Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 28 gennaio 2014 (del Commissario dello  Stato  per  la
Regione Siciliana).
 

(GU n. 10 del 26.2.2014)

    L'Assemblea Regionale Siciliana,  nella  seduta  del  15  gennaio
2014,  ha  approvato  il  disegno  di  legge  n.   670   dal   titolo
«Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2014.  Legge  di
stabilita' regionale.», pervenuto a questo Commissariato dello  Stato
per la Regione Siciliana, ai sensi e per  gli  effetti  dell'art.  28
dello Statuto Speciale, il 18 gennaio 2014.
    Prima di indicare le  disposizioni  contenute  nel  provvedimento
legislativo comportanti nuovi e/o maggiori  oneri  che  si  intendono
sottoporre al vaglio di codesta Corte  per  violazione  dell'art.  81
della Costituzione, si ritiene necessario, per delineare il  contesto
economico finanziario in cui gli stessi incideranno,  esporre  quanto
rilevato dalla Corte dei  conti  -  Sezioni  Riunite  -  in  sede  di
controllo per la Regione  Siciliana  in  occasione  del  giudizio  di
parifica  del  Rendiconto  Generale  della  Regione  per  l'esercizio
finanziario 2012, tenutosi nell'udienza pubblica dei 28 giugno  2013,
nella  precipua  considerazione  che  le  criticita'   dalla   stessa
segnalate non hanno trovato soluzioni nei  documenti  finanziari  ora
approvati dall'Assemblea Regionale.
    L'Organo di controllo, nella relazione che accompagna il giudizio
di parifica, aveva rilevato che «i risultati conseguiti dalla Sicilia
nel 2012 evidenziano uno scenario  particolarmente  preoccupante  con
riguardo sia  all'andamento  economico  generale  che  all'evoluzione
della finanza pubblica».
    Gli esiti della finanza pubblica regionale emergenti dai dati del
rendiconto generale per l'esercizio  2012,  indicavano,  infatti,  in
termini di competenza, che tutti i saldi di bilancio consolidavano  i
valori negativi contabilizzati nell'esercizio  precedente  e  che  in
particolare il saldo tra entrate e  spese  correnti  (c.d.  risparmio
pubblico) era pari ad un valore negativo di 1.099 milioni di  euro  e
che lo stesso aveva subito un peggioramento rispetto all'anno 2011.
    Sul fronte della gestione di cassa la Corte  dei  conti  rilevava
altresi' una bassa dinamica degli incassi («13.228 milioni di euro di
versamenti totali a fronte di  15.381  di  correlativi  accertamenti,
talche' i residui  attivi  di  nuova  formazione  avevano  subito  un
incremento di oltre 2 milioni di euro pari al 29% rispetto al 2011»).
    Le spese correnti inoltre  si  attestavano  allo  stesso  livello
dell'esercizio precedente (15.447 milioni) a  causa  delle  rigidita'
delle stesse non incise dagli interventi strutturali di  contenimento
disposti con la legge di stabilita'.
    Inoltre la Corte segnalava  come  il  complesso  degli  andamenti
registrati nel 2012 era stato originato dalla mancata soluzione delle
criticita' piu' volte evidenziate dalla stessa, segnatamente riguardo
al fenomeno dei residui attivi generati dalle  entrate  tributarie  e
delle consequenziali refluenze sulla quantificazione del risultato di
amministrazione.
    La Corte dei conti, fin dal giudizio di parifica  del  rendiconto
generale per l'anno 2011,  aveva  infatti  analizzato  la  patologica
situazione venutasi a  creare  nel  tempo  a  causa  del  continuo  e
progressivo espandersi del volume  dei  residui  attivi,  pari  a  15
miliardi  di  euro   di   cui   una   consistente   quota   formatasi
antecedentemente all'anno 2001, mettendo in  rilievo  come  poste  di
«assai   dubbia   esigibilita'»   influivano   sul    risultato    di
amministrazione  e  avessero  fornito  e  tuttora   forniscano   «una
copertura non idonea al volume di spesa cosi' alimentato».
    Essa aveva dato atto inoltre che in passato il Governo regionale,
proprio perche' aveva riconosciuto l'improbabile  realizzabilita'  di
parte dei residui attivi iscritti  nel  rendiconto  del  2000,  aveva
disposto, in attuazione dell'art. 3 l.r. n.  15/01,  l'accantonamento
con vincolo di indisponibilita', in  apposito  fondo,  di  una  quota
dell'avanzo dell'esercizio finanziario 2000, pari a 2.065 milioni  di
euro, in  corrispondenza  ad  entrate  tributarie  accertate  ma  non
riscosse. La normativa regionale successiva ha pero' progressivamente
prosciugato le relative dotazioni  finanziarie  fino  a  toccare  nel
bilancio di previsione 2012 l'importo di 273.685 migliaia di  euro  a
fronte di una massa di residui attivi quantificabili in 3.574 milioni
di euro per entrate tributarie relativamente alle quali,  secondo  la
Corte dei conti persiste concretamente il rischio di inesigibilita'».
    La Corte dei  conti  aveva  espresso  pertanto  «una  valutazione
negativa circa l'adeguatezza della quantificazione operata sui  fondi
appostati in bilancio per sopperire ai rischi innanzi  indicati»,  il
cui impatto in effetti avrebbe  potuto  seriamente  compromettere  in
futuro i complessivi equilibri di bilancio  essendo  carenti  a  tale
scopo sia la dotazione di 110 milioni di euro prevista  nel  bilancio
2013 per il fondo di salvaguardia di cui all'art.  7  comma  2  della
l.r. n. 9/2013, sia quella di 150 milioni di euro per ciascuno  degli
esercizi 2014 e 2015 del fondo destinato a fronteggiare  gli  effetti
finanziari sui saldi di  bilancio  conseguenti  all'eliminazione  dei
residui attivi cui non corrispondono crediti da riscuotere.
    Orbene, a fronte di tale puntuale analisi operata dalla Corte dei
conti, occorre rilevare come non solo il Cap. 215713 nel Bilancio  di
previsione  per  il  corrente  esercizio  viene  mantenuto  privo  di
stanziamento e solo per  memoria,  ma  che  anche  il  fondo  di  cui
all'art. 7 della l.r. n. 9/2013 (Cap. 215727) presenta una  dotazione
di soli 99.500 migliaia di euro, ben inferiore a quella gia' ritenuta
carente nei decorso anno dall'Organo  di  controllo  contabile  e  di
certo determinata con criteri  non  corrispondenti  alle  indicazioni
fornite da codesta ecc.ma Corte nella  sentenza  n.138/2013.  Criteri
questi non esplicitati peraltro nella relazione tecnica ove del  tema
della  consistente  mole  di  residui   attivi   e   della   relativa
esigibilita' o meno non e' fatta alcuna menzione.
    L'Organo di controllo inoltre, a fronte del «preoccupante divario
tra spese correnti ed entrate  correnti  ormai  consueto  nell'ultimo
triennio, pari ad oltre  1  miliardo  di  euro»,  aveva  invitato  il
Governo ad  indagare  sull'emersione  del  disavanzo  corrente  e  ad
attivare riforme strutturali  della  spesa  pubblica  regionale  e  a
tendere ad un rigoroso contenimento della  tendenza  espansiva  della
spesa  corrente  mediante  «un   congruo   effettivo   e   permanente
ridimensionamento della stessa anche attraverso il ripensamento e  la
riperimetrazione dei confini dell'azione pubblica regionale».
    Il legislatore regionale,  proprio  per  consentire  uno  stabile
miglioramento dei saldi di bilancio, in virtu' dell'art. 2 della l.r.
n. 9/2013, avrebbe dovuto provvedere all'elaborazione,  entro  il  31
dicembre 2013, di un piano di  riordino  della  normativa  regionale,
finalizzato al contenimento della spesa corrente e  al  perseguimento
di obiettivi di risparmio per i  principali  settori  di  intervento.
Questo piano, pero', a tutt'oggi non e' stato  proposto  dal  Governo
regionale, ma soltanto preannunciato nel documento di  programmazione
economico finanziaria (DPEF) approvato dalla Giunta  di  Governo  con
delibera  265  del  22  luglio  2013,  e  che   adesso   risulterebbe
parzialmente concretizzato nelle norme  contenute  nel  provvedimento
legislativo teste' approvato, i cui effetti tuttavia  non  sono  allo
stato  degli  atti  valutabili,  anche  in  assenza  di   un'adeguata
relazione tecnica che ne illustri i contenuti specifici ed i risparmi
di spesa conseguibili nel corso dell'esercizio 2014.
    L'Organo di controllo contabile aveva altresi' censurato  il  non
corretto «ciclo del bilancio» ed  in  particolare,  le  modalita'  di
redazione  del  bilancio  a  legislazione  vigente,  rilevando   come
quest'ultimo non fosse costruito sulla scorta dei valori  tendenziali
della finanza pubblica regionale, ma piuttosto  volto  «a  conseguire
valori migliorativi rispetto ai saldi programmati  recando  improprie
previsioni di stanziamento con l'intento di ripristinare in  sede  di
finanziaria o, addirittura, nel corso della gestione, la dotazione di
tali poste nelle misure ritenute adeguate».
    In tal modo, cosi', il disavanzo tendenziale che  avrebbe  dovuto
risultare  nel  bilancio  a  legislazione  vigente,   sarebbe   stato
«coperto» nello stesso documento tramite una nuova dotazione di tutte
una serie di voci di spese e la previsione di nuove entrate.
    Non ortodossa prassi, questa, mantenuta anche nella redazione del
bilancio  di  previsione  a  legislazione  vigente  per  l'anno  2014
presentato dal Governo, dove numerosi capitoli di spesa, attinenti ad
oneri  incomprimibili  per  il  funzionamento  di  enti  e  strutture
regionali (ex plurimis ad esempio i capitoli 242523, 242524,  443308,
443305,  373312,  147303,   343301   e   343315)   presentavano   uno
stanziamento particolarmente esiguo, poi  rideterminato  in  sede  di
approvazione della  presente  legge  finanziaria  con  incrementi  in
taluni casi  di  oltre  il  400%,  riportando  la  spesa  ai  livelli
consolidati negli anni precedenti.
    Inoltre, nel  bilancio  ora  approvato  sono  stati  mantenuti  a
livelli ben inferiori rispetto al  dato  consolidato  degli  esercizi
precedenti, gli  stanziamenti  di  spese  obbligatorie  quali  quelli
derivanti dalle cosiddette regolazioni contabili (capitoli  219202  e
219205),  nonostante  che  nella  relazione   tecnica   redatta   dal
ragioniere   generale   sia    stata    esplicitamente    evidenziata
l'insufficienza della dotazione di circa 200 milioni sia considerando
l'utilizzo medio dei fondi che l'incidenza delle entrate riscosse.
    Del pari e' stato diminuito di circa il 35% lo  stanziamento  del
capitolo 108009, relativo anch'esso ad una spesa  obbligatoria  quale
l'indennita' di buonuscita da corrispondere ai dipendenti  regionali,
in base  alla  laconica  giustificazione  contenuta  nella  relazione
tecnica secondo cui si sarebbe ricondotta la dotazione  del  capitolo
«alle somme impegnate nell'anno  precedente»  senza  pero'  indicarne
l'importo.
