Ricorso n. 5 del 28 gennaio 2014 (Commissario dello Stato per la Regione Siciliana)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 28 gennaio 2014 (del Commissario dello Stato per la
Regione Siciliana).
(GU n. 10 del 26.2.2014)
L'Assemblea Regionale Siciliana, nella seduta del 15 gennaio
2014, ha approvato il disegno di legge n. 670 dal titolo
«Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2014. Legge di
stabilita' regionale.», pervenuto a questo Commissariato dello Stato
per la Regione Siciliana, ai sensi e per gli effetti dell'art. 28
dello Statuto Speciale, il 18 gennaio 2014.
Prima di indicare le disposizioni contenute nel provvedimento
legislativo comportanti nuovi e/o maggiori oneri che si intendono
sottoporre al vaglio di codesta Corte per violazione dell'art. 81
della Costituzione, si ritiene necessario, per delineare il contesto
economico finanziario in cui gli stessi incideranno, esporre quanto
rilevato dalla Corte dei conti - Sezioni Riunite - in sede di
controllo per la Regione Siciliana in occasione del giudizio di
parifica del Rendiconto Generale della Regione per l'esercizio
finanziario 2012, tenutosi nell'udienza pubblica dei 28 giugno 2013,
nella precipua considerazione che le criticita' dalla stessa
segnalate non hanno trovato soluzioni nei documenti finanziari ora
approvati dall'Assemblea Regionale.
L'Organo di controllo, nella relazione che accompagna il giudizio
di parifica, aveva rilevato che «i risultati conseguiti dalla Sicilia
nel 2012 evidenziano uno scenario particolarmente preoccupante con
riguardo sia all'andamento economico generale che all'evoluzione
della finanza pubblica».
Gli esiti della finanza pubblica regionale emergenti dai dati del
rendiconto generale per l'esercizio 2012, indicavano, infatti, in
termini di competenza, che tutti i saldi di bilancio consolidavano i
valori negativi contabilizzati nell'esercizio precedente e che in
particolare il saldo tra entrate e spese correnti (c.d. risparmio
pubblico) era pari ad un valore negativo di 1.099 milioni di euro e
che lo stesso aveva subito un peggioramento rispetto all'anno 2011.
Sul fronte della gestione di cassa la Corte dei conti rilevava
altresi' una bassa dinamica degli incassi («13.228 milioni di euro di
versamenti totali a fronte di 15.381 di correlativi accertamenti,
talche' i residui attivi di nuova formazione avevano subito un
incremento di oltre 2 milioni di euro pari al 29% rispetto al 2011»).
Le spese correnti inoltre si attestavano allo stesso livello
dell'esercizio precedente (15.447 milioni) a causa delle rigidita'
delle stesse non incise dagli interventi strutturali di contenimento
disposti con la legge di stabilita'.
Inoltre la Corte segnalava come il complesso degli andamenti
registrati nel 2012 era stato originato dalla mancata soluzione delle
criticita' piu' volte evidenziate dalla stessa, segnatamente riguardo
al fenomeno dei residui attivi generati dalle entrate tributarie e
delle consequenziali refluenze sulla quantificazione del risultato di
amministrazione.
La Corte dei conti, fin dal giudizio di parifica del rendiconto
generale per l'anno 2011, aveva infatti analizzato la patologica
situazione venutasi a creare nel tempo a causa del continuo e
progressivo espandersi del volume dei residui attivi, pari a 15
miliardi di euro di cui una consistente quota formatasi
antecedentemente all'anno 2001, mettendo in rilievo come poste di
«assai dubbia esigibilita'» influivano sul risultato di
amministrazione e avessero fornito e tuttora forniscano «una
copertura non idonea al volume di spesa cosi' alimentato».
Essa aveva dato atto inoltre che in passato il Governo regionale,
proprio perche' aveva riconosciuto l'improbabile realizzabilita' di
parte dei residui attivi iscritti nel rendiconto del 2000, aveva
disposto, in attuazione dell'art. 3 l.r. n. 15/01, l'accantonamento
con vincolo di indisponibilita', in apposito fondo, di una quota
dell'avanzo dell'esercizio finanziario 2000, pari a 2.065 milioni di
euro, in corrispondenza ad entrate tributarie accertate ma non
riscosse. La normativa regionale successiva ha pero' progressivamente
prosciugato le relative dotazioni finanziarie fino a toccare nel
bilancio di previsione 2012 l'importo di 273.685 migliaia di euro a
fronte di una massa di residui attivi quantificabili in 3.574 milioni
di euro per entrate tributarie relativamente alle quali, secondo la
Corte dei conti persiste concretamente il rischio di inesigibilita'».
La Corte dei conti aveva espresso pertanto «una valutazione
negativa circa l'adeguatezza della quantificazione operata sui fondi
appostati in bilancio per sopperire ai rischi innanzi indicati», il
cui impatto in effetti avrebbe potuto seriamente compromettere in
futuro i complessivi equilibri di bilancio essendo carenti a tale
scopo sia la dotazione di 110 milioni di euro prevista nel bilancio
2013 per il fondo di salvaguardia di cui all'art. 7 comma 2 della
l.r. n. 9/2013, sia quella di 150 milioni di euro per ciascuno degli
esercizi 2014 e 2015 del fondo destinato a fronteggiare gli effetti
finanziari sui saldi di bilancio conseguenti all'eliminazione dei
residui attivi cui non corrispondono crediti da riscuotere.
Orbene, a fronte di tale puntuale analisi operata dalla Corte dei
conti, occorre rilevare come non solo il Cap. 215713 nel Bilancio di
previsione per il corrente esercizio viene mantenuto privo di
stanziamento e solo per memoria, ma che anche il fondo di cui
all'art. 7 della l.r. n. 9/2013 (Cap. 215727) presenta una dotazione
di soli 99.500 migliaia di euro, ben inferiore a quella gia' ritenuta
carente nei decorso anno dall'Organo di controllo contabile e di
certo determinata con criteri non corrispondenti alle indicazioni
fornite da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n.138/2013. Criteri
questi non esplicitati peraltro nella relazione tecnica ove del tema
della consistente mole di residui attivi e della relativa
esigibilita' o meno non e' fatta alcuna menzione.
L'Organo di controllo inoltre, a fronte del «preoccupante divario
tra spese correnti ed entrate correnti ormai consueto nell'ultimo
triennio, pari ad oltre 1 miliardo di euro», aveva invitato il
Governo ad indagare sull'emersione del disavanzo corrente e ad
attivare riforme strutturali della spesa pubblica regionale e a
tendere ad un rigoroso contenimento della tendenza espansiva della
spesa corrente mediante «un congruo effettivo e permanente
ridimensionamento della stessa anche attraverso il ripensamento e la
riperimetrazione dei confini dell'azione pubblica regionale».
Il legislatore regionale, proprio per consentire uno stabile
miglioramento dei saldi di bilancio, in virtu' dell'art. 2 della l.r.
n. 9/2013, avrebbe dovuto provvedere all'elaborazione, entro il 31
dicembre 2013, di un piano di riordino della normativa regionale,
finalizzato al contenimento della spesa corrente e al perseguimento
di obiettivi di risparmio per i principali settori di intervento.
Questo piano, pero', a tutt'oggi non e' stato proposto dal Governo
regionale, ma soltanto preannunciato nel documento di programmazione
economico finanziaria (DPEF) approvato dalla Giunta di Governo con
delibera 265 del 22 luglio 2013, e che adesso risulterebbe
parzialmente concretizzato nelle norme contenute nel provvedimento
legislativo teste' approvato, i cui effetti tuttavia non sono allo
stato degli atti valutabili, anche in assenza di un'adeguata
relazione tecnica che ne illustri i contenuti specifici ed i risparmi
di spesa conseguibili nel corso dell'esercizio 2014.
L'Organo di controllo contabile aveva altresi' censurato il non
corretto «ciclo del bilancio» ed in particolare, le modalita' di
redazione del bilancio a legislazione vigente, rilevando come
quest'ultimo non fosse costruito sulla scorta dei valori tendenziali
della finanza pubblica regionale, ma piuttosto volto «a conseguire
valori migliorativi rispetto ai saldi programmati recando improprie
previsioni di stanziamento con l'intento di ripristinare in sede di
finanziaria o, addirittura, nel corso della gestione, la dotazione di
tali poste nelle misure ritenute adeguate».
In tal modo, cosi', il disavanzo tendenziale che avrebbe dovuto
risultare nel bilancio a legislazione vigente, sarebbe stato
«coperto» nello stesso documento tramite una nuova dotazione di tutte
una serie di voci di spese e la previsione di nuove entrate.
Non ortodossa prassi, questa, mantenuta anche nella redazione del
bilancio di previsione a legislazione vigente per l'anno 2014
presentato dal Governo, dove numerosi capitoli di spesa, attinenti ad
oneri incomprimibili per il funzionamento di enti e strutture
regionali (ex plurimis ad esempio i capitoli 242523, 242524, 443308,
443305, 373312, 147303, 343301 e 343315) presentavano uno
stanziamento particolarmente esiguo, poi rideterminato in sede di
approvazione della presente legge finanziaria con incrementi in
taluni casi di oltre il 400%, riportando la spesa ai livelli
consolidati negli anni precedenti.
Inoltre, nel bilancio ora approvato sono stati mantenuti a
livelli ben inferiori rispetto al dato consolidato degli esercizi
precedenti, gli stanziamenti di spese obbligatorie quali quelli
derivanti dalle cosiddette regolazioni contabili (capitoli 219202 e
219205), nonostante che nella relazione tecnica redatta dal
ragioniere generale sia stata esplicitamente evidenziata
l'insufficienza della dotazione di circa 200 milioni sia considerando
l'utilizzo medio dei fondi che l'incidenza delle entrate riscosse.
