RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 30 marzo 2010, n. 51
Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 30  marzo  2010  (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
 
(GU n. 17 del 28-4-2010)
 
 
 
    Ricorso del Presidente del Consiglio dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i
cui uffici domicilia per legge in Roma, alla via dei Portoghesi,  12,
contro la Regione Campania, in persona del Presidente in  carica  pro
tempore (per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale  della
legge regionale 21 gennaio 2010, n. 2, recante «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione  Campania
- Legge finanziaria anno 2010», pubblicata nel B.U.R.  n.  7  del  21
gennaio 2010, ed in particolare dell'art. 1, commi, 1, 2, 12, 16, 25,
da 55 a 63, 69, da 83 a 91, nei limiti indicati nel presente ricorso. 
    La  legge  regionale  in  epigrafe  reca  «Disposizioni  per   la
formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione  Campania
- Legge finanziaria anno 2010». 
    Ritenendo diverse disposizioni della stessa in contrasto  con  la
Costituzione, il Consiglio dei ministri, nella seduta del 4  febbraio
2010, ne ha deliberato l'impugnazione dinanzi a codesta ecc.ma Corte.
Impugnazione che  viene  proposta  con  il  presente  ricorso  per  i
seguenti; 
 
                               Motivi 
 
I - In relazione  all'art.  1,  comma  1,  della  l.r.  in  epigrafe:
violazione dell'art. 117, Cost., sotto vari profili. 
    L'art. 1, comma 1, della  legge  regionale  in  epigrafe  dispone
quanto segue: 
      
    «La regione Campania  disciplina  il  servizio  idrico  integrato
regionale come servizio privo di rilevanza  economica.  Nel  rispetto
dei principi di sussidiarieta', ragionevolezza e leale collaborazione
e in assenza di intese con lo Stato in merito alle politiche relative
alle  societa'  di  distribuzione  dell'acqua  potabile,  le  aziende
operative nella regione Campania devono avere la maggioranza assoluta
dell'azionariato  a   partecipazione   pubblica.   Tutte   le   forme
attualmente in essere di gestione del servizio  idrico  con  societa'
miste o interamente private decadono a far data  dalle  scadenze  dei
contratti  di  servizio  in  essere.  I   proventi   ricavati   dalla
utilizzazione del demanio  idrico  sono  destinati  al  finanziamento
degli interventi della risorsa idrica  e  dell'assetto  idraulico  ed
idrogeologico sulla base delle linee programmatiche di  bacino.  Tali
proventi sono iscritti dal corrente esercizio finanziario  all'Unita'
previsionale di base (UPB) 11.81.80  della  entrata  e  destinati  al
finanziamento delle spese iscritte alla  UPB  1.1.1.  "Difesa  suolo"
concernenti i lavori di manutenzione ordinaria  e  straordinaria  del
reticolo idrografico regionale.». 
    Giova premettere che,  come  affermato  dalla  giurisprudenza  di
codesta Corte (sent. n. 307/2009), il servizio idrico  integrato,  al
quale la norma in questione fa riferimento, e' disciplinato da  norme
statali, nell'esercizio della competenza legislativa esclusiva di cui
all'art. 117, secondo comma, Cost., in vari ambiti,  quali:  funzioni
fondamentali degli enti locali,  concorrenza,  tutela  dell'ambiente,
determinazione dei livelli essenziali delle  prestazioni  (cfr.  art.
141 del d.lgs. n. 152 del 2006 cd. codice dell'ambiente).  «Deve,  in
altri termini, parlarsi di un concorso  di  competenze  statali,  che
vengono esercitate su oggetti diversi, ma per il perseguimento di  un
unico  obiettivo,  quello  dell'organizzazione  del  servizio  idrico
integrato» (Corte cost., sent.  cit.,  punto  4  del  considerato  in
diritto). 
    In particolare, nel disciplinare tale servizio, l'art. 141, comma
2, cod. amb. afferma chiaramente la sua rilevanza economica,  laddove
afferma che lo  stesso  «deve  essere  gestito  secondo  principi  di
efficienza, efficacia ed economicita'». 
    Ulteriore  indice  di  tale  rilevanza  puo'  essere  individuato
nell'art. 154, comma 1, dello stesso codice, che, nel disciplinare la
tariffa  del   servizio   idrico   integrato,   la   qualifica   come
«corrispettivo» in tutte le quote che la compongono e stabilisce  che
essa e' determinata, tenendo conto,  tra  l'altro,  «dell'adeguatezza
della remunerazione del capitale investito». 
    La rilevanza economica del servizio e', inoltre,  confermata,  in
linea generale dall'art. 23-bis del d.l. 25t.6.2008, n. 112, che, nel
disciplinare l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici  locali
di rilevanza economica, precisa che detta  disciplina  si  applica  a
tutti  i  servizi   pubblici   locali,   ed   era   desumibile   gia'
implicitamente dall'art. 113 del d.lgs. n. 267/2000,  che  vi  faceva
riferimento nel disciplinare  proprio  la  «gestione  delle  reti  ed
erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica». 
    La norma regionale censurata afferma che la Regione disciplina il
servizio predetto «come servizio privo di rilevanza economica». 
    Cosi' disponendo la stessa si pone, quindi, in contrasto  con  le
disposizioni di legge sopra citate, le quali, secondo  l'orientamento
espresso da codesta Corte nella citata sentenza n. 307/2009  e  nella
sentenza  n.  272/2004,  costituiscono  esercizio  della   competenza
legislativa esclusiva statale  in  materia  di  concorrenza,  laddove
disciplinano la gestione e le modalita' di affidamento del  servizio,
e percio' viola l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. 
    D'altra parte, anche a non voler  considerare  la  chiara  scelta
operata dal legislatore statale, l'affermazione contenuta nella norma
regionale e' censurabile anche sotto altri profili. 
    Invero, come evidenziato anche da codesta Corte  nella  sent.  n.
272/2004,  sulla  base  degli  orientamenti   assunti   dal   giudice
comunitario, la qualificazione di un'attivita'  come  economica  deve
essere effettuata valutando  «circostanze  e  condizioni  in  cui  il
servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare,  dell'assenza
di uno scopo precipuamente lucrativo, della  mancata  assunzione  dei
rischi  connessi   a   tale   attivita'   ed   anche   dell'eventuale
finanziamento  pubblico  dell'attivita'  in   questione   (Corte   di
giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa n. 18/2001)». 
    Tale valutazione, secondo la citata giurisprudenza della Corte di
giustizia, spetta al giudice nazionale, il quale si e' gia'  espresso
diverse volte nel  senso  che  deve  comunque  attribuirsi  rilevanza
economica ad un servizio che si sostanzia in attivita'  suscettibili,
in astratto o in potenza, di essere gestite in forma remunerativa,  e
percio' di produrre redditivita', e per le quali esiste certamente un
mercato concorrenziale (v., in particolare, C.d.S., sez. V, 30 agosto
2006, n. 5072; T.a.r. della Sardegna, 2 agosto 2005, n. 1729); il che
non  pare  contestabile  nel  caso  del  servizio  idrico  integrato.
Pertanto la censurata affermazione contenuta  nella  legge  regionale
viola anche l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  poiche'  si  pone  in
contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario,  come
interpretato dalla Corte di giustizia. 
    Inoltre la predetta disposizione e' anche smentita  dal  contesto
della stessa norma regionale, che, nel  prevedere  l'affidamento  del
servizio ad aziende con azionariato  con  partecipazione  pubblica  a
maggioranza    assoluta,    postula,    evidentemente,    l'esercizio
dell'attivita' in questione nella forma della societa' commerciale e,
comunque, anche la presenza di capitali ed  investitori  privati,  la
cui  partecipazione  implica  necessariamente   che,   in   concreto,
l'attivita' in questione sia svolta in forma remunerativa. 
    Percio', oltre che  illegittima  sotto  i  rilevati  profili,  la
previsione in esame e' comunque inidonea a  sottrarre  la  disciplina
del  servizio  idrico  integrato  alla   competenza   esclusiva   del
legislatore statale. 
    Tanto premesso, deve essere rilevata  anche  l'illegittimita'  di
altre disposizioni del citato art. 1, comma 1. 
      