    Incomprensibile appare inoltre il mantenimento «per memoria»  dei
capitoli 215501 e 215502 relativi alle somme da versare in entrata  a
titolo di ammortamento di beni mobili ed immobili, che nei precedenti
bilanci  degli  anni  2012  e  2013   presentavano   una   dotazione,
rispettivamente, di 52.580 e 722 migliaia di euro.
    La Corte dei conti aveva inoltre censurato come con la  legge  di
stabilita'  regionale  venissero   introdotte   nuove   spese   senza
assicurare la necessaria copertura, destinata ad essere reperita  nel
saldo da impiegare risultante dal bilancio a legislazione vigente  o,
in difetto di quest'ultimo, con il ricorso  al  mercato.  La  mancata
distinzione tra entrate e spese  di  natura  corrente  nel  riepilogo
delle risorse e degli oneri arrecati dalla  legge,  non  consente  di
verificare  l'effettiva  copertura  delle  nuove  o  maggiori   spese
correnti  e,  conseguentemente  escludere  che  le   stesse   trovino
copertura  nell'indebitamento  entrate  straordinarie  «una  tantum».
Orbene, anche questa ulteriore criticita' rilevata  data,  Corte  dei
conti,  non  e'  stata  tenuta  nella   debita   considerazione   dal
legislatore regionale nella  redazione  del  prospetto  riepilogativo
della manovra finanziaria per il triennio 2014  -  2016  ove  vengono
indistintamente riportate maggiori entrate e minori spese destinate a
finanziare  indistinte  minori  entrate  e  maggiori  spese   finali,
omettendo altresi'  di  indicare  nel  suddetto  riepilogo  i  minori
proventi derivanti da talune norme introdotte nell'articolato che  si
avra' modo di illustrare in prosieguo.
    La necessita' di assicurare una reale  copertura  delle  nuove  o
maggiori spese o delle  minori  entrate  introdotte  dalla  legge  di
stabilita' costituisce invero non solo un adempimento  richiesto  dai
principi di sana gestione finanziaria ma anche  un  puntuale  obbligo
imposto, oltre che dall'art. 81 della Costituzione, anche dalla nuova
legge  nazionale  di  contabilita'  e  finanza  pubblica  (legge   n.
196/2009) da ritenersi applicabile anche nella Regione  siciliana  in
virtu' del rinvio operato dall'art. 21 comma 6 della l.r. n.  47/1977
e s.m.i.
    L'art. 11 comma 6 della legge n. 196/2009 stabilisce infatti  che
la legge di stabilita' puo' disporre per ciascuno degli anni compresi
nel bilancio pluriennale, nuove o maggiori spese correnti,  riduzione
di entrate e nuove finalizzazioni da iscrivere nel Fondo speciale  di
parte corrente, nei limiti delle nuove o maggiori entrate tributarie,
extratributarie  e  contributive  e  delle  riduzioni  permanenti  di
autorizzazioni di spesa corrente.
    E' pertanto imprescindibile che il prospetto riepilogativo  degli
effetti  finanziari   della   legge   dimostri   dettagliatamente   e
analiticamente che le nuove o  maggiori  spese  correnti  nonche'  le
minori entrate trovino preciso e puntuale riscontro in risorse  della
medesima natura  reperite  nell'ambito  dei  contenuti  tipici  della
stessa finanziaria, quali nuove o maggiori  entrate  o  riduzioni  di
spese.
    Condizioni  queste  che  non  appaiono  essere  soddisfatte   dal
legislatore, tanto piu' che l'allegato  prospetto  riepilogativo  non
solo e' redatto, come prima evidenziato, in  difformita'  ai  criteri
posti dalla legge n. 196/2009 cogenti, in quanto attuativi  dell'art.
81 della Costituzione  anche  per  la  Regione  Siciliana,  ma  anche
presenta evidenti incongruenze ed omissioni.
    Incomprensibile appare anche il dato riportato  nel  riquadro  B2
«maggiori   spese   finali»   per   quanto   attiene   all'art.    4,
«accantonamenti  tributari»  comma  1,  i  cui  importi  relativi  al
triennio non appaiono coerenti ne' con la relazione tecnica, ne'  con
il testo dell'articolo.
    Il riquadro B1 «minori entrate  finali»  non  tiene  conto  della
minore entrata derivante dalla riduzione dal 20% al 13% dell'aliquota
di prodotto che i titolari di  concessione  di  coltivazioni  per  la
produzione di idrocarburi liquidi e gassosi e di  gas  diversi  dagli
idrocarburi   ottenute   nel   territorio   della   regione    devono
corrispondere,  ai  sensi  dell'art.  13  della   l.r.   n.   9/2013,
annualmente  all'amministrazione  regionale  e  ai  comuni  nei   cui
territori ricade il giacimento. Non comprensibile risulta inoltre  la
quantificazione  della  minore  entrata  inserita  nel  riquadro   B1
relativa alla previsione di cui all'art. 47 comma 8,  in  assenza  di
elementi idonei per la  valutazione  della  congruita'  della  minore
entrata, i  quali  si  sarebbero  dovuti  rinvenire  nella  relazione
tecnica che, invece, non  fa  alcuna  menzione,  al  riguardo,  della
previsione legislativa e delle conseguenze dalla stessa prodotte.
    Analogamente non appare  giustificabile  la  riduzione  di  spesa
inserita nel riquadro A2 relativa all'art. 11, comma 3 in assenza  di
elementi illustrativi ed esplicativi nella relazione tecnica riguardo
alla corresponsione delle somme  dovute  ai  dipendenti  regionali  a
titolo di arretrati in attuazione dell'art. 6, comma 9 della l.r.  n.
del 26/2012.
    Non comprensibile risulta anche l'inserimento nel riquadro B2 del
maggior  onere  derivante  dall'art.  12,  comma   5   in   tema   di
forestazione, atteso che lo  stesso  viene  quantificato  in  123.200
migliaia di euro anziche' in 180.000  migliaia  di  euro  cosi'  come
autorizzato per l'esercizio finanziario 2014.
    Del pari non risulta comprensibile  la  ragione  dell'inserimento
dell'importo di  192.830  migliaia  di  euro,  quale  maggiore  spesa
derivante dall'art. 17, comma 1, a fronte di  una  spesa  complessiva
nel testo del suddetto comma, di 262.931 migliaia di euro e di 53.743
migliaia di euro a «legislazione  vigente»  secondo  quanto  previsto
dall'art. 72, comma 1 della l.r. n. 9/2013.
    Sulla base di quanto esposto lo scrivente e' dell'avviso  che  la
copertura dei nuovi e maggiori oneri  a  carico  del  bilancio  della
Regione con proprie risorse derivanti  dalle  disposizioni  contenute
negli articoli 6 commi 8 e 9, 12 comma 5, 13 commi 5, 7 e 8,  14,  17
commi 1, 3, 4, 5, 6, 8, 9 e 10, 28, 29, 32 comma 6, art. 34 , 38, 39,
40, 42, 43, 46 e 47 commi 5, 6, 13, 14, 15 e 16  non  sia  credibile,
sufficientemente  sicura  ed  ancorata   a   criteri   di   prudenza,
affidabilita' e appropriatezza, in adeguato rapporto con le spese che
si  intendono   effettuare,   cosi'   come   richiesto   da   codesta
eccellentissima  Corte  con  costante  giurisprudenza  (ex   plurimis
sentenze nn. 192/2012 e 18/2013).
    Anche le disposizioni contenute negli articoli che  di  prosieguo
si illustrano si ritiene  debbano  essere  sottoposti  al  vaglio  di
codesta ecc.ma Corte per profili di incostituzionalita' anche diversi
dalla  violazione  dell'art.  81  della  Costituzione  o  per  motivi
ulteriori rispetto a quelli prima esposti.
    L'art. 3 rubricato «Disposizioni in  materia  di  residui  attivi
passivi e perenti e di equilibrio di bilancio»  per  quanto  previsto
dai commi 3, 8 e 9, da  adito  a  censura  di  costituzionalita'  per
violazione degli articoli 81 e 97 della Costituzione.
    Il comma 3 dispone infatti che i  residui  passivi  derivanti  da
impegni assunti fino all'esercizio  2003,  eliminati  per  perenzione
amministrativa e  non  reiscritti  in  bilancio,  entro  la  chiusura
dell'esercizio 2013, siano eliminati dalle scritture contabili  della
Regione del medesimo esercizio.
    L'eliminazione dei residui perenti dal conto del  patrimonio  non
puo' tuttavia essere effettuata  automaticamente  ma  deve  limitarsi
esclusivamente a quelle partite andate in perenzione per le quali non
permangono  i  presupposti  giuridici  del  debito   della   Pubblica
Amministrazione.
    Il successivo comma 8 nel prevedere un limite «non  superiore  al
40 per cento» per la proposta di conservazione dei  residui  passivi,
assenti nel decorso esercizio, per i quali, essendo  venute  meno  le
ragioni  dell'obbligazione  di  cui  al  precedente  7°   comma,   le
amministrazioni interessate devono dimostrare l'effettiva esigenza di
conservazione, determina un livello dei residui  passivi  stessi  non
coerente con la reale posizione debitoria della Regione  in  evidente
contrasto con i principi di chiarezza, veridicita' e trasparenza  del
bilancio e peraltro suscettibile di comportare maggiori oneri  futuri
non dando  al  contempo  contezza  della  reale  posizione  debitoria
complessiva della Regione.
    Il comma 9 inoltre prevede che gli effetti  finanziari  derivanti
dalla cancellazione dei residui passivi disposta  dal  precedente  8°
comma sia destinato ad incrementare la dotazione  del  Fondo  per  la
cancellazione dei residui attivi di cui all'art. 5, l.r. n. 11/2010.
    Siffatto incremento puo' essere ritenuto plausibile e  consentito
soltanto   nei   limiti   delle   risorse    finanziarie    correlate
all'eliminazione dei residui passivi per  i  quali  sia  venuto  meno
realmente il presupposto giuridico  del  debito  e  non  anche,  come
previsto dalla norma in  questione,  da  un  limite  determinato  dal
legislatore sull'intero ammontare dei  residui  a  prescindere  dalla
effettiva esigenza di mantenimento dei residui stessi.
    L'art. 5, comma 2 si ritiene essere in contrasto  con  l'art.  81
della Costituzione.
    A sostegno, della cennata censura, si rileva che  il  legislatore
dispone che l'aliquota di prodotto dovuta dal titolare di concessione
di coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi e gassosi  e  di
gas diversi dagli idrocarburi sia ridotta dal 20% al 13%, ma  non  si
preoccupa di quantificare le evidenti minori entrate e la conseguente
copertura dell'onere derivante.
    Nella relazione tecnica non e' fatto alcun cenno alle ragioni che
hanno indotto il legislatore a tale scelta ed alle conseguenze  sugli
equilibri  finanziari  dei  Comuni  nei  cui  territori  ricadono   i
giacimenti che, in virtu'  dell'art.  13,  4°  comma  della  l.r.  n.