Del pari e' stato diminuito di circa il 35% lo stanziamento del
capitolo 108009, relativo anch'esso ad una spesa obbligatoria quale
l'indennita' di buonuscita da corrispondere ai dipendenti regionali,
in base alla laconica giustificazione contenuta nella relazione
tecnica secondo cui si sarebbe ricondotta la dotazione del capitolo
«alle somme impegnate nell'anno precedente» senza pero' indicarne
l'importo.
Incomprensibile appare inoltre il mantenimento «per memoria» dei
capitoli 215501 e 215502 relativi alle somme da versare in entrata a
titolo di ammortamento di beni mobili ed immobili, che nei precedenti
bilanci degli anni 2012 e 2013 presentavano una dotazione,
rispettivamente, di 52.580 e 722 migliaia di euro.
La Corte dei conti aveva inoltre censurato come con la legge di
stabilita' regionale venissero introdotte nuove spese senza
assicurare la necessaria copertura, destinata ad essere reperita nel
saldo da impiegare risultante dal bilancio a legislazione vigente o,
in difetto di quest'ultimo, con il ricorso al mercato. La mancata
distinzione tra entrate e spese di natura corrente nel riepilogo
delle risorse e degli oneri arrecati dalla legge, non consente di
verificare l'effettiva copertura delle nuove o maggiori spese
correnti e, conseguentemente escludere che le stesse trovino
copertura nell'indebitamento entrate straordinarie «una tantum».
Orbene, anche questa ulteriore criticita' rilevata data, Corte dei
conti, non e' stata tenuta nella debita considerazione dal
legislatore regionale nella redazione del prospetto riepilogativo
della manovra finanziaria per il triennio 2014 - 2016 ove vengono
indistintamente riportate maggiori entrate e minori spese destinate a
finanziare indistinte minori entrate e maggiori spese finali,
omettendo altresi' di indicare nel suddetto riepilogo i minori
proventi derivanti da talune norme introdotte nell'articolato che si
avra' modo di illustrare in prosieguo.
La necessita' di assicurare una reale copertura delle nuove o
maggiori spese o delle minori entrate introdotte dalla legge di
stabilita' costituisce invero non solo un adempimento richiesto dai
principi di sana gestione finanziaria ma anche un puntuale obbligo
imposto, oltre che dall'art. 81 della Costituzione, anche dalla nuova
legge nazionale di contabilita' e finanza pubblica (legge n.
196/2009) da ritenersi applicabile anche nella Regione siciliana in
virtu' del rinvio operato dall'art. 21 comma 6 della l.r. n. 47/1977
e s.m.i.
L'art. 11 comma 6 della legge n. 196/2009 stabilisce infatti che
la legge di stabilita' puo' disporre per ciascuno degli anni compresi
nel bilancio pluriennale, nuove o maggiori spese correnti, riduzione
di entrate e nuove finalizzazioni da iscrivere nel Fondo speciale di
parte corrente, nei limiti delle nuove o maggiori entrate tributarie,
extratributarie e contributive e delle riduzioni permanenti di
autorizzazioni di spesa corrente.
E' pertanto imprescindibile che il prospetto riepilogativo degli
effetti finanziari della legge dimostri dettagliatamente e
analiticamente che le nuove o maggiori spese correnti nonche' le
minori entrate trovino preciso e puntuale riscontro in risorse della
medesima natura reperite nell'ambito dei contenuti tipici della
stessa finanziaria, quali nuove o maggiori entrate o riduzioni di
spese.
Condizioni queste che non appaiono essere soddisfatte dal
legislatore, tanto piu' che l'allegato prospetto riepilogativo non
solo e' redatto, come prima evidenziato, in difformita' ai criteri
posti dalla legge n. 196/2009 cogenti, in quanto attuativi dell'art.
81 della Costituzione anche per la Regione Siciliana, ma anche
presenta evidenti incongruenze ed omissioni.
Incomprensibile appare anche il dato riportato nel riquadro B2
«maggiori spese finali» per quanto attiene all'art. 4,
«accantonamenti tributari» comma 1, i cui importi relativi al
triennio non appaiono coerenti ne' con la relazione tecnica, ne' con
il testo dell'articolo.
Il riquadro B1 «minori entrate finali» non tiene conto della
minore entrata derivante dalla riduzione dal 20% al 13% dell'aliquota
di prodotto che i titolari di concessione di coltivazioni per la
produzione di idrocarburi liquidi e gassosi e di gas diversi dagli
idrocarburi ottenute nel territorio della regione devono
corrispondere, ai sensi dell'art. 13 della l.r. n. 9/2013,
annualmente all'amministrazione regionale e ai comuni nei cui
territori ricade il giacimento. Non comprensibile risulta inoltre la
quantificazione della minore entrata inserita nel riquadro B1
relativa alla previsione di cui all'art. 47 comma 8, in assenza di
elementi idonei per la valutazione della congruita' della minore
entrata, i quali si sarebbero dovuti rinvenire nella relazione
tecnica che, invece, non fa alcuna menzione, al riguardo, della
previsione legislativa e delle conseguenze dalla stessa prodotte.
Analogamente non appare giustificabile la riduzione di spesa
inserita nel riquadro A2 relativa all'art. 11, comma 3 in assenza di
elementi illustrativi ed esplicativi nella relazione tecnica riguardo
alla corresponsione delle somme dovute ai dipendenti regionali a
titolo di arretrati in attuazione dell'art. 6, comma 9 della l.r. n.
del 26/2012.
Non comprensibile risulta anche l'inserimento nel riquadro B2 del
maggior onere derivante dall'art. 12, comma 5 in tema di
forestazione, atteso che lo stesso viene quantificato in 123.200
migliaia di euro anziche' in 180.000 migliaia di euro cosi' come
autorizzato per l'esercizio finanziario 2014.
Del pari non risulta comprensibile la ragione dell'inserimento
dell'importo di 192.830 migliaia di euro, quale maggiore spesa
derivante dall'art. 17, comma 1, a fronte di una spesa complessiva
nel testo del suddetto comma, di 262.931 migliaia di euro e di 53.743
migliaia di euro a «legislazione vigente» secondo quanto previsto
dall'art. 72, comma 1 della l.r. n. 9/2013.
Sulla base di quanto esposto lo scrivente e' dell'avviso che la
copertura dei nuovi e maggiori oneri a carico del bilancio della
Regione con proprie risorse derivanti dalle disposizioni contenute
negli articoli 6 commi 8 e 9, 12 comma 5, 13 commi 5, 7 e 8, 14, 17
commi 1, 3, 4, 5, 6, 8, 9 e 10, 28, 29, 32 comma 6, art. 34 , 38, 39,
40, 42, 43, 46 e 47 commi 5, 6, 13, 14, 15 e 16 non sia credibile,
sufficientemente sicura ed ancorata a criteri di prudenza,
affidabilita' e appropriatezza, in adeguato rapporto con le spese che
si intendono effettuare, cosi' come richiesto da codesta
eccellentissima Corte con costante giurisprudenza (ex plurimis
sentenze nn. 192/2012 e 18/2013).
Anche le disposizioni contenute negli articoli che di prosieguo
si illustrano si ritiene debbano essere sottoposti al vaglio di
codesta ecc.ma Corte per profili di incostituzionalita' anche diversi
dalla violazione dell'art. 81 della Costituzione o per motivi
ulteriori rispetto a quelli prima esposti.
L'art. 3 rubricato «Disposizioni in materia di residui attivi
passivi e perenti e di equilibrio di bilancio» per quanto previsto
dai commi 3, 8 e 9, da adito a censura di costituzionalita' per
violazione degli articoli 81 e 97 della Costituzione.
Il comma 3 dispone infatti che i residui passivi derivanti da
impegni assunti fino all'esercizio 2003, eliminati per perenzione
amministrativa e non reiscritti in bilancio, entro la chiusura
dell'esercizio 2013, siano eliminati dalle scritture contabili della
Regione del medesimo esercizio.
L'eliminazione dei residui perenti dal conto del patrimonio non
puo' tuttavia essere effettuata automaticamente ma deve limitarsi
esclusivamente a quelle partite andate in perenzione per le quali non
permangono i presupposti giuridici del debito della Pubblica
Amministrazione.
Il successivo comma 8 nel prevedere un limite «non superiore al
40 per cento» per la proposta di conservazione dei residui passivi,
assenti nel decorso esercizio, per i quali, essendo venute meno le
ragioni dell'obbligazione di cui al precedente 7° comma, le
amministrazioni interessate devono dimostrare l'effettiva esigenza di
conservazione, determina un livello dei residui passivi stessi non
coerente con la reale posizione debitoria della Regione in evidente
contrasto con i principi di chiarezza, veridicita' e trasparenza del
bilancio e peraltro suscettibile di comportare maggiori oneri futuri
non dando al contempo contezza della reale posizione debitoria
complessiva della Regione.
Il comma 9 inoltre prevede che gli effetti finanziari derivanti
dalla cancellazione dei residui passivi disposta dal precedente 8°
comma sia destinato ad incrementare la dotazione del Fondo per la
cancellazione dei residui attivi di cui all'art. 5, l.r. n. 11/2010.
Siffatto incremento puo' essere ritenuto plausibile e consentito
soltanto nei limiti delle risorse finanziarie correlate
all'eliminazione dei residui passivi per i quali sia venuto meno
realmente il presupposto giuridico del debito e non anche, come
previsto dalla norma in questione, da un limite determinato dal
legislatore sull'intero ammontare dei residui a prescindere dalla
effettiva esigenza di mantenimento dei residui stessi.
L'art. 5, comma 2 si ritiene essere in contrasto con l'art. 81
della Costituzione.
A sostegno, della cennata censura, si rileva che il legislatore
dispone che l'aliquota di prodotto dovuta dal titolare di concessione
di coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi e gassosi e di
gas diversi dagli idrocarburi sia ridotta dal 20% al 13%, ma non si
preoccupa di quantificare le evidenti minori entrate e la conseguente
copertura dell'onere derivante.
