Ricorso n.51 del 22 agosto 2016 (del Presidente del Consiglio dei Ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 22 agosto 2016 (del Presidente del Consiglio dei ministri).
(GU n. 43 del 2016-10-26)
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato (C.P. …), presso i cui uffici domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 per il ricevimento degli atti, fax … e pec …, nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, con sede in Trieste Piazza dell'Unita' d'Italia n. 1, per la dichiarazione della illegittimita' costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 28 giugno 2016 n. 10, pubblicata nel B.U.R. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 29 giugno 2016, recante: «Modifiche a disposizioni concernenti gli enti locali contenute nelle leggi regionali numeri 1/2006, 26/2014, 18/2007, 9/2009, 19/2013, 34/2015, 18/2015, 3/2016, 13/2015, 23/2007, 2/2016 e 27/2012.», limitatamente agli articoli 7, 12, comma 1, lettera b) e 51 comma 2.
La legge del Friuli-Venezia Giulia n. 10/2016, con riferimento alle disposizioni di cui agli articoli 7, 12, comma 1, lettera b) e 51 comma 2, presenta profili di illegittimita' costituzionale e viene quindi impugnata per i seguenti
Motivi
1) Articoli 7 e 12, comma 1, lettera b) 1 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 10/2016, per violazione dell'art. 117, comma 2, lettera e) e lettera s) della Costituzione nonche' dell'art. 5, punto 7) e punto 14) dello Statuto regionale.
1.1. Con la legge n. 10/2016, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha inteso apportare modifiche e integrazioni alla normativa regionale concernente gli enti locali.
In particolare, l'art. 7 della legge regionale n. 10/2016 sostituisce l'art. 27 della legge regionale n. 26/2014 (Riordino del sistema Regione-Autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia. Ordinamento delle Unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative) riguardante le «Ulteriori funzioni comunali esercitate in forma associata».
A seguito di tale modifica, la nuova formulazione del citato art. 27 dispone, al comma 1, che «Nell'ambito di ciascuna Unione, i Comuni esercitano in forma associata le funzioni comunali nelle materie e attivita' e con le decorrenze di seguito indicate:
a) a decorrere dal 1° luglio 2016, la programmazione e gestione dei fabbisogni di beni e servizi in relazione all'attivita' della Centrale unica di committenza regionale;
b) a decorrere dal 1° gennaio 2017, i servizi finanziari e contabili e il controllo di gestione, nonche' almeno due tra le seguenti:
1) opere pubbliche e procedure espropriative;
2) pianificazione territoriale comunale ed edilizia privata;
3) procedure autorizzatorie in materia di energia;
4) organizzazione dei servizi pubblici di interesse economico generale;
5) edilizia scolastica e servizi scolastici;
c) a decorrere dal 10 gennaio 2018, le restanti materie e attivita' di cui alla lettera b)».
Al successivo, comma 3, il citato art. 7 prevede, altresi', che «(...) le funzioni nelle materie di cui alla lettera b) sono esercitate in forma associata dai Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, ridotti a 5.000 se appartenenti o appartenuti a comunita' montane, mediante convenzione, in modo da raggiungere la medesima soglia demografica complessiva, e, in alternativa, avvalendosi degli uffici dell'Unione».
L'art. 12, comma 1, lettera b) della legge regionale in esame aggiunge poi il comma 1-bis all'art. 40 della legge regionale n. 26/2014 prevedendo che «Entro il 31 dicembre 2016 i Comuni facenti parte di convenzioni attuative aventi per oggetto funzioni e servizi previsti dagli articoli 26 e 27 possono mantenerle operative fino al conferimento all'Unione e comunque non oltre il 31 dicembre 2017 adeguandone e integrandone il contenuto. La competenza a deliberare in ordine all'aggiornamento delle convenzioni attuative e' attribuita alle Giunte comunali».
1.2. Nel modificare le norme regionali sopra indicate, gli articoli 7 e 12, comma 1, lettera b) della legge n. 10/2016 disciplinano l'organizzazione dei servizi pubblici di interesse economico generale - senza escludere il servizio idrico integrato - tra le funzioni comunali da esercitare in forma associata.
Le norme in esame nella parte in cui affidano l'organizzazione del servizio idrico integrato ai comuni - che ne devono garantire l'esercizio in forma associata - esorbitano dalle competenze legislative attribuite alla Regione dallo Statuto speciale, approvato con legge costituzionale n. 1 del 1963, e dalle norme di attuazione del medesimo.
