N. 52 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 6 maggio 2004.
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 6 maggio 2004 (della Regione Friuli-Venezia Giulia)
(GU n. 26 del 7-7-2004)

Ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia, in persona del
presidente della giunta regionale pro tempore Riccardo Illy,
autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 986 del 22
aprile 2004 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da mandato a
margine del presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di
Padova, con domicilio eletto in Roma presso l'ufficio di
rappresentanza della regione, piazza Colonna, 355;
Contro il Presidente del Consiglio dei ministri per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 7, 10,
12, 13 e 15 del d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, Definizione delle
norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo
dell'istruzione, a norma dell'art. 1 della legge 28 marzo 2003,
n. 53, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 51 del 2 marzo 2004 -
S.O. n. 31, nelle parti di seguito precisate, per violazione:
dell'art. 117, comma 3 e 6, e dell'art. 118 Cost., in
relazione all'art. 10 legge cost. n. 3 del 2001;
del principio di leale collaborazione, nei modi e per i
profili di seguito indicati.

Fatto

Lo statuto speciale per il Friuli-Venezia Giulia prevede una
potesta' legislativa della regione in materia di «scuole materne;
istruzione elementare; media; classica; scientifica; magistrale;
tecnica ed artistica» (art. 6, n. 1). Si tratta pero' di una potesta'
meramente integrativa-attuativa, che inoltre non sembra avere avuto
nelle norme di attuazione significativi svolgimenti.
Si puo' quindi ritenere applicabile alla Regione Friuli-Venezia
Giulia - in virtu' della clausola di «piu' ampia autonomia»
dell'art. 10 legge cost. n. 3/2001 - l'art. 117, comma 3, Cost.,
nella parte in cui esso attribuisce alle regioni ordinarie la
potesta' legislativa in materia di istruzione, sia pure «salva
l'autonomia delle istituzioni scolastiche», ed ovviamente
(trattandosi appunto di potesta' concorrente) nel rispetto dei
principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. La regione
agisce dunque per ottenere il riconoscimento e soprattutto il
rispetto, da parte del legislatore, della potesta' legislativa
concorrente ad essa spettante.
Con l'art. 1, comma 1, legge 28 marzo 2003, n. 53, il Parlamento
ha delegato il Governo ad «adottare,... nel rispetto delle competenze
costituzionali delle regioni e di comuni e province, in relazione
alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali, e
dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, uno o piu' decreti
legislativi per la definizione delle norme generali sull'istruzione e
dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e
di istruzione formazione professionale» (enfasi aggiunta).
La legge n. 53 del 2003, dunque, richiamava espressamente due
titoli di competenza statale «esclusiva», previsti dall'art. 117,
comma 2, lett. m) e n).
E' chiaro, pero', che, per mantenere il senso della distinzione
fra le «norme generali» di cui all'art. 117, comma 2, e i «principi
fondamentali» di cui all'art. 117, comma 3, evitando di svuotare la
competenza regionale concorrente (tenendo conto anche dell'autonomia
delle istituzioni scolastiche), occorre individuare la categoria
delle norme «generali» come quella delle norme basilari per
l'ordinamento dell'istruzione, cioe' quelle che disciplinano i cicli
e la loro durata, le finalita', gli esami finali, la liberta' di
insegnamento e altri istituti di pari importanza.
In effetti, anche se sin qui codesta ecc.ma Corte costituzionale
non ha avuto ragione di definire «interamente le rispettive sfere di
applicazione e il tipo di rapporto tra le norme generali
sull'istruzione e i "principi fondamentali", le prime di competenza
esclusiva dello Stato ed i secondi destinati a orientare le regioni
chiamate a svolgerli» (sent. n. 13/2004), purtuttavia con la medesima
sent. n. 13/2004 essa ha ritenuto certo che nell'ambito della
legislazione regionale rientri la programmazione, l'organizzazione e
la gestione del servizio scolastico (ed in particolare, la
distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, «che
certamente non e' materia di norme generali sulla istruzione,
riservate alla competenza esclusiva dello Stato, in quanto
strettamente connessa alla programmazione della rete scolastica»):
osservando, fra l'altro, che gia' prima della legge cost. n. 3 del
2001, il d.lgs. n. 112 del 1998 aveva attribuito (seppur per delega,
visto l'art. 117 Cost. all'epoca vigente) diverse funzioni alle
regioni in materia di «programmazione e gestione amministrativa del
servizio scolastico», intesi come «l'insieme delle funzioni e dei
compiti volti a consentire la concreta e continua erogazione del
servizio di istruzione» (art. 136).
