Ricorso n. 51 del 30 marzo 2010 (Presidente del Consiglio dei ministri)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 marzo 2010, n. 51
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 30 marzo 2010 (del Presidente del Consiglio dei ministri).
(GU n. 17 del 28-4-2010)
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, alla via dei Portoghesi, 12, contro la Regione Campania, in persona del Presidente in carica pro tempore (per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge regionale 21 gennaio 2010, n. 2, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria anno 2010», pubblicata nel B.U.R. n. 7 del 21 gennaio 2010, ed in particolare dell'art. 1, commi, 1, 2, 12, 16, 25, da 55 a 63, 69, da 83 a 91, nei limiti indicati nel presente ricorso. La legge regionale in epigrafe reca «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria anno 2010». Ritenendo diverse disposizioni della stessa in contrasto con la Costituzione, il Consiglio dei ministri, nella seduta del 4 febbraio 2010, ne ha deliberato l'impugnazione dinanzi a codesta ecc.ma Corte. Impugnazione che viene proposta con il presente ricorso per i seguenti; Motivi I - In relazione all'art. 1, comma 1, della l.r. in epigrafe: violazione dell'art. 117, Cost., sotto vari profili. L'art. 1, comma 1, della legge regionale in epigrafe dispone quanto segue: «La regione Campania disciplina il servizio idrico integrato regionale come servizio privo di rilevanza economica. Nel rispetto dei principi di sussidiarieta', ragionevolezza e leale collaborazione e in assenza di intese con lo Stato in merito alle politiche relative alle societa' di distribuzione dell'acqua potabile, le aziende operative nella regione Campania devono avere la maggioranza assoluta dell'azionariato a partecipazione pubblica. Tutte le forme attualmente in essere di gestione del servizio idrico con societa' miste o interamente private decadono a far data dalle scadenze dei contratti di servizio in essere. I proventi ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico sono destinati al finanziamento degli interventi della risorsa idrica e dell'assetto idraulico ed idrogeologico sulla base delle linee programmatiche di bacino. Tali proventi sono iscritti dal corrente esercizio finanziario all'Unita' previsionale di base (UPB) 11.81.80 della entrata e destinati al finanziamento delle spese iscritte alla UPB 1.1.1. "Difesa suolo" concernenti i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria del reticolo idrografico regionale.». Giova premettere che, come affermato dalla giurisprudenza di codesta Corte (sent. n. 307/2009), il servizio idrico integrato, al quale la norma in questione fa riferimento, e' disciplinato da norme statali, nell'esercizio della competenza legislativa esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., in vari ambiti, quali: funzioni fondamentali degli enti locali, concorrenza, tutela dell'ambiente, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (cfr. art. 141 del d.lgs. n. 152 del 2006 cd. codice dell'ambiente). «Deve, in altri termini, parlarsi di un concorso di competenze statali, che vengono esercitate su oggetti diversi, ma per il perseguimento di un unico obiettivo, quello dell'organizzazione del servizio idrico integrato» (Corte cost., sent. cit., punto 4 del considerato in diritto). In particolare, nel disciplinare tale servizio, l'art. 141, comma 2, cod. amb. afferma chiaramente la sua rilevanza economica, laddove afferma che lo stesso «deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicita'». Ulteriore indice di tale rilevanza puo' essere individuato nell'art. 154, comma 1, dello stesso codice, che, nel disciplinare la tariffa del servizio idrico integrato, la qualifica come «corrispettivo» in tutte le quote che la compongono e stabilisce che essa e' determinata, tenendo conto, tra l'altro, «dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito». La rilevanza economica del servizio e', inoltre, confermata, in linea generale dall'art. 23-bis del d.l. 25t.6.2008, n. 112, che, nel disciplinare l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, precisa che detta disciplina si applica a tutti i servizi pubblici locali, ed era desumibile gia' implicitamente dall'art. 113 del d.lgs. n. 267/2000, che vi faceva riferimento nel disciplinare proprio la «gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica». La norma regionale censurata afferma che la Regione disciplina il servizio predetto «come servizio privo di rilevanza economica». Cosi' disponendo la stessa si pone, quindi, in contrasto con le disposizioni di legge sopra citate, le quali, secondo l'orientamento espresso da codesta Corte nella citata sentenza n. 307/2009 e nella sentenza n. 272/2004, costituiscono esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di concorrenza, laddove disciplinano la gestione e le modalita' di affidamento del servizio, e percio' viola l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. D'altra parte, anche a non voler considerare la chiara scelta operata dal legislatore statale, l'affermazione contenuta nella norma regionale e' censurabile anche sotto altri profili. Invero, come evidenziato anche da codesta Corte nella sent. n. 272/2004, sulla base degli orientamenti assunti dal giudice comunitario, la qualificazione di un'attivita' come economica deve essere effettuata valutando «circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attivita' ed anche dell'eventuale finanziamento pubblico dell'attivita' in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa n. 18/2001)». Tale valutazione, secondo la citata giurisprudenza della Corte di giustizia, spetta al giudice nazionale, il quale si e' gia' espresso diverse volte nel senso che deve comunque attribuirsi rilevanza economica ad un servizio che si sostanzia in attivita' suscettibili, in astratto o in potenza, di essere gestite in forma remunerativa, e percio' di produrre redditivita', e per le quali esiste certamente un mercato concorrenziale (v., in particolare, C.d.S., sez. V, 30 agosto 2006, n. 5072; T.a.r. della Sardegna, 2 agosto 2005, n. 1729); il che non pare contestabile nel caso del servizio idrico integrato. Pertanto la censurata affermazione contenuta nella legge regionale viola anche l'art. 117, primo comma, Cost., poiche' si pone in contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, come interpretato dalla Corte di giustizia. Inoltre la predetta disposizione e' anche smentita dal contesto della stessa norma regionale, che, nel prevedere l'affidamento del servizio ad aziende con azionariato con partecipazione pubblica a maggioranza assoluta, postula, evidentemente, l'esercizio dell'attivita' in questione nella forma della societa' commerciale e, comunque, anche la presenza di