Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 5 marzo 2012 (della Regione Toscana). 
 
 
(GU n. 16 del 18.04.2012 )  
 
 
 
     Ricorso della Regione Toscana (P. IVA …),  in  persona
del  Presidente  pro  tempore   della   Giunta   Regionale   Toscana,
autorizzato con deliberazione della Giunta regionale  n.  38  del  24
gennaio 2012,  rappresentato  e  difeso,  per  mandato  in  calce  al
presente atto, dall'Avv. Lucia Bora (c.f.:    -  fax ..   -    PEC:    …),
domiciliato presso lo studio dell'Avv. Marcello Cecchetti,  in  Roma,
Via A. Mordini 14; 
    Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro  tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 31, comma
1, del decreto-legge n. 201/2011, cosi' come convertito con legge  22
dicembre 2011, n. 214, pubblicata nella G.U. n.  300,  S.O.,  del  27
dicembre 2011, per violazione degli artt. 117, comma 4 e 118 Cost. 
 
                                Fatto 
 
    Sulla G.U. Serie generale n. 300, S.O., del 27 dicembre  2011  e'
stata pubblicata la legge 22 dicembre 2011, n.  214  di  conversione,
con modificazioni, del decreto-legge 6 dicembre 2011 n.  201  recante
Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e  il  consolidamento
dei conti pubblici. 
    Per i fini qui in rilievo,  l'art.  31,  comma  1,  del  suddetto
decreto introduce alcune modificazioni alla lettera d-bis)  dell'art.
3 d.l. n. 223/2006 (convertito in legge n.  248/2006),  disciplinando
nuovamente in materia di orari e giorni di  apertura  degli  esercizi
commerciali. 
    La lettera d-bis) di  cui  si  tratta  e'  stata  originariamente
introdotta dall'art. 35, comma 6, d.l. n. 98/2011 nell'elencazione di
cui all'art. 3, comma 1, del d.l. n. 223/2006 (convertito in legge n.
248/006): in particolare con la disposizione su richiamata  lo  Stato
ha previsto  che  le  attivita'  commerciali,  come  individuate  dal
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, nonche'  le  attivita'  di
somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza il  limite,
tra gli altri, del «rispetto degli orari di apertura e  di  chiusura,
l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche'  quello  della
mezza giornata di chiusura  infrasettimanale  dell'esercizio  ubicato
nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche
o citta' d'arte» (comma 6). 
    A tal fine, al successivo comma 7, si e' previsto inoltre che  le
Regioni  e  gli  enti  locali  adeguino   le   proprie   disposizioni
legislative e regolamentari entro il 31 dicembre 2011. 
    Con ricorso notificato in data  12  settembre  2011,  la  Regione
Toscana ha proposto la questione di legittimita' costituzionale,  tra
gli altri, dell'art. 35, commi 6 e 7, del predetto  d.l.  n.  98/2011
(la discussione del ricorso e' stata fissata per il giorno 18  aprile
2012). 
    In relazione a detto articolo,  la  Regione  ha  evidenziato  di'
fronte  alla  Corte  costituzionale  la  lesione   delle   competenze
regionali costituzionalmente garantite in materia di commercio  e  di
turismo attribuite in  via  esclusiva  alle  Regioni,  in  violazione
dell'art. 117, comma 4, e dell'art. 118 Cost. 
    Il su citato art. 35, commi 6,  del  d.l.  n.  98/2011  e'  stato
quindi  modificato  dall'art.  31  del  d.l.  n.  201/2011   (oggetto
dell'odierno ricorso), che e' intervenuto in ordine  alla  disciplina
degli esercizi commerciali in relazione a due differenti aspetti: 
        con il primo comma (qui contestato)  ha  disposto  la  citata
modifica  della  lettera  d-bis)  dell'art.  3  d.l.   n.   223/2006,
espungendo  il  riferimento  ai  comuni  turistici  e  citta'  d'arte
inseriti negli elenchi, e  alla  sperimentalita'  dell'operazione  in
merito  agli  orari  e/o  ai  giorni  di  apertura   degli   esercizi
commerciali. L'art. 31 non e' invece intervenuto  sul  termine  entro
cui le Regioni devono adeguare la propria  normativa  in  materia  di
orari dei negozi, rimanendo quindi fermo il termine del  31  dicembre
2011, disposto dall'art. 35, comma 7, d.l. n. 98/2011; 
        con il secondo comma (non contestato dalla Regione  Toscana),
l'art.  31  ha  invece  disciplinato  il  diverso  profilo   relativo
all'avvio di nuove attivita' commerciali, che non  puo'  piu'  essere
sottoposto a contingenti, limiti territoriali e/o  altri  vincoli  di
qualsiasi natura,  eccetto  i  vincoli  connessi  alla  tutela  della
salute, dei lavoratori e dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano
e dei beni  culturali;  ed  ha  previsto,  con  riferimento  a  detta
disciplina, il termine dei novanta giorni dalla data  di  entrata  in
vigore della legge di  conversione  n.  214/2011,  per  l'adeguamento
delle Regioni. 