9/2013, hanno diritto ai  due  terzi  dei  proventi  derivanti  dalla
suddetta aliquota.
    Si soggiunge, peraltro, che risulta inspiegabile come.  a  fronte
di detta previsione legislativa, il  relativo  capitolo  di  bilancio
2612, presentava inizialmente una dotazione di 8.547 migliaia di euro
in diminuzione rispetto al  dato  rendicontato  nel  2012  di  10.232
migliaia di euro, mentre nel testo notificato a questo Commissariato,
a seguito della  approvazione  definitiva,  risulta  aumentata  a  15
milioni.
    Il comma 3 del medesimo articolo si ritiene essere  in  contrasto
con l'art. 117, 2° comma lett. e) della Costituzione che  attribuisce
allo Stato la potesta' legislativa esclusiva in  materia  di  sistema
tributario statale.
    La nuova disposizione  stabilisce  infatti  che  le  tasse  sulle
concessioni  regionali  cui  sono  assoggettate  le   autorizzazioni,
licenze, abilitazioni o altro  atto  di  consenso  per  le  attivita'
comprese nelle tabelle di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641 e  al
d.lgs. 22 giugno 1991, n. 230, si intendono estese alle  segnalazioni
certificate  di  inizio  attivita'  (SCIA),  di  cui   alle   vigenti
disposizioni statali e regionali in materia.
    La  norma  in  esame  invero,  nell'estendere  alle  segnalazioni
certificate di inizio attivita' (SCIA), le corrispondenti tasse sulle
concessioni regionali. di  fatto  istituisce  un  nuovo  tributo,  in
quanto  il  d.lgs.  22  giugno  1991,  n.  230,  non   prevede   tale
fattispecie.
    Bisogna, infatti, sottolineare che  le  tasse  sulle  concessioni
regionali rientrano tra i tributi erariali, sia  pure  devoluti  alle
regioni  e  pertanto  al  legislatore  regionale  non  e'  consentito
intervenire sulla loro disciplina secondo il costante orientamento di
codesta Corte (ex multis sentenze n. 323 del 2011, n. 241 del 2004  e
n. 296 del 2003).
    Non  va  peraltro  sottovalutata  la   circostanza   che   appare
oggettivamente impropria, la scelta di individuare  come  fattispecie
imponibile la segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA).
    Occorre,   infatti,   evidenziare   la   natura   sostanzialmente
privatistica di detta segnalazione e tale circostanza comporta che ad
essa non puo' essere attribuita natura provvedimentale, come dimostra
anche   l'evoluzione    dell'istituto    in    sede    normativa    e
giurisprudenziale. In  particolare,  appare  determinante  il  tenore
letterale dell'art. 19, comma 6-ter della legge  7  agosto  1990,  n.
241, con cui il legislatore ha sgombrato il  campo  da  ogni  dubbio,
statuendo che la segnalazione certificata  di  inizio  attivita',  la
denuncia e la dichiarazione di  inizio  attivita'  non  costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili.  Lo  spoglio  di  ogni
traccia   di   attivita'   provvedimentale,   priva    pertanto    di
giustificazione  l'assoggettamento  della  SCIA  alle   tasse   sulle
concessioni, per le quali il presupposto impositivo sorge al  momento
del rilascio, da parte degli  Organi  dell'Amministrazione  pubblica,
dei provvedimenti amministrativi e degli altri  atti  elencati  nelle
tariffe previste dalle specifiche normative tributarie, necessari per
consentire agli interessati di  compiere  taluni  atti  e  esercitare
determinati e specifici diritti.
    Del  resto,  l'assoggettamento   della   SCIA   alla   tassa   di
concessione, non puo' trovare un'oggettiva giustificazione, in quanto
quest'ultima   finirebbe   per   rappresentare    il    corrispettivo
dell'attivita'   amministrativa   di   controllo   successivo    alla
presentazione della segnalazione del privato e al  contestuale  avvio
dell'attivita'.  Tuttavia  tali  poteri  inibitori,  se   esercitati,
comporterebbero il mero divieto di prosecuzione dell'attivita'  e  la
conseguente  emanazione  di  un  provvedimento   di   diniego   della
concessione che non potrebbe certo giustificare  il  pagamento  della
relativa tassa, in quanto la legge prevede che la stessa  sia  dovuta
solo al momento del rilascio del provvedimento amministrativo.
    In  ultima  analisi,  la  linea  evolutiva  della  SCIA  dimostra
inequivocabilmente che l'istituto trascende  l'attivita'  tipicamente
provvedimentale    autorizzatoria/concessoria     delle     pubbliche
amministrazioni e ricade nell'ambito delle  attivita'  liberalizzate.
In virtu' di cio' viene meno anche ogni spazio per  l'imposizione  di
una tassa sulle concessioni relativamente a questo tipo di attivita'.
    Il comma 5 del medesimo articolo si ritiene essere  in  contrasto
con l'art. 117, 2° comma, lettera g) della Costituzione. Esso prevede
la sostituzione dei commi 4 e 5 dell'art. 10 della l.r. n. 11/2010 ed
in  particolare  dispone  che   «nelle   more   dell'emanazione   del
regolamento di cui al comma 2,  lo  svolgimento  delle  attivita'  di
liquidazione, accertamento e riscossione  dell'IRAP  puo'  proseguire
nelle forme e nei modi previsti dalla legislazione vigente attraverso
la stipula di apposita convenzione non onerosa  con  l'Agenzia  delle
entrate».
    Orbene si rileva preliminarmente come il rinvio alla  stipula  di
apposita convenzione non onerosa con l'Agenzia delle Entrate,  appaia
non  essere  coerente  con  l'impostazione  fornita  dal  legislatore
nazionale sulla materia.
    L'art. 26 del decreto  legislativo  15  dicembre  1997,  n.  446,
prevede infatti che  venga  «attribuita  allo  Stato  una  quota  del
gettito dell'imposta regionale sulle attivita' produttive riscosso in
ciascuna  regione  a  compensazione  dei  costi  sostenuti   per   lo
svolgimento  delle  attivita'»  di  controllo   e   rettifica   della
dichiarazione, per l'accertamento e per la  riscossione  dell'imposta
regionale, nonche' per il relativo contenzioso.
    Analogamente, l'art. 10 comma 4, del decreto legislativo 6 maggio
2011, n.  681,  ha  previsto  che  «le  attivita'  di  controllo,  di
rettifica della  dichiarazione,  di  accertamento  e  di  contenzioso
dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF devono essere svolte
dall'Agenzia delle entrate. Le modalita' di  gestione  delle  imposte
indicate al primo periodo, nonche' il relativo rimborso  spese,  sono
disciplinati sulla base di  convenzioni  da  definire  tra  l'Agenzia
delle entrate e le Regioni».
    La norma teste' approvata non solo determina  una  ingiustificata
disparita' di trattamento con le altre Amministrazioni regionali che,
sulla base delle norme citate,  stipulano  da  diversi  anni  accordi
convenzionali, per la gestione dell'IRAP e dell'addizionale regionale
all'IRPEF, in  cui  e  previsto  il  ristoro  degli  oneri  sostenuti
dall'Agenzia per lo svolgimento delle relative attivita',  ma  incide
palesemente su un ambito riservato alla legislazione esclusiva  dello
Stato, quale quello dell'«ordinamento e organizzazione amministrativa
dello Stato e degli enti pubblici nazionali», proprio per gli effetti
distorsivi che determinerebbe sul peculiare  rapporto  tra  Ministero
dell'economia e delle finanze e l'Agenzia.
    Come noto infatti tale  rapporto  si  esplica  nell'ambito  della
convenzione prevista dall'art. 59 del d.lgs. 30 luglio 1999  n.  300,
che  fissa,  tra  l'altro,  i  servizi  dovuti  e  gli  obiettivi  da
raggiungere,  nonche'  le  risorse  trasferite  all'Agenzia  per   il
conseguimento degli stessi.
    Peraltro,  l'art.  70  del  citato  d.lgs.  n.  300/1999  prevede
esplicitamente che le entrate delle agenzie fiscali sono  costituite,
oltre che dalle risorse trasferite ai sensi dell'art. 59,  anche  dai
«corrispettivi per i servizi prestati a soggetti pubblici o  privati,
incluse  le  amministrazioni  statali  per  le  prestazioni  che  non
rientrano nella convenzione di cui all'art. 59».
    La  norma  regionale  quindi,  nel  prevedere   la   stipula   di
convenzioni  non  onerose  per  lo  svolgimento  delle  attivita'  di
liquidazione,  accertamento  e  riscossione   dell'IRAP,   stabilisce
unilateralmente che gli  oneri  conseguenti  allo  svolgimento  delle
citate attivita' gravino impropriamente  sul  bilancio  dell'Agenzia,
andando   ad   incidere   sull'ordinamento   e    sull'organizzazione
dell'Agenzia stessa nonche' sull'equilibrio economico-finanziario del
rapporto  convenzionale  con  il  Ministero  dell'economia  e   delle
finanze.
    Il comma 6 dello stesso articolo si ritiene lesivo del  principio
di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall'art. 97
della Costituzione, in quanto nell'imporre, per il corrente anno,  il
divieto di incrementare i canoni irrigui,  impedisce  di  fatto  agli
Enti preposti  di  poter  gestire  con  criteri  di  economicita'  ed
efficienza il servizio stesso, Gli Enti in questione si  troverebbero
infatti  nella  difficile  condizione  di  scegliere  o  un  servizio
inadeguato  alle  reali  esigenze  pur  di  mantenere  inalterato  il
corrispettivo dovuto dagli utenti,  ovvero,  dover  porre  a  proprio
carico la parte di costi non coperti dalla contribuzione privata, con
verosimili influenze negative sugli equilibri dei propri bilanci.
    L'art. 8,  2°  comma  si  ritiene  essere  in  contrasto  con  il
principio  di  leale  collaborazione  di  cui  all'art.   120   della
Costituzione.
    La  norma  dispone  che,  previa  verifica  del  rispetto   degli
obiettivi del patto sanitario  nonche'  delle  garanzie  dei  livelli
essenziali di assistenza (LEA)  previste  dal  medesimo,  i  risparmi
conseguenti all'applicazione delle disposizioni di  cui  al  comma  1
(relativo alla riduzione di 100 milioni di euro della spesa sanitaria
della Regione per acquisto di  beni  e  servizi)  siano  destinati  a
favorire  l'integrazione  dei  servizi  sociosanitari  per  la  parte
ricompresa nei LEA.