    La norma, infatti, contrasta con la normativa statale in tema  di
affidamento del servizio idrico, di cui all'art. 23-bis  del  decreto
legge n. 112 del 25 giugno 2008, come da ultimo modificato  dal  d.l.
n. 135/2009, nella  misura  in  cui  disciplina  in  modo  del  tutto
difforme le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio ed
il termine di decadenza degli affidamenti in essere. 
    In particolare il secondo periodo del comma 1 dell'art. 1,  della
legge regionale, prevede che «in merito alle politiche relative  alle
societa' di distribuzione dell'acqua potabile, le  aziende  operative
nella  regione  Campania  devono  avere   la   maggioranza   assoluta
dell'azionariato a partecipazione pubblica».  Tale  norma  pone  alle
aziende che intendano «operare» nella regione un vincolo  di  assetto
proprietario definito, incidendo, in tal  modo,  sulle  procedure  di
affidamento, poiche' vieta  alle  societa'  prive  della  maggioranza
assoluta dell'azionariato  pubblico  di  ottenere  l'affidamento  del
servizio. 
    La disciplina statale, invece, all'art. 23-bis, comma 2, del d.l.
n. 112/2008, prevede, sul punto, che «Il conferimento della  gestione
dei servizi pubblici locali avviene, in  via  ordinaria  [...]  b)  a
societa' a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione  che
la selezione del socio  avvenga  mediante  procedure  competitive  ad
evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera  a),
le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio  e
l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla  gestione
del servizio e che al socio sia  attribuita  una  partecipazione  non
inferiore al 40 per cento». 
    Postulando, cosi', anche la possibilita'  che  la  partecipazione
privata  si  attesti  su  percentuali  superiori,  in  coerenza   con
obiettivi di mercato pro concorrenziali,  nonche'  con  obiettivi  di
efficienza finalizzati anche alla salvaguardia dell'ambiente,  che  i
vincoli posti dalla norma regionale pregiudicano non poco. 
      
