Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in

cancelleria il 2 marzo 2012 (della Regione autonoma della Sardegna).

 

 

(GU n. 16 del 18.04.2012 ) 

 

 

 

    Ricorso  della  regione  autonoma  della  Sardegna  (cod.   fisc.

…),  in  persona  del  Presidente  pro-tempore  Dott.   Ugo

Cappellacci, rappresentata e difesa, giusta  procura  a  margine  del

presente atto e in forza della deliberazione della  Giunta  regionale

della Regione Autonoma della Sardegna n. 7/1 del  16  febbraio  2012,

dagli Avv.ti Tiziana Ledda (cod. fisc. …, PEC -  Posta Elettronica  Certificata  …)   e   Prof. Massimo Luciani (cod. fisc. …, PEC - Posta Elettronica

Certificata …), ed  elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo

 in Roma, Via Bocca di Leone, n. 78;

    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in  persona  del

Presidente pro  tempore,  per  la  dichiarazione  dell'illegittimita'

costituzionale degli articoli 13, 14,  comma  13-bis,  1°,  2°  e  3°

periodo, 16, commi da 2 a 15-bis, 23, commi da 14 a 22, 28, commi  3,

7, 8, 9, 10 e 11-ter, 31 e 48, del decreto-legge 6 dicembre 2011,  n.

201, pubblicato in G.U. n. alla Gazz. Uff., 6 dicembre 2011, n.  284,

Suppl. ordinario n. 251, convertito in legge  22  dicembre  2011,  n.

214, pubblicata in G.U. 27 dicembre 2011, n. 300, Suppl. Ordinario n.

276.

 

                              F a t t o

 

    1. Il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in  legge

22 dicembre 2011, n. 214, e  recante  "Disposizioni  urgenti  per  la

crescita, l'equita' e  il  consolidamento  dei  conti  pubblici",  e'

intervenuto in una vasta pluralita' di materie, che - per citare solo

alcuni esempi - vanno dagli aiuti alla crescita  economica  (art.  1)

alle detrazioni per gli  interventi  di  ristrutturazione  (art.  4);

dalle misure per la stabilizzazione del sistema creditizio (art. 8) a

quelle misure per il contrasto dell'evasione (artt. 10  sgg.);  dalle

misure per la riduzione della spesa (artt. 21 sgg.) a quelle  per  la

riduzione del debito pubblico (artt. 25 sgg.); dalle  misure  per  lo

sviluppo industriale  (artt.  38  sgg.)  a  quelle  per  lo  sviluppo

infrastrutturale (artt. 41 sgg.).

    E' agevole constatare che alla realizzazione del vasto  programma

delineato  da  tale  decreto-legge  sono  state  chiamate  anche   le

autonomie territoriali. Non e' giustificabile, pero', che per  alcuni

significativi profili il concorso di tali autonomie  (in  particolare

di quelle regionali,  e  ancor  piu'  in  particolare  della  Regione

Sardegna) sia stato strutturato in forme e con  contenuti  del  tutto

illegittimi.

    2. Specificamente illegittimi,  e  violativi  delle  attribuzioni

della ricorrente, sono,  nelle  parti  indicate  in  epigrafe  e  che

appresso meglio si  identificheranno,  gli  articoli  13,  14,  comma

13-bis, 16, commi da 2 a 15-bis, 23, commi da 14 a 22, 28,  commi  3,

7, 8, 9,  10  e  11-ter,  31  e  48.  Essi  debbono  essere  pertanto

dichiarati costituzionalmente illegittimi per i seguenti motivi di

 

                            D i r i t t o

 

    1. Preliminarmente, e' opportuno ricordare  che  le  disposizioni

oggi impugnate irrompono in un  contesto  normativo  nel  quale,  per

quanto specificamente riguarda la  Regione  Autonoma  della  Sardegna

(hinc inde: Regione o Sardegna), campeggia l'art. 1, comma 834, della

legge 27 dicembre 2006,  n.  296,  che  ha  modificato  alcune  delle

disposizioni piu' qualificanti del Titolo III dello  Statuto,  recate

dall'art. 8, in materia di fonti delle entrate regionali.

    1.1. In base alle disposizioni cosi' novellate, le entrate  della

Regione Sardegna derivano "a) dai  sette  decimi  del  gettito  delle

imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito delle persone

giuridiche riscosse nel territorio della regione; b) dai nove  decimi

del gettito delle imposte sul bollo,  di  registro,  ipotecarie,  sul

consumo  dell'energia  elettrica  e  delle  tasse  sulle  concessioni

governative percette nel territorio  della  regione;  c)  dai  cinque

decimi delle imposte  sulle  successioni  e  donazioni  riscosse  nel

territorio  della  regione;  d)  dai  nove  decimi  dell'imposta   di

fabbricazione su tutti i prodotti che ne siano gravati, percetta  nel

territorio della regione; e) dai  nove  decimi  della  quota  fiscale

dell'imposta erariale di consumo relativa ai  prodotti  dei  monopoli

dei tabacchi consumati nella regione; f) dai nove decimi del  gettito

dell'imposta sul valore aggiunto generata sul territorio regionale da

determinare sulla base dei consumi regionali delle famiglie  rilevati

annualmente  dall'ISTAT;   g)   dai   canoni   per   le   concessioni

idroelettriche; h) da imposte e tasse sul turismo e da altri  tributi

propri che la regione ha facolta' di istituire con legge  in  armonia

con i principi del sistema tributario dello  Stato;  i)  dai  redditi

derivanti dal  proprio  patrimonio  e  dal  proprio  demanio;  l)  da

contributi straordinari dello Stato per particolari  piani  di  opere

pubbliche e di trasformazione fondiaria; m) dai sette decimi di tutte

le entrate erariali, dirette o  indirette,  comunque  denominate,  ad

eccezione di quelle di spettanza di altri enti pubblici".

    L'art.  8  dello  Statuto,  nella  sua  formulazione  originaria,

disponeva invece che le entrate  della  Regione  fossero  costituite:

"dai nove decimi del gettito delle imposte erariali sui terreni e sui

fabbricati situati nel territorio della Regione  e  dell'imposta  sui

redditi agrari dei terreni situati nello stesso territorio; dai  nove

decimi dell'imposta di ricchezza mobile riscossa nel territorio della

Regione; dai nove decimi del gettito  delle  tasse  di  bollo,  sulla

manomorta,  in  surrogazione  del  registro  e   del   bollo,   sulle

concessioni governative,  dell'imposta  ipotecaria,  dell'imposta  di

fabbricazione  del  gas  e  dell'energia  elettrica,   percette   nel

territorio  della  Regione;  dai  nove  decimi  della  quota  fiscale

dell'imposta erariale di consumo relativa ai  prodotti  dei  monopoli

del tabacchi consumati  nella  Regione;  da  una  quota  dell'imposta

generale sull'entrata  di  competenza  dello  Stato,  riscossa  nella

Regione, da determinarsi preventivamente per ciascun anno finanziario

d'accordo fra  lo  Stato  e  la  Regione,  in  relazione  alle  spese

necessarie ad adempiere le funzioni normali della Regione; dai canoni

per le concessioni idroelettriche; dai contributi di miglioria  ed  a

spese per opere determinate, da imposte e  tasse  sul  turismo  e  da

altri tributi propri, che la Regione ha  facolta'  di  istituire  con

legge, in armonia coi principi del sistema tributario dello Stato; da

redditi patrimoniali; da  contributi  straordinari  dello  Stato  per

particolari piani di opere pubbliche e di trasformazioni fondiarie".

    Le misure previste dalle nuove disposizioni statutarie non  hanno

avuto ancora piena e corretta esecuzione  per  la  colpevole  inerzia

dello Stato, inerzia  che  la  Regione  Sardegna  ha  gia'  censurato

promuovendo innanzi codesta Ecc.ma  Corte  costituzionale  i  giudizi

iscritti al n. 8 Reg. Confl. Enti 2011 e ai nn. 96 e  160  Reg.  Ric.

2011. Proprio quelle previsioni, pero', sono di  centrale  importanza

anche nella presente controversia, in una con gli altri parametri che

verranno appresso richiamati.

    1.2. La riforma dell'art. 8 dello Statuto si e'  resa  necessaria

per permettere alla Regione di far fronte all'evoluzione  complessiva

della realta'  economico-finanziaria  territoriale  e  nazionale.  Di

questo e' testimonianza il carteggio intervenuto  tra  il  Ragioniere

Generale dello  Stato  e  la  medesima  Regione  tra  l'agosto  e  il

settembre del  2005,  relativamente  alla  misura  delle  entrate  di

maggiore rilevanza per le  finanze  regionali:  la  compartecipazione

all'imposta sul reddito e la compartecipazione all'I.V.A.

    Con nota del 3 agosto  2005,  prot.  n.  0102482,  il  Ragioniere

Generale rappresentava di aver presentato, nell'ambito del precedente

sistema di compartecipazione al gettito d'imposta, che prevedeva  una

determinazione annuale in merito,  una  proposta  di  quantificazione

delle quote di compartecipazione I.V.A. "nell'attesa che  si  proceda

alla  revisione  dell'ordinamento   finanziario   che   consenta   di

trasformare la compartecipazione  IVA  da  quota  variabile  a  quota

fissa", e che tale proposta era stata predisposta "abbandonando [...]

il criterio incrementale del tasso di inflazione che, comportando nel

tempo la  progressiva  svalutazione  in  termini  reali  del  cespite

regionale, ha di fatto svilito  lo  strumento  di  garanzia  previsto

dallo Statuto, che mirava  a  consentire  il  tempestivo  adeguamento

delle entrate regionali alle mutevoli necessita' di  spesa  derivanti

dall'espletamento delle funzioni normali della Regione". Con nota del

2 settembre 2005, prot. n. 0112371,  ancora  il  Ragioniere  Generale

rappresentava che "il gettito  IRPEF  regionale  [...]  registra  una

crescita, nell'arco temporale considerato [1991-2003], pari all'1,9,

avallando, pertanto, la tesi  della  Regione  circa  l'anomalo  trend

dell'IRPEF regionale rispetto a quello nazionale".

    E'  proprio  in   considerazione   della   palese   insufficienza

(esplicitamente riconosciuta  dallo  Stato)  del  quadro  finanziario

delle entrate regionali che si e' addivenuti  alla  seconda  modifica

dell'art. 8 dello Statuto, intervenuta, come si e'  gia'  detto,  nel

2006, con la quale - fra l'altro  -  si  e'  aggiunto  il  canale  di

finanziamento relativo ai "sette decimi di tutte le entrate erariali,

dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione di  quelle  di

spettanza di altri enti pubblici" e - per l'appunto in coerenza con i

rilievi sopra  riportati  -  si  e'  introdotta  la  quota  fissa  di

compartecipazione all'I.V.A. maturata  nella  Regione  Sardegna  (v.,

rispettivamente,  lett.  m)  e  f)  dell'art.  8,  comma   1,   nella

formulazione vigente).

    Risulta dunque per tabulas, sia  dalla  posizione  assunta  dallo

Stato nell'interlocuzione con la Regione,  sia  (e  soprattutto)  dal

contenuto normativo della novella statutaria del 2006, che il  regime

delle entrate regionali e' stato modificato al fine  permettere  alla

Sardegna  di  assolvere   ai   propri   compiti   istituzionali,   in

considerazione delle condizioni fattuali  e  normative  maturate  nel

tempo.

    Come la Regione Sardegna ha lamentato nei gia' menzionati ricorsi

iscritti al n. 8 del Reg. Confl. Enti 2011 e al n. 96 Reg. Ric. 2011,

lo Stato, dopo aver riconosciuto l'inadeguatezza del vecchio  regime,

si e' illegittimamente sottratto al procedimento necessario per  dare

esecuzione  al  nuovo,  arrecando  un  nuovo   vulnus   all'autonomia

regionale.

    1.3. Ancora in via preliminare, e'  opportuno  precisare  che  la

violazione dell'art. 8 dello Statuto di autonomia puo' e deve  essere

censurata (anche in questa sede, come gia' nei menzionati ricorsi nn.

8 Reg. Confl. Enti 2011 e nn. 96 e 169 Reg. Ric. 2011) sebbene l'art.

8 di tale Statuto sia stato modificato con legge ordinaria, ai  sensi

del successivo art. 54.

    La  qualita'   di   parametri   dei   giudizi   di   legittimita'

costituzionale,  invero,  deve   essere   riconosciuta   anche   alle

disposizioni del Titolo III dello  Statuto  speciale  della  Sardegna

che, ai sensi dell'art. 54, comma 5, dello Statuto medesimo,  possono

essere modificate con legge ordinaria, previo parere  della  Regione.

Tali disposizioni, infatti, sebbene sottoposte a quello che e'  stato

definito un  processo  di  "decostituzionalizzazione"  (come  codesta

Ecc.ma Corte ha affermato nella sent. n. 70 del 1987),  costituiscono

pur sempre precetti che il legislatore statale  deve  rispettare,  in

quanto il procedimento di modificazione  della  norma  statutaria  e'

comunque "assistito da una garanzia  del  tutto  peculiare  a  favore

della Regione sarda", sicche' la legge statale non puo'  derogare  la

norma  in  questione,  ma  puo'  solo  modificarla  con  lo  speciale

procedimento di cui all'art. 54 dello Statuto (cosi' ancora  la  cit.

sent. n. 70 del 1987, cui adde le pur meno dirette affermazioni della

sent. n. 215 del 1996).

    1.4. Da  ultimo,  al  fine  di  agevolare  lo  svolgimento  delle

ulteriori argomentazioni senza dover tediare codesto Ecc.mo  Collegio

con inutili ripetizioni, valga di qui in avanti la  precisazione  che

gli  articoli  della  Costituzione   che   riconoscono   attribuzioni

costituzionali  alle  Regioni  ordinarie  sono  richiamati  ai  sensi

dell'art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001, che estende alle Regioni a

statuto speciale le disposizioni di maggior favore  previste  per  le

Regioni ordinarie nelle more della revisione dei loro statuti.

    2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 13 del d.l. n. 201 del

2011, come conv. in 1. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 3,

7 e 8 dello Statuto speciale della Regione  Autonoma  della  Sardegna

(l. cost. n. 3 del 1948) e degli artt. 117 e 119 della  Costituzione.

Per comodita' di' lettura del presente gravame anzitutto  si  riporta

(e lo si fara' anche per gli altri articoli censurati) il testo delle

disposizioni impugnate.

    L'art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, cosi' come conv. in 1. n. 214

del 2011, reca il  titolo  "Anticipazione  sperimentale  dell'imposta

municipale propria" e dispone che:

    "1. L'istituzione dell'imposta municipale propria e'  anticipata,

in via sperimentale, a decorrere dall'anno 2012, ed e'  applicata  in

tutti i comuni del territorio nazionale fino al  2014  in  base  agli

articoli 8 e 9 del decreto legislativo  14  marzo  2011,  n.  23,  in

quanto   compatibili,   ed    alle    disposizioni    che    seguono.

Conseguentemente  l'applicazione  a  regime  dell'imposta  municipale

propria e' fissata al 2015.