Nella relazione tecnica non e' fatto alcun cenno alle ragioni che
hanno indotto il legislatore a tale scelta ed alle conseguenze sugli
equilibri finanziari dei Comuni nei cui territori ricadono i
giacimenti che, in virtu' dell'art. 13, 4° comma della l.r. n.
9/2013, hanno diritto ai due terzi dei proventi derivanti dalla
suddetta aliquota.
Si soggiunge, peraltro, che risulta inspiegabile come. a fronte
di detta previsione legislativa, il relativo capitolo di bilancio
2612, presentava inizialmente una dotazione di 8.547 migliaia di euro
in diminuzione rispetto al dato rendicontato nel 2012 di 10.232
migliaia di euro, mentre nel testo notificato a questo Commissariato,
a seguito della approvazione definitiva, risulta aumentata a 15
milioni.
Il comma 3 del medesimo articolo si ritiene essere in contrasto
con l'art. 117, 2° comma lett. e) della Costituzione che attribuisce
allo Stato la potesta' legislativa esclusiva in materia di sistema
tributario statale.
La nuova disposizione stabilisce infatti che le tasse sulle
concessioni regionali cui sono assoggettate le autorizzazioni,
licenze, abilitazioni o altro atto di consenso per le attivita'
comprese nelle tabelle di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641 e al
d.lgs. 22 giugno 1991, n. 230, si intendono estese alle segnalazioni
certificate di inizio attivita' (SCIA), di cui alle vigenti
disposizioni statali e regionali in materia.
La norma in esame invero, nell'estendere alle segnalazioni
certificate di inizio attivita' (SCIA), le corrispondenti tasse sulle
concessioni regionali. di fatto istituisce un nuovo tributo, in
quanto il d.lgs. 22 giugno 1991, n. 230, non prevede tale
fattispecie.
Bisogna, infatti, sottolineare che le tasse sulle concessioni
regionali rientrano tra i tributi erariali, sia pure devoluti alle
regioni e pertanto al legislatore regionale non e' consentito
intervenire sulla loro disciplina secondo il costante orientamento di
codesta Corte (ex multis sentenze n. 323 del 2011, n. 241 del 2004 e
n. 296 del 2003).
Non va peraltro sottovalutata la circostanza che appare
oggettivamente impropria, la scelta di individuare come fattispecie
imponibile la segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA).
Occorre, infatti, evidenziare la natura sostanzialmente
privatistica di detta segnalazione e tale circostanza comporta che ad
essa non puo' essere attribuita natura provvedimentale, come dimostra
anche l'evoluzione dell'istituto in sede normativa e
giurisprudenziale. In particolare, appare determinante il tenore
letterale dell'art. 19, comma 6-ter della legge 7 agosto 1990, n.
241, con cui il legislatore ha sgombrato il campo da ogni dubbio,
statuendo che la segnalazione certificata di inizio attivita', la
denuncia e la dichiarazione di inizio attivita' non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Lo spoglio di ogni
traccia di attivita' provvedimentale, priva pertanto di
giustificazione l'assoggettamento della SCIA alle tasse sulle
concessioni, per le quali il presupposto impositivo sorge al momento
del rilascio, da parte degli Organi dell'Amministrazione pubblica,
dei provvedimenti amministrativi e degli altri atti elencati nelle
tariffe previste dalle specifiche normative tributarie, necessari per
consentire agli interessati di compiere taluni atti e esercitare
determinati e specifici diritti.
Del resto, l'assoggettamento della SCIA alla tassa di
concessione, non puo' trovare un'oggettiva giustificazione, in quanto
quest'ultima finirebbe per rappresentare il corrispettivo
dell'attivita' amministrativa di controllo successivo alla
presentazione della segnalazione del privato e al contestuale avvio
dell'attivita'. Tuttavia tali poteri inibitori, se esercitati,
comporterebbero il mero divieto di prosecuzione dell'attivita' e la
conseguente emanazione di un provvedimento di diniego della
concessione che non potrebbe certo giustificare il pagamento della
relativa tassa, in quanto la legge prevede che la stessa sia dovuta
solo al momento del rilascio del provvedimento amministrativo.
In ultima analisi, la linea evolutiva della SCIA dimostra
inequivocabilmente che l'istituto trascende l'attivita' tipicamente
provvedimentale autorizzatoria/concessoria delle pubbliche
amministrazioni e ricade nell'ambito delle attivita' liberalizzate.
In virtu' di cio' viene meno anche ogni spazio per l'imposizione di
una tassa sulle concessioni relativamente a questo tipo di attivita'.
Il comma 5 del medesimo articolo si ritiene essere in contrasto
con l'art. 117, 2° comma, lettera g) della Costituzione. Esso prevede
la sostituzione dei commi 4 e 5 dell'art. 10 della l.r. n. 11/2010 ed
in particolare dispone che «nelle more dell'emanazione del
regolamento di cui al comma 2, lo svolgimento delle attivita' di
liquidazione, accertamento e riscossione dell'IRAP puo' proseguire
nelle forme e nei modi previsti dalla legislazione vigente attraverso
la stipula di apposita convenzione non onerosa con l'Agenzia delle
entrate».
Orbene si rileva preliminarmente come il rinvio alla stipula di
apposita convenzione non onerosa con l'Agenzia delle Entrate, appaia
non essere coerente con l'impostazione fornita dal legislatore
nazionale sulla materia.
L'art. 26 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446,
prevede infatti che venga «attribuita allo Stato una quota del
gettito dell'imposta regionale sulle attivita' produttive riscosso in
ciascuna regione a compensazione dei costi sostenuti per lo
svolgimento delle attivita'» di controllo e rettifica della
dichiarazione, per l'accertamento e per la riscossione dell'imposta
regionale, nonche' per il relativo contenzioso.
Analogamente, l'art. 10 comma 4, del decreto legislativo 6 maggio
2011, n. 681, ha previsto che «le attivita' di controllo, di
rettifica della dichiarazione, di accertamento e di contenzioso
dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF devono essere svolte
dall'Agenzia delle entrate. Le modalita' di gestione delle imposte
indicate al primo periodo, nonche' il relativo rimborso spese, sono
disciplinati sulla base di convenzioni da definire tra l'Agenzia
delle entrate e le Regioni».
La norma teste' approvata non solo determina una ingiustificata
disparita' di trattamento con le altre Amministrazioni regionali che,
sulla base delle norme citate, stipulano da diversi anni accordi
convenzionali, per la gestione dell'IRAP e dell'addizionale regionale
all'IRPEF, in cui e previsto il ristoro degli oneri sostenuti
dall'Agenzia per lo svolgimento delle relative attivita', ma incide
palesemente su un ambito riservato alla legislazione esclusiva dello
Stato, quale quello dell'«ordinamento e organizzazione amministrativa
dello Stato e degli enti pubblici nazionali», proprio per gli effetti
distorsivi che determinerebbe sul peculiare rapporto tra Ministero
dell'economia e delle finanze e l'Agenzia.
Come noto infatti tale rapporto si esplica nell'ambito della
convenzione prevista dall'art. 59 del d.lgs. 30 luglio 1999 n. 300,
che fissa, tra l'altro, i servizi dovuti e gli obiettivi da
raggiungere, nonche' le risorse trasferite all'Agenzia per il
conseguimento degli stessi.
Peraltro, l'art. 70 del citato d.lgs. n. 300/1999 prevede
esplicitamente che le entrate delle agenzie fiscali sono costituite,
oltre che dalle risorse trasferite ai sensi dell'art. 59, anche dai
«corrispettivi per i servizi prestati a soggetti pubblici o privati,
incluse le amministrazioni statali per le prestazioni che non
rientrano nella convenzione di cui all'art. 59».
La norma regionale quindi, nel prevedere la stipula di
convenzioni non onerose per lo svolgimento delle attivita' di
liquidazione, accertamento e riscossione dell'IRAP, stabilisce
unilateralmente che gli oneri conseguenti allo svolgimento delle
citate attivita' gravino impropriamente sul bilancio dell'Agenzia,
andando ad incidere sull'ordinamento e sull'organizzazione
dell'Agenzia stessa nonche' sull'equilibrio economico-finanziario del
rapporto convenzionale con il Ministero dell'economia e delle
finanze.
Il comma 6 dello stesso articolo si ritiene lesivo del principio
di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall'art. 97
della Costituzione, in quanto nell'imporre, per il corrente anno, il
divieto di incrementare i canoni irrigui, impedisce di fatto agli
Enti preposti di poter gestire con criteri di economicita' ed
efficienza il servizio stesso, Gli Enti in questione si troverebbero
infatti nella difficile condizione di scegliere o un servizio
inadeguato alle reali esigenze pur di mantenere inalterato il
corrispettivo dovuto dagli utenti, ovvero, dover porre a proprio
carico la parte di costi non coperti dalla contribuzione privata, con
verosimili influenze negative sugli equilibri dei propri bilanci.
L'art. 8, 2° comma si ritiene essere in contrasto con il
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 della
Costituzione.
La norma dispone che, previa verifica del rispetto degli
obiettivi del patto sanitario nonche' delle garanzie dei livelli
essenziali di assistenza (LEA) previste dal medesimo, i risparmi
conseguenti all'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1
(relativo alla riduzione di 100 milioni di euro della spesa sanitaria
della Regione per acquisto di beni e servizi) siano destinati a
favorire l'integrazione dei servizi sociosanitari per la parte
ricompresa nei LEA.