    Allo stesso modo, anche il terzo periodo del comma 1 dell'art.  1
della legge regionale si pone in contrasto con la disciplina  statale
poiche' dispone che «tutte le forme attualmente in essere di gestione
del servizio idrico con societa' miste o interamente private decadono
a far data dalle scadenze dei contratti di servizio in essere». Detta
norma contrasta con il comma 8 dell'art. 23-bis che prevede una  piu'
complessa,   articolata   e   restrittiva   disciplina   del   regime
transitorio, disciplinando dalle lettere a) ad e), la materia in modo
difforme e piu' complesso, dettando per ogni  tipo  di  gestione  una
specifica disciplina per il periodo transitorio. 
    Per tutti i profili suesposti la disciplina regionale si pone  in
contrasto  con  l'art.  23-bis  del  d.l.  n.  112/2008,  da   ultimo
modificato  dal  d.l.  n.  135/2009,   che   ha   anche   natura   di
norma-principio  in  materia  (analogamente  a  quanto  affermato  da
codesta Corte nelle sentenza n. 272/2004,  con  riferimento  all'art.
113, comma 1, T.U.E.L.) e viola l'art. 117, comma 2, lett. e)  ed  s)
in materia di tutela della concorrenza  e  tutela  dell'ambiente,  di
competenza legislativa esclusiva statale. 
II - In relazione all'art. 1, comma 2, della l.r. in epigrafe: 
II.1. - Violazione dell'art. 117, secondo comma, lett.  d),  e),  h),
s), nonche' dell'art. 120, primo  comma,  della  Costituzione  e  dei
principi di sussidiarieta', leale collaborazione e ragionevolezza. 
    L'art. 1, comma 2,  della  l.r.  Campania  n.  2/2010  stabilisce
quanto  segue:  «Nel  rispetto  dei   principi   di   sussidiarieta',
ragionevolezza e leale collaborazione e in assenza di intese  con  lo
Stato in merito alla loro localizzazione, il territorio della regione
Campania e' precluso all'installazione di impianti di  produzione  di
energia elettrica nucleare, di  fabbricazione  e  di  stoccaggio  del
combustibile nucleare nonche' di depositi di materiali radioattivi.».
Dunque la norma citata vieta, in linea generale  e  «in  mancanza  di
intesa tra lo Stato e la  regione»,  l'installazione  nel  territorio
regionale: 
        a) di impianti di produzione di energia nucleare; 
        b)  di  impianti  di  fabbricazione  e   di   stoccaggio   di
combustibile nucleare; 
        c) di depositi di materiali radioattivi. 
    Come la giurisprudenza di codesta Corte  ha  precisato  in  varie
occasioni,  con  riguardo  ai  depositi  di   rifiuti   e   materiali
radioattivi, l'intervento del legislatore regionale volto a  vietarne
o limitarne la presenza sul territorio regionale viola la  competenza
esclusiva attribuita allo Stato in materia di tutela dell'ambiente  e
dell'ecosistema dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,
nonche' il vincolo generale imposto alle regioni dall'art. 120, primo
comma, Cost., che vieta ogni  misura  atta  a  ostacolare  la  libera
circolazione delle cose e delle persone fra  le  regioni  (sentt.  29
gennaio 2005, n. 62; 28 giugno 2006,  n.  247,  relativa  anche  allo
stoccaggio di materiali nucleari). 
    A tale riguardo, e piu' in generale, con riferimento al  deposito
e allo stoccaggio di rifiuti pericolosi (v. anche  sentt.  21  aprile
2005, n. 161; 23 gennaio 2009, n. 10), codesta Corte ha precisato che
«alle regioni e' sempre interdetto adottare  misure  di  ogni  genere
capaci di ostacolare in qualsiasi modo la libera  circolazione  delle
persone e delle cose tra le regioni, e una normativa che precluda  il
transito e la presenza, anche provvisoria, di materiali  nucleari  e'
precisamente una misura fra quelle  che  alle  regioni  sono  vietate
dalla  Costituzione.  La  comprensibile  spinta,  spesso  presente  a
livello locale, ad ostacolare insediamenti che gravino il  rispettivo
territorio degli oneri connessi, non puo' tradursi in un  impedimento
insormontabile alla  realizzazione  di  impianti  necessari  per  una
corretta gestione del territorio e degli insediamenti al servizio  di
interessi di rilievo ultraregionale.». Occorre, infatti, «tener conto
della  eventuale  irregolare  distribuzione  nel   territorio   delle
attivita'  che  producono  tali  rifiuti,  nonche',  nel  caso  dello
smaltimento di rifiuti radioattivi, della necessita' di trovare  siti
particolarmente idonei per conformazione del terreno  e  possibilita'
di collocamento in sicurezza dei rifiuti medesimi» (sent. n. 62/2005,
cit.). 
    L'orientamento suddetto, inoltre, si  fonda  sulla  constatazione
che  la  disciplina  ambientale,  investendo   l'ambiente   nel   suo
complesso, viene a funzionare come un limite alla disciplina  che  le
regioni e le province autonome  dettano  in  altre  materie  di  loro
competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo  derogare
o peggiorare il livello di tutela ambientale  stabilito  dallo  Stato
(sent. 14 novembre 2007, n. 378) e interventi preclusivi come  quello
in esame non possono giustificarsi nemmeno  invocando  la  competenza
regionale concorrente  in  materia  di  salute  pubblica,  protezione
civile e tutela del territorio (v. ancora sent. n. 62/2005, cit.). 
    Dunque, con  riferimento  al  deposito  di  materiali  e  rifiuti
radioattivi, la legge impugnata non fa che riprodurre una  situazione
di illegittimita' gia' censurata in  passato  da  codesta  Corte  con
riguardo a leggi di altre  regioni  che  disciplinavano  la  medesima
fattispecie e tanto  basterebbe  a  giustificare  l'accoglimento  del
ricorso sul punto. 
    Ne' la legittimita' della disposizione in esame  potrebbe  essere
affermata considerando che la preclusione in  esame  e'  condizionata
all'assenza di intese con lo Stato sulla localizzazione dei depositi.
In primo luogo perche', nella giurisprudenza citata, codesta Corte ha
gia' espressamente precisato che i principi sopra richiamati  operano
anche in caso di ostacolo anche temporaneo  alla  circolazione  o  al
deposito dei materiali e  rifiuti  in  questione;  in  secondo  luogo
perche'  l'evidente  esigenza  unitaria   sottostante   alla   tutela
ambientale, affermata nelle suddette pronunce, fonda in modo pieno ed
esclusivo la competenza statale in materia, senza che, per consentire
l'esercizio delle suddette attivita', sia  necessaria  alcuna  intesa
con la regione interessata. 
    La  disposizione  censurata,   peraltro,   subordina   all'intesa
predetta anche l'installazione di impianti di produzione  di  energia
nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare e di  stoccaggio
del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi. 
    Sul punto la legge  regionale  pone  un  evidente  ostacolo  alla
realizzazione della strategia energetica nazionale,  con  particolare
riferimento alla scelta di riattivare  nel  Paese  la  produzione  di
energia nucleare. 
    Al riguardo occorre  ricordare  che  l'articolo  7  del  d.l.  n.
112/2008, convertito in legge n. 133/2008 ha demandato al Governo  la
definizione della strategia energetica  nazionale,  perseguendo,  tra
l'altro, l'obiettivo della realizzazione sul territorio nazionale  di
impianti di produzione di energia nucleare (comma 1, lettera d). 
    Inoltre con l'art. 25 della legge n. 99/2009 e'  stata  conferita
al Governo la delega ad emanare, previa acquisizione del parere della
Conferenza unificata Stato regioni ed autonomie locali,  uno  o  piu'
decreti legislativi di  riassetto  normativo  recanti  la  disciplina
della  localizzazione  nel  territorio  nazionale  di   impianti   di
produzione  di   energia   elettrica   nucleare,   di   impianti   di
fabbricazione del combustibile nucleare, dei  sistemi  di  stoccaggio
del combustibile irraggiato e dei rifiuti  radioattivi,  nonche'  dei
sistemi  per  il  deposito  definitivo  dei   materiali   e   rifiuti
radioattivi  e  per  la  definizione  delle  misure  compensative  da
corrispondere  e  da   realizzare   in   favore   delle   popolazioni
interessate. 
    Il  ritorno  al  nucleare   assume   una   rilevanza   strategica
particolare sotto tre profili: il cambiamento climatico, la sicurezza
dell'approvvigionamento e la competitivita' del  sistema  produttivo.
Si  tratta,  all'evidenza,  di  questioni  che  travalicano  in  modo
consistente i meri interessi territoriali e locali,  e  che  traggono
origine anche da esigenze globali internazionali, che non possono che
trovare risposta in soluzioni  complessivamente  definite  a  livello
nazionale. 
    Attraverso la nuova politica energetica e  ambientale,  approvata
dal Consiglio europeo a marzo 2008, l'UE si e' impegnata a mettere in
opera l'iniziativa «20-20-20»: ridurre di almeno il 20% le  emissioni
di gas a effetto serra, aumentare la parte delle energie  rinnovabili
al 20% e migliorare l'efficacia energetica del 20%,  entro  il  2020.
Inoltre, gli esperti del  gruppo  di  lavoro  intergovernativo  delle
Nazioni Unite IPCC sono giunti alla conclusione che le  emissioni  di
CO2, in particolare quelle  derivanti  dalla  produzione  di  energia
elettrica, che rappresentano la quota  preponderante,  devono  essere
dimezzate per riportare ad un livello tollerabile le conseguenze  del
cambiamento climatico di origine antropica. E' stato stimato  che,  a
fronte dell'emissione totale di 10 miliardi di tonn/anno di  CO2  dal
sistema  mondiale  di  produzione  di  energia  elettrica,  l'energia
nucleare prodotta nel mondo evita l'emissione di circa 2 miliardi  di
tonn/anno. L'energia nucleare si presenta, quindi, come l'unica fonte
capace  di  rispondere   al   requisito   fondamentale   di   fornire
elettricita' su vasta scala, permettendo al tempo stesso il  rispetto
delle limitazioni delle emissioni di gas serra. 
    La sua adozione puo' quindi dirsi  funzionale  ad  esigenze,  non
soltanto di carattere ambientale, ma anche connesse ad obblighi dello
Stato in ambito comunitario ed internazionale. 
    Per quanto attiene alla  sicurezza  dell'approvvigionamento,  che
incide sulla competitivita' delle imprese e sul benessere dei popoli,
e' ormai chiaro, in base agli accadimenti, anche recenti, la maggiore
esposizione degli Stati e delle comunita' nazionali alle instabilita'
e ai rischi geopolitici dei mercati  internazionali,  che  presentano
serie incognite sia  dal  punto  di  vista  della  continuita'  delle
forniture che  da  quello  della  volatilita'  delle  quotazioni  dei
combustibili  fossili  (una  buona  risposta  in  tal   senso   viene
dall'uranio, la cui origine  prescinde  dai  Paesi  al  momento  piu'
esposti a simili turbamenti politici ed il cui  costo  concorre  solo
per il 5% circa al prezzo di produzione del  kwh).  Peraltro  occorre
ricordare che il Consiglio d'europa, riunitosi il  15  e  16  ottobre
2008,  ha   indicato   come   priorita'   per   l'UE   la   sicurezza
dell'approvvigionamento,  chiedendo  che  si  accelerino   i   lavori
relativi. 
      
    In materia di competitivita'  occorre  salvaguardare  il  sistema
produttivo nazionale, la cui capacita' di difesa e di concorrere  sui
mercati internazionali e' minacciata da prezzi e tariffe dell'energia
generalmente piu' elevati nel confronto europeo e  internazionale  (i
prezzi dell'elettricita' e del gas per  le  imprese  in  Italia  sono
superiori di un terzo ai prezzi dei maggiori  paesi  dell'UE),  senza
tener conto del fatto che la bolletta energetica italiana ha  pesato,
nel 2008, per 55 miliardi di  curo,  e  rende  negativa  la  bilancia
commerciale dello Stato italiano. 
    Sul piano piu' strettamente giuridico, le assolute peculiarita' e
le potenzialita' tipiche dell'energia nucleare, tutte  espressive  di
interessi unitari e non frazionabili, chiamano in causa le competenze
legislative, anche esclusive, dello Stato sotto diversi  profili,  la
cui prevalenza rispetto alla materia concorrente  della  «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale  dell'energia»  ben  puo'  essere
presa in considerazione, secondo un'impostazione alla  quale  codesta
Corte ha acceduto anche di recente in altre fattispecie (sent. n.  88
del 2009). 
    Vengono, in primo luogo, in rilievo le indiscutibili implicazioni
connesse con la produzione di tale tipo  di  energia  in  termini  di
ordine pubblico e di sicurezza (sulla quale  si  segnala  la  recente
sentenza n. 18/2009 di codesta Corte, con cui, riferendo la sicurezza
del traffico aereo all'ambito di  competenza  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera h), Cost., si  e'  notevolmente  allargato  il
perimetro  della  materia  in  questione,  rispetto  all'impostazione
contenuta nella precedente giurisprudenza costituzionale). 
    Ancora,  le  norme  dirette  ad  assicurare  la  c.d.  «sicurezza
nucleare» sono riconducibili  anche  alla  materia  «sicurezza  dello
Stato», riservata dalla lett. d) art.  117  Cost.  alla  legislazione
esclusiva statale. 
    Non  vanno,  inoltre,  dimenticate,   le   esigenze   di   tutela
dell'ambiente  sottese  alla  disciplina  della   localizzazione   di
impianti nucleari, nonche', ovviamente, dei sistemi per lo stoccaggio
e  il  deposito  dei  rifiuti  radioattivi.  Cio'  che  evidenzia  la
riconducibilita' delle norme impugnate  ad  un'ulteriore  materia  di
competenza esclusiva statale, e cioe' la  «tutela  dell'ambiente  [e]
dell'ecosistema» di cui alla lett. s) del secondo comma dell'art. 117
Cost. 
    Concorre,  infine,  con  le  materie  di  competenza  legislativa
esclusiva  statale  sin  qui  indicate   anche   la   materia   della
concorrenza, quanto meno con riferimento all'allocazione di  impianti
di produzione di energia nucleare  ed  agli  impianti  connessi  alla
stessa, trattandosi di attivita' imprenditoriali esercitate in regime
di mercato, nelle quali il potere del legislatore statale di  dettare
disposizioni  in  materia  si  giustifica  anche  in  relazione  alla
necessita' di garantire in  modo  uniforme  su  tutto  il  territorio
nazionale, fermi restando i profili di sicurezza e  ambientali  sopra
richiamati,  il  reperimento  delle  risorse  per  l'esercizio  della
predetta attivita' anche  in  termini  di  aree  ove  installare  gli
impianti. 
    In base alle considerazioni che precedono, la materia concernente
la localizzazione degli impianti di produzione di  energia  nucleare,
nonche' di stoccaggio  del  combustibile  irraggiato  e  dei  rifiuti
radioattivi, nonche' quella  relativa  ai  depositi  di  materiali  e
rifiuti radioattivi nella misura in cui  fanno  parte  del  ciclo  di
produzione dell'energia nucleare,  rientra,  evidentemente,  a  vario
titolo nella competenza legislativa esclusiva dello Stato,  ai  sensi
delle disposizioni costituzionali sopra richiamate. 
    Pertanto le disposizioni  della  legge  regionale  impugnata  che
precludono  l'installazione  degli   impianti   in   questione   sono
illegittime per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere  d),
e), h), s). 
      