capitali ed investitori privati, la cui partecipazione implica necessariamente che, in concreto, l'attivita' in questione sia svolta in forma remunerativa. Percio', oltre che illegittima sotto i rilevati profili, la previsione in esame e' comunque inidonea a sottrarre la disciplina del servizio idrico integrato alla competenza esclusiva del legislatore statale. Tanto premesso, deve essere rilevata anche l'illegittimita' di altre disposizioni del citato art. 1, comma 1. La norma, infatti, contrasta con la normativa statale in tema di affidamento del servizio idrico, di cui all'art. 23-bis del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, come da ultimo modificato dal d.l. n. 135/2009, nella misura in cui disciplina in modo del tutto difforme le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio ed il termine di decadenza degli affidamenti in essere. In particolare il secondo periodo del comma 1 dell'art. 1, della legge regionale, prevede che «in merito alle politiche relative alle societa' di distribuzione dell'acqua potabile, le aziende operative nella regione Campania devono avere la maggioranza assoluta dell'azionariato a partecipazione pubblica». Tale norma pone alle aziende che intendano «operare» nella regione un vincolo di assetto proprietario definito, incidendo, in tal modo, sulle procedure di affidamento, poiche' vieta alle societa' prive della maggioranza assoluta dell'azionariato pubblico di ottenere l'affidamento del servizio. La disciplina statale, invece, all'art. 23-bis, comma 2, del d.l. n. 112/2008, prevede, sul punto, che «Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria [...] b) a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento». Postulando, cosi', anche la possibilita' che la partecipazione privata si attesti su percentuali superiori, in coerenza con obiettivi di mercato pro concorrenziali, nonche' con obiettivi di efficienza finalizzati anche alla salvaguardia dell'ambiente, che i vincoli posti dalla norma regionale pregiudicano non poco. Allo stesso modo, anche il terzo periodo del comma 1 dell'art. 1 della legge regionale si pone in contrasto con la disciplina statale poiche' dispone che «tutte le forme attualmente in essere di gestione del servizio idrico con societa' miste o interamente private decadono a far data dalle scadenze dei contratti di servizio in essere». Detta norma contrasta con il comma 8 dell'art. 23-bis che prevede una piu' complessa, articolata e restrittiva disciplina del regime transitorio, disciplinando dalle lettere a) ad e), la materia in modo difforme e piu' complesso, dettando per ogni tipo di gestione una specifica disciplina per il periodo transitorio. Per tutti i profili suesposti la disciplina regionale si pone in contrasto con l'art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, da ultimo modificato dal d.l. n. 135/2009, che ha anche natura di norma-principio in materia (analogamente a quanto affermato da codesta Corte nelle sentenza n. 272/2004, con riferimento all'art. 113, comma 1, T.U.E.L.) e viola l'art. 117, comma 2, lett. e) ed s) in materia di tutela della concorrenza e tutela dell'ambiente, di competenza legislativa esclusiva statale. II - In relazione all'art. 1, comma 2, della l.r. in epigrafe: II.1. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. d), e), h), s), nonche' dell'art. 120, primo comma, della Costituzione e dei principi di sussidiarieta', leale collaborazione e ragionevolezza. L'art. 1, comma 2, della l.r. Campania n. 2/2010 stabilisce quanto segue: «Nel rispetto dei principi di sussidiarieta', ragionevolezza e leale collaborazione e in assenza di intese con lo Stato in merito alla loro localizzazione, il territorio della regione Campania e' precluso all'installazione di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione e di stoccaggio del combustibile nucleare nonche' di depositi di materiali radioattivi.». Dunque la norma citata vieta, in linea generale e «in mancanza di intesa tra lo Stato e la regione», l'installazione nel territorio regionale: a) di impianti di produzione di energia nucleare; b) di impianti di fabbricazione e di stoccaggio di combustibile nucleare; c) di depositi di materiali radioattivi. Come la giurisprudenza di codesta Corte ha precisato in varie occasioni, con riguardo ai depositi di rifiuti e materiali radioattivi, l'intervento del legislatore regionale volto a vietarne o limitarne la presenza sul territorio regionale viola la competenza esclusiva attribuita allo Stato in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., nonche' il vincolo generale imposto alle regioni dall'art. 120, primo comma, Cost., che vieta ogni misura atta a ostacolare la libera circolazione delle cose e delle persone fra le regioni (sentt. 29 gennaio 2005, n. 62; 28 giugno 2006, n. 247, relativa anche allo stoccaggio di materiali nucleari). A tale riguardo, e piu' in generale, con riferimento al deposito e allo stoccaggio di rifiuti pericolosi (v. anche sentt. 21 aprile 2005, n. 161; 23 gennaio 2009, n. 10), codesta Corte ha precisato che «alle regioni e' sempre interdetto adottare misure di ogni genere capaci di ostacolare in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le regioni, e una normativa che precluda il transito e la presenza, anche provvisoria, di materiali nucleari e' precisamente una misura fra quelle che alle regioni sono vietate dalla Costituzione. La comprensibile spinta, spesso presente a livello locale, ad ostacolare insediamenti che gravino il rispettivo territorio degli oneri connessi, non puo' tradursi in un impedimento insormontabile alla realizzazione di impianti necessari per una corretta gestione del territorio e degli insediamenti al servizio di interessi di rilievo ultraregionale.». Occorre, infatti, «tener conto della eventuale irregolare distribuzione nel territorio delle attivita' che producono tali rifiuti, nonche', nel caso dello smaltimento di rifiuti radioattivi, della necessita' di trovare siti particolarmente idonei per conformazione del terreno e possibilita' di collocamento in sicurezza dei rifiuti medesimi» (sent. n. 62/2005, cit.). L'orientamento suddetto, inoltre, si fonda sulla constatazione che la disciplina ambientale, investendo l'ambiente nel suo complesso, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato (sent. 14 novembre 2007, n. 378) e interventi preclusivi come quello in esame non possono giustificarsi nemmeno invocando la competenza regionale concorrente in materia di salute pubblica, protezione civile e tutela del territorio (v. ancora sent. n. 62/2005, cit.). Dunque, con riferimento al deposito di materiali e rifiuti radioattivi, la legge impugnata non fa che riprodurre una situazione di illegittimita' gia' censurata in passato da codesta Corte con riguardo a