La Regione Friuli-Venezia Giulia, infatti, non dispone di competenza legislativa esclusiva in materia di servizio idrico integrato. Ne' a tale servizio possono riferirsi le materie indicate all'art. 4 dello Statuto; in particolare le competenze indicate al punto 1-bis) (ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni) e al punto 9) (viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse locale e regionale) del predetto articolo. Le citate norme statutarie, infatti, sono poste a presidio di interessi differenti riconducibili al potere di diretta organizzazione della Regione nei confronti degli enti locali e di gestione degli acquedotti di interesse locale e regionale e, dunque, non intersecano affatto la materia del servizio idrico integrato.
Le disposizioni regionali censurate, d'altra parte, travalicano i limiti della competenza legislativa concorrente garantita alla Regione.
L'art. 5 dello Statuto, in particolare, riconosce alla Regione Friuli-Venezia Giulia («In armonia con la Costituzione, con i principi generali dell'ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonche' nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli delle altre Regioni») la potesta' legislativa, al punto 7), in tema disciplina dei servizi pubblici di interesse regionale ed assunzione di tali servizi e, al punto 14), in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni nonche' di opere idrauliche di 4A e 5A categoria.
Vi e', pero', che le norme censurate dettano disposizioni per la gestione del servizio idrico integrato che oltrepassano i confini delle suddette competenze legislative statutarie segnati dai principi dettati dal Legislatore statale specie con le norme di seguito richiamate.
Codesta ecc.ma Corte, infatti, ha piu' volte affermato (sentenza n. 234/2010) che «in materia di tutela dell'ambiente e del paesaggio, la disciplina statale costituisce un limite minimo di tutela non derogabile dalle regioni, ordinarie o a statuto speciale, e dalle Province autonome» (sentenze n. 272 del 2009 e n. 378 del 2007), in quanto «lo Stato stabilisce "standard minimi di tutela"», intendendosi tale espressione nel senso che lo Stato assicura una tutela «adeguata e non riducibile» dell'ambiente (sentenza n. 61 del 2009) valevole anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome (sentenza n. 101 del 2010).
1.3. Le norme regionali censurate, peraltro, appaiono inconciliabili con il vigente quadro normativo nazionale relativo all'organizzazione territoriale del predetto servizio idrico integrato (SII).
L'art. 7 della legge regionale n. 10/2016, infatti, nel sostituire il previgente testo dell'art. 27, della legge regionale n. 26/2014, al comma l, lettera d), affida ai comuni l'esercizio in forma associata delle funzioni comunali concernenti la «organizzazione dei servizi pubblici di interesse economico generale». La norma sospettata evoca dunque la nozione di «servizio di interesse economico generale» (SIEG) rinvenibile in ambito europeo negli articoli 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. E' opportuno, tuttavia, precisare che il riferimento alle imprese incaricate della gestione di servizi d'interesse economico generale, contenuto nell'art. 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, non include l'intera gamma dei servizi pubblici conosciuti dagli ordinamenti nazionali, bensi' esclusivamente quei servizi, gestiti in forma imprenditoriale, che assumono la denominazione di servizi economici, industriali o commerciali.
L'ordinamento italiano, dal canto suo, non esplicita direttamente la nozione di «servizio pubblico di rilevanza economica». La rilevanza economica del servizio va comunque intesa come possibilita' (valutabile anche in concreto e non solo in astratto) di produrre ricavi dalla gestione del servizio e come contendibilita' sul mercato del servizio.
Per individuare la rilevanza economica del servizio la giurisprudenza, adotta un criterio relativistico, che tiene conto delle peculiarita' del caso concreto, quali l'effettiva struttura del servizio, le concrete modalita' dei suo espletamento, i suoi specifici connotati economico organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio (Cons. Stato, sez. VI, 18 dicembre 2012, n. 6488).
La distinzione tra i servizi pubblici locali di rilevanza economica rispetto a quelli che di tale rilevanza sono privi assume rilievo sul piano:
a) della competenza legislativa (lo Stato ha competenza legislativa in tema di servizi pubblici locali di rilevanza economica);
b) dei modelli organizzativi ammissibili;
c) della relazione tra mercato e principi di socialita'.
Pur in assenza di una diretta esplicitazione della nozione di «servizio pubblico di rilevanza economica», non manca nel nostro ordinamento la possibilita' di rivenire alcuni indici di riconoscimento di tali servizi (come quelli indicati nella giurisprudenza del Consiglio di Stato sopra citata) che valorizzano i loro caratteri peculiari. D'altra parte, per una piu' compiuta ricostruzione della nozione di «servizio pubblico di rilevanza economica», appare utile il richiamo alla normativa comunitaria.