    In  base  a  considerazioni  analoghe  a   quelle   mosse   dalla
giurisprudenza di codesta Corte richiamata in relazione al transito e
alla presenza di materiali nucleari provenienti da  altri  territori,
si' profila, altresi', anche in relazione alla  preclusione  di  tali
attivita' disposta dalla legge in questione, la violazione  dell'art.
120, primo comma, Cost. 
II.2. - In subordine: violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    In subordine, nella denegata ipotesi in cui si ritenesse  che  la
materia oggetto delle disposizioni del citato art. 1, comma 2,  della
l.r.  rientri,  con  riguardo  all'installazione   di   impianti   di
produzione di energia  nucleare  e  alle  attivita'  connesse,  nella
materia di  legislazione  concorrente  afferente  la  produzione,  il
trasporto  e  la  distribuzione  nazionale  dell'energia,  ovvero  il
governo del territorio (ma quest'ultima materia e', a nostro  avviso,
fuori  questione,  esorbitando  dai  suoi  limiti  l'inibizione   sul
territorio regionale  di  una  attivita'  produttiva),  la  normativa
impugnata, nel vietare le attivita' suddette in assenza di intesa tra
Stato e Regione, ovvero nel subordinare il loro esercizio  all'intesa
in  questione,  dovrebbe  considerarsi  illegittima  per   violazione
dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in   quanto   la   previsione
dell'intesa, riguardando una scelta di carattere generale, in ipotesi
applicabile a tutte le regioni,  atterrebbe  comunque  alla  potesta'
legislativa concorrente di determinare  principi  fondamentali  della
materia. Inoltre non  puo'  ritenersi  che  la  potesta'  legislativa
concorrente della regione possa spingersi ad imporre  un'intesa  allo
Stato, per di piu' vietando, in mancanza della stessa, l'esercizio di
un'attivita' produttiva cosi' importante. Per inciso si noti che, con
il ricordato art. 25 della legge n. 99/2009, il  legislatore  statale
ha delegato il Governo ad emanare disposizioni per la  localizzazione
nel  territorio  nazionale  di  impianti  di  produzione  di  energia
elettrica nucleare, di impianti  di  fabbricazione  del  combustibile
nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei
rifiuti radioattivi, nonche' dei sistemi per il  deposito  definitivo
dei materiali e rifiuti radioattivi e per la definizione delle misure
compensative  da  corrispondere  e  da  realizzare  in  favore  delle
popolazioni interessate. 
      
    Tale delega e' stata esercitata con  il  decreto  legislativo  15
febbraio 2010, n. 31, pubblicato mentre il  presente  ricorso  veniva
redatto. 
    L'art. 11, commi 5  e  6,  del  predetto  decreto  prevedono  che
un'intesa con la Regione interessata al momento della  certificazione
dei siti, che, ai sensi  dell'art.  10  dello  stesso  decreto,  sono
individuati  dagli  operatori  interessati  come  siti  da  destinare
all'insediamento di un impianto nucleare, all'avvio del  procedimento
di autorizzazione unica di cui all'art. 13; nonche', nel caso in  cui
l'intesa  si  non  si  definisca  nei  termini   ivi   previsti,   un
procedimento per pervenire all'intesa, attraverso la costituzione  di
un Comitato interistituzionale paritetico, composto da rappresentanti
dello  Stato  e   della   regione   interessata   e,   nell'ulteriore
eventualita' che all'intesa non si pervenga  nemmeno  in  tale  sede,
attraverso una deliberazione del Consiglio dei ministri integrato con
la partecipazione del Presidente della regione interessata. 
    Inoltre, ai sensi dello stesso art. 11, comma 9,  al  termine  di
tale procedura la proposta di aree potenzialmente idonee sulle  quali
e' stata espressa l'intesa regionale viene trasmessa dal Governo alla
conferenza unificata di  cui  all'art.  8  d.lgs.  n.  281/1997,  per
l'acquisizione di ulteriore intesa. 
    Nell'art.  13  del  predetto  decreto  legislativo  sono  inoltre
previste altre forme di coinvolgimento di tutti gli enti  interessati
al procedimento di autorizzazione  unica,  attraverso  il  meccanismo
della conferenza di servizi, secondo quanto previsto dai  criteri  di
delega di cui all'art. 25 della legge n. 99/2009. 
      
    Secondo  la  ricostruzione  ipotizzata  nel  presente  motivo  di
ricorso,  la  normativa  statale  in  questione,  e  la   conseguente
legislazione delegata, dovrebbero considerarsi esercitate appunto  ai
sensi dell'ad. 117, terzo comma, Cost. 
    Pertanto la normativa regionale impugnata  dovrebbe  considerarsi
illegittima,  per  un  verso,  anche  per  violazione  dei   principi
fondamentali  gia'  emanati  dal  legislatore;  per  un  altro  verso
perche', esorbitando dai limiti del  potere  legislativo  concorrente
della regione, ha invaso  la  sfera  di  competenza  del  legislatore
statale, nella parte in cui la stessa non e' stata esercitata. 
II.3. - In via ulteriormente subordinata: violazione degli artt.  118
e  120  Cost.,  nonche'  dei  principi   di   sussidiarieta',   leale
collaborazione e ragionevolezza. 
    Per altro verso, sempre ove si ritenesse che l'art. 1,  comma  2,
della legge regionale impugnata  sia  stato  adottato  in  un  ambito
materiale riservato alla legislazione concorrente, escluso che,  come
si e' detto, lo  strumento  dell'intesa  possa  essere  invocato  per
condizionare allo stesso l'esercizio di attivita' la  cui  disciplina
forma anche oggetto di principi fondamentali dettati dal  legislatore
statale, occorre rilevare  che  tale  strumento  e'  stato  preso  in
considerazione dalla giurisprudenza di codesta Corte nell'ipotesi  in
cui, in considerazione delle esigenze di  disciplina  unitaria  della
materia, il legislatore statale  abbia  esercitato  la  «chiamata  in
sussidiarieta'» delle funzioni  amministrative  connesse  al  settore
regolato con legge statale, in applicazione dell'art. 118 Cost., come
strumento idoneo a garantire quell'attivita' concertativa di  livello
orizzontale, volta a salvaguardare la parita'  tra  Stato  e  regioni
nell'esercizio delle suddette funzioni (v. sent. n. 303 del  2003  e,
nello specifico settore dell'energia, sent. n. 383/2005). 
    In effetti dai principi  della  citata  delega  legislativa,  poi
esercitata da parte del Governo, puo' desumersi  l'attribuzione  allo
Stato   di   numerose   funzioni   amministrative    connesse    alla
localizzazione   degli   impianti   nucleari,   sia   pure   con   la
partecipazione delle altre istituzioni territoriali e locali. 
      