Invece, come si dira', il d.lgs. n. 59/2004, nell'attuare la
legge di delega n. 53 del 2003, ha regolato la materia non solo nelle
sue norme generali, ma semplicemente come se le regioni non avessero
alcuna significativa competenza in materia di istruzione.
Gia' nella fase di formazione del decreto alcune regioni hanno
avanzato diverse censure, riassunte in un allegato (doc. 2) del
verbale della seduta della Conferenza unificata del 10 dicembre 2003.
Ma diverse norme lesive delle competenze costituzionali regionali
sono rimaste anche nella versione finale del decreto legislativo.
E' da precisare innanzi tutto che il decreto contiene anche una
clausola di salvaguardia per le autonomie speciali secondo cui «sono
fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle
Province autonome di Trento e Bolzano in conformita' ai rispettivi
statuti e relative norme di attuazione, nonche' alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». Ma si tratta di clausola del
tutto generica, che non vale certo a contrastare le specifiche norme
che disciplinano la materia in modo lesivo per le regioni.
Paradossalmente, si «fa salvo» per le sole regioni speciali anche
quanto disposto per le regioni ordinarie, ed in virtu' del predetto
art. 10 «girato» alle speciali: ma in realta' e' proprio la
competenza concorrente delle regioni ordinarie, e di riflesso della
ricorrente Friuli-Venezia Giulia, ad essere violata.
Il d.lgs. n. 59/2004 comprende cinque capi e quattro allegati. Il
capo I e' dedicato alla scuola dell'infanzia, il secondo contiene un
unico articolo sul Primo ciclo di istruzione, il terzo disciplina la
scuola primaria, il quarto la scuola secondaria di primo grado ed il
quinto detta le Norme finali e transitorie.
In particolare, l'art. 7 regola le Attivita' educative e
didattiche della scuola primaria. Il comma 1 dispone che, «al fine di
garantire l'esercizio del diritto-dovere di cui all'art. 4, comma 1,
l'orario annuale delle lezioni nella scuola primaria, comprensivo
della quota riservata alle regioni, alle istituzioni scolastiche
autonome e all'insegnamento della religione cattolica in conformita'
alle norme concordatarie di cui all'art. 3, comma 1, ed alle
conseguenti intese, e' di 891 ore, oltre a quanto previsto al comma
2».
Questo prevede che «le istituzioni scolastiche, al fine di
realizzare la personalizzazione del piano di studi, organizzano,
nell'ambito del piano dell'offerta formativa, tenendo conto delle
prevalenti richieste delle famiglie, attivita' e insegnamenti,
coerenti con il profilo educativo, per ulteriori 99 ore annue, la cui
scelta e' facoltativa e opzionale per gli allievi e la cui frequenza
e' gratuita».
Infine, il comma 4 stabilisce che «allo scopo di garantire le
attivita' educative e didattiche, di cui ai commi 1 e 2, nonche'
l'assistenza educativa da parte del personale docente nel tempo
eventualmente dedicato alla mensa e al dopo mensa fino ad un massimo
di 330 ore annue, fermo restando il limite del numero complessivo dei
posti di cui all'art. 15, e' costituito l'organico di istituto». Lo
stesso comma 4 dispone ancora che «per lo svolgimento delle attivita'
e degli insegnamenti di cui al comma 2, ove essi richiedano una
specifica professionalita' non riconducibile al profilo professionale
dei docenti della scuola primaria, le istinzioni scolastiche
stipulano, nei limiti delle risorse iscritte nei loro bilanci,
contratti di prestazione d'opera con esperti, in possesso di titoli
definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita' e
della ricerca, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica».