In ambito europeo, le interpretazioni elaborate dalla giurisprudenza comunitaria in merito alla nozione di «servizio di interesse economico generale» (SIEG), di cui ai citati articoli 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, indicano con chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all'ambito locale, e quella di «servizio pubblico locale di rilevanza economica» hanno «contenuto omologo», come espressamente riconosciuto da codesta ecc.ma Corte a partire dalla sentenza n. 272 del 2004.
In occasione dello scrutinio dell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 - articolo aggiunto dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133 - sia nel testo originario, sia in quello modificato dall'art. 15, comma 1, del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, codesta ecc.ma Corte infatti ha precisato che «In ambito comunitario non viene mai utilizzata l'espressione "servizio pubblico locale di rilevanza economica", ma solo quella di "servizio di interesse economico generale" (SIEG), rinvenibile, in particolare, negli articoli 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Detti articoli non fissano le condizioni di uso di tale ultima espressione, ma, in base alle interpretazioni elaborate al riguardo dalla giurisprudenza comunitaria (ex multis, Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia) e dalla Commissione europea (in specie, nelle Comunicazioni in tema di servizi di interesse generale in Europa del 26 settembre 1996 e del 19 gennaio 2001; nonche' nel Libro verde su tali servizi del 21 maggio 2003), emerge con chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all'ambito locale, e quella interna di SPL di rilevanza economica hanno "contenuto omologo", come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 272 del 2004. Lo stesso denunciato comma 1 dell'art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 202 - nel dichiarato intento di disciplinare i "servizi pubblici locali di rilevanza economica" per favorire la piu' ampia diffusione dei principi di concorrenza, di liberta' di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti "gli operatori economici interessati alla gestione di servizi pubblici di interesse generale in ambito locale" - conferma tale interpretazione, attribuendo espressamente ai SPL di rilevanza economica un significato corrispondente a quello di "servizi di interesse generale in ambito locale" di rilevanza economica, di evidente derivazione comunitaria» (sentenza n. 325/2010, sottolineato aggiunto).
Orbene, la rilevata omologia tra i «servizi pubblici locali di rilevanza economica» conosciuti nel nostro ordinamento e i «servizi di interesse generale in ambito locale di rilevanza economica» di derivazione comunitaria dimostra come l'art. 7 della legge regionale censurata, nell'attribuire ai comuni l'esercizio in forma associata delle funzioni in materia di «organizzazione dei servizi pubblici di interesse economico generale», abbia testualmente inteso affidare agli enti comunali la gestione di servizi pubblici locali di rilievo economico, ivi inclusi i servizi idrici integrati.
1.4. Ed e' proprio tale inclusione che giustifica la censura di illegittimita' costituzionale delle norme in commento in quanto il Legislatore regionale incontra precisi limiti nella disciplina del servizio idrico integrato.
1.4.1. Codesta ecc.ma Corte e' piu' volte intervenuta in materia (ex plurimis, sentenza n. 228 del 2013) qualificando il servizio idrico integrato come servizio di rilevanza economica la cui organizzazione e gestione deve rispettare i criteri fissati dalla normativa nazionale che, essendo riferibile alla tutela della concorrenza e alla tutela ambientale, e' di competenza esclusiva statale come stabilito dall'art 117 della Cost.
In tale prospettiva ermeneutica, il servizio idrico integrato deve essere qualificato come servizio pubblico di rilevanza economica, ossia un SIEG, e deve quindi rispettare il principio della concorrenza e della copertura dei costi, e non costituisce funzione fondamentale dell'ente locale (sentenze n. 307 del 2009 e n. 272 del 2004).
In particolare, con le sentenze n. 246/2009 e n. 325/2010, codesta ecc.ma ha avuto modo di precisare che la competenza legislativa dello Stato sul servizio idrico, in quanto riconducibile alla tutela della concorrenza, prevale su eventuali titoli competenziali regionali e, in particolare, su quello relativo ai servizi pubblici locali.
