Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 3  maggio  2019  (del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri).

(GU n. 25 del 2019-06-19)

 

Ricorso ex art. 127 Costituzione per la Presidenza del  Consiglio

dei  ministri  (codice  fiscale  n.  80188230587),  in  persona   del

Presidente   pro-tempore,   rappresentata   e    difesa    ex    lege

dall'Avvocatura Generale dello Stato (Codice fiscale n.  80224030587;

pec:   ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it;   fax   06/96514000)    ed

elettivamente domiciliata presso i  suoi  Uffici  in  Roma,  via  dei

Portoghesi n. 12; ricorrente;

Contro Regione Sicilia in persona  del  Presidente  pro  tempore,

dott. Nello Musumeci, con sede in Palermo, piazza Indipendenza, n. 21

resistente;

    per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge

della Regione Sicilia n. 1  del  22  febbraio  2019,  pubblicata  nel

B.U.R.  n.  9   del   26   febbraio   2019,   recante   «Disposizioni

programmatiche e correttive per l'anno 2019.

    Legge di stabilita' regionale».

    La legge della Regione Sicilia 22 febbraio 2019,  n.  1,  recante

«Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019.  Legge  di

stabilita' regionale», e' censurabile in alcune sue disposizioni,  in

quanto viola i principi di cui agli articoli 3, 51, comma 1, 81,  97,

comma 4, e 117, commi 2, lettera l e s) e 3 della Costituzione per  i

seguenti:

                                           Motivi

 

    La legge indicata in epigrafe ha carattere eterogeneo;  per  tale

ragione si  indicheranno  le  specifiche  disposizioni  che  appaiono

adottate in violazione dei precetti costituzionali sopra indicati.

Art. 33, in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.

    Preliminarmente si evidenzia che la vigente normativa in  materia

di protezione della  fauna  selvatica  e  di  prelievo  venatorio  e'

contenuta nella legge quadro 11 febbraio 1992,  n.  157,  concernente

«Norme per la protezione della fauna selvatica  omeoterma  e  per  il

prelievo venatoria», ritenuta dalla Corte  costituzionale  disciplina

recante, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il

nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, il cui  rispetto

deve essere assicurato sull'intero territorio nazionale (Corte  Cost.

n. 233/2010).

    La  stessa  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  ha,  in

materia, affermato  che  «spetta  allo  Stato,  nell'esercizio  della

potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela  dell'ambiente  e

dell'ecosistema, prevista dall'art. 117, secondo comma,  lettera  s),

Cost, stabilire standard minimi e uniformi  di  tutela  della  fauna,

ponendo  regole  che  possono  essere   modificate   dalle   Regioni,

nell'esercizio della loro potesta' legislativa in materia di  caccia,

esclusivamente  nella  direzione  dell'innalzamento  del  livello  di

tutela» (ex plurimis, sentenze n. 303 del 2103, n. 278. n. 116  e  n.

106 del 2012).

    Cio' posto, l'esame, in  punto  di  legittimita'  costituzionale,

della  norma  regionale  che  si  contesta  impone  una   preliminare

ricostruzione delle previsioni legislative  statali  suscettibili  di

assumere in materia la valenza di  parametri  interposti,  in  quanto

espressione della competenza esclusiva dello Stato a  porre  standard

uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema non derogabili  in

pejus dalle regioni.

    In questa prospettiva, occorre tener conto, anzitutto,  dell'art.

19, comma 2 della suddetta legge n. 157 del 1992,  il  quale  intesta

alle regioni il controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle

zone vietate alla caccia.

    Tale controllo, esercitato  selettivamente,  viene  praticato  di

norma mediante metodi ecologici su parere dell'istituto nazionale per

la fauna  selvatica  (oggi:  ISPRA).  Solo  laddove  ISPRA  verifichi

l'inefficacia dei predetti metodi,  le  regioni  possono  autorizzare

piani di abbattimento, i quali devono essere  attuati  dalle  guardie

venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali, che  potranno

a propria volta avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi  sui

quali si attuano i piani medesimi, purche' provvisti di  licenza  per

l'esercizio  venatorio,  nonche'  delle  guardie  forestali  e  delle

guardie comunali munite della stessa licenza.

    Nell'ambito di tale cornice normativa primaria statale, l'art. 33

della legge in parola,  sotto  la  rubrica  «Utilizzo  personale  per

attivita'  di  controllo  faunistico»,  al  comma   4   dell'art.   1

della legge regionale 11 agosto 2015, n. 18, dopo le parole «legge 11

febbraio 1992, n. 157», aggiunge la seguente previsione: «e  all'art.

22 della legge 6 dicembre 1991, n.  394».  Quest'ultima  disposizione

stabilisce, al comma 6, che: «6.  Nei  parchi  naturali  regionali  e

nelle riserve naturali regionali l'attivita'  venatoria  e'  vietata,

salvo  eventuali  prelievi  faunistici  ed   abbattimenti   selettivi

necessari per  ricomporre  squilibri  ecologici.  Detti  prelievi  ed

abbattimenti devono avvenire in conformita' al regolamento del  parco

o, qualora non esista, alle  direttive  regionali  per  iniziativa  e

sotto la diretta responsabilita'  e  sorveglianza  dell'organismo  di

gestione del parco e devono essere  attuati  dal  personale  da  esso

dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra

cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni  corsi

di formazione a cura dello stesso Ente».

    La disposizione  regionale  in  parola,  attraverso  il  testuale

richiamo all'art. 22  della  legge  n.  394  del  1991,  prevede,  al

ritenuto fine di ricomporre gli squilibri ecologici, la  possibilita'

che all'interno delle aree protette i  prelievi  e  gli  abbattimenti

faunistici siano effettuati dal personale  dipendente  dall'organismo

di gestione del parco o da persone da esso  autorizzate,  scelte  con

preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco.