In proposito e' opportuno rappresentare che ai sensi dell'art. 3,
comma 3 del decreto-legge n. 35/2013, convertito in legge 6 giugno
2013, n. 64, l'erogazione della seconda tranche dell'anticipazione di
liquidita' prevista al fine di favorire l'accelerazione dei pagamenti
dei debiti degli enti del Servizio Sanitario Nazionale, e'
subordinata alla verifica compiuta dal Tavolo tecnico «degli
adempimenti di cui all'articolo 12 dell'Intesa fra lo Stato, le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 23 marzo
2005 con riferimento alle ricognizioni delle somme di cui al comma 1,
lettera a), per il periodo 2001-2011 e con riferimento alla
ricognizione delle somme di cui al comma 1, lett. b), come risultanti
nei modelli SP relativi al consuntivo 2011. Ai fini dell'erogazione
per l'anno 2014 delle risorse di cui al presente comma, al netto di
quelle gia' erogate per l'anno 2013 ai sensi del comma 2, si
applicano le disposizioni di cui al comma 5».
Pertanto, in base ai principi espressi dalla citata normativa
statale, eventuali risparmi derivanti dalla gestione sanitaria
regionale a decorrere dall'anno 2014 dovranno essere accertati, sia
da un punto di vista patrimoniale che economico, dal Tavolo di
verifica degli adempimenti istituito ex articolo 12 dell'Intesa
Stato-Regioni del 23 marzo 2005 e solo all'esito positivo di tali
analisi le Regioni potranno effettivamente disporre di eventuali
eccedenze.
Si rileva in ogni caso che la Regione Siciliana ha predisposto e
concordato con il Ministero della salute e con il Ministero
dell'economia e delle finanze un Programma Operativo valido per il
triennio 2013-2015, in applicazione di quanto disposto dall'art. 15,
comma 20, del d.l. n. 95/2012, al fine del raggiungimento degli
obiettivi strutturali individuati nel documento medesimo e per
l'attribuzione in via definitiva delle risorse finanziarie gia'
previste a legislazione vigente, condizionate alla piena attuazione
delle misure concordate. Pertanto, in virtu' del principio di leale
collaborazione, la Regione non puo' unilateralmente (benche' con
legge regionale) introdurre interventi in materia di sanita' non
coerenti con il Programma Operativo adottato nella considerazione che
il contenuto della disposizione ora approvata potrebbe inficiare il
conseguimento dei risultati economici e di sistema programmati con il
documento concordato con i ministeri.
L'art. 9, comma 3 si ritiene essere in contrasto con l'art. 117,
2° comma lett. l) della Costituzione in quanto dispone che i risparmi
di spesa derivanti dalle soppressioni delle cariche dei coordinatori
sanitari ed amministrativi, siano destinati al finanziamento di
progetti per le attivita' sportive dei disabili e delle persone
affette da autismo.
In proposito va rilevato che la corresponsione delle indennita'
di funzione e' effettuata attingendo ai fondi contrattuali previsti
dai contratti collettivi nazionali di lavoro e che la disponibilita'
di detti fondi e' esclusivamente vincolata al pagamento delle
indennita' accessorie contrattualmente previste e non altrimenti
utilizzabili. Gli eventuali risparmi realizzati devono essere
ripartiti sempre all'interno dello stesso fondo per la corresponsione
di altre forme di salario accessorio sempre previste
contrattualmente. Inoltre la dotazione del fondo e' sempre
quantificata secondo procedure previste dai contratti collettivi e
non puo' essere diminuita o accresciuta se non in forza da una
modifica operata dallo stesso contratto collettivo.
E' di tutta evidenza che il legislatore regionale esorbiti dalle
proprie competenze statutariamente previste operando in materia di
ordinamento civile.
L'art. 10 si ritiene essere in contrasto con l'art. 97 della
Costituzione, in quanto prevede l'affidamento di servizi ausiliari
sanitari secondari non meglio specificati, se non dal titolo, come
servizi di pulizia, alla societa' consortile per azioni «Sicilia
Emergenza - Urgenza sanitaria».
Societa' questa a totale capitale pubblico costituita dalla
Regione Siciliana e dalle aziende sanitarie provinciali, da quelle
ospedaliere ed ospedaliere-universitarie del servizio sanitario, il
cui scopo e oggetto sociale e' la gestione del servizio di trasporto
per l'emergenza-urgenza 118 per l'intero territorio regionale e dei
servizi inerenti all'emergenza-urgenza.
La stessa societa', secondo il proprio statuto, puo'
eventualmente assumere lo svolgimento delle attivita' di trasporto
esterno ed interno alle strutture delle aziende del servizio
sanitario regionale.
Non appare, ad avviso del ricorrente, consono al principio di cui
all'art. 97 della Costituzione, affidare servizi ed attivita' che
esulano dall'oggetto e scopo sociale e quindi potenzialmente non
conformi e coerenti con il piano aziendale e con le risorse umane e
strumentali della societa', non condizionando altresi' l'eventuale
acquisizione dei servizi ausiliari sanitari secondari da parte delle
strutture del servizio sanitario regionale ad un corrispettivo di
importo inferiore a quello sinora erogato agli operatori economici
titolari dei contratti per la fornitura dei servizi ausiliari
sanitari secondari e di pulizia.
Analoga censura va formulata riguardo alla previsione contenuta
nell'8° comma dell'art. 11 con cui si pone il divieto alle societa' a
totale o maggioritaria partecipazione della Regione, agli istituti,
alle aziende, alle agenzie, ai consorzi, agli organismi ed enti
regionali di esternalizzare servizi per i quali puo' essere
utilizzato il personale del bacino dei forestali. Anche in questo
caso la norma appare censurabile sotto il profilo della violazione
dell'art. 97, laddove non subordina l'utilizzazione del personale
appartenente al bacino dei forestali alla preventiva verifica dei
costi del servizio sinora espletato da operatori economici privati
che, in ipotesi, potrebbe essere pari o inferiore e qualitativamente
migliore con cio' alterando, altresi', il principio di libera
concorrenza riconosciuto e garantito dal diritto europeo e dalla
Costituzione con conseguente violazione dell'art. 117, 2° comma,
lett. e) della stessa.
L'art. 12, comma 6 costituisce, ad avviso dello scrivente,
un'evidente interferenza in materia di ordinamento civile riservata
alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, 2°
comma lett. l) della Costituzione.
Il legislatore, seppure nell'apprezzabile intento di ridurre e
razionalizzare le spese derivanti dalle attivita' di manutenzione
idraulico-forestale e di rimboschimento in cui sono impiegate
maestranze stagionali, interviene sulla quantificazione del rimborso
chilometrico da corrispondere ai lavoratori qualora l'Amministrazione
non provveda con propri mezzi al trasporto degli stessi dal centro di
raccolta al cantiere di lavoro stabilendo che l'importo dello stesso
non puo' essere calcolato su una distanza superiore a 15 Km, rimborso
questo previsto dall'art. 54 del C.C.N.L. senza limite di
percorrenza.
Codesta ecc.ma Corte, in piu' occasioni, ha acclarato (ex
plurimis sentenze nn. 256 e 290/2012 e n. 28/2013) che ogni
regolamentazione del trattamento economico e' rimessa in forma
esclusiva alla contrattazione collettiva e non puo' essere integrata
e/o modificata dal legislatore regionale.
Il comma 6 dell'art. 13 si ritiene essere in contrasto con gli
articoli 3 e 97 della Costituzione in quanto si affida la riscossione
dei ruoli di contribuenza dei consorzi di bonifica alla SERIT S.p.A.
La SERIT S.p.A. per effetto dell'art. 2, comma 8 del decreto
assessoriale del 28 settembre 2011 e' stato oggetto di una procedura
di cosiddetta «fusione per incorporazione inversa», attuata in data
18 luglio 2012 ed operativa dal 1° settembre 2012, con la Societa'
per Azioni Riscossione Sicilia.
La norma in esame appare pertanto inidonea a produrre effetti in
quanto affida l'attivita' di riscossione dei contributi consortili ad
un soggetto giuridico inesistente.
Il 2° comma dell'art. 17 si ritiene essere in contrasto con
l'art. 81 della Costituzione, in quanto si intenderebbe fornire
copertura finanziaria ad obbligazioni pregresse di cui non e' dato
conoscere, in assenza di opportuna relazione tecnica, se le stesse
costituiscano residui passivi o siano debiti fuori bilancio, con
risorse eventuali ed incerte quali il presunto risparmio di spesa del
risultato di gestione per l'anno 2013 del Servizio Sanitario
Regionale soggetto alla verifica e determinazione dei competenti
tavoli tecnici ministeriali.
Il comma 9 del medesimo articolo 17 si ritiene anch'esso essere
in contrasto con l'art. 81 in quanto amplia la platea da soggetti
destinatari dei benefici regionali di cui all'art. 53, comma 6 della
l.r. n. 9/2013 in assenza di una preventiva quantificazione
dell'onere e di una adeguata determinazione della copertura
finanziaria, tra l'altro neppure inserita nel prospetto riepilogativo
delle maggiori spese finali di cui al riquadro B.
L'art. 19 si ritiene essere in contrasto con l'art. 17, lett. c)
dello Statuto Speciale e con gli articoli 117, comma 3 e 120 della
Costituzione.
Con la predetta disposizione, la Regione Siciliana regolamenta il
finanziamento delle prestazioni di natura socio sanitaria.
Al fine di assicurare l'effettiva integrazione tra servizi
sanitari e servizi socio-assistenziali, in particolare, l'articolo in
esame prevede, al comma 1, che sia vincolata ai distretti sanitari
quota parte delle risorse del Fondo nazionale delle politiche
sociali, nonche' di eventuali altre fonti di finanziamento
destinabili a tale finalita', e che le suddette risorse si aggiungano
a quelle destinate a tale finalita', nell'ambito del Fondo sanitario
regionale.
Il legislatore regionale stabilisce, inoltre, al comma
successivo, che le Aziende sanitarie assicurino, in deroga al limite
massimo stabilito dall'art. 59, comma 1, della l.r. n. 33/1996, la
copertura dei costi integrativi di loro competenza per le prestazioni
di natura socio-sanitaria.
