Ricorso n. 51 dell'11 maggio 2015 (Regione Campania)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria l'11 maggio 2015 (della Regione Campania).
(GU n. 21 del 2015-05-27)
Ricorso della Regione Campania (c.f. …), in persona del
Presidente della Giunta regionale pro tempore, On. Dott. Stefano
Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi della delibera della Giunta
regionale n. 171 del 31 marzo 2015, giusta procura a margine del
presente atto, unitamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti Maria D'Elia
(c.f. …) e Almerina Bove (c.f. …)
dell'Avvocatura regionale, e dal Prof. Avv. Beniamino Caravita di
Toritto (c.f. …), del libero foro, ed elettivamente
domiciliata presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Campania
sito in Roma alla Via Poli, n. 29 (fax: …; pec abilitata:
…);
Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'articolo
4-bis, del d.l. 5 gennaio 2015, n. 1, avente ad oggetto «Disposizioni
urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale
in crisi e per lo sviluppo della citta' e dell'area di Taranto»,
introdotto dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale 5 marzo 2015, n. 53, per violazione degli articoli 77, 114,
secondo comma, 117, terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119,
121, 123 e 97 e 120 della Costituzione.
Fatto
Con decreto-legge n. 1 del 5 gennaio 2015, il Governo ha adottato
«Disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse
strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della citta' e
dell'area di Taranto». La legge di conversione n. 20/2015 ha
introdotto l'art. 4-bis, che statuisce: «All'articolo 43 della legge
24 dicembre 2012, n. 234, dopo il comma 9 e' inserito il seguente:
"9-bis. Ai fini della tempestiva esecuzione delle sentenze di
condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea ai sensi
dell'articolo 260, paragrafi 2 e 3, del Trattato sul funzionamento
dell'Unione europea, il fondo di rotazione per l'attuazione delle
politiche comunitarie di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile
1987, n. 183, e' autorizzato ad anticipare, nei limiti delle proprie
disponibilita', gli oneri finanziari derivanti dalle predette
sentenze, entro i termini di scadenza fissati dalle Istituzioni
europee. Il fondo di rotazione provvede al reintegro delle somme
anticipate mediante rivalsa a carico delle amministrazioni
responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di
condanna, sentite le stesse, anche con compensazione con le risorse
accreditate dall'Unione europea per il finanziamento di interventi
comunitari riguardanti iniziative a titolarita' delle stesse
amministrazioni e corrispondenti cofinanziamenti nazionali"».
La disposizione sopra richiamata consente dunque il recupero
delle somme necessarie a dare esecuzione alle sentenze di condanna
rese dalla Corte di giustizia europea, attraverso l'anticipazione
delle predette somme dal fondo di rotazione per l'attuazione delle
politiche comunitarie, mediante rivalsa a carico delle
amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato
la sentenza di condanna, «sentite le stesse».
Le richiamate disposizioni del decreto-legge n. 1 del 2015
risultano gravemente lesive delle prerogative della Regione
ricorrente, in quanto viziate da manifesta illegittimita'
costituzionale per i seguenti motivi di
Diritto
1. Illegittimita' dell'art. 4-bis del d.l. n. 1 del 2015, per
contrasto con gli articoli 114, secondo comma, 117, terzo comma, 118,
primo e secondo comma, 119, 121, 123 e 97 e 120 Cost.
Come visto nella parte in «fatto», l'art. 4-bis disciplina il
recupero, a valere sul Fondo di rotazione, delle somme erogate in
esecuzione di sentenze della Corte di Giustizia, prevedendo la
possibilita' per il Fondo di rivalersi sulle amministrazioni che
abbiano dato causa alla condanna sentite le stesse.
Ebbene, le disposizioni in esame, cosi' come formulate, appaiono
in primo luogo lesive degli art. 119 e 120 Cost.
L'art. 119, infatti, come noto, prevede che i Comuni, le
Province, le Citta' Metropolitane e le Regioni hanno autonomia di
entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi
bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli
economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione
europea.
Tale disposizione, dunque, garantisce piena autonomia finanziaria
alle regioni, autonomia che non puo' non tradursi anche nella
possibilita', per l'ente, di scegliere quali spese limitare a
vantaggio di altre.