leggi di altre regioni che disciplinavano la medesima fattispecie e tanto basterebbe a giustificare l'accoglimento del ricorso sul punto. Ne' la legittimita' della disposizione in esame potrebbe essere affermata considerando che la preclusione in esame e' condizionata all'assenza di intese con lo Stato sulla localizzazione dei depositi. In primo luogo perche', nella giurisprudenza citata, codesta Corte ha gia' espressamente precisato che i principi sopra richiamati operano anche in caso di ostacolo anche temporaneo alla circolazione o al deposito dei materiali e rifiuti in questione; in secondo luogo perche' l'evidente esigenza unitaria sottostante alla tutela ambientale, affermata nelle suddette pronunce, fonda in modo pieno ed esclusivo la competenza statale in materia, senza che, per consentire l'esercizio delle suddette attivita', sia necessaria alcuna intesa con la regione interessata. La disposizione censurata, peraltro, subordina all'intesa predetta anche l'installazione di impianti di produzione di energia nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare e di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi. Sul punto la legge regionale pone un evidente ostacolo alla realizzazione della strategia energetica nazionale, con particolare riferimento alla scelta di riattivare nel Paese la produzione di energia nucleare. Al riguardo occorre ricordare che l'articolo 7 del d.l. n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008 ha demandato al Governo la definizione della strategia energetica nazionale, perseguendo, tra l'altro, l'obiettivo della realizzazione sul territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare (comma 1, lettera d). Inoltre con l'art. 25 della legge n. 99/2009 e' stata conferita al Governo la delega ad emanare, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata Stato regioni ed autonomie locali, uno o piu' decreti legislativi di riassetto normativo recanti la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' dei sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi e per la definizione delle misure compensative da corrispondere e da realizzare in favore delle popolazioni interessate. Il ritorno al nucleare assume una rilevanza strategica particolare sotto tre profili: il cambiamento climatico, la sicurezza dell'approvvigionamento e la competitivita' del sistema produttivo. Si tratta, all'evidenza, di questioni che travalicano in modo consistente i meri interessi territoriali e locali, e che traggono origine anche da esigenze globali internazionali, che non possono che trovare risposta in soluzioni complessivamente definite a livello nazionale. Attraverso la nuova politica energetica e ambientale, approvata dal Consiglio europeo a marzo 2008, l'UE si e' impegnata a mettere in opera l'iniziativa «20-20-20»: ridurre di almeno il 20% le emissioni di gas a effetto serra, aumentare la parte delle energie rinnovabili al 20% e migliorare l'efficacia energetica del 20%, entro il 2020. Inoltre, gli esperti del gruppo di lavoro intergovernativo delle Nazioni Unite IPCC sono giunti alla conclusione che le emissioni di CO2, in particolare quelle derivanti dalla produzione di energia elettrica, che rappresentano la quota preponderante, devono essere dimezzate per riportare ad un livello tollerabile le conseguenze del cambiamento climatico di origine antropica. E' stato stimato che, a fronte dell'emissione totale di 10 miliardi di tonn/anno di CO2 dal sistema mondiale di produzione di energia elettrica, l'energia nucleare prodotta nel mondo evita l'emissione di circa 2 miliardi di tonn/anno. L'energia nucleare si presenta, quindi, come l'unica fonte capace di rispondere al requisito fondamentale di fornire elettricita' su vasta scala, permettendo al tempo stesso il rispetto delle limitazioni delle emissioni di gas serra. La sua adozione puo' quindi dirsi funzionale ad esigenze, non soltanto di carattere ambientale, ma anche connesse ad obblighi dello Stato in ambito comunitario ed internazionale. Per quanto attiene alla sicurezza dell'approvvigionamento, che incide sulla competitivita' delle imprese e sul benessere dei popoli, e' ormai chiaro, in base agli accadimenti, anche recenti, la maggiore esposizione degli Stati e delle comunita' nazionali alle instabilita' e ai rischi geopolitici dei mercati internazionali, che presentano serie incognite sia dal punto di vista della continuita' delle forniture che da quello della volatilita' delle quotazioni dei combustibili fossili (una buona risposta in tal senso viene dall'uranio, la cui origine prescinde dai Paesi al momento piu' esposti a simili turbamenti politici ed il cui costo concorre solo per il 5% circa al prezzo di produzione del kwh). Peraltro occorre ricordare che il Consiglio d'europa, riunitosi il 15 e 16 ottobre 2008, ha indicato come priorita' per l'UE la sicurezza dell'approvvigionamento, chiedendo che si accelerino i lavori relativi. In materia di competitivita' occorre salvaguardare il sistema produttivo nazionale, la cui capacita' di difesa e di concorrere sui mercati internazionali e' minacciata da prezzi e tariffe dell'energia generalmente piu' elevati nel confronto europeo e internazionale (i prezzi dell'elettricita' e del gas per le imprese in Italia sono superiori di un terzo ai prezzi dei maggiori paesi dell'UE), senza tener conto del fatto che la bolletta energetica italiana ha pesato, nel 2008, per 55 miliardi di curo, e rende negativa la bilancia commerciale dello Stato italiano. Sul piano piu' strettamente giuridico, le assolute peculiarita' e le potenzialita' tipiche dell'energia nucleare, tutte espressive di interessi unitari e non frazionabili, chiamano in causa le competenze legislative, anche esclusive, dello Stato sotto diversi profili, la cui prevalenza rispetto alla materia concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» ben puo' essere presa in considerazione, secondo un'impostazione alla quale codesta Corte ha acceduto anche di recente in altre fattispecie (sent. n. 88 del 2009). Vengono, in primo luogo, in rilievo le indiscutibili implicazioni connesse con la produzione di tale tipo di energia in termini di ordine pubblico e di sicurezza (sulla quale si segnala la recente sentenza n. 18/2009 di codesta Corte, con cui, riferendo la sicurezza del traffico aereo all'ambito di competenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., si e' notevolmente allargato il perimetro della materia in questione, rispetto all'impostazione contenuta nella precedente giurisprudenza costituzionale). Ancora, le norme dirette ad assicurare la c.d. «sicurezza nucleare» sono riconducibili anche alla materia «sicurezza dello Stato», riservata dalla lett. d) art. 117 Cost. alla legislazione esclusiva statale. Non