    La Regione Toscana, successivamente all'entrata in  vigore  della
legge di  conversione  del  c.d.  Decreto  Monti  (entro  il  termine
prescritto dall'art. 35, comma 7, d.l.  n.  98/2011),  e'  nuovamente
intervenuta sulla disciplina degli orari di apertura  degli  esercizi
commerciali con gli artt. 88 e 89 della l.r. n.  66/2011,  che  hanno
sostituto gli artt. 80 e 81 della l.r. n. 28/2005, nel  rispetto  dei
principi nazionali. 
    In particolare, il nuovo art. 80 non distingue  piu'  tra  comuni
turistici e non, e, inoltre, non contiene piu' alcun riferimento alle
fasce orarie entro cui  tenere  aperti  i  negozi  (con  possibilita'
quindi di programmare aperture notturne); non solo, il  limite  delle
13  ore  giornaliere,  cosi'  come  le  limitazioni   alle   aperture
dominicali e festive, sono derogabili  dal  Comune,  senza  specifica
motivazione, previa concertazione con le  parti  sociali  interessate
(commi 1 e 2 per gli orari di apertura e commi 5 e 6, nonche' commi 7
e 8 per le chiusure domenicali e festive). 
    La Regione Toscana ritiene pertanto di aver disciplinato, con  la
l.r. n. 66/2011, la materia degli orari e giornate di apertura  degli
esercizi commerciale non ponendo sostanzialmente ulteriori limiti per
l'accesso al mercato, ma limitandosi a regolamentare  aspetti  propri
inerenti la materia del commercio  e  comunque  rispettando  i  nuovi
orientamenti espressi dal legislatore statale in  materia:  anche  la
modifica regionale, infatti, va nel senso  delle  liberalizzazioni  e
della semplificazione, limitandosi a dettare alcune regole relative a
profili di competenza residuale delle Regioni. 
    In tesi pertanto si evidenzia che non  sussiste  alcun  contrasto
tra le due richiamate normative (art. 31, comma 1, d.l. n. 201/2011 e
artt. 80 e 81 l.r. n. 66/2011). 
    Il presente ricorso e' quindi proposto, in via  cautelativa,  nel
caso in cui l'art. 31, comma 1,  in  parola  fosse  interpretato  nel
senso di precludere qualsiasi  intervento  legislativo  regionale  in
materia di orario degli esercizi commerciali. 
 
                               Diritto 
 
    Violazione  dell'art.  117,  comma  4,  e  dell'art.  118   della
Costituzione. 
    Come  evidenziato  in  fatto,  sulla   specifica   materia   oggi
disciplinata  dall'art.  31  comma  1,  d.l.  n.  201/2011  era  gia'
intervenuto il decreto-legge n. 98/2011, che con l'art. 35, comma  6,
ha introdotto ex novo la lett. d-bis) all'art. 3, comma  1,  d.l.  n.
223/2006. La norma nel testo originario di cui al d.l. n. 98  citato,
stabiliva che le attivita' commerciali, come individuate dal  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e le attivita' di somministrazione
di alimenti e bevande, sono svolte senza il limite,  tra  gli  altri,
del «rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo  della
chiusura domenicale e festiva, nonche' quello della mezza giornata di
chiusura infrasettimanale dell'esercizio ubicato nei  comuni  inclusi
negli elenchi regionali delle localita' turistiche o  citta'  d'arte»
(comma 6). 