Il comma 5 regola la figura dell'insegnante tutor: Dopo aver
riconosciuto che «l'organizzazione delle attivita' educative e
didattiche rientra nell'autonomia e nella responsabilita' delle
istituzioni scolastiche, fermo restando che il perseguimento delle
finalita' di cui all'art. 5, assicurato dalla personalizzazione dei
piani di studio, e' affidato ai docenti responsabili delle attivita'
educative e didattiche, previste dai medesimi piani di studio», si
aggiunge che «a tale fine concorre prioritariamente, fatta salva la
contitolarita' didattica dei docenti, per l'intera durata del corso,
il docente in possesso di specifica formazione che, in costante
rapporto con le famiglie e con il territorio, svolge funzioni di
orientamento in ordine alla scelta delle attivita' di cui al comma 2,
di tutorato degli allievi, di coordinamento delle attivita' educative
e didattiche, di cura delle relazioni con le famiglie e di cura della
documentazione del percorso formativo compiuto dall'allievo, con
l'apporto degli altri docenti».
Questo particolare docente «assicura, nei primi tre anni della
scuola primaria, un'attivita' di insegnamento agli alunni non
inferiore alle 18 ore settimanali» (comma 6).
Norme del tutto corrispondenti sono dettate dall'art. 10 per la
scuola secondaria di primo grado.
L'art. 12 detta norme transitorie per la Scuola dell'infanzia.
Esso dispone che «nell'anno scolastico 2003-2004 possono essere
iscritti alla scuola dell'infanzia, in forma di sperimentazione,
volta anche alla definizione delle esigenze di nuove professionalita'
e modalita' organizzative, le bambine e i bambini che compiono i tre
anni di eta' entro il 28 febbraio 2004, compatibilmente con la
disponibilita' dei posti, la recettivita' delle strutture, la
funzionalita' dei servizi e delle risorse finanziarie dei comuni,
secondo gli obblighi conferiti dall'ordinamento e nel rispetto dei
limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilita», e che
«alle stesse condizioni e modalita', per gli anni scolastici
successivi puo' essere consentita un'ulteriore, graduale
anticipazione, fino al limite temporale di cui all'art. 2» (in base
al quale «alla scuola dell'infanzia possono essere iscritti le
bambine e i bambini che compiono i tre anni di eta' entro il 30
aprile dell'anno scolastico di riferimento»).
La competenza in materia e' attribuita al Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, che «provvede, con
proprio decreto, sentita l'Associazione nazionale dei comuni d'Italia
(ANCI), salvo quanto previsto all'art. 7, comma 4, della legge 28
marzo 2003, n. 53, a modulare le anticipazioni, garantendo comunque
il rispetto del limite di spesa di cui all'art. 18». Si ricorda che
l'art. 7, comma 4, legge n. 53/2003 prevede che «per gli anni
scolastici 2003-2004, 2004-2005 e 2005-2006 possono iscriversi,
secondo criteri di gradualita' e in forma di sperimentazione,
compatibilmente con la disponibilita' dei posti e delle risorse
finanziarie dei comuni, secondo gli obblighi conferiti
dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti posti alla finanza
comunale dal patto di stabilita', al primo anno della scuola
dell'infanzia i bambini e le bambine che compiono i tre anni di eta'
entro il 28 febbraio 2004, ovvero entro date ulteriormente
anticipate, fino alla data del 30 aprile di cui all'art. 2, comma 1,
lettera e)» (dunque, l'art. 12 d.lgs. n. 59/2004, fra l'altro, non
rispetta il termine del 2006 posto per la fine della sperimentazione
dalla legge di delega).
L'art. 12, comma 2, dispone poi che, «al fine di armonizzare il
passaggio al nuovo ordinamento, fino all'emanazione del relativo
regolamento governativo, si adotta in via transitoria l'assetto
pedagogico, didattico ed organizzativo individuato nell'allegato A».