vanno, inoltre, dimenticate, le esigenze di tutela dell'ambiente sottese alla disciplina della localizzazione di impianti nucleari, nonche', ovviamente, dei sistemi per lo stoccaggio e il deposito dei rifiuti radioattivi. Cio' che evidenzia la riconducibilita' delle norme impugnate ad un'ulteriore materia di competenza esclusiva statale, e cioe' la «tutela dell'ambiente [e] dell'ecosistema» di cui alla lett. s) del secondo comma dell'art. 117 Cost. Concorre, infine, con le materie di competenza legislativa esclusiva statale sin qui indicate anche la materia della concorrenza, quanto meno con riferimento all'allocazione di impianti di produzione di energia nucleare ed agli impianti connessi alla stessa, trattandosi di attivita' imprenditoriali esercitate in regime di mercato, nelle quali il potere del legislatore statale di dettare disposizioni in materia si giustifica anche in relazione alla necessita' di garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, fermi restando i profili di sicurezza e ambientali sopra richiamati, il reperimento delle risorse per l'esercizio della predetta attivita' anche in termini di aree ove installare gli impianti. In base alle considerazioni che precedono, la materia concernente la localizzazione degli impianti di produzione di energia nucleare, nonche' di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' quella relativa ai depositi di materiali e rifiuti radioattivi nella misura in cui fanno parte del ciclo di produzione dell'energia nucleare, rientra, evidentemente, a vario titolo nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi delle disposizioni costituzionali sopra richiamate. Pertanto le disposizioni della legge regionale impugnata che precludono l'installazione degli impianti in questione sono illegittime per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere d), e), h), s). In base a considerazioni analoghe a quelle mosse dalla giurisprudenza di codesta Corte richiamata in relazione al transito e alla presenza di materiali nucleari provenienti da altri territori, si' profila, altresi', anche in relazione alla preclusione di tali attivita' disposta dalla legge in questione, la violazione dell'art. 120, primo comma, Cost. II.2. - In subordine: violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. In subordine, nella denegata ipotesi in cui si ritenesse che la materia oggetto delle disposizioni del citato art. 1, comma 2, della l.r. rientri, con riguardo all'installazione di impianti di produzione di energia nucleare e alle attivita' connesse, nella materia di legislazione concorrente afferente la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, ovvero il governo del territorio (ma quest'ultima materia e', a nostro avviso, fuori questione, esorbitando dai suoi limiti l'inibizione sul territorio regionale di una attivita' produttiva), la normativa impugnata, nel vietare le attivita' suddette in assenza di intesa tra Stato e Regione, ovvero nel subordinare il loro esercizio all'intesa in questione, dovrebbe considerarsi illegittima per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la previsione dell'intesa, riguardando una scelta di carattere generale, in ipotesi applicabile a tutte le regioni, atterrebbe comunque alla potesta' legislativa concorrente di determinare principi fondamentali della materia. Inoltre non puo' ritenersi che la potesta' legislativa concorrente della regione possa spingersi ad imporre un'intesa allo Stato, per di piu' vietando, in mancanza della stessa, l'esercizio di un'attivita' produttiva cosi' importante. Per inciso si noti che, con il ricordato art. 25 della legge n. 99/2009, il legislatore statale ha delegato il Governo ad emanare disposizioni per la localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' dei sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi e per la definizione delle misure compensative da corrispondere e da realizzare in favore delle popolazioni interessate. Tale delega e' stata esercitata con il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, pubblicato mentre il presente ricorso veniva redatto. L'art. 11, commi 5 e 6, del predetto decreto prevedono che un'intesa con la Regione interessata al momento della certificazione dei siti, che, ai sensi dell'art. 10 dello stesso decreto, sono individuati dagli operatori interessati come siti da destinare all'insediamento di un impianto nucleare, all'avvio del procedimento di autorizzazione unica di cui all'art. 13; nonche', nel caso in cui l'intesa si non si definisca nei termini ivi previsti, un procedimento per pervenire all'intesa, attraverso la costituzione di un Comitato interistituzionale paritetico, composto da rappresentanti dello Stato e della regione interessata e, nell'ulteriore eventualita' che all'intesa non si pervenga nemmeno in tale sede, attraverso una deliberazione del Consiglio dei ministri integrato con la partecipazione del Presidente della regione interessata. Inoltre, ai sensi dello stesso art. 11, comma 9, al termine di tale procedura la proposta di aree potenzialmente idonee sulle quali e' stata espressa l'intesa regionale viene trasmessa dal Governo alla conferenza unificata di cui all'art. 8 d.lgs. n. 281/1997, per l'acquisizione di ulteriore intesa. Nell'art. 13 del predetto decreto legislativo sono inoltre previste altre forme di coinvolgimento di tutti gli enti interessati al procedimento di autorizzazione unica, attraverso il meccanismo della conferenza di servizi, secondo quanto previsto dai criteri di delega di cui all'art. 25 della legge n. 99/2009. Secondo la ricostruzione ipotizzata nel presente motivo di ricorso, la normativa statale in questione, e la conseguente legislazione delegata, dovrebbero considerarsi esercitate appunto ai sensi dell'ad. 117, terzo comma, Cost. Pertanto la normativa regionale impugnata dovrebbe considerarsi illegittima, per un verso, anche per violazione dei principi fondamentali gia' emanati dal legislatore; per un altro verso perche', esorbitando dai limiti del potere legislativo concorrente della regione, ha invaso la sfera di competenza del legislatore statale, nella parte in cui la stessa non e' stata esercitata. II.3. - In via ulteriormente subordinata: violazione degli artt. 118 e 120 Cost., nonche' dei principi di sussidiarieta', leale collaborazione e ragionevolezza. Per altro verso, sempre ove si ritenesse che l'art. 1, comma 2, della legge regionale impugnata sia stato adottato in un ambito materiale riservato alla legislazione concorrente, escluso che, come si e' detto, lo strumento dell'intesa possa essere invocato per condizionare allo stesso l'esercizio di attivita' la cui disciplina forma anche oggetto di principi fondamentali dettati dal legislatore statale, occorre rilevare che tale strumento e' stato preso in