    L'art. 31, comma 1, qui contestato, ha ampliato ulteriormente  la
disposizione in parola in quanto e' stato eliminato ogni  riferimento
ai comuni turistici e citta' d'arte inseriti negli elenchi,  ed  alla
sperimentalita', con l'effetto di una totale  liberalizzazione  degli
orari e/o dei giorni di apertura degli esercizi commerciali. 
    E' evidente che la disciplina in esame concerne  la  materia  del
commercio la quale e' attribuita alle Regioni in via esclusiva. 
    Peraltro la Regione Toscana ha gia' esercitato detta  competenza,
dapprima con la l.r. n. 28/2005 (artt. 80 e  81),  e  recentemente  -
entro il termine previsto dall'art. 35, comma 7, d.l.  n.  98/2011  -
con la legge n. 66/2011 (artt. 88 e 89): come gia' rilevato in fatto,
la Regione Toscana, con la l.r.  n.  66/2011,  ha  ridisciplinato  la
materia degli orari di apertura degli esercizi commerciali, nel solco
della   disciplina   nazionale   delle   liberalizzazioni   e   della
semplificazione, pur prevedendo alcune regole relative - in ogni caso
- ad ambiti di spettanza esclusiva regionale. 
    La nuova disciplina regionale, infatti, non pone piu' limiti  per
gli orari di apertura, ma prevede la regolamentazione della  materia,
al fine di assicurare il bilanciamento dell'interesse degli esercenti
a restare aperti, con gli altri interessi coinvolti, pure di  rilievo
costituzionale (e richiamati dallo stesso  d.l.  n.  201/2011,  nelle
parti in cui prevede le liberalizzazioni, si vedano in tal senso  gli
artt. 31, comma 2 e 34), quali il rispetto della dignita'  umana,  la
tutela dei lavoratori, la valutazione delle ricadute sull'ambiente  e
sui beni culturali, etc. 
    Cio' detto, tuttavia, nell'ipotesi in cui la  disciplina  statale
in esame dovesse essere intesa nel senso di impedire ogni  intervento
regolativo della materia da parte  delle  Regioni,  si  evidenzia  il
contrasto con  l'art.  117,  comma  4,  Cost.  per  violazione  delle
competenze regionali in materia di commercio, nonche' delle  relative
attribuzioni amministrative ai sensi dell'art. 118 Cost. 
    La Corte costituzionale ha infatti piu' volte  affermato  che  la
regolamentazione degli orari e/o delle  giornate  di  apertura  degli
esercizi  commerciali  rientra  nella  materia   del   commercio   di
competenza residuale delle Regioni (cfr. sentenze n. 150/2011, n. 288
del 2010 e n. 350/2008). 
    Non puo' essere a tal proposito condivisa la tesi statale secondo
cui la disciplina  in  esame  troverebbe  fondamento  nei  titoli  di
competenza  statale  relativamente  alla  materie  di  tutela   della
concorrenza e di determinazione dei livelli minimi nel settore  della
distribuzione commerciale, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett.  e)
ed m) Cost. 
    A) E' noto che lo  Stato  dispone  di  un  titolo  di  intervento
legislativo in materia di tutela  della  concorrenza,  tuttavia  tale
titolo non puo' fondare la legittimita'  costituzionale  della  norma
che qui si contesta. 
    Secondo gli insegnamenti della Corte  costituzionale,  le  misure
legislative di tutela della concorrenza hanno,  infatti,  ad  oggetto
gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono  negativamente
sull'assetto concorrenziale dei mercati e quelle  di  promozione  che
mirano ad aprire un mercato o a  consolidarne  l'apertura  eliminando
barriere all'entrata (Corte costituzionale, sentenze  n.  63  del  14
marzo 2008 e n. 430 del 14 dicembre 2007). 
    Ebbene, nel caso di specie, non si ravvisano esigenze  di  tutela
della  concorrenza  posto  che  non  si  interviene   per   eliminare
situazioni di squilibrio esistenti tra gli operatori del settore. 
