, e il fondo perequativo, come determinato ai sensi
dell'articolo 13 del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed
i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e
della Regione Sardegna sono ridotti in misura corrispondente al
gettito derivante dalla maggiorazione standard di cui al comma 13 del
presente articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa
all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue".
In questo modo si intende fare in modo che l'eventuale effetto
positivo per la finanza degli enti locali delle Regioni Sicilia e
Sardegna sia immediatamente scontato attraverso una contestuale
riduzione dei trasferimenti statali. La Regione Sardegna, pero', ne
viene pregiudicata per differenti profili.
3.1. Anzitutto, sono violati gli artt. 3, comma 1, lett. b), e 7
dello Statuto, che attribuiscono alla Regione la competenza
legislativa esclusiva in materia di "ordinamento degli enti locali e
delle relative circoscrizioni", che ricomprende anche la materia
"finanza locale" (come codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha
precisato nella sent. n. 275 del 2007 sopra citata, riferita proprio
alla Regione Sardegna), sia perche' lo Stato e' intervenuto in una
materia che non gli appartiene, sia perche' il meccanismo sopra
indicato non e' attuato attraverso il procedimento collaborativo
previsto dall'art. 27 della 1. n. 42 del 2009 e del d.lgs. n. 23 del
2011, come invece e' previsto per le altre Regioni a Statuto
speciale.
L'art. 3, comma 1, lett. b), dello Statuto e' violato anche per
un secondo profilo, in quanto (come gia' rilevato nel precedente
motivo di ricorso) la lesione dell'autonomia finanziaria degli enti
locali implica necessariamente la lesione della relativa competenza
normativa regionale generale.
Violati sono, altresi', gli artt. 3, 117 e 119 della
Costituzione, in relazione agli artt. 7 e 8 dello Statuto: il ridotto
finanziamento delle autonomie locali disposto dal comma in esame,
anche se in relazione all'extragettito derivante dalla imposta sui
servizi e sui rifiuti, si riverbera sull'autonomia finanziaria
regionale, costretta a far fronte al mancato incremento delle risorse
comunali con uno specifico sostegno finanziario. Che sia cosi' e'
dimostrato sia dal fatto che per le Regioni ordinarie il legislatore
statale non ha ritenuto di dover introdurre limitazioni ad altri
canali di finanziamento corrispettive all'eventuale extragettito
della nuova imposta, sia dal fatto che per le altre Regioni a Statuto
speciale (eccezion fatta per la Regione Siciliana), tale forma di
compensazione e' attuata con il particolare procedimento cooperativo
(dunque di maggior garanzia per la Regione) di cui all'art. 27 della
1. n. 42 del 2009.
Da ultimo, la norma in esame viola l'art. 3 Cost., ancora in
relazione con gli artt. 7 e 8 dello Statuto e 117 e 119 Cost., in
quanto l'autonomia finanziaria della Regione Sardegna e' vulnerata
nella misura in cui le disposizioni di disfavore per i Comuni sardi
si risolvono, quanto alla disciplina del tributo comunale sui rifiuti
e sui servizi, in una condizione, per la finanza regionale sarda,
comunque deteriore rispetto a quella delle altre Regioni ordinarie o
a statuto speciale (eccezion fatta per la Regione Siciliana).
3.2. Piu' in particolare, il meccanismo compensativo a favore
dell'erario statale pregiudica in maniera diretta solamente i Comuni
della Regione Sardegna e della Regione Siciliana, mentre non opera
nei confronti degli altri enti locali. La disposizione in esame,
dunque, viola l'art. 3 Cost., anche in combinato disposto con gli
artt. 3, 7 e 8 dello statuto speciale della Sardegna, 117 e 119
Cost., in quanto reca un pregiudizio a valere solamente nei confronti
degli enti locali della Regione Sardegna (e della Regione Siciliana),
e, di conseguenza, per la Regione Sardegna medesima, senza che
sussistano gli elementi obiettivi che giustifichino la
discriminazione ora descritta. Ne' questi elementi possono essere
individuati nel terzo periodo del comma in esame, laddove si prevede
che "Con le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio
2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta,
nonche' le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il
recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito dei comuni
ricadenti nel proprio territorio", in quanto ivi si regolano
solamente profili procedimentali (peraltro anch'essi lesivi delle
attribuzioni costituzionali della Sardegna, giusta quanto dedotto al
paragrafo precedente).
A nulla, peraltro, vale che la diminuzione dei trasferimenti
erariali sia determinata in misura corrispondente al gettito
derivante dalla maggiorazione della tariffa prevista dal comma 13 del
medesimo art. 14, in quanto la disposizione in esame indica che ai
comuni delle altre Regioni a statuto ordinario si applichera' la
maggiorazione tariffaria di cui all'art. 14, comma 13, del d.1. n.
201 del 2011, ma senza la riduzione dei trasferimenti erariali
previsti da altre norme, che sono invece diminuiti per i comuni della
Sardegna.
4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.l. n. 201 del
2011, come conv. in 1. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 7
e 8 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna (l.
cost. n. 3 del 1948) e degli artt. 117 e 119 cost. L'art. 16 reca il
titolo "Disposizioni per la tassazione di auto di lusso, imbarcazioni
ed aerei". In particolare, i commi da 2 a 15-ter dispongono che:
"2. Dal 1° maggio 2012 le unita' da diporto che stazionino in
porti marittimi nazionali, navighino o siano ancorate in acque
pubbliche, anche se in concessione a privati, sono soggette al
pagamento della tassa annuale di stazionamento, calcolata per ogni
giorno, o frazione di esso, nelle misure di seguito indicate: a) euro
5 per le unita' con scafo di lunghezza da 10,01 metri a 12 metri; b)
euro 8 per le unita' con scafo di lunghezza da 12,01 metri a 14
metri; c) euro 10 per le unita' con scafo di lunghezza da 14,01 a 17
metri; d) euro 30 per le unita' con scafo di lunghezza da 17,01 a 24
metri; e) euro 90 per le unita' con scafo di lunghezza da 24,01 a 34
metri; euro 207 per le unita' con scafo di lunghezza da 34,01 a 44
metri; g) euro 372 per le unita' con scafo di lunghezza da 44,01 a 54
metri; h) euro 521 per le unita' con scafo di lunghezza da 54,01 a 64
metri; i) euro 703 per le unita' con scafo di lunghezza superiore a
64 metri.
3. La tassa e' ridotta alla meta' per le unita' con scafo di
lunghezza fino a 12 metri, utilizzate esclusivamente dai proprietari
residenti, come propri ordinari mezzi di locomozione, nei comuni
ubicati nelle isole minori e nella Laguna di Venezia, nonche' per le
unita' di cui al comma 2 a vela con motore ausiliario.
4. La tassa non si applica alle unita' di proprieta' o in uso
allo Stato e ad altri enti pubblici, a quelle obbligatorie di
salvataggio, ai battelli di servizio, purche' questi rechino
l'indicazione dell'unita' da diporto al cui servizio sono posti,
nonche' alle unita' di cui al comma 2 che si trovino in un'area di
rimessaggio e per i giorni di effettiva permanenza in rimessaggio.
5. Sono esenti dalla tassa di cui al comma 2 le unita' da diporto
possedute ed utilizzate da enti ed associazioni di volontariato
esclusivamente ai fini di assistenza sanitaria e pronto soccorso.
5-bis. La tassa di cui al comma 2 non e' dovuta per le unita'
nuove con targa di prova, nella disponibilita' a qualsiasi titolo del
cantiere costruttore, manutentore o del distributore, ovvero per
quelle usate ritirate dai medesimi cantieri o distributori con
mandato di vendita e in attesa del perfezionamento dell'atto.
6. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 2
e 3 la lunghezza e' misurata secondo le norme armonizzate EN/ISO/DIS
8666 per la misurazione dei natanti e delle imbarcazioni da diporto.