Da ultimo, con sentenza n. 32/2015, codesta ecc.ma Corte ha efficacemente rimarcato che: «il servizio idrico integrato e' stato qualificato come "servizio pubblico locale di rilevanza economica"
(sentenza n. 187 del 2011) e che la disciplina dell'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali - inclusa la forma di gestione del servizio idrico integrato e le procedure di affidamento dello stesso - rientra nella materia di competenza esclusiva statale della tutela della concorrenza «trattandosi di regole "dirette ad assicurare la concorrenzialita' nella gestione del servizio idrico integrato, disciplinando le modalita' del suo conferimento e i requisiti soggettivi del gestore, al precipuo scopo di garantire la trasparenza, l'efficienza, l'efficacia e l'economicita' della gestione medesima"» (sentenza n. 325 del 2010). L'affidamento della gestione del SII attiene, altresi', alla materia della tutela dell'ambiente, parimenti riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 62 del 2012 e n. 187 del 2011). Ne consegue che nell'alveo della ricostruita disciplina statale devono svolgersi le competenze regionali in materia di servizi pubblici locali (sentenze n. 270 del 2010, n. 307 e n. 246 del 2009), e che sono ammissibili «effetti pro-concorrenziali» degli interventi regionali nelle materie di competenza concorrente o residuale «purche' [...] "siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza" (da ultimo, sentenze n. 45 del 2010 e n. 160 del 2009)» (sentenza n. 43 del 2011).
Le disposizioni regionali sospettate, nel consentire ai comuni la facolta' di associarsi, mediante convenzione, per l'esercizio di funzioni inerenti tutti i servizi di interesse economico generale, senza eccezione alcuna per il servizio idrico integrato, invadono dunque la sfera di competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza» e di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema».
1.4.2. Il frontale contrasto tra le norme censurate e la legislazione statale in materia di servizio idrico integrato si apprezza, in particolare, con riguardo all'art. 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e all'art. 3-bis, commi 1 e 1-bis, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
L'art. 147 del decreto legislativo n. 152/2006 stabilisce al comma 1 [modificato dall'art. 7, comma 1, lettera b), n. 1), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164] che «i servizi idrici sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali definiti dalle regioni in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36. Le regioni che non hanno individuato gli enti di Governo dell'ambito provvedono, con delibera, entro il termine perentorio del 31 dicembre 2014. Decorso inutilmente tale termine si applica l'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. Gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale partecipano obbligatoriamente all'ente di Governo dell'ambito, individuato dalla competente regione per ciascun ambito territoriale ottimale, al quale e' trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all'art. 143, comma 1».
Inoltre, ai sensi del comma 2, del medesimo articolo, le regioni possono modulare gli ambiti territoriali ottimali, per migliorare la gestione del servizio idrico integrato, assicurandone comunque lo svolgimento secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicita', nel rispetto (tra gli altri) dei seguenti principi; i) garanzia dello svolgimento del servizio secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicita'»; «unicita' della gestione»; «adeguatezza delle dimensioni gestionali, definita sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici».
L'unica deroga possibile a tale dimensione minima territoriale e' introdotta dallo stesso art. 147 che, al comma 2-bis [inserito dall'art. 7, comma 1, lettera b), n. 4), del decreto-legge n. 133/2014, convertito dalla legge 11 novembre n. 164/2014 e, successivamente, cosi' modificato dall'art. 62, comma 4, legge 28 dicembre 2015, n. 2211, prevede l'eventualita' che quest'ultimo «coincida con l'intero territorio regionale» e aggiunge che in tal caso e' possibile procedere, «ove si renda necessario al fine di conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualita' del servizio all'utenza», alla costituzione «di ambiti territoriali comunque non inferiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle citta' metropolitane».
Il medesimo comma 2-bis, altresi', sancisce alla lettera a) che: «Sono fatte salve le gestioni del servizio idrico in forma autonoma nel comuni montani con popolazione inferiore a 1.000 abitanti gia' istituite ai sensi del comma 5 dell'art. 148», mentre alla lettera b) la norma pone limiti tassativi e simultanei che devono essere verificati all'entrata in vigore della nuova disposizione e contestualizzati nel quadro amministrativo di riferimento, cosi' come disciplinato dalle norme vigenti.
L'art. 3-bis, comma 1 del decreto-legge n. 138/2011 [inserito dall'art. 25, comma 1, lettera a), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 e modificato dall'art. 53, comma 1, lettera a), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134] ha poi previsto che «A tutela della concorrenza e dell'ambiente, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio e istituendo o designando gli enti di Governo degli stessi ...».
Il comma 1-bis dell'art. 3 [inserito dall'art. 34, comma 23, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e , successivamente, cosi' modificato dall'art. l, comma 609, lettera a), legge 23 dicembre 2014, n. 190, a decorrere dal 1° gennaio 2015] ha quindi disposto, che «le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti ai settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo (siano) esercitate unicamente dagli enti di Governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati al sensi del comma 1 del presente articolo».