    A.1) In particolare, con riguardo alla tutela  della  concorrenza
in relazione  alla  disciplina  degli  orari  dei  negozi,  la  Corte
costituzionale, con la sentenza n.  288  del  2010,  ha  respinto  la
prospettazione del TAR Lombardia secondo il  quale  una  legge  della
Regione Lombardia avente ad oggetto orari  e  chiusura  domenicale  e
festiva degli esercizi commerciali,  distinguendo  tra  esercizi  con
superficie  inferiore  e/o  superiore  a  250  mq,   avrebbe   inciso
«sull'assetto  concorrenziale  all'interno  del   mercato   regionale
ponendo limiti ulteriori rispetto a quelli previsti  dal  legislatore
statale con il decreto legislativo 31 marzo  1998,  n.  114  (Riforma
della  disciplina  relativa  al  settore  del  commercio),  con  cio'
violando la competenza legislativa esclusiva dello Stato  in  materia
di tutela della concorrenza  di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera e),  Cost.»,  dovendo  detta  disciplina  essere  inquadrata,
sempre secondo la tesi del  Giudice  rimettente,  «nell'ambito  della
materia "tutela della concorrenza",  di  competenza  esclusiva  dello
Stato, e non in  quello  della  materia  "commercio",  di  competenza
residuale delle Regioni». 
    La Corte ha dichiarato non  fondata  la  suddetta  questione  nei
termini rilevati dal Giudice a quo evidenziando  che  «con  specifico
riferimento al d.lgs. n. 114 del 1998, questa Corte ha affermato che:
"a  seguito  della  modifica  del  Titolo  V  della  Parte  II  della
Costituzione,  la  materia  'commercio'  rientra   nella   competenza
esclusiva  residuale  delle  Regioni,  ai  sensi  del  quarto   comma
dell'art. 117 Cost.; [...] pertanto, il decreto legislativo 31  marzo
1998, n, 114  (Riforma  della  disciplina  relativa  al  settore  del
commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15  marzo  1997,
n. 59), di cui  il  giudice  rimettente  lamenta  la  violazione,  si
applica, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n.
131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica
alla legge costituzionale 18  ottobre  2001,  n.  3),  soltanto  alle
Regioni che  non  abbiano  emanato  una  propria  legislazione  nella
suddetta materia, mentre la Regione Lombardia ha  gia'  provveduto  a
disciplinare in modo autonomo la materia stessa"  (ordinanza  n.  199
del 2006). 
    In altra occasione si e' poi  avuto  modo  di  precisare  che  la
disciplina degli  orari  degli  esercizi  commerciali  rientra  nella
materia  "commercio"  di  cui  all'art.  117,  quarto  comma,   Cost.
(sentenza n. 350 del 2008)[...] 
    Va,  poi,  detto  che  questa  Corte  ha  gia'  riconosciuto   la
legittimita' di leggi regionali che operano  delle  differenziazioni,
anche  con  specifico  riferimento  alla  dimensione   dell'attivita'
dell'esercente commerciale, al fine di tutelare la  piccola  e  media
impresa. In particolare si e' ritenuto legittimo tutelare  (sia  pure
con  riferimento  a  censure  relative  agli  artt.  3  e  41  Cost.)
«l'esigenza di interesse generale - peraltro espressamente richiamata
dal citato art. 6, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 114 del 1998  -
di riconoscimento e valorizzazione del ruolo delle  piccole  e  medie
imprese gia' operanti sul territorio regionale» (sentenza n.  64  del
2007). 
    Infine, una volta stabilito che la disciplina degli  orari  degli
esercizi commerciali e' ascrivibile alla materia "commercio"  di  cui
all'art. 117, quarto comma, Cost., non risulta di per se'  lesiva  di
parametri costituzionali  la  scelta  del  legislatore  regionale  di
regolamentare il settore operando delle differenziazioni non solo  in
relazione alla dimensione dell'esercizio commerciale ma  anche,  come
si e' detto, tenendo conto di altri fattori tra i  quali  il  settore
merceologico di appartenenza e gli effetti sull'occupazione». 
    D'altra parte, sostenere il  contrario,  ossia  sostenere  che  i
presunti obiettivi  concorrenziali  perseguiti  dalle  norme  statali
citate   prevalgano   sulla   potesta'   regionale   sul   commercio,
significherebbe esautorare  totalmente  la  competenza  regionale  in
materia di commercio. 