7. Sono tenuti al pagamento della tassa di cui al comma 2 i
proprietari, gli usufruttuari, gli acquirenti con patto di riservato
dominio o gli utilizzatori a titolo di locazione finanziaria. Con
provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabilite
le modalita' ed i termini di pagamento della tassa, di comunicazione
dei dati identificativi dell'unita' da diporto e delle informazioni
necessarie all'attivita' di controllo. I pagamenti sono eseguiti
anche con moneta elettronica senza oneri a carico del bilancio dello
Stato, Il gettito della tassa di cui al comma 2 affluisce all'entrata
del bilancio dello Stato.
8. La ricevuta di pagamento, anche elettronica, della tassa di
cui al comma 2 e' esibita dal comandante dell'unita' da diporto
all'Agenzia delle dogane ovvero all'impianto di distribuzione di
carburante, per l'annotazione nei registri di carico-scarico ed i
controlli a posteriori, al fine di ottenere l'uso agevolato del
carburante per lo stazionamento o la navigazione.
9. Le Capitanerie di porto, le forze preposte alla tutela della
sicurezza e alla vigilanza in mare, nonche' le altre forze preposte
alla pubblica sicurezza o gli altri organi di polizia giudiziaria e
tributaria vigilano sul corretto assolvimento degli obblighi
derivanti dalle disposizioni di cui ai commi da 2 a 8 del presente
articolo ed elevano, in caso di violazione, apposito processo verbale
di constatazione che trasmettono alla direzione provinciale
dell'Agenzia delle entrate competente per territorio, in relazione al
luogo della commissione della violazione, per l'accertamento della
stessa. Per l'accertamento, la riscossione e il contenzioso si
applicano le disposizioni in materia di imposte sui redditi; per
l'irrogazione delle sanzioni si applicano le disposizioni di cui al
decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, esclusa la definizione
ivi prevista. Le violazioni possono essere definite entro sessanta
giorni dalla elevazione del processo verbale di constatazione
mediante il pagamento dell'imposta e della sanzione minima ridotta al
cinquanta per cento. Le controversie concernenti l'imposta di cui al
comma 2 sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie
ai sensi del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
10. Per l'omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di
cui al comma 2 si applica una sanzione amministrativa tributaria dal
200 al 300 per cento dell'importo non versato, oltre all'importo
della tassa dovuta.
11. E' istituita l'imposta erariale sugli aeromobili privati, di
cui all'articolo 744 del codice della navigazione, immatricolati nel
registro aeronautico nazionale, nelle seguenti misure annuali:
a) velivoli con peso massimo al decollo: 1) fino a 1.000 kg.,
euro 1,50 al kg; 2) fino a 2.000 kg., euro 2,45 al kg; 3) fino a
4.000 kg., euro 4,25 al kg; 4) fino a 6.000 kg., euro 5,75 al kg; 5)
fino a 8.000 kg., euro 6,65 al kg; 6) fino a 10.000 kg., euro 7,10 al
kg; 7) oltre 10.000 kg., euro 7,55 al kg;
b) elicotteri: l'imposta dovuta e' pari al doppio di quella
stabilita per i velivoli di corrispondente peso;
c) alianti, motoalianti, autogiri e aerostati, euro 450,00.
12. L'imposta e' dovuta da chi risulta dai pubblici registri
essere proprietario, usufruttuario, acquirente con patto di riservato
dominio, ovvero utilizzatore a titolo di locazione finanziaria
dell'aeromobile, ed e' corrisposta all'atto della richiesta di
rilascio o di rinnovo del certificato di revisione della
aeronavigabilita' in relazione all'intero periodo di validita' del
certificato stesso. Nel caso in cui il certificato abbia validita'
inferiore ad un anno l'imposta e' dovuta nella misura di un
dodicesimo degli importi di cui al comma 11 per ciascun mese di
validita'.
13. Per gli aeromobili con certificato di revisione della
aeronavigabilita' in corso di validita' alla data di entrata in
vigore del presente decreto l'imposta e' versata, entro novanta
giorni da tale data, in misura pari a un dodicesimo degli importi
stabiliti nel comma 11 per ciascun mese da quello in corso alla
predetta data sino al mese in cui scade la validita' del predetto
certificato. Entro lo stesso termine deve essere pagata l'imposta
relativa agli aeromobili per i quali il rilascio o il rinnovo del
certificato di revisione della aeronavigabilita' avviene nel periodo
compreso fra la data di entrata in vigore del presente decreto ed il
31 gennaio 2012.
14. Sono esenti dall'imposta di cui al comma 11 gli aeromobili di
Stato e quelli ad essi equiparati; gli aeromobili di proprieta' o in
esercenza dei licenziatari dei servizi di linea e non di linea,
nonche' del lavoro aereo, di cui al codice della navigazione, parte
seconda, libro I, titolo VI, capi I, II e III; gli aeromobili di
proprieta' o in esercenza delle Organizzazioni Registrate (OR), delle
scuole di addestramento FTO (Right Training Organisation) e dei
Centri di Addestramento per le Abilitazioni (TRTO - Type Rating
Training Organisation); gli aeromobili di proprieta' o in esercenza
dell'Aero Club d'Italia, degli Aero Club locali e dell'Associazione
nazionale paracadutisti d'Italia; gli aeromobili immatricolati a nome
dei costruttori e in attesa di vendita; gli aeromobili esclusivamente
destinati all'elisoccorso o all'aviosoccorso.
14-bis. L'imposta di cui al comma 11 e' applicata anche agli
aeromobili non immatricolati nel registro aeronautico nazionale la
cui sosta nel territorio italiano si protrae oltre quarantotto ore.
15. L'imposta di cui al comma 11 e' versata secondo modalita'
stabilite con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate
da emanarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente
decreto.
15-bis. In caso di omesso o insufficiente pagamento dell'imposta
di cui al comma 11 si applicano le disposizioni del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e del decreto legislativo 18
dicembre 1997, n. 472". In questo modo si istituisce (al comma 2) una
"tassa annuale di stazionamento", cui sono soggette le unita' da
diporto che stazionino in porti marittimi nazionali, navighino o
siano ancorate in acque pubbliche. Tale tributo e' calcolato per ogni
giorno di stazionamento, o frazione di esso, in ragione della
lunghezza dello scafo (da un minimo di 5 euro per le unita' con scafo
da 10,01 metri a 12 metri ad un massimo di 703 euro per le unita' con
scafo di lunghezza superiore a 64 metri). La tassa e' ridotta alla
meta' per le unita' con scafo di lunghezza fino a 12 metri,
utilizzate esclusivamente dai proprietari residenti, come propri
ordinari mezzi di locomozione, nei comuni ubicati nelle isole minori
e nella Laguna di Venezia.
4.1. E' evidente che l'introduzione di tale tributo determinera'
effetti dannosi per il sistema economico regionale, in quanto
spingera' i diportisti ad abbandonare o a ridurre drasticamente il
periodo di stazionamento nelle acque italiane, e quindi della
Sardegna, particolarmente pregiudicata in ragione della sua
insularita' e dell'importanza del turismo nautico per la sua
autonomia. A fronte di questo indubbio elemento di danno per
l'economia regionale e, di conseguenza, per le entrate regionali
connesse al ridotto flusso di turisti regionale, la norma in esame
non prevede misure compensative per la Regione.
Tanto si risolve nella lesione dell'autonomia finanziaria
regionale e della competenza legislativa nella materia "coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario" e, di conseguenza,
nella contestuale violazione degli arti. 7 e 8 dello Statuto speciale
e 117 e 119 Cost., da cui tale autonomia e' tutelata. Il legislatore
statale, infatti, ha introdotto una forma di imposizione tributaria
che si sovrappone, violandolo, all'art. 8, comma 1, lett. h), dello
statuto speciale, in cui si prevede che "Le entrate della regione
sono costituite [...] h) da imposte e tasse sul turismo e da altri
tributi propri che la regione ha facolta' di istituire con legge in
armonia con i principi del sistema tributario dello Stato".