    Ma anche ove tale scelta legislativa  dovesse  considerarsi,  non
gia'  espressione   dell'esercizio   della   competenza   legislativa
esclusiva del legislatore statale, bensi' espressione di «chiamata in
sussidiarieta'» di dette funzioni, e anche  ove  si  considerasse  la
normativa regionale impugnata come  volta  a  disciplinare  attivita'
amministrative (il che e' assai dubbio), e' evidente che, anche sulla
base dei principi affermati dalla citata giurisprudenza della  Corte,
l'intesa in questione dovrebbe essere  disciplinata  dal  legislatore
statale, nel momento in cui attrae a  se'  quelle  competenze  e  non
certo dal legislatore regionale. 
    Sotto tale profilo, pertanto,  la  normativa  impugnata  dovrebbe
considerarsi assunta in violazione dell'art. 118 Cost. e dei principi
affermati da codesta Corte in applicazione dello stesso. 
    Inoltre,   come    precisato    sempre    dalla    giurisprudenza
costituzionale (v.  sent.  n.  383/2005  cit.),  «L'esigenza  che  il
conseguimento di queste intese sia  non  solo  ricercato  in  termini
effettivamente ispirati alla reciproca leale collaborazione, ma anche
agevolato  per  evitare  situazioni  di  stallo,  potra'   certamente
ispirare  l'opportuna  individuazione,  sul  piano  legislativo,   di
procedure  parzialmente  innovative  volte  a   favorire   l'adozione
dell'atto  finale  nei  casi  in  cui  siano  insorte  difficolta'  a
conseguire l'intesa». 
    Fermo restando che la regione non avrebbe avuto in alcun caso  il
potere di disciplinare l'intesa in questione, la norma che la prevede
risulta  illegittima  anche  in  quanto,  invadendo   la   competenza
legislatore statale,  inibisce  a  quest'ultimo  la  possibilita'  di
prevedere adeguati strumenti del tipo in discorso, anche di carattere
sostitutivo,  o  comunque  adotta  strumenti  contrastanti  a  quelli
adottati dal legislatore (v. le disposizioni del decreto  legislativo
n. 31/2010 sopra citato) e percio' viola  ulteriormente  l'art.  118,
l'art.  120  Cost.,  nonche'  i  principi  di  sussidiarieta',  leale
collaborazione e ragionevolezza. 
II.4. - Violazione dell'art. 41 Cost. 
    L'art.  8  della  regionale  impugnata,   infine,   nel   vietare
immotivatamente la produzione di energia nucleare,  la  fabbricazione
del combustibile, il suo stoccaggio e quello dei rifiuti in un'intera
regione, incide sulla liberta' di  concorrenza  degli  operatori  del
settore, sottraendo agli  stessi  la  possibilita'  di  allocare  una
centrale e di produrre energia nel luogo ritenuto  piu'  idoneo,  pur
nel rispetto di parametri stabiliti dalle  norme  e  dalle  autorita'
pertinenti.  Peraltro,  la  norma  regionale   limita   la   liberta'
d'iniziativa economica per motivi, ossia la  mancata  intesa  con  lo
Stato, che non hanno niente a che vedere con i limiti di cui all'art.
41 Cost. 
    Lo stesso, pertanto, deve ritenersi assunto anche  in  violazione
di tale disposizione costituzionale. 
III - In relazione all'art. 1, comma  12,  della  l.r.  in  epigrafe:
Violazione dell'art. 117, comma 1 e comma 2, lett. e) ed s), Cost. 
    L'art. 1, comma 12, ultimo capoverso, della  legge  regionale  in
esame e' in  contrasto  con  la  normativa  nazionale  e  comunitaria
vigente in materia di acque. 
    La norma prevede un finanziamento con fondi  comunitari  (risorse
FESR)  di  condotte  sottomarine  da  realizzare  «lungo   i   canali
artificiali  con  piu'  elevato  carico   inquinante   del   litorale
Dominio/Flegreo» (e percio', implicitamente, postula l'ammissibilita'
di tali interventi); cosi disponendo  risulta  incompatibile  con  la
doverosa destinazione delle risorse pubbliche alla  realizzazione  di
opere funzionali,  nel  caso  di  specie,  a  garantire  la  corretta
depurazione e, quindi, lo scarico di acque reflue a norma. 
    La realizzazione e il finanziamento delle suddette infrastrutture
e'  volto  a  creare,   senza   alcun   beneficio   ambientale,   una
diversificazione di ricettore di  scarichi  non  depurati,  nel  mare
piuttosto che nei canali artificiali. Cio', in un'area  quale  quella
del litorale Domizio Flegreo -  gia'  sito  di  interesse  nazionale,
territorio nel quale sono gia' in  campo  notevoli  risorse  umane  e
finanziarie tese al ripristino di uno stato di legalita' ambientale -
laddove occorre assicurare  interventi  maggiormente  riqualificanti,
dedicati alla irreggimentazione delle acque e dei reflui  urbani  che
scaricano in assenza di depurazione ed a  garantire  una  depurazione
che rispetti i limiti tabellari. 
    La formulazione della norma in esame consentirebbe interventi non
legittimi e sottrarrebbe risorse pubbliche a  soluzioni  alternative,
risolutive dello stato di degrado esistente. Per le  motivazioni  sin
qui esposte, non e' conforme  al  dettato  costituzionale  l'art.  1,
comma 12,  ultimo  capoverso,  in  quanto  introduce  una  previsione
contraria alla normativa comunitaria e nazionale vigente  in  materia
di acque - Dir. 2000/60/CE e parte III del n. 152/2006 -  ed  inoltre
non tiene conto delle finalita' istituzionali con le quali sono stati
fissati e condivisi obiettivi tra Comunita' europea, Stato e regioni,
finalizzati alla piena attuazione della stessa. 
    La norma regionale in  oggetto,  dettando  disposizioni  difformi
dalla  normativa  comunitaria,  nonche'   a   quella   nazionale   di
riferimento afferente alla  materia  della  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema» e della  «tutela  della  concorrenza»,  si  pone  in
contrasto con l'art. 117, comma 1, e comma 2, lett. e) ed  s),  della
Costituzione. 
IV - In relazione all'art.  1,  comma  16  della  l.r.  in  epigrafe:
violazione dell'art. 117, comma 2, lett. s) ed e), Cost. 
    L'art. 1, comma 16, della l.r. impugnata prevede che «Al fine  di
contribuire al  rilancio  dell'economia  delle  zone  montane  e  dei
territori  compresi  nei  parchi   mediante   il   turismo   cinofilo
(cino-turismo), i comuni  ricomprasi  in  queste  aree  istituiscono,
anche d'intesa con gli organi di direzione degli enti parco medesimi,
aree   cinofile.   Dette    aree    sono    adibite    esclusivamente
all'addestramento  ed  allenamento  dei  cani  da  caccia   ed   alle
conseguenti verifiche zootecniche. Nell'interno delle stesse i comuni
individuano strutture ove consentire l'addestramento anche  dei  cani
da pastore, da utilita' e dei cani  adibiti  alla  pettherapy  ed  al
soccorso. La realizzazione e gestione di tali  aree  e  strutture  e'
prevalentemente affidata  a  cooperative  di  giovani  residenti  nei
comuni interessati o ad imprenditori agricoli, singoli  o  associati,
ed alle associazioni cinofilo-venatorie. In tali zone  sono  altresi'
consentite,   nell'arco   dell'anno,   prove   zootecniche   per   il
miglioramento delle razze canine da  caccia  e  da  pastore  di  cani
iscritti all'anagrafe canina.». 
    Cosi' disponendo, la norma regionale si pone in contrasto con  la
normativa statale di settore rappresentata dalla  legge  n.  394/1991
«Legge quadro sulle aree protette», la quale all'articolo 11  prevede
che  ogni  parco,  nel  rispetto   delle   proprie   caratteristiche,
attraverso  il  proprio  regolamento,  disciplini  l'esercizio  delle
attivita' consentite entro il territorio  di  competenza,  imponendo,
tuttavia, al comma 3, il divieto di tutte «le attivita'  e  le  opere
che possono compromettere  la  salvaguardia  del  paesaggio  e  degli
ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla
fauna protette e ai rispettivi habitat». 
    Tra  tali  attivita'  rientra  sicuramente  l'addestramento  cani
atteso che, come affermato da codesta Corte con sentenza n.  350  del
1991 («nessun dubbio puo' sussistere  ne'  in  ordine  al  fatto  che
"addestramento   dei   cani",   in   quanto   attivita'   strumentale
all'esercizio  venatorio,  debba  ricondursi   alla   materia   della
"caccia"...»),  e'  assimilabile  alla  materia  della  caccia  e  di
conseguenza costituisce attivita' assolutamente  vietata  nelle  aree
protette. 
    Conclusivamente   la   norma   regionale   in   esame,   dettando
disposizioni  difformi  dalla  normativa  nazionale  di   riferimento
afferente alla materia della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e
della tutela della concorrenza di cui all'art. 117, comma 2, lett. s)
ed e), per la quale lo Stato ha competenza legislativa esclusiva,  e'
costituzionalmente  illegittima,  per   violazione   delle   suddette
disposizioni costituzionali. 
V - In relazione all'art.  1,  comma  25,  della  l.r.  in  epigrafe:
violazione dell'art. 117, secondo comma,  lett.  s),  Cost.,  nonche'
dell'art. 117, terzo comma Cost. 
    Merita, altresi', censura, l'art. 1,  comma  25,  della  l.r.  in
epigrafe, il quale dispone in materia di inserimento di  centrali  di
produzione di energia da fonti rinnovabili. In particolare  la  norma
prescrive  il  rispetto  di  una  distanza  minima  per   tutti   gli
insediamenti energetici non inferiore  a  cinquecento  metri  lineari
dalle aree interessate da coltivazioni viticole  con  marchio  DOC  e
DOCG e non inferiore a mille metri lineari da aziende  agrituristiche
ricadenti in  tali  aree.  Tale  disposizione,  quindi,  nel  fissare
distanze minime per gli insediamenti energetici, individua  aree  non
idonee  all'installazione  di  impianti  di  produzione  di   energia
elettrica da fonti rinnovabili. 
    L'art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003  prevede,  pero',
che  «in  Conferenza  unificata,  su  proposta  del  Ministro   delle
attivita' produttive, di concerto con  il  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del Ministro per i beni e le  attivita'
culturali, si  approvano  le  linee  guida  per  lo  svolgimento  del
procedimento   di   cui   al   comma   3»,   relativo   al   rilascio
dell'autorizzazione per l'installazione  di  impianti  alimentati  da
fonti rinnovabili. 
    Tale disposizione e'  espressione  della  competenza  statale  in
materia di tutela  dell'ambiente,  in  quanto,  inserita  nell'ambito
delta  disciplina  relativa   ai   procedimenti   per   il   rilascio
dell'autorizzazione relativa agli impianti da fonti rinnovabili,  ha,
quale precipua finalita', quella di proteggere il paesaggio. 
    Il  legislatore  statale,  infatti,  allo  stesso  comma  10,  ha
espressamente sancito che le linee guida «sono volte, in particolare,
ad assicurare un corretto inserimento degli impianti,  con  specifico
riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio». 
    Come costantemente  affermato  dalla  giurisprudenza  di  codesta
Corte [...] la normativa statale  di  cornice  non  contempla  alcuna
limitazione specifica, ne' divieti inderogabili, rinviando alle linee
guida di cui all'art. 12, comma 10, del decreto  legislativo  n.  387
del 2003, il compito di «assicurare  un  corretto  inserimento  degli
impianti,  con  specifico  riguardo   agli   impianti   eolici,   nel
paesaggio». 
    E' ben vero che la richiamata  disposizione  statale  abilita  le
Regioni a «procedere alla indicazione di aree e siti non idonei  alla
installazione di specifiche tipologie di impianti», ma cio' puo' aver
luogo solo «in  attuazione»  delle  predette  linee  guida,  che,  al
momento, non sono ancora state adottate  con  le  modalita'  previste
dallo stesso comma 10, vale a dire in sede di Conferenza unificata. 
    Al riguardo codesta Corte ha  gia'  precisato  che  «la  presenza
delle indicate diverse competenze legislative giustifica il  richiamo
alla conferenza unificata, ma non  consente  alle  regioni  [...]  di
provvedere  autonomamente  alla  individuazione  di  criteri  per  il
corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti
di energia alternativa» (sentenza n. 166 del 2009). 
    Il bilanciamento tra le  esigenze  connesse  alla  produzione  di
energia e gli interessi, variamente  modulati,  rilevanti  in  questo
ambito impone, infatti, una prima ponderazione concertata in ossequio
al principio di  leale  cooperazione,  al  fine  di  consentire  alle
regioni ed agli enti locali di contribuire alla compiuta  definizione
di adeguate forme di contemperamento  di  tali  esigenze.  Una  volta
raggiunto tale equilibrio, ogni regione  potra'  adeguare  i  criteri
cosi'  definiti  alle  specifiche  caratteristiche   dei   rispettivi
contesti territoriali. (cfr. sent. n. 282/2009,  punto  4,  cons.  in
diritto). 
      