    2. L'imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di

immobili di cui all'articolo 2 del decreto  legislativo  30  dicembre

1992, n. 504, ivi comprese l'abitazione principale  e  le  pertinenze

della  stessa.  Per  abitazione  principale  si  intende  l'immobile,

iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica  unita'

immobiliare, nel quale il possessore dimora  abitualmente  e  risiede

anagraficamente.  Per  pertinenze   dell'abitazione   principale   si

intendono  esclusivamente   quelle   classificate   nelle   categorie

catastali  C/2,  C/6  e  C/7,  nella  misura  massima  di   un'unita'

pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate,  anche

se iscritte in catasto unitamente all'unita' ad uso abitativo.

    3.  La  base  imponibile  dell'imposta  municipale   propria   e'

costituita   dal   valore   dell'immobile   determinato   ai    sensi

dell'articolo 5, commi 1,  3,  5  e  6  del  decreto  legislativo  30

dicembre 1992, n. 504, e dei commi 4 e 5 del presente articolo.

    4. Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore e'  costituito

da quello ottenuto applicando all'ammontare delle rendite  risultanti

in  catasto,  vigenti  al  1°  gennaio  dell'anno   di   imposizione,

rivalutate del 5 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 48,  della

legge 23 dicembre 1996, n. 662, i seguenti moltiplicatori:

        a) 160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e

nelle categorie catastali  C/2,  C/6  e  C/7,  con  esclusione  della

categoria catastale A/10;

        b) 140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e

nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5;

        b-bis) 80  per  i  fabbricati  classificati  nella  categoria

catastale D/5;

        c) 80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale

A/10;

        d) 60 per i fabbricati classificati nel gruppo  catastale  D,

ad eccezione dei fabbricati classificati  nella  categoria  catastale

D/5; tale moltiplicatore e' elevato a 65 a decorrere dal 1 °  gennaio

2013;

        e) 55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale

C/1.

    5. Per i terreni agricoli, il  valore  e'  costituito  da  quello

ottenuto applicando all'ammontare del reddito  dominicale  risultante

in  catasto,  vigente  al  1°  gennaio  dell'anno   di   imposizione,

rivalutato del 25 per cento ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della

legge 23 dicembre 1996, n. 662, un moltiplicatore pari a 130.  Per  i

coltivatori  diretti  e  gli  imprenditori   agricoli   professionali

iscritti nella previdenza agricola il moltiplicatore e' pari a 110.

    6. L'aliquota di base dell'imposta e' pari allo 0,76 per cento. I

comuni con deliberazione del consiglio comunale,  adottata  ai  sensi

dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre  1997,  n.  446,

possono modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota  di  base

sino a 0,3 punti percentuali.

    7. L'aliquota e' ridotta allo  0,4  per  cento  per  l'abitazione

principale e per le relative pertinenze. I comuni possono modificare,

in aumento o in diminuzione, la suddetta aliquota sino  a  0,2  punti

percentuali.

    8. L'aliquota e' ridotta allo 0,2  per  cento  per  i  fabbricati

rurali ad uso strumentale di cui all'articolo  9,  comma  3-bis,  del

decreto-legge   30   dicembre   1993,   n.   557,   convertito,   con

modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133. I comuni possono

ridurre la suddetta aliquota fino allo 0,1 per cento.

    9. I comuni possono ridurre l'aliquota di base fino allo 0,4  per

cento nel caso di immobili non produttivi  di  reddito  fondiario  ai

sensi dell'articolo  43  del  testo  unico  di  cui  al  decreto  del

Presidente della Repubblica n. 917  del  1986,  ovvero  nel  caso  di

immobili posseduti dai  soggetti  passivi  dell'imposta  sul  reddito

delle societa', ovvero nel caso di immobili locali.

    10. Dall'imposta  dovuta  per  l'unita'  immobiliare  adibita  ad

abitazione  principale  del  soggetto  passivo  e  per  le   relative

pertinenze, si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, euro

200 rapportati al periodo dell'anno durante il quale si protrae  tale

destinazione;  se  l'unita'  immobiliare  e'  adibita  ad  abitazione

principale da piu' soggetti passivi, la detrazione spetta a  ciascuno

di essi proporzionalmente alla quota per  la  quale  la  destinazione

medesima si verifica.  Per  gli  anni  2012  e  2013,  la  detrazione

prevista dal primo periodo e'  maggiorata  di  50  euro  per  ciascun

figlio di eta' non  superiore  a  ventisei  anni,  purche'  dimorante

abitualmente  e  residente  anagraficamente  nell'unita'  immobiliare

adibita  ad  abitazione  principale.  L'importo   complessivo   della

maggiorazione, al netto della detrazione di base, non  puo'  superare

l'importo massimo di euro 400. I comuni possono disporre l'elevazione

dell'importo  della  detrazione,  fino  a  concorrenza   dell'imposta

dovuta, nel rispetto dell'equilibrio di  bilancio.  In  tal  caso  il

comune  che  ha  adottato  detta  deliberazione  non  puo'  stabilire

un'aliquota superiore a quella ordinaria per  le  unita'  immobiliari

tenute a disposizione. La suddetta detrazione si applica alle  unita'

immobiliari di cui all'articolo 8, comma 4, del  decreto  legislativo

30  dicembre  1992,  n.  504.  L'aliquota  ridotta  per  l'abitazione

principale e per le relative pertinenze e la detrazione si  applicano

anche alle fattispecie  di  cui  all'articolo  6,  comma  3-bis,  del

decreto legislativo 30 dicembre 1992,  n.  504  e  i  comuni  possono

prevedere  che  queste  si  applichino  anche  ai  soggetti  di   cui

all'articolo 3, comma 56, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

    11. E' riservata allo Stato la quota di imposta pari  alla  meta'

dell'importo calcolato applicando alla base imponibile di  tutti  gli

immobili, ad eccezione dell'abitazione principale  e  delle  relative

pertinenze di cui al comma 7, nonche' dei fabbricati  rurali  ad  uso

strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di base di cui al comma  6,

primo periodo. La quota di imposta risultante e' versata  allo  Stato

contestualmente  all'imposta  municipale   propria.   Le   detrazioni

previste dal presente articolo, nonche' le detrazioni e le  riduzioni

di aliquota deliberate dai comuni non  si  applicano  alla  quota  di

imposta riservata allo  Stato  di  cui  al  periodo  precedente.  Per

l'accertamento,  la  riscossione,  i  rimborsi,  le   sanzioni,   gli

interessi ed il contenzioso si applicano le disposizioni  vigenti  in

materia di imposta municipale propria. Le attivita' di accertamento e

riscossione dell'imposta erariale sono svolte  dal  comune  al  quale

spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette

attivita' a titolo di imposta, interessi e sanzioni.

    12. Il versamento dell'imposta, in  deroga  all'articolo  52  del

decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e'  effettuato  secondo

le disposizioni di cui all'articolo  17  del  decreto  legislativo  9

luglio 1997, n. 241, con le modalita' stabilite con provvedimento del

direttore dell'Agenzia delle entrate.

    13. Restano ferme le disposizioni dell'articolo 9 e dell'articolo

14, commi 1 e 6 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.

    All'articolo 14, comma 9, del decreto legislativo 14 marzo  2011,

n. 23, le parole:  «dal  1°  gennaio  2014»,  sono  sostituite  dalle

seguenti: «dal 1° gennaio 2012». Al  comma  4  dell'articolo  14  del

decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  504,  ai  commi  3  degli

articoli 23, 53 e 76 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507

e al comma 31 dell'articolo 3 della legge 28 dicembre 1995,  n.  549,

le parole «ad un quarto» sono sostituite dalle seguenti «alla  misura

stabilita dagli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18  dicembre

1997, n. 472». Ai fini del quarto comma dell'articolo 2752 del codice

civile il riferimento alla «legge per la finanza locale»  si  intende

effettuato a tutte disposizioni che disciplinano  i  singoli  tributi

comunali e provinciali. La riduzione dei  trasferimenti  erariali  di

cui ai commi 39 e 46 dell'articolo  2  del  decreto-legge  3  ottobre

2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24  novembre

2006, n. 286, e successive modificazioni, e' consolidata, a decorrere

dall'anno 2011, all'importo risultante dalle certificazioni  di'  cui

al decreto 7 aprile 2010 del Ministero dell'economia e delle  finanze

emanato, di concerto con il  Ministero  dell'interno,  in  attuazione

dell'articolo 2, comma 24, della legge 23 dicembre 2009, n. 191.

    14. Sono abrogate, a decorrere dal 1° gennaio 2012,  le  seguenti

disposizioni:

        a) l'articolo 1 del decreto-legge  27  maggio  2008,  n.  93,

convertito con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126;

        b) il comma 3, dell'articolo 58 e le lettere d), e) ed h) del

comma 1, dell'articolo 59 del decreto legislativo 15  dicembre  1997,

n. 446;

        c) l'ultimo periodo del comma 5 dell'articolo 8 e il comma  4

dell'articolo 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23;

        d) il comma  1-bis  dell'articolo  23  del  decreto-legge  30

dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge  27

febbraio 2009, n. 14;

        d-bis) i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater  dell'articolo  7  del

decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito,  con  modificazioni,

dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.

    14-bis.  Le  domande  di  variazione  della  categoria  catastale

presentate,  ai  sensi  del   comma   2-bis   dell'articolo   7   del

decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito,  con  modificazioni,

dalla legge 12 luglio 2011,  n.  106,  anche  dopo  la  scadenza  dei

termini originariamente posti e fino alla data di entrata  in  vigore

della legge  di  conversione  del  presente  decreto,  producono  gli

effetti previsti in relazione  al  riconoscimento  del  requisito  di

ruralita', fermo restando il classamento  originario  degli  immobili

rurali ad uso abitativo. Con decreto  del  Ministro  dell'economia  e

delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata

in vigore della legge  di  conversione  del  presente  decreto,  sono

stabilite le modalita' per l'inserimento negli atti  catastali  della

sussistenza del requisito di ruralita', fermo restando il classamento

originario degli immobili rurali ad uso abitativo.

    14-ter. I fabbricati rurali iscritti nel catasto dei terreni, con

esclusione di quelli che non costituiscono oggetto di inventariazione

ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del  decreto  del  Ministro  delle

finanze 2 gennaio 1998, n. 28, devono essere  dichiarati  al  catasto

edilizio urbano entro il 30 novembre 2012, con le modalita' stabilite

dal decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701.

    14-quater. Nelle more della presentazione della dichiarazione  di

aggiornamento catastale di cui al comma 14-ter, l'imposta  municipale

propria e' corrisposta, a titolo di acconto e salvo conguaglio, sulla

base della rendita delle unita' similari gia' iscritte in catasto. Il

conguaglio  dell'imposta  e'  determinato  dai   comuni   a   seguito

dell'attribuzione della rendita catastale con le modalita' di cui  al

decreto del Ministro delle finanze 19 aprile 1994, n. 701. In caso di

inottemperanza da parte  del  soggetto  obbligato,  si  applicano  le

disposizioni di  cui  all'articolo  1,  comma  336,  della  legge  30

dicembre 2004, n. 311, salva l'applicazione delle  sanzioni  previste

per la violazione degli articoli 20 e 28 del regio  decreto-legge  13

aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  11

agosto 1939, n. 1249, e successive modificazioni.

    15. A decorrere dall'anno d'imposta 2012, tutte le  deliberazioni

regolamentari e tariffarie relative  alle  entrate  tributarie  degli

enti locali devono essere inviate al Ministero dell'economia e  delle

finanze,  Dipartimento  delle  finanze,  entro  il  termine  di   cui

all'articolo 52, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997,  e

comunque entro trenta giorni  dalla  data  di  scadenza  del  termine

previsto per l'approvazione del bilancio di  previsione.  Il  mancato

invio delle predette deliberazioni nei  termini  previsti  dal  primo

periodo  e'  sanzionato,  previa  diffida  da  parte  del   Ministero

dell'interno,  con  il  blocco,  sino  all'adempimento   dell'obbligo

dell'invio,  delle  risorse  a  qualsiasi  titolo  dovute  agli  enti

inadempienti.  Con  decreto  del  Ministero  dell'economia  e   delle

finanze, di concerto con il Ministero  dell'interno,  di  natura  non

regolamentare  sono  stabilite  le  modalita'  di  attuazione,  anche

graduale, delle disposizioni di cui ai primi due periodi del presente

comma. Il Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  pubblica,  sul

proprio sito informatico, le deliberazioni inviate dai  comuni.  Tale

pubblicazione sostituisce l'avviso  in  Gazzetta  Ufficiale  previsto

dall'articolo 52, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo  n.

446 del 1997.

    16.  All'articolo  1,  comma  4,  ultimo  periodo   del   decreto

legislativo 28 settembre 1998, n. 360, le parole «31  dicembre»  sono

sostituite dalle parole: «20 dicembre». All'articolo 1, comma 11, del

decreto-legge 13 agosto 2011,  n.  138,  convertito  dalla  legge  14

settembre 2011,  n.  148,  le  parole  da  «differenziate»  a  «legge

statale» sono sostituite dalle seguenti: «utilizzando  esclusivamente

gli stessi scaglioni di reddito stabiliti, ai fini  dell'imposta  sul

reddito delle persone fisiche, dalla legge statale, nel rispetto  del

principio  di  progressivita'».  L'Agenzia  delle  Entrate   provvede

all'erogazione dei rimborsi dell'addizionale comunale all'imposta sul

reddito delle persone fisiche gia' richiesti con dichiarazioni o  con

istanze presentate entro la data di entrata in  vigore  del  presente

decreto, senza far  valere  l'eventuale  prescrizione  decennale  del

diritto dei contribuenti.

    17. Il fondo sperimentale di riequilibrio,  come  determinato  ai

sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, e

il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 13  del

medesimo decreto legislativo n.  23  del  2011,  ed  i  trasferimenti

erariali dovuti ai comuni della Regione  Siciliana  e  della  Regione

Sardegna variano in ragione delle differenze del gettito  stimato  ad

aliquota di base derivanti dalle  disposizioni  di  cui  al  presente

articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata  del

bilancia dello Stato le somme  residue.  Con  le  procedure  previste

dall'articolo 27 della  legge  5  maggio  2009,  n.  42,  le  regioni

Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le  Province  autonome

di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero  al  bilancio  statale

del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio

territorio. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo

stesso articolo 27, a valere  sulle  quote  di  compartecipazione  ai

tributi erariali, e' accantonato un importo pari al  maggior  gettito

stimato di cui al precedente  periodo.  L'importo  complessivo  della

riduzione del recupero di cui al presente comma e'  pari  per  l'anno

2012 a 1.627 milioni di euro, per l'anno 2013 a  1.762,4  milioni  di

euro e per l'anno 2014 a 2.162 milioni di euro.

    18. All'articolo 2, comma 3, del  decreto  legislativo  14  marzo

2011, n. 23 dopo le parole: «gettito di cui ai commi  1  e  2»,  sono

aggiunte le seguenti: «nonche', per gli anni 2012, 2013 e 2014, dalla

compartecipazione di cui al comma 4».