Con tali disposizioni il Legislatore statale ha inteso razionalizzare la gestione (anche) del servizio idrico consentendo alle Regioni di definire gli ambiti territoriali ottimali e di istituire strutture diversamente denominate (enti, comitati, autorita') alle quali sono state trasferite le competenze degli enti locali che necessariamente vi fanno parte (sentenze n. 307 e n. 246 del 2009).
La disciplina statale in commento punta al superamento della frammentazione verticale della gestione delle risorse idriche, demandando ad un'unica autorita' preposta all'ambito le funzioni di organizzazione, l'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato.
Si tratta di un intervento normativo ascrivibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza, essendo diretto ad assicurare la concorrenzialita' nel conferimento della gestione e nella disciplina dei requisiti soggettivi del gestore, allo scopo di assicurare l'efficienza, l'efficacia e l'economicita' del servizio (sentenze n. 325 del 2010 e n. 246 del 2009).
La disciplina in esame, nel contempo, rientra nella sfera di competenza esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente in quanto «l'allocazione all'Autorita' d'ambito territoriale ottimale delle competenze sulla gestione serve a razionalizzare l'uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della "biosfera" intesa "come sistema" [...] nel suo aspetto dinamico» (sentenze n. 168 del 2008, n. 378 e n. 144 del 2007)» (sentenza n. 246 del 2009).
Le disposizioni legislative statali sopra richiamate contrastano dunque con le norme regionali censurate che affidano ai comuni (anche) l'organizzazione del servizio idrico integrato imponendo l'esercizio di tale funzione forma associata (nei casi previsti dal comma 3 dell'art. 7 della legge n. 10/2016) mediante convenzione ovvero con l'avvalimento degli uffici dell'Unione nonche' la cessazione delle vigenti convenzioni attuative del servizio a far data dal 1° gennaio 2018 [dell'art. 12 lettera b) della legge n. 10/2016].
Le norme regionali sospettate, invero, attribuiscono ai predetti comuni quanto meno la facolta', se non addirittura l'obbligo, di gestire autonomamente in forma associata il servizio idrico integrato finendo cosi per incidere sulla definizione degli ambiti territoriali ottimali per l'organizzazione del servizio idrico e sulla individuazione degli enti destinati a succedere nelle competenze gia' spettanti alle soppresse Consulte d'ambito.
In tal modo il Legislatore regionale, invadendo l'ambito di competenza riservato alla legge statale, ha direttamente disposto in ordine ad una modalita' di gestione «autonoma» del servizio idrico escludendo, tra l'altro, «che l'ente individuato dalla Regione come successore delle competenze dell'AATO deliberi, con un proprio atto, le forme di gestione del servizio idrico integrato e provveda all'aggiudicazione della gestione del servizio» (sentenza n. 228 del 2013).
Le norme in esame, pertanto, si pongono in contrasto anche con quanto sancito dalla legge regionale n. 5 del 15 aprile 2016 con cui la Regione Friuli-Venezia Giulia ha disciplinato il riassetto organizzativo e funzionale del servizio idrico integrato e della gestione integrata del rifiuti (che dovra' concludersi entro il 31 dicembre 2017) identificando un unico ambito territoriale coincidente con il territorio regionale ed ha istituito l'Autorita' idrica per i servizi idrici e i rifiuti che subentra nelle funzioni e nei poteri delle ex Consulte d'ambito.
Per le considerazioni. sopra esposte, le norme regionali censurate confliggono con il principio, espresso dalla normativa interposta, di unitarieta' e superamento della frammentazione verticale delle gestioni, e quindi violano l'art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost.
In conclusione, l'art. 7 in combinato disposto con l'art. 12 della legge regionale n. 10/2016, nel prevedere che le Unioni di comuni possano organizzare in forma associata, mediante convenzione, i servizi pubblici di interesse economico generale, senza escludere esplicitamente il servizio idrico integrato, eccedono dalle competenze statutarie regionali di cui all'art. 5, punto 7) (disciplina dei servizi pubblici di interesse regionale ed assunzione di tali servizi) e punto 14) (utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni; opere idrauliche di 4A e 5A categoria), sconfinando nella materia dei servizi idrici integrati, riconducibile alla competenza esclusiva statale di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, e violano, pertanto, l'articolo 117, comma 2, lettere e) ed s) della Costituzione per contrasto con le norme interposte di cui all'art. 147, commi 1, 2 e 2-bis del decreto legislativo n. 150/2006 e all'art. 3-bis, commi 1 e 1-bis, del citato decreto-legge n. 138/2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 148/2011.