    In proposito e' opportuno rappresentare che ai sensi dell'art. 3,
comma 3 del decreto-legge n. 35/2013, convertito in  legge  6  giugno
2013, n. 64, l'erogazione della seconda tranche dell'anticipazione di
liquidita' prevista al fine di favorire l'accelerazione dei pagamenti
dei  debiti  degli  enti  del  Servizio   Sanitario   Nazionale,   e'
subordinata  alla  verifica  compiuta  dal  Tavolo   tecnico   «degli
adempimenti di cui all'articolo  12  dell'Intesa  fra  lo  Stato,  le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano  del  23  marzo
2005 con riferimento alle ricognizioni delle somme di cui al comma 1,
lettera  a),  per  il  periodo  2001-2011  e  con  riferimento   alla
ricognizione delle somme di cui al comma 1, lett. b), come risultanti
nei modelli SP relativi al consuntivo 2011. Ai  fini  dell'erogazione
per l'anno 2014 delle risorse di cui al presente comma, al  netto  di
quelle gia' erogate  per  l'anno  2013  ai  sensi  del  comma  2,  si
applicano le disposizioni di cui al comma 5».
    Pertanto, in base ai principi  espressi  dalla  citata  normativa
statale,  eventuali  risparmi  derivanti  dalla  gestione   sanitaria
regionale a decorrere dall'anno 2014 dovranno essere  accertati,  sia
da un punto di  vista  patrimoniale  che  economico,  dal  Tavolo  di
verifica degli  adempimenti  istituito  ex  articolo  12  dell'Intesa
Stato-Regioni del 23 marzo 2005 e solo  all'esito  positivo  di  tali
analisi le Regioni  potranno  effettivamente  disporre  di  eventuali
eccedenze.
    Si rileva in ogni caso che la Regione Siciliana ha predisposto  e
concordato  con  il  Ministero  della  salute  e  con  il   Ministero
dell'economia e delle finanze un Programma Operativo  valido  per  il
triennio 2013-2015, in applicazione di quanto disposto dall'art.  15,
comma 20, del d.l. n.  95/2012,  al  fine  del  raggiungimento  degli
obiettivi  strutturali  individuati  nel  documento  medesimo  e  per
l'attribuzione in  via  definitiva  delle  risorse  finanziarie  gia'
previste a legislazione vigente, condizionate alla  piena  attuazione
delle misure concordate. Pertanto, in virtu' del principio  di  leale
collaborazione, la Regione  non  puo'  unilateralmente  (benche'  con
legge regionale) introdurre interventi  in  materia  di  sanita'  non
coerenti con il Programma Operativo adottato nella considerazione che
il contenuto della disposizione ora approvata potrebbe  inficiare  il
conseguimento dei risultati economici e di sistema programmati con il
documento concordato con i ministeri.
    L'art. 9, comma 3 si ritiene essere in contrasto con l'art.  117,
2° comma lett. l) della Costituzione in quanto dispone che i risparmi
di spesa derivanti dalle soppressioni delle cariche dei  coordinatori
sanitari ed  amministrativi,  siano  destinati  al  finanziamento  di
progetti per le attivita'  sportive  dei  disabili  e  delle  persone
affette da autismo.
    In proposito va rilevato che la corresponsione  delle  indennita'
di funzione e' effettuata attingendo ai fondi  contrattuali  previsti
dai contratti collettivi nazionali di lavoro e che la  disponibilita'
di  detti  fondi  e'  esclusivamente  vincolata  al  pagamento  delle
indennita' accessorie  contrattualmente  previste  e  non  altrimenti
utilizzabili.  Gli  eventuali  risparmi  realizzati   devono   essere
ripartiti sempre all'interno dello stesso fondo per la corresponsione
di   altre   forme   di   salario    accessorio    sempre    previste
contrattualmente.  Inoltre  la  dotazione   del   fondo   e'   sempre
quantificata secondo procedure previste dai  contratti  collettivi  e
non puo' essere diminuita o  accresciuta  se  non  in  forza  da  una
modifica operata dallo stesso contratto collettivo.
    E' di tutta evidenza che il legislatore regionale esorbiti  dalle
proprie competenze statutariamente previste operando  in  materia  di
ordinamento civile.
    L'art. 10 si ritiene essere in  contrasto  con  l'art.  97  della
Costituzione, in quanto prevede l'affidamento  di  servizi  ausiliari
sanitari secondari non meglio specificati, se non  dal  titolo,  come
servizi di pulizia, alla  societa'  consortile  per  azioni  «Sicilia
Emergenza - Urgenza sanitaria».
    Societa' questa  a  totale  capitale  pubblico  costituita  dalla
Regione Siciliana e dalle aziende sanitarie  provinciali,  da  quelle
ospedaliere ed ospedaliere-universitarie del servizio  sanitario,  il
cui scopo e oggetto sociale e' la gestione del servizio di  trasporto
per l'emergenza-urgenza 118 per l'intero territorio regionale  e  dei
servizi inerenti all'emergenza-urgenza.
    La  stessa   societa',   secondo   il   proprio   statuto,   puo'
eventualmente assumere lo svolgimento delle  attivita'  di  trasporto
esterno  ed  interno  alle  strutture  delle  aziende  del   servizio
sanitario regionale.
    Non appare, ad avviso del ricorrente, consono al principio di cui
all'art. 97 della Costituzione, affidare  servizi  ed  attivita'  che
esulano dall'oggetto e scopo  sociale  e  quindi  potenzialmente  non
conformi e coerenti con il piano aziendale e con le risorse  umane  e
strumentali della societa', non  condizionando  altresi'  l'eventuale
acquisizione dei servizi ausiliari sanitari secondari da parte  delle
strutture del servizio sanitario regionale  ad  un  corrispettivo  di
importo inferiore a quello sinora erogato  agli  operatori  economici
titolari  dei  contratti  per  la  fornitura  dei  servizi  ausiliari
sanitari secondari e di pulizia.
    Analoga censura va formulata riguardo alla  previsione  contenuta
nell'8° comma dell'art. 11 con cui si pone il divieto alle societa' a
totale o maggioritaria partecipazione della Regione,  agli  istituti,
alle aziende, alle agenzie,  ai  consorzi,  agli  organismi  ed  enti
regionali  di  esternalizzare  servizi  per  i  quali   puo'   essere
utilizzato il personale del bacino dei  forestali.  Anche  in  questo
caso la norma appare censurabile sotto il  profilo  della  violazione
dell'art. 97, laddove non  subordina  l'utilizzazione  del  personale
appartenente al bacino dei forestali  alla  preventiva  verifica  dei
costi del servizio sinora espletato da  operatori  economici  privati
che, in ipotesi, potrebbe essere pari o inferiore e  qualitativamente
migliore  con  cio'  alterando,  altresi',  il  principio  di  libera
concorrenza riconosciuto e garantito  dal  diritto  europeo  e  dalla
Costituzione con conseguente  violazione  dell'art.  117,  2°  comma,
lett. e) della stessa.
    L'art. 12,  comma  6  costituisce,  ad  avviso  dello  scrivente,
un'evidente interferenza in materia di ordinamento  civile  riservata
alla competenza esclusiva dello Stato  ai  sensi  dell'art.  117,  2°
comma lett. l) della Costituzione.
    Il legislatore, seppure nell'apprezzabile intento  di  ridurre  e
razionalizzare le spese derivanti  dalle  attivita'  di  manutenzione
idraulico-forestale  e  di  rimboschimento  in  cui  sono   impiegate
maestranze stagionali, interviene sulla quantificazione del  rimborso
chilometrico da corrispondere ai lavoratori qualora l'Amministrazione
non provveda con propri mezzi al trasporto degli stessi dal centro di
raccolta al cantiere di lavoro stabilendo che l'importo dello  stesso
non puo' essere calcolato su una distanza superiore a 15 Km, rimborso
questo  previsto  dall'art.  54  del   C.C.N.L.   senza   limite   di
percorrenza.
    Codesta  ecc.ma  Corte,  in  piu'  occasioni,  ha  acclarato  (ex
plurimis  sentenze  nn.  256  e  290/2012  e  n.  28/2013)  che  ogni
regolamentazione  del  trattamento  economico  e'  rimessa  in  forma
esclusiva alla contrattazione collettiva e non puo' essere  integrata
e/o modificata dal legislatore regionale.
    Il comma 6 dell'art. 13 si ritiene essere in  contrasto  con  gli
articoli 3 e 97 della Costituzione in quanto si affida la riscossione
dei ruoli di contribuenza dei consorzi di bonifica alla SERIT S.p.A.
    La SERIT S.p.A. per effetto dell'art.  2,  comma  8  del  decreto
assessoriale del 28 settembre 2011 e' stato oggetto di una  procedura
di cosiddetta «fusione per incorporazione inversa», attuata  in  data
18 luglio 2012 ed operativa dal 1° settembre 2012,  con  la  Societa'
per Azioni Riscossione Sicilia.
    La norma in esame appare pertanto inidonea a produrre effetti  in
quanto affida l'attivita' di riscossione dei contributi consortili ad
un soggetto giuridico inesistente.
    Il 2° comma dell'art. 17  si  ritiene  essere  in  contrasto  con
l'art. 81 della  Costituzione,  in  quanto  si  intenderebbe  fornire
copertura finanziaria ad obbligazioni pregresse di cui  non  e'  dato
conoscere, in assenza di opportuna relazione tecnica,  se  le  stesse
costituiscano residui passivi o  siano  debiti  fuori  bilancio,  con
risorse eventuali ed incerte quali il presunto risparmio di spesa del
risultato  di  gestione  per  l'anno  2013  del  Servizio   Sanitario
Regionale soggetto alla  verifica  e  determinazione  dei  competenti
tavoli tecnici ministeriali.
    Il comma 9 del medesimo articolo 17 si ritiene  anch'esso  essere
in contrasto con l'art. 81 in quanto amplia  la  platea  da  soggetti
destinatari dei benefici regionali di cui all'art. 53, comma 6  della
l.r.  n.  9/2013  in  assenza  di  una   preventiva   quantificazione
dell'onere  e  di  una  adeguata   determinazione   della   copertura
finanziaria, tra l'altro neppure inserita nel prospetto riepilogativo
delle maggiori spese finali di cui al riquadro B.
    L'art. 19 si ritiene essere in contrasto con l'art. 17, lett.  c)
dello Statuto Speciale e con gli articoli 117, comma 3  e  120  della
Costituzione.
    Con la predetta disposizione, la Regione Siciliana regolamenta il
finanziamento delle prestazioni di natura socio sanitaria.
    Al  fine  di  assicurare  l'effettiva  integrazione  tra  servizi
sanitari e servizi socio-assistenziali, in particolare, l'articolo in
esame prevede, al comma 1, che sia vincolata  ai  distretti  sanitari
quota  parte  delle  risorse  del  Fondo  nazionale  delle  politiche
sociali,  nonche'  di  eventuali   altre   fonti   di   finanziamento
destinabili a tale finalita', e che le suddette risorse si aggiungano
a quelle destinate a tale finalita', nell'ambito del Fondo  sanitario
regionale.
    Il  legislatore   regionale   stabilisce,   inoltre,   al   comma
successivo, che le Aziende sanitarie assicurino, in deroga al  limite
massimo stabilito dall'art. 59, comma 1, della l.r.  n.  33/1996,  la
copertura dei costi integrativi di loro competenza per le prestazioni
di natura socio-sanitaria.