L'allegato A reca le «Indicazioni nazionali per i piani
personalizzati delle attivita' educative nelle scuole dell'infanzia»
e subito esso precisa che «le Indicazioni esplicitano i livelli
essenziali di prestazione a cui tutte le Scuole dell'infanzia del
Sistema Nazionale di Istruzione sono tenute per garantire il diritto
personale, sociale e civile all'istruzione e alla formazione di
qualita». In realta' esso rappresenta (come gli altri allegati) un
curioso documento che mescola indicazioni di tipo tecnico-pedagogico
(alle quali e' stato inopinatamente attribuito rango legislativo) con
norme di tipo organizzativo (come quelle relative al c.d. portfolio
delle competenze individuali e quelle recanti i Vincoli
organizzativi, poste alla fine dell'allegato).
Si noti, per di piu', che la determinazione in via transitoria
dell'assetto pedagogico, didattico ed organizzativo da parte del
decreto legislativo non era prevista dalla delega.
L'art. 12, comma 2, tra l'altro, si riferisce genericamente ad un
«regolamento»: si tratta, verosimilmente, di quello di cui
all'art. 7, comma 1, legge n. 53/2003, secondo cui «mediante uno o
piu' regolamenti da adottare a norma dell'art. 117, sesto comma,
della Costituzione e dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto
1988, n. 400, sentite le Commissioni parlamentari competenti, nel
rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, si provvede:
a) alla individuazione del nucleo essenziale dei piani di
studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi
specifici di apprendimento, alle discipline e alle attivita'
costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai
limiti di flessibilita' interni nell'organizzazione delle discipline;
b) alla determinazione delle modalita' di valutazione dei
crediti scolastici;
c) alla definizione degli standard minimi formativi,
richiesti per la spendibilita' nazionale dei titoli professionali
conseguiti all'esito dei percorsi formativi, nonche' per i passaggi
dai percorsi formativi ai percorsi scolastici».
Analogamente all'art. 12, l'art. 13, comma 1, attribuisce al
Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca la
«gestione» delle anticipazioni delle iscrizioni alla scuola primaria,
«fino al limite temporale previsto dall'art. 6, comma 2» (in base al
quale «possono essere iscritti al primo anno della scuola primaria
anche le bambine e i bambini che compiono i sei anni di eta' entro il
30 aprile dell'anno scolastico di riferimento»), e sempre l'art. 13,
comma 3, dispone che, «al fine di armonizzare il passaggio al nuovo
ordinamento, l'avvio dei primo ciclo di istruzione ha carattere di
gradualita», e che, «fino all'emanazione del relativo regolamento
governativo, si adotta, in via transitoria, l'assetto pedagogico,
didattico e organizzativo individuato nell'allegato B, facendo
riferimento al profilo educativo, culturale e professionale
individuato nell'allegato D».
Infine, l'art. 15 stabilisce che, «al fine di realizzare le
attivita' educative di cui all'art. 7, commi 1, 2 e 3, e all'art. 10,
commi 1, 2 e 3, e' confermato in via di prima applicazione, per
l'anno scolastico 2004-2005, il numero dei posti attivati
complessivamente a livello nazionale per l'anno scolastico 2003-2004
per le attivita' di tempo pieno e di tempo prolungato ai sensi delle
norme previdenti», aggiungendo che, «per gli anni successivi,
ulteriori incrementi di posti, per le stesse finalita', possono
essere attivati nell'ambito della consistenza dell'organico
complessivo dei personale docente dei corrispondenti ordini di scuola
determinata con il decreto del Ministro dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, di cui all'art. 22, comma 2, della
legge 28 dicembre 2001, n. 448».
Le norme ora ricordate si rivelano lesive delle competenze
costituzionali della Regione Friuli-Venezia Giulia per le seguenti
ragioni di

Diritto

1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, 2, primo
periodo, e 4, primo periodo, e dell'art. 10, commi 1, 2, primo
periodo, e 4, primo periodo per violazione dell'art. 117, comma 3,
Cost. (in collegamento con l'art. 10 legge cost. n. 3/2001).