2) Art. 51, comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 10/2016, per violazione degli articoli 3 e 117, terzo comma, della Costituzione nonche' dell'art. 4, punto 1 dello Statuto regionale.
2.1. L'art. 8, comma 1, lettera a) della legge 7 agosto 2015 n. 124, nel dettare deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, tra l'altro, ha previsto la «istituzione del numero unico europeo 112 (c.d. NUE 112) su tutto il territorio nazionale con centrali operative da realizzare in ambito regionale, secondo le modalita' definite con i protocolli d'intesa adottati ai sensi dell'art. 75-bis, comma 3, del codice di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259».
La Regione Friuli-Venezia Giulia, dal canto suo, ha demandato alla Protezione Civile regionale «la realizzazione e la gestione della "Centrale Unica di Risposta al NUE 112" con conseguente attivazione del numero unico europeo di emergenza (NUE) 112, mediante l'adozione del modello del cosiddetto "call center laico", destinato a ricevere tutte le chiamate d'emergenza effettuate nel territorio regionale» (art. 4, comma 37, della legge 6 agosto 2015 n. 20 di assestamento del bilancio 2015).
In attuazione delle disposizioni sopra citate, l'art. 51 legge regionale n. 10/2016, al comma 1, ha previsto che le assunzioni di personale regionale con forme di lavoro flessibile finalizzate alla prima attivazione della Centrale Unica di Risposta al NUE 112, secondo quanto previsto dal Protocollo d'intesa tra il Ministero dell'interno e la Regione Friuli-Venezia Giulia sottoscritto in data 31 maggio 2016, non rilevano, per i primi tre anni, ai fini del rispetto delle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa di personale e di limiti assunzionali.
Il comma 2 dell'art. 51 stabilisce, invece, che «L'assunzione di personale regionale di qualifica dirigenziale con contratto di lavoro a tempo indeterminato attuata per le medesime finalita' di cui al comma 1, non rileva affini del rispetto delle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa di personale e di limiti assunzionali».
Il comma 3 del citato art. 51 dispone, altresi', che per assegnare il personale in posizione di comando presso la Centrale Unica di Risposta al NUE 112 non e' richiesto, qualora il soggetto interessato sia dipendente di un'amministrazione del Comparto unico del pubblico impiego regionale e locale, il nulla osta dell'amministrazione di appartenenza.
Il citato comma 2, dell'art. 51 della legge regionale n. 10/2016 si inscrive quindi nel descritto contesto normativo e appare censurabile nella parte in cui consente alla Regione di derogare –per l'assunzione di personale dirigenziale finalizzata all'attivazione della Centrale Unica di Risposta al NUE 112 - alle disposizioni statali in materia di contenimento della spesa di personale e di limiti assunzionali.
2.2. La deroga contenuta nel comma 2, dell'art. 51, infatti, eccede dalle competenze statutarie regionali di cui all'art. 4, punto 1 (ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto).
Si osserva, al riguardo, che l'art. 4 dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, pur attribuendo alla Regione una potesta' legislativa molto ampia, non prevede la materia del coordinamento della finanza pubblica, per la quale, quindi, la Regione, ancorche' nel rispetto della sua autonomia, e' tenuta ad osservare i principi fondamentali fissati dalle norme statali.
La competenza a legiferare in materia di stato giuridico ed economico del personale, statutariamente riconosciuta alla Regione, non puo' quindi giustificare l'emanazione di norme, come quella censurata, irrispettose delle disposizioni statali in materia di contenimento della spesa in materia di personale e di limiti assunzionali.
2.3. La deroga prevista dell'art. 51, comma 2, peraltro, confligge con alcune norme statali che dettano principi fondamentali nella materia del coordinamento della finanza pubblica da cui la Regione non puo' discostarsi.
2.3.1. La norma regionale, invero, si pone in contrasto con le disposizioni di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che vietano l'istituzione di figure dirigenziali al di fuori dei vincoli di contenimento della spesa di personale. In particolare, l'art. 6 del predetto decreto legislativo stabilisce che, previa verifica degli effettivi fabbisogni, «la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione delle finalita' indicate all'art. 1» tra cui e' annoverata, alla lettera b) del comma 1, la razionalizzazione del costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica. La norma, inoltre, impone alle pubbliche amministrazioni la definizione delle dotazioni organiche a scadenza triennale, stabilendo il divieto di assumere nuovo personale nel caso in cui tale obbligo resti inadempiuto (comma 6). Il successivo art. 33 del decreto legislativo n. 165/2010 impone, altresi', il divieto di assunzione per le pubbliche amministrazioni che non adempiono alla ricognizione annuale riguardanti le eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria.