Che quella in esame debba essere considerata come una tassa sul
turismo si deduce inequivocabilmente dalle modalita' con cui essa e'
prevista e commisurata. Quanto ai natanti, essa e' limitata alle
"unita' da diporto" ed e' calcolata su base giornaliera e parametrata
a nove differenti categorie di grandezza dei mezzi che vanno dai 10
ai 64 metri di lunghezza dello scafo, misure che mostrano la volonta'
di assumere, come presupposto d'imposta, proprio i natanti usati per
il turismo, anche di piccolo cabotaggio. Quanto agli aeromobili, essa
e' prevista in un ammontare fisso per gli alianti, motoalianti,
autogiri e aerostati, ossia per mezzi usati per il volo sportivo e
turistico. Quanto ai mezzi ad ala rotante, il semplice fatto che
l'importo sia dovuto in misura doppia rispetto a quella prevista per
gli aeroplani conferma la volonta' del legislatore statale di colpire
proprio i mezzi usati per l'aeronavigazione da turismo. Infine, per
quanto concerne i velivoli, anche in questo caso la previsione delle
sette categorie di peso a partire da una tonnellata conforta
nell'ipotesi riferita.
La Regione Sardegna aveva utilizzato lo scalo turistico degli
aeromobili e delle unita' da diporto nel periodo dell'anno che corre
dal 1° giugno al 30 settembre come presupposto d'imposta per la tassa
regionale istituita con l'art. 4 della l. reg. Sardegna n. 4 del
2006. Nella sent. n. 102 del 2008, al par. 8.1.2., codesta Ecc.ma
Corte costituzionale ha dato conto del fatto che il tributo cosi'
previsto era da considerarsi una imposta sul turismo.
In quel caso, codesta Ecc.ma Corte costituzionale affermo' che,
"anche ove potesse ritenersi (sia pure implausibilmente)" che non vi
fossero "elementi sufficienti a caratterizzare come tributo «sul
turismo» [...] il tributo sarebbe pur sempre qualificabile come
«proprio» della Regione e, quindi, sarebbe da essa legittimamente
stabilito in forza della competenza legislativa statutaria, purche',
fosse rispettata la condizione - richiesta dal medesimo art. 8,
lettera i), dello statuto - dell'«armonia con i principi del sistema
tributario dello Stato»". Se e' vero che, in ragione dell'art. 117
Cost., la Regione Sardegna puo' istituire tributi propri anche in
materie diverse dal "turismo", e' altrettanto vero che la previsione
di cui all'art. 3, comma 1, lett. h), dello Statuto continua a porsi
come limite alla potesta' impositiva dello Stato, che non puo' agire
con la leva fiscale su un presupposto d'imposta che ricade nella
materia "turismo" senza riservare alla Regione Sardegna un congruo
margine di disciplina.
5. Illegittimita' costituzionale dell'art. 23, commi da 14 a 22,
del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per
violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione Autonoma
della Sardegna (1. cost. n. 3 del 1948). L'art. 23 reca il titolo
"Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorita' di Governo, del
CNEL, delle Autorita' indipendenti e delle Province". Esso dispone,
in particolare ai commi da 14 a 22, che:
"14. Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di
indirizzo e di coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie
e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le
rispettive competenze.
15. Sono organi di governo della Provincia il Consiglio
provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi durano in
carica cinque anni.
16. Il Consiglio provinciale e' composto da non piu' di dieci
componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel
territorio della Provincia. Le modalita' di elezione sono stabilite
con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012.
17. Il Presidente della Provincia e' eletto dal Consiglio
provinciale tra i suoi componenti secondo le modalita' stabilite
dalla legge statale di cui al comma 16.
18. Fatte salve le funzioni di cui al comma 14, lo Stato e le
Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze,
provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le
funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che,
per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle
Regioni, sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione
ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento delle funzioni da
parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012, si provvede in via
sostitutiva, ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n.
131, con legge dello Stato.
19. Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze,
provvedono altresi' al trasferimento delle risorse umane, finanziarie
e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite, assicurando
nell'ambito delle medesime risorse il necessario supporto di
segreteria per l'operativita' degli organi della provincia.
20. Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro il
31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo 2013, l'articolo 141
del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di
cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive
modificazioni. Gli organi provinciali che devono essere rinnovati
successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla
scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al primo e al secondo
periodo del presente comma, si procede all'elezione dei nuovi organi
provinciali di cui ai commi 16 e 17.
20-bis. Le regioni a statuto speciale adeguano i propri
ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi da 14 a 20 entro sei
mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Le
medesime disposizioni non trovano applicazione per le province
autonome di Trento e di Bolzano.
21. I Comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per
l'esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo
l'invarianza della spesa.
22. La titolarita' di qualsiasi carica, ufficio o organo di
natura elettiva di un ente territoriale non previsto dalla
Costituzione e' a titolo esclusivamente onorifico e non puo' essere
fonte di alcuna forma di remunerazione, indennita' o gettone di
presenza, con esclusione dei comuni di cui all'articolo 2, comma 186,
lettera b), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive
modificazioni".
In questo modo e' stata modificata in profondita'
l'organizzazione politico-amministrativa degli enti locali
sub-regionali. In particolare, i commi da 14 a 20 hanno soppresso la
Giunta provinciale e ridotto a dieci i componenti del Consiglio
provinciale, hanno innovato il sistema di elezione del Presidente e
del Consiglio provinciale, hanno imposto alle Regioni di trasferire
ai Comuni le funzioni gia' delegate alle province, e con esse la
dotazione organica e materiale e seguenti. Infine, i commi 21 e 22
hanno previsto la possibilita' per i Comuni di istituire unioni o
organi di raccordo per l'esercizio di specifici compiti o funzioni
amministrative e hanno escluso qualunque forma di remunerazione,
indennita' o gestione di presenza, per qualsiasi carica, ufficio o
organo di natura elettiva di un ente territoriale non previsto dalla
Costituzione con esclusione dei comuni di cui all'art. 2, comma 186,
lett. b), della l. n. 191 del 2009.
5.1. E' agevole constatare il palmare contrasto di queste
previsioni con le norme che garantiscono alla Regione Sardegna una
sfera di autonomia legislativa esclusiva. Dispone, infatti, l'art. 3,
comma 1, lett. a) e b), dello Statuto di autonomia che "in armonia
con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della
Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli
interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali delle riforme
economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potesta'
legislativa nelle seguenti materie: [...] a) ordinamento degli uffici
e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed
economico del personale; b) ordinamento degli enti locali e delle
relative circoscrizioni".
L'autoritativa e unilaterale determinazione, da parte dello
Stato, della riforma degli organi e delle funzioni delle province e
l'esclusione della remunerazione delle cariche
politico-amministrative degli enti territoriali e' violativa della
previsione statutaria che riserva alla Regione l'ordinamento degli
enti locali. Ne' si potrebbe obiettare che la norma impugnata
appartenga a quelle `fondamentali" delle "riforme economico-sociali
della Repubblica", poiche' essa entra in estremo dettaglio
nell'ordinamento degli enti locali, senza che cio' risulti necessario
per la realizzazione degli obiettivi di maggiore efficienza
perseguiti dal legislatore statale (ben si sarebbe potuto e dovuto
lasciare alla Regione il potere di determinare le modalita' di
riforma dell'ordinamento degli enti locali del territorio sardo, nel
rispetto di alcuni principi e criteri generali, anche attinenti al
contenimento dei costi, cosi' da poterli adattare alle variegate
realta' locali).
5.2. Sono particolarmente lesivi delle attribuzioni regionali,
inoltre, i commi 18 e 19 dell'art. 23, nella parte in cui impongono
alle Regioni di provvedere a trasferire ai comuni le funzioni gia'
delegate o attribuite alle province e le connesse le risorse umane,
finanziarie e strumentali. In questo caso, infatti, lo Stato ha
inteso disciplinare addirittura il modo in cui la Regione deve
disciplinare lo svolgimento delle proprie funzioni, in totale spregio
dell'art. 3 dello Statuto.