    La precedente legge regionale n.  18  dell'11  agosto  2015  (che

viene modificata con la norma che qui si impugna), recante «Norme  in

materia  di  gestione  del  patrimonio  faunistico  allo   stato   di

naturalita'» (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Reg. Sic. 28 agosto

2015, n. 35), era intervenuta a disciplinare il controllo della fauna

sull'intero territorio regionale, fissando i seguenti punti salienti:

        per le aree naturali protette, la  competenza  all'attuazione

dei piani di controllo e' correttamente affidata  agli  enti  gestori

(comma 4 dell'art. 1);

        per il rimanente territorio regionale  (al  di  fuori  quindi

delle aree  naturali  protette)  la  competenza  e'  attribuita  alle

ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio, che sono

degli uffici della regione (comma 9 dell'art. 1);

        soggetti da utilizzare in entrambe le  fattispecie  (comma  4

dell'art. 1) risultano essere esclusivamente il personale dell'ente e

quelli previsti dall'art. 19 della  legge  n.  157  dell'11  febbraio

1992.

    Prima, quindi, della modifica recata dall'art. 33 della legge  di

cui trattasi, nella Regione siciliana l'unico  personale  che  poteva

essere destinato al controllo del patrimonio  faunistico  era  quello

previsto dall'art. 19 della legge n. 157 del 1992, con la  differenza

che nelle aree protette provvedevano gli  enti  gestori,  mentre  nel

rimanente territorio (comprese le aree precluse a fini  venatori)  le

ripartizioni faunistico venatorie.

    Con l'art. 33, quindi, modificando il comma 4 dell'art.  1  della

preesistente  legge  regionale  n.  18  del  2015,  si  consente   di

utilizzare sull'intero territorio regionale (ed anche da parte  delle

ripartizioni faunistico venatorie) il personale previsto dall'art. 22

della legge 6 dicembre 1991,  n.  394,  che  riguarda  solo  le  aree

naturali protette.

    Al riguardo, occorre tenere presente che, a livello  nazionale  e

per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, il  controllo

della fauna  e'  sottoposto  al  rispetto  di  rigorose  disposizioni

statali non  derogabili  dal  legislatore  regionale,  le  quali,  in

particolare,  prevedono  rigorose  distinzioni  per  l'utilizzo   del

personale per il  controllo  venatorio  e  gli  abbattimenti,  tenuto

conto, nello specifico:

        che in  tutto  il  territorio  diverso  dalle  aree  naturali

protette, ai sensi del comma 2 dell'art.  19  della  legge  157/1992,

operano  esclusivamente  le  «guardie  venatorie   dipendenti   dalle

amministrazioni  provinciali.   Queste   ultime   potranno   altresi'

avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano

i  piani  medesimi,  purche'  muniti  di  licenza   per   l'esercizio

venatorio, nonche' delle guardie forestali e delle  guardie  comunali

munite di licenza per l'esercizio venatorio»;

        che nelle aree naturali protette, ai sensi del comma 22 della

legge n. 394/1991, i controlli devono essere  attuati  esclusivamente

dal personale dipendente dall'ente  gestore  o  da  persone  da  esso

autorizzate;

        che ai sensi dell'art. 2 comma  33  della  legge  9  dicembre

1998, n. 426 (che ha modificato il comma 22 della legge  n. 394/1991)

le persone autorizzate dall'ente gestore vanno scelte «con preferenza

tra cacciatori residenti nel territorio del parco».

    Cio' posto, non appare chiaro, dunque,  se  il  richiamo  operato

dall'art. 33 vada riferito al (solo) testo  dell'originario  art.  22

della legge n. 394/1991 (come recita testualmente la norma regionale)

o debba riferirsi anche alla modifica successiva dell'art. 22 operata

dall'art. 2 comma 33 della legge n. 426/1998: cio' in quanto  non  e'

precisato  dalla  legge  regionale  se  il  recepimento  delle  norme

nazionali abbia carattere statico e recepimento dinamico.

    Da siffatta ricostruzione del  quadro  normativo  di  riferimento

possono discendere due distinte prospettazioni:

        1) ove l'art. 33 della legge  regionale  n.  1  del  2019  si

riferisca solo al testo originario dell'art. 22 della  legge  n.  394

del 1991, la censura che si muove e' quella che l'art. 33 della legge

regionale n. 1 del 2019, prevedendo  per  il  controllo  della  fauna

quanto disposto dall'art. 22 della  legge  n.  394/1991,  in  ragione

dell'applicazione  delle  suddette  norme  al  resto  del  territorio

regionale da parte delle ripartizioni faunistico venatorie  (comma  9

dell'art. 1 della legge regionale n. 18  del  2015)  consentirebbe  a

queste di utilizzare il  personale  degli  enti  gestori  delle  aree

naturali protette al di fuori delle aree stesse  da  cui  dipende  e,

soprattutto, consentirebbe alle ripartizioni faunistico venatorie  di

individuare (ulteriori) personale da  autorizzarsi  al  di  fuori  di

quanto tassativamente previsto dall'art. 19 della legge n. 157/1992.

        2) ove l'art. 33 della legge  regionale  n.  1  del  2019  si

riferisca al  testo  dell'art.  22  della  legge  n.  394/1991,  come

modificato dalla legge 426/1998, ritiene l'intestata  Presidenza  che

l'art. 33 della legge regionale n. 1  del  2019,  prevedendo  per  il

controllo della fauna quanto disposto dall'art.  22  della  legge  n.

394/1991  come  modificato  dall'art.  2  comma  33  della  legge  n.

426/1998, in ragione dell'applicazione delle suddette norme al  resto

del territorio  regionale  da  parte  delle  ripartizioni  faunistico

venatorie (comma 9 dell'art. 1  della  legge  regionale  n.  18/2015)

consentirebbe di utilizzare anche i cacciatori  nel  controllo  della

fauna nel rimanente territorio  regionale  e  nelle  aree  interdette

dalla normativa venatoria (oasi, zone  di  ripopolamento  e  cattura,

demani forestali, ecc.) al di fuori di quanto previsto tassativamente

dall'art. 19 della legge n. 157/1992.