La deroga al contenimento della spesa per il personale e ai limiti assunzionali disposta dal comma 2 dell'art. 51 confligge anche con il dettato dell'art. 3, comma 5, del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014 n. 114 (1) , che impone a regioni ed enti locali sottoposti al patto di stabilita' interno limiti - modulati nel tempo - alle assunzioni di personale a tempo indeterminato lasciando ferme le disposizioni previste dall'art. 1, comma 557 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (2) e abrogando, nel contempo, l'art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che imponeva i previgenti limiti per le assunzioni di personale a tempo interminato; norma quest'ultima inclusa da codesta ecc.ma Corte tra le disposizioni espressive di «principi di coordinamento della finanza pubblica (da ultimo, sentenza n. 289 del 2013), di cui questa Corte ha altresi' affermato l'applicabilita' diretta alle Regioni a statuto speciale e, segnatamente, alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (da ultimo, sentenza n. 54 del 2014)» (sentenza n. 181 del 2014, riguardante altra legge della Regione Friuli-Venezia Giulia; v. anche sentenza n. 217 del 2012).
Al pari del comma 7, dell'art. 76 del decreto-legge n. 112/2008 (che ha esplicitamente abrogato), la previsione contenuta al comma 5 dell'art. 3 del decreto-legge n. 90/2014, nell'imporre i predetti vincoli assunzionali, «si inserisce nel quadro complessivo dei numerosi interventi che il legislatore statale, ormai da tempo, ha effettuato in vista dell'obiettivo di assicurare il contenimento della spesa di personale nelle pubbliche amministrazioni regionali e locali» e anch'essa «e' norma recante principi di coordinamento della finanza pubblica» (sentenza n. 218 del 2015, enfasi aggiunta) che la Regione e' tenuta ad osservare nell'esplicazione della propria competenza legislativa.
Le predette disposizioni statali, volte a limitare la spesa di personale, costituiscono dunque principi di coordinamento di finanza pubblica applicabili alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia rispetto ai quali l'art. 51, comma 2, della legge regionale n. 10/2016 si pone in conflitto.
La deroga ai vincoli di assunzione del personale dirigenziale a tempo indeterminato introdotta dalla norma regionale censurata, infatti, si risolve comunque, almeno indirettamente, in un contrasto con i corrispondenti limiti posti dal Legislatore statale per assicurare il contenimento della spesa di personale.
2.3.2. La norma censurata appare viepiu' in contrasto con le disposizioni di cui all'art. 1, comma 219, della legge 28 dicembre 2015 n. 208 (legge di stabilita' per il 2016), che blocca transitoriamente, in modo quasi assoluto, l'assunzione del personale dirigenziale delle pubbliche amministrazioni.
La norma statale in commento, nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi delle deleghe affidate al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (articoli 8, 11 e 17 legge n. 124/2015) nonche' in attesa della completa attuazione dell'art. 1 commi 422, 423, 424 e 425, della legge n. 190/2014) rende indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, e successive modificazioni, come rideterminati in applicazione dell'art. 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, vacanti alla data del 15 ottobre 2015, tenendo comunque conto del numero dei dirigenti in servizio senza incarico o con incarico di studio e del personale dirigenziale in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o aspettativa.
Il divieto temporaneo di assunzione del personale dirigenziale previsto dal ridetto comma 219 si estende anche nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia. Infatti, il personale delle regioni non e' annoverato tra quello che il successivo comma 224 dell'art. 1 della legge n. 2015 ha espressamente escluso dal vincolo di indisponibilita' di assunzione dei dirigenti a tempo indeterminato.
Il divieto di assunzione imposto dal comma 219, inoltre, e' finalizzato all'attuazione di complessi processi di riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, dettati da norme statali che la Regione e' tenuta ad osservare.
Il vincolo assunzionale in parola, infatti, e' stato disposto in attesa dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124 le cui disposizioni (in forza della clausola di salvaguardia prevista dall'art. 22) «sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».
La Regione e' poi coinvolta nel complesso processo di riallocazione delle risorse umane in servizio presso le amministrazioni provinciali derivante da alcune disposizioni contenute nella legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni).