    19. Per gli anni 2012, 2013 e 2014, non trovano  applicazione  le

disposizioni recate dall'ultimo periodo del comma 4 dell'articolo  2,

nonche' dal comma 10 dell'articolo  14  del  decreto  legislativo  14

marzo 2011, n. 23.

    19-bis. Per gli anni 2012, 2013 e 2014, il decreto del Presidente

del Consiglio dei Ministri  di  cui  all'articolo  2,  comma  4,  del

decreto  legislativo  14  marzo  2011,  n.  23,   e'   esclusivamente

finalizzato a fissare la percentuale di compartecipazione al  gettito

dell'imposta sul valore aggiunto, nel rispetto dei saldi  di  finanza

pubblica,    in    misura    finanziariamente    equivalente     alla

compartecipazione del  2  per  cento  del  gettito  dell'imposta  sul

reddito delle persone fisiche.

    20. La dotazione del  fondo  di  solidarieta'  per  i  mutui  per

l'acquisto della prima casa e' incrementata di 10 milioni di euro per

ciascuno degli anni 2012 e 2013".

    2.1.   Come   si   vede,   l'articolo   ora   riportato   dispone

l'anticipazione  sperimentale  gia'  per  l'anno  2012   dell'imposta

municipale propria, tributo di  nuova  istituzione  disciplinato  dal

d.lgs. n. 23 del 2011.

    L'applicazione di tale tributo nelle Regioni a  statuto  speciale

risultava inizialmente subordinata, in ragione dell'art. 14, comma 3,

del  cit.  d.lgs.  n.  23  del  2011,  all'adozione   di   specifiche

"modalita'" da parte delle stesse autonomie speciali "in  conformita'

con i rispettivi statuti e le relative norme  di  attuazione".  Erano

fatte salve, poi, (comma 2) le "procedure previste  dall'articolo  27

della [...] legge n. 42 del 2009". Tanto, al fine di garantire -  fra

l'altro - la neutralita' finanziaria, il necessario coordinamento tra

Stato e Regione in materia di finanza locale, la  considerazione  dei

livelli di reddito e dei costi connessi all'insularita'. Il rinvio  a

particolari  procedure  di  attuazione,   originariamente   previsto,

riprendeva  un  modello  regolativo  correttamente  rispettoso  delle

competenze delle Regioni a statuto speciale che, con  forme  diverse,

era stato gia' sperimentato nell'ordinamento tributario, anche  prima

dell'approvazione della l. n. 42  del  2009.  Basti  pensare,  a  tal

proposito, a quanto disposto dall'art. 1, comma 8, della  1.  n.  244

del 2007 (legge finanziaria  del  2008)  che,  in  tema  di  rimborso

dell'ICI per i  Comuni  situati  nelle  Regioni  a  Statuto  speciale

prevedeva che "In relazione alle competenze attribuite alle regioni a

statuto speciale e alle province autonome di Trento e di  Bolzano  in

materia di finanza locale, i rimborsi di cui al comma 7 sono disposti

a favore dei citati enti, che provvedono all'attribuzione delle quote

dovute ai comuni compresi  nei  rispettivi  territori,  nel  rispetto

degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione".

    2.2.  Inopinatamente,  l'imposta  municipale  propria  e'   stata

modificata dall'art. 13 del d.l.  n.  201  del  2011  in  piu'  parti

rispetto al testo originariamente stabilito, e senza piu'  prevedere,

in  ordine  alle  modalita'  applicative  nelle  Regioni  a   Statuto

speciale, il previo passaggio attraverso la  ricordata  procedura  di

attuazione ed esecuzione e anzi stabilendo, al comma 1  del  medesimo

art. 13, l'applicazione immediata  a  tutti  i  comuni  su  tutto  il

territorio nazionale. In questo modo e' stata disattesa la precedente

previsione normativa volta a garantire le  peculiarita'  dei  sistemi

finanziari dei territori ad autonomia differenziata e l'invarianza di

gettito delle loro entrate.

    Risultano cosi' violati gli artt.  7  e  8  dello  Statuto  della

Regione Sardegna, che garantiscono alla  Regione  stessa  un'adeguata

autonomia finanziaria, e sono parimenti violati gli artt. 117  e  119

della  Costituzione,  che  confermano  la  tutela  della  particolare

autonomia economico-finanziaria della Regione  e  attribuiscono  alla

Sardegna la competenza concorrente nella  materia  del  coordinamento

della finanza pubblica e del sistema tributario.

    2.3.  Nell'esame  delle  disposizioni  censurate,  poi,  si  deve

considerare la specifica  competenza  della  Regione  Sardegna  nella

materia "finanza locale". Essa e' di sicura spettanza  regionale,  in

ragione dell'artt. 3, comma 1, lett.  b)  ("la  Regione  ha  potesta'

legislativa nelle seguenti materie: b) ordinamento degli enti  locali

e delle relative circoscrizioni)" e 7 ("La  Regione  ha  una  propria

finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi

della solidarieta'  nazionale,  nei  modi  stabiliti  dagli  articoli

seguenti") dello statuto speciale. Si deve aggiungere anche  che,  ai

sensi dell'art. 8 del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348,  recante  "Norme

di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna  in  riferimento

alla L. 22 luglio 1975, n. 382, e al d.P.R. 24 luglio 1977, n.  616",

"Lo Stato determina  gli  obiettivi  della  programmazione  economica

nazionale con il concorso  della  regione"  (comma  1);  "La  regione

determina i programmi regionali  di  sviluppo,  in  armonia  con  gli

obiettivi della programmazione economica nazionale e con il  concorso

degli enti locali  territoriali  e  degli  organismi  comprensoriali,

secondo le modalita' indicate nella propria legislazione" (comma  2);

"Nei programmi regionali di sviluppo  gli  interventi  di  competenza

regionale sono coordinati con quelli dello  Stato  e  con  quelli  di

competenza  degli  enti   locali   territoriali"   (comma   3);   "La

programmazione costituisce riferimento  per  il  coordinamento  della

finanza pubblica" (comma 4). Previsioni,  queste,  che  dimostrano  -

tutte - come la Regione Sardegna goda di un  consistente  margine  di

autonomia nella materia che ne occupa, che, pur  dovendo  coordinarsi

con gli indirizzi statali, non puo' essere certamente annullata, come

vorrebbe il legislatore statale con la disposizioni censurate.

    Anche codesta Ecc.ma Corte  costituzionale  ha  ribadito  che  la

competenza della Regione Sardegna in materia  di  finanza  locale  e'

esclusiva e come tale deve essere tutelata. Come si legge nella sent.

n. 275 del 2007, infatti, la "materia della finanza locale, [...] per

la Regione sarda, e' devoluta alla competenza  legislativa  esclusiva

della Regione in forza dell'art. 3, lettera b), del relativo  statuto

speciale" (ma v. anche la sent. n. 102 del 2008  circa  la  specifica

autonomia che lo Statuto  attribuisce  alla  Regione  Sardegna  nella

materia dell'imposizione fiscale e, seppure in maniera meno evidente,

la sent. n. 229 del 2011).

    Anche alla luce delle considerazioni ora  svolte,  appare  chiaro

che l'art. 13  del  d.1.  n.  201  del  2011  viola  le  attribuzioni

costituzionali della Regione Sardegna,  (anche)  perche'  non  lascia

alla Regione alcun ambito di autonoma regolamentazione di  un  tipico

tributo locale.

    2.4. Non solo. Dal complesso  delle  disposizioni  contenute  nel

censurato art. 13 risulta violato per un altro profilo l'art. 3 dello

Statuto della Regione Sardegna che, al comma 1, lett. b), attribuisce

alla Regione la competenza  nella  materia  "ordinamento  degli  enti

locali e delle relative  circoscrizioni",  atteso  che  alla  lesione

dell'autonomia finanziaria degli enti locali corrisponde  la  lesione

della  relativa  competenza  normativa  regionale   generale.   Sono,

inoltre, nuovamente violati anche gli artt. 7 e 8 dello  Statuto,  in

quanto  il  finanziamento  inadeguato  delle  autonomie  locali,  che

consegue al mancato rispetto della procedura di cui alla l. n. 42 del

2009 e al d.lgs. n. 23 del 2011 (nonche', come  appresso  si  vedra',

all'esclusione  della  compensazione  statale  per  la   soppressione

dell'ICI)  comporta  vincoli  e  pregiudizi  tangibili  all'autonomia

finanziaria regionale, costretta a far fronte al depauperamento delle

risorse comunali con uno specifico sostegno finanziario.

    2.5. La lesione delle attribuzioni della ricorrente e' ancor piu'

evidente in riferimento al comma 11 dell'art. 13 del d.l. n. 201  del

2011, in cui si prevede che "e' riservata  allo  Stato  la  quota  di

imposta pari alla meta' dell'importo calcolato applicando  alla  base

imponibile  di  tutti  gli  immobili,  ad  eccezione  dell'abitazione

principale e delle relative pertinenze di cui al comma 7, nonche' dei

fabbricati rurali ad uso strumentale di cui al comma 8, l'aliquota di

base di cui al comma 6, primo periodo". In questo modo,  infatti,  la

legislazione statale elude il regime  di  compartecipazione  previsto

dall'art. 8, comma 1, lett. m), dello Statuto della Regione Sardegna,

il quale prevede che "Le entrate della regione sono costituite  [...]

m)  dai  sette  decimi  di  tutte  le  entrate  erariali,  dirette  o

indirette, comunque denominate, ad eccezione di quelle  di  spettanza

di altri enti pubblici".

    A questo proposito si deve anche  considerare  che  l'I.M.U.,  ai

sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 23 del  2011,  "sostituisce,  per  la

componente immobiliare, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e

le relative addizionali  dovute  in  relazione  ai  redditi  fondiari

relativi ai beni non  locati".  Cio'  significa  che  il  legislatore

statale, con la disposizione in esame, da una parte ha eliminato  una

forma di imposizione cui la Regione compartecipava ai sensi dell'art.

8, comma 1, lett. a), dello  Statuto,  in  cui  si  dispone  che  "Le

entrate della regione  sono  costituite:  a)  dai  sette  decimi  del

gettito delle imposte sul reddito delle persone fisiche e sul reddito

delle persone giuridiche riscosse  nel  territorio  della  regione"),

dall'altra ha reso il medesimo indicatore di  reddito/presupposto  di

imposta (la  proprieta'  immobiliare)  soggetto  ad  altra  forma  di

imposizione, dalla quale la Regione e' esplicitamente esclusa.

    Tutto cio' considerato, l'art. 13 del d.1. n. 201 del 2011,  come

conv. in 1. n. 214  del  2011,  viola  (oltre  che  per  quelli  gia'

segnalati) anche per questi ulteriori profili l'art. 8 dello Statuto,

che, come  indicato,  attribuisce  alla  Regione  una  partecipazione

maggioritaria alle entrate che lo Stato,  ora,  vorrebbe  riservarsi.

Ulteriormente violato e' anche l'art. 7 dello Statuto, in  quanto  la

compartecipazione  alle  entrate   e'   elemento   consustanziale   e

necessario alla  garanzia  dell'autonomia  finanziaria  regionale.  E

ulteriormente violati, anche per il profilo segnalato, sono anche gli

artt. 117 e 119 Cost., della Costituzione, che confermano  la  tutela

della particolare autonomia  economico-finanziaria  della  Regione  e

attribuiscono alla Sardegna la competenza concorrente  nella  materia

del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

    2.6. Specificamente lesivo il comma 11 del censurato art.  13  lo

e' anche nella parte in cui prevede che "le attivita' di accertamento

e riscossione dell'imposta erariale sono svolte dal comune  al  quale

spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette

attivita'  a  titolo  di  imposta,  interessi  e  sanzioni"   (ultimo

periodo). In questo  modo  la  Regione  e'  esclusa  dalla  quota  di

compartecipazione alle entrate statali che e'  prevista  dall'art.  8

dello  Statuto  anche  per  il  semplice  fatto  che  l'attivita'  di

riscossione, per elementi di patologia non certo dovuti alla  Regione

medesima, genera "interessi e sanzioni", al cui  gettito  la  Regione

non potrebbe partecipare.

    Ne' si potrebbe eccepire che la fattispecie in esame  integri  la

deroga prevista nell'art. 8, comma 1, lett. m),  dello  Statuto,  per

cui la Regione compartecipa delle entrate erariali "ad  eccezione  di

quelle di spettanza di altri enti pubblici": non  v'e'  alcun  dubbio

sul fatto che l'imposta municipale sia, per la meta' del gettito,  di

spettanza dello Stato e questa attribuzione non puo' mutare pel fatto

che la Pubblica Amministrazione non riesce ad incamerare le somme  di

spettanza in via ordinaria e deve, invece, attivare  un  procedimento

successivo di recupero di quanto non versato all'erario.

    L'anticipazione   dell'applicazione    dell'imposta    municipale

propria, poi, esclude la previsione delle quote compensative  statali

riconosciute ai Comuni per la soppressione dell'ICI sulla prima casa,

arrecando in tal modo un  grave  danno  ai  bilanci  delle  autonomie

speciali e dei rispettivi Enti locali, in violazione dei parametri (e

per i profili) gia' invocati in via generale, nonche' degli artt. 5 e

117, commi 3 e 4, Cost., nei quali si  riconoscono  e  promuovono  le

autonomie  locali  e  si  attribuisce  alle  Regioni  la   competenza

legislativa concorrente in  materia  di  armonizzazione  dei  bilanci

pubblici e coordinamento della finanza pubblica.

    2.7. Particolarmente  lesivo  delle  attribuzioni  della  Regione

Sardegna, poi, e' il comma 17 del censurato art. 13, ove  si  prevede

che "il fondo sperimentale di riequilibrio, come determinato ai sensi

dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23,  e  il

fondo perequativo, come determinato ai  sensi  dell'articolo  13  del

medesimo decreto legislativo n.  23  del  2011,  ed  i  trasferimenti

erariali dovuti ai comuni della Regione  Siciliana  e  della  Regione

Sardegna variano in ragione delle differenze del gettito  stimato  ad

aliquota di base derivanti dalle  disposizioni  di  cui  al  presente

articolo. In caso di incapienza ciascun comune versa all'entrata  del

bilancio dello Stato le somme residue".

    La disposizione in esame, oltre ai  parametri  (e  in  ordine  ai

profili) gia' invocati in via generale)  viola  l'art.  3  Cost.,  in

combinato disposto con gli artt. 3, 7 e 8 dello  Statuto,  in  quanto

reca un pregiudizio a  valere  solamente  nei  confronti  degli  enti

locali della Regione Sardegna (oltre che di quella Siciliana),  senza

elementi  obiettivi  che   giustifichino   la   discriminazione   ora

descritta. A nulla vale che la diminuzione dei trasferimenti erariali

sia determinata in misura corrispondente al gettito  derivante  dalla

maggiorazione della tariffa prevista dal comma 13 del  medesimo  art.

14, in quanto la disposizione in esame lascia intendere che i  comuni

delle altre Regioni beneficeranno sia del gettito derivante dall'IMU,

sia dei trasferimenti statali eventualmente previsti da altre norme.