    Si segnala, al riguardo, che, sulla base del citato art.  59,  la
Regione Sicilia pone a carico  del  Fondo  sanitario  regionale,  nel
limite  annuo  di  lire  500  milioni,  l'integrazione  della   retta
giornaliera corrisposta dai Comuni agli  enti  gestori  di  strutture
residenziali per il ricovero di anziani non autosufficienti.
    Occorre  evidenziare  che   il   finanziamento   previsto   dalla
disposizione richiamata dall'articolo in  esame  sembra  configurarsi
come un vero e proprio livello ulteriore di assistenza sanitaria  che
la  Regione  Siciliana,  essendo  in  Piano  di  rientro,  non   puo'
garantire.
    La possibilita', contenuta nell'art. 19 del disegno di  legge  in
esame, di derogare al suddetto limite,  esprimendo  la  volonta'  del
legislatore   regionale   di   porre   ulteriori    oneri    relativi
all'erogazione  delle  prestazioni  socio-sanitarie  a  carico  delle
risorse destinate al Servizio sanitario regionale (sia pure integrate
con  la  quota  del  Fondo  nazionale  per  le   politiche   sociali)
rappresenta un'ulteriore  e  piu'  grave  violazione  degli  obblighi
assunti dalla Regione nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario  e
appare, pertanto, in contrasto con la normativa nazionale vigente  in
materia, rappresentata dall'articolo 2, commi 80 e 95, della legge 23
dicembre 2009, n. 191, secondo cui «Gli  interventi  individuati  dal
piano di rientro sono vincolanti per la regione, che e'  obbligata  a
rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a  non  adottarne  di
nuovi che siano di  ostacolo  alla  piena  attuazione  del  piano  di
rientro».
    Ne risulta pertanto violato l'articolo  17,  comma  1,  lett.  c)
dello Statuto di autonomia speciale, per  contrasto  con  i  principi
fondamentali della legislazione statale  in  materia  di  «assistenza
sanitaria», oltre che l'articolo 117, comma 3 della Costituzione, per
contrasto con i principi fondamentali della legislazione  statale  in
materia di «coordinamento della finanza pubblica».
    A tal riguardo, codesta Corte, nella sentenza  n.  104/2013,  nel
confermare    la    precedente    giurisprudenza,    ha    dichiarato
«l'illegittimita' costituzionale di  norme  regionali  istitutive  di
misure di assistenza  supplementare  "in  contrasto  con  l'obiettivo
dichiarato del Piano di rientro di riequilibrare il profilo erogativo
dei livelli essenziali di assistenza"  (sentenza  n.  32  del  2012),
ovvero istitutive di uffici al di fuori delle previsioni del Piano di
rientro  (sentenza  n.  131  del  2012),  o  ancora  di  disposizioni
regionali "in controtendenza rispetto all'obiettivo del  contenimento
della spesa sanitaria regionale" (sentenza n. 123 del 2011)».
    Inoltre, codesta Corte ha altresi' ricordato, da  un  lato,  come
l'interferenza con il Piano di rientro sussista anche in presenza  di
interventi  non  previsti  nel  medesimo  che  possano  aggravare  il
disavanzo sanitario regionale (sentenza n. 131 del 2012); dall'altro,
come «l'introduzione di livelli essenziali di assistenza  aggiuntivi»
determini una «incoerenza della legislazione regionale rispetto  agli
obiettivi  fissati  dal  Piano  di  rientro  del  deficit  sanitario»
(sentenza n. 32 del 2012).
    Inoltre l'utilizzo di una «quota»,  peraltro  indeterminata,  del
Fondo Nazionale  delle  Politiche  Sociali,  a  copertura  dei  costi
integrativi di competenza delle Aziende Sanitarie provinciali per  le
prestazioni socio-sanitarie in  questione,  configura  una  impropria
destinazione delle risorse del FNPS,  vincolato  alla  copertura  dei
costi connessi alle prestazioni sociali di cui all'art. 1,  comma  2,
della legge 8 novembre 2000, n. 328, escluse  quelle  assicurate  dal
Sistema Sanitario.  In  altri  termini,  col  Fondo  Nazionale  delle
Politiche Sociali puo' essere  unicamente  finanziata  la  componente
sociale delle  prestazioni  socio-sanitarie  e  non  gia'  quella  di
competenza del Servizio Sanitario.
    Al riguardo si osserva che, se da un lato e' noto il  consolidato
orientamento della giurisprudenza di codesta  Corte  secondo  cui  lo
Stato non puo' imporre alle regioni (e segnatamente, alle  Regioni  a
statuto speciale) vincoli  di  destinazione  in  ordine  all'utilizzo
delle  somme  oggetto  di  trasferimento,  per  altro  verso  risulta
contrastante con i principi di leale  collaborazione  fra  i  diversi
livelli di governo il previsto utilizzo  di  una  quota  parte  delle
risorse  del  Fondo  Nazionale  delle  Politiche  Sociali   che,   si
ribadisce, e' indeterminata e rimessa  alla  discrezionale  decisione
della Giunta di governo, per conseguire finalita' ulteriori e diverse
rispetto a quelle  proprie  del  Fondo  e  al  cui  finanziamento  si
dovrebbe provvedere attingendo a differenti fonti di copertura.
    Riguardo all'art. 22, 4° comma si ritiene che lo  stesso  sia  in
contrasto con gli articoli  97  e  117,  2°  comma,  lett.  l)  della
Costituzione.
    Il legislatore regionale, con la disposizione in esame, determina
la decadenza «ope legis» degli organi della  societa'  a  totale  e/o
parziale capitale regionale di cui e' prevista la cessione in  quanto
non ritenute strategiche. I particolari poteri  di  nomina  e  revoca
degli organi di societa' con partecipazione pubblica vengono  infatti
definiti dall'art. 2449 del Codice Civile e quindi non e'  consentito
al  legislatore  regionale  di  introdurre  una  propria   disciplina
speciale per una categoria  soltanto  di  societa'  partecipate.  Non
sorretta da idonea motivazione appare inoltre la  prevista  decadenza
immediata che peraltro potrebbe dare vita ad un  gravoso  contenzioso
con i componenti degli organi societari  in  assenza  di  una  giusta
causa per la risoluzione del mandato.
    Il fine di accelerare le procedure  di  vendita  delle  azioni  e
delle relative cessioni  potrebbe  essere  tenuto  in  considerazione
invero soltanto dopo l'inerzia degli attuali amministratori a seguito
delle opportune direttive loro impartite in attuazione della norma in
questione.
    Il  comma  2  del  sopracitato  articolo  22,   unitamente   alle
previsioni degli articoli 25, 26, 27, 28, 36 e 41 si ritengono essere
in contrasto con gli articoli 81 e  97  della  Costituzione  giacche'
tutte  pongono  a  carico  dell'IRFIS   FinSicilia   S.p.A.   l'onere
finanziario derivantine che dovrebbe ricadere  sulle  risorse  libere
dei fondi a sua disposizione o sul Fondo di  cui  all'art.  61  della
l.r. n. 17/2004 o ancora a seguito di indeterminate rimesse da  parte
dell'E.S.A., senza che sia possibile conoscere l'entita' delle stesse
e valutare la congruenza con i  compiti  e  le  nuove  finalita'  ora
disposte.
    La relazione tecnica non fa alcun cenno all'esistenza o  meno  di
risorse libere e di relativo ammontare ne' tantomeno, dai  successivi
chiarimenti  pervenuti  informalmente  si  e'  potuto   appurare   la
consistenza e l'attuale ammontare della liquidita' netta  impegnabile
(un allegato reca la data del 31 dicembre 2012 e  il  secondo  ne  e'
privo).
    Il legislatore, peraltro, nel disporre l'utilizzo delle  «risorse
disponibili»,  dell'IRFIS,  non  si  e'  preoccupato  di  abrogare  o
modificare contestualmente le vigenti  norme  regionali  con  cui  le
stesse sono state assegnate e sinora utilizzate secondo  ben  precise
finalita' e a favore di determinate categorie di operatori economici,
rendendo cosi' nei fatti la copertura  degli  oneri  derivanti  dalle
norme in questione evanescente e non  ponderata  anche  in  relazione
alle indeterminatezza della spesa autorizzata dagli articoli 26,  27,
28 e 36.
    Considerata  anche  l'ambigua  natura  giuridica   dell'istituto,
titolare di  due  distinte  iscrizioni  negli  elenchi  di  cui  agli
articoli 106 e 107 del TUB antecedenti alla  modifica  apportata  dai
d.lgs. nn. 141/2010 e 169/2012, non appare consono  al  principio  di
cui all'art. 97 della Costituzione  affidare  allo  stesso  ulteriori
compiti  e  gestioni  di  fondi  con   conseguente   intensificazione
dell'attivita' di indirizzo  della  pubblica  amministrazione,  prima
della definizione dell'assetto o meno  di  intermediario  finanziario
soggetto alla vigilanza della Banca d'Italia.
    L'art.  26,  inoltre,  sostanzialmente  riproduce  il   contenuto
dell'art. 5 del ddl 566-stralcio I,  oggetto  di  ricorso  dinanzi  a
codesta Corte in data 23 dicembre 2013 per violazione degli  articoli
81 e 97 della  Costituzione,  atteso  che  il  costituendo  fondo  e'
destinato  prioritariamente  alla  concessione  di  anticipazioni   o
prestazioni di garanzia a prima richiesta ad imprese agricole e della
pesca, omettendo di quantificare gli oneri conseguenti ed  il  limite
alla garanzia a prima richiesta secondo criteri  sulla  modalita'  di
utilizzazione  rimessi  ad  un  emanando  decreto  presidenziale.  La
copertura  e',  altresi',  demandata  al   versamento   nelle   casse
dell'IRFIS di indeterminate disponibilita' di un Fondo  di  rotazione
esistente presso I'ESA senza, peraltro, considerare che le stesse  in
base alla vigente legislazione, continuano  ad  essere  destinate  ad
altre finalita'.
    Un rilievo ulteriore merita l'art. 25 con cui viene istituito  un
fondo rotativo gestito da CRIAS  la  cui  copertura  dovrebbe  essere
reperita sempre con parte dei fondi nella disponibilita'  dell'IRFIS,
ma subordinata al diritto  potestativo  della  Giunta  regionale  che
dovrebbe/potrebbe  autorizzare  l'IRFIS  a  rendere  disponibili   15
milioni di euro delle proprie risorse.
    L'art. 23 introduce una nuova disciplina in materia  di  societa'
pubbliche regionali al fine di contenere e  razionalizzare  la  spesa
pubblica. Esso tuttavia nei commi 2° e 3° si pone  in  contrasto  con
gli articoli 3 e 97 della Costituzione. In particolare il  2°  commi,
che introduce e sostituisce il 6° comma dell'art. 20  della  l.r.  n.
11/2010, da un canto pone il divieto alle societa' partecipate  della
Regione di effettuare nuove assunzioni di  personale  e,  dall'altro,
per  quelle  gia'  poste  o  da  porre   in   liquidazione,   dispone
l'attivazione per l'intero  organico  aziendale  delle  procedure  di
licenziamento collettivo di cui alla legge n. 223/91.