Ne' si potrebbe ritenere che il legislatore statale fosse a cio'
legittimato in ragione dell'art. 117, comma 2, lett. p), Cost., in
quanto in detta disposizione si fa riferimento alle "funzioni
fondamentali" degli Enti locali. Anzitutto, trattandosi di Regione ad
autonomia speciale, trovano applicazione, qui, le norme statutarie.
In secondo luogo, tra le "funzioni fondamentali" degli enti locali
non possono certo annoverarsi quelle che la Regione Sardegna,
nell'esercizio delle sue attribuzioni, ha inteso delegare o
attribuire all'uno o all'altro livello di governo.
5.3. Infine, non esclude l'illegittimita' costituzionale delle
disposizioni in esame la previsione (comma 21), per le Regioni a
statuto speciale, di un termine di sei mesi per adeguare i propri
ordinamenti alla nuova disciplina prevista dall'art. 23, in quanto
l'adeguamento alla legge statale e' comunque imposto, mentre il mero
differimento non cancella l'invasione, da parte dello Stato, in una
materia statutariamente riservata alla Regione Sardegna.
Il comma 21 dell'art. 23, anzi, sta a testimoniare proprio il
fatto che il legislatore statale ha avvertito che le disposizioni
introdotte andavano ad impingere in un ambito a lui estraneo, ma,
invece di dedurre le opportune conseguenze da tale circostanza, si e'
- illegittimamente - limitato a prevedere un termine per
l'adempimento da parte delle Regioni ad autonomia speciale.
6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 28 del d.l. n. 201 del
2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 3,
4, 5, 7 e 8 dello Statuto della Regione Sardegna (l. cost. n. 3 del
1948) e 117 e 119 cost. L'art. 28 reca il titolo "Concorso alla
manovra degli Enti territoriali e ulteriori riduzioni di spese". In
particolare i commi 3, 7, 8, 9 e 11-ter dispongono che:
"3. Con le procedure previste dall'articolo 27, della legge 5
maggio 2009, n. 42, le Regioni a statuto speciale e le Province
autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall'anno 2012,
un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui. Con le
medesime procedure le Regioni Valle d'Aosta e Friuli Venezia Giulia e
le Province autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere
dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di 60 milioni di
euro annui, da parte dei Comuni ricadenti nel proprio territorio.
Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto
articolo 27, l'importo complessivo di 920 milioni e' accantonato,
proporzionalmente alla media degli impegni finali registrata per
ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere sulle quote di
compartecipazione ai tributi erariali. Per la Regione Siciliana si
tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale per
effetto del comma 2.
[...]
7. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai
sensi dell'articolo 2, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23,
e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13,
del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti
erariali dovuti ai Comuni della Regione Siciliana e della Regione
Sardegna sono ridotti di ulteriori 1.450 milioni di euro per gli anni
2012 e successivi.
8. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai
sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68,
il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 23, del
medesimo decreto legislativo n. 68, del 2011, ed i trasferimenti
erariali dovuti alle Province della Regione Siciliana e della Regione
Sardegna sono ridotti di ulteriori 415 milioni di euro per gli anni
2012 e successivi.
9. La riduzione di cui al comma 7, e' ripartita in proporzione
alla distribuzione territoriale dell'imposta municipale propria
sperimentale di cui all'articolo 13, del presente decreto.
10. La riduzione di cui al comma 8 e' ripartita
proporzionalmente.
11-ter. Al fine di potenziare il coordinamento della finanza
pubblica e' avviata la ridefinizione delle regole del patto di
stabilita' interno".
6.1. L'art. 28, comma 3, del d.1. n. 201 del 2011, come conv. in
1. n. 214 del 2011, dunque, fissa un ulteriore concorso delle Regioni
speciali alla finanza pubblica di ? 860.000.000,00 annui "a decorrere
dall'anno 2012", e di ? 60.000.000 per i comuni facenti parte di
quelle Regioni.
Con l'articolo in argomento, inoltre, senza alcuna intesa o pur
minima forma di cooperazione, si dispone che, fino all'emanazione
delle norme di attuazione degli Statuti, come richiamate anche
dall'art. 27 della 1. n. 42 del 2009, ciascun Ente autonomo, in
misura proporzionale alla media degli impegni del triennio 2007-2009
e fino al concorso complessivo della cifra gia' indicata, sopporti
questi oneri attraverso l'accantonamento delle somme corrispondenti a
valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.
6.2. Si e' gia' detto delle vicende che hanno imposto la riforma
delle entrate della Regione Sardegna, nonche' della mancata
attuazione, per esclusiva incuria dello Stato, del nuovo regime
finanziario regionale, e del contenzioso che ne e' sorto. La
rilevanza di quella vicenda nel contribuire a determinare
l'illegittimita' della disposizione in esame e' fuori di dubbio: i
commi censurati dell'art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, infatti,
ledono le attribuzioni della Regione Sardegna, almeno per due
distinti profili, uno connesso agli specifici oneri di finanza
pubblica imposti alla Regione Sardegna ancora nelle more
dell'attuazione del nuovo regime di compartecipazione, l'altro
riferito al fatto che, seppure temporaneamente, tali oneri sono
scontati proprio su quel regime di compartecipazione alle entrate
erariali della Regione Sardegna che e' stato prima riformato in
melius, poi e' stato lasciato colpevolmente inattuato, infine e'
stato ulteriormente frustrato nella maniera che si e' or ora
descritta.
6.2.1. In primo luogo, e' violato l'art. 8 dello Statuto, in
quanto l'apporto della Regione Sardegna e' equiparato a quello delle
altre autonomie speciali, sebbene la riforma dello statuto speciale
intervenuta nel 2006 abbia previsto un nuovo regime finanziario delle
entrate regionali, ben piu' favorevole di quello precedente (ne' a
questo proposito si potrebbe eccepire che il nuovo regime non abbia
avuto esecuzione, in quanto tale circostanza rappresenta - semmai -
un'ulteriore lesione dell'autonomia finanziaria regionale). L'aumento
delle entrate conseguente alla riforma del 2006, come si e' visto,
non deriva da un irragionevole capriccio della Regione, bensi' dalla
necessita' - attestata dallo Stato - di adeguare il quadro statutario
alla mutata realta' economico-finanziaria di riferimento. Cio' rende
ancor piu' evidente l'illegittimita' della disposizione impugnata,
che compromette l'autonomia regionale rovesciando il senso della
riforma del 2006 e disattendendone la ratio, che era quella di
bilanciare una situazione finanziaria regionale di per se stessa
insostenibile (e adesso ancor piu' aggravata con i nuovi oneri
imposti alla Regione e ai suoi enti locali).
6.2.2. L'art. 8 dello Statuto e' violato anche per un differente
profilo, in relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art.
3 Cost. Questo perche' il livello delle economie regionali definito
in ragione dell'articolo in esame risulta incoerente con la novella
statutaria, con la conseguenza che la disposizione impugnata e'
censurabile anche in riferimento al principio di ragionevolezza di
cui all'art. 3 Cost., per l'intima contraddittorieta' che l'affligge.
Contraddittorieta' che anche in questo caso si risolve nella lesione
della sfera di autonomia regionale, a causa del pregiudizio che la
Regione Sardegna subisce a fronte della mancata considerazione delle
novellate previsioni statutarie nella fissazione degli obiettivi di
finanza pubblica assegnati alle Regioni a statuto speciale.
6.2.3. La manovra imposta alle autonomie speciali, e dunque anche
alla Regione Sardegna, impedisce che la Regione stessa abbia a
disposizione le risorse idonee a finanziare integralmente le funzioni
pubbliche attribuite dallo Statuto. Tanto, con violazione degli artt.