    3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 13-bis,  del

d.1. n. 201 del  2011,  come  conv.  in  1.  n.  214  del  2011,  per

violazione dell'art. 3 Cost., in combinato disposto con gli artt.  3,

7 e 8 dello Statuto speciale della Regione  Autonoma  della  Sardegna

(1. cost. n. 3 del 1948). L'art. 14 reca il titolo  "Istituzione  del

tributo comunale sui  rifiuti  e  sui  servizi".  Esso  -  appunto  -

istituisce "in tutti i comuni del  territorio  nazionale  il  tributo

comunale sui rifiuti e sui servizi, a copertura dei costi relativi al

servizio di gestione dei rifiuti  urbani  e  dei  rifiuti  assimilati

avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni, e

dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni" (comma 1).

    Il comma 13-bis del medesimo articolo prevede  che  "a  decorrere

dall'anno  2013  il  fondo   sperimentale   di   riequilibrio,   come

determinato ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 14 marzo

2011, n. 23, e  il  fondo  perequativo,  come  determinato  ai  sensi

dell'articolo 13 del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011,  ed

i trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione  Siciliana  e

della Regione Sardegna  sono  ridotti  in  misura  corrispondente  al

gettito derivante dalla maggiorazione standard di cui al comma 13 del

presente  articolo.  In  caso  di  incapienza  ciascun  comune  versa

all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue".

    In questo modo si intende fare in modo  che  l'eventuale  effetto

positivo per la finanza degli enti locali  delle  Regioni  Sicilia  e

Sardegna  sia  immediatamente  scontato  attraverso  una  contestuale

riduzione dei trasferimenti statali. La Regione Sardegna,  pero',  ne

viene pregiudicata per differenti profili.

    3.1. Anzitutto, sono violati gli artt. 3, comma 1, lett. b), e  7

dello  Statuto,  che  attribuiscono  alla   Regione   la   competenza

legislativa esclusiva in materia di "ordinamento degli enti locali  e

delle relative circoscrizioni",  che  ricomprende  anche  la  materia

"finanza  locale"  (come  codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale   ha

precisato nella sent. n. 275 del 2007 sopra citata, riferita  proprio

alla Regione Sardegna), sia perche' lo Stato e'  intervenuto  in  una

materia che non gli  appartiene,  sia  perche'  il  meccanismo  sopra

indicato non e'  attuato  attraverso  il  procedimento  collaborativo

previsto dall'art. 27 della 1. n. 42 del 2009 e del d.lgs. n. 23  del

2011, come  invece  e'  previsto  per  le  altre  Regioni  a  Statuto

speciale.

    L'art. 3, comma 1, lett. b), dello Statuto e' violato  anche  per

un secondo profilo, in quanto  (come  gia'  rilevato  nel  precedente

motivo di ricorso) la lesione dell'autonomia finanziaria  degli  enti

locali implica necessariamente la lesione della  relativa  competenza

normativa regionale generale.

    Violati  sono,  altresi',  gli  artt.  3,   117   e   119   della

Costituzione, in relazione agli artt. 7 e 8 dello Statuto: il ridotto

finanziamento delle autonomie locali disposto  dal  comma  in  esame,

anche se in relazione all'extragettito derivante  dalla  imposta  sui

servizi  e  sui  rifiuti,  si  riverbera  sull'autonomia  finanziaria

regionale, costretta a far fronte al mancato incremento delle risorse

comunali con uno specifico sostegno finanziario.  Che  sia  cosi'  e'

dimostrato sia dal fatto che per le Regioni ordinarie il  legislatore

statale non ha ritenuto di  dover  introdurre  limitazioni  ad  altri

canali  di  finanziamento  corrispettive  all'eventuale  extragettito

della nuova imposta, sia dal fatto che per le altre Regioni a Statuto

speciale (eccezion fatta per la Regione  Siciliana),  tale  forma  di

compensazione e' attuata con il particolare procedimento  cooperativo

(dunque di maggior garanzia per la Regione) di cui all'art. 27  della

1. n. 42 del 2009.

    Da ultimo, la norma in esame viola  l'art.  3  Cost.,  ancora  in

relazione con gli artt. 7 e 8 dello Statuto e 117  e  119  Cost.,  in

quanto l'autonomia finanziaria della Regione  Sardegna  e'  vulnerata

nella misura in cui le disposizioni di disfavore per i  Comuni  sardi

si risolvono, quanto alla disciplina del tributo comunale sui rifiuti

e sui servizi, in una condizione, per  la  finanza  regionale  sarda,

comunque deteriore rispetto a quella delle altre Regioni ordinarie  o

a statuto speciale (eccezion fatta per la Regione Siciliana).

    3.2. Piu' in particolare, il  meccanismo  compensativo  a  favore

dell'erario statale pregiudica in maniera diretta solamente i  Comuni

della Regione Sardegna e della Regione Siciliana,  mentre  non  opera

nei confronti degli altri enti  locali.  La  disposizione  in  esame,

dunque, viola l'art. 3 Cost., anche in  combinato  disposto  con  gli

artt. 3, 7 e 8 dello statuto  speciale  della  Sardegna,  117  e  119

Cost., in quanto reca un pregiudizio a valere solamente nei confronti

degli enti locali della Regione Sardegna (e della Regione Siciliana),

e, di conseguenza,  per  la  Regione  Sardegna  medesima,  senza  che

sussistano   gli   elementi   obiettivi    che    giustifichino    la

discriminazione ora descritta. Ne'  questi  elementi  possono  essere

individuati nel terzo periodo del comma in esame, laddove si  prevede

che "Con le procedure previste dall'art.  27  della  legge  5  maggio

2009, n. 42,  le  regioni  Friuli-Venezia  Giulia  e  Valle  d'Aosta,

nonche' le Province autonome di Trento e di  Bolzano,  assicurano  il

recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito dei  comuni

ricadenti  nel  proprio  territorio",  in  quanto  ivi  si   regolano

solamente profili procedimentali  (peraltro  anch'essi  lesivi  delle

attribuzioni costituzionali della Sardegna, giusta quanto dedotto  al

paragrafo precedente).

    A nulla, peraltro, vale  che  la  diminuzione  dei  trasferimenti

erariali  sia  determinata  in  misura  corrispondente   al   gettito

derivante dalla maggiorazione della tariffa prevista dal comma 13 del

medesimo art. 14, in quanto la disposizione in esame  indica  che  ai

comuni delle altre Regioni a  statuto  ordinario  si  applichera'  la

maggiorazione tariffaria di cui all'art. 14, comma 13,  del  d.1.  n.

201 del 2011,  ma  senza  la  riduzione  dei  trasferimenti  erariali

previsti da altre norme, che sono invece diminuiti per i comuni della

Sardegna.

    4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 16 del d.l. n. 201 del

2011, come conv. in 1. n. 214 del 2011, per violazione degli artt.  7

e 8 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna  (l.

cost. n. 3 del 1948) e degli artt. 117 e 119 cost. L'art. 16 reca  il

titolo "Disposizioni per la tassazione di auto di lusso, imbarcazioni

ed aerei". In particolare, i commi da 2 a 15-ter dispongono che:

    "2. Dal 1° maggio 2012 le unita' da  diporto  che  stazionino  in

porti marittimi  nazionali,  navighino  o  siano  ancorate  in  acque

pubbliche, anche se  in  concessione  a  privati,  sono  soggette  al

pagamento della tassa annuale di stazionamento,  calcolata  per  ogni

giorno, o frazione di esso, nelle misure di seguito indicate: a) euro

5 per le unita' con scafo di lunghezza da 10,01 metri a 12 metri;  b)

euro 8 per le unita' con scafo di  lunghezza  da  12,01  metri  a  14

metri; c) euro 10 per le unita' con scafo di lunghezza da 14,01 a  17

metri; d) euro 30 per le unita' con scafo di lunghezza da 17,01 a  24

metri; e) euro 90 per le unita' con scafo di lunghezza da 24,01 a  34

metri; euro 207 per le unita' con scafo di lunghezza da  34,01  a  44

metri; g) euro 372 per le unita' con scafo di lunghezza da 44,01 a 54

metri; h) euro 521 per le unita' con scafo di lunghezza da 54,01 a 64

metri; i) euro 703 per le unita' con scafo di lunghezza  superiore  a

64 metri.

    3. La tassa e' ridotta alla meta' per  le  unita'  con  scafo  di

lunghezza fino a 12 metri, utilizzate esclusivamente dai  proprietari

residenti, come propri ordinari  mezzi  di  locomozione,  nei  comuni

ubicati nelle isole minori e nella Laguna di Venezia, nonche' per  le

unita' di cui al comma 2 a vela con motore ausiliario.

    4. La tassa non si applica alle unita' di  proprieta'  o  in  uso

allo Stato e  ad  altri  enti  pubblici,  a  quelle  obbligatorie  di

salvataggio,  ai  battelli  di  servizio,  purche'   questi   rechino

l'indicazione dell'unita' da diporto  al  cui  servizio  sono  posti,

nonche' alle unita' di cui al comma 2 che si trovino  in  un'area  di

rimessaggio e per i giorni di effettiva permanenza in rimessaggio.

    5. Sono esenti dalla tassa di cui al comma 2 le unita' da diporto

possedute ed utilizzate  da  enti  ed  associazioni  di  volontariato

esclusivamente ai fini di assistenza sanitaria e pronto soccorso.

    5-bis. La tassa di cui al comma 2 non e'  dovuta  per  le  unita'

nuove con targa di prova, nella disponibilita' a qualsiasi titolo del

cantiere costruttore, manutentore  o  del  distributore,  ovvero  per

quelle usate  ritirate  dai  medesimi  cantieri  o  distributori  con

mandato di vendita e in attesa del perfezionamento dell'atto.

    6. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 2

e 3 la lunghezza e' misurata secondo le norme armonizzate  EN/ISO/DIS

8666 per la misurazione dei natanti e delle imbarcazioni da diporto.

    7. Sono tenuti al pagamento della tassa  di  cui  al  comma  2  i

proprietari, gli usufruttuari, gli acquirenti con patto di  riservato

dominio o gli utilizzatori a titolo  di  locazione  finanziaria.  Con

provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono stabilite

le modalita' ed i termini di pagamento della tassa, di  comunicazione

dei dati identificativi dell'unita' da diporto e  delle  informazioni

necessarie all'attivita' di  controllo.  I  pagamenti  sono  eseguiti

anche con moneta elettronica senza oneri a carico del bilancio  dello

Stato, Il gettito della tassa di cui al comma 2 affluisce all'entrata

del bilancio dello Stato.

    8. La ricevuta di pagamento, anche elettronica,  della  tassa  di

cui al comma 2 e'  esibita  dal  comandante  dell'unita'  da  diporto

all'Agenzia delle dogane  ovvero  all'impianto  di  distribuzione  di

carburante, per l'annotazione nei registri  di  carico-scarico  ed  i

controlli a posteriori, al  fine  di  ottenere  l'uso  agevolato  del

carburante per lo stazionamento o la navigazione.

    9. Le Capitanerie di porto, le forze preposte alla  tutela  della

sicurezza e alla vigilanza in mare, nonche' le altre  forze  preposte

alla pubblica sicurezza o gli altri organi di polizia  giudiziaria  e

tributaria  vigilano  sul  corretto   assolvimento   degli   obblighi

derivanti dalle disposizioni di cui ai commi da 2 a  8  del  presente

articolo ed elevano, in caso di violazione, apposito processo verbale

di  constatazione  che   trasmettono   alla   direzione   provinciale

dell'Agenzia delle entrate competente per territorio, in relazione al

luogo della commissione della violazione,  per  l'accertamento  della

stessa. Per  l'accertamento,  la  riscossione  e  il  contenzioso  si

applicano le disposizioni in materia  di  imposte  sui  redditi;  per

l'irrogazione delle sanzioni si applicano le disposizioni di  cui  al

decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, esclusa la  definizione

ivi prevista. Le violazioni possono essere  definite  entro  sessanta

giorni  dalla  elevazione  del  processo  verbale  di   constatazione

mediante il pagamento dell'imposta e della sanzione minima ridotta al

cinquanta per cento. Le controversie concernenti l'imposta di cui  al

comma 2 sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie

ai sensi del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

    10. Per l'omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di

cui al comma 2 si applica una sanzione amministrativa tributaria  dal

200 al 300 per cento  dell'importo  non  versato,  oltre  all'importo

della tassa dovuta.

    11. E' istituita l'imposta erariale sugli aeromobili privati,  di

cui all'articolo 744 del codice della navigazione, immatricolati  nel

registro aeronautico nazionale, nelle seguenti misure annuali:

        a) velivoli con peso massimo al decollo: 1) fino a 1.000 kg.,

euro 1,50 al kg; 2) fino a 2.000 kg., euro 2,45  al  kg;  3)  fino  a

4.000 kg., euro 4,25 al kg; 4) fino a 6.000 kg., euro 5,75 al kg;  5)

fino a 8.000 kg., euro 6,65 al kg; 6) fino a 10.000 kg., euro 7,10 al

kg; 7) oltre 10.000 kg., euro 7,55 al kg;

        b) elicotteri: l'imposta dovuta e' pari al doppio  di  quella

stabilita per i velivoli di corrispondente peso;

        c) alianti, motoalianti, autogiri e aerostati, euro 450,00.

    12. L'imposta e' dovuta da  chi  risulta  dai  pubblici  registri

essere proprietario, usufruttuario, acquirente con patto di riservato

dominio,  ovvero  utilizzatore  a  titolo  di  locazione  finanziaria

dell'aeromobile,  ed  e'  corrisposta  all'atto  della  richiesta  di

rilascio  o  di  rinnovo   del   certificato   di   revisione   della

aeronavigabilita' in relazione all'intero periodo  di  validita'  del

certificato stesso. Nel caso in cui il  certificato  abbia  validita'

inferiore  ad  un  anno  l'imposta  e'  dovuta  nella  misura  di  un

dodicesimo degli importi di cui al  comma  11  per  ciascun  mese  di

validita'.

    13.  Per  gli  aeromobili  con  certificato  di  revisione  della

aeronavigabilita' in corso di  validita'  alla  data  di  entrata  in

vigore del presente  decreto  l'imposta  e'  versata,  entro  novanta

giorni da tale data, in misura pari a  un  dodicesimo  degli  importi

stabiliti nel comma 11 per ciascun  mese  da  quello  in  corso  alla

predetta data sino al mese in cui scade  la  validita'  del  predetto

certificato. Entro lo stesso termine  deve  essere  pagata  l'imposta

relativa agli aeromobili per i quali il rilascio  o  il  rinnovo  del

certificato di revisione della aeronavigabilita' avviene nel  periodo

compreso fra la data di entrata in vigore del presente decreto ed  il

31 gennaio 2012.