Come visto, l'art. 7 si occupa della scuola primaria e l'art. 10
della scuola secondaria di primo grado. Il comma 1 di entrambe le
disposizioni fissa «l'orario annuale delle lezioni..., comprensivo
della quota riservata alle regioni, alle istituzioni scolastiche
autonome», nella misura fissa di 891 ore. A queste ore si aggiungono
ulteriori 99 ore annue (per la scuola primaria) e 198 ore annue (per
la scuola secondaria di primo grado) di «attivita' e insegnamenti»
facoltativi, organizzati dalle scuole al fine di realizzare la
personalizzazione del piano di studi.
Il comma 4, poi, definisce anche il tempo dedicato «alla mensa e
al dopo mensa», ponendo il limite massimo di 330 ore annue (art. 7) e
di 231 ore annue (art. 10). Dunque, mentre per la scuola
dell'infanzia l'art. 3 stabilisce che l'orario annuale delle
attivita' educative «si diversifica da un minimo di 875 ad un massimo
di 1700 ore, a seconda dei progetti educativi delle singole scuole
dell'infanzia, tenuto conto delle richieste delle famiglie», per la
scuola primaria e secondaria di primo grado il d.lgs. n. 59/2004 non
lascia nessun margine di scelta ne' alle regioni ne' alle scuole,
direttamente prescrivendo un orario fisso sia per le lezioni
obbligatorie sia per le attivita' facoltative. La regione ritiene
debba escludersi che il vincolo rigido nella fissazione dell'orario
annuale delle attivita' educative possa giustificarsi sulla base
dell'art. 117, comma 2, lett. n) (si e' gia' detto quale dovrebbe
essere l'ambito delle «norme generali»); e' qui da aggiungere che le
norme in questione non possono neppure considerarsi «principi
fondamentali» in materia di istruzione (del resto, dato il contenuto
della delega, il Governo si sarebbe in ogni caso dovuto limitare a
dettare le nome generali). Come ha precisato codesta Corte, i
«principi fondamentali» in materia di istruzione hanno la funzione di
«orientare le regioni chiamate a svolgerli»: ma la fissazione di un
«monte ore» fisso non richiede ne' consente alcuno svolgimento da
parte delle regioni e delle scuole, alle quali e' tolta ogni
discrezionalita' nell'organizzare le attivita' educative, sia
obbligatorie che facoltative.
I commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo, di entrambe le
disposizioni, dunque, sono illegittimi nella parte in cui fissano con
precisione l'orario annuale perche' pongono norme di dettaglio in
materia di competenza concorrente, e vincolano ad esse.
Si noti, poi, che la fissazione in dettaglio dell'orario riguarda
anche la «quota riservata alle regioni», cioe' la quota «relativa
agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con
le realta' locali», di cui all'art. 2, comma 1, lett. l), legge
n. 53/2003. E' addirittura paradossale che neppure per la propria
quota di piano di studi alle regioni sia consentito di esprimere una
opzione in relazione all'orario di lezioni.
Addirittura, il comma 4 (sia dell'art. 7 che dell'art. 10) fissa
un limite massimo anche per il tempo dedicato alla mensa e al dopo
mensa: in questo caso, l'interferenza con l'organizzazione del
servizio scolastico, di competenza regionale e delle scuole, sembra
particolarmente evidente, cosi' come il carattere dettagliato della
disposizione.
E' chiaro che la fissazione degli orari e' legata anche alla
determinazione dell'organico: ma anche nell'attuale situazione - che
non appare certo armonizzata con i principi della competenza
concorrente - in cui la determinazione dell'organico spetta allo
Stato (v. art. 221, legge n. 448/2001), alle regioni e alle scuole
compete un margine di discrezionalita' nella fissazione dell'orario
(pur nell'ovvio rispetto delle esigenze di organico) che non puo'
essere eliminato.
Di piu', sembra evidente che di queste esigenze si puo' tenere
conto in modo del tutto adeguato - nel pieno rispetto anche del
principio di sussidiarieta' - proprio a livello regionale, sulla base
del decreto di ripartizione dell'organico fra le regioni di cui
all'art. 22, comma 2, legge n. 448/2001; e che invece una norma
statale che cristallizza l'orario, a prescindere dai mutamenti futuri
dell'organico (previsti dallo stesso d.lgs. n. 59/2004, all'art. 15)
risulta uno strumento oltretutto troppo rigido.