3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto della Regione Sardegna e 3, 117 e 119
Cost., nella parte in cui tutelano l'autonomia finanziaria della
Regione Sardegna, anche con la previsione di specifiche entrate
tributarie e patrimoniali necessarie allo svolgimento delle funzioni
istituzionali della Regione, nella parte in cui attribuiscono alla
Regione la competenza legislativa concorrente nella materia
"coordinamento della finanza pubblica", nella parte in cui prevedono
che le risorse proprie degli Enti territoriali devono poter
finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite (per
questo ultimo profilo sono stati invocati gli artt. 3, 4 e 5 dello
Statuto, che enumerano le materie di competenza regionale esclusiva,
concorrente e delegata dallo Stato). L'aggravio degli oneri a carico
della Regione Sardegna e dei comuni che ne fanno parte, intervenuto
senza che sia stata data completa e corretta attuazione al nuovo
regime delle entrate, produce l'effetto di impedire che la Regione (e
gli enti locali che ne fanno parte) possa adempiere alle proprie
funzioni senza essere condizionata da vincoli eterodeterminati alla
capacita' di spesa privi di qualunque ragionevolezza, circostanza
testimoniata proprio dal fatto che, come si e' visto, l'insufficienza
delle risorse in essere e' stata riconosciuta anche normativamente.
Questa tesi trova conforto nella sent. n. 245 del 1984 di codesta
Ecc.ma Corte costituzionale, nella quale e' stata dichiarata
l'illegittimita' costituzionale di alcune disposizioni della Legge
finanziaria per il 1984 che imponevano alle Regioni oneri di vario
genere senza corrispondente attribuzione di risorse. Le Regioni
ricorrenti lamentavano in particolare, in quell'occasione, che l'art.
7, comma 13, della Legge finanziaria, "comporterebbe oneri a carico
dei loro bilanci, senza assegnare alle Regioni le somme occorrenti
per farvi fronte". Codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha ritenuto
necessario "rileggere la motivazione" svolta dalla sentenza n. 307
del 1983, ricordando che "gia' in quell'occasione, la Corte ha
ritenuto che l'imporre alle Regioni obblighi del genere contrasti
anzitutto con cio' che la Costituzione prescrive nel secondo comma
dell'art. 119, ossia che le Regioni dispongano di «tributi propri»
(oltre che di «quote di tributi erariali»), per fronteggiare
autonomamente «le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni
normali»" e che le Regioni posseggono "autonomia finanziaria
considerata sul versante delle uscite".
Per maggiore completezza si deve ancora ricordare che,
contestualmente alla riforma dell'art. 8 dello Statuto, il
legislatore ha ulteriormente ampliato il catalogo delle funzioni
pubbliche che la Regione Sardegna deve finanziare. La stessa l. n.
296 del 2006, infatti, all'art. 1, comma 836, ha previsto che
"dall'anno 2007 la regione Sardegna provvede al finanziamento del
fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale sul proprio
territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato" e
al comma 837 ha disposto che "alla regione Sardegna sono trasferite
le funzioni relative al trasporto pubblico locale (Ferrovie Sardegna
e Ferrovie Meridionali Sarde) e le funzioni relative alla continuita'
territoriale [...]". Il legislatore statale, dunque, da una parte ha
riconosciuto alla Sardegna, com'era necessario e opportuno a fronte
dell'analisi svolta anche dalla stessa Ragioneria Generale dello
Stato dell'andamento storico dei conti regionali, i nuovi canali di
finanziamento necessari per lo svolgimento delle funzioni, dall'altra
ha immediatamente gravato il bilancio regionale imponendo all'Ente
l'intera responsabilita' di due tra i servizi pubblici piu' onerosi:
la sanita' e il trasporto. Tutto cio' considerato, appare evidente
che l'art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, non tenendo conto della
specifica situazione della Sardegna e delle vicende normative
ricordate, viola il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di
integrale finanziamento delle funzioni pubbliche assegnate (artt. 3,
4 e 5 dello Statuto - che enumerano le materie di competenza
regionale esclusiva, concorrente e delegata dallo Stato -, in
relazione agli artt. 117 e 119 Cost.) e, per l'effetto, lede
l'autonomia finanziaria della Regione (artt. 7 e 8 dello statuto).
6.2.4. Sono ancora violati gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto
speciale della Sardegna e gli artt. 116, 117 e 119 Cost., anche in
relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in
quanto, prevedendo nuovi oneri per le Regioni ad autonomia speciale,
l'articolo in commento ha creato uno "pseudo-comparto" composto da
tutte le autonomie regionali, accomunando in un'unica voce realta'
diversissime in punto di fatto (localizzazione geografica, condizione
di sviluppo economico, popolazione residente) e di diritto. Questo
perche' le condizioni di autonomia delle Regioni a statuto speciale e
delle Province di Trento e Bolzano, previste dai rispettivi Statuti,
per quanto ispirate alla medesima ratio di un maggiore ambito di
autogovemo, non sono coincidenti. Per quanto riguarda specificamente
l'autonomia finanziaria, esse non possono certamente essere
accomunate e confuse sic et simpliciter, come pure fa la disposizione
impugnata (sia sufficiente, a questo proposito, il confronto tra gli
artt. 36 sgg. dello Statuto della Sicilia, l'art. 8 dello Statuto
sardo, l'art. 12 dello Statuto della Valle d'Aosta, gli artt. 48 sgg.
dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia, gli artt. 69 sgg. - in
particolare 75 - dello Statuto del Trentino-Alto Adige).
Non tenendo conto di queste singole specificita', ed in
particolare del diverso regime di compartecipazione alle entrate
erariali fissato per ciascun Ente dal rispettivo Statuto, l'art. 28
del d.l. n. 201 del 2011 ha accomunato e livellato quello che,
invece, andava comparato e differenziato. Tale violazione del
principio di ragionevolezza e di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.
si riverbera necessariamente sull'attuazione del regime di
compartecipazione alle entrate previsto dall'art. 8 dello Statuto
della Sardegna, sull'autonomia finanziaria della Regione garantita
dall'art. 7 dello Statuto e dall'art. 119 Cost., sulla capacita'
della Sardegna di far fronte agli impegni derivanti dall'esercizio
delle competenze e delle funzioni attribuite dallo Statuto.
6.2.5. Per questo specifico profilo deve essere subito
specificato che l'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 28 del
decreto-legge impugnato introduce un ulteriore criterio di riparto
degli oneri per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
da parte delle Regioni ad autonomia speciale, in considerazione della
"rideterminazione del fondo sanitario nazionale" per la sola Regione
Sicilia. In questo modo, pero', la disposizione viola l'art. 3 Cost.,
sia pel profilo del principio d'eguaglianza sia nel profilo del
principio di ragionevolezza, entrambi in relazione all'art. 7 dello
Statuto della Sardegna che ne tutela l'autonomia finanziaria, in
quanto la medesima Regione Sardegna, quale componente del "comparto"
delle Autonomie speciali, in definitiva, dovrebbe farsi pro parte
carico della spesa sanitaria della Regione Sicilia. In questo modo il
legislatore statale ha disegnato un meccanismo pseudo-perequativo
che, in violazione anche dell'art. 119 Cost.: questo meccanismo grava
solo sulle altre Regioni ad autonomia speciale facendo salve le
Regioni ordinarie.
6.3. I vizi teste' segnalati, lo si e' gia' accennato, si
aggravano se si tiene conto del fatto che l'articolo in esame prevede
che la partecipazione agli obiettivi di finanza pubblica sia
direttamente scontata sul gettito delle entrate tributarie
compartecipate dalla Regione Sardegna, nonostante lo Stato non abbia
ancora portato a regime il nuovo sistema di compartecipazione varato
con l'art. 1, comma 834, della l. n. 296 del 2006. In altri termini,
lo Stato ha disegnato una modalita' di adempimento agli obblighi di
finanza pubblica che la Regione non puo' ragionevolmente assicurare,
proprio per ragioni dovute all'inattuazione statale del nuovo art. 8
dello Statuto.