Si segnala, al riguardo, che, sulla base del citato art. 59, la
Regione Sicilia pone a carico del Fondo sanitario regionale, nel
limite annuo di lire 500 milioni, l'integrazione della retta
giornaliera corrisposta dai Comuni agli enti gestori di strutture
residenziali per il ricovero di anziani non autosufficienti.
Occorre evidenziare che il finanziamento previsto dalla
disposizione richiamata dall'articolo in esame sembra configurarsi
come un vero e proprio livello ulteriore di assistenza sanitaria che
la Regione Siciliana, essendo in Piano di rientro, non puo'
garantire.
La possibilita', contenuta nell'art. 19 del disegno di legge in
esame, di derogare al suddetto limite, esprimendo la volonta' del
legislatore regionale di porre ulteriori oneri relativi
all'erogazione delle prestazioni socio-sanitarie a carico delle
risorse destinate al Servizio sanitario regionale (sia pure integrate
con la quota del Fondo nazionale per le politiche sociali)
rappresenta un'ulteriore e piu' grave violazione degli obblighi
assunti dalla Regione nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario e
appare, pertanto, in contrasto con la normativa nazionale vigente in
materia, rappresentata dall'articolo 2, commi 80 e 95, della legge 23
dicembre 2009, n. 191, secondo cui «Gli interventi individuati dal
piano di rientro sono vincolanti per la regione, che e' obbligata a
rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di
nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di
rientro».
Ne risulta pertanto violato l'articolo 17, comma 1, lett. c)
dello Statuto di autonomia speciale, per contrasto con i principi
fondamentali della legislazione statale in materia di «assistenza
sanitaria», oltre che l'articolo 117, comma 3 della Costituzione, per
contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in
materia di «coordinamento della finanza pubblica».
A tal riguardo, codesta Corte, nella sentenza n. 104/2013, nel
confermare la precedente giurisprudenza, ha dichiarato
«l'illegittimita' costituzionale di norme regionali istitutive di
misure di assistenza supplementare "in contrasto con l'obiettivo
dichiarato del Piano di rientro di riequilibrare il profilo erogativo
dei livelli essenziali di assistenza" (sentenza n. 32 del 2012),
ovvero istitutive di uffici al di fuori delle previsioni del Piano di
rientro (sentenza n. 131 del 2012), o ancora di disposizioni
regionali "in controtendenza rispetto all'obiettivo del contenimento
della spesa sanitaria regionale" (sentenza n. 123 del 2011)».
Inoltre, codesta Corte ha altresi' ricordato, da un lato, come
l'interferenza con il Piano di rientro sussista anche in presenza di
interventi non previsti nel medesimo che possano aggravare il
disavanzo sanitario regionale (sentenza n. 131 del 2012); dall'altro,
come «l'introduzione di livelli essenziali di assistenza aggiuntivi»
determini una «incoerenza della legislazione regionale rispetto agli
obiettivi fissati dal Piano di rientro del deficit sanitario»
(sentenza n. 32 del 2012).
Inoltre l'utilizzo di una «quota», peraltro indeterminata, del
Fondo Nazionale delle Politiche Sociali, a copertura dei costi
integrativi di competenza delle Aziende Sanitarie provinciali per le
prestazioni socio-sanitarie in questione, configura una impropria
destinazione delle risorse del FNPS, vincolato alla copertura dei
costi connessi alle prestazioni sociali di cui all'art. 1, comma 2,
della legge 8 novembre 2000, n. 328, escluse quelle assicurate dal
Sistema Sanitario. In altri termini, col Fondo Nazionale delle
Politiche Sociali puo' essere unicamente finanziata la componente
sociale delle prestazioni socio-sanitarie e non gia' quella di
competenza del Servizio Sanitario.
Al riguardo si osserva che, se da un lato e' noto il consolidato
orientamento della giurisprudenza di codesta Corte secondo cui lo
Stato non puo' imporre alle regioni (e segnatamente, alle Regioni a
statuto speciale) vincoli di destinazione in ordine all'utilizzo
delle somme oggetto di trasferimento, per altro verso risulta
contrastante con i principi di leale collaborazione fra i diversi
livelli di governo il previsto utilizzo di una quota parte delle
risorse del Fondo Nazionale delle Politiche Sociali che, si
ribadisce, e' indeterminata e rimessa alla discrezionale decisione
della Giunta di governo, per conseguire finalita' ulteriori e diverse
rispetto a quelle proprie del Fondo e al cui finanziamento si
dovrebbe provvedere attingendo a differenti fonti di copertura.
Riguardo all'art. 22, 4° comma si ritiene che lo stesso sia in
contrasto con gli articoli 97 e 117, 2° comma, lett. l) della
Costituzione.
Il legislatore regionale, con la disposizione in esame, determina
la decadenza «ope legis» degli organi della societa' a totale e/o
parziale capitale regionale di cui e' prevista la cessione in quanto
non ritenute strategiche. I particolari poteri di nomina e revoca
degli organi di societa' con partecipazione pubblica vengono infatti
definiti dall'art. 2449 del Codice Civile e quindi non e' consentito
al legislatore regionale di introdurre una propria disciplina
speciale per una categoria soltanto di societa' partecipate. Non
sorretta da idonea motivazione appare inoltre la prevista decadenza
immediata che peraltro potrebbe dare vita ad un gravoso contenzioso
con i componenti degli organi societari in assenza di una giusta
causa per la risoluzione del mandato.
Il fine di accelerare le procedure di vendita delle azioni e
delle relative cessioni potrebbe essere tenuto in considerazione
invero soltanto dopo l'inerzia degli attuali amministratori a seguito
delle opportune direttive loro impartite in attuazione della norma in
questione.
Il comma 2 del sopracitato articolo 22, unitamente alle
previsioni degli articoli 25, 26, 27, 28, 36 e 41 si ritengono essere
in contrasto con gli articoli 81 e 97 della Costituzione giacche'
tutte pongono a carico dell'IRFIS FinSicilia S.p.A. l'onere
finanziario derivantine che dovrebbe ricadere sulle risorse libere
dei fondi a sua disposizione o sul Fondo di cui all'art. 61 della
l.r. n. 17/2004 o ancora a seguito di indeterminate rimesse da parte
dell'E.S.A., senza che sia possibile conoscere l'entita' delle stesse
e valutare la congruenza con i compiti e le nuove finalita' ora
disposte.
La relazione tecnica non fa alcun cenno all'esistenza o meno di
risorse libere e di relativo ammontare ne' tantomeno, dai successivi
chiarimenti pervenuti informalmente si e' potuto appurare la
consistenza e l'attuale ammontare della liquidita' netta impegnabile
(un allegato reca la data del 31 dicembre 2012 e il secondo ne e'
privo).
Il legislatore, peraltro, nel disporre l'utilizzo delle «risorse
disponibili», dell'IRFIS, non si e' preoccupato di abrogare o
modificare contestualmente le vigenti norme regionali con cui le
stesse sono state assegnate e sinora utilizzate secondo ben precise
finalita' e a favore di determinate categorie di operatori economici,
rendendo cosi' nei fatti la copertura degli oneri derivanti dalle
norme in questione evanescente e non ponderata anche in relazione
alle indeterminatezza della spesa autorizzata dagli articoli 26, 27,
28 e 36.
Considerata anche l'ambigua natura giuridica dell'istituto,
titolare di due distinte iscrizioni negli elenchi di cui agli
articoli 106 e 107 del TUB antecedenti alla modifica apportata dai
d.lgs. nn. 141/2010 e 169/2012, non appare consono al principio di
cui all'art. 97 della Costituzione affidare allo stesso ulteriori
compiti e gestioni di fondi con conseguente intensificazione
dell'attivita' di indirizzo della pubblica amministrazione, prima
della definizione dell'assetto o meno di intermediario finanziario
soggetto alla vigilanza della Banca d'Italia.
L'art. 26, inoltre, sostanzialmente riproduce il contenuto
dell'art. 5 del ddl 566-stralcio I, oggetto di ricorso dinanzi a
codesta Corte in data 23 dicembre 2013 per violazione degli articoli
81 e 97 della Costituzione, atteso che il costituendo fondo e'
destinato prioritariamente alla concessione di anticipazioni o
prestazioni di garanzia a prima richiesta ad imprese agricole e della
pesca, omettendo di quantificare gli oneri conseguenti ed il limite
alla garanzia a prima richiesta secondo criteri sulla modalita' di
utilizzazione rimessi ad un emanando decreto presidenziale. La
copertura e', altresi', demandata al versamento nelle casse
dell'IRFIS di indeterminate disponibilita' di un Fondo di rotazione
esistente presso I'ESA senza, peraltro, considerare che le stesse in
base alla vigente legislazione, continuano ad essere destinate ad
altre finalita'.
Un rilievo ulteriore merita l'art. 25 con cui viene istituito un
fondo rotativo gestito da CRIAS la cui copertura dovrebbe essere
reperita sempre con parte dei fondi nella disponibilita' dell'IRFIS,
ma subordinata al diritto potestativo della Giunta regionale che
dovrebbe/potrebbe autorizzare l'IRFIS a rendere disponibili 15
milioni di euro delle proprie risorse.
L'art. 23 introduce una nuova disciplina in materia di societa'
pubbliche regionali al fine di contenere e razionalizzare la spesa
pubblica. Esso tuttavia nei commi 2° e 3° si pone in contrasto con
gli articoli 3 e 97 della Costituzione. In particolare il 2° commi,
che introduce e sostituisce il 6° comma dell'art. 20 della l.r. n.
11/2010, da un canto pone il divieto alle societa' partecipate della
Regione di effettuare nuove assunzioni di personale e, dall'altro,
per quelle gia' poste o da porre in liquidazione, dispone
l'attivazione per l'intero organico aziendale delle procedure di
licenziamento collettivo di cui alla legge n. 223/91.