considerazione dalla giurisprudenza di codesta Corte nell'ipotesi in cui, in considerazione delle esigenze di disciplina unitaria della materia, il legislatore statale abbia esercitato la «chiamata in sussidiarieta'» delle funzioni amministrative connesse al settore regolato con legge statale, in applicazione dell'art. 118 Cost., come strumento idoneo a garantire quell'attivita' concertativa di livello orizzontale, volta a salvaguardare la parita' tra Stato e regioni nell'esercizio delle suddette funzioni (v. sent. n. 303 del 2003 e, nello specifico settore dell'energia, sent. n. 383/2005). In effetti dai principi della citata delega legislativa, poi esercitata da parte del Governo, puo' desumersi l'attribuzione allo Stato di numerose funzioni amministrative connesse alla localizzazione degli impianti nucleari, sia pure con la partecipazione delle altre istituzioni territoriali e locali. Ma anche ove tale scelta legislativa dovesse considerarsi, non gia' espressione dell'esercizio della competenza legislativa esclusiva del legislatore statale, bensi' espressione di «chiamata in sussidiarieta'» di dette funzioni, e anche ove si considerasse la normativa regionale impugnata come volta a disciplinare attivita' amministrative (il che e' assai dubbio), e' evidente che, anche sulla base dei principi affermati dalla citata giurisprudenza della Corte, l'intesa in questione dovrebbe essere disciplinata dal legislatore statale, nel momento in cui attrae a se' quelle competenze e non certo dal legislatore regionale. Sotto tale profilo, pertanto, la normativa impugnata dovrebbe considerarsi assunta in violazione dell'art. 118 Cost. e dei principi affermati da codesta Corte in applicazione dello stesso. Inoltre, come precisato sempre dalla giurisprudenza costituzionale (v. sent. n. 383/2005 cit.), «L'esigenza che il conseguimento di queste intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo, potra' certamente ispirare l'opportuna individuazione, sul piano legislativo, di procedure parzialmente innovative volte a favorire l'adozione dell'atto finale nei casi in cui siano insorte difficolta' a conseguire l'intesa». Fermo restando che la regione non avrebbe avuto in alcun caso il potere di disciplinare l'intesa in questione, la norma che la prevede risulta illegittima anche in quanto, invadendo la competenza legislatore statale, inibisce a quest'ultimo la possibilita' di prevedere adeguati strumenti del tipo in discorso, anche di carattere sostitutivo, o comunque adotta strumenti contrastanti a quelli adottati dal legislatore (v. le disposizioni del decreto legislativo n. 31/2010 sopra citato) e percio' viola ulteriormente l'art. 118, l'art. 120 Cost., nonche' i principi di sussidiarieta', leale collaborazione e ragionevolezza. II.4. - Violazione dell'art. 41 Cost. L'art. 8 della regionale impugnata, infine, nel vietare immotivatamente la produzione di energia nucleare, la fabbricazione del combustibile, il suo stoccaggio e quello dei rifiuti in un'intera regione, incide sulla liberta' di concorrenza degli operatori del settore, sottraendo agli stessi la possibilita' di allocare una centrale e di produrre energia nel luogo ritenuto piu' idoneo, pur nel rispetto di parametri stabiliti dalle norme e dalle autorita' pertinenti. Peraltro, la norma regionale limita la liberta' d'iniziativa economica per motivi, ossia la mancata intesa con lo Stato, che non hanno niente a che vedere con i limiti di cui all'art. 41 Cost. Lo stesso, pertanto, deve ritenersi assunto anche in violazione di tale disposizione costituzionale. III - In relazione all'art. 1, comma 12, della l.r. in epigrafe: Violazione dell'art. 117, comma 1 e comma 2, lett. e) ed s), Cost. L'art. 1, comma 12, ultimo capoverso, della legge regionale in esame e' in contrasto con la normativa nazionale e comunitaria vigente in materia di acque. La norma prevede un finanziamento con fondi comunitari (risorse FESR) di condotte sottomarine da realizzare «lungo i canali artificiali con piu' elevato carico inquinante del litorale Dominio/Flegreo» (e percio', implicitamente, postula l'ammissibilita' di tali interventi); cosi disponendo risulta incompatibile con la doverosa destinazione delle risorse pubbliche alla realizzazione di opere funzionali, nel caso di specie, a garantire la corretta depurazione e, quindi, lo scarico di acque reflue a norma. La realizzazione e il finanziamento delle suddette infrastrutture e' volto a creare, senza alcun beneficio ambientale, una diversificazione di ricettore di scarichi non depurati, nel mare piuttosto che nei canali artificiali. Cio', in un'area quale quella del litorale Domizio Flegreo - gia' sito di interesse nazionale, territorio nel quale sono gia' in campo notevoli risorse umane e finanziarie tese al ripristino di uno stato di legalita' ambientale - laddove occorre assicurare interventi maggiormente riqualificanti, dedicati alla irreggimentazione delle acque e dei reflui urbani che scaricano in assenza di depurazione ed a garantire una depurazione che rispetti i limiti tabellari. La formulazione della norma in esame consentirebbe interventi non legittimi e sottrarrebbe risorse pubbliche a soluzioni alternative, risolutive dello stato di degrado esistente. Per le motivazioni sin qui esposte, non e' conforme al dettato costituzionale l'art. 1, comma 12, ultimo capoverso, in quanto introduce una previsione contraria alla normativa comunitaria e nazionale vigente in materia di acque - Dir. 2000/60/CE e parte III del n. 152/2006 - ed inoltre non tiene conto delle finalita' istituzionali con le quali sono stati fissati e condivisi obiettivi tra Comunita' europea, Stato e regioni, finalizzati alla piena attuazione della stessa. La norma regionale in oggetto, dettando disposizioni difformi dalla normativa comunitaria, nonche' a quella nazionale di riferimento afferente alla materia della «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» e della «tutela della concorrenza», si pone in contrasto con l'art. 117, comma 1, e comma 2, lett. e) ed s), della Costituzione. IV - In relazione all'art. 1, comma 16 della l.r. in epigrafe: violazione dell'art. 117, comma 2, lett. s) ed e), Cost. L'art. 1, comma 16, della l.r. impugnata prevede che «Al fine di contribuire al rilancio dell'economia delle zone montane e dei territori compresi nei parchi mediante il turismo cinofilo (cino-turismo), i comuni ricomprasi in queste aree istituiscono, anche d'intesa con gli organi di direzione degli enti parco medesimi, aree cinofile. Dette aree sono adibite esclusivamente all'addestramento ed allenamento dei cani da caccia ed alle conseguenti verifiche zootecniche. Nell'interno delle stesse i comuni individuano strutture ove consentire l'addestramento anche dei cani da pastore, da utilita' e dei