    La norma impugnata e', pertanto, lesiva  della  competenza  dello
Stato in materia di tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera  s)  Cost.,  nonche'  del  terzo  comma  dello  stesso
articolo, contrastando con i principi fondamentali della legislazione
statale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell'energia. 
VI - In relazione all'art. 1,  commi  da  55  a  63,  della  l.r.  in
epigrafe: violazione del'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e
117, terzo comma, Cost. 
    Le disposizioni contenute nei commi da 55 a 60 dell'art. 1  della
l.r. in esame sono dirette a  modificare  l'art.  81  della  l.r.  n.
1/2008, nel  senso  di  estendere  le  procedure  di  stabilizzazione
previste  dal  medesimo  articolo  nell'ambito  di  quanto   previsto
dall'art. 1, comma 565, della legge n. 296/2006: 
        alla  «dirigenza  di  primo  livello»  (con  esclusione   dei
dirigenti di strutture  semplici  e  complesse)  che  abbia  prestato
servizio a tempo determinato presso le aziende sanitarie; 
        al personale del comparto ed  alla  dirigenza  delle  aziende
ospedaliere universitarie che svolge in via  esclusiva  attivita'  di
assistenza sanitaria  in  forza  di  contratti  a  tempo  determinato
stipulati con le medesime aziende. 
    Le predette previsioni ripropongono sostanzialmente  i  contenuti
delle disposizioni recate dell'art. 1, commi 1 e 4, della  precedente
legge della regione Campania 14 aprile 2008, n. 5 sulle quali codesta
Corte  si  e'  espressa  (cfr.  sent.  n.  215/2009),   dichiarandone
l'illegittimita' ed affermando, a sostegno delle censure  mosse,  che
nella  fattispecie  non  risultano  delimitati  i   presupposti   per
l'esercizio del potere di assunzione, non essendo la costituzione del
rapporto di lavoro a tempo indeterminato subordinata all'accertamento
delle  necessita'  funzionali  dell'amministrazione,  ne'   risultano
previste procedure imparziali ed obiettive di verifica dell'attivita'
svolta  per  la  valutazione  di   idoneita'   ad   altri   incarichi
dirigenziali in grado di garantire la selezione dei migliori. 
    In considerazione di quanto sopra, i commi  56,  57  e  58  della
legge n. 2/2010 integrano le predette previsioni con  apposite  norme
volte a disporre che la stabilizzazione  del  personale  dirigenziale
avvenga: 
        previo accertamento delle  specifiche  necessita'  funzionali
dell'amministrazione procedente; 
        a seguito di  verifica  in  termini  positivi  dell'attivita'
svolta come dirigente nell'ambito del rapporto a tempo determinato; 
        nei confronti del personale dirigenziale assunto  ab  origine
mediante  procedure  concorsuali  preordinate  al   conferimento   di
incarichi dirigenziali, prevedendo altresi' che, in  caso  contrario,
gli interessati debbano comunque essere preventivamente sottoposti  a
selezioni basate sulle norme statali vigenti in  materia  di  accesso
alla dirigenza. 
    Al riguardo, pur prendendo atto di quanto sopra, si  osserva  che
il quadro normativo statale in materia  di  assunzioni  di  personale
precario  e'  profondamente  mutato,   sia   con   riferimento   alla
generalita' delle amministrazioni pubbliche,  sia  relativamente,  in
particolare, agli enti del S.S.N. 
    In proposito si evidenzia che il citato art. 1, comma 565,  legge
n.  296/2006,  in  quanto  riferito  al  triennio   2007-2009,   deve
intendersi superato. Per l'anno in  corso  e  per  gli  anni  2011-12
occorre invece far riferimento, per quanto concerne  il  contenimento
delle spese di personale degli enti del S.S.N., alle norme  contenute
nell'art. 2, commi da 71 a  74,  della  legge  n.  191/2009,  che  si
configurano quali norme di coordinamento della finanza pubblica e che
non recano alcuna disposizione volta  a  consentire  l'attuazione  di
procedure di stabilizzazione di personale anche non dirigenziale;  le
predette procedure  di  stabilizzazione  devono,  inoltre,  ritenersi
superate anche per effetto  delle  previsioni  recate  dall'art.  17,
commi da 10 a 13,  del  decreto-legge  n.  78/2009,  convertito,  con
modificazioni, nella legge n.  102/2009  che,  con  riferimento  alla
generalita'  delle  amministrazioni  pubbliche,  stabiliscono   nuove
modalita' di assunzione  a  tempo  indeterminato  del  personale  non
dirigenziale che abbia prestato servizio a tempo determinato. 
    Dette norme, richiamate dallo stesso art. 2, comma 74,  della  n.
191/2009, fanno  esclusivo  riferimento  al  personale  precario  non
dirigenziale delle amministrazioni di cui all'art. 1,  comma  2,  del
d.lgs.  n.  165/2001  e  successive  modificazioni,  tra   cui   sono
ricompresi anche gli enti del S.S.N. 
    Alla luce di quanto precede, i commi in esame della l.r.  campana
violano sia l'art. 117, comma 2, lettera 1),  della  Costituzione  il
quale riserva alla competenza  esclusiva  dello  Stato  l'ordinamento
civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice
civile (contratti collettivi), sia l'art.  117,  comma  terzo,  Cost.
essendo adottate in violazione delle norme statali  di  coordinamento
della finanza pubblica sopra richiamate. 
    Si segnala infine  che  risulta  improprio  il  riferimento  alla
dirigenza di primo livello recato dai commi in  esame,  tenuto  conto
che il d.lgs. n. 229/1999, nel dettare  una  nuova  disciplina  della
dirigenza sanitaria del servizio sanitario  nazionale,  ha  stabilito
che la stessa e' articolata in un unico ruolo ed unico livello. 
    Tale modifica ordinamentale e' stata recepita dal C.C.N.L. dell'8
giugno 2000 e non ha subito variazioni  per  effetto  dei  successivi
C.C.N.L. 
    Anche sotto tale profilo,  pertanto,  le  disposizioni  censurate
devono ritenersi in contrasto con l'art. 117,  secondo  comma,  lett.
1), Cost. 
VII - In relazione all'art. 1, comma  69,  della  l.r.  in  epigrafe:
violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. 
    La l.r. impugnata, all'art. 1, comma 69, apporta talune modifiche
all'art. 32-bis della legge regionale 28 marzo 2007, n. 4 (pubblicata
in B.U.R. n. 19 del 3 aprile 2007),  recante  «Norme  in  materia  di
gestione, trasformazione, riutilizzo dei rifiuti e bonifica dei  siti
inquinati», modificando, come segue tale  disposizione:  «I  consorzi
obbligatori per lo smaltimento dei rifiuti  cessano  di  svolgere  le
proprie funzioni, trasferite alle province, che subentrano in tutti i
rapporti attivi e passivi, dal  momento  dell'avvenuto  trasferimento
dei servizi al nuovo soggetto gestore» (sottolineatura aggiunta). 
      