    Per altro verso, si  osserva  altresi'  che,  essendo  unica  per

l'intero  territorio  regionale  la  disposizione  che  individua  il

personale da utilizzare nelle  attivita'  di  controllo  della  fauna

(art. 1, comma 4, legge regionale n.  18  del  2015,  come  integrato

dall'art. 33 della legge regionale n. 1  del  2019)  sia  nelle  aree

protette (a cura dell'ente gestore ai sensi del comma 4  dell'art.  1

della legge regionale  n.  18/2015),  sia  nel  rimanente  territorio

regionale (a cura delle ripartizioni faunistico  venatorie  ai  sensi

del comma 9 dell'art. 1 della legge regionale n.  18  del  2015),  la

norma e' affetta da irragionevolezza e profili di incostituzionalita'

in  riferimento   alle   disposizioni   nazionali   che   distinguono

rigorosamente  i  soggetti  che  possono  essere   utilizzati   nelle

attivita' di controllo nelle aree  protette  rispetto  al  resto  del

territorio e viola altresi' i canoni  che  presiedono  alla  corretta

legiferazione,  ponendosi   in   contrasto   con   l'art.   3   della

Costituzione, atteso che non si comprende se l'art.  33  della  legge

regionale n. 1 del 2019 si riferisca al testo originario dell'art. 22

della legge n. 394 del 1991 o  a  quello  successivamente  modificato

dall'art. 2, comma 33 della legge  n.  426  del  1998  e  come  possa

applicarsi il criterio di «cacciatori residenti  nel  territorio  del

parco» al rimanente territorio regionale.

    In entrambi i casi, chiaramente  con  maggiore  gravita'  per  il

secondo scenario (ossia riferimento all'art. 22 della  legge  n.  394

del 1991 come modificato dall'art. 2 comma 33 della legge n. 426  del

1998), si amplierebbe la platea dei soggetti (arrivando a prevedere i

cacciatori) che  potrebbero  essere  utilizzati  nelle  attivita'  di

controllo  della  fauna,  in  violazione  delle  rigide  disposizioni

dettate dal legislatore nazionale che rappresentano il nucleo  minimo

di tutela, non derogabile in pejus dal legislatore regionale.

    E' incontestabile, exfacto, che i cacciatori non  possono  essere

utilizzati  nelle  attivita'  di  controllo  della  fauna   selvatica

sull'intero  territorio  regionale  e  nelle  aree   precluse   dalla

normativa venatoria, oltre alle aree naturali protette.

    Univoca e rigorosa e' stata in questi anni l'azione  del  Governo

volta alla declaratoria di incostituzionalita' di disposizioni simili

contenute in altre leggi regionali.

    E' sufficiente fare riferimento al  ricorso  del  Presidente  del

Consiglio del 3 marzo 2016 contro la legge regionale della Liguria  n

29/2015, definito con la sentenza n. 139/2017.

    Da tanto discende che l'illegittimita' della norma  regionale  in

questione e, soprattutto, il pregiudizio per la corretta gestione del

patrimonio faunistico regionale  al  di  fuori  del  rigoroso  quadro

definito dallo Stato e  dalla  Corte  costituzionale,  risiedono  nel

fatto che dal combinato disposto della preesistente  legge  regionale

n. 18 del 2015 e dell'integrazione di cui  all'art.  33  della  legge

regionale n. 1 del 2019 e' possibile applicare l'art. 22 della  legge

394 del 1991 anche nei Siti Natura 2000 (SIC, ZPS e ZSC al  di  fuori

delle  aree  protette)  e  con  particolare  pregiudizio  per  quelli

sottoposti a divieto di caccia dal vigente Piano Regionale Faunistico

Venatorio.

    In particolare, ai sensi del  comma  9  dell'art.  1  della legge

regionale n.  18  del  2015,  le  ripartizioni  faunistico  venatorie

applicano il comma 4 dell'art. 1 della medesima legge regionale (come

integrato dall'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019) e  quindi

possono applicare l'introdotto art. 22 della  legge  n.  394/1991  in

aree diverse dalle aree protette e, quindi,  anche  nei  Siti  Natura

2000 (SIC, ZPS e ZSC) ed in particolare  anche  in  quelli  sottratti

alla caccia dal piano regionale faunistico venatorio,  in  violazione

delle tassative disposizioni dell'art. 19 della legge n. 157 del 1992

sul controllo della fauna selvatica al di fuori delle  aree  protette

(diversamente disciplinato proprio dall'art. 22 della  legge  n.  394

del 1991).

    A tal riguardo si rileva che la materia del  controllo  venatorio

e' stato oggetto di disciplina da parte del legislatore  statale  con

la suddetta, successiva, legge  n.  157  del  1992  -  qualificabile,

secondo giurisprudenza costituzionale,  come  norma  fondamentale  di

riforma economico-sociale - la quale, all'art. 19, comma 2,  fornisce

un'elencazione dei soggetti ad esso deputati,  definita  dalla  Corte

costituzionale tassativa, oltre che vincolante  per  le  Regioni,  in

quanto espressione  della  competenza  esclusiva  dello  Stato  sulla

tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema;   di   talche'   una   sua

integrazione da parte della legge regionale riduce il livello  minimo

e uniforme di tutela dell'ambiente (sent. n. 139/2017 e,  da  ultimo,

sentenza n. 217/2018). La Consulta ha avuto altresi' modo di rilevare

che la  suddetta  disposizione  primaria  statale  non  attiene  alla

caccia, poiche' disciplina un'attivita', il controllo faunistico, che

non e' svolta per fini venatori, ma a fini di tutela  dell'ecosistema

(sentenza n. 392 del 2005), com'e' dimostrato dal fatto che e'  presa

in considerazione dalla norma statale solo come extrema ratio, ove  i

metodi ecologici non risultino efficaci.