Fra l'altro, l'orario delle lezioni, della mensa e del dopo mensa
dovrebbe poter variare anche in base alla quantita' di richieste di
attivita' opzionali di cui all'art. 7, comma 2, e all'art. 10, comma
2.
2. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 4, secondo
periodo, e dell'art. 10, comma 4, secondo periodo, per violazione
dell'art. 117, comma 3, Cost. e del principio di leale
collaborazione.
Anche l'art. 7, comma 4, e l'art. 10, comma 4, sono disposizioni
di dettaglio in materia di competenza concorrente, che regolano,
senza lasciare spazio alle regioni e alle scuole, il modo in cui far
fronte all'eventualita' in cui le attivita' educative opzionali
richiedano una specifica professionalita' non reperibile fra i
docenti delle scuole stesse.
Oltre all'art. 117, comma 3, le norme in questione violano anche
il principio di leale collaborazione perche' prevedono che, nei casi
di cui sopra, «le istituzioni scolastiche stipulano, nei limiti delle
risorse iscritte nei loro bilanci, contratti di prestazione d'opera
con esperti, in possesso di titoli definiti con decreto del Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il
Ministro per la funzione pubblica».
Le norme impugnate attengono sia all'istruzione sia alle
professioni, ed in entrambi i casi si tratta di materie di competenza
concorrente. La definizione dei titoli degli «esperti» puo'
considerarsi - almeno nella determinazione di requisiti minimi -
funzione sorretta da esigenze unitarie: ma si tratta pur sempre di
una regolazione interna alla materia regionale, ed essa, in base alla
sent. n. 303/2003, dovrebbe comunque essere svolta previa intesa con
la Conferenza Stato-regioni.
3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 5, secondo
periodo, e comma 6, e dell'art. 10, comma 5, secondo periodo, per
violazione dell'art. 117, comma 3, Cost.
Come esposto in narrativa, l'art. 7, comma 5, e l'art. 10, comma
5, disciplinano la figura dell'insegnante «tutor».
Anche in questo caso si tratta di disposizioni dettagliate (per
giunta integrate da quanto dispongono gli allegati b) e c), che
regolano i vari compiti del docente tutor senza lasciare spazio
neppure ad una normativa attuativa regionale.
Per rispettare il quadro costituzionale delle competenze, lo
Stato si sarebbe dovuto limitare ad indicare la possibilita' per le
regioni o per le scuole di istituire questa figura, senza imporla. La
sua presenza, infatti, non puo' essere considerata un «principio
fondamentale» in materia di istruzione: si tratta di una specifica
soluzione organizzativa di un problema - quello della specifica e
continua attenzione al singolo studente - che ne ammette molte, e che
allo stato attuale costituisce oggetto di sperimentazione.
La migliore soluzione dipende in concreto da molti fattori
(bisogni e condizioni degli studenti, disponibilita' di docenti e di
eventuali risorse esterne, orientamenti pedagogici e disponibilita'
di competenze), che variano anche da scuola a scuola.
Anche in questo caso, invece, il Governo ha agito come se le
regioni non avessero alcun ruolo nella materia, ne' le scuole stesse
alcuna autonomia.
Particolarmente lesivo pare l'art. 7, comma 6, che fissa una
quantita' minima di ore di «insegnamento agli alunni» a carico del
tutor (esso e' integrato, in via transitoria, dall'allegato B, in
base al quale il tutor «svolge attivita' educative e didattiche in
presenza con l'intero gruppo di allievi che gli e' stato affidato per
l'intero quinquennio, per un numero di ore che oscillano da 594 a 693
su 891 annuali»): e' chiaro anche qui il carattere non di «principio
fondamentale» della norma, che interferisce con l'organizzazione
dell'orario degli insegnanti all'interno di ciascuna scuola,
limitando fortemente l'autonomia delle scuole e pregiudicando la
competenza legislativa regionale.
4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 1, ult.
periodo, e 13, comma 1, secondo periodo, per violazione
dell'art. 117, comma 3, e dell'art. 118 Cost. e del principio di
leale collaborazione.