    14. Sono esenti dall'imposta di cui al comma 11 gli aeromobili di

Stato e quelli ad essi equiparati; gli aeromobili di proprieta' o  in

esercenza dei licenziatari dei servizi  di  linea  e  non  di  linea,

nonche' del lavoro aereo, di cui al codice della  navigazione,  parte

seconda, libro I, titolo VI, capi I, II  e  III;  gli  aeromobili  di

proprieta' o in esercenza delle Organizzazioni Registrate (OR), delle

scuole di addestramento  FTO  (Right  Training  Organisation)  e  dei

Centri di Addestramento per  le  Abilitazioni  (TRTO  -  Type  Rating

Training Organisation); gli aeromobili di proprieta' o  in  esercenza

dell'Aero Club d'Italia, degli Aero Club locali  e  dell'Associazione

nazionale paracadutisti d'Italia; gli aeromobili immatricolati a nome

dei costruttori e in attesa di vendita; gli aeromobili esclusivamente

destinati all'elisoccorso o all'aviosoccorso.

    14-bis. L'imposta di cui al comma  11  e'  applicata  anche  agli

aeromobili non immatricolati nel registro  aeronautico  nazionale  la

cui sosta nel territorio italiano si protrae oltre quarantotto ore.

    15. L'imposta di cui al comma 11  e'  versata  secondo  modalita'

stabilite con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle  entrate

da emanarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente

decreto.

    15-bis. In caso di omesso o insufficiente pagamento  dell'imposta

di  cui  al  comma  11  si  applicano  le  disposizioni  del  decreto

legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e del  decreto  legislativo  18

dicembre 1997, n. 472". In questo modo si istituisce (al comma 2) una

"tassa annuale di stazionamento", cui  sono  soggette  le  unita'  da

diporto che stazionino in  porti  marittimi  nazionali,  navighino  o

siano ancorate in acque pubbliche. Tale tributo e' calcolato per ogni

giorno di  stazionamento,  o  frazione  di  esso,  in  ragione  della

lunghezza dello scafo (da un minimo di 5 euro per le unita' con scafo

da 10,01 metri a 12 metri ad un massimo di 703 euro per le unita' con

scafo di lunghezza superiore a 64 metri). La tassa  e'  ridotta  alla

meta' per  le  unita'  con  scafo  di  lunghezza  fino  a  12  metri,

utilizzate esclusivamente  dai  proprietari  residenti,  come  propri

ordinari mezzi di locomozione, nei comuni ubicati nelle isole  minori

e nella Laguna di Venezia.

    4.1. E' evidente che l'introduzione di tale tributo  determinera'

effetti  dannosi  per  il  sistema  economico  regionale,  in  quanto

spingera' i diportisti ad abbandonare o a  ridurre  drasticamente  il

periodo  di  stazionamento  nelle  acque  italiane,  e  quindi  della

Sardegna,  particolarmente  pregiudicata   in   ragione   della   sua

insularita'  e  dell'importanza  del  turismo  nautico  per  la   sua

autonomia.  A  fronte  di  questo  indubbio  elemento  di  danno  per

l'economia regionale e, di  conseguenza,  per  le  entrate  regionali

connesse al ridotto flusso di turisti regionale, la  norma  in  esame

non prevede misure compensative per la Regione.

    Tanto  si  risolve  nella  lesione   dell'autonomia   finanziaria

regionale e della competenza legislativa nella materia "coordinamento

della finanza pubblica e del sistema tributario" e,  di  conseguenza,

nella contestuale violazione degli arti. 7 e 8 dello Statuto speciale

e 117 e 119 Cost., da cui tale autonomia e' tutelata. Il  legislatore

statale, infatti, ha introdotto una forma di  imposizione  tributaria

che si sovrappone, violandolo, all'art. 8, comma 1, lett.  h),  dello

statuto speciale, in cui si prevede che  "Le  entrate  della  regione

sono costituite [...] h) da imposte e tasse sul turismo  e  da  altri

tributi propri che la regione ha facolta' di istituire con  legge  in

armonia con i principi del sistema tributario dello Stato".

    Che quella in esame debba essere considerata come una  tassa  sul

turismo si deduce inequivocabilmente dalle modalita' con cui essa  e'

prevista e commisurata. Quanto ai  natanti,  essa  e'  limitata  alle

"unita' da diporto" ed e' calcolata su base giornaliera e parametrata

a nove differenti categorie di grandezza dei mezzi che vanno  dai  10

ai 64 metri di lunghezza dello scafo, misure che mostrano la volonta'

di assumere, come presupposto d'imposta, proprio i natanti usati  per

il turismo, anche di piccolo cabotaggio. Quanto agli aeromobili, essa

e' prevista in un  ammontare  fisso  per  gli  alianti,  motoalianti,

autogiri e aerostati, ossia per mezzi usati per il  volo  sportivo  e

turistico. Quanto ai mezzi ad ala  rotante,  il  semplice  fatto  che

l'importo sia dovuto in misura doppia rispetto a quella prevista  per

gli aeroplani conferma la volonta' del legislatore statale di colpire

proprio i mezzi usati per l'aeronavigazione da turismo.  Infine,  per

quanto concerne i velivoli, anche in questo caso la previsione  delle

sette  categorie  di  peso  a  partire  da  una  tonnellata  conforta

nell'ipotesi riferita.

    La Regione Sardegna aveva utilizzato  lo  scalo  turistico  degli

aeromobili e delle unita' da diporto nel periodo dell'anno che  corre

dal 1° giugno al 30 settembre come presupposto d'imposta per la tassa

regionale istituita con l'art. 4 della l.  reg.  Sardegna  n.  4  del

2006. Nella sent. n. 102 del 2008, al  par.  8.1.2.,  codesta  Ecc.ma

Corte costituzionale ha dato conto del fatto  che  il  tributo  cosi'

previsto era da considerarsi una imposta sul turismo.

    In quel caso, codesta Ecc.ma Corte costituzionale  affermo'  che,

"anche ove potesse ritenersi (sia pure implausibilmente)" che non  vi

fossero "elementi sufficienti  a  caratterizzare  come  tributo  «sul

turismo» [...] il  tributo  sarebbe  pur  sempre  qualificabile  come

«proprio» della Regione e, quindi,  sarebbe  da  essa  legittimamente

stabilito in forza della competenza legislativa statutaria,  purche',

fosse rispettata la condizione  -  richiesta  dal  medesimo  art.  8,

lettera i), dello statuto - dell'«armonia con i principi del  sistema

tributario dello Stato»". Se e' vero che, in  ragione  dell'art.  117

Cost., la Regione Sardegna puo' istituire  tributi  propri  anche  in

materie diverse dal "turismo", e' altrettanto vero che la  previsione

di cui all'art. 3, comma 1, lett. h), dello Statuto continua a  porsi

come limite alla potesta' impositiva dello Stato, che non puo'  agire

con la leva fiscale su un  presupposto  d'imposta  che  ricade  nella

materia "turismo" senza riservare alla Regione  Sardegna  un  congruo

margine di disciplina.

    5. Illegittimita' costituzionale dell'art. 23, commi da 14 a  22,

del d.l. n. 201 del 2011, come conv. in  l.  n.  214  del  2011,  per

violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della Regione  Autonoma

della Sardegna (1. cost. n. 3 del 1948). L'art.  23  reca  il  titolo

"Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorita' di Governo, del

CNEL, delle Autorita' indipendenti e delle Province".  Esso  dispone,

in particolare ai commi da 14 a 22, che:

    "14.  Spettano  alla  Provincia  esclusivamente  le  funzioni  di

indirizzo e di coordinamento delle attivita' dei Comuni nelle materie

e nei limiti indicati con  legge  statale  o  regionale,  secondo  le

rispettive competenze.

    15.  Sono  organi  di  governo  della  Provincia   il   Consiglio

provinciale ed il Presidente della Provincia. Tali organi  durano  in

carica cinque anni.

    16. Il Consiglio provinciale e' composto da  non  piu'  di  dieci

componenti eletti dagli organi  elettivi  dei  Comuni  ricadenti  nel

territorio della Provincia. Le modalita' di elezione  sono  stabilite

con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2012.

    17.  Il  Presidente  della  Provincia  e'  eletto  dal  Consiglio

provinciale tra i suoi  componenti  secondo  le  modalita'  stabilite

dalla legge statale di cui al comma 16.

    18. Fatte salve le funzioni di cui al comma 14,  lo  Stato  e  le

Regioni,  con  propria  legge,  secondo  le  rispettive   competenze,

provvedono a trasferire ai Comuni, entro  il  31  dicembre  2012,  le

funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo  che,

per assicurarne l'esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle

Regioni, sulla base dei principi di sussidiarieta',  differenziazione

ed adeguatezza. In caso di mancato trasferimento  delle  funzioni  da

parte delle Regioni entro il 31 dicembre 2012,  si  provvede  in  via

sostitutiva, ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno  2003,  n.

131, con legge dello Stato.

    19. Lo Stato e le  Regioni,  secondo  le  rispettive  competenze,

provvedono altresi' al trasferimento delle risorse umane, finanziarie

e strumentali per l'esercizio delle funzioni trasferite,  assicurando

nell'ambito  delle  medesime  risorse  il  necessario   supporto   di

segreteria per l'operativita' degli organi della provincia.

    20. Agli organi provinciali che devono essere rinnovati entro  il

31 dicembre 2012 si applica, sino al 31 marzo  2013,  l'articolo  141

del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli  enti  locali,  di

cui al decreto legislativo 18  agosto  2000,  n.  267,  e  successive

modificazioni. Gli organi provinciali  che  devono  essere  rinnovati

successivamente al 31 dicembre  2012  restano  in  carica  fino  alla

scadenza naturale. Decorsi i termini di cui al  primo  e  al  secondo

periodo del presente comma, si procede all'elezione dei nuovi  organi

provinciali di cui ai commi 16 e 17.

    20-bis.  Le  regioni  a  statuto  speciale  adeguano   i   propri

ordinamenti alle disposizioni di cui ai commi da 14 a  20  entro  sei

mesi dalla data  di  entrata  in  vigore  del  presente  decreto.  Le

medesime  disposizioni  non  trovano  applicazione  per  le  province

autonome di Trento e di Bolzano.

    21. I Comuni possono istituire unioni o organi  di  raccordo  per

l'esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo

l'invarianza della spesa.

    22. La titolarita' di  qualsiasi  carica,  ufficio  o  organo  di

natura  elettiva  di  un  ente  territoriale   non   previsto   dalla

Costituzione e' a titolo esclusivamente onorifico e non  puo'  essere

fonte di alcuna forma  di  remunerazione,  indennita'  o  gettone  di

presenza, con esclusione dei comuni di cui all'articolo 2, comma 186,

lettera b), della legge  23  dicembre  2009,  n.  191,  e  successive

modificazioni".

    In   questo   modo   e'   stata   modificata    in    profondita'

l'organizzazione   politico-amministrativa    degli    enti    locali

sub-regionali. In particolare, i commi da 14 a 20 hanno soppresso  la

Giunta provinciale e ridotto  a  dieci  i  componenti  del  Consiglio

provinciale, hanno innovato il sistema di elezione del  Presidente  e

del Consiglio provinciale, hanno imposto alle Regioni  di  trasferire

ai Comuni le funzioni gia' delegate alle  province,  e  con  esse  la

dotazione organica e materiale e seguenti. Infine, i commi  21  e  22

hanno previsto la possibilita' per i Comuni  di  istituire  unioni  o

organi di raccordo per l'esercizio di specifici  compiti  o  funzioni

amministrative e hanno  escluso  qualunque  forma  di  remunerazione,

indennita' o gestione di presenza, per qualsiasi  carica,  ufficio  o

organo di natura elettiva di un ente territoriale non previsto  dalla

Costituzione con esclusione dei comuni di cui all'art. 2, comma  186,

lett. b), della l. n. 191 del 2009.

    5.1.  E'  agevole  constatare  il  palmare  contrasto  di  queste

previsioni con le norme che garantiscono alla  Regione  Sardegna  una

sfera di autonomia legislativa esclusiva. Dispone, infatti, l'art. 3,

comma 1, lett. a) e b), dello Statuto di autonomia  che  "in  armonia

con la Costituzione e i  principi  dell'ordinamento  giuridico  della

Repubblica e col  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  degli

interessi nazionali, nonche' delle norme fondamentali  delle  riforme

economico-sociali  della   Repubblica,   la   Regione   ha   potesta'

legislativa nelle seguenti materie: [...] a) ordinamento degli uffici

e degli enti  amministrativi  della  Regione  e  stato  giuridico  ed

economico del personale; b) ordinamento degli  enti  locali  e  delle

relative circoscrizioni".

    L'autoritativa  e  unilaterale  determinazione,  da  parte  dello

Stato, della riforma degli organi e delle funzioni delle  province  e

l'esclusione      della       remunerazione       delle       cariche

politico-amministrative degli enti territoriali  e'  violativa  della

previsione statutaria che riserva alla  Regione  l'ordinamento  degli

enti locali.  Ne'  si  potrebbe  obiettare  che  la  norma  impugnata

appartenga a quelle `fondamentali" delle  "riforme  economico-sociali

della  Repubblica",  poiche'  essa   entra   in   estremo   dettaglio

nell'ordinamento degli enti locali, senza che cio' risulti necessario

per  la  realizzazione  degli  obiettivi   di   maggiore   efficienza

perseguiti dal legislatore statale (ben si sarebbe  potuto  e  dovuto

lasciare alla Regione  il  potere  di  determinare  le  modalita'  di

riforma dell'ordinamento degli enti locali del territorio sardo,  nel

rispetto di alcuni principi e criteri generali,  anche  attinenti  al

contenimento dei costi, cosi'  da  poterli  adattare  alle  variegate

realta' locali).

    5.2. Sono particolarmente lesivi  delle  attribuzioni  regionali,

inoltre, i commi 18 e 19 dell'art. 23, nella parte in  cui  impongono

alle Regioni di provvedere a trasferire ai comuni  le  funzioni  gia'

delegate o attribuite alle province e le connesse le  risorse  umane,

finanziarie e strumentali. In  questo  caso,  infatti,  lo  Stato  ha

inteso disciplinare addirittura  il  modo  in  cui  la  Regione  deve

disciplinare lo svolgimento delle proprie funzioni, in totale spregio

dell'art. 3 dello Statuto.

    Ne' si potrebbe ritenere che il legislatore statale fosse a  cio'

legittimato in ragione dell'art. 117, comma 2, lett.  p),  Cost.,  in

quanto  in  detta  disposizione  si  fa  riferimento  alle  "funzioni

fondamentali" degli Enti locali. Anzitutto, trattandosi di Regione ad

autonomia speciale, trovano applicazione, qui, le  norme  statutarie.

In secondo luogo, tra le "funzioni fondamentali"  degli  enti  locali

non  possono  certo  annoverarsi  quelle  che  la  Regione  Sardegna,

nell'esercizio  delle  sue  attribuzioni,  ha   inteso   delegare   o

attribuire all'uno o all'altro livello di governo.

    5.3. Infine, non esclude  l'illegittimita'  costituzionale  delle

disposizioni in esame la previsione (comma  21),  per  le  Regioni  a

statuto speciale, di un termine di sei mesi  per  adeguare  i  propri

ordinamenti alla nuova disciplina prevista dall'art.  23,  in  quanto

l'adeguamento alla legge statale e' comunque imposto, mentre il  mero

differimento non cancella l'invasione, da parte dello Stato,  in  una

materia statutariamente riservata alla Regione Sardegna.