    Nella parte in cui, dunque, l'art. 19 della legge n. 157 del 1992

ha  introdotto  un  elenco  tassativo  di  soggetti  autorizzati   al

controllo venatorio in cui non sono compresi  i  cacciatori  che  non

siano proprietari  o  conduttori  dei  fondi  interessati  dai  piani

medesimi,  essa  mira  a  «evitare  che  la  tutela  degli  interessi

(sanitari, di selezione biologica,  di  proiezione  delle  produzioni

zootecniche, ecc.) perseguiti  trasmodi  nella  compromissione  della

sopravvivenza di alcune specie faunistiche ancorche'  nocive»  (sent.

n. 392 del 2005), in linea, peraltro, con la piu' rigorosa  normativa

europea in tema di  protezione  delle  specie  selvatiche  (direttiva

74/409/CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli  uccelli

selvatici).

    Pertanto, la norma regionale della Sicilia, nella  parte  in  cui

estende, secondo la modifica apportata al  comma  4  dell'articolo  i

della legge regionale 11 agosto 2015, n. 18, il novero  dei  soggetti

autorizzati al controllo faunistico ai cacciatori, viola la sfera  di

competenza  statale  alterando,  altresi',  il   contemperamento   di

interessi delineato dal legislatore  nell'art.  19,  comma  2,  della

legge n. 157 del 1992, che, nella parte in cui  disciplina  i  poteri

regionali di  controllo  faunistico,  realizza  uno  standard  minimo

uniforme di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, rappresentando un

limite invalicabile anche  per  l'autonomia  regionale  (Corte  Cost.

sentenza n. 44/2012).

    Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro  normativo

eurounitario e statale in cui  si  colloca  la  tutela  delle  specie

oggetto della disposizione censurata, si rileva  il  contrasto  della

norma regionale con il  secondo  comma,  lettera  s),  dell'art.  117

Cost., poiche' tendente a ridurre inpdus il livello di  tutela  della

fauna selvatica stabilito  dalla  legislazione  nazionale,  invadendo

illegittimamente la competenza legislativa esclusiva dello  Stato  in

materia di tutela dell'ambiente  e  dell'ecosistema,  in  riferimento

all'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del  1992,  nonche'  con  il

parametro di ragionevolezza della legislazione desumibile dall'art. 3

Cost.

Profili di incostituzionalita' presentano gli articoli 24 e 25.

    L'art. 24 stabilisce:

        una disciplina transitoria, a livello regionale  «nelle  more

del recepimento delle disposizioni di cui all'art. 1, commi da 675  a

684, della legge 30 dicembre 2018, n. 145», per il rilascio di  nuove

concessioni demaniali marittime, fissandone modalita', termini,  casi

di revoca (comma 1, lettera a);

        l'utilizzo di procedure amministrative  semplificate  per  il

«rilascio di autorizzazioni di durata breve per l'occupazione e l'uso

di limitate porzioni di aree demaniali marittime e di specchi acquei,

comunque non superiori a complessivi metri quadrati mille  e  per  un

periodo  massimo  di  novanta   giorni,   non   prorogabili   e   non

riproponibili nello  stesso  anno  solare,  allo  scopo  di  svolgere

attivita'  turistico  ricreative,  commerciali  o   sportive,   anche

attraverso la collocazione di manufatti, purche' precari e facilmente

amovibili» (comma 1, lettera b), demandando, per tali fattispecie,  a

un decreto dell'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente la

disciplina concernente le modalita' di presentazione delle  richieste

e le procedure amministrative, nonche' le modalita' per  il  rilascio

della concessione (comma 2).

      L'art. 25 prevede che:

    «1. Ai sensi dell'art. 32 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.

133, convertito con modificazioni dalla legge 11  novembre  2014,  n.

164, le prestazioni delle strutture di marina resort sono  assimilate

a quelle delle strutture ricettive all'aria aperta  e  pertanto  sono

soggette  all'applicazione  del  tributo  di  cui  al   decreto   del

Presidente della Repubblica n. 633/1972  e  successive  modifiche  ed

integrazioni, nella medesima misura come determinata ai  sensi  della

Tabella A, parte III, n. 120  dello  stesso  decreto  del  Presidente

della Repubblica n. 63311972.

    2. Le strutture dedicate alla nautica da diporto,  che  rientrano

nella categoria degli imbullonati ai sensi  dell'art.  1,  comma  21,

della legge 28 dicembre 2015, n. 208, sono escluse dal calcolo  della

rendita catastale. La disposizione  di  cui  al  presente  comma  non

comporta minori entrate per il bilancio della Regione.»

    Preme evidenziare, in via preliminare, che i commi da 675  a  684

della legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione

dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il

triennio  2019-2021»,  delineano  un'articolata  procedura   per   la

generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime,

che prevede l'emanazione di un decreto del Presidente  del  Consiglio

dei  ministri  che  ne  fissi  i  termini  e  le  modalita',  nonche'

successive   attivita'   di   implementazione    da    parte    delle

Amministrazioni competenti, tra cui  una  consultazione  pubblica  al

termine  della  quale  saranno  assegnate  le  aree  concedibili  che

attualmente non sono date in concessione.

    In particolare, il comma 675 dispone l'emanazione di  un  decreto

del Presidente del Consiglio dei ministri che fissi i  termini  e  le

modalita' per la generale revisione  del  sistema  delle  concessioni

demaniali marittime. La finalita' indicata nella norma e'  quella  di

tutelare, valorizzare e promuovere  il  bene  demaniale  delle  coste

italiane, che rappresenta  un  elemento  strategico  per  il  sistema

economico, di attrazione  turistica  e  di  immagine  del  Paese,  in

un'ottica di armonizzazione delle normative europee.

    Il decreto del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  dovra'

essere adottato su proposta del Ministro delle infrastrutture  e  dei

trasporti e del  Ministro  per  le  politiche  agricole,  alimentari,

forestali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia  e

delle finanze, sentito  il  Ministro  dello  sviluppo  economico,  il

Ministro degli affari europei,  il  Ministro  dell'ambiente  e  della

tutela del  territorio  e  del  mare,  il  Ministro  per  gli  affari

regionali e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

    Si  ricorda  che  sulla  materia  delle   concessioni   demaniali

marittime interviene anche il comma 246, che consente ai titolari  di

concessioni demaniali marittime e  punti  di  approdo  con  finalita'

turistico ricreative di mantenere installati  i  manufatti  amovibili

fino al 31  dicembre  2020  data  di  scadenza  della  proroga  delle

concessioni in essere al 31 dicembre 2015 - nelle more  del  riordino

della materia.

