Ricorso n. 47 del 7 agosto 2008 (Presidente del Consiglio dei ministri)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 agosto 2008 , n. 47
Depositato in cancelleria il 20 agosto 2008 (del Presidente del Consiglio dei ministri)
(GU n. 41 dell'1-10-2008)
Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicila in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Contro la Provincia autonoma di Bolzano, in persona del Presidente della Giunta provinciale pro tempore, per la declaratoria di incostituzionalita' in parte qua, degli artt. 14, 15 e 16 della legge provinciale 10 giugno 2008, n. 4, pubblicata nel B.U.R. n. 26 del 24 giugno 2008, avente ad oggetto «Modifiche di leggi provinciali in vari settori e altre disposizioni», giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 1 agosto 2008. 1. - La legge della Provincia autonoma di Bolzano 10 giugno 2008, n. 4, composta di 49 articoli e 8 allegati, apporta modifiche a precedenti leggi provinciali riguardanti i seguenti settori: I. procedimento amministrativo, personale, contabilita', finanza locale e servizi pubblici locali; II. urbanistica; III. energia, ambiente e tutela del lavoro; IV. agricoltura, foreste e protezione degli animali; V. lavori pubblici, sostegno dell'economia, turismo, esercizi pubblici ed espropriazioni; VI. commercio, formazione professionale, apprendistato, universita', ricerca scientifica e scuola; VII. sanita', assistenza e beneficenza. In particolare, nel capo III concernente energia, ambiente e tutela del lavoro, vengono dettate modifiche alla disciplina in materia di tutela del paesaggio ed urbanistica. Censurabili sotto il profilo della legittimita' costituzionale appaiono le disposizioni contenute negli artt. 14, 15 e 16, secondo quanto si passa ad illustrare e motivare. 2. - In via generale si osserva che, nonostante la provincia, ai sensi dell'art. 8, comma 1, punti nn. 5 e 6, del d.P.R. n. 670/1972 recante lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, abbia una potesta' legislativa primaria in materia di «tutela del paesaggio» e «urbanistica» e, ai sensi dell'art. 9, punto 10, competenza legislativa concorrente in materia di «igiene e sanita», secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale, confermata dalla sentenza n. 378/2007, la potesta' di disciplinare l'ambiente nella sua interezza spetta in via esclusiva allo Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, il quale, come e' noto, parla di «ambiente» (ponendovi accanto la parola «ecosistema») in termini generali e onnicomprensivi. Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l'ambiente come una entita' organica, dettare cioe' delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto. Peraltro, la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sent. n. 151/1986) ed assoluto (sent. n. 210/1987) e deve garantire, come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore. La disciplina unitaria del bene complessivo ambiente rimessa in via esclusiva allo Stato viene, quindi, a prevalere su quella dettata dalle regioni o dalle province autonome in materie di competenza propria ed in riferimento ad altri interessi. Cio' comporta che la disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l'ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a porsi come un limite alla disciplina che le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza, come ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 380/2007. Pertanto, nelle materie oggetto di disciplina della legge in esame il legislatore provinciale, nell'esercizio della propria competenza legislativa, e' sottoposto al rispetto degli standards minimi ed uniformi di tutela posti in essere dalla legislazione nazionale, ex art. 117, secondo comma, lettera s) Cost., oltre che al rispetto della normativa comunitaria di riferimento secondo quanto disposto dall'art. 8, comma 1, dello statuto speciale e dall'art. 117, primo comma della Costituzione. La Corte costituzionale ha di recente ribadito nella pronuncia n. 62/2008 che rientra nell'ambito della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» il potere dello Stato di determinare principi di tutela uniformi da valere sull'intero territorio nazionale, in particolare precisando che «la competenza legislativa esclusiva in materia di " tutela del paesaggio'' e "urbanistica'' e la competenza legislativa concorrente in materia di "igiene e sanita'" possono costituire un valido fondamento dell'intervento provinciale, ma tali competenze devono essere esercitate nel rispetto dei limiti generali di cui all'art. 4 dello statuto speciale, richiamati dall'art. 5 ...». Sulla base di queste premesse sono censurabili, perche' invasive della competenza esclusiva statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s) della Costituzione ed in violazione dei vincoli posti al legislatore provinciale dagli artt. 8 e 9 dello Statuto, le disposizioni della legge che si passa a censurare. 