    Il testo originale  dell'art.  32-bis,  inserito  dalla  l.r.  n.
4/2007, stabiliva invece che: «Alla data di entrata in  vigore  della
presente legge» i consorzi obbligatori per lo smaltimento dei rifiuti
cessano di svolgere le proprie funzioni,  trasferite  alle  province,
che subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi»  (sottolineatura
aggiunta). 
    Occorre,  innanzitutto,  evidenziare  come  la   disciplina   dei
rifiuti,  per  consolidato  orientamento  di  codesta  Corte,   venga
concordemente  fatta  rientrare,   nell'ambito   della   legislazione
esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera  s),
Cost.,  «collocandosi  nell'ambito  della  tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema» (cfr. Corte cost. sent. n. 314/2009),  mentre  resta
in capo alle regioni la «possibilita' ... di  intervenire  ovviamente
nel rispetto dei livelli uniformi di tutela apprestati  dallo  Stato»
(Corte Cost. Sent. n. 314/2009). 
    Inoltre, come precisato dalla giurisprudenza costituzionale:  «La
competenza statale nella materia ambientale si  intreccia  con  altri
interessi e competenze, di modo che deve  intendersi  riservato  allo
Stato il potere di fissare standard di  tutela  uniforme  sull'intero
territorio nazionale, restando ferma la competenza delle regioni alla
cura di interessi funzionalmente collegati  con  quelli  propriamente
ambientali. Pertanto, anche  nel  settore  dei  rifiuti,  accanto  ad
interessi inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente, possono
venire in rilievo interessi sottostanti ad altre materie, per cui  la
competenza statale non esclude la concomitante  possibilita'  per  le
regioni di  intervenire  ...  ovviamente  nel  rispetto  dei  livelli
uniformi di tutela apprestati dallo  Stato»  (Corte  cost.  Sent.  n.
62/2008, ma anche, ex multis, sent. n. 407/2002,  sent.  n.  62/2005,
sent. n. 247/2006, sent. n. 380/2007). 
    Proprio nel legittimo esercizio di siffatta potesta'  il  Governo
ha emanato il decreto legge n. 195/2009, recante, tra l'altro,  norme
specifiche per l'emergenza rifiuti proprio nella Regione  Campania  e
in armonia con la disposizione regionale dell'originale  art.  32-bis
della l.r. n. 4/2007, per un  definitivo  trasferimento  di  funzioni
alle province, con il conseguente venir meno della figura consortile. 
    Il disegno regionale originale,  dunque,  coincideva  con  quello
espresso nell'art. 11, comma 2, del  decreto-legge  n.  195/2009,  il
quale prevede talune misure volte ad accelerare,  anche  al  fine  di
evitare soluzione di continuita' rispetto agli  atti  compiuti  nella
fase  emergenziale,  la  costituzione  e   l'avvio   delle   societa'
provinciali, mediante l'immediata assunzione da parte delle province,
anche per il tramite delle societa' provinciali, dell'intero ciclo di
gestione dei rifiuti. 
    Tali misure, nello specifico e per quanto qui  di  interesse,  si
concretizzano  inoltre  nella   facolta'   per   le   amministrazioni
provinciali, anche per il tramite delle societa' provinciali  stesse,
di subentrare nei  contratti  in  corso  con  soggetti  privati  «che
attualmente svolgono in tutto o in parte le attivita' di raccolta, di
trasporto, di trattamento, di  smaltimento  ovvero  di  recupero  dei
rifiuti. In alternativa, possono affidare il servizio in via di somma
urgenza, nonche' prorogare i contratti in cui sono subentrati per una
sola volta e per un periodo non superiore ad un anno con abbattimento
del 3 per cento del corrispettivo negoziale inizialmente previsto». 
    Con l'attuale versione  dell'art.  32-bis  l.r.  cit.  l'impianto
strategico previsto dallo Stato viene posto  nel  nulla,  atteso  che
l'ultrattivita' della figura consortile impedisce, ad  esempio,  alle
Province di intraprendere le sopra menzionate attivita'  di  gestione
del ciclo dei rifiuti. 
    E, ancora, il successivo comma 3, secondo periodo,  dell'articolo
11, del  decreto-legge,  recita  testualmente:  «Per  fronteggiare  i
relativi oneri finanziari, le societa' provinciali di cui alla  legge
della regione Campania 28 marzo 2007, n. 4, agiscono  sul  territorio
anche quali soggetti esattori della  tassa  per  lo  smaltimento  dei
rifiuti solidi urbani (TARSU) e della  tariffa  integrata  ambientale
(TIA)». 
    La «reviviscenza» dei consorzi, cosi' come sancita dal  novellato
art.  32-bis,  dunque,  fa  si'  che  risultino  non  praticabili  le
attivita' di cui al predetto comma 3, significando, al riguardo,  che
gli introiti derivanti dall'imposizione della TARSU e della  TIA  non
possano trovare utile allocazione nelle casse provinciali  (si  legga
anche societa' provinciali), bensi',  ancora  una  volta,  in  quelle
consortili, proprio in ragione delle  prestazioni  da  essi  consorzi
eseguite. Cio' comporta, di conseguenza, che le societa'  provinciali
non si trovino attualmente nelle condizioni, previste per  legge,  di
assumere la veste di soggetti esattori,  con  la  determinazione,  di
fatto, dell'inefficacia delle disposizioni di cui all'art. 11,  comma
3, del d.l. n. 195/2009. 
    Il successivo art. 12 del decreto-legge citato, poi, in  tema  di
riscossione  dei  crediti   nei   confronti   dei   comuni   campani,
testualmente dispone che: 
    «1. Per la sollecita riscossione da parte dei  Consorzi  operanti
nell'ambito del ciclo di gestione dei rifiuti dei crediti vantati nei
confronti dei comuni, e' autorizzata la conclusione tra le  parti  di
transazioni per l'abbattimento degli  oneri  accessori  dei  predetti
crediti. Sulla base delle previsioni di  cui  all'art.  32-bis  della
legge della regione Campania  28  marzo  2007,  n.  4,  e  successive
modificazioni, i presidenti delle province  della  regione  Campania,
con i poteri di cui all'art. 11, comma 1,  nominano,  entro  quindici
giorni dalla data di entrata  in  vigore  del  presente  decreto,  un
soggetto liquidatore per l'accertamento delle situazioni creditorie e
debitorie pregresse, facenti  capo  ai  consorzi,  ed  alle  relative
articolazioni societarie,  ricadenti  negli  ambiti  territoriali  di
competenza e per la successiva definizione di un  apposito  piano  di
liquidazione. 
      