    Il comma 676 definisce piu' in dettaglio i contenuti del  decreto

del Presidente del Consiglio dei ministri, che  dovra'  stabilire  le

condizioni e le modalita' per procedere:

        a) alla ricognizione e mappatura del litorale e  del  demanio

costiero-marittimo;

        b) all'individuazione della reale consistenza dello stato dei

luoghi, della tipologia  e  del  numero  di  concessioni  attualmente

vigenti nonche' delle aree libere e concedibili;

        c) all'individuazione della tipologia  e  numero  di  imprese

concessionarie e sub-concessionarie;

        d)   alla   ricognizione   degli   investimenti    effettuati

nell'ambito  delle  concessioni  stesse  e   delle   tempistiche   di

ammortamento connesse, nonche' dei canoni  attualmente  applicati  in

relazione alle diverse concessioni;

        e) all'approvazione dei metodi, indirizzi generali e  criteri

per la programmazione,  pianificazione  e  gestione  integrata  degli

interventi di difesa delle coste e  degli  abitati  costieri  di  cui

all'art. 89, primo comma, lettera  h),  del  decreto  legislativo  31

marzo 1998, n. 112.

    Il comma 677 prevede inoltre che il decreto  del  Presidente  del

Consiglio dei ministri contenga altresi' i criteri per strutturare:

        a)   un   nuovo   modello   di   gestione    delle    imprese

turistico-ricreative e ricettive che operano  sul  demanio  marittimo

secondo schemi e  forme  di  partenariato  pubblico-privato,  atto  a

valorizzare la tutela e la piu' proficua  utilizzazione  del  demanio

marittimo, tenendo conto delle singole specificita' e caratteristiche

territoriali secondo criteri di: sostenibilita' ambientale;  qualita'

e   professionalizzazione    dell'accoglienza    e    dei    servizi,

accessibilita';  qualita'  e  modernizzazione  delle  infrastrutture;

tutela degli ecosistemi marittimi coinvolti;  sicurezza  e  vigilanza

delle spiagge;

        b) un sistema di  rating  ditali  imprese  e  della  qualita'

balneare;

        c)  la  revisione  organica   delle   norme   connesse   alle

concessioni demaniali marittime,  con  particolare  riferimento  alle

disposizioni in materia di demanio  marittimo  contenute  nel  Codice

della navigazione o in leggi speciali in materia;

        d) il  riordino  delle  concessioni  ad  uso  residenziale  e

abitativo, tramite individuazione di criteri di  gestione,  modalita'

di rilascio e termini di durata della  concessione  nel  rispetto  di

quanto  previsto  dall'art.  37,  primo  comma,  del   Codice   della

Navigazione e dei principi di  imparzialita',  trasparenza,  adeguata

pubblicita' e tenuto conto, in termini  di  premialita',  dell'idonea

conduzione del bene demaniale e della durata della concessione.

        e) la revisione e  l'aggiornamento  dei  canoni  demaniali  a

carico dei concessionari, che tenga conto delle  peculiari  attivita'

svolte dalle imprese del settore, della tipologia dei beni oggetto di

concessione  anche  con  riguardo  alle  pertinenze,  della   valenza

turistica.

    In base al comma 678, le amministrazioni competenti per  materia,

che saranno individuate nel decreto del Presidente del Consiglio  dei

ministri,  dovranno  provvedere  entro  due  anni  dall'adozione  del

decreto, ciascuna per la  propria  competenza,  all'esecuzione  delle

attivita'  indicate  nei  due  precedenti  commi.  Sulla  base  delle

risultanze di tali lavori  svolti  sara'  avviata  una  procedura  di

consultazione pubblica, nel rispetto dei principi e delle  previsioni

della legge n. 241 del 1990, sulle priorita' e modalita' di azione  e

intervento per la valorizzazione turistica delle aree insistenti  sul

demanio  marittimo  che  dovra'  concludersi  nel   termine   massimo

di centottanta giorni dalla data di conclusione dei lavori  da  parte

delle Amministrazioni (comma 679).

    Tanto premesso, in disparte la  circostanza  (sulla  quale  preme

comunque richiamare l'attenzione) che il decreto del  Presidente  del

Consiglio dei ministri attuativo delle  specifiche  previsioni  della

legge di Bilancio 2019, e'  in  corso  di  avanzata  definizione,  si

rileva che le richiamate previsioni regionali,  sovrapponendosi  alla

predetta disciplina statale emanata in materia, dalla quale con  ogni

evidenza si discostano sostanzialmente, generano dubbi interpretativi

e incertezze riguardo alla chiara individuazione delle norme di legge

applicabili     e     presentano     significativi     profili     di

incostituzionalita'.

    Al riguardo si sottolinea il consolidato orientamento della Corte

costituzionale  secondo  il  quale  i  criteri  e  le  modalita'   di

affidamento  delle  concessioni  sui  beni  del   demanio   marittimo

appartengono ad ambiti riservati alla  competenza  esclusiva  statale

dall'art. 117, secondo  comma,  lettera  e),  Cost.,  in  materia  di

«tutela  della  concorrenza»  ,  nella  quale  le   pur   concorrenti

competenze  regionali  trovano  «un  limite  insuperabile»  (cfr.  da

ultimo, sentenza n. 221  del  2018  e  sentenza  n.  1  del  2019)  e

dall'art.  97,  primo  comma,  Cost.  (principio  di  buon  andamento

dell'amministrazione),  laddove  si   censura   per   le   richiamate

disposizioni la sovrapposizione alla disciplina  statale  emanata  in

materia  e   la   conseguente   incertezza   riguardo   alla   chiara

individuazione  delle  norme  di   legge   applicabili   (statali   o

regionali).

    Evidenti, dunque, sono i profili di  censura  delle  disposizioni

citate.

Articoli 11, 14, 22, commi 2 e 3, e 23.

    Ad analoghe censure sono soggette le disposizioni  in  questione,

tutte in materia di personale.