In particolare, l'art. 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 settembre 2014, (con cui e' stato adottato l'Accordo di cui al comma 91, dell'art. 1 legge n. 56/2014, previa l'intesa acquisita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell'art. 1, comma 92) ha stabilito che il trasferimento riguarda il numero complessivo delle risorse umane in servizio presso le amministrazioni provinciali, dedotte quelle necessarie all'espletamento delle funzioni fondamentali che restano affidate alle province (art. 1, comma 85, della stessa legge).
Al fine di rendere l'operazione di trasferimento riconducibile, quando possibile, alla scelta del lavoratore, la legge n. 190/2014 ha disposto la ricollocazione del personale interessato a favore dei nuovi enti mediante il ricorso all'istituto della mobilita'.
Le disposizioni di cui ai commi da 422 a 428 dell'art. l della legge di stabilita' per il 2015 hanno definito, infatti, i principali passaggi procedurali in cui si sono articolate le procedure di mobilita'.
Il vincolo assunzionale imposto dal comma 219 della legge n. 208/2015, opera dunque nei confronti della Regione, tenuta a consentire l'attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell'art. 1 della legge n. 190/2014, in forza delle sopra citate disposizioni legislative e dell'intesa acquisita in sede di Conferenza Unificata, anche in ossequio al principio di leale collaborazione.
Il Legislatore regionale, pertanto, nel disporre che le assunzioni di personale dirigenziale con contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzate alla prima attivazione della Centrale Unica di Risposta al NUE 112 non rilevano ai fini del rispetto delle vigenti disposizioni statali in materia di contenimento della spesa in materia di personale e di limiti assunzionali, ha violato l'art. 117, terzo comma, della Costituzione, che inquadra la materia del coordinamento della finanza pubblica fra quelle di legislazione concorrente, a cui la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non puo' derogare.
2.4. Infine, l'art. 51, comma 2, della legge regionale n. 10/2016 introduce una disciplina settoriale valevole per il solo personale dirigenziale della Regione Friuli-Venezia Giulia.
La norma sospettata dunque viola il principi di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, giacche' al personale delle Regione ivi indicato verrebbe attribuito un trattamento diverso rispetto al personale del medesimo comparto. Si e' in presenza, pertanto, di un'ingiustificata disparita' di trattamento con altre Regioni che debbono rispettare i limiti assunzionali e di spesa in materia, con violazione, pertanto, dell'art. 3 della Costituzione, oltre che dell'art. 97, posto a presidio del buon andamento e dell'imparzialita' della pubblica amministrazione.
Per questi motivi le norme regionali censurate meritano di essere dichiarate costituzionalmente illegittime ai sensi dell'art. 127 della Costituzione.
(1) Si riporta il testo: "5. Negli anni 2014 e 2015 le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilita' interno procedono ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 60 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente. Resta fermo quanto disposto dall'art. 16, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.
La predetta facolta' ad assumere e' fissata nella misura dell'80 per cento negli anni 2016 e 2017 e del 100 per cento a decorrere dall'anno 2018. Restano ferme le disposizioni previste dall'art. 1, commi 557, 557-bis e 557-ter, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. A decorrere dall'anno 2014 e' consentito il cumulo delle risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale non superiore a tre anni, nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile; e' altresi' consentito l'utilizzo dei residui ancora disponibili delle quote percentuali delle facolta' assunzionali riferite al triennio precedente. L'art. 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 e' abrogato. Le amministrazioni di cui al presente comma coordinano le politiche assunzionali dei soggetti di cui all'art. 18, comma 2-bis, del citato decreto-legge n, 112 del 2008 al fine di garantire anche per i medesimi soggetti una graduale riduzione della percentuale tra spese di personale e spese correnti, fermo restando quanto previsto dal medesimo art. 18, comma 2-bis, come da ultimo modificato dal comma 5-quinquies del presente articolo".
(2) che obbliga gli enti sottoposti al patto di stabilita' interno ad assicurare la riduzione delle spese di personale, con azioni da modulare nell'ambito della propria autonomia e rivolte prioritariamente, tra l'altro, al "contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali".
P.Q.M.
Il Presidente del Consiglio dei ministri, come sopra rappresentato e difeso chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare costituzionalmente illegittimi gli articoli 7, 12, comma 1, lettera b) e 51 comma 2, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 28 giugno 2016 n. 10, pubblicata nel B.U.R. Friuli-Venezia Giulia n. 26 del 29 giugno 2016.
Con l'originale notificato del presente atto si depositano l'estratto della determinazione del Consiglio dei ministri del 10 agosto 2016 e le motivazioni di sintesi per l'impugnativa.
Roma, 19 agosto 2016
p. L'Avvocato dello Stato: Salvatorelli