    Se e' vero, infatti,  che,  secondo  l'orientamento  della  Corte
costituzionale, e' precluso alle Regioni, pur nell'esercizio  di  una
propria  competenza  legislativa  esclusiva,  porre   ostacoli   alla
concorrenza, non e' men vero che «poiche' la materia  commercio  puo'
intersecarsi con quella "tutela della  concorrenza",  riservata  alla
competenza legislativa dello Stato,  le  Regioni,  nell'esercizio  di
tale loro competenza, possono dettare una  disciplina  che  determini
anche effetti  pro-concorrenziali  perche'  altrimenti  il  carattere
trasversale e potenzialmente omnicomprensivo  della  materia  "tutela
della concorrenza" finirebbe con  lo  svuotare  del  tutto  le  nuove
competenze regionali attribuite dal legislatore costituente (sentenze
n. 288 del 2010, n. 283 del 2009, n. 431 e n, 430 del 2007)» (in  tal
senso sentenza della Corte costituzionale n. 150/2011). 
    D'altra parte, come gia' accennato, le norme statali  di  cui  si
tratta non sono volte a  promuovere  la  concorrenza  tra  i  diversi
soggetti del mercato. 
    Infatti, hanno caratteri pro-concorrenziale non  tutte  le  norme
che  rimuovono  limiti  o  vincoli  all'esercizio  dell'attivita'  di
impresa, ma solo quelle, tra esse, che determinano effettivamente  la
rimozione o la  riduzione  di  attuali  o  potenziali  situazioni  di
squilibrio tra gli operatori: solo tali norme possono essere ritenute
valide esplicazioni della potesta' legislativa statale ex  art.  117,
secondo comma, lett. e), Cost. 
    Ebbene, l'art. 31, comma  1,  d.l.  n.  201/2011  in  esame,  non
interviene a rimuovere disparita' di trattamento preesistenti tra gli
operatori, effettivi o potenziali, di  un  determinato  mercato  (ma,
anzi, a ben vedere accentua le discriminazioni, tra i piccoli e  medi
esercenti e la grande distribuzione che sola ha i mezzi per usufruire
delle nuove  regole,  con  aperture  incondizionate  che  determinano
evidentemente costi aggiuntivi, per il personale, per la vigilanza  e
per la gestione degli immobili). 
    In altri termini le nuove regole statali alterano quella  parita'
di condizione  e  di  pari  opportunita'  (che  e'  alla  base  della
concorrenza), tra esercenti della grande distribuzione e piccoli  e/o
medi esercenti, i quali ultimi non potranno certo  competere,  con  i
nuovi orari e  aperture  nei  giorni  festivi,  con  i  gradi  centri
commerciali. 
    In ogni caso, si ripete, anche a  voler  ammettere  il  carattere
pro-concorrenziale  dell'art.  31  in  esame,  questo  non   potrebbe
determinare un  totale  svuotamento  delle  competenze  regionali  in
materia di commercio, come invece  avverrebbe  nel  caso  in  cui  lo
stesso  art.  31  in  oggetto  venisse  interpretato  nel  senso   di
precludere qualsiasi intervento legislativo regionale in  materia  di
orario di negozi. 
    E' noto infatti che - in  base  al  pacifico  orientamento  della
Corte  costituzionale  a  riguardo  -  l'intervento  del  legislatore
statale in materia di tutela della  concorrenza,  proprio  in  quanto
materia trasversale che incide su diversi ambiti (anche estranei alla
competenza dello Stato), e'  legittimo  solo  se  contenuto  entro  i
limiti dei canoni di adeguatezza e proporzionalita'. In  particolare,
come si legge nella sentenza n. 272 del 2004 (punto 3 del Considerato
in diritto, principio poi confermato nella sentenza n. 345 del 2004),
la norma statale che imponesse una  disciplina  tanto  dettagliata  e
vincolante da  risultare  non  proporzionata  rispetto  all'obiettivo
della  tutela  della  concorrenza   costituirebbe   una   illegittima
compressione dell'autonomia regionale. 
    A.2) Che la materia della regolamentazione degli orari e giornate
di apertura degli esercizi  commerciali  non  rileva  ai  fini  della
tutela della concorrenza e' confermato anche dal diritto comunitario. 
    Quest'ultimo,  infatti,  e'  totalmente  neutro   rispetto   alla
questione dell'orario di apertura e chiusura dei negozi (lo  dimostra
il fatto che nella maggior parte dei Paesi dell'Unione  europea,  gli
esercizi commerciali chiudono alle 18.00 e sono rigorosamente  chiusi
la domenica ed i giorni festivi). 