    L'art.  11  della  legge  regionale  in  esame   (Personale   ASU

Assessorato Beni Culturali) stabilisce che: «Al fine di garantire  la

continuita' dei servizi prestati presso gli  uffici  dell'assessorato

regionale dei beni culturali e dell'identita' siciliana i soggetti di

cui all'art. 1 della  legge  regionale  5  novembre  2001,  n.  17  e

successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino  alla  data  di

entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano  in

utilizzazione presso gli stessi».

    L'art. 14, pur nella genericita' del testo normativo, dispone che

personale forestale possa  essere  utilizzato  con  un  inquadramento

riservato.

    Tale pare l'unico senso logico  attribuibile  alla  disposizione,

che letteralmente prevede che  tale  personale  «e'  mantenuto  nelle

medesime mansioni»; cio' in mancanza di qualsiasi  termine  finale  e

senza alcuna limitazione numerica.

    Quanto all'art. 22, comma 2, si osserva che dal quadro  normativo

di riferimento (art. 20, commi 1 e  2,  del  decreto  legislativo  n.

75/2017, art. 3 della legge regionale siciliana n. 27 del 2016 e art.

26, comma 6 della legge regionale siciliana n. 8 del 2018) emerge una

contrapposizione tra la disciplina di cui all'art. 20, comma  2,  del

decreto legislativo n. 75 del 2017 (che prevede, nelle  procedure  di

stabilizzazione, la garanzia dell'adeguato  accesso  dall'esterno)  e

quella contenuta nell'art. 22, secondo comma, della  legge  regionale

all'esame, laddove si prevede che le procedure  di  cui  all'art.  3,

comma 6, della legge regionale n. 27 del 2016 e di cui  all'art.  26,

comma 6, della legge regionale n. 8 del 2018 sono da  intendere  come

procedure di  stabilizzazione  del  personale  precario  «interamente

riservate» a detto personale.

    Si evidenzia che, in proposito, con deliberazione n. 28/2019,  la

Corte dei Conti, Sezione  di  Controllo  per  la  Regione  siciliana,

chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione degli articoli

20, comma 2, del decreto legislativo n. 75  del  2017,  3,  comma  6,

della legge regionale n. 27 del 2016  e  26,  comma  6,  della  legge

regionale n. 8 del 2018, ha avuto modo  di  precisare  quanto  segue:

«[...] il Collegio non ravvisa alcuna antinomia tra la  norma  di cui

all'art. 20, comma 2, del decreto legislativo n.  75  del  2017,  che

prevede la garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno, in  relazione

alla disposizione recata dall'art. 26, comma 6 della legge  regionale

n. 8 del 2018, che  introduce  la  possibilita'  di  stabilizzare  il

personale precario  mediante  concorsi  «interamente  riservati».  Il

decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, infatti, e' immediatamente

applicabile in Sicilia, da una parte perche'  introduce  disposizioni

attinenti l'ordinamento civile sottratte  alla  potesta'  legislativa

delle regioni e, dall'altra, in quanto  contiene  norme  in  tema  di

stabilizzazione dei lavoratori precari  che,  secondo  l'insegnamento

della Corte costituzionale, costituiscono  principi  fondamentali  di

coordinamento della finanza pubblica (Sentenze n. 310 del 2011, n. 18

e n. 277 del 2013) e, come tali, non possono essere derogati da norme

regionali. In tal senso, peraltro, e' intervenuta anche la  circolare

n.  16042  del  5  novembre  2018  dell'Assessorato  regionale  delle

autonomie locali e della funzione pubblica. La  disposizione  di  cui

all'art. 26, comma 6 della legge regionale n. 8 del 2018, va  intesa,

invero,  nel  senso  che   nell'ambito   degli   spazi   assunzionali

disponibili per le stabilizzazioni di personale precario  (  che  non

possono  superare  il   cinquanta   per   cento   della   complessiva

disponibilita' dell'ente) - al netto di quelli  destinati  ad  essere

coperti  mediante  procedure  concorsuali  aperte   all'esterno,   le

relative   procedure   concorsuali   possano    essere    interamente

«riservate», senza che cio' contrasti con l'art.  20,  comma  2,  del

decreto legislativo n. 75 del 2017. La «ratio» della  garanzia  della

riserva dei posti  all'esterno,  infatti,  non  riguarda  la  singola

procedura selettiva, nell'ambito della quale sia prevista una riserva

di posti  a  favore  dei  precari  da  stabilizzare,  bensi'  risulta

assicurata dal generale obbligo per gli  enti  di  bandire  procedure

concorsuali  aperte  a  tutti  per  la  copertura   del   fabbisogno,

nell'ambito degli spazi finanziari disponibili (ovvero  nel  rispetto

di tutte  le  disposizioni  vincolistiche  sulturn-over),  destinando

risorse non  superiori  al  cinquanta  per  cento  di  detto  plafond

all'espletamento di procedure concorsuali ad  hoc  tra  il  personale

precario da stabilizzare, al fine di selezionare le  unita'  previste

nel  piano  del  fabbisogno  del  personale.  In  altri  termini,  il

reclutamento del personale attraverso procedure  concorsuali  per  la

stabilizzazione dei precari non puo' in ogni caso  assorbire  risorse

finanziarie superiori al cinquanta per cento  (possono  essere  anche

inferiori) di quello  da  reclutare  attraverso  ordinarie  procedure

concorsuali aperte all'esterno. [...] Ferma restando  la  natura  non

derogatoria  della  disciplina  regionale  rispetto  all'obbligo   di

garantire l'adeguato accesso dall'esterno,  come  sopra  evidenziato,

per  rispondere  al  secondo  quesito  il  Collegio,  richiamando  le

disposizioni della circolare n.  3  del  2017  del  Ministro  per  la

semplificazione e la Pubblica  amministrazione  (§  3.2.2.  nota  4),

precisa   che   nell'ambito   della   individuazione   degli   «spazi

assunzionali» il concetto di  «posti  disponibili»  non  deve  essere

inteso  in  relazione  alla  dotazione  organica  dell'ente,  che  e'

rimodulabile,  ma  quale  «spago  finanziario  disponibile»,   ovvero

riferito  alle  risorse  finanziarie  complessivamente   utilizzabili

dall'ente per le assunzioni di personale, sul cui coacervo  calcolare

la quota (che non puo' in ogni caso superare il cinquanta  per  cento

del totale) da destinare alle stabilizzazioni del personale precario.