6.4. Risultano, poi, particolarmente lesivi delle attribuzioni
regionali anche i commi 7 e 8 del medesimo art. 28 del d.l. n. 201
del 2011, come conv. in l. n. 214 del 2011. In detti commi si
prevede, come gia' riportato, quanto segue:
"7. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai
sensi dell'articolo 2, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23,
e il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13,
del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed i trasferimenti
erariali dovuti ai Comuni della Regione Siciliana e della Regione
Sardegna sono ridotti di ulteriori 1.450 milioni di euro per gli anni
2012 e successivi.
8. Il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai
sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68,
il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 23, del
medesimo decreto legislativo n. 68, del 2011, ed i trasferimenti
erariali dovuti alle Province della Regione Siciliana e della Regione
Sardegna sono ridotti di ulteriori 415 milioni di euro per gli anni
2012 e successivi".
Anche in questo caso si riscontrano i vizi di legittimita'
costituzionale gia' rilevati per gli artt. 13 e 14, comma 13-bis, del
decreto-legge impugnato: il legislatore statale ha introdotto una
misura che grava solamente sugli enti locali della Regione Sardegna
(oltre che della Regione Sicilia), senza che tale limitazione sia
legata a specifici elementi o parametri obiettivi. Anche i citati
commi 7 e 8 dell'art. 28 del d.l. n. 201 del 2011, dunque, violano
l'art. 3 Cost., sia pel profilo del principio d'eguaglianza sia pel
profilo del principio di ragionevolezza, entrambi ancora in relazione
all'art. 7 dello statuto della Sardegna, che ne tutela l'autonomia
finanziaria.
Autonomia che subisce, come gia' riscontrato per altre
disposizioni censurate, un secondo pregiudizio, in quanto la Regione
Sardegna si vede costretta a surrogarsi al fondo perequativo nel
finanziare i comuni e le province del proprio territorio depauperate
dall'intervento statale.
6.5. Particolarmente lesivo delle attribuzioni della Regione
Sardegna e' anche il comma 11-ter dell'art. 28 del d.l. n. 201 del
2011, come conv. in l. n. 214 del 2011. In esso si prevede che "Al
fine di potenziare il coordinamento della finanza pubblica e' avviata
la ridefinizione delle regole del patto di stabilita' interno". In
particolare, la disposizione in esame viola il principio di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., il principio di leale
collaborazione di cui all'art. 5 e all'intero Titolo V della Parte II
Cost., ed in particolare gli artt. 117 e 119 Cost. e 7 dello Statuto
di autonomia, in quanto, nel prevedere la ridefinizione delle regole
del patto di stabilita' interno, non tiene in alcun modo conto del
principio dell'accordo con le Regioni ed in particolare con quelle a
statuto speciale, atteso che il procedimento di ridefinizione del
patto di stabilita' non risulta minimamente definito in
contraddittorio con le Regioni.
La Corte costituzionale, con la sent. n. 82 del 2007, ha
affermato che "il metodo dell'accordo, introdotto per la prima volta
dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 [..] e riprodotto in tutte le
leggi finanziarie successivamente adottate [...] deve essere
tendenzialmente preferito ad altri, dato che «la necessita' di un
accordo tra lo Stato e gli enti ad autonomia speciale nasce
dall'esigenza di rispettare l'autonomia finanziaria di questi
ultimi»". Da queste affermazioni si deduce inequivocabilmente che la
disposizione in esame, che non contempla alcuna forma di
coinvolgimento delle Regioni, e' certamente violativa del principio
di leale collaborazione e, con esso, dell'autonomia finanziaria della
Regione Sardegna e della competenza concorrente della Regione nella
materia "Coordinamento della finanza pubblica".
La disposizione censurata, inoltre, viola l'art. 3 Cost. anche
perche', senza alcuna ragione giustificatrice, sottrae la revisione
delle regole del patto di stabilita' interno al confronto tra lo
Stato e le autonomie territoriali. Questo profilo implica la
violazione degli artt. 3 e 7 dello Statuto e dell'art. 117 Cost.,
nella misura in cui attribuiscono alla Regione Sardegna la competenza
legislativa esclusiva nella materia "finanza locale", Questa materia,
lo si e' detto nei paragrafi precedenti e lo si deve ora ribadire, e'
di competenza esclusiva della Regione Sardegna, in ragione dell'artt.
3, comma 1, lett. b), e 7 dello statuto speciale, come e' stato
puntualmente riconosciuto da codesta Ecc.ma Corte costituzionale
nella sent. n. 275 del 2007, sopra citata testualmente. Non vi e'
alcun dubbio, infatti, che la declinazione per gli enti locali delle
modalita' di attuazione del patto di stabilita' interno non possa
prescindere da un intervento regolativo delle Regioni e in
particolare delle Regioni ad autonomia speciale. Tanto e' vero che
anche il legislatore statale ormai da alcuni anni prevede un
intervento delle Regioni nella c.d. "territorializzazione" del patto
di stabilita' (si veda l'art. 1, comma 141, della l. n. 220 del 2010,
in cui si dispone che "a decorrere dall'anno 2011, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano possono, per gli enti locali
del proprio territorio, integrare le regole e modificare gli
obiettivi posti dal legislatore nazionale, in relazione alla
diversita' delle situazioni finanziarie esistenti", e, in precedenza,
l'art. 24, comma 14, della l. n. 448 del 2001, o l'art. 29, comma 18,
della 1. n. 289 del 2002).
7. Illegittimita' costituzionale dell'art. 31 del d.l. n. 201 del
2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 3
e 117 Cost. e 3, 4 e 5 dello Statuto speciale della Regione Autonoma
della Sardegna (l. cost. n. 3 del 1948). L'art. 31 reca il titolo il
titolo "Esercizi commerciali" e dispone che:
"1. In materia di esercizi commerciali, all'articolo 3, comma 1,
lettera d-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito,
con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono soppresse
le parole: «in via sperimentale» e dopo le parole "dell'esercizio"
sono soppresse le seguenti «ubicato nei comuni inclusi negli elenchi
regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte».
2. Secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in
materia di concorrenza, liberta' di stabilimento e libera prestazione
di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale
la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio
senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi
altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei
lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni
culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti
alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".
Come si vede, il comma l ha modificato l'art. 3 del d.l. n. 223
del 2006,sancendo il principio per cui le attivita' commerciali e di
somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza limiti o
prescrizioni concernenti il rispetto degli orari di apertura e di
chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche'
quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale
dell'esercizio.
7.1. La disposizione in esame e' lesiva della competenza
normativa residuale della Regione in materia di commercio (ai sensi
dell'art. 117, commi 3 e 4, Cost.), nel cui ambito la medesima
Regione ha peraltro gia' legiferato (legge regionale 18 maggio 2006,
n. 5, recante "Disciplina generale delle attivita' commerciali").
A questo proposito, codesta Ecc.ma Corte costituzionale ha
affermato - la pur lunga citazione e' d'obbligo - che "la disciplina
degli orari degli esercizi commerciali rientra nella materia
«commercio» (sentenze n. 288 del 2010 e n. 350 del 2008), di
competenza esclusiva residuale delle Regioni, ai sensi del quarto
comma dell'art. 117 Cost., e che «il decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del
commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997,
n. 59), [...], si applica, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge
5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3), soltanto alle Regioni che non abbiano emanato
una propria legislazione nella suddetta materia» (sentenze n. 288 e
n. 247 del 2010, ordinanza n. 199 del 2006)" e che "l'ascrivibilita'
della disciplina degli orari degli esercizi commerciali alla materia
«commercio» trova ulteriore conferma, a contrario, nell'art. 3, comma
1, del decreto-legge n. 223 del 2006. Tale ultima norma, infatti,
«nel dettare le regole di tutela della concorrenza nel settore della
distribuzione commerciale - al fine di garantire condizioni di pari
opportunita' ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato,
nonche' di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed
uniforme di condizioni di accessibilita' all'acquisto di prodotti e
servizi sul territorio nazionale - non ricomprende la disciplina
degli orari e della chiusura domenicale o festiva nell'elenco degli
ambiti normativi per i quali espressamente esclude che lo svolgimento
di attivita' commerciali possa incontrare limiti e prescrizioni»
(sentenza n. 288 del 2010)".