3.1. - L'art. 14, intitolato «Modifiche della legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8, "Disposizioni sulle acque" », al comma 2, definisce le acque reflue urbane «il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato»; tale definizione non rispetta quella di acque reflue urbane recata dall'art. 74, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 152/2006 come modificato dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, secondo cui sono acque reflue urbane le «acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali ovvero meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate e provenienti da agglomerato». Tale disposizione e' illegittima nella misura in cui la Provincia non considera autonomamente la categoria delle «acque reflue domestiche», come invece impone la normativa statale citata che a tale classificazione fa corrispondere specifiche discipline. La ratio di tale distinzione deriva dal diverso regime cui le acque reflue sono assoggettate in relazione alla loro provenienza, in particolare per il controllo dei valori (se le acque reflue domestiche fossero scaricate in reti fognarie, anche separatamente, e provenissero da un agglomerato non vi sarebbero valori limite per i relativi scarichi, perche' l'Allegato 5 al decreto legislativo n. 4/2008 fissa i limiti allo scarico delle acque reflue urbane che in sede nazionale e comunitaria - Direttiva 91/271/CEE - riguardano sia il miscuglio delle acque reflue domestiche e industriali sia solo le acque reflue domestiche) e per il regime autorizzatorio ai sensi degli articoli 101, commi 1 e 2 e 124 del d.lgs. n. 152/2006. La omissione di una considerazione autonoma delle «acque reflue domestiche» imposta dalla legge statale nei termini sopra richiamati comporta, quindi, la illegittimita' della norma provinciale. 3.2. - L'art. 15 introduce alcune modifiche alla legge provinciale 16 marzo 2000, n. 8, recante norme per la tutela della qualita' dell'aria. In particolare tale articolo detta alcune disposizioni in materia di autorizzazione ed esercizio degli impianti che producono emissioni in atmosfera, materia disciplinata a livello statale dalla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Secondo quanto disposto dall'art. 15, commi 3 e 4, della legge in esame, recante modifica dell'art. 5 della legge provinciale 16 marzo 2000, n. 8, il gestore dell'impianto deve presentare all'Agenzia provinciale per l'ambiente, almeno quindici giorni prima della messa in esercizio, la domanda di autorizzazione alle emissioni, indicando la data di entrata in esercizio dell'impianto; la domanda deve essere corredata da una dichiarazione del gestore che attesta la conformita' dell'impianto realizzato con il progetto precedentemente approvato ai sensi dell'art. 4 della citata legge provinciale n. 8/2000; la presentazione di tale documentazione consente l'entrata in esercizio degli impianti; successivamente, l'Agenzia provinciale per l'ambiente, entro novanta giorni dall'entrata in esercizio degli impianti, esegue il collaudo degli stessi e rilascia l'autorizzazione alle emissioni. Tali disposizioni si pongono in contrasto con quanto disposto dalla citata normativa statale di riferimento: l'art. 269 del decreto legislativo n. 152/2006, infatti, stabilisce che per tutti gli impianti che producono emissioni deve essere richiesta un'autorizzazione ai sensi della parte quinta dello stesso decreto e l'art. 279 individua una specifica sanzione per chi inizia a installare o esercisce un impianto o esercita un'attivita' in assenza della prescritta autorizzazione. Appare pertanto evidente che, secondo la legislazione statale, l'ottenimento dell'autorizzazione da parte del gestore dell'impianto deve precedere l'avvio dell'installazione dell'impianto, considerato che non si puo' ritenere come autorizzazione alle emissioni in atmosfera la preliminare approvazione del progetto di cui all'art. 4 della legge provinciale n. 8/2000, in quanto tale approvazione non contiene alcuno degli elementi previsti