Ed infatti, se secondo il costante orientamento di Codesta ecc.ma
Corte costituzionale, le norme statali recanti principi fondamentali
di coordinamento della finanza pubblica possono «porre obiettivi di
riequilibrio della medesima», ma non devono prevedere «in modo
esaustivo strumenti o modalita' per il perseguimento dei suddetti
obiettivi» (sentenze n. 284 e n. 237 del 2009) e devono lasciare alle
Regioni «la possibilita' di scegliere in un ventaglio di strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (sentenze n.
156 del 2010 e n. 341 e n. 237 del 2009), appare del tutto evidente
che tale principio debba essere esteso altresi' al caso in cui
l'obiettivo del legislatore sia assicurare l'osservanza dei vincoli
economici derivanti dalla partecipazione dell'Italia all'Unione
europea.
Pertanto, non puo' non ritenersi che il coinvolgimento della
Regione nel procedimento di rivalsa per quanto erogato a valere sul
Fondo di rotazione debba avere i caratteri dell'intesa in senso
forte, con la quale si stabiliscano le modalita' di restituzione
degli importi nonche' i termini per l'adempimento.
Differentemente, in assenza di un'intesa su questi profili, le
Regioni si vedrebbero spogliate autoritativamente di risorse
finanziarie destinate allo svolgimento di propri compiti
istituzionali, e che invece dovrebbero essere reindirizzate a scopi
differenti imposti dalla legge statale, cosi' incidendo
sull'autonomia organizzativa e sulla programmazione delle attivita'
regionali.
Le scelte di spesa compiute dall'ente territoriale risulterebbero
pertanto alterate, senza possibilita' di dar preferenza a determinati
tagli piuttosto che ad altri, ridondando altresi' nella violazione
dell'art. 97 Cost.
Del resto, la necessita' di un'intesa di tale tipo e' confermata
dalla formulazione dei commi precedenti a quello qui in esame. In
particolare, il comma 6 dell'art. 43 della legge n. 234/2012 prevede
che «La misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa,
comunque non superiore complessivamente agli oneri finanziari di cui
ai commi 3 e 4, e' stabilita con decreto del Ministro dell'economia e
delle finanze da adottare entro tre mesi dalla notifica, nei
confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna della
Repubblica italiana. Il decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati e
reca la determinazione dell'entita' del credito dello Stato nonche'
l'indicazione delle modalita' e dei termini del pagamento, anche
rateizzato. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non
ancora liquidi, possono essere adottati piu' decreti del Ministro
dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del
credito dello Stato». A sua volta, il comma 7 stabilisce che «I
decreti ministeriali di cui al comma 6, qualora l'obbligato sia un
ente territoriale, sono emanati previa intesa sulle modalita' di
recupero con gli enti obbligati. Il termine per il perfezionamento
dell'intesa e' di quattro mesi decorrenti dalla data della notifica,
nei confronti dell'ente territoriale obbligato, della sentenza
esecutiva di condanna della Repubblica italiana. L'intesa ha ad
oggetto la determinazione dell'entita' del credito dello Stato e
l'indicazione delle modalita' e dei termini del pagamento, anche
rateizzato. Il contenuto dell'intesa e' recepito, entro un mese dal
perfezionamento, con provvedimento del Ministero dell'economia e
delle finanze, che costituisce titolo esecutivo nei confronti degli
obbligati. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non
ancora liquidi, possono essere adottati piu' provvedimenti del
Ministero dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo
maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento
disciplinato nel presente comma».
Da ultimo, il comma 8 dispone che «In caso di mancato
raggiungimento dell'intesa, all'adozione del provvedimento esecutivo
indicato nel comma 7 provvede il Presidente del Consiglio dei
Ministri, nei successivi quattro mesi, sentita la Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, e successive modificazioni. In caso di oneri finanziari
a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati
piu' provvedimenti del Presidente del Consiglio dei Ministri in
ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il
procedimento disciplinato nel presente comma».
Come si vede, dunque, differentemente dal comma 9-bis introdotto
dal d.l. n. 1 del 2015, i commi precedenti, ed in particolare il
comma 7, si esprimono in termini di intesa. Non si vede, dunque,
secondo quale logica gli enti territoriali possano essere coinvolti
in termini di intesa quando il procedimento di rivalsa passi per il
Ministero dell'economia, e invece solo «sentiti» quando a rivalersi
sia il Fondo di rotazione che abbia anticipato le somme dovute
all'Unione europea. L'irragionevole - anche alla luce dei commi
precedenti - formulazione del comma 9-bis, introdotto con l'art.