7.2. Alla luce di queste limpide statuizioni appare chiara la
lesivita' del primo comma dell'art. 31 del decreto-legge impugnato,
per violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, cost. Ne' il legislatore
statale potrebbe invocare, a fondamento della legittimita'
dell'articolo censurato, l'attribuzione della competenza legislativa
esclusiva nella materia "tutela della concorrenza", di cui all'art.
117, comma 2, lett. e), Cost. Questo perche' la disciplina in esame
non regola l'accesso al commercio e, con esso, la competizione degli
operatori commerciali, non ha eliminato barriere all'ingresso nel
mercato, ne' di tipo soggettivo, correlate ai requisiti personali e
professionali del commerciante, ne' di tipo oggettivo, correlate (ad
esempio) al contingentamento dell'offerta, ne' ha eliminato alcun
onere relativo allo svolgimento dell'attivita' commerciale, ne',
infine, incide sulle intese restrittive della concorrenza tra
imprese, sull'abuso di posizione dominante o, ancora, sulla
fissazione anticoncorrenziale del livello dei prezzi.
In definitiva, la disposizione in esame non puo' in alcun modo
essere sussunta nella disciplina c.d. antitrust, pertanto l'art. 117,
comma 2, lett. e), Cost. non puo' essere invocato a fondamento
normativo della disposizione in esame.
7.3. Violativo delle attribuzioni della Regione Sardegna e' anche
il comma 2 dell'art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, conv. in l. n. 214
del 2011, sopra riportato.
Nel limitare i motivi che giustificano la possibilita' di
introdurre vincoli all'esercizio dell'attivita' commerciale solamente
alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, e dei beni
culturali la disposizione in esame viola gli artt. 3 e 117 Cost.,
nonche' gli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto della Sardegna.
La Regione, in assenza del vincolo posto dal comma 2 dell'art. 31
in esame, potrebbe infatti individuare, pur nel rispetto della
disciplina comunitaria, altri motivi imperativi d'interesse generale
conformi al diritto comunitario cui subordinare l'apertura degli
esercizi commerciali, anche nell'esercizio delle competenze
legislative attribuite dagli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto. E' quindi
irragionevole (e violativo dell'art. 3 Cost. in combinato disposto
con gli altri parametri sopra indicati) precludere alla Regione di
far valere quei motivi.
A questo proposito (e solo a titolo di esempio) e' opportuno
ricordare che la disposizione in esame non tiene conto, al fine di
determinare lo spazio residuo per l'intervento regionale, di
finalita' gia' ritenute meritevoli di tutela dallo Stato con l'art.
6, comma 1, lett. da a) a e), del d.lgs. n. 114 del 1998, recante
"Riforma della disciplina relativa al settore commercio", ed in
particolare la "realizzazione di una rete distributiva che, in
collegamento con le altre funzioni di servizio, assicuri la migliore
produttivita' del sistema e la qualita' dei servizi da rendere al
consumatore"; "l'equilibrato sviluppo delle diverse tipologie
distributive"; la compatibilita' dell'impatto "territoriale e
ambientale degli insediamenti commerciali con particolare riguardo a
fattori quali la mobilita', il traffico e l'inquinamento e
valorizzare la funzione commerciale al fine della riqualificazione
del tessuto urbano, in particolare per quanto riguarda i quartieri
urbani degradati al fine di ricostituire un ambiente idoneo allo
sviluppo del commercio"; la salvaguardia e la riqualificazione dei
"centri storici anche attraverso il mantenimento delle
caratteristiche morfologiche degli insediamenti e il rispetto dei
vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale";
la salvaguardia e la riqualificazione della "rete distributiva nelle
zone di montagna, rurali ed insulari anche attraverso la creazione di
servizi commerciali polifunzionali e al fine di favorire il
mantenimento e la ricostituzione del tessuto commerciale".
Infine, si deve ricordare che l'art. 117, comma 5, Cost. prevede
che "le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle
materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla
formazione degli atti normativi comunitari e provvedono
all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli
atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura
stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalita' di
esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza". Cio'
significa che nella disciplina in esame, al fine di attuare la
normativa comunitaria, lo Stato doveva tenere in debito conto le
competenze della Regione Sardegna.
In conclusione, il secondo comma dell'art. 31 del d.l. n. 201 del
2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, viola gli artt. 3 e117 Cost.,
3, 4 e 5 dello Statuto speciale.
8. Illegittimita' costituzionale dell'art. 48 del d.l. n. 201 del
2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 7
e 8 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna (l.
cost. n. 3 del 1948) e 3, 117 e 119 Cost. L'art. 48 reca il titolo
"Clausola di finalizzazione" e dispone che:
"1. Le maggiori entrate erariali derivanti dal presente decreto
sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere
destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi
di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della
eccezionalita' della situazione economica internazionale. Con
apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da
emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto e da trasmettere alla
Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, sono stabilite le
modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata
contabilizzazione.
1-bis. Ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13,
14 e 28, nonche' quelle recate dal presente articolo, con le norme di
attuazione statutaria di cui all'articolo 27 della legge 5 maggio
2009, n. 42, e successive modificazioni, sono definiti le modalita'
di applicazione e gli effetti finanziari del presente decreto per le
regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di
Bolzano".
La previsione della riserva all'erario delle entrate sopra
indicate e' illegittima, per violazione degli artt. 7 e 8 dello
Statuto speciale della Regione Sardegna e 3, 117 e 119 della
Costituzione per i motivi di seguito specificati.
8.1. In primo luogo, la disposizione censurata acquisisce alla
disponibilita' dello Stato maggiori entrate che dovrebbero essere di
sicura spettanza regionale, quanto meno in notevole misura. In
particolare, e solo a titolo di esempio, lo sono le maggiori entrate
derivanti: i) dall'esclusione e/o rimodulazione del credito d'imposta
per le societa' commerciali (art. 9); ii) dall'emersione di "base
imponibile" per le attivita' soggette a IVA (art. 10, commi da 1 a 7
e da 9 a 13, e art. 11); iii) dall'applicazione di misure
sanzionatone per il recupero di crediti non versati al fisco (art.
10, commi 8, 13-quater, 13-decies, lett. b), e c)); d) nella parte
del gettito non riservato ai Comuni, dall'anticipazione sperimentale
dell'imposta municipale propria (art. 13); iv) nella parte del
gettito non riservato ai Comuni, dall'istituzione del tributo
comunale sui rifiuti e sui servizi (art. 14); v) dalla rimodulazione
delle aliquote sulle accise per gli idrocarburi (art. 15); vi) dalle
disposizioni per la tassazione di auto di lusso, imbarcazioni ed
aerei (art. 16); vii) dall'aumento delle aliquote IVA (art. 18);
viii) dalle disposizioni in materia di imposta di bollo su conti
correnti, titoli, strumenti e prodotti finanziari nonche' sui valori
c.d. "scudati" e sulle attivita' finanziarie e immobiliari detenute
all'estero (art. 19).
In materia valgono, anzitutto, i principi stabiliti dalla sent.
n. 198 del 1999 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale.
In quel caso la Regione Sardegna censurava gli artt. 1, comma 3,
e 7, del d.l. n. 669 del 1996 che, rispettivamente, prevedevano
l'obbligo di un versamento del 20 a titolo di acconto per i "redditi
sottoposti a tassazione separata non soggetti a ritenuta alla fonte"
e la riserva all'erario delle entrate derivanti dall'applicazione
dell'intero cit. d.l. n. 669 del 1996.