    Il comma 21 dell'art. 23, anzi, sta  a  testimoniare  proprio  il

fatto che il legislatore statale ha  avvertito  che  le  disposizioni

introdotte andavano ad impingere in un ambito  a  lui  estraneo,  ma,

invece di dedurre le opportune conseguenze da tale circostanza, si e'

-  illegittimamente  -  limitato   a   prevedere   un   termine   per

l'adempimento da parte delle Regioni ad autonomia speciale.

    6. Illegittimita' costituzionale dell'art. 28 del d.l. n. 201 del

2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per violazione degli artt. 3,

4, 5, 7 e 8 dello Statuto della Regione Sardegna (l. cost. n.  3  del

1948) e 117 e 119 cost. L'art.  28  reca  il  titolo  "Concorso  alla

manovra degli Enti territoriali e ulteriori riduzioni di  spese".  In

particolare i commi 3, 7, 8, 9 e 11-ter dispongono che:

    "3. Con le procedure previste dall'articolo  27,  della  legge  5

maggio 2009, n. 42, le Regioni  a  statuto  speciale  e  le  Province

autonome di Trento e Bolzano assicurano, a decorrere dall'anno  2012,

un concorso alla finanza pubblica di euro 860 milioni annui.  Con  le

medesime procedure le Regioni Valle d'Aosta e Friuli Venezia Giulia e

le Province autonome di Trento  e  Bolzano  assicurano,  a  decorrere

dall'anno 2012, un concorso alla finanza pubblica di  60  milioni  di

euro annui, da parte dei Comuni  ricadenti  nel  proprio  territorio.

Fino all'emanazione delle norme di  attuazione  di  cui  al  predetto

articolo 27, l'importo complessivo di  920  milioni  e'  accantonato,

proporzionalmente alla media  degli  impegni  finali  registrata  per

ciascuna autonomia nel triennio 2007-2009, a valere  sulle  quote  di

compartecipazione ai tributi erariali. Per la  Regione  Siciliana  si

tiene conto della rideterminazione del fondo sanitario nazionale  per

effetto del comma 2.

    [...]

    7. Il fondo sperimentale di  riequilibrio,  come  determinato  ai

sensi dell'articolo 2, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23,

e il fondo perequativo, come determinato ai sensi  dell'articolo  13,

del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed  i  trasferimenti

erariali dovuti ai Comuni della Regione  Siciliana  e  della  Regione

Sardegna sono ridotti di ulteriori 1.450 milioni di euro per gli anni

2012 e successivi.

    8. Il fondo sperimentale di  riequilibrio,  come  determinato  ai

sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n.  68,

il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 23, del

medesimo decreto legislativo n. 68,  del  2011,  ed  i  trasferimenti

erariali dovuti alle Province della Regione Siciliana e della Regione

Sardegna sono ridotti di ulteriori 415 milioni di euro per  gli  anni

2012 e successivi.

    9. La riduzione di cui al comma 7, e'  ripartita  in  proporzione

alla  distribuzione  territoriale  dell'imposta  municipale   propria

sperimentale di cui all'articolo 13, del presente decreto.

    10.   La   riduzione   di   cui   al   comma   8   e'   ripartita

proporzionalmente.

    11-ter. Al fine di  potenziare  il  coordinamento  della  finanza

pubblica e' avviata  la  ridefinizione  delle  regole  del  patto  di

stabilita' interno".

    6.1. L'art. 28, comma 3, del d.1. n. 201 del 2011, come conv.  in

1. n. 214 del 2011, dunque, fissa un ulteriore concorso delle Regioni

speciali alla finanza pubblica di ? 860.000.000,00 annui "a decorrere

dall'anno 2012", e di ? 60.000.000 per  i  comuni  facenti  parte  di

quelle Regioni.

    Con l'articolo in argomento, inoltre, senza alcuna intesa  o  pur

minima forma di cooperazione, si  dispone  che,  fino  all'emanazione

delle norme  di  attuazione  degli  Statuti,  come  richiamate  anche

dall'art. 27 della 1. n. 42  del  2009,  ciascun  Ente  autonomo,  in

misura proporzionale alla media degli impegni del triennio  2007-2009

e fino al concorso complessivo della cifra  gia'  indicata,  sopporti

questi oneri attraverso l'accantonamento delle somme corrispondenti a

valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.

    6.2. Si e' gia' detto delle vicende che hanno imposto la  riforma

delle  entrate  della  Regione  Sardegna,   nonche'   della   mancata

attuazione, per esclusiva  incuria  dello  Stato,  del  nuovo  regime

finanziario  regionale,  e  del  contenzioso  che  ne  e'  sorto.  La

rilevanza  di  quella   vicenda   nel   contribuire   a   determinare

l'illegittimita' della disposizione in esame e' fuori  di  dubbio:  i

commi censurati dell'art. 28 del  d.l.  n.  201  del  2011,  infatti,

ledono  le  attribuzioni  della  Regione  Sardegna,  almeno  per  due

distinti profili,  uno  connesso  agli  specifici  oneri  di  finanza

pubblica  imposti   alla   Regione   Sardegna   ancora   nelle   more

dell'attuazione  del  nuovo  regime  di  compartecipazione,   l'altro

riferito al fatto  che,  seppure  temporaneamente,  tali  oneri  sono

scontati proprio su quel regime  di  compartecipazione  alle  entrate

erariali della Regione Sardegna  che  e'  stato  prima  riformato  in

melius, poi e' stato  lasciato  colpevolmente  inattuato,  infine  e'

stato  ulteriormente  frustrato  nella  maniera  che  si  e'  or  ora

descritta.

    6.2.1. In primo luogo, e' violato  l'art.  8  dello  Statuto,  in

quanto l'apporto della Regione Sardegna e' equiparato a quello  delle

altre autonomie speciali, sebbene la riforma dello  statuto  speciale

intervenuta nel 2006 abbia previsto un nuovo regime finanziario delle

entrate regionali, ben piu' favorevole di quello  precedente  (ne'  a

questo proposito si potrebbe eccepire che il nuovo regime  non  abbia

avuto esecuzione, in quanto tale circostanza rappresenta -  semmai  -

un'ulteriore lesione dell'autonomia finanziaria regionale). L'aumento

delle entrate conseguente alla riforma del 2006, come  si  e'  visto,

non deriva da un irragionevole capriccio della Regione, bensi'  dalla

necessita' - attestata dallo Stato - di adeguare il quadro statutario

alla mutata realta' economico-finanziaria di riferimento. Cio'  rende

ancor piu' evidente l'illegittimita'  della  disposizione  impugnata,

che compromette l'autonomia  regionale  rovesciando  il  senso  della

riforma del 2006 e  disattendendone  la  ratio,  che  era  quella  di

bilanciare una situazione finanziaria  regionale  di  per  se  stessa

insostenibile (e adesso  ancor  piu'  aggravata  con  i  nuovi  oneri

imposti alla Regione e ai suoi enti locali).

    6.2.2. L'art. 8 dello Statuto e' violato anche per un  differente

profilo, in relazione al principio di ragionevolezza di cui  all'art.

3 Cost. Questo perche' il livello delle economie  regionali  definito

in ragione dell'articolo in esame risulta incoerente con  la  novella

statutaria, con la  conseguenza  che  la  disposizione  impugnata  e'

censurabile anche in riferimento al principio  di  ragionevolezza  di

cui all'art. 3 Cost., per l'intima contraddittorieta' che l'affligge.

Contraddittorieta' che anche in questo caso si risolve nella  lesione

della sfera di autonomia regionale, a causa del  pregiudizio  che  la

Regione Sardegna subisce a fronte della mancata considerazione  delle

novellate previsioni statutarie nella fissazione degli  obiettivi  di

finanza pubblica assegnati alle Regioni a statuto speciale.

    6.2.3. La manovra imposta alle autonomie speciali, e dunque anche

alla Regione Sardegna,  impedisce  che  la  Regione  stessa  abbia  a

disposizione le risorse idonee a finanziare integralmente le funzioni

pubbliche attribuite dallo Statuto. Tanto, con violazione degli artt.

3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto della Regione Sardegna e 3,  117  e  119

Cost., nella parte in  cui  tutelano  l'autonomia  finanziaria  della

Regione Sardegna, anche  con  la  previsione  di  specifiche  entrate

tributarie e patrimoniali necessarie allo svolgimento delle  funzioni

istituzionali della Regione, nella parte in  cui  attribuiscono  alla

Regione  la  competenza   legislativa   concorrente   nella   materia

"coordinamento della finanza pubblica", nella parte in cui  prevedono

che  le  risorse  proprie  degli  Enti  territoriali   devono   poter

finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro  attribuite  (per

questo ultimo profilo sono stati invocati gli artt. 3, 4  e  5  dello

Statuto, che enumerano le materie di competenza regionale  esclusiva,

concorrente e delegata dallo Stato). L'aggravio degli oneri a  carico

della Regione Sardegna e dei comuni che ne fanno  parte,  intervenuto

senza che sia stata data completa  e  corretta  attuazione  al  nuovo

regime delle entrate, produce l'effetto di impedire che la Regione (e

gli enti locali che ne fanno  parte)  possa  adempiere  alle  proprie

funzioni senza essere condizionata da vincoli  eterodeterminati  alla

capacita' di spesa privi  di  qualunque  ragionevolezza,  circostanza

testimoniata proprio dal fatto che, come si e' visto, l'insufficienza

delle risorse in essere e' stata riconosciuta anche normativamente.

    Questa tesi trova conforto nella sent. n. 245 del 1984 di codesta

Ecc.ma  Corte  costituzionale,  nella  quale  e'   stata   dichiarata

l'illegittimita' costituzionale di alcune  disposizioni  della  Legge

finanziaria per il 1984 che imponevano alle Regioni  oneri  di  vario

genere senza  corrispondente  attribuzione  di  risorse.  Le  Regioni

ricorrenti lamentavano in particolare, in quell'occasione, che l'art.

7, comma 13, della Legge finanziaria, "comporterebbe oneri  a  carico

dei loro bilanci, senza assegnare alle Regioni  le  somme  occorrenti

per farvi fronte". Codesta Ecc.ma Corte  costituzionale  ha  ritenuto

necessario "rileggere la motivazione" svolta dalla  sentenza  n.  307

del 1983, ricordando  che  "gia'  in  quell'occasione,  la  Corte  ha

ritenuto che l'imporre alle Regioni  obblighi  del  genere  contrasti

anzitutto con cio' che la Costituzione prescrive  nel  secondo  comma

dell'art. 119, ossia che le Regioni dispongano  di  «tributi  propri»

(oltre  che  di  «quote  di  tributi  erariali»),  per   fronteggiare

autonomamente «le spese necessarie  ad  adempiere  le  loro  funzioni

normali»"  e  che  le  Regioni  posseggono   "autonomia   finanziaria

considerata sul versante delle uscite".

    Per  maggiore  completezza  si   deve   ancora   ricordare   che,

contestualmente  alla  riforma  dell'art.   8   dello   Statuto,   il

legislatore ha ulteriormente  ampliato  il  catalogo  delle  funzioni

pubbliche che la Regione Sardegna deve finanziare. La  stessa  l.  n.

296 del 2006,  infatti,  all'art.  1,  comma  836,  ha  previsto  che

"dall'anno 2007 la regione Sardegna  provvede  al  finanziamento  del

fabbisogno complessivo del Servizio sanitario nazionale  sul  proprio

territorio senza alcun apporto a carico del bilancio dello  Stato"  e

al comma 837 ha disposto che "alla regione Sardegna  sono  trasferite

le funzioni relative al trasporto pubblico locale (Ferrovie  Sardegna

e Ferrovie Meridionali Sarde) e le funzioni relative alla continuita'

territoriale [...]". Il legislatore statale, dunque, da una parte  ha

riconosciuto alla Sardegna, com'era necessario e opportuno  a  fronte

dell'analisi svolta anche  dalla  stessa  Ragioneria  Generale  dello

Stato dell'andamento storico dei conti regionali, i nuovi  canali  di

finanziamento necessari per lo svolgimento delle funzioni, dall'altra

ha immediatamente gravato il bilancio  regionale  imponendo  all'Ente

l'intera responsabilita' di due tra i servizi pubblici piu'  onerosi:

la sanita' e il trasporto. Tutto cio'  considerato,  appare  evidente

che l'art. 28 del d.l. n. 201  del  2011,  non  tenendo  conto  della

specifica  situazione  della  Sardegna  e  delle  vicende   normative

ricordate, viola il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.)  e  di

integrale finanziamento delle funzioni pubbliche assegnate (artt.  3,

4 e 5  dello  Statuto  -  che  enumerano  le  materie  di  competenza

regionale  esclusiva,  concorrente  e  delegata  dallo  Stato  -,  in

relazione agli  artt.  117  e  119  Cost.)  e,  per  l'effetto,  lede

l'autonomia finanziaria della Regione (artt. 7 e 8 dello statuto).

    6.2.4. Sono ancora violati gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto

speciale della Sardegna e gli artt. 116, 117 e 119  Cost.,  anche  in

relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.,  in

quanto, prevedendo nuovi oneri per le Regioni ad autonomia  speciale,

l'articolo in commento ha creato uno  "pseudo-comparto"  composto  da

tutte le autonomie regionali, accomunando in  un'unica  voce  realta'

diversissime in punto di fatto (localizzazione geografica, condizione

di sviluppo economico, popolazione residente) e  di  diritto.  Questo

perche' le condizioni di autonomia delle Regioni a statuto speciale e

delle Province di Trento e Bolzano, previste dai rispettivi  Statuti,

per quanto ispirate alla medesima ratio  di  un  maggiore  ambito  di

autogovemo, non sono coincidenti. Per quanto riguarda  specificamente

l'autonomia  finanziaria,  esse   non   possono   certamente   essere

accomunate e confuse sic et simpliciter, come pure fa la disposizione

impugnata (sia sufficiente, a questo proposito, il confronto tra  gli

artt. 36 sgg. dello Statuto della Sicilia,  l'art.  8  dello  Statuto

sardo, l'art. 12 dello Statuto della Valle d'Aosta, gli artt. 48 sgg.

dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia,  gli  artt.  69  sgg.  -  in

particolare 75 - dello Statuto del Trentino-Alto Adige).

    Non  tenendo  conto  di  queste  singole  specificita',   ed   in

particolare del diverso  regime  di  compartecipazione  alle  entrate

erariali fissato per ciascun Ente dal rispettivo Statuto,  l'art.  28

del d.l. n. 201 del  2011  ha  accomunato  e  livellato  quello  che,

invece,  andava  comparato  e  differenziato.  Tale  violazione   del

principio di ragionevolezza e di eguaglianza di cui all'art. 3  Cost.

si  riverbera   necessariamente   sull'attuazione   del   regime   di

compartecipazione alle entrate previsto  dall'art.  8  dello  Statuto

della Sardegna, sull'autonomia finanziaria  della  Regione  garantita

dall'art. 7 dello Statuto e  dall'art.  119  Cost.,  sulla  capacita'

della Sardegna di far fronte agli  impegni  derivanti  dall'esercizio

delle competenze e delle funzioni attribuite dallo Statuto.