    Il Trattato  CE,  infatti,  agli  artt.  49  e  56  del  Trattato
(rispettivamente ex artt. 43  e  49),  in  materia  di  attivita'  di
imprese si preoccupa di sancire le  seguenti  liberta'  fondamentali:
libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali e  liberta'
di  stabilimento.  In  particolare,   per   quanto   qui   interessa,
quest'ultima  e'  tesa  a  garantire  l'accesso  e   l'esercizio   di
un'attivita' economica in un  Paese  dell'UE  diverso  da  quello  di
origine. E' dunque evidente che tale liberta' garantita dal  Trattato
non riguarda in  alcun  modo  l'aspetto  dell'orario  degli  esercizi
commerciali. 
    In particolare, non vengono neppure in rilievo  le  finalita'  di
tutela della concorrenza cosi' come definite a  livello  comunitario,
agli artt. da 101 a 106 del  Trattato  (ex  artt.  da  81  a  86):  a
riguardo la Corte di Giustizia proprio con  riferimento  a  normative
degli  stati  membri  che  regolavano  l'apertura  domenicale   degli
esercizi commerciali ha riconosciuto «che le normative  in  questione
perseguivano  un  obiettivo   legittimo   alla   luce   del   diritto
comunitario. Invero, le discipline nazionali che limitano  l'apertura
domenicale di esercizi  commerciali  costituiscono  l'espressione  di
determinate  scelte,  rispondenti  alle  peculiarita'  socioculturali
nazionali o regionali. Spetta agli  Stati  membri  effettuare  queste
scelte attenendosi alle  prescrizioni  del  diritto  comunitario,  in
particolare al principio di proporzionalita'» (cfr. sentenza  del  16
dicembre 1992 - Causa C-169/91). 
    Ed ancora, di recente, la Corte di Giustizia CE - con la sentenza
del 1° luglio 2010 causa C-393/08 - in merito ad una legge  regionale
del Lazio recante disciplina dell'orario, dei  turni  e  delle  ferie
delle  farmacie  aperte  al  pubblico,   ha   innanzitutto   ribadito
l'estraneita' di  detta  normativa  all'ambito  di  applicazione  dei
principi  in  materia  di  liberta'  di  stabilimento  e  di   libera
circolazione dei  servizi  (ex  artt.  43  e  49  del  Trattato  CE),
affermando esplicitamente che «l'interpretazione dell'art. 49 CE  ...
non e' pertinente ai fini della soluzione della causa principale»,  e
che «l'esercizio del diritto di stabilimento sancito dall'art. 43  CE
non e' in questione nella causa principale». Inoltre  con  la  stessa
sentenza  la  Corte  di  Giustizia  ha  affermato   che   «le   altre
disposizioni del diritto comunitario in materia di concorrenza di cui
il giudice del rinvio chiede l'interpretazione,  in  particolare  gli
artt.  81  CE  e  86  CE,   risultano,   del   pari,   manifestamente
inapplicabili  in  un  contesto   quale   quello   del   procedimento
principale», contesto che - si ripete - riguardava  il  caso  di  una
legge regionale recante la disciplina  degli  orari  di  apertura  di
esercizi commerciali. Precisa a tal proposito la  sentenza  «infatti,
in primo luogo, va constatato che gli artt. 83 CE e 85  CE  sono  del
tutto inconferenti nel contesto della controversia di cui il  giudice
del rinvio e' stato investito, poiche' si tratta  o  di  disposizioni
con carattere meramente procedurale (artt.  83  CE  e  85  CE)  o  di
disposizioni transitorie (art. 84 CE). 
    In secondo luogo, quanto agli artt. 81 CE e 82 CE, se e' pur vero
che essi riguardano esclusivamente la condotta delle  imprese  e  non
disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati  membri,
resta il fatto che tali articoli, letti  in  combinato  disposto  con
l'art. 10 CE, che instaura un dovere di collaborazione, obbligano gli
Stati membri a non adottare o a mantenere  in  vigore  provvedimenti,
anche di natura legislativa  o  regolamentare,  idonei  ad  eliminare
l'effetto utile delle regole di concorrenza applicabili alle  imprese
(v. sentenza Cipolla e  a.,  cit.,  punto  46  e  giurisprudenza  ivi
citata). 