dall'art. 269, commi 4 e 5 del decreto legislativo n. 152/2006. Le disposizioni della legge provinciale in esame sono illegittime perche', discostandosi dalla puntuale legislazione nazionale di riferimento, consentono l'esercizio di impianti che producono emissioni senza il previo rilascio di specifica autorizzazione secondo i canoni indicati dall'art. 269 del decreto legislativo n. 152/2006 ed ai sensi del complesso delle disposizioni contenute nella sua parte quinta, rispetto ai quali non sono coincidenti ne' surrogabili i diversi e piu' limitati elementi contemplati nei commi 3 e 4 dell'art. 15 oggetto di censura (e nella approvazione del progetto di cui al richiamato art. 4, 1.r. n. 8/2000), sia quanto alle prescrizioni e condizioni per il rilascio dell'autorizzazione, secondo i commi 2-3 del d.lgs. n. 152, sia quanto al contenuto della detta autorizzazione, secondo i commi 4-5. 3.3. - L'art. 15, comma 6, recante modifica dell'art. 7 della legge provinciale 16 marzo 2000, n. 8, stabilisce che un impianto termico si definisce civile quando la produzione di calore e' prevalentemente destinata al riscaldamento di edifici o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari. La norma statale di riferimento e' costituita dall'art. 283, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 152/2006 che definisce come impianto termico civile «l'impianto termico la cui produzione di calore e' destinata, anche in edifici ad uso non residenziale, al riscaldamento o alla climatizzazione di ambienti o al riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari». Detta norma nella definizione di impianto termico civile non contempla alcun utilizzo del calore prodotto per fini diversi dal riscaldamento e dalla climatizzazione di ambienti o dal riscaldamento di acqua per usi igienici e sanitari; pertanto, nel caso in cui l'energia prodotta non sia destinata a tali fini esclusivamente ma solo prevalentemente, l'impianto non puo' essere considerato un impianto termico civile. La disposizione provinciale e', quindi, illegittima perche' elimina quella caratteristica di esclusivita' contemplata dalla norma statale, con compromissione dell'esigenza di uniformita' di disciplina perseguita dal legislatore nazionale e con ulteriori conseguenze e discrasie nella regolamentazione della materia, contrarie agli scopi perseguiti dal legislatore nazionale in punto di sicurezza degli impianti e controllo delle emissioni: tale difformita', infatti, porterebbe a sottrarre dal campo di applicazione del titolo I della parte quinta del decreto legislativo n. 152/2006 un numero elevato di impianti che, se qualificati come termici civili, sarebbero soggetti alla meno cautelativa disciplina del titolo II della suddetta parte quinta (si ricorda che l'obbligo della preventiva autorizzazione di cui all'art. 269 si applica ai soli impianti di cui al titolo I, mentre per gli impianti ricadenti nel campo di applicazione dei titolo II e' prevista una mera denuncia di installazione o modifica). 3.4. - L'art. 16, comma 1, della legge in esame modifica la lettera c) del comma 1 dell'art. 3 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, riscrivendo la definizione di «sottoprodotto»; in particolare, al punto 5, prevede che «la Giunta provinciale stabilisce i criteri secondo i quali le terre e rocce da scavo sono considerati come sottoprodotti». Tale previsione e' illegittima per le stesse ragioni evidenziate nella sentenza della Corte costituzionale n. 62/2008, in quanto, «sottraendo alla nozione di rifiuto taluni residui che, invece, corrispondono alla definizione sancita dall'art. 1, lettera a), della direttiva 2006/12/CE, si pone in contrasto con la direttiva medesima, la quale funge da norma interposta atta ad integrare il parametro per la valutazione di conformita' della normativa regionale all'ordinamento comunitario, in base all'art. 117, primo comma, della Costituzione». Come ricordato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza, «la Corte di giustizia ha precisato che la modalita' di utilizzo di una sostanza non e' determinante per qualificare o meno quest'ultima come rifiuto, poiche' la relativa nozione non esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Il sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva sui rifiuti intende, infatti, riferirsi a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo... La norma provinciale fa sorgere la presunzione che, nelle situazioni da esse previste, le terre e rocce da scavo costituiscano sottoprodotti che presentano per il loro detentore, data la sua volonta' di riutilizzarli, un vantaggio o un valore economico anziche' un onere di cui egli cercherebbe di disfarsi. Se tale ipotesi in determinati casi puo' corrispondere alla realta', non puo' esistere alcuna presunzione generale in base alla quale un detentore di terre e rocce da scavo tragga dal loro riutilizzo un vantaggio maggiore rispetto a quello derivante dal mero fatto di potersene disfare.». Per le stesse ragioni, quindi, anche la disposizione in esame va dichiarata illegittima. 