A fronte di tale rigorosa disciplina, immediatamente dopo, pero',
introduce una deroga al divieto di assunzione in base alla quale le
Societa' pubbliche regionali, come ridefinite dal processo di
razionalizzazione, possono assumere personale gia' «in servizio
effettivo alla data del 31 dicembre 2009» presso le societa' poste in
liquidazione e gia' destinatarie delle procedure di licenziamento per
cessazione di attivita'.
Orbene la predetta disciplina si pone, ad avviso dello scrivente,
in stridente contrasto con quanto previsto dall'art. 18 del d.l. n.
112/2008 e dall'art. 19 del d.l. n. 78/2009, nonche' dall'art. 3 del
d.l. n. 101/2013 convertito nella legge n. 125/2013 e quindi con
l'art. 97 della Costituzione.
La disciplina teste' introdotta consente infatti l'assunzione
senza esperimento di selezioni pubbliche di personale di cui non sono
ben chiare, stante l'ambigua locuzione, «servizio effettivo», le
modalita', i criteri di selezione e il rapporto giuridico
preesistentente potrebbe, in ipotesi, essere stato costituito anche
in violazione del divieto di assunzione imposto da precedenti leggi
regionali.
La disposizione censurata configura inoltre una sorta di
mobilita' a se' stante difforme ed elusiva di quanto previsto dalla
recente normativa statale che costituisce principio di coordinamento
della finanza pubblica introdotto dal prima menzionato art. 3 del
d.l. n. 101/2013, in quanto non assicurerebbe nelle sue fasi
attuative, la condizione essenziale di razionalizzazione delle spese
e di risanamento economico-finanziario secondo appositi piani
industriali e la necessaria concertazione con le organizzazioni
sindacali.
Inoltre il personale cosi' immesso nelle dotazioni organiche
delle societa' sopravvissute al riordino potrebbe non avere requisiti
professionali adeguati, necessari per l'espletamento dei servizi
svolti dalle societa' in house, e non garantirebbe il criterio di
imparzialita' e trasparenza delle selezioni pubbliche ancorate a
sistemi oggettivi predeterminati richiesto dall'art. 97 della
Costituzione, non solo a garanzia di chi vi partecipa, ma anche dei
terzi, destinatari dell'attivita' societaria che potrebbe essere
compromessa dalla presenza di personale non in possesso di idonea e
specifica professionalita'.
Anche il 3° comma del medesimo articolo, limitatamente all'ultimo
periodo dell'introdotto comma 6-bis dell'art. 20 della l.r. n.
11/2010, si ritiene essere in contrasto con gli artt. 3 e 97 della
Costituzione. Viene infatti prevista la mobilita' del personale in
servizio presso le societa' a totale partecipazione pubblica poste in
liquidazione e nelle altre ritenute strategiche nonche' degli enti
pubblici di cui all'articolo 1 l.r. n. 10/2000, all'ARPA.
Codesta Corte, con consolidata giurisprudenza e da ultimo con la
sentenza n. 227/2013, ha ritenuto illegittima l'immissione nei ruoli
di amministrazioni pubbliche di personale esterno anche se
proveniente da societa' a totale capitale pubblico strumentali e
facenti parte dell'apparato regionale cosiddetto parallelo. Cio' in
quanto l'area dell'eccezione alla regola del concorso per l'ingresso
agli uffici pubblici, deve essere rigorosamente delimitata e non puo'
risolversi in una indiscriminata e non previamente verificata,
«tramite una selezione concorsuale pubblica», immissione in ruolo di
personale esterno attinto da bacini predeterminati.
L'eccezione alla regola del pubblico concorso non puo' essere
sorretta da una presunta e non dimostrata esigenza dell'ARPA di
reclutare diversamente dipendenti utilizzati in disciolte societa'
«in house» o negli enti sottoposti a vigilanza dalla Regione
(peculiarita' di attivita' svolte, professionalita' specializzate
elevate).
Alla norma appare piuttosto sottesa la «ratio» di tutela dei
lavoratori occupati nelle societa' in liquidazione e che, pertanto,
essendo quest'ultima ricollegabile ad un interesse specifico dei
dipendenti, non puo' essere considerato idoneo a giustificare una
deviazione dal principio generale del pubblico concorso posto a
tutela di tutti i cittadini che aspirano a ricoprire pubblici uffici.
L'art. 24 si ritiene essere in contrasto con l'art. 81 della
Costituzione. Esso infatti prevede che l'IRCAC debba annualmente
rendere disponibili le somme impegnate e non utilizzate attinenti
alla l.r. n. 37/1987 nel Fondo unico a gestione separata dallo stesso
gestito. Tali somme resteranno in dotazione al predetto istituto per
essere destinate a nuove iniziative in materia di sviluppo e
occupazione a carattere innovativo nel settore della cooperazione
mutualistica del terzo settore e ad altre finalita' indicate nel
comma ad eccezione di 10 milioni di euro che dovrebbero essere
versati, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, in entrata al bilancio regionale per essere destinato
anche alle misure per lo sviluppo e il settore sociale.
Risorse queste che sono riportate nel riquadro A1 «maggiori
entrate finali» del prospetto riepilogativo degli effetti della
manovra finanziaria.
Orbene, a fronte di quanto affermato nella relazione tecnica,
secondo cui in atto sarebbero giacenti presso le casse dell'IRCAC
circa 14 milioni di euro, dai chiarimenti forniti a questo Ufficio,
ai sensi dell'art. 3 d.P.R. n. 488/69, non risulta certa la
disponibilita' di 10 milioni di euro atteso che l'Istituto Regionale
per il Credito alla Cooperazione dovra' operare le dovute verifiche
per il disimpegno previsto nell'articolo in questione nei tempi che
non e' possibile determinare stante la complessita' delle singole
fattispecie e l'importanza dei dati da fornire.
Non evincendosi dalla relazione tecnica i criteri secondo i quali
sia stato quantificato l'ammontare delle risorse da trasferire al
bilancio della Regione ed in presenza dell'affermazione del
Commissario straordinario dell'Istituto di credito, si e' indotti a
ritenere non certa bensi' aleatoria nel «quantum» se non nell'«an»,
la maggiore entrata destinata al funzionamento del coacervo delle
nuove spese previste dell'intero provvedimento legislativo e
conseguentemente non ci si puo' esimere dal sottoporre al vaglio di
codesta Corte per violazione dell'art. 81 della Costituzione,
unitamente al secondo periodo del comma 2 dell'art. 25 che autorizza
I'IRCAC a utilizzare fino a un massimo di 5 milioni di euro le
risorse disponibili di cui alla l.r. n. 37/1978.
L'art. 30, 13° comma, si ritiene essere in contrasto con gli
artt. 3 e 97 della Costituzione. Esso infatti prevede che fino al 31
dicembre 2016 debbano essere applicate le disposizioni dell'art. 19
della l.r. n. 25/1993 e dell'art. 8 della l.r. n. 38/1994.
Dette disposizioni rispettivamente stabiliscono che i concorsi
pubblici siano soltanto per titoli, determinati e valutati secondo un
decreto dell'Assessore regionale per gli enti locali del 1992,
criteri di valutazioni questi, successivamente rideterminati dal
decreto assessoriale 19 giugno 1996 per l'accesso alle qualifiche
dirigenziali e per i concorsi riservati al personale interno. La
prevista selezione per soli titoli, peraltro, determinati con decreto
assessoriale, ad avviso del ricorrente crea delle modalita' di
selezione per i processi di stabilizzazione del personale precario
difformi da quanto prescritto sia dall'art. 35, comma 3-bis del
d.lgs. n. 165/2001, che dall'art. 4, comma 6 del d.l. n. 101/2013.
Si configurerebbe quindi un immotivato trattamento differenziato
in assenza di peculiari situazioni regionali rispetto al personale
precario di tutte le altre amministrazioni pubbliche del rimanente
territorio nazionale, che si pone in contrasti) con il principio di
ragionevolezza ed imparzialita' ed anche di buon andamento della
pubblica amministrazione laddove la verifica delle capacita'
professionali sarebbe demandata al solo possesso di titoli e non
anche all'effettiva capacita' mostrata dai candidati nello
svolgimento delle prove concorsuali.
L'art. 32 introduce una diversa ed autonoma disciplina per le
proroghe della stabilizzazione del personale a tempo determinato in
servizio presso la Regione, procedendo difformemente da quanto
operato per il personale degli Enti locali nel precedente art. 30
ove, correttamente, non si fa alcuna menzione delle procedure
concorsuali da avviare in quanto, secondo il comma 10 dell'art. 4 del
d.l. n. 101/2013, le Regioni anche a Statuto Speciale, sono tenute ad
attuare quanto previsto dai commi 6, 7, 8 e 9 dello stesso articolo,
concernenti sia le procedura concorsuale speciale o quella speciale
transitoria, che le possibilita' di proroga dei contratti di lavoro a
tempo determinato.
Si rileva quindi, innanzitutto, un'ingiustificata difformita' di
trattamento tra i lavoratori precari a seconda dell'amministrazione
pubblica dove prestano servizio ed inoltre che, dell'ambigua
formulazione dei primi tre commi dell'art. 32, deriverebbero
procedure concorsuali riservate esclusivamente a coloro che sono in
possesso dei requisiti previsti dal 2° comma dello stesso articolo.
Il legislatore, inoltre, autorizza l'attivazione di procedure di
reclutamento interamente riservate a coloro che sono in possesso del
requisiti del succitato comma 2, omettendo di fare menzione che le
stesse possano essere avviate nel limite del 50% dell'e risorse
assunzionali previste per siffatta procedura riconducibile a quella
del reclutamento speciale transitorio. Inoltre il 3° comma demanda a
successiva delibera di Giunta l'individuazione dei posti da
utilizzare per le procedure di reclutamento speciale nei limiti del
50% dei posti disponibili a garanzia dell'adeguato accesso
dall'esterno anziche' quello massimo complessivo del 50% delle
risorse finanziarie disponibili ai sensi della normativa vigente in
materia di assunzioni e di contenimento delle spese di personale
secondo i regimi limitativi fissati nei documenti di finanza
pubblica.