cani adibiti alla pettherapy ed al soccorso. La realizzazione e gestione di tali aree e strutture e' prevalentemente affidata a cooperative di giovani residenti nei comuni interessati o ad imprenditori agricoli, singoli o associati, ed alle associazioni cinofilo-venatorie. In tali zone sono altresi' consentite, nell'arco dell'anno, prove zootecniche per il miglioramento delle razze canine da caccia e da pastore di cani iscritti all'anagrafe canina.». Cosi' disponendo, la norma regionale si pone in contrasto con la normativa statale di settore rappresentata dalla legge n. 394/1991 «Legge quadro sulle aree protette», la quale all'articolo 11 prevede che ogni parco, nel rispetto delle proprie caratteristiche, attraverso il proprio regolamento, disciplini l'esercizio delle attivita' consentite entro il territorio di competenza, imponendo, tuttavia, al comma 3, il divieto di tutte «le attivita' e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat». Tra tali attivita' rientra sicuramente l'addestramento cani atteso che, come affermato da codesta Corte con sentenza n. 350 del 1991 («nessun dubbio puo' sussistere ne' in ordine al fatto che "addestramento dei cani", in quanto attivita' strumentale all'esercizio venatorio, debba ricondursi alla materia della "caccia"...»), e' assimilabile alla materia della caccia e di conseguenza costituisce attivita' assolutamente vietata nelle aree protette. Conclusivamente la norma regionale in esame, dettando disposizioni difformi dalla normativa nazionale di riferimento afferente alla materia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e della tutela della concorrenza di cui all'art. 117, comma 2, lett. s) ed e), per la quale lo Stato ha competenza legislativa esclusiva, e' costituzionalmente illegittima, per violazione delle suddette disposizioni costituzionali. V - In relazione all'art. 1, comma 25, della l.r. in epigrafe: violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost., nonche' dell'art. 117, terzo comma Cost. Merita, altresi', censura, l'art. 1, comma 25, della l.r. in epigrafe, il quale dispone in materia di inserimento di centrali di produzione di energia da fonti rinnovabili. In particolare la norma prescrive il rispetto di una distanza minima per tutti gli insediamenti energetici non inferiore a cinquecento metri lineari dalle aree interessate da coltivazioni viticole con marchio DOC e DOCG e non inferiore a mille metri lineari da aziende agrituristiche ricadenti in tali aree. Tale disposizione, quindi, nel fissare distanze minime per gli insediamenti energetici, individua aree non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. L'art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 prevede, pero', che «in Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attivita' produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le attivita' culturali, si approvano le linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al comma 3», relativo al rilascio dell'autorizzazione per l'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. Tale disposizione e' espressione della competenza statale in materia di tutela dell'ambiente, in quanto, inserita nell'ambito delta disciplina relativa ai procedimenti per il rilascio dell'autorizzazione relativa agli impianti da fonti rinnovabili, ha, quale precipua finalita', quella di proteggere il paesaggio. Il legislatore statale, infatti, allo stesso comma 10, ha espressamente sancito che le linee guida «sono volte, in particolare, ad assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio». Come costantemente affermato dalla giurisprudenza di codesta Corte [...] la normativa statale di cornice non contempla alcuna limitazione specifica, ne' divieti inderogabili, rinviando alle linee guida di cui all'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003, il compito di «assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio». E' ben vero che la richiamata disposizione statale abilita le Regioni a «procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti», ma cio' puo' aver luogo solo «in attuazione» delle predette linee guida, che, al momento, non sono ancora state adottate con le modalita' previste dallo stesso comma 10, vale a dire in sede di Conferenza unificata. Al riguardo codesta Corte ha gia' precisato che «la presenza delle indicate diverse competenze legislative giustifica il richiamo alla conferenza unificata, ma non consente alle regioni [...] di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa» (sentenza n. 166 del 2009). Il bilanciamento tra le esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi, variamente modulati, rilevanti in questo ambito impone, infatti, una prima ponderazione concertata in ossequio al principio di leale cooperazione, al fine di consentire alle regioni ed agli enti locali di contribuire alla compiuta definizione di adeguate forme di contemperamento di tali esigenze. Una volta raggiunto tale equilibrio, ogni regione potra' adeguare i criteri cosi' definiti alle specifiche caratteristiche dei rispettivi contesti territoriali. (cfr. sent. n. 282/2009, punto 4, cons. in diritto). La norma impugnata e', pertanto, lesiva della competenza dello Stato in materia di tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s) Cost., nonche' del terzo comma dello stesso articolo, contrastando con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia. VI - In relazione all'art. 1, commi da 55 a 63, della l.r. in epigrafe: violazione del'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e 117, terzo comma, Cost. Le disposizioni contenute nei commi da 55 a 60 dell'art. 1 della l.r. in esame sono dirette a modificare l'art. 81 della l.r. n. 1/2008, nel senso di estendere le procedure di stabilizzazione previste dal medesimo articolo nell'ambito di quanto previsto dall'art. 1, comma 565, della legge n. 296/2006: alla «dirigenza di primo livello» (con esclusione dei dirigenti di strutture semplici e complesse) che abbia prestato servizio a tempo determinato presso le aziende sanitarie; al personale del comparto ed alla dirigenza delle aziende ospedaliere universitarie che svolge in via esclusiva attivita' di assistenza sanitaria in forza di contratti a tempo determinato stipulati con le medesime aziende. Le predette previsioni ripropongono sostanzialmente i contenuti delle disposizioni recate dell'art. 1, commi 1 e 4, della precedente legge della regione Campania 14 aprile 2008, n. 5 sulle quali codesta Corte si e' espressa (cfr. sent. n. 215/2009), dichiarandone l'illegittimita' ed affermando, a sostegno delle censure mosse, che nella fattispecie non risultano delimitati i presupposti per l'esercizio del potere di assunzione, non essendo la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato subordinata