    2. Le somme dovute dai comuni alla struttura del  sottosegretario
di Stato di cui all'art. 1  del  decreto-legge  n.  90  del  2008  in
relazione al ciclo di gestione dei rifiuti sono  recuperate  mediante
riduzione dei trasferimenti erariali, nonche' in sede  di  erogazione
di quanto dovuto per la compartecipazione al gettito IRPEF, e per  la
devoluzione del gettito d'imposta R.C. auto. A tale fine,  i  crediti
vantati  nei  confronti  dei  singoli  enti  sono  certificati  dalla
competente  missione  ai  fini   dell'attestazione   della   relativa
esistenza. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono
stabiliti  i  criteri  e  le  modalita'  per   l'applicazione   delle
disposizioni di cui al presente comma». 
    E' di  tutta  evidenza  come  la  richiamata  disposizione  muova
anch'essa dalla precedente versione dell'art. 32-bis della menzionata
legge regionale  del  2007  e  appronti  specifiche  misure  volte  a
consentire la sollecita riscossione da parte dei  consorzi,  operanti
nel ciclo di gestione dei rifiuti, dei crediti vantati nei  confronti
dei comuni. 
    L'intervento  della   legge   regionale   in   esame   impedisce,
chiaramente, che  vengano  portate  a  compimento  le  operazioni  di
rendicontazione e chiusura delle pendenze finanziarie  in  vista  del
trasferimento alle province, svuotando di significato la nomina di un
soggetto liquidatore. 
    Cio' detto, quindi, il legislatore  regionale  eccede  dalle  sue
competenze legislative,  ponendosi  in  contrasto  con  la  normativa
statale su richiamata e violando l'art. 117, secondo comma, lett. s),
della  Costituzione,   in   materia   di   tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema. 
VIII - In relazione all'art. 1, commi  da  83  a  91  della  l.r.  in
epigrafe: violazione dell'art. 117, secondo comma, lett. 1), Cost. 
    Devono,  infine,  essere  censurate  le  disposizioni   contenute
nell'art. 1, commi da 83 a 91, della l.r. in epigrafe, in materia  di
retribuzione ed anzianita' di servizio. 
    Le disposizioni in esame consentono ai dipendenti  del  Consiglio
regionale, della Giunta regionale  e  degli  enti  strumentali  della
regione Campania, con solo otto anni  di  anzianita'  lavorativa,  di
presentare domanda per la risoluzione del rapporto di lavoro per  gli
anni 2010 - 2011- 2012, dietro corresponsione a detto  personale,  da
parte della regione, di incentivi economici fino  ad  un  massimo  di
trentasei mensilita' per il personale non dirigente e fino ad massimo
di trenta mensilita' per il personale dirigenziale. 
    Cosi' disponendo, le norme incidono sulla materia del trattamento
economico riservate  alla  contrattazione  collettiva.  Ne  consegue,
pertanto, un contrasto con le disposizioni contenute nel  titolo  III
(Contrattazione collettiva e rappresentativita' sindacale), artt.  da
40 a 50, del  d.lgs.  n.  165/2001  che  obbliga  al  rispetto  della
normativa contrattuale e  delle  procedure  da  seguire  in  sede  di
contrattazione. 
    L'art. 1, commi da 83 a 91, della l.r. impugnata,  quindi,  viola
l'art. 117, lett.  l)  della  Costituzione,  il  quale  riserva  alla
competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento  civile  e,  quindi  i
rapporti di diritto privato regolabili dal codice  civile  (contratti
collettivi). 

        
      
 
                              P. Q. M. 
 
    Si chiede che, in  accoglimento  del  presente  ricorso,  codesta
ecc.ma Corte voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale  delle
norme impugnate della legge regionale 21 gennaio 2010, n. 2,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
della Regione Campania - Legge finanziaria anno 2010», pubblicata nel
B.U.R. n. 7 del 21 gennaio  2010,  ed  in  particolare  dell'art.  1,
commi, 1, 2, 12, 16, 25, da 55 a 63, 69,  da  83  a  91,  nei  limiti
indicati nel presente ricorso. 
        Roma, addi' 20 marzo 2010 
      
 
              L'Avvocato dello Stato: Danilo Del Gaizo 
 

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