Detta interpretazione fornita dalla citata  circolare  consente  agli

enti,  nell'ambito  della   propria   autonomia   organizzativa,   di

utilizzare al meglio le risorse finanziarie per  la  copertura  degli

oneri per il personale, i citi costi a carico degli enti  variano  in

relazione alla qualifica ed alla natura del contratto  di  lavoro  (a

tempo pieno o  parziale):  il  riferimento  ai  «posti»  da  coprire,

infatti, risulta troppo stringente e  di  difficile  applicazione  in

concreto, mentre il concetto di  «risorse  finanziarie»  disponibili,

pur rispettando i vincoli di bilancio per  la  spesa  del  personale,

consente una effettiva autonomia  nell'organizzazione  delle  risorse

umane. Il Collegio ritiene che le risorse  finanziarie  assegnate  ai

comuni dalla citata legge regionale n. 8 del 2018, ai sensi dell'art.

26, comma 7, abbiano la finalita' di garantire la  possibilita'  (non

prevista dal comma 4 dell'art. 20 del decreto legislativo n.  75  del

2017) di elevare i complessivi spazi  assunzionali  mediante  risorse

aggiuntive regionali anche in caso di stabilizzazioni da attuarsi  ai

sensi dell'art. 20, comma 2, del decreto legislativo citato;  in  tal

senso, «il 50 per cento dei posti disponibili» quale  limite  imposto

alle procedure di stabilizzazione dal predetto art. 20, comma 2, deve

calcolarsi  considerando  la  possibilita'  di  elevare  con  risorse

aggiuntive regionali gli spazi  assunzionali  ordinari  ovvero,  come

prospettato  dall'Amministrazione  richiedente,  con  «riflesso  solo

sulla  determinazione  degli  spazi   assunzionali   complessivamente

disponibili,  ferma  restando,  in  ogni  caso,  la   necessita'   di

rispettare l'adeguato accesso dall'esterno fissato nella  misura  del

50% delle risorse (sia  comunali  che  regionali)  utilizzabili».  Ne

consegue che, dato il vincolo di destinazione delle risorse regionali

alle  procedure  di  stabilizzazione,  l'entita'  di  dette   risorse

aggiuntive,  affinche'  possa  dirsi  garantito  l'adeguato   accesso

dall'esterno, non potrebbe in ogni caso superare l'importo di  quelle

a carico del bilancio e destinate al reclutamento ordinario».

    Orbene,  la  legge  regionale  in  oggetto,  approvata  in   data

successiva alla pubblicazione  del  parere  della  Corte  dei  Conti,

laddove stabilisce che «le disposizioni di cui all'articolo  3  della

legge regionale n. 27/2016 e di citi  all'art.  26,  comma  6,  della

legge regionale 8 maggio 2018, n. 8 sono  da  intendersi  relative  a

procedure di reclutamento  straordinario  volte  al  superamento  del

precariato  storico,  che   prescindono   dalle   procedure   rivolte

all'esterno e sono interamente riservate ai soggetti  richiamati  nel

medesimo art. 26», attua  un'interpretazione  ed  applicazione  delle

previsioni de quibus del tutto incompatibile sia  con  la  disciplina

contenuta nell'art. 20 del decreto legislativo n. 75  del  2017,  sia

con il principio dell'adeguato accesso dall'esterno, che  costituisce

un precipitato della previsione di cui  all'art.  97,  quarto  comma,

della  Costituzione,  secondo  cui  «agli  impieghi  nelle  Pubbliche

Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i  casi  stabiliti

dalla legge».

    Cio' in quanto  si  prevede  che  il  reclutamento  straordinario

finalizzato all'eliminazione  del  precariato  storico  prescinde  da

quello  ordinario,  con   la   conseguenza,   in   assenza   di   una

specificazione  in  tal  senso,  che  esso  ben  puo'  riguardare  la

totalita' degli spazi assunzionali disponibili.

    L'art. 22, terzo comma, della legge regionale in oggetto  prevede

che le procedure seguite  per  l'assunzione  del  personale  precario

costituiscono  requisito  utile  all'applicazione  del  primo  comma,

lettera b) dell'art. 20 del decreto legislativo n. 75/2017.

    In  altri  termini,  la  diposizione  in  esame  qualifica   come

procedure  concorsuali  quelle  seguite  per  il   reclutamento   del

personale a tempo determinato.

    Sul punto, appare necessario ribadire che la procedura  selettiva

di tipo concorsuale  rimane  la  regola  per  l'accesso  al  pubblico

impiego, nonostante il carattere speciale riconosciuto alle norme  in

materia di stabilizzazione.

    Del resto, il requisito di cui  alla  lettera  b)  dell'art.  20,

comma 1, del decreto  legislativo  n.  75  del  2017  e'  predicabile

esclusivamente con riguardo ai  c.d.  precari  che,  in  quanto  gia'

scelti all'esito di un  precedente  pubblico  concorso,  garantiscono

comunque un'elevata professionalita'  all'Amministrazione  presso  la

quale prestano servizio.