all'accertamento delle necessita' funzionali dell'amministrazione, ne' risultano previste procedure imparziali ed obiettive di verifica dell'attivita' svolta per la valutazione di idoneita' ad altri incarichi dirigenziali in grado di garantire la selezione dei migliori. In considerazione di quanto sopra, i commi 56, 57 e 58 della legge n. 2/2010 integrano le predette previsioni con apposite norme volte a disporre che la stabilizzazione del personale dirigenziale avvenga: previo accertamento delle specifiche necessita' funzionali dell'amministrazione procedente; a seguito di verifica in termini positivi dell'attivita' svolta come dirigente nell'ambito del rapporto a tempo determinato; nei confronti del personale dirigenziale assunto ab origine mediante procedure concorsuali preordinate al conferimento di incarichi dirigenziali, prevedendo altresi' che, in caso contrario, gli interessati debbano comunque essere preventivamente sottoposti a selezioni basate sulle norme statali vigenti in materia di accesso alla dirigenza. Al riguardo, pur prendendo atto di quanto sopra, si osserva che il quadro normativo statale in materia di assunzioni di personale precario e' profondamente mutato, sia con riferimento alla generalita' delle amministrazioni pubbliche, sia relativamente, in particolare, agli enti del S.S.N. In proposito si evidenzia che il citato art. 1, comma 565, legge n. 296/2006, in quanto riferito al triennio 2007-2009, deve intendersi superato. Per l'anno in corso e per gli anni 2011-12 occorre invece far riferimento, per quanto concerne il contenimento delle spese di personale degli enti del S.S.N., alle norme contenute nell'art. 2, commi da 71 a 74, della legge n. 191/2009, che si configurano quali norme di coordinamento della finanza pubblica e che non recano alcuna disposizione volta a consentire l'attuazione di procedure di stabilizzazione di personale anche non dirigenziale; le predette procedure di stabilizzazione devono, inoltre, ritenersi superate anche per effetto delle previsioni recate dall'art. 17, commi da 10 a 13, del decreto-legge n. 78/2009, convertito, con modificazioni, nella legge n. 102/2009 che, con riferimento alla generalita' delle amministrazioni pubbliche, stabiliscono nuove modalita' di assunzione a tempo indeterminato del personale non dirigenziale che abbia prestato servizio a tempo determinato. Dette norme, richiamate dallo stesso art. 2, comma 74, della n. 191/2009, fanno esclusivo riferimento al personale precario non dirigenziale delle amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 e successive modificazioni, tra cui sono ricompresi anche gli enti del S.S.N. Alla luce di quanto precede, i commi in esame della l.r. campana violano sia l'art. 117, comma 2, lettera 1), della Costituzione il quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi), sia l'art. 117, comma terzo, Cost. essendo adottate in violazione delle norme statali di coordinamento della finanza pubblica sopra richiamate. Si segnala infine che risulta improprio il riferimento alla dirigenza di primo livello recato dai commi in esame, tenuto conto che il d.lgs. n. 229/1999, nel dettare una nuova disciplina della dirigenza sanitaria del servizio sanitario nazionale, ha stabilito che la stessa e' articolata in un unico ruolo ed unico livello. Tale modifica ordinamentale e' stata recepita dal C.C.N.L. dell'8 giugno 2000 e non ha subito variazioni per effetto dei successivi C.C.N.L. Anche sotto tale profilo, pertanto, le disposizioni censurate devono ritenersi in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lett. 1), Cost. VII - In relazione all'art. 1, comma 69, della l.r. in epigrafe: violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. La l.r. impugnata, all'art. 1, comma 69, apporta talune modifiche all'art. 32-bis della legge regionale 28 marzo 2007, n. 4 (pubblicata in B.U.R. n. 19 del 3 aprile 2007), recante «Norme in materia di gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati», modificando, come segue tale disposizione: «I consorzi obbligatori per lo smaltimento dei rifiuti cessano di svolgere le proprie funzioni, trasferite alle province, che subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, dal momento dell'avvenuto trasferimento dei servizi al nuovo soggetto gestore» (sottolineatura aggiunta). Il testo originale dell'art. 32-bis, inserito dalla l.r. n. 4/2007, stabiliva invece che: «Alla data di entrata in vigore della presente legge» i consorzi obbligatori per lo smaltimento dei rifiuti cessano di svolgere le proprie funzioni, trasferite alle province, che subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi» (sottolineatura aggiunta). Occorre, innanzitutto, evidenziare come la disciplina dei rifiuti, per consolidato orientamento di codesta Corte, venga concordemente fatta rientrare, nell'ambito della legislazione esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «collocandosi nell'ambito della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» (cfr. Corte cost. sent. n. 314/2009), mentre resta in capo alle regioni la «possibilita' ... di intervenire ovviamente nel rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato» (Corte Cost. Sent. n. 314/2009). Inoltre, come precisato dalla giurisprudenza costituzionale: «La competenza statale nella materia ambientale si intreccia con altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il potere di fissare standard di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, restando ferma la competenza delle regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. Pertanto, anche nel settore dei rifiuti, accanto ad interessi inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente, possono venire in rilievo interessi sottostanti ad altre materie, per cui la competenza statale non esclude la concomitante possibilita' per le regioni di intervenire ... ovviamente nel rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati dallo Stato» (Corte cost. Sent. n. 62/2008, ma anche, ex multis, sent. n. 407/2002, sent. n. 62/2005, sent. n. 247/2006, sent. n. 380/2007). Proprio nel legittimo esercizio di siffatta potesta' il Governo ha emanato il decreto legge n. 195/2009, recante, tra l'altro, norme specifiche per l'emergenza rifiuti proprio nella Regione Campania e in armonia con la disposizione regionale dell'originale art. 32-bis della l.r. n. 4/2007, per un definitivo trasferimento di funzioni alle province, con il conseguente venir meno della figura consortile. Il disegno regionale originale, dunque, coincideva con quello espresso nell'art. 11, comma 2, del decreto-legge n. 195/2009, il quale prevede talune misure volte ad accelerare, anche al fine di evitare soluzione di continuita' rispetto agli atti compiuti nella fase emergenziale, la costituzione