3.5. - L'art. 16, comma 4, modifica la lettera b) del comma 3 dell'art. 19 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, prevedendo l'esonero dall'obbligo di tenuta del formulario di trasporto dei rifiuti per «i trasporti di rifiuti che non eccedano la quantita' di 30 chilogrammi o 30 litri al giorno, effettuati dal produttore di rifiuti stessi non a titolo professionale. In questo caso il gestore dell'impianto di trattamento deve lasciare una conferma scritta, secondo le modalita' fissate dalla Giunta provinciale». Siffatta norma contrasta sia con la normativa nazionale che con quella comunitaria. Infatti, l'art. 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, esonera dall'obbligo di tenuta del formulario soltanto «i trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantita' di trenta chilogrammi o di trenta litri». Ed ancora l'art. 5, comma 3 della direttiva 12 dicembre 1991, n. 91/689/CEE dispone che «i rifiuti pericolosi, qualora vengano trasferiti, devono essere accompagnati da un formulano di identificazione». Come gia' rilevato dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 62/2008, «il legislatore statale, invero, ha istituito un regime piu' rigoroso di controlli sul trasporto dei rifiuti pericolosi, in ragione della loro specificita' (artt. 1 78, comma 1, e 184 del d.lgs. n. 152 del 2006) e in attuazione degli obblighi assunti in ambito comunitario, in base ai quali "per quanto riguarda i rifiuti pericolosi i controlli concernenti la raccolta ed il trasporto riguardano l'origine e la destinazione dei rifiuti'' (art. 5, comma 2, della direttiva 91/689/CEE del 12 dicembre 1991, relativa ai rifiuti pericolosi), poiche' "una corretta gestione dei rifiuti pericolosi richiede norme supplementari e piu' severe che tengano conto della natura di questi rifiuti'' (quarto considerando della direttiva citata). Il formulario d'identificazione, strumento indicato dall'art. 5, comma 3, della citata direttiva 91/689/CEE, in mancanza del quale la legge statale, ove i rifiuti siano pericolosi, commina sanzioni penali (art. 258, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006), consente di controllare costantemente il trasporto dei rifiuti, onde evitare che questi siano avviati per destinazioni ignote. La relativa disciplina statale, proponendosi come standard di tutela uniforme in materia ambientale, si impone nell'intero territorio nazionale e non ammette deroghe quali quelle previste dall'art. 19, comma 3, lettera b), della legge provinciale in esame». Per le stesse ragioni e' illegittima la disposizione contenuta nell'art. 16, comma 4, oggetto di censura. 3.6. - L'art. 16, comma 6, integra il contenuto dell'art. 20, comma 2 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, con il seguente terzo comma: «Con riguardo all'obbligo ed alle modalita' di iscrizione all'albo nazionale, la Giunta provinciale puo' emanare disposizioni per regolamentare le procedure e l'obbligo di iscrizione». Tale previsione si pone in evidente contrasto con l'art. 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che disciplina analiticamente ed in maniera inderogabile le procedure, i termini e le procedure di iscrizione all'Albo nazionale dei gestori ambientali. Ancora una volta si deve rilevare che identico vizio della norma provinciale era stato gia' censurato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 62/2008: «l'iscrizione all'Albo e' posta dal legislatore statale in correlazione con l'esigenza di dare attuazione a direttive comunitarie (art. 12 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2006/12/CE del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti, e, prima, art. 12 della direttiva del Consiglio 75/442/CEE del 15 luglio 1975, relativa ai rifiuti; Corte di giustizia, sentenza 9 giugno 2005, in causa C-270/03, Commissione c. Repubblica italiana) ... L'adozione di norme e condizioni per l'esonero dall'iscrizione