    A fronte di tale rigorosa disciplina, immediatamente dopo, pero',
introduce una deroga al divieto di assunzione in base alla  quale  le
Societa'  pubbliche  regionali,  come  ridefinite  dal  processo   di
razionalizzazione,  possono  assumere  personale  gia'  «in  servizio
effettivo alla data del 31 dicembre 2009» presso le societa' poste in
liquidazione e gia' destinatarie delle procedure di licenziamento per
cessazione di attivita'.
    Orbene la predetta disciplina si pone, ad avviso dello scrivente,
in stridente contrasto con quanto previsto dall'art. 18 del  d.l.  n.
112/2008 e dall'art. 19 del d.l. n. 78/2009, nonche' dall'art. 3  del
d.l. n. 101/2013 convertito nella legge  n.  125/2013  e  quindi  con
l'art. 97 della Costituzione.
    La disciplina teste'  introdotta  consente  infatti  l'assunzione
senza esperimento di selezioni pubbliche di personale di cui non sono
ben chiare, stante  l'ambigua  locuzione,  «servizio  effettivo»,  le
modalita',  i  criteri  di  selezione   e   il   rapporto   giuridico
preesistentente potrebbe, in ipotesi, essere stato  costituito  anche
in violazione del divieto di assunzione imposto da  precedenti  leggi
regionali.
    La  disposizione  censurata  configura  inoltre  una   sorta   di
mobilita' a se' stante difforme ed elusiva di quanto  previsto  dalla
recente normativa statale che costituisce principio di  coordinamento
della finanza pubblica introdotto dal prima  menzionato  art.  3  del
d.l.  n.  101/2013,  in  quanto  non  assicurerebbe  nelle  sue  fasi
attuative, la condizione essenziale di razionalizzazione delle  spese
e  di  risanamento  economico-finanziario  secondo   appositi   piani
industriali e  la  necessaria  concertazione  con  le  organizzazioni
sindacali.
    Inoltre il personale  cosi'  immesso  nelle  dotazioni  organiche
delle societa' sopravvissute al riordino potrebbe non avere requisiti
professionali adeguati,  necessari  per  l'espletamento  dei  servizi
svolti dalle societa' in house, e non  garantirebbe  il  criterio  di
imparzialita' e trasparenza  delle  selezioni  pubbliche  ancorate  a
sistemi  oggettivi  predeterminati  richiesto  dall'art.   97   della
Costituzione, non solo a garanzia di chi vi partecipa, ma  anche  dei
terzi, destinatari  dell'attivita'  societaria  che  potrebbe  essere
compromessa dalla presenza di personale non in possesso di  idonea  e
specifica professionalita'.
    Anche il 3° comma del medesimo articolo, limitatamente all'ultimo
periodo dell'introdotto  comma  6-bis  dell'art.  20  della  l.r.  n.
11/2010, si ritiene essere in contrasto con gli artt. 3  e  97  della
Costituzione. Viene infatti prevista la mobilita'  del  personale  in
servizio presso le societa' a totale partecipazione pubblica poste in
liquidazione e nelle altre ritenute strategiche  nonche'  degli  enti
pubblici di cui all'articolo 1 l.r. n. 10/2000, all'ARPA.
    Codesta Corte, con consolidata giurisprudenza e da ultimo con  la
sentenza n. 227/2013, ha ritenuto illegittima l'immissione nei  ruoli
di  amministrazioni  pubbliche  di   personale   esterno   anche   se
proveniente da societa' a  totale  capitale  pubblico  strumentali  e
facenti parte dell'apparato regionale cosiddetto parallelo.  Cio'  in
quanto l'area dell'eccezione alla regola del concorso per  l'ingresso
agli uffici pubblici, deve essere rigorosamente delimitata e non puo'
risolversi  in  una  indiscriminata  e  non  previamente  verificata,
«tramite una selezione concorsuale pubblica», immissione in ruolo  di
personale esterno attinto da bacini predeterminati.
    L'eccezione alla regola del pubblico  concorso  non  puo'  essere
sorretta da una presunta  e  non  dimostrata  esigenza  dell'ARPA  di
reclutare diversamente dipendenti utilizzati  in  disciolte  societa'
«in  house»  o  negli  enti  sottoposti  a  vigilanza  dalla  Regione
(peculiarita' di  attivita'  svolte,  professionalita'  specializzate
elevate).
    Alla norma appare piuttosto sottesa  la  «ratio»  di  tutela  dei
lavoratori occupati nelle societa' in liquidazione e  che,  pertanto,
essendo quest'ultima ricollegabile  ad  un  interesse  specifico  dei
dipendenti, non puo' essere considerato  idoneo  a  giustificare  una
deviazione dal principio  generale  del  pubblico  concorso  posto  a
tutela di tutti i cittadini che aspirano a ricoprire pubblici uffici.
    L'art. 24 si ritiene essere in  contrasto  con  l'art.  81  della
Costituzione. Esso infatti  prevede  che  l'IRCAC  debba  annualmente
rendere disponibili le somme impegnate  e  non  utilizzate  attinenti
alla l.r. n. 37/1987 nel Fondo unico a gestione separata dallo stesso
gestito. Tali somme resteranno in dotazione al predetto istituto  per
essere  destinate  a  nuove  iniziative  in  materia  di  sviluppo  e
occupazione a carattere innovativo  nel  settore  della  cooperazione
mutualistica del terzo settore e  ad  altre  finalita'  indicate  nel
comma ad eccezione di  10  milioni  di  euro  che  dovrebbero  essere
versati, entro trenta giorni dalla data di entrata  in  vigore  della
presente legge, in entrata al bilancio regionale per essere destinato
anche alle misure per lo sviluppo e il settore sociale.
    Risorse queste che  sono  riportate  nel  riquadro  A1  «maggiori
entrate finali»  del  prospetto  riepilogativo  degli  effetti  della
manovra finanziaria.
    Orbene, a fronte di quanto  affermato  nella  relazione  tecnica,
secondo cui in atto sarebbero giacenti  presso  le  casse  dell'IRCAC
circa 14 milioni di euro, dai chiarimenti forniti a  questo  Ufficio,
ai  sensi  dell'art.  3  d.P.R.  n.  488/69,  non  risulta  certa  la
disponibilita' di 10 milioni di euro atteso che l'Istituto  Regionale
per il Credito alla Cooperazione dovra' operare le  dovute  verifiche
per il disimpegno previsto nell'articolo in questione nei  tempi  che
non e' possibile determinare stante  la  complessita'  delle  singole
fattispecie e l'importanza dei dati da fornire.
    Non evincendosi dalla relazione tecnica i criteri secondo i quali
sia stato quantificato l'ammontare delle  risorse  da  trasferire  al
bilancio  della  Regione  ed  in   presenza   dell'affermazione   del
Commissario straordinario dell'Istituto di credito, si e'  indotti  a
ritenere non certa bensi' aleatoria nel «quantum» se  non  nell'«an»,
la maggiore entrata destinata al  funzionamento  del  coacervo  delle
nuove  spese  previste  dell'intero   provvedimento   legislativo   e
conseguentemente non ci si puo' esimere dal sottoporre al  vaglio  di
codesta  Corte  per  violazione  dell'art.  81  della   Costituzione,
unitamente al secondo periodo del comma 2 dell'art. 25 che  autorizza
I'IRCAC a utilizzare fino a un  massimo  di  5  milioni  di  euro  le
risorse disponibili di cui alla l.r. n. 37/1978.
    L'art. 30, 13° comma, si ritiene  essere  in  contrasto  con  gli
artt. 3 e 97 della Costituzione. Esso infatti prevede che fino al  31
dicembre 2016 debbano essere applicate le disposizioni  dell'art.  19
della l.r. n. 25/1993 e dell'art. 8 della l.r. n. 38/1994.
    Dette disposizioni rispettivamente stabiliscono  che  i  concorsi
pubblici siano soltanto per titoli, determinati e valutati secondo un
decreto dell'Assessore  regionale  per  gli  enti  locali  del  1992,
criteri di  valutazioni  questi,  successivamente  rideterminati  dal
decreto assessoriale 19 giugno 1996  per  l'accesso  alle  qualifiche
dirigenziali e per i concorsi  riservati  al  personale  interno.  La
prevista selezione per soli titoli, peraltro, determinati con decreto
assessoriale, ad  avviso  del  ricorrente  crea  delle  modalita'  di
selezione per i processi di stabilizzazione  del  personale  precario
difformi da quanto prescritto  sia  dall'art.  35,  comma  3-bis  del
d.lgs. n. 165/2001, che dall'art. 4, comma 6 del d.l. n. 101/2013.
    Si configurerebbe quindi un immotivato trattamento  differenziato
in assenza di peculiari situazioni regionali  rispetto  al  personale
precario di tutte le altre amministrazioni  pubbliche  del  rimanente
territorio nazionale, che si pone in contrasti) con il  principio  di
ragionevolezza ed imparzialita' ed  anche  di  buon  andamento  della
pubblica  amministrazione  laddove  la   verifica   delle   capacita'
professionali sarebbe demandata al solo  possesso  di  titoli  e  non
anche  all'effettiva   capacita'   mostrata   dai   candidati   nello
svolgimento delle prove concorsuali.
    L'art. 32 introduce una diversa ed  autonoma  disciplina  per  le
proroghe della stabilizzazione del personale a tempo  determinato  in
servizio  presso  la  Regione,  procedendo  difformemente  da  quanto
operato per il personale degli Enti locali  nel  precedente  art.  30
ove,  correttamente,  non  si  fa  alcuna  menzione  delle  procedure
concorsuali da avviare in quanto, secondo il comma 10 dell'art. 4 del
d.l. n. 101/2013, le Regioni anche a Statuto Speciale, sono tenute ad
attuare quanto previsto dai commi 6, 7, 8 e 9 dello stesso  articolo,
concernenti sia le procedura concorsuale speciale o  quella  speciale
transitoria, che le possibilita' di proroga dei contratti di lavoro a
tempo determinato.
    Si rileva quindi, innanzitutto, un'ingiustificata difformita'  di
trattamento tra i lavoratori precari a  seconda  dell'amministrazione
pubblica  dove  prestano  servizio  ed  inoltre   che,   dell'ambigua
formulazione  dei  primi  tre  commi  dell'art.   32,   deriverebbero
procedure concorsuali riservate esclusivamente a coloro che  sono  in
possesso dei requisiti previsti dal 2° comma dello stesso articolo.
    Il legislatore, inoltre, autorizza l'attivazione di procedure  di
reclutamento interamente riservate a coloro che sono in possesso  del
requisiti del succitato comma 2, omettendo di fare  menzione  che  le
stesse possano essere avviate  nel  limite  del  50%  dell'e  risorse
assunzionali previste per siffatta procedura riconducibile  a  quella
del reclutamento speciale transitorio. Inoltre il 3° comma demanda  a
successiva  delibera  di  Giunta  l'individuazione   dei   posti   da
utilizzare per le procedure di reclutamento speciale nei  limiti  del
50%  dei  posti  disponibili   a   garanzia   dell'adeguato   accesso
dall'esterno  anziche'  quello  massimo  complessivo  del  50%  delle
risorse finanziarie disponibili ai sensi della normativa  vigente  in
materia di assunzioni e di  contenimento  delle  spese  di  personale
secondo  i  regimi  limitativi  fissati  nei  documenti  di   finanza
pubblica.