Come sopra esposto, l'art. 12 e l'art. 13 dettano norme
transitorie in relazione alla scuola dell'infanzia e alla scuola
primaria. I commi 1 delle due disposizioni si occupano delle
anticipazioni delle iscrizioni.
In relazione a cio' l'art. 2, comma 1, lett. e), della legge
delega n. 53/2003 ha stabilito che «alla scuola dell'infanzia possono
essere iscritti secondo criteri di gradualita' e in forma di
sperimentazione le bambine e i bambini che compiono i 3 anni di eta'
entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento, anche in
rapporto all'introduzione di nuove professionalita' e modalita'
organizzative»; l'art. 2, comma 1, lett. f), per parte sua, ha
previsto che «alla scuola primaria... possono iscriversi anche le
bambine e i bambini che li compiono [i 6 anni] entro il 30 aprile
dell'anno scolastico di riferimento».. La legge delega non precisava,
per la scuola dell'infanzia, chi dovesse «gestire» la
sperimentazione.
L'art. 12, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo
n. 59/2004 ha attribuito la competenza in materia al Ministro
dell'istruzione, «sentita l'ANCI».
La ricorrente regione ritiene si tratti di materia di propria
competenza sia per la attuazione legislativa che per l'eventuale
attuazione in via di normazione secondaria o in via amministrativa:
la «modulazione» delle anticipazioni nell'iscrizione alla scuola
dell'infanzia, infatti, non risulta essere una funzione da svolgere
necessariamente al centro in base al principio di sussidiarieta'. Al
contrario, poiche' la sperimentazione deve tenere conto - come
risulta espressamente dallo stesso art. 12, comma 1 - delle peculiari
situazioni locali, il livello piu' adeguato per regolare
l'anticipazione e' proprio quello regionale. Comunque, una volta
riconosciuto che il principio di sussidiarieta' non richiede una
competenza derogatoria centrale, spetta alla regione ogni decisione
sulla gestione, rispettando essa stessa il principio di
sussidiarieta'.
Inoltre, la norma di delega sopra citata collega l'anticipazione
dell'iscrizione alla introduzione di nuove modalita' organizzative e
cio' conferma che l'ambito «naturale» della gestione delle
anticipazioni e' quello regionale: che, del resto, e' l'ambito
costituzionalmente prescritto, trattandosi di materia concorrente,
salva l'applicazione dell'art. 118 Cost.
Ugualmente deve ritenersi per l'art. 13, comma 1, che
corrispondentemente prevede la possibilita' di un'anticipazione
dell'iscrizione alla scuola primaria, gestita anch'essa,
illegittimamente, dal Ministro dell'istruzione.
In subordine, qualora ad avviso di codesta Corte si dovesse
ravvisare un'esigenza unitaria a fondamento delle norme impugnate,
esse sarebbero comunque illegittime per mancato coinvolgimento delle
regioni e, dunque, per violazione dei principi di cui alla sent.
n. 303/2003.
5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 12, comma 2, e
dell'art. 13, comma 3, per violazione dell'art. 117, comma 6, e del
principio di leale collaborazione.
L'art. 12, comma 2, e l'art. 13, comma 3, adottano in via
transitoria, fino all'emanazione del regolamento di cui (si presume)
all'art. 7, comma 1, legge n. 53/2003, «l'assetto pedagogico,
didattico ed organizzativo» di cui agli allegati A (per la scuola
dell'infanzia) e B (per la scuola primaria).
L'art. 7, comma 1, affida al regolamento l'«individuazione del
nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota
nazionale relativamente agli obiettivi specifici di apprendimento,
alle discipline e alle attivita' costituenti la quota nazionale dei
piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilita' interni
nell'organizzazione delle discipline» (lett. a), la «determinazione
delle modalita' di valutazione dei crediti scolastici» (lett. b) e la
«definizione degli standard minimi formativi, richiesti per la
spendibilita' nazionale dei titoli professionali conseguiti all'esito
dei percorsi formativi, nonche' per i passaggi dal percorsi formativi
ai percorsi scolastici» (lett. e): ma solo per le norme di cui alla
lett. c) e' richiesta l'intesa con la Conferenza Stato/regioni.