ovvero per l'applicazione in proposito di procedure semplificate attiene necessariamente alla competenza statale, nell'osservanza della pertinente normativa comunitaria». Ancora, consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale insegna che il settore delle professioni turistiche ricade nella materia delle «professioni» nella quale Stato e regioni hanno competenza legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. (ex plurimis, sent. 197/2003), con la conseguenza che la Regione e' tenuta a legiferare nel rispetto dei principi fondamentali dettati dal legislatore nazionale, cui spetta di individuare le figure professionali, con i relativi ordinamenti didattici e l'istituzione degli albi (v. sent. nn. 355/2005, 153/2006, 423-424/2006, 449/2006, 57/2007). La disposizione provinciale oggetto di censura e' illegittima, quindi, per le ragioni esposte, in quanto attribuisce alla Giunta regionale la competenza ad emanare disposizioni regolamentari per l'iscrizione all'albo professionale oggetto di intervento. 3.7. - L'art. 16, comma 7, sostituisce l'art. 24 della legge provinciale 26 maggio 2006, n. 4, disponendo al comma 6 che: «Per lo svolgimento delle singole campagne di attivita' sul territorio provinciale 1'interessato, munito di autorizzazione, rilasciata anche da altre regioni, almeno quindici giorni prima dell'installazione dell'impianto deve comunicare all'Agenzia provinciale le specifiche dettagliate relative alla campagna di attivita', allegando l'autorizzazione stessa e l'iscrizione all'Albo nazionale di cui all'art. 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonche' l'ulteriore documentazione richiesta al fine di documentare il rispetto delle norme ambientali. Decorso questo termine ovvero in presenza del nulla osta dell'Agenzia provinciale l'attivita' puo' essere iniziata.». La norma non innova sostanzialmente rispetto a quella previgente ma deve essere censurata laddove, in contrasto con l'art. 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, prevede il termine di quindici giorni, invece che di sessanta, per la comunicazione all'Agenzia provinciale dell'installazione dell'impianto. La disposizione provinciale e', quindi, illegittima perche' si discosta da quella nazionale di riferimento e comporta una violazione delle finalita' perseguite dal legislatore nazionale, laddove, poiche' in assenza di formali rilievi da parte dell'amministrazione competente e' consentito l'avvio dell'attivita', la rilevante diminuzione del termine previsto a livello nazionale limita in modo sostanziale la possibilita' per l'amministrazione stessa di effettuare un adeguato controllo ed una efficace istruttoria, svilendo cosi' le garanzie di tutela ambientale. 4. - In conclusione, la normativa provinciale in questione, dettando disposizioni confliggenti con la normativa nazionale vigente, espressione della potesta' legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione, nonche' con disposizioni di derivazione comunitaria, in violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., eccede dalle competenze provinciali di cui agli articoli 8 e 9 dello Statuto speciale di autonomia di cui al d.P.R. n. 670/1972 e va dichiarata illegittima per violazione dei suddetti parametri. Si aggiunge, infine, che le norme contenute nell'art. 14, commi 1 e 5, sostituendo il testo in lingua tedesca delle lettere j) e aa) del comma 1 dell'art. 2 della legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8, e non riportando la formulazione delle stesse in lingua italiana violano l'art. 99 dello statuto speciale di autonomia (d.P.R. n. 670/1972) secondo cui la lingua italiana e' la lingua ufficiale dello Stato e fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali e' prevista la redazione bilingue. Tanto premesso e considerato, giusta delibera del Consiglio dei ministri in data 1 agosto 2008.
P. Q. M. Si chiede che la Corte costituzionale adita voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli 14, comma 2; 15, commi 3, 4, e 6; 16, commi 1, 4, 6 e 7 della legge provinciale 10 giugno 2008, n. 43 della Provincia autonoma di Bolzano, nonche' dell'art. 14, commi 1 e 5, stessa legge per le ragioni sopra indicate, per violazione dell'art. 117, commi primo e secondo, della Costituzione e degli articoli 8 e 9 dello statuto speciale di autonomia di cui al d.P.R. n. 670/1972. Si produrra' copia della delibera del Consiglio dei ministri. Roma, addi' 7 agosto 2008 L'Avvocato dello Stato: Giuseppe Albenzio