    Si  soggiunge  che  i  due  sistemi,  reclutamento   speciale   e
reclutamento speciale transitorio, sono tra loro  alternativi  e  non
cumulabili proprio perche' il legislatore statale ha voluto garantire
un adeguato accesso libero dall'esterno in ossequio al  principio  di
cui all'art. 97 della Costituzione.
    Siffatta procedura di stabilizzazione  inoltre,  proprio  perche'
riproduce con omissioni  ed  integrazioni  le  disposizioni  statali,
induce  a  far  ritenere  che  l'amministrazione   regionale   voglia
sottrarsi all'obbligo  anche  degli  adempimenti  previsti  dall'art.
34-bis del d.lgs. n. 165/2001, nonche' del rispetto  dei  limiti  del
patto di stabilita' e delle misure di contenimento delle spese per il
personale.
    Il comma 7 dispone  la  proroga  fino  al  31  dicembre  2016  di
contratti di lavoro a tempo determinato gia' cessati nel 2012 e  come
tali non piu'  suscettibili  di  nuova  costituzione  e  prosecuzione
triennale. Si tratterebbe infatti di  nuovi  contratti  di  lavoro  a
tempo  determinato  che  come   tali   dovrebbero   soggiacere   alle
disposizioni dell'art. 36 del d.lgs. n. 165/2001.
    La disposizione inoltre travisa la «ratio» del d.l. n. 101/2013 e
di tutta la normativa statale in materia  di  precariato,  in  quanto
favorisce la formazione e il consolidamento di  situazioni  pregresse
di lavoro a  tempo  determinato  senza  valutare  preventivamente  le
effettive esigenze  degli  enti  presso  i  quali  dovrebbero  essere
avviate  le  procedure  di  stabilizzazione   e   la   compatibilita'
finanziaria degli stessi apparendo  piuttosto  volta  a  tutelare  le
aspettative di una ristretta cerchia di beneficiari.
    La disposizione e' altresi' censurabile sotto  il  profilo  della
copertura finanziaria in quanto priva di  un'adeguata  e  documentata
quantificazione  degli   oneri   e   imputata   genericamente   sulle
disponibilita' del Cap. 443305, la cui  dotazione  viene  ridotta  di
circa un 30% rispetto a quella dell'anno precedente.
    Per le motivazioni su esposte l'articolo si ritiene in  contrasto
con gli articoli 81 e 97 della Costituzione.
    L'art. 33 si ritiene essere in violazione  degli  artt.  3  e  97
della Costituzione in quanto contiene la generalizzata ed  indistinta
proroga di contratti di lavoro a tempo determinato a decorrere dal 1°
gennaio 2014, incongruamente con quanto previsto nel precedente  art.
30, comma 4, ove la decorrenza dell'eventuale proroga e' rimessa agli
Enti utilizzatori del personale a tempo determinato che avranno  cura
di verificare la sussistenza o meno  dei  presupposti  per  ricorrere
alla prosecuzione dell'utilizzo del personale precario.
    Esso inoltre e' in contrasto con le disposizioni di cui  all'art.
36 del d.lgs. n.165/2001 in base  al  quale  le  assunzioni  a  tempo
determinato costituiscono una  fattispecie  residuale  rispetto  alla
regola fissata dal comma 1 del medesimo articolo,  secondo  il  quale
«per le esigenze connesse con  il  proprio  fabbisogno  ordinario  le
pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente  con  contratti  di
lavoro  subordinato  a  tempo  indeterminato».  La  norma  in  esame,
pertanto, contrasta anche con l'articolo 117,  2°  comma,  lett.  l),
della Costituzione che riserva alla competenza esclusiva dello  Stato
l'ordinamento  civile  e,  quindi,  i  rapporti  di  diritto  privato
regolabili dal Codice civile.
    Inoltre, la disposizione in esame, non solo non tiene conto delle
norme in materia di razionalizzazione e contenimento della spesa  per
il personale violando l'art.117,  3°  comma  della  Costituzione,  ma
anche si pone in contrasto con l'art.  81  della  stessa,  in  quanto
nulla dispone in merito ad  eventuali  o  maggiori  oneri  finanziari
derivanti dalla sua attuazione.
    L'art.  34,  rubricato  «Interventi  a  favore   dei   lavoratori
appartenenti al bacino PIP - Emergenza Palermo» si ritiene essere  in
contrasto con l'art.  81  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui
dispone la prosecuzione degli interventi in favore dei  suddetti  nel
2015 e 2016 e l'integrazione, per il corrente anno, di 4.000 migliaia
di giuro, a carico dei fondi ordinari  del  bilancio  della  Regione,
delle risorse destinate ad interventi per il  sostegno  ai  piani  di
inserimento professionale nell'ambito del Piano di Azione e Coesione.
La spesa derivante dalla suddetta  integrazione  di  finanziamento  e
proroga di intervento e' riportata in parte nel riquadro B2 «maggiori
spese finali» del prospetto riepilogativo degli effetti della manovra
finanziaria,  modalita'   questa   non   conforme,   secondo   quanto
argomentato in premessa, agli artt. 11, comma 6 e 17 della  legge  n.
196/2009 e quindi in contrasto con l'art. 81 della Costituzione.
    L'art. 37 da adito a censura sotto il  profilo  della  violazione
degli artt. 3 e 81 della Costituzione.
    Esso infatti  estende  tutte  le  agevolazioni,  contribuzioni  e
benefici a qualsiasi titolo previsti dall'ordinamento  regionale  per
la famiglia, alle coppie di fatto iscritte  negli  appositi  registri
delle unioni civili, istituiti dai comuni della Regione siciliana  ed
alle famiglie mono-parentali.
    Siffatta generalizzata estensione «tout court», senza distinzione
alcuna tra i singoli benefici e le ragioni e le finalita' sottese  ad
ognuno di questi, si ritiene incompatibile con il  principio  di  cui
all'art. 3 della Costituzione che impone  diversita'  di  trattamento
per situazioni  diverse  quali  quelle  della  famiglia  fondata  sul
matrimonio e  delle  unioni  di  fatto  che  trovano  rispettivamente
fondamento negli artt. 29 e 2 della Costituzione.
    Cio' tuttavia  non  esclude  che  su  singole  questioni  le  due
formazioni sociali,  «id  est»  famiglia  tradizionale  e  quella  di
«fatto"» possano essere sovrapponibili e che la semplice esistenza di
un rapporto di convivenza sia meritevole di  tutela  con  riguardo  a
specifici interventi di sostegno mediante la  disciplina  di  singoli
servizi rivolti  ai  cittadini  come  ad  esempio  nell'ambito  delle
politiche abitative o dell'accesso a benefici assistenziali.
    La  norma   in   esame   altresi'   introduce   un'ulteriore   ed
ingiustificata disparita' di  trattamento  all'interno  della  stessa
categoria di «unioni di fatto» in  quanto  potrebbero  accedere  alla
piena parificazione con le famiglie tradizionali solo quelle iscritte
in appositi registri istituiti dai comuni della Regione.
    Poiche'  l'istituzione  di  detti  registri   e'   frutto   della
discrezionalita' dei singoli enti civici, e  soltanto  in  alcuni  di
essi sono presenti, le coppie di fatto residenti in comuni  privi  di
tali registri, sarebbero escluse da ogni possibilita' di accedere  ai
benefici e alle provvidenze per una circostanza non dipendente  dalla
loro  volonta',  a  prescindere  dall'esistenza  o  meno  del  legame
affettivo esistente.
    Inoltre la disposizione  contenuta  nell'art.  37,  ampliando  in
maniera non definita e definibile a priori la platea dei  destinatari
delle provvidenze  e  benefici  previsti  dall'ordinamento  regionale
nonche' dei diritti in materia sanitaria, potrebbe  comportare  nuovi
oneri che in assenza della valutazione degli stessi  nella  relazione
tecnica, inducono  lo  scrivente  a  sottoporre  la  disposizione  in
questione al vaglio di codesta Corte, anche sotto  il  profilo  della
violazione dell'art. 81 della Costituzione.
    Il 7° comma dell'art. 47 che si trascrive  «L'Istituto  regionale
per lo sviluppo delle attivita' produttive e' autorizzato,  entro  la
propria dotazione finanziaria, ad erogare i trattamenti pensionistici
integrativi dovuti al personale in quiescenza degli ex  consorzi  ASI
soppressi e posti in liquidazione, nel rispetto dell'articolo 12  del
regolamento di organizzazione tipo, di cui al decreto  dell'Assessore
regionale  per  l'industria  5  aprile  2001,  approvato   ai   sensi
dell'articolo 1, comma 3 della legge regionale  15  maggio  2000,  n.
10.»,   sostanzialmente   contiene   una   sanatoria   e    convalida
dell'avvenuta corresponsione di trattamenti pensionistici integrativi
in favore del personale in quiescenza dei consorzi  ASI  soppressi  e
posti in liquidazione  di  cui  non  e'  dato  conoscere  l'ammontare
complessivo  degli  esborsi  finora  effettuati   e   la   quota   di
integrazione posta  ora  a  carico  dell'Istituto  Regionale  per  lo
sviluppo delle attivita' produttive.
    La  predetta  integrazione   previdenziale   inoltre   troverebbe
fondamento non da una legge ma da un  regolamento  o  da  una  prassi
finora seguita oltre che dall'EAS anche dai consorzi ASI.
    In assenza di una dettagliata relazione tecnica che  individui  i
soggetti destinatari, l'ammontare  dell'integrazione  per  ognuno  di
essi e le modalita' di calcolo della suddetta  integrazione,  nonche'
una proiezione decennale degli oneri derivanti  dalla  corresponsione
di detto beneficio aggiuntivo, e' di palmare evidenza  la  violazione
dell'art. 81 della Costituzione.
    Inoltre  la  stessa  disposizione,  nel  porre  a  carico   della
dotazione finanziaria dell'Istituto Regionale  per  il  Credito  alla
Cooperazione gli oneri derivanti dal predetto beneficio di cui non e'
possibile quantificare l'ammontare,  potrebbe  comportare  il  venire
meno di cospicue risorse nelle disponibilita' dell'ente destinate non
solo all'ordinario funzionamento ma anche alle finalita' ed obiettivi
della  sua  attivita',  con  cio'  comportando  anche  la  violazione
dell'art. 97 della Costituzione.
    Il comma 8 del medesimo art. 47 sostituisce l'art. 12 della  l.r.
n. 9/2013 relativo alla  quantificazione  del  canone  di  produzione
annualmente dovuto dagli esercenti  delle  cave  alla  Regione  e  ai
Comuni per  l'attivita'  estrattiva  con  l'incremento  del  50%  del
versamento dovuto «una tantum» per le opere  di  recupero  ambientale
disposte dall'art. 19 della l.r. n. 127/80. Orbene detta sostituzione
comporta non solo un evidente minore entrata all'erario regionale  di
cui  peraltro  non  e'  rinvenibile  nella  relazione  tecnica  alcun
criterio di determinazione in quanto quantificata  «apoditticamente»,
nel riquadro B1 «minori entrate finali» del  prospetto  riepilogativo
degli effetti della manovra finanziaria, in 1.900 migliaia  di  euro,
ma anche la stessa e' priva di copertura in quanto e' determinata  in
maniera difforme dalla previsione degli articoli 11, 6°  comma  e  17
della legge n. 196/2009 come illustrato in premessa.