Si soggiunge che i due sistemi, reclutamento speciale e
reclutamento speciale transitorio, sono tra loro alternativi e non
cumulabili proprio perche' il legislatore statale ha voluto garantire
un adeguato accesso libero dall'esterno in ossequio al principio di
cui all'art. 97 della Costituzione.
Siffatta procedura di stabilizzazione inoltre, proprio perche'
riproduce con omissioni ed integrazioni le disposizioni statali,
induce a far ritenere che l'amministrazione regionale voglia
sottrarsi all'obbligo anche degli adempimenti previsti dall'art.
34-bis del d.lgs. n. 165/2001, nonche' del rispetto dei limiti del
patto di stabilita' e delle misure di contenimento delle spese per il
personale.
Il comma 7 dispone la proroga fino al 31 dicembre 2016 di
contratti di lavoro a tempo determinato gia' cessati nel 2012 e come
tali non piu' suscettibili di nuova costituzione e prosecuzione
triennale. Si tratterebbe infatti di nuovi contratti di lavoro a
tempo determinato che come tali dovrebbero soggiacere alle
disposizioni dell'art. 36 del d.lgs. n. 165/2001.
La disposizione inoltre travisa la «ratio» del d.l. n. 101/2013 e
di tutta la normativa statale in materia di precariato, in quanto
favorisce la formazione e il consolidamento di situazioni pregresse
di lavoro a tempo determinato senza valutare preventivamente le
effettive esigenze degli enti presso i quali dovrebbero essere
avviate le procedure di stabilizzazione e la compatibilita'
finanziaria degli stessi apparendo piuttosto volta a tutelare le
aspettative di una ristretta cerchia di beneficiari.
La disposizione e' altresi' censurabile sotto il profilo della
copertura finanziaria in quanto priva di un'adeguata e documentata
quantificazione degli oneri e imputata genericamente sulle
disponibilita' del Cap. 443305, la cui dotazione viene ridotta di
circa un 30% rispetto a quella dell'anno precedente.
Per le motivazioni su esposte l'articolo si ritiene in contrasto
con gli articoli 81 e 97 della Costituzione.
L'art. 33 si ritiene essere in violazione degli artt. 3 e 97
della Costituzione in quanto contiene la generalizzata ed indistinta
proroga di contratti di lavoro a tempo determinato a decorrere dal 1°
gennaio 2014, incongruamente con quanto previsto nel precedente art.
30, comma 4, ove la decorrenza dell'eventuale proroga e' rimessa agli
Enti utilizzatori del personale a tempo determinato che avranno cura
di verificare la sussistenza o meno dei presupposti per ricorrere
alla prosecuzione dell'utilizzo del personale precario.
Esso inoltre e' in contrasto con le disposizioni di cui all'art.
36 del d.lgs. n.165/2001 in base al quale le assunzioni a tempo
determinato costituiscono una fattispecie residuale rispetto alla
regola fissata dal comma 1 del medesimo articolo, secondo il quale
«per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le
pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di
lavoro subordinato a tempo indeterminato». La norma in esame,
pertanto, contrasta anche con l'articolo 117, 2° comma, lett. l),
della Costituzione che riserva alla competenza esclusiva dello Stato
l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato
regolabili dal Codice civile.
Inoltre, la disposizione in esame, non solo non tiene conto delle
norme in materia di razionalizzazione e contenimento della spesa per
il personale violando l'art.117, 3° comma della Costituzione, ma
anche si pone in contrasto con l'art. 81 della stessa, in quanto
nulla dispone in merito ad eventuali o maggiori oneri finanziari
derivanti dalla sua attuazione.
L'art. 34, rubricato «Interventi a favore dei lavoratori
appartenenti al bacino PIP - Emergenza Palermo» si ritiene essere in
contrasto con l'art. 81 della Costituzione, nella parte in cui
dispone la prosecuzione degli interventi in favore dei suddetti nel
2015 e 2016 e l'integrazione, per il corrente anno, di 4.000 migliaia
di giuro, a carico dei fondi ordinari del bilancio della Regione,
delle risorse destinate ad interventi per il sostegno ai piani di
inserimento professionale nell'ambito del Piano di Azione e Coesione.
La spesa derivante dalla suddetta integrazione di finanziamento e
proroga di intervento e' riportata in parte nel riquadro B2 «maggiori
spese finali» del prospetto riepilogativo degli effetti della manovra
finanziaria, modalita' questa non conforme, secondo quanto
argomentato in premessa, agli artt. 11, comma 6 e 17 della legge n.
196/2009 e quindi in contrasto con l'art. 81 della Costituzione.
L'art. 37 da adito a censura sotto il profilo della violazione
degli artt. 3 e 81 della Costituzione.
Esso infatti estende tutte le agevolazioni, contribuzioni e
benefici a qualsiasi titolo previsti dall'ordinamento regionale per
la famiglia, alle coppie di fatto iscritte negli appositi registri
delle unioni civili, istituiti dai comuni della Regione siciliana ed
alle famiglie mono-parentali.
Siffatta generalizzata estensione «tout court», senza distinzione
alcuna tra i singoli benefici e le ragioni e le finalita' sottese ad
ognuno di questi, si ritiene incompatibile con il principio di cui
all'art. 3 della Costituzione che impone diversita' di trattamento
per situazioni diverse quali quelle della famiglia fondata sul
matrimonio e delle unioni di fatto che trovano rispettivamente
fondamento negli artt. 29 e 2 della Costituzione.
Cio' tuttavia non esclude che su singole questioni le due
formazioni sociali, «id est» famiglia tradizionale e quella di
«fatto"» possano essere sovrapponibili e che la semplice esistenza di
un rapporto di convivenza sia meritevole di tutela con riguardo a
specifici interventi di sostegno mediante la disciplina di singoli
servizi rivolti ai cittadini come ad esempio nell'ambito delle
politiche abitative o dell'accesso a benefici assistenziali.
La norma in esame altresi' introduce un'ulteriore ed
ingiustificata disparita' di trattamento all'interno della stessa
categoria di «unioni di fatto» in quanto potrebbero accedere alla
piena parificazione con le famiglie tradizionali solo quelle iscritte
in appositi registri istituiti dai comuni della Regione.
Poiche' l'istituzione di detti registri e' frutto della
discrezionalita' dei singoli enti civici, e soltanto in alcuni di
essi sono presenti, le coppie di fatto residenti in comuni privi di
tali registri, sarebbero escluse da ogni possibilita' di accedere ai
benefici e alle provvidenze per una circostanza non dipendente dalla
loro volonta', a prescindere dall'esistenza o meno del legame
affettivo esistente.
Inoltre la disposizione contenuta nell'art. 37, ampliando in
maniera non definita e definibile a priori la platea dei destinatari
delle provvidenze e benefici previsti dall'ordinamento regionale
nonche' dei diritti in materia sanitaria, potrebbe comportare nuovi
oneri che in assenza della valutazione degli stessi nella relazione
tecnica, inducono lo scrivente a sottoporre la disposizione in
questione al vaglio di codesta Corte, anche sotto il profilo della
violazione dell'art. 81 della Costituzione.
Il 7° comma dell'art. 47 che si trascrive «L'Istituto regionale
per lo sviluppo delle attivita' produttive e' autorizzato, entro la
propria dotazione finanziaria, ad erogare i trattamenti pensionistici
integrativi dovuti al personale in quiescenza degli ex consorzi ASI
soppressi e posti in liquidazione, nel rispetto dell'articolo 12 del
regolamento di organizzazione tipo, di cui al decreto dell'Assessore
regionale per l'industria 5 aprile 2001, approvato ai sensi
dell'articolo 1, comma 3 della legge regionale 15 maggio 2000, n.
10.», sostanzialmente contiene una sanatoria e convalida
dell'avvenuta corresponsione di trattamenti pensionistici integrativi
in favore del personale in quiescenza dei consorzi ASI soppressi e
posti in liquidazione di cui non e' dato conoscere l'ammontare
complessivo degli esborsi finora effettuati e la quota di
integrazione posta ora a carico dell'Istituto Regionale per lo
sviluppo delle attivita' produttive.
La predetta integrazione previdenziale inoltre troverebbe
fondamento non da una legge ma da un regolamento o da una prassi
finora seguita oltre che dall'EAS anche dai consorzi ASI.
In assenza di una dettagliata relazione tecnica che individui i
soggetti destinatari, l'ammontare dell'integrazione per ognuno di
essi e le modalita' di calcolo della suddetta integrazione, nonche'
una proiezione decennale degli oneri derivanti dalla corresponsione
di detto beneficio aggiuntivo, e' di palmare evidenza la violazione
dell'art. 81 della Costituzione.
Inoltre la stessa disposizione, nel porre a carico della
dotazione finanziaria dell'Istituto Regionale per il Credito alla
Cooperazione gli oneri derivanti dal predetto beneficio di cui non e'
possibile quantificare l'ammontare, potrebbe comportare il venire
meno di cospicue risorse nelle disponibilita' dell'ente destinate non
solo all'ordinario funzionamento ma anche alle finalita' ed obiettivi
della sua attivita', con cio' comportando anche la violazione
dell'art. 97 della Costituzione.
Il comma 8 del medesimo art. 47 sostituisce l'art. 12 della l.r.
n. 9/2013 relativo alla quantificazione del canone di produzione
annualmente dovuto dagli esercenti delle cave alla Regione e ai
Comuni per l'attivita' estrattiva con l'incremento del 50% del
versamento dovuto «una tantum» per le opere di recupero ambientale
disposte dall'art. 19 della l.r. n. 127/80. Orbene detta sostituzione
comporta non solo un evidente minore entrata all'erario regionale di
cui peraltro non e' rinvenibile nella relazione tecnica alcun
criterio di determinazione in quanto quantificata «apoditticamente»,
nel riquadro B1 «minori entrate finali» del prospetto riepilogativo
degli effetti della manovra finanziaria, in 1.900 migliaia di euro,
ma anche la stessa e' priva di copertura in quanto e' determinata in
maniera difforme dalla previsione degli articoli 11, 6° comma e 17
della legge n. 196/2009 come illustrato in premessa.