Ora, pare alla ricorrente regione che gli «orari» (lett. a) e le
modalita' di valutazione dei crediti scolastici non rientrino
nell'ambito delle «norme generali sull'istruzione» e che, quindi,
essi non possano essere oggetto di regolamenti statali, essendo cio'
precluso dall'art. 117, comma 6, Cost. (in collegamento, per la
ricorrente regione, con l'art. 10 legge cost. n. 3/2001).
In queste materie, lo Stato dispone di competenza legislativa
limitata ai principi fondamentali, e non dispone di potere normativo
attuativo, dato che la potesta' legislativa, all'interno dei principi
fondamentali, spetta alle regioni.
L'art. 12, comma 2, e l'art. 13, comma 3, invece, richiamando
l'art. 7, comma 1, legge n. 53/2003, reiterano l'illegittima
previsione del regolamento statale.
Si noti che non varrebbe replicare che la censura doveva essere
rivolta contro l'art. 7 legge n. 53/2003, perche' e' pacifico nella
giurisprudenza di codesta Corte che gli atti legislativi sono
impugnabili anche se apparentemente «confermativi», perche' dotati
sempre, per propria natura intrinseca, del carattere della novita'
(v., ad es., sentt. n. 30 e 44/1957, 47 e 63/1959, 3/1964, 19/1970,
171/1971, 49/1987, 1035/1988, 381/1990, 224/1994).
In subordine, l'art. 12, comma 2, e l'art. 13, comma 3, sono
illegittimi nella parte in cui richiamano un regolamento che richiede
l'intesa con la Conferenza Stato-regioni solo in relazione al profilo
di cui alla lett. c) e non anche in relazione agli «orari» e alle
modalita' di valutazione dei crediti scolastici: oggetti che, se
anche vengono ricondotti all'art. 117, comma 2, lett. n), comunque
interferiscono con la gestione del servizio scolastico, di competenza
regionale, e dunque richiedono di essere disciplinati con adeguati
meccanismi collaborativi.
6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1, secondo
periodo, per violazione dell'art. 117, comma 3, e del principio di
leale collaborazione.
La norma in epigrafe prevede la possibilita' di «incrementi di
posti» nell'ambito dell'organico del personale docente, mediante «il
decreto del Ministro dell'istruzione..., di concerto con il Ministro
dell'economia..., di cui all'art. 22, comma 2» legge n. 448/2001. Si
ricorda che in base a tale articolo «il Ministro dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca definisce con proprio decreto,
emanato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, i parametri
per l'attuazione di quanto previsto nel comma 1 e provvede alla
determinazione della consistenza complessiva degli organici del
personale docente ed alla sua ripartizione su base regionale».
Ora, ragionando in astratto, la competenza costituzionale propria
ormai delle regioni in materia di gestione e organizzazione del
servizio dell'istruzione richiede che lo Stato, nel quadro e in
attuazione dell'art. 119 Cost., trasferisca alle regioni le risorse
necessarie ad esercitare anche la funzione in questione, pienamente
rientrante nell'organizzazione del servizio.
In attesa di una compiuta attuazione dell'art. 119 Cost., la
ricorrente regione puo' accettare una misura di gradualita' nella
messa in opera del nuovo sistema: ma non puo' accettare che la
legislazione vada in una direzione opposta alle prescrizioni
costituzionali.
Cosi' fa invece l'art. 15, la' dove esso non prevede alcun
significativo coinvolgimento delle regioni nell'esercizio della
funzione di determinazione dell'organico, attinente ad una materia di
competenza concorrente (v. sent. n. 303/2003).
Quanto all'autonoma impugnabilita' di ogni norma legislativa,
anche se apparentemente confermativa di una norma non impugnata, v.
il punto precedente.


P. Q. M.
Chiede voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale dichiarare
costituzionalmente illegittimi gli articoli 7, 10, 12, 13 e 15 del
d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, definizione delle norme generali
relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione,
a norma dell'art. 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53, per le parti e
sotto i profili illustrati nel presente ricorso.
Padova, addi' 27 aprile 2004
Prof. avv. Giandomenico Falcon

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