4-bis del d.l. n. 1 del 2015, lede, pertanto, altresi' il principio
di leale collaborazione sancito dall'art. 120 Cost., in virtu' del
quale la coesistenza di diversi livelli di governo sul territorio
comporta inevitabilmente la necessita' di individuare forme di
collaborazione e di concertazione, al fine di evitare ogni
possibilita' di insorgenza di conflitti sul piano amministrativo.
Ed infatti, come sancito dalla costante e pacifica giurisprudenza
di codesta Ecc.ma Corte costituzionale, «il principio di leale
collaborazione deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono
tra Stato e Regioni: la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo
rendono particolarmente idoneo a regolare in modo dinamico i rapporti
in questione, attenuando i dualismi ed evitando eccessivi
irrigidimenti. La genericita' di questo parametro, se utile per i
motivi sopra esposti, richiede tuttavia continue precisazioni e
concretizzazioni. Queste possono essere di natura legislativa,
amministrativa o giurisdizionale, a partire dalla ormai copiosa
giurisprudenza di questa Corte» (Corte cost., sent. n. 31 del 2006).
Il rispetto di tale principio generale richiede dunque, nel caso
di specie, l'osservanza di un dovere di cooperazione istituzionale
che si esprime attraverso l'intesa ai sensi dell'art. 8, comma 6,
della legge n. 131/2003, adottata in sede di Conferenza Stato-Regioni
o di Conferenza Unificata, luoghi che rappresentano le sedi di
confronto tra i differenti livelli di governo territoriale.
Peraltro, nemmeno potrebbe invocarsi, per giustificare la mera
consultazione della Regione, il rilievo degli interessi menzionati
nella legge statale, e dunque la dichiarata esigenza - nel caso in
esame - di evitare un grave danno all'erario.
Codesto ecc.mo Collegio ha infatti avuto modo di chiarire come
«Il rilievo nazionale degli interessi menzionati nella norma
censurata non e' da solo sufficiente a rendere legittimo il
superamento dei limiti alla potesta' legislativa dello Stato e delle
Regioni fissati dal riparto costituzionale delle competenze», ed
altresi' che la Costituzione non consente "che una situazione di
necessita' «possa legittimare lo Stato ad esercitare funzioni
legislative in modo da sospendere le garanzie costituzionali di
autonomia degli enti territoriali [...].» (Corte cost., sent. n. 39
del 2013).
Alla luce di tutto quanto sopra, le disposizioni si pongo in
contrasto con gli articoli 119 e 120 Cost., e devono pertanto essere
dichiarate illegittime.
2. Illegittimita' dell'art. 4-bis del d.l. n. 1 del 2015, per
contrasto con l'articolo 77 Cost.
Sotto diverso profilo, occorre rilevare che le disposizioni
contenute nell'art. 4-bis sono state introdotte dalla legge di
conversione n. 20 del 2015 al d.l. n. 1 del 2015, recante
«Disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse
strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della citta' e
dell'area di Taranto», e integrano pertanto un emendamento del tutto
disomogeneo con il contenuto e le finalita' del menzionato
decreto-legge.
A tal proposito, e' in primo luogo opportuno ribadire che codesta
ecc.ma Corte, con giurisprudenza costante, ha ritenuto ammissibili le
questioni di legittimita' costituzionale prospettate da una Regione
nell'ambito di un giudizio in via principale anche in riferimento a
parametri diversi da quelli contenuti nel Titolo V della Costituzione
riguardanti il riparto di competenze tra lo Stato e le Regioni,
quando la violazione ridondi su tali competenze o in generale
sull'autonomia regionale.
In particolare, con riferimento all'art. 77 Cost., codesta ecc.ma
Corte ha spesso ribadito «che le Regioni possono impugnare un
decreto-legge per motivi attinenti alla pretesa violazione del
medesimo art. 77, "ove adducano che da tale violazione derivi una
compressione delle loro competenze costituzionali" (sentenza n. 6 del
2004)» (Corte cost., sent. n. 22 del 2012).
Ed infatti, attraverso l'utilizzo dello strumento del
decreto-legge, lo Stato vincola le Regioni utilizzando uno strumento
improprio, ammesso dalla Costituzione per esigenze del tutto diverse.
Inoltre, l'approvazione di una disposizione attraverso la corsia
accelerata della legge di conversione pregiudica la possibilita' per
le regioni di rappresentare le proprie esigenze nel corso del
procedimento legislativo.