La disposizione inoltre pone a carico dei Comuni su cui ricadono
i giacimenti minerari di cave, la minore entrata in questione
giacche' gli stessi, in virtu' del comma 5 dell'art. 12 della l.r. n.
9/2013, hanno diritto al 60% del canone di produzione ora soppresso,
riduzione questa non compensata dall'attribuzione del 20% del
versamento dell'onere dovuto per le opere di recupero ambientale.
La disposizione in questione, laddove pone a carico degli enti
appartenenti alla finanza pubblica allargata un nuovo onere o una
minore entrata senza quantificarne e determinarne la copertura, si
pone ulteriormente in contrasto con l'art. 81 della Costituzione.
Del pari il comma 9 e' in contrasto con l'art. 81 della
Costituzione in quanto pur disponendo, per cinque periodi di imposta,
agevolazioni IRAP a favore delle imprese che si costituiscono o che
iniziano l'attivita' lavorativa nell'anno 2014, omette di
quantificare gli oneri e di indicare i relativi mezzi di copertura
per gli esercizi successivi al 2016.
Il legislatore e' cosi venuto meno alla fondamentale esigenza di
chiarezza e solidita' di bilancio cui l'art. 81 della Costituzione si
ispira e in base al quale la copertura di nuove spese o minori
entrate deve essere credibile ed in equilibrato rapporto con la spesa
che si intende effettuare negli esercizi futuri secondo quanto
acclarato da codesta Corte con costante giurisprudenza (ex plurimis
sentenze n. 271/2011 e 131/2012).
Il comma 10 inoltre autorizza la spesa di 250 migliaia di euro in
favore dei lavoratori della ex Pirelli di Villafranca (ME) e di
Siracusa destinatari di provvidenze economiche nel 1996 in virtu'
dell'art. 34 della l.r. n. 33/1996.
A parte la considerazione che non riesce facilmente comprensibile
per quale ragione il legislatore intervenga dopo circa 18 anni in
favore di una categoria di soggetti gia' beneficiari di misure di
sostegno al reddito, la disposizione in questione si ritiene essere
in contrasto con l'art. 81 della Costituzione in quanto, in assenza
di specifica menzione nella relazione tecnica che indichi i criteri
per la quantificazione degli oneri finanziari, non e' possibile
valutare la congruita' e l'adeguatezza dell'autorizzazione di spesa.
Il comma 19 dell'art. 47 si ritiene essere in contrasto con
l'art. 11 d.l. n. 158/2012 convertito in legge n. 189/2012 in
relazione ai limiti posti dall'art. 17, lett. c) dello Statuto
Speciale.
La norma regionale, oggetto di censura che di seguito si
trascrive «Al fine della razionalizzazione della spesa per l'acquisto
di prodotti farmaceutici a carico del Servizio sanitario nazionale,
l'Assessorato regionale della salute: predispone idoneo disciplinare
per la prescrizione ed erogazione di prodotti .farmaceutici in
confezioni monodosi o contenenti un numero di presidi utili per un
ciclo terapeutico medio, per evitare l'accumulo di farmaci
inutilizzati nelle cosi dette farmacie domestiche; fissa gli importi
delle quote di compartecipazione a carico degli assistiti in misura
proporzionale al minor costo delle confezioni unitarie o per ciclo
terapeutico medio. In via di prima applicazione, a decorrere dalla
data di entrata in vigore della presente legge, quanto disposto dal
presente articolo si applica a tutte le prestazioni farmaceutiche
erogate da parte delle farmacie delle strutture pubbliche e private
accreditate nel rispetto della normativa vigente sul confezionamento
delle specialita' medicinali.», fa riferimento alla fattispecie dello
sconfezionamento dei farmaci, prevedendo che, in sede di prima
applicazione, essa si applichi «a tutte le prestazioni farmaceutiche
erogate da parte delle farmacie delle strutture pubbliche e private».
Tale disposizione contrasta con quanto previsto dall'art. 11,
comma 5, del d.l. n. 158/2012, il quale dispone che «le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano sono autorizzate a
sperimentare, nei limiti delle loro disponibilita' di bilancio, i
sistemi di riconfezionamento, anche personalizzato, e di
distribuzione dei medicinali agli assistiti in trattamento presso
strutture ospedaliere e residenziali, al fine di eliminare sprechi di
prodotti e rischi di errori e di consumi impropri. Le operazioni di
sconfezionamento e riconfezionamento dei medicinali sono effettuate
nel rispetto delle norme di buona fabbricazione, con indicazione del
numero di lotto di origine e della data di scadenza. L'AIFA, su
richiesta della Regione, autorizza l'allestimento e la fornitura alle
strutture sanitarie che partecipano alla sperimentazione
macroconfezioni di medicinali in grado di agevolare le operazioni
predette».
La richiamata norma statale, quindi, consente i sistemi di
riconfezionamento solo alle condizioni, nei limiti e con le procedure
da essa previsti. In particolare, si evidenzia come essa preveda che
tali sistemi di riconfezionamento possano essere effettuati solo a
favore degli assistiti in trattamento presso strutture ospedaliere e
residenziali e nel rispetto delle norme di buona fabbricazione.
Per le ragioni sopra illustrate, e' da ritenere che la citata
norma regionale violi l'art. 17, lett. c) dello Statuto Speciale
della Regione Siciliana, che rimette la materia dell'assistenza
sanitaria - nella quale e' ricompresa l'assistenza farmaceutica -
alla potesta' legislativa concorrente, in base alla quale la Regione,
nell'esercizio della propria potesta' legislativa, deve rispettare i
principi della legislazione statale, nel caso in esame recati dal
citato art. 11, comma 5, del d.l. n. 158/2012, rispetto al quale la
norma regionale «de qua» si pone invece in contrasto.
P.Q.M.
Ai sensi dell'art. 28 dello Statuto Speciale, con il presente
atto impugna i sottoelencati articoli del disegno di legge n. 670 dal
titolo «Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2014.
Legge di stabilita' regionale», approvato dall'Assemblea Regionale
Siciliana il 15 gennaio 2014:
Art. 3, commi 3, 8 e 9 per violazione degli articoli 81 e 97
della Costituzione;
Art. 5, commi 2, 3, 5 e 6 per violazione degli articoli 81,
97, 117, 2° comma, lettere e) e g) della Costituzione;
Art. 6, commi 8 e 9 per violazione dell'art. 81 della
Costituzione;
Art. 8, comma 2 per violazione dell'art. 120 della
Costituzione;
Art. 9, comma 3 per violazione dell'art. 117, comma 2,
lettera l) della Costituzione;
Art. 10 per violazione dell'art. 97 della Costituzione;
Art. 11, comma 8 per violazione degli articoli 97 e 117, 2°
comma, lettera e) della Costituzione;
Art. 12, commi 5 e 6 limitatamente al terzo periodo per
violazione degli articoli 81 e 117, 2° comma lettera l) della
Costituzione;
Art. 13, commi 5, 6 limitatamente al capoverso, 7 e 8 per
violazione degli articoli 3, 81 e 97 della Costituzione;
Art. 14 per violazione dell'art. 81 della Costituzione;
Art. 17, comma 1 limitatamente alla maggiore spesa rispetto a
quella prevista per il 2014 dall'allegato 1 della legge regionale n.
9/2013, commi 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9 e 10 per violazione dell'art. 81
della Costituzione;
Art. 19 per violazione dell'art. 17 lett. c) dello Statuto
Speciale e degli articoli 117, comma 3 e 120 della Costituzione;
Art. 22, comma 2 limitatamente al secondo periodo e comma 4
per violazione degli articoli 81, 97 e 117, comma 2 lettera l) della
Costituzione;
Art. 23, comma 2 limitatamente ai periodi compresi tra le
parole «in deroga al divieto di nuove assunzioni» e «con apposite
deliberazioni della giunta regionale» e comma 3 limitatamente al
secondo periodo da «tali disposizioni si applicano» a «alla l.r. 15
maggio 2000, n. 10 e successive modifiche e integrazioni all'ARPA»
per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione;
Art. 24 per violazione dell'art. 81 della Costituzione;
Articoli 25, 26, 27 e 28 per violazione degli articoli 81 e
97 della Costituzione;
Art. 29 per violazione dell'art. 81 della Costituzione;
Art. 30, comma 13 per violazione degli articoli 3 e 97 della
Costituzione;
Art. 32, commi 1, 2, 3, 6 e 7 per violazione degli articoli
3, 81 e 97 della Costituzione;
Art. 33 per violazione degli articoli 3, 81, 97 e 117, 2°
comma, lettera l) e 3° comma della Costituzione;
Art. 34, comma 2 limitatamente all'inciso «la data di
scadenza del 31 dicembre 2013 prevista dall'art. 43, comma 1, della
legge regionale n. 9/2013, e' prorogata al 31 dicembre 2016 e» e
comma 6, primo periodo per violazione dell'art. 81 della
Costituzione;
Art. 36 per violazione degli articoli 81 e 97 della
Costituzione;
Art. 37 per violazione degli articoli 3 e 81 della
Costituzione;
Articoli 38, 39, 40, 41, 42, 43 e 46 per violazione degli
articoli 81 e 97 della Costituzione;
Art. 47, commi 5, 6, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 15, 16 e 19 per
violazione degli articoli 81 e 97 della Costituzione e dell'art. 11
del d.l. n. 158/2012 convertito in legge n. 189/2012 in relazione ai
limiti posti dall'art. 17, lett. c) dello Statuto Speciale.
Palermo, 23 gennaio 2014
Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana
Aronica