L'illegittimita' delle menzionate disposizioni fu esclusa solo
perche' - si disse - "l'art. 1, comma 3, del decreto-legge impugnato
non da' luogo ad entrate aggiuntive per il fisco: esso si limita a
imporre una diversa modalita' di riscossione per una quota
dell'imposta dovuta [...] Non si avranno comunque entrate «nuove»,
diverse e aggiuntive rispetto a quelle derivanti dall'applicazione
della legislazione tributaria previgente, e alle quali lo statuto
prevede la compartecipazione della Regione in quote prefissate. Se
non vi sono nuove entrate derivanti dall'applicazione dell'art. 1,
comma 3, del decreto, l'art. 7 del medesimo, che dispone la riserva
allo Stato delle sole entrate che derivano da esso, cioe' che in esso
trovano la loro fonte, non puo' trovare applicazione agli importi
riscossi a titolo di acconto sull'imposta dovuta in relazione ai
redditi a tassazione separata".
Cio' considerato, codesta Ecc.ma Corte costituzionale affermo' in
maniera cristallina che "una diversa interpretazione porterebbe, del
resto, ad una palese elusione delle previsioni degli statuti
speciali, che prevedono, come nel caso della Regione Sardegna, la
partecipazione delle Regioni al gettito di determinate imposte. Se
bastasse, infatti, la modifica delle modalita' e quindi del tempo
della riscossione, senza alcun aumento del gettito complessivo, per
consentire l'avocazione allo Stato di quote del gettito medesimo, si
verificherebbe [l'effetto] di avocare allo Stato l'intero importo di
un gettito tributario (corrispondente agli acconti versati) in
precedenza ripartito fra lo Stato stesso e la Regione. All'aumento
delle entrate a favore dello Stato, derivante da tale avocazione,
farebbe riscontro una diminuzione del gettito a favore della Regione,
la quale verrebbe a partecipare al gettito della sola quota di
imposte riscossa, a conguaglio, sulla base della liquidazione
effettuata dagli uffici, e non piu', come per il passato, dell'intero
importo di esse. Cio' [...] si tradurrebbe in una modifica
surrettizia dell'ordinamento finanziario della Regione, garantito sul
piano costituzionale dalle disposizioni dello statuto, e
modificabile, bensi', con legge ordinaria, ma solo previa
consultazione della Regione stessa (art. 54 stat. spec. per la
Regione Sardegna)".
Ora, non e' dubbio che almeno le entrate derivanti dal contrasto
all'evasione non possano essere acquisite al patrimonio dello Stato,
se non si vogliono violare i principi stabiliti dalla pronuncia ora
riportata. Tali entrate, infatti, non derivano da alcuna
modificazione normativa della disciplina dei singoli tributi, ma
semplicemente dalla messa in opera dei meccanismi di lotta alla
sottrazione al dovere di solidarieta' fiscale. La Regione, pertanto,
subirebbe, paradossalmente, la diminuzione di entrate cui avrebbe
avuto diritto qualora le relative somme fossero state regolarmente
versate. Acquisire tali entrate allo Stato, in definitiva,
significherebbe ridurre le entrate regionali, proprio come la sent.
n. 198 del 1999 aveva escluso si potesse fare.
Nemmeno la previsione di riserva allo Stato delle altre entrate,
pero', nel caso di specie, si sottrae a censura. Si deve considerare,
infatti, che, per le ragioni gia' esposte in precedenza, l'attuale
regime delle risorse della Regione Sardegna e' riconosciuto come
insufficiente. E' pertanto illegittimo, per violazione degli artt. 7
e 8 dello Statuto, e 117 e 119 della Costituzione, riservare allo
Stato entrate che, invece, debbono essere destinate almeno alla
riduzione di tali insufficienze, constatate addirittura da una norma
statutaria (l'art. 8). Ed e' specificamente irragionevole (percio'
violativo dell'art. 3 Cost., in combinato disposto con i
summenzionati parametri) disporre di risorse pubbliche in modo tale
da distrarle alla destinazione che sarebbe stata la piu' logica e
coerente, onde impiegarle al generico fine di raggiungere generici
obiettivi di finanza pubblica.
8.2. Per le ragioni anzidette, l'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011
viola l'art. 8 dello Statuto, che, come indicato, attribuisce alla
Regione una partecipazione maggioritaria o addirittura totalitaria
alle entrate che lo Stato, ora, vorrebbe riservarsi. E' parimenti
violato, pero', anche l'art. 7 dello Statuto, che garantisce alla
Regione un'adeguata autonomia finanziaria, e sono parimenti violati
gli artt. 117 e 119 della Costituzione, che confermano la tutela
della particolare autonomia economico-finanziaria della Regione e
attribuiscono alla Sardegna la competenza concorrente nella materia
del coordinamento della finanza pubblica. E' altresi' violato, in
combinato disposto con i parametri ora invocati, l'art. 3 Cost., per
l'evidente irragionevolezza della scelta di acquisire allo Stato
risorse che per definizione (in base, cioe', alle stesse previsioni
statutarie e alla logica, visto che le entrate cui esse si
riferiscono erano state destinate a coprire il fabbisogno regionale)
sono funzionali al soddisfacimento di esigenze che statali non sono,
tanto piu' che e' parimenti irragionevole perseguire l'intento di
raggiungere obiettivi di finanza pubblica dello Stato sacrificando
quelli delle Regioni, quasi che l'equilibrio finanziario non fosse
affare dell'intera Repubblica, ai sensi dell'art. 114 Cost.
8.3. Ulteriore motivo di illegittimita', di nuovo per violazione
dei parametri gia' invocati, sta nel fatto che la norma impugnata
stabilisce un periodo di tempo lunghissimo (cinque anni!) e non
prevede uno scopo specifico al quale destinare il sacrificio imposto
alla Regione, ma si limita ad invocare generiche esigenze di finanza
pubblica (previsione, questa, assolutamente insufficiente quanto
ovvia, essendo per definizione ogni forma di imposizione fiscale tesa
ad attuare obiettivi e finalita' di finanza pubblica). Se ne evince
l'assoluta irragionevolezza della previsione, che non tiene
minimamente conto delle esigenze regionali e opera come se esse -
assieme alle norme di rango costituzionale che, garantendo
l'autonomia regionale, le tutelano - non esistessero.
8.4. Da ultimo, si deve rilevare che i vizi di legittimita'
costituzionale contestati all'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011 non
sono esclusi dalla previsione di cui al successivo comma 1-bis, in
cui si prevede che "Ferme restando le disposizioni previste dagli
articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle recate dal presente articolo,
con le norme di attuazione statutaria di cui all'articolo 27 della
legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, sono definiti
le modalita' di applicazione e gli effetti finanziari del presente
decreto per le regioni a statuto speciale e per le province autonome
di Trento e di Bolzano". Tale disposizione, infatti, non e' idonea a
limitare l'acquisizione allo Stato della quota di compartecipazione
statutariamente prevista per la Regione Sardegna, in quanto rinvia a
future determinazioni solo "le modalita' di applicazione e gli
effetti finanziari" del decreto legge censurato, senza prevedere che
la Regione possa fruire della quota di compartecipazione che le
spetta in ragione delle norme statutarie.
P.Q.M.
Chiede che, in accoglimento del presente ricorso, codesta ecc.ma
Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 13, 14, comma 13-bis, 1°, 2° e 3°
periodo, 16, commi da 2 a 15-ter, 23, commi da 14 a 22, 28, commi 3,
7, 8 e 11-ter, 31 e 48, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
pubblicato in G.U. n. alla Gazz. Uff., 6 dicembre 2011, n. 284,
Suppl. ordinario n. 251, convertito in legge 22 dicembre 2011, n.
214, pubblicata in G.U. 27 dicembre 2011, n. 300, Suppl. Ordinario n.
276.
Cagliari-Roma, 22 febbraio 2012
Avv. Ledda - Avv. Prof. Luciani