    La disposizione inoltre pone a carico dei Comuni su cui  ricadono
i giacimenti  minerari  di  cave,  la  minore  entrata  in  questione
giacche' gli stessi, in virtu' del comma 5 dell'art. 12 della l.r. n.
9/2013, hanno diritto al 60% del canone di produzione ora  soppresso,
riduzione  questa  non  compensata  dall'attribuzione  del  20%   del
versamento dell'onere dovuto per le opere di recupero ambientale.
    La disposizione in questione, laddove pone a  carico  degli  enti
appartenenti alla finanza pubblica allargata un  nuovo  onere  o  una
minore entrata senza quantificarne e determinarne  la  copertura,  si
pone ulteriormente in contrasto con l'art. 81 della Costituzione.
    Del pari  il  comma  9  e'  in  contrasto  con  l'art.  81  della
Costituzione in quanto pur disponendo, per cinque periodi di imposta,
agevolazioni IRAP a favore delle imprese che si costituiscono  o  che
iniziano   l'attivita'   lavorativa   nell'anno   2014,   omette   di
quantificare gli oneri e di indicare i relativi  mezzi  di  copertura
per gli esercizi successivi al 2016.
    Il legislatore e' cosi venuto meno alla fondamentale esigenza  di
chiarezza e solidita' di bilancio cui l'art. 81 della Costituzione si
ispira e in base al quale  la  copertura  di  nuove  spese  o  minori
entrate deve essere credibile ed in equilibrato rapporto con la spesa
che si  intende  effettuare  negli  esercizi  futuri  secondo  quanto
acclarato da codesta Corte con costante giurisprudenza  (ex  plurimis
sentenze n. 271/2011 e 131/2012).
    Il comma 10 inoltre autorizza la spesa di 250 migliaia di euro in
favore dei lavoratori della ex  Pirelli  di  Villafranca  (ME)  e  di
Siracusa destinatari di provvidenze economiche  nel  1996  in  virtu'
dell'art. 34 della l.r. n. 33/1996.
    A parte la considerazione che non riesce facilmente comprensibile
per quale ragione il legislatore intervenga dopo  circa  18  anni  in
favore di una categoria di soggetti gia'  beneficiari  di  misure  di
sostegno al reddito, la disposizione in questione si  ritiene  essere
in contrasto con l'art. 81 della Costituzione in quanto,  in  assenza
di specifica menzione nella relazione tecnica che indichi  i  criteri
per la quantificazione  degli  oneri  finanziari,  non  e'  possibile
valutare la congruita' e l'adeguatezza dell'autorizzazione di spesa.
    Il comma 19 dell'art. 47  si  ritiene  essere  in  contrasto  con
l'art. 11 d.l.  n.  158/2012  convertito  in  legge  n.  189/2012  in
relazione ai limiti  posti  dall'art.  17,  lett.  c)  dello  Statuto
Speciale.
    La  norma  regionale,  oggetto  di  censura  che  di  seguito  si
trascrive «Al fine della razionalizzazione della spesa per l'acquisto
di prodotti farmaceutici a carico del Servizio  sanitario  nazionale,
l'Assessorato regionale della salute: predispone idoneo  disciplinare
per la  prescrizione  ed  erogazione  di  prodotti  .farmaceutici  in
confezioni monodosi o contenenti un numero di presidi  utili  per  un
ciclo  terapeutico  medio,  per   evitare   l'accumulo   di   farmaci
inutilizzati nelle cosi dette farmacie domestiche; fissa gli  importi
delle quote di compartecipazione a carico degli assistiti  in  misura
proporzionale al minor costo delle confezioni unitarie  o  per  ciclo
terapeutico medio. In via di prima applicazione,  a  decorrere  dalla
data di entrata in vigore della presente legge, quanto  disposto  dal
presente articolo si applica a  tutte  le  prestazioni  farmaceutiche
erogate da parte delle farmacie delle strutture pubbliche  e  private
accreditate nel rispetto della normativa vigente sul  confezionamento
delle specialita' medicinali.», fa riferimento alla fattispecie dello
sconfezionamento dei  farmaci,  prevedendo  che,  in  sede  di  prima
applicazione, essa si applichi «a tutte le prestazioni  farmaceutiche
erogate da parte delle farmacie delle strutture pubbliche e private».
    Tale disposizione contrasta con  quanto  previsto  dall'art.  11,
comma 5, del d.l. n. 158/2012, il quale dispone che «le regioni e  le
province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  sono  autorizzate   a
sperimentare, nei limiti delle loro  disponibilita'  di  bilancio,  i
sistemi   di   riconfezionamento,   anche   personalizzato,   e    di
distribuzione dei medicinali agli  assistiti  in  trattamento  presso
strutture ospedaliere e residenziali, al fine di eliminare sprechi di
prodotti e rischi di errori e di consumi impropri. Le  operazioni  di
sconfezionamento e riconfezionamento dei medicinali  sono  effettuate
nel rispetto delle norme di buona fabbricazione, con indicazione  del
numero di lotto di origine e  della  data  di  scadenza.  L'AIFA,  su
richiesta della Regione, autorizza l'allestimento e la fornitura alle
strutture   sanitarie   che    partecipano    alla    sperimentazione
macroconfezioni di medicinali in grado  di  agevolare  le  operazioni
predette».
    La richiamata  norma  statale,  quindi,  consente  i  sistemi  di
riconfezionamento solo alle condizioni, nei limiti e con le procedure
da essa previsti. In particolare, si evidenzia come essa preveda  che
tali sistemi di riconfezionamento possano essere  effettuati  solo  a
favore degli assistiti in trattamento presso strutture ospedaliere  e
residenziali e nel rispetto delle norme di buona fabbricazione.
    Per le ragioni sopra illustrate, e' da  ritenere  che  la  citata
norma regionale violi l'art. 17,  lett.  c)  dello  Statuto  Speciale
della Regione  Siciliana,  che  rimette  la  materia  dell'assistenza
sanitaria - nella quale e'  ricompresa  l'assistenza  farmaceutica  -
alla potesta' legislativa concorrente, in base alla quale la Regione,
nell'esercizio della propria potesta' legislativa, deve rispettare  i
principi della legislazione statale, nel caso  in  esame  recati  dal
citato art. 11, comma 5, del d.l. n. 158/2012, rispetto al  quale  la
norma regionale «de qua» si pone invece in contrasto.
 
                               P.Q.M.
 
    Ai sensi dell'art. 28 dello Statuto  Speciale,  con  il  presente
atto impugna i sottoelencati articoli del disegno di legge n. 670 dal
titolo «Disposizioni programmatiche e  correttive  per  l'anno  2014.
Legge di stabilita' regionale»,  approvato  dall'Assemblea  Regionale
Siciliana il 15 gennaio 2014:
        Art. 3, commi 3, 8 e 9 per violazione degli articoli 81 e  97
della Costituzione;
        Art. 5, commi 2, 3, 5 e 6 per violazione degli  articoli  81,
97, 117, 2° comma, lettere e) e g) della Costituzione;
        Art. 6, commi  8  e  9  per  violazione  dell'art.  81  della
Costituzione;
        Art.  8,  comma  2  per  violazione   dell'art.   120   della
Costituzione;
        Art. 9, comma  3  per  violazione  dell'art.  117,  comma  2,
lettera l) della Costituzione;
        Art. 10 per violazione dell'art. 97 della Costituzione;
        Art. 11, comma 8 per violazione degli articoli 97 e  117,  2°
comma, lettera e) della Costituzione;
        Art. 12, commi 5  e  6  limitatamente  al terzo  periodo  per
violazione degli articoli  81  e  117,  2°  comma  lettera  l)  della
Costituzione;
        Art. 13, commi 5, 6 limitatamente al capoverso,  7  e  8  per
violazione degli articoli 3, 81 e 97 della Costituzione;
        Art. 14 per violazione dell'art. 81 della Costituzione;
        Art. 17, comma 1 limitatamente alla maggiore spesa rispetto a
quella prevista per il 2014 dall'allegato 1 della legge regionale  n.
9/2013, commi 2, 3, 4, 5, 6, 8, 9 e 10 per  violazione  dell'art.  81
della Costituzione;
        Art. 19 per violazione dell'art. 17 lett.  c)  dello  Statuto
Speciale e degli articoli 117, comma 3 e 120 della Costituzione;
        Art. 22, comma 2 limitatamente al secondo periodo e  comma  4
per violazione degli articoli 81, 97 e 117, comma 2 lettera l)  della
Costituzione;
        Art. 23, comma 2 limitatamente ai  periodi  compresi  tra  le
parole «in deroga al divieto di nuove  assunzioni»  e  «con  apposite
deliberazioni della giunta regionale»  e  comma  3  limitatamente  al
secondo periodo da «tali disposizioni si applicano» a «alla  l.r.  15
maggio 2000, n. 10 e successive modifiche  e  integrazioni  all'ARPA»
per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione;
        Art. 24 per violazione dell'art. 81 della Costituzione;
        Articoli 25, 26, 27 e 28 per violazione degli articoli  81  e
97 della Costituzione;
        Art. 29 per violazione dell'art. 81 della Costituzione;
        Art. 30, comma 13 per violazione degli articoli 3 e 97  della
Costituzione;
        Art. 32, commi 1, 2, 3, 6 e 7 per violazione  degli  articoli
3, 81 e 97 della Costituzione;
        Art. 33 per violazione degli articoli 3, 81,  97  e  117,  2°
comma, lettera l) e 3° comma della Costituzione;
        Art.  34,  comma  2  limitatamente  all'inciso  «la  data  di
scadenza del 31 dicembre 2013 prevista dall'art. 43, comma  1,  della
legge regionale n. 9/2013, e' prorogata al  31  dicembre  2016  e»  e
comma  6,  primo  periodo   per   violazione   dell'art.   81   della
Costituzione;
        Art.  36  per  violazione  degli  articoli  81  e  97   della
Costituzione;
        Art.  37  per  violazione  degli  articoli  3  e   81   della
Costituzione;
        Articoli 38, 39, 40, 41, 42, 43 e  46  per  violazione  degli
articoli 81 e 97 della Costituzione;
        Art. 47, commi 5, 6, 7, 8, 9, 10, 13, 14, 15,  16  e  19  per
violazione degli articoli 81 e 97 della Costituzione e  dell'art.  11
del d.l. n. 158/2012 convertito in legge n. 189/2012 in relazione  ai
limiti posti dall'art. 17, lett. c) dello Statuto Speciale.
 
          Palermo, 23 gennaio 2014
 
         Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana
                               Aronica
 

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