    6.2.5.  Per  questo  specifico   profilo   deve   essere   subito

specificato che  l'ultimo  periodo  del  comma  3  dell'art.  28  del

decreto-legge impugnato introduce un ulteriore  criterio  di  riparto

degli oneri per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica

da parte delle Regioni ad autonomia speciale, in considerazione della

"rideterminazione del fondo sanitario nazionale" per la sola  Regione

Sicilia. In questo modo, pero', la disposizione viola l'art. 3 Cost.,

sia pel profilo del  principio  d'eguaglianza  sia  nel  profilo  del

principio di ragionevolezza, entrambi in relazione all'art.  7  dello

Statuto della Sardegna che  ne  tutela  l'autonomia  finanziaria,  in

quanto la medesima Regione Sardegna, quale componente del  "comparto"

delle Autonomie speciali, in definitiva,  dovrebbe  farsi  pro  parte

carico della spesa sanitaria della Regione Sicilia. In questo modo il

legislatore statale ha  disegnato  un  meccanismo  pseudo-perequativo

che, in violazione anche dell'art. 119 Cost.: questo meccanismo grava

solo sulle altre Regioni  ad  autonomia  speciale  facendo  salve  le

Regioni ordinarie.

    6.3. I vizi  teste'  segnalati,  lo  si  e'  gia'  accennato,  si

aggravano se si tiene conto del fatto che l'articolo in esame prevede

che  la  partecipazione  agli  obiettivi  di  finanza  pubblica   sia

direttamente  scontata   sul   gettito   delle   entrate   tributarie

compartecipate dalla Regione Sardegna, nonostante lo Stato non  abbia

ancora portato a regime il nuovo sistema di compartecipazione  varato

con l'art. 1, comma 834, della l. n. 296 del 2006. In altri  termini,

lo Stato ha disegnato una modalita' di adempimento agli  obblighi  di

finanza pubblica che la Regione non puo' ragionevolmente  assicurare,

proprio per ragioni dovute all'inattuazione statale del nuovo art.  8

dello Statuto.

    6.4. Risultano, poi, particolarmente  lesivi  delle  attribuzioni

regionali anche i commi 7 e 8 del medesimo art. 28 del  d.l.  n.  201

del 2011, come conv. in l.  n.  214  del  2011.  In  detti  commi  si

prevede, come gia' riportato, quanto segue:

    "7. Il fondo sperimentale di riequilibrio,  come  determinato  ai

sensi dell'articolo 2, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23,

e il fondo perequativo, come determinato ai sensi  dell'articolo  13,

del medesimo decreto legislativo n. 23 del 2011, ed  i  trasferimenti

erariali dovuti ai Comuni della Regione  Siciliana  e  della  Regione

Sardegna sono ridotti di ulteriori 1.450 milioni di euro per gli anni

2012 e successivi.

    8. Il fondo sperimentale di  riequilibrio,  come  determinato  ai

sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n.  68,

il fondo perequativo, come determinato ai sensi dell'articolo 23, del

medesimo decreto legislativo n. 68,  del  2011,  ed  i  trasferimenti

erariali dovuti alle Province della Regione Siciliana e della Regione

Sardegna sono ridotti di ulteriori 415 milioni di euro per  gli  anni

2012 e successivi".

    Anche in questo  caso  si  riscontrano  i  vizi  di  legittimita'

costituzionale gia' rilevati per gli artt. 13 e 14, comma 13-bis, del

decreto-legge impugnato: il legislatore  statale  ha  introdotto  una

misura che grava solamente sugli enti locali della  Regione  Sardegna

(oltre che della Regione Sicilia), senza  che  tale  limitazione  sia

legata a specifici elementi o parametri  obiettivi.  Anche  i  citati

commi 7 e 8 dell'art. 28 del d.l. n. 201 del  2011,  dunque,  violano

l'art. 3 Cost., sia pel profilo del principio d'eguaglianza  sia  pel

profilo del principio di ragionevolezza, entrambi ancora in relazione

all'art. 7 dello statuto della Sardegna, che  ne  tutela  l'autonomia

finanziaria.

    Autonomia  che  subisce,  come   gia'   riscontrato   per   altre

disposizioni censurate, un secondo pregiudizio, in quanto la  Regione

Sardegna si vede costretta a  surrogarsi  al  fondo  perequativo  nel

finanziare i comuni e le province del proprio territorio  depauperate

dall'intervento statale.

    6.5. Particolarmente  lesivo  delle  attribuzioni  della  Regione

Sardegna e' anche il comma 11-ter dell'art. 28 del d.l.  n.  201  del

2011, come conv. in l. n. 214 del 2011. In esso si  prevede  che  "Al

fine di potenziare il coordinamento della finanza pubblica e' avviata

la ridefinizione delle regole del patto di  stabilita'  interno".  In

particolare,  la  disposizione  in  esame  viola  il   principio   di

ragionevolezza di  cui  all'art.  3  Cost.,  il  principio  di  leale

collaborazione di cui all'art. 5 e all'intero Titolo V della Parte II

Cost., ed in particolare gli artt. 117 e 119 Cost. e 7 dello  Statuto

di autonomia, in quanto, nel prevedere la ridefinizione delle  regole

del patto di stabilita' interno, non tiene in alcun  modo  conto  del

principio dell'accordo con le Regioni ed in particolare con quelle  a

statuto speciale, atteso che il  procedimento  di  ridefinizione  del

patto   di   stabilita'   non   risulta   minimamente   definito   in

contraddittorio con le Regioni.

    La Corte  costituzionale,  con  la  sent.  n.  82  del  2007,  ha

affermato che "il metodo dell'accordo, introdotto per la prima  volta

dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449 [..] e riprodotto  in  tutte  le

leggi  finanziarie  successivamente  adottate   [...]   deve   essere

tendenzialmente preferito ad altri, dato che  «la  necessita'  di  un

accordo  tra  lo  Stato  e  gli  enti  ad  autonomia  speciale  nasce

dall'esigenza  di  rispettare  l'autonomia  finanziaria   di   questi

ultimi»". Da queste affermazioni si deduce inequivocabilmente che  la

disposizione  in  esame,  che   non   contempla   alcuna   forma   di

coinvolgimento delle Regioni, e' certamente violativa  del  principio

di leale collaborazione e, con esso, dell'autonomia finanziaria della

Regione Sardegna e della competenza concorrente della  Regione  nella

materia "Coordinamento della finanza pubblica".

    La disposizione censurata, inoltre, viola l'art.  3  Cost.  anche

perche', senza alcuna ragione giustificatrice, sottrae  la  revisione

delle regole del patto di stabilita'  interno  al  confronto  tra  lo

Stato  e  le  autonomie  territoriali.  Questo  profilo  implica   la

violazione degli artt. 3 e 7 dello Statuto  e  dell'art.  117  Cost.,

nella misura in cui attribuiscono alla Regione Sardegna la competenza

legislativa esclusiva nella materia "finanza locale", Questa materia,

lo si e' detto nei paragrafi precedenti e lo si deve ora ribadire, e'

di competenza esclusiva della Regione Sardegna, in ragione dell'artt.

3, comma 1, lett. b), e 7  dello  statuto  speciale,  come  e'  stato

puntualmente riconosciuto  da  codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale

nella sent. n. 275 del 2007, sopra citata  testualmente.  Non  vi  e'

alcun dubbio, infatti, che la declinazione per gli enti locali  delle

modalita' di attuazione del patto di  stabilita'  interno  non  possa

prescindere  da  un  intervento  regolativo  delle   Regioni   e   in

particolare delle Regioni ad autonomia speciale. Tanto  e'  vero  che

anche  il  legislatore  statale  ormai  da  alcuni  anni  prevede  un

intervento delle Regioni nella c.d. "territorializzazione" del  patto

di stabilita' (si veda l'art. 1, comma 141, della l. n. 220 del 2010,

in cui si dispone che "a decorrere dall'anno 2011, le  regioni  e  le

province autonome di Trento e di Bolzano possono, per gli enti locali

del  proprio  territorio,  integrare  le  regole  e  modificare   gli

obiettivi  posti  dal  legislatore  nazionale,  in   relazione   alla

diversita' delle situazioni finanziarie esistenti", e, in precedenza,

l'art. 24, comma 14, della l. n. 448 del 2001, o l'art. 29, comma 18,

della 1. n. 289 del 2002).

    7. Illegittimita' costituzionale dell'art. 31 del d.l. n. 201 del

2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per violazione degli artt.  3

e 117 Cost. e 3, 4 e 5 dello Statuto speciale della Regione  Autonoma

della Sardegna (l. cost. n. 3 del 1948). L'art. 31 reca il titolo  il

titolo "Esercizi commerciali" e dispone che:

    "1. In materia di esercizi commerciali, all'articolo 3, comma  1,

lettera d-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223,  convertito,

con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, sono  soppresse

le parole: «in via sperimentale» e dopo  le  parole  "dell'esercizio"

sono soppresse le seguenti «ubicato nei comuni inclusi negli  elenchi

regionali delle localita' turistiche o citta' d'arte».

    2. Secondo la  disciplina  dell'Unione  Europea  e  nazionale  in

materia di concorrenza, liberta' di stabilimento e libera prestazione

di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale

la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali sul  territorio

senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli  di  qualsiasi

altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della  salute,  dei

lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei  beni

culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti

alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni  dalla  data  di

entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".

    Come si vede, il comma l ha modificato l'art. 3 del d.l.  n.  223

del 2006,sancendo il principio per cui le attivita' commerciali e  di

somministrazione di alimenti e bevande sono  svolte  senza  limiti  o

prescrizioni concernenti il rispetto degli orari  di  apertura  e  di

chiusura, l'obbligo della  chiusura  domenicale  e  festiva,  nonche'

quello   della   mezza   giornata   di   chiusura    infrasettimanale

dell'esercizio.

    7.1.  La  disposizione  in  esame  e'  lesiva  della   competenza

normativa residuale della Regione in materia di commercio  (ai  sensi

dell'art. 117, commi 3 e  4,  Cost.),  nel  cui  ambito  la  medesima

Regione ha peraltro gia' legiferato (legge regionale 18 maggio  2006,

n. 5, recante "Disciplina generale delle attivita' commerciali").

    A  questo  proposito,  codesta  Ecc.ma  Corte  costituzionale  ha

affermato - la pur lunga citazione e' d'obbligo - che "la  disciplina

degli  orari  degli  esercizi  commerciali  rientra   nella   materia

«commercio» (sentenze n.  288  del  2010  e  n.  350  del  2008),  di

competenza esclusiva residuale delle Regioni,  ai  sensi  del  quarto

comma dell'art. 117 Cost., e che «il  decreto  legislativo  31  marzo

1998, n. 114  (Riforma  della  disciplina  relativa  al  settore  del

commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15  marzo  1997,

n. 59), [...], si applica, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge

5   giugno   2003,   n.   131   (Disposizioni    per    l'adeguamento

dell'ordinamento  della  Repubblica  alla  legge  costituzionale   18

ottobre 2001, n. 3), soltanto alle Regioni che  non  abbiano  emanato

una propria legislazione nella suddetta materia» (sentenze n.  288  e

n. 247 del 2010, ordinanza n. 199 del 2006)" e che  "l'ascrivibilita'

della disciplina degli orari degli esercizi commerciali alla  materia

«commercio» trova ulteriore conferma, a contrario, nell'art. 3, comma

1, del decreto-legge n. 223 del 2006.  Tale  ultima  norma,  infatti,

«nel dettare le regole di tutela della concorrenza nel settore  della

distribuzione commerciale - al fine di garantire condizioni  di  pari

opportunita' ed il corretto ed uniforme  funzionamento  del  mercato,

nonche' di assicurare ai consumatori  finali  un  livello  minimo  ed

uniforme di condizioni di accessibilita' all'acquisto di  prodotti  e

servizi sul territorio nazionale  -  non  ricomprende  la  disciplina

degli orari e della chiusura domenicale o festiva  nell'elenco  degli

ambiti normativi per i quali espressamente esclude che lo svolgimento

di attivita' commerciali  possa  incontrare  limiti  e  prescrizioni»

(sentenza n. 288 del 2010)".

    7.2. Alla luce di queste limpide  statuizioni  appare  chiara  la

lesivita' del primo comma dell'art. 31 del  decreto-legge  impugnato,

per violazione degli artt. 117, commi 3 e 4, cost. Ne' il legislatore

statale  potrebbe   invocare,   a   fondamento   della   legittimita'

dell'articolo censurato, l'attribuzione della competenza  legislativa

esclusiva nella materia "tutela della concorrenza", di  cui  all'art.

117, comma 2, lett. e), Cost. Questo perche' la disciplina  in  esame

non regola l'accesso al commercio e, con esso, la competizione  degli

operatori commerciali, non ha  eliminato  barriere  all'ingresso  nel

mercato, ne' di tipo soggettivo, correlate ai requisiti  personali  e

professionali del commerciante, ne' di tipo oggettivo, correlate  (ad

esempio) al contingentamento dell'offerta,  ne'  ha  eliminato  alcun

onere relativo  allo  svolgimento  dell'attivita'  commerciale,  ne',

infine,  incide  sulle  intese  restrittive  della  concorrenza   tra

imprese,  sull'abuso  di  posizione  dominante   o,   ancora,   sulla

fissazione anticoncorrenziale del livello dei prezzi.

    In definitiva, la disposizione in esame non puo'  in  alcun  modo

essere sussunta nella disciplina c.d. antitrust, pertanto l'art. 117,

comma 2, lett. e),  Cost.  non  puo'  essere  invocato  a  fondamento

normativo della disposizione in esame.

    7.3. Violativo delle attribuzioni della Regione Sardegna e' anche

il comma 2 dell'art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, conv. in l. n.  214

del 2011, sopra riportato.

    Nel  limitare  i  motivi  che  giustificano  la  possibilita'  di

introdurre vincoli all'esercizio dell'attivita' commerciale solamente

alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, e  dei  beni

culturali la disposizione in esame viola gli artt.  3  e  117  Cost.,

nonche' gli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto della Sardegna.

    La Regione, in assenza del vincolo posto dal comma 2 dell'art. 31

in esame,  potrebbe  infatti  individuare,  pur  nel  rispetto  della

disciplina comunitaria, altri motivi imperativi d'interesse  generale

conformi al diritto  comunitario  cui  subordinare  l'apertura  degli

esercizi   commerciali,   anche   nell'esercizio   delle   competenze

legislative attribuite dagli artt. 3, 4 e 5 dello Statuto. E'  quindi

irragionevole (e violativo dell'art. 3 Cost.  in  combinato  disposto

con gli altri parametri sopra indicati) precludere  alla  Regione  di

far valere quei motivi.