In secondo luogo, e' appena il caso di ricordare come la
giurisprudenza costituzionale abbia ripetutamente sostenuto
l'inammissibilita' degli emendamenti disomogenei inseriti durante la
procedura di conversione per «difetto di omogeneita'», ovvero per la
mancanza di un «nesso funzionale tra le disposizioni del
decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di
conversione» (Corte cost., sent. nn. 22 del 2012 e 32 del 2014).
Ed infatti, il presupposto del «caso» straordinario di necessita'
e urgenza inerisce sempre e soltanto al provvedimento inteso come un
tutto unitario, ovvero un atto normativo fornito di intrinseca
coerenza delle norme in esso contenute, o dal punto di vista
oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico.
Pertanto, la semplice immissione di una disposizione nel corpo di
un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale
a trasmettere, per cio' solo, alla stessa il carattere di urgenza
proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di
oggetto o di finalita'.
Con particolare riferimento alla natura della legge di
conversione, codesta ecc.ma Corte ha poi ritenuto che tale
provvedimento normativo debba essere inteso come «legge a competenza
tipica», che non puo' ospitare qualsiasi contenuto ulteriore ma deve
esclusivamente rimanere entro il novero degli oggetti normativi
individuati originariamente nel decreto-legge.
Pertanto, l'aggiunta di ogni altra norma che non rientrasse nel
perimetro segnato dalle norme originarie importerebbe un uso
improprio del potere di conversione, interrompendo quel «legame
essenziale tra decreto-legge e legge di conversione, presupposto
dalla sequenza delineata dall'art. 77, secondo comma, Cost.».
In tali circostanze, si determina un «vizio procedurale
peculiare» che colpisce le stesse norme eterogenee e che spetta alla
Corte costituzionale stessa accertare - in relazione
all'apprezzamento politico operato dal Governo e controllato dal
parlamento -, attraverso un «esame del contenuto sostanziale delle
singole disposizioni aggiunte in sede parlamentare poste a raffronto
con l'originario decreto-legge». All'esito di tale esame le eventuali
disposizioni «intruse» risulteranno «affette da vizio di formazione,
per violazione dell'art. 77 Cost., mentre saranno fatte salve tutte
le componenti dell'atto che si pongano in linea di continuita'
sostanziale, per materia o per finalita', con l'originario
decreto-legge» (Sent. n. 32/2014).
Tale orientamento costituzionale afferma chiaramente che
l'esclusione della possibilita' di inserire nella legge di
conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei
all'oggetto e alle finalita' del testo originario non risponde a mere
esigenze di «buona tecnica normativa», ma e' imposto dallo stesso
art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce «un nesso di
interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed
emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione,
caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto
a quello ordinario». La facolta' di emendamento, pertanto, trova un
preciso limite nella impossibilita' di interrompere la sequenza
tipica prevista dall'art. 77, secondo comma, Cost. Qualora venisse
spezzato il nesso di «interrelazione funzionale» esistente tra le
norme del decreto-legge e della legge di conversione si produrrebbe
un vizio radicale nella formazione della legge conversione per
«carenza» dei suoi presupposti, e non per mancanza dei requisiti di
necessita' ed urgenza.
Orbene, con specifico riferimento al caso di specie, risulta del
tutto evidente la disomogeneita' dell'emendamento inserito dalla
legge n. 20/2015.
In sede di conversione del d.l. che reca «disposizioni urgenti
per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi
e per lo sviluppo della citta' e dell'aree di Taranto», infatti, la
disposizione normativa - che contiene numerose disposizioni inerenti
alle imprese che gestiscano stabilimenti industriali, ed in
particolar modo a quelle adiacenti la zona di Taranto -, in maniera
del tutto disomogenea e incoerente, provvede ad inserire altresi' la
disciplina di carattere generale del Fondo di rotazione per
l'attuazione delle politiche comunitarie.
Tale intervento risulta evidentemente estraneo alla finalita'
generale e al carattere strutturale della modifica normativa
introdotta in sede di conversione del richiamato decreto di
straordinaria necessita' e urgenza, e deve pertanto essere dichiarato
illegittimo per violazione dell'art. 77 Cost.
P.Q.M.
La Regione Campania, come sopra rappresentata e difesa, chiede
che codesta ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso,
voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'articolo
4-bis, del d.l. 5 gennaio 2015, n. 1, per violazione degli artt. 77,
114, secondo comma, 117, terzo comma, 118, primo e secondo comma,
119, 121, 123 e 97 e 120 della Costituzione.
Roma-Napoli, 4 maggio 2015
Prof. Avv. Beniamino Caravita di Toritto
Avv. Maria D'Elia
Avv. Almerina Bove