e l'avvio delle societa' provinciali, mediante l'immediata assunzione da parte delle province, anche per il tramite delle societa' provinciali, dell'intero ciclo di gestione dei rifiuti. Tali misure, nello specifico e per quanto qui di interesse, si concretizzano inoltre nella facolta' per le amministrazioni provinciali, anche per il tramite delle societa' provinciali stesse, di subentrare nei contratti in corso con soggetti privati «che attualmente svolgono in tutto o in parte le attivita' di raccolta, di trasporto, di trattamento, di smaltimento ovvero di recupero dei rifiuti. In alternativa, possono affidare il servizio in via di somma urgenza, nonche' prorogare i contratti in cui sono subentrati per una sola volta e per un periodo non superiore ad un anno con abbattimento del 3 per cento del corrispettivo negoziale inizialmente previsto». Con l'attuale versione dell'art. 32-bis l.r. cit. l'impianto strategico previsto dallo Stato viene posto nel nulla, atteso che l'ultrattivita' della figura consortile impedisce, ad esempio, alle Province di intraprendere le sopra menzionate attivita' di gestione del ciclo dei rifiuti. E, ancora, il successivo comma 3, secondo periodo, dell'articolo 11, del decreto-legge, recita testualmente: «Per fronteggiare i relativi oneri finanziari, le societa' provinciali di cui alla legge della regione Campania 28 marzo 2007, n. 4, agiscono sul territorio anche quali soggetti esattori della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) e della tariffa integrata ambientale (TIA)». La «reviviscenza» dei consorzi, cosi' come sancita dal novellato art. 32-bis, dunque, fa si' che risultino non praticabili le attivita' di cui al predetto comma 3, significando, al riguardo, che gli introiti derivanti dall'imposizione della TARSU e della TIA non possano trovare utile allocazione nelle casse provinciali (si legga anche societa' provinciali), bensi', ancora una volta, in quelle consortili, proprio in ragione delle prestazioni da essi consorzi eseguite. Cio' comporta, di conseguenza, che le societa' provinciali non si trovino attualmente nelle condizioni, previste per legge, di assumere la veste di soggetti esattori, con la determinazione, di fatto, dell'inefficacia delle disposizioni di cui all'art. 11, comma 3, del d.l. n. 195/2009. Il successivo art. 12 del decreto-legge citato, poi, in tema di riscossione dei crediti nei confronti dei comuni campani, testualmente dispone che: «1. Per la sollecita riscossione da parte dei Consorzi operanti nell'ambito del ciclo di gestione dei rifiuti dei crediti vantati nei confronti dei comuni, e' autorizzata la conclusione tra le parti di transazioni per l'abbattimento degli oneri accessori dei predetti crediti. Sulla base delle previsioni di cui all'art. 32-bis della legge della regione Campania 28 marzo 2007, n. 4, e successive modificazioni, i presidenti delle province della regione Campania, con i poteri di cui all'art. 11, comma 1, nominano, entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, un soggetto liquidatore per l'accertamento delle situazioni creditorie e debitorie pregresse, facenti capo ai consorzi, ed alle relative articolazioni societarie, ricadenti negli ambiti territoriali di competenza e per la successiva definizione di un apposito piano di liquidazione. 2. Le somme dovute dai comuni alla struttura del sottosegretario di Stato di cui all'art. 1 del decreto-legge n. 90 del 2008 in relazione al ciclo di gestione dei rifiuti sono recuperate mediante riduzione dei trasferimenti erariali, nonche' in sede di erogazione di quanto dovuto per la compartecipazione al gettito IRPEF, e per la devoluzione del gettito d'imposta R.C. auto. A tale fine, i crediti vantati nei confronti dei singoli enti sono certificati dalla competente missione ai fini dell'attestazione della relativa esistenza. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono stabiliti i criteri e le modalita' per l'applicazione delle disposizioni di cui al presente comma». E' di tutta evidenza come la richiamata disposizione muova anch'essa dalla precedente versione dell'art. 32-bis della menzionata legge regionale del 2007 e appronti specifiche misure volte a consentire la sollecita riscossione da parte dei consorzi, operanti nel ciclo di gestione dei rifiuti, dei crediti vantati nei confronti dei comuni. L'intervento della legge regionale in esame impedisce, chiaramente, che vengano portate a compimento le operazioni di rendicontazione e chiusura delle pendenze finanziarie in vista del trasferimento alle province, svuotando di significato la nomina di un soggetto liquidatore. Cio' detto, quindi, il legislatore regionale eccede dalle sue competenze legislative, ponendosi in contrasto con la normativa statale su richiamata e violando l'art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. VIII - In relazione all'art. 1, commi da 83 a 91 della l.r. in epigrafe: violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. 1), Cost. Devono, infine, essere censurate le disposizioni contenute nell'art. 1, commi da 83 a 91, della l.r. in epigrafe, in materia di retribuzione ed anzianita' di servizio. Le disposizioni in esame consentono ai dipendenti del Consiglio regionale, della Giunta regionale e degli enti strumentali della regione Campania, con solo otto anni di anzianita' lavorativa, di presentare domanda per la risoluzione del rapporto di lavoro per gli anni 2010 - 2011- 2012, dietro corresponsione a detto personale, da parte della regione, di incentivi economici fino ad un massimo di trentasei mensilita' per il personale non dirigente e fino ad massimo di trenta mensilita' per il personale dirigenziale. Cosi' disponendo, le norme incidono sulla materia del trattamento economico riservate alla contrattazione collettiva. Ne consegue, pertanto, un contrasto con le disposizioni contenute nel titolo III (Contrattazione collettiva e rappresentativita' sindacale), artt. da 40 a 50, del d.lgs. n. 165/2001 che obbliga al rispetto della normativa contrattuale e delle procedure da seguire in sede di contrattazione. L'art. 1, commi da 83 a 91, della l.r. impugnata, quindi, viola l'art. 117, lett. l) della Costituzione, il quale riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (contratti collettivi).
P. Q. M. Si chiede che, in accoglimento del presente ricorso, codesta ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle norme impugnate della legge regionale 21 gennaio 2010, n. 2, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania - Legge finanziaria anno 2010», pubblicata nel B.U.R. n. 7 del 21 gennaio 2010, ed in particolare dell'art. 1, commi, 1, 2, 12, 16, 25, da 55 a 63, 69, da 83 a 91, nei limiti indicati nel presente ricorso. Roma, addi' 20 marzo 2010 L'Avvocato dello Stato: Danilo Del Gaizo