    A questo proposito (e solo a  titolo  di  esempio)  e'  opportuno

ricordare che la disposizione in esame non tiene conto,  al  fine  di

determinare  lo  spazio  residuo  per  l'intervento   regionale,   di

finalita' gia' ritenute meritevoli di tutela dallo Stato  con  l'art.

6, comma 1, lett. da a) a e), del d.lgs. n.  114  del  1998,  recante

"Riforma della disciplina  relativa  al  settore  commercio",  ed  in

particolare la  "realizzazione  di  una  rete  distributiva  che,  in

collegamento con le altre funzioni di servizio, assicuri la  migliore

produttivita' del sistema e la qualita' dei  servizi  da  rendere  al

consumatore";  "l'equilibrato  sviluppo   delle   diverse   tipologie

distributive";  la  compatibilita'   dell'impatto   "territoriale   e

ambientale degli insediamenti commerciali con particolare riguardo  a

fattori  quali  la  mobilita',  il  traffico   e   l'inquinamento   e

valorizzare la funzione commerciale al  fine  della  riqualificazione

del tessuto urbano, in particolare per quanto  riguarda  i  quartieri

urbani degradati al fine di  ricostituire  un  ambiente  idoneo  allo

sviluppo del commercio"; la salvaguardia e  la  riqualificazione  dei

"centri   storici   anche   attraverso    il    mantenimento    delle

caratteristiche morfologiche degli insediamenti  e  il  rispetto  dei

vincoli relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale";

la salvaguardia e la riqualificazione della "rete distributiva  nelle

zone di montagna, rurali ed insulari anche attraverso la creazione di

servizi  commerciali  polifunzionali  e  al  fine  di   favorire   il

mantenimento e la ricostituzione del tessuto commerciale".

    Infine, si deve ricordare che l'art. 117, comma 5, Cost.  prevede

che "le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano,  nelle

materie di loro competenza, partecipano alle decisioni  dirette  alla

formazione   degli   atti   normativi   comunitari    e    provvedono

all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e  degli

atti dell'Unione europea,  nel  rispetto  delle  norme  di  procedura

stabilite da legge  dello  Stato,  che  disciplina  le  modalita'  di

esercizio del potere  sostitutivo  in  caso  di  inadempienza".  Cio'

significa che nella disciplina  in  esame,  al  fine  di  attuare  la

normativa comunitaria, lo Stato doveva  tenere  in  debito  conto  le

competenze della Regione Sardegna.

    In conclusione, il secondo comma dell'art. 31 del d.l. n. 201 del

2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, viola gli artt. 3 e117 Cost.,

3, 4 e 5 dello Statuto speciale.

    8. Illegittimita' costituzionale dell'art. 48 del d.l. n. 201 del

2011, come conv. in l. n. 214 del 2011, per violazione degli artt.  7

e 8 dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna  (l.

cost. n. 3 del 1948) e 3, 117 e 119 Cost. L'art. 48  reca  il  titolo

"Clausola di finalizzazione" e dispone che:

    "1. Le maggiori entrate erariali derivanti dal  presente  decreto

sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per  essere

destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi

di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della

eccezionalita'  della  situazione   economica   internazionale.   Con

apposito decreto del Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  da

emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore  della

legge di conversione del  presente  decreto  e  da  trasmettere  alla

Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, sono  stabilite  le

modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso  separata

contabilizzazione.

    1-bis. Ferme restando le disposizioni previste dagli articoli 13,

14 e 28, nonche' quelle recate dal presente articolo, con le norme di

attuazione statutaria di cui all'articolo 27  della  legge  5  maggio

2009, n. 42, e successive modificazioni, sono definiti  le  modalita'

di applicazione e gli effetti finanziari del presente decreto per  le

regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e  di

Bolzano".

    La  previsione  della  riserva  all'erario  delle  entrate  sopra

indicate e' illegittima, per violazione  degli  artt.  7  e  8  dello

Statuto speciale  della  Regione  Sardegna  e  3,  117  e  119  della

Costituzione per i motivi di seguito specificati.

    8.1. In primo luogo, la disposizione  censurata  acquisisce  alla

disponibilita' dello Stato maggiori entrate che dovrebbero essere  di

sicura spettanza  regionale,  quanto  meno  in  notevole  misura.  In

particolare, e solo a titolo di esempio, lo sono le maggiori  entrate

derivanti: i) dall'esclusione e/o rimodulazione del credito d'imposta

per le societa' commerciali (art. 9);  ii)  dall'emersione  di  "base

imponibile" per le attivita' soggette a IVA (art. 10, commi da 1 a  7

e  da  9  a  13,  e  art.  11);  iii)  dall'applicazione  di   misure

sanzionatone per il recupero di crediti non versati  al  fisco  (art.

10, commi 8, 13-quater, 13-decies, lett. b), e c));  d)  nella  parte

del gettito non riservato ai Comuni, dall'anticipazione  sperimentale

dell'imposta municipale  propria  (art.  13);  iv)  nella  parte  del

gettito  non  riservato  ai  Comuni,  dall'istituzione  del   tributo

comunale sui rifiuti e sui servizi (art. 14); v) dalla  rimodulazione

delle aliquote sulle accise per gli idrocarburi (art. 15); vi)  dalle

disposizioni per la tassazione di  auto  di  lusso,  imbarcazioni  ed

aerei (art. 16); vii) dall'aumento  delle  aliquote  IVA  (art.  18);

viii) dalle disposizioni in materia di  imposta  di  bollo  su  conti

correnti, titoli, strumenti e prodotti finanziari nonche' sui  valori

c.d. "scudati" e sulle attivita' finanziarie e  immobiliari  detenute

all'estero (art. 19).

    In materia valgono, anzitutto, i principi stabiliti  dalla  sent.

n. 198 del 1999 di codesta Ecc.ma Corte costituzionale.

    In quel caso la Regione Sardegna censurava gli artt. 1, comma  3,

e 7, del d.l. n.  669  del  1996  che,  rispettivamente,  prevedevano

l'obbligo di un versamento del 20 a titolo di acconto per i "redditi

sottoposti a tassazione separata non soggetti a ritenuta alla  fonte"

e la riserva all'erario  delle  entrate  derivanti  dall'applicazione

dell'intero cit. d.l. n. 669 del 1996.

    L'illegittimita' delle menzionate disposizioni  fu  esclusa  solo

perche' - si disse - "l'art. 1, comma 3, del decreto-legge  impugnato

non da' luogo ad entrate aggiuntive per il fisco: esso  si  limita  a

imporre  una  diversa  modalita'  di  riscossione   per   una   quota

dell'imposta dovuta [...] Non si avranno  comunque  entrate  «nuove»,

diverse e aggiuntive rispetto a  quelle  derivanti  dall'applicazione

della legislazione tributaria previgente, e  alle  quali  lo  statuto

prevede la compartecipazione della Regione in  quote  prefissate.  Se

non vi sono nuove entrate derivanti  dall'applicazione  dell'art.  1,

comma 3, del decreto, l'art. 7 del medesimo, che dispone  la  riserva

allo Stato delle sole entrate che derivano da esso, cioe' che in esso

trovano la loro fonte, non puo'  trovare  applicazione  agli  importi

riscossi a titolo di acconto  sull'imposta  dovuta  in  relazione  ai

redditi a tassazione separata".

    Cio' considerato, codesta Ecc.ma Corte costituzionale affermo' in

maniera cristallina che "una diversa interpretazione porterebbe,  del

resto,  ad  una  palese  elusione  delle  previsioni  degli   statuti

speciali, che prevedono, come nel caso  della  Regione  Sardegna,  la

partecipazione delle Regioni al gettito di  determinate  imposte.  Se

bastasse, infatti, la modifica delle modalita'  e  quindi  del  tempo

della riscossione, senza alcun aumento del gettito  complessivo,  per

consentire l'avocazione allo Stato di quote del gettito medesimo,  si

verificherebbe [l'effetto] di avocare allo Stato l'intero importo  di

un  gettito  tributario  (corrispondente  agli  acconti  versati)  in

precedenza ripartito fra lo Stato stesso e  la  Regione.  All'aumento

delle entrate a favore dello Stato,  derivante  da  tale  avocazione,

farebbe riscontro una diminuzione del gettito a favore della Regione,

la quale verrebbe a  partecipare  al  gettito  della  sola  quota  di

imposte  riscossa,  a  conguaglio,  sulla  base  della   liquidazione

effettuata dagli uffici, e non piu', come per il passato, dell'intero

importo  di  esse.  Cio'  [...]  si  tradurrebbe  in   una   modifica

surrettizia dell'ordinamento finanziario della Regione, garantito sul

piano   costituzionale   dalle   disposizioni   dello   statuto,    e

modificabile,  bensi',  con   legge   ordinaria,   ma   solo   previa

consultazione della Regione  stessa  (art.  54  stat.  spec.  per  la

Regione Sardegna)".

    Ora, non e' dubbio che almeno le entrate derivanti dal  contrasto

all'evasione non possano essere acquisite al patrimonio dello  Stato,

se non si vogliono violare i principi stabiliti dalla  pronuncia  ora

riportata.  Tali   entrate,   infatti,   non   derivano   da   alcuna

modificazione normativa della  disciplina  dei  singoli  tributi,  ma

semplicemente dalla messa in  opera  dei  meccanismi  di  lotta  alla

sottrazione al dovere di solidarieta' fiscale. La Regione,  pertanto,

subirebbe, paradossalmente, la diminuzione  di  entrate  cui  avrebbe

avuto diritto qualora le relative somme  fossero  state  regolarmente

versate.  Acquisire  tali  entrate   allo   Stato,   in   definitiva,

significherebbe ridurre le entrate regionali, proprio come  la  sent.

n. 198 del 1999 aveva escluso si potesse fare.

    Nemmeno la previsione di riserva allo Stato delle altre  entrate,

pero', nel caso di specie, si sottrae a censura. Si deve considerare,

infatti, che, per le ragioni gia' esposte  in  precedenza,  l'attuale

regime delle risorse della  Regione  Sardegna  e'  riconosciuto  come

insufficiente. E' pertanto illegittimo, per violazione degli artt.  7

e 8 dello Statuto, e 117 e 119  della  Costituzione,  riservare  allo

Stato entrate che,  invece,  debbono  essere  destinate  almeno  alla

riduzione di tali insufficienze, constatate addirittura da una  norma

statutaria (l'art. 8). Ed e'  specificamente  irragionevole  (percio'

violativo  dell'art.  3  Cost.,   in   combinato   disposto   con   i

summenzionati parametri) disporre di risorse pubbliche in  modo  tale

da distrarle alla destinazione che sarebbe stata  la  piu'  logica  e

coerente, onde impiegarle al generico fine  di  raggiungere  generici

obiettivi di finanza pubblica.

    8.2. Per le ragioni anzidette, l'art. 48 del d.l. n. 201 del 2011

viola l'art. 8 dello Statuto, che, come  indicato,  attribuisce  alla

Regione una partecipazione maggioritaria  o  addirittura  totalitaria

alle entrate che lo Stato, ora,  vorrebbe  riservarsi.  E'  parimenti

violato, pero', anche l'art. 7 dello  Statuto,  che  garantisce  alla

Regione un'adeguata autonomia finanziaria, e sono  parimenti  violati

gli artt. 117 e 119 della  Costituzione,  che  confermano  la  tutela

della particolare autonomia  economico-finanziaria  della  Regione  e

attribuiscono alla Sardegna la competenza concorrente  nella  materia

del coordinamento della finanza pubblica.  E'  altresi'  violato,  in

combinato disposto con i parametri ora invocati, l'art. 3 Cost.,  per

l'evidente irragionevolezza della  scelta  di  acquisire  allo  Stato

risorse che per definizione (in base, cioe', alle  stesse  previsioni

statutarie  e  alla  logica,  visto  che  le  entrate  cui  esse   si

riferiscono erano state destinate a coprire il fabbisogno  regionale)

sono funzionali al soddisfacimento di esigenze che statali non  sono,

tanto piu' che e' parimenti  irragionevole  perseguire  l'intento  di

raggiungere obiettivi di finanza pubblica  dello  Stato  sacrificando

quelli delle Regioni, quasi che l'equilibrio  finanziario  non  fosse

affare dell'intera Repubblica, ai sensi dell'art. 114 Cost.

    8.3. Ulteriore motivo di illegittimita', di nuovo per  violazione

dei parametri gia' invocati, sta nel fatto  che  la  norma  impugnata

stabilisce un periodo di  tempo  lunghissimo  (cinque  anni!)  e  non

prevede uno scopo specifico al quale destinare il sacrificio  imposto

alla Regione, ma si limita ad invocare generiche esigenze di  finanza

pubblica  (previsione,  questa,  assolutamente  insufficiente  quanto

ovvia, essendo per definizione ogni forma di imposizione fiscale tesa

ad attuare obiettivi e finalita' di finanza pubblica). Se  ne  evince

l'assoluta  irragionevolezza  della   previsione,   che   non   tiene

minimamente conto delle esigenze regionali e opera  come  se  esse  -

assieme  alle  norme  di   rango   costituzionale   che,   garantendo

l'autonomia regionale, le tutelano - non esistessero.

    8.4. Da ultimo, si deve  rilevare  che  i  vizi  di  legittimita'

costituzionale contestati all'art. 48 del d.l. n. 201  del  2011  non

sono esclusi dalla previsione di cui al successivo  comma  1-bis,  in

cui si prevede che "Ferme restando  le  disposizioni  previste  dagli

articoli 13, 14 e 28, nonche' quelle recate  dal  presente  articolo,

con le norme di attuazione statutaria di cui  all'articolo  27  della

legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, sono definiti

le modalita' di applicazione e gli effetti  finanziari  del  presente

decreto per le regioni a statuto speciale e per le province  autonome

di Trento e di Bolzano". Tale disposizione, infatti, non e' idonea  a

limitare l'acquisizione allo Stato della quota  di  compartecipazione

statutariamente prevista per la Regione Sardegna, in quanto rinvia  a

future determinazioni  solo  "le  modalita'  di  applicazione  e  gli

effetti finanziari" del decreto legge censurato, senza prevedere  che

la Regione possa fruire  della  quota  di  compartecipazione  che  le

spetta in ragione delle norme statutarie.

 

 

                               P.Q.M.

 

    Chiede che, in accoglimento del presente ricorso, codesta  ecc.ma

Corte    costituzionale    voglia     dichiarare     l'illegittimita'

costituzionale degli articoli 13, 14,  comma  13-bis,  1°,  2°  e  3°

periodo, 16, commi da 2 a 15-ter, 23, commi da 14 a 22, 28, commi  3,

7, 8 e 11-ter, 31 e 48, del decreto-legge 6 dicembre  2011,  n.  201,

pubblicato in G.U. n. alla Gazz.  Uff.,  6  dicembre  2011,  n.  284,

Suppl. ordinario n. 251, convertito in legge  22  dicembre  2011,  n.

214, pubblicata in G.U. 27 dicembre 2011, n. 300, Suppl. Ordinario n.

276.

        Cagliari-Roma, 22 febbraio 2012

 

                   Avv. Ledda - Avv. Prof. Luciani

 

 

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