    A tal proposito, risulta  tuttavia  manifesto  che  la  normativa
nazionale in esame nella  causa  principale,  relativa  all'eventuale
concessione di una deroga per quanto concerne i periodi  di  apertura
di una farmacia situata in una specifica zona municipale  del  Comune
di Roma, non e' idonea, di per se'  o  con  la  sua  applicazione,  a
pregiudicare il commercio tra Stati membri ai sensi degli artt. 81 CE
e 82  CE  [...].  Conseguentemente,  si  deve  considerare  che,  con
riferimento ai citati artt.  81  CE  e  82  CE,  la  prima  questione
sollevata dal giudice del rinvio e' irricevibile. 
    In terzo luogo,  il  fatto  che  tali  disposizioni  del  diritto
dell'Unione in materia di concorrenza  non  siano  applicabili  nella
causa principale comporta che non lo e' nemmeno l'art. 86 CE». 
    B) Neppure puo' ritenersi utilmente invocata, a fondamento  della
legittimita' costituzionale dell'art.  31,  comma  1  in  parola,  la
materia di cui all'art. 117, comma 2, lett. m), Cost.: anche  in  tal
senso  la  Corte  costituzionale  ha  avuto  modo  di  chiarire   che
«nell'attivita'  posta  in  essere  dai  centri  di  telefonia   sono
rinvenibili alcuni degli elementi tipici degli esercizi  commerciali,
tant'e' vero, ad esempio, che  l'art.  6  della  legge  regionale  in
questione  si  occupa  proprio  degli  orari  e  delle  modalita'  di
esercizio di tale attivita' (profili  ascrivibili  alla  materia  del
"commercio": si vedano le sentenze n. 243 del 2005 e n. 76 del 1972).
[...]  Non  e'  invece  pertinente,  in  questa  sede,   l'evocazione
dell'art. 117, secondo comma,  lettera  m),  della  Costituzione,  in
quanto la disciplina regionale dei centri  di  telefonia  non  incide
sulla "determinazione degli standard  strutturali  e  qualitativi  di
prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti  civili  e
sociali, devono essere garantiti, con  carattere  di  generalita',  a
tutti gli aventi diritto"  (sentenza  n.  168  del  2008;  si  vedano
altresi' le sentenze n. 50 del 2008; n. 387 del 2007  e  n.  248  del
2006)». 
    C) Infine, a ulteriore conferma della tesi  sin  qui  esposta  si
richiama la recente sentenza della Corte costituzionale n.  150/2011,
con la quale e' stato ribadito espressamente che «la disciplina degli
orari degli esercizi commerciali rientra  nella  materia  "commercio"
(sentenze n. 288 del 2010 e n. 350 del 2008), di competenza esclusiva
residuale delle Regioni, ai sensi  del  quarto  comma  dell'art.  117
Cost., e che "il decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  114  (Riforma
della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art.
4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), [...], si applica,  ai
sensi dell'art. 1, comma  2,  della  legge  5  giugno  2003,  n.  131
(Disposizioni per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica
alla legge costituzionale 18  ottobre  2001,  n.  3),  soltanto  alle
Regioni che  non  abbiano  emanato  una  propria  legislazione  nella
suddetta materia" (sentenze n. 288 e n. 247 del  2010,  ordinanza  n.
199 del 2006)». 
    Da tutto quanto sopra esposto e' pertanto evidente che l'art. 31,
comma 1, d.l. n. 201/2011, ove fosse interpretato come preclusivo  di
ogni intervento regionale di regolamentazione in materia di orari e/o
giornate di apertura degli esercizi commerciali, risulterebbe  lesivo
della competenza regionale costituzionalmente garantita in materia di
commercio, in violazione dell'art. 117,  comma  4,  e  dell'art.  118
Cost. 
 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si conclude affinche'  piaccia  all'ecc.ma  Corte  costituzionale
dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 31, comma 1, del
decreto-legge n. 201/2011,  cosi'  come  convertito  dalla  legge  di
conversione 22 dicembre 2011, n. 214, per  contrasto  con  gli  artt.
117, quarto comma, e 118 Cost. 
    Si deposita la delibera della  Giunta  Regionale  n.  38  del  24
gennaio 2012. 
      Firenze - Roma, 23 febbraio 2012 
 
                              Avv. Bora 
 
 

 

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