    Il successivo art. 23 modifica il  comma  18  dell'art.  3  della

legge regionale 29 dicembre 2016, n. 27,  nei  seguenti  termini:  «I

soggetti  titolari  di  contratti  di  lavoro  subordinato  a   tempo

determinato che prestano servizio presso gli enti  in  dissesto,  gli

enti deficitari con piano di riequilibrio gia' approvato  dall'organo

consiliare, i liberi Consorzi comunali e le Citta' metropolitane alla

data del 31 dicembre 2018, inseriti nell'elenco di cui  all'art.  30,

comma 1, della legge regionale n. 5/2014 e  successive  modifiche  ed

integrazioni, che ne facciano  richiesta  entro  il  30  giugno  2019

all'Amministrazione  in  cui  prestano  servizio  e   ai   competenti

dipartimenti  regionali  delle  autonomie  locali   o   del   lavoro,

dell'impiego,  dell'orientamento,  dei  servizi  e  delle   attivita'

formative che  ne  attestano  rispettivamente  i  costi  relativi  al

trattamento economico fondamentale complessivo e agli oneri  riflessi

e l'inserimento nell'elenco di cui all'art. 30, comma 1, della  legge

regionale n. 5/2014 al 31 dicembre 2015, transitano in apposita  area

speciale transitoria ad esaurimento istituita presso la Resais S.p.A.

(..). 3. Le  procedure  di  transito  speciale  di  cui  al  presente

articolo sono regolate con contratto di lavoro a tempo  indeterminato

previa espletamento delle procedure di ari al comma  6  dell'art.  26

della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8, anche parziale,  che,  per

singola unita' lavorativa, in termini di costo complessivo annuo e di

giornate   lavorative    nonche'    per    gli    aspetti    connessi

all'inquadramento giuridico ed economico, e' uguale a quello relativo

al contratto a tempo determinato in essere al 31  dicembre  2015.  Il

personale  assunto  ai  sensi  del  presente  comma   e'   utilizzato

prioritariamente presso gli enti di originaria provenienza e conserva

il diritto alla riserva di cui all'art. 4, comma 6, del decreto-legge

31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge  30

ottobre  2013,  n.  125  e  successive  modifiche   e   integrazioni,

nell'ipotesi di avvio delle procedure  di  stabilizzazione  da  parte

degli  enti  di  originaria  assegnazione  ai  sensi  della  medesima

disciplina».

    Orbene, tutte  le  disposizioni  richiamate  presentano  analoghi

profili di incostituzionalita'.

    Per orientamento consolidato della giurisprudenza costituzionale,

il principio del pubblico concorso per l'accesso agli impieghi  nelle

pubbliche  amministrazioni,  quando  l'intento  e'   di   valorizzare

esperienze professionali maturate  all'interno  dell'amministrazione,

puo' andare incontro a deroghe ed eccezioni, attraverso la previsione

di trasformazione delle posizioni di lavoro a tempo determinato, gia'

ricoperte  da  personale  precario  dipendente.  Ma,  affinche'  «sia

assicurata la generalita' della regola del concorso pubblico disposta

dall'art. 97 Cost.», e' necessario che «l'area delle eccezioni»  alla

regola sancita dal suo primo comma sia «delimitata in modo  rigoroso»

(sentenze n. 363 del 2006, n. 215 del 2009  e  n.  9  del  2010).  In

particolare, e' indispensabile che  le  eccezioni  al  principio  del

pubblico  concorso  siano  numericamente  contenute  in   percentuali

limitate, rispetto alla globalita' delle assunzioni poste  in  essere

dall'amministrazione; che l'assunzione corrisponda  a  una  specifica

necessita' funzionale dell'amministrazione  stessa;  e,  soprattutto,

che siano previsti adeguati accorgimenti per assicurare comunque  che

il  personale  assunto  abbia  la  professionalita'  necessaria  allo

svolgimento dell'incarico (sentenza n. 215 del 2009).

    Tale principio non e' destinato a subire limitazioni neppure  nel

caso in cui il personale da stabilizzare  abbia  fatto  ingresso,  in

forma  precaria,  nell'amministrazione  con  procedure  di   evidenza

pubblica, e neppure laddove la  selezione  a  suo  tempo  svolta  sia

avvenuta con pubblico concorso, dato che la necessita'  del  concorso

per le  assunzioni  a  tempo  indeterminato  discende  non  solo  dal

rispetto   del   principio   di   buon   andamento   della   pubblica

amministrazione di cui all'art. 97 Cost., ma anche  dalla  necessita'

di consentire a tutti i cittadini l'accesso alle funzioni  pubbliche,

in base all'art. 51 Cost.

    Invero, «la natura comparativa e aperta della procedura e'  [...]

elemento essenziale del concorso pubblico», sicche'  deve  escludersi

la legittimita' costituzionale di procedure selettive riservate,  che

escludano o riducano irragionevolmente  la  possibilita'  di  accesso

dall'esterno», violando il carattere pubblico del  concorso  (in  tal

senso, sentenze n. 293 del 2009 e n. 100 del 2010).

    D'altra parte, come pure e' stato esplicitamente affermato  nelle

citate decisioni di codesta Corte,  «il  previa  superamento  di  una

qualsiasi «selezione pubblica», presso qualsiasi «ente pubblico»,  e'

requisito   troppo   generico   per   autorizzare   una    successiva

stabilizzazione senza concorso», perche' esso «non garantisce che  la

previa selezione avesse natura  concorsuale  e  fosse  riferita  alla

tipologia  e   al   livello   delle   funzioni   che   il   personale

successivamente  stabilizzato  e'   chiamato   a   svolgere»   (Corte

costituzionale, 24 giugno 2010, n. 225).

    Deve quindi ritenersi non conforme al quadro normativo  delineato

la possibilita', per chiunque ed anche per i precari assunti a  tempo

determinato  con  modalita'  alternative  al  pubblico  concorso,  di

accedere, senza previo espletamento di una procedura concorsuale,  ai

benefici della stabilizzazione ogniqualvolta  per  quelle  specifiche

mansioni sia possibile un'assunzione nei ruoli del  pubblico  impiego

(non potendosi ritenere che l'attingere alle graduatorie di cui  alla

legge regionale n. 85 del 1995 e alla legge regionale n. 21 del  2003

possa  essere  assimilato   all'espletamento   di   prove   selettive

concorsuali).

    Per venire a quanto disposto dall'art. 23, oltra a  quanto  sopra

rilevato, occorre aggiungere che la necessita' del concorso  pubblico

e'  stata  ribadita  con   specifico   riferimento   a   disposizioni

legislative    che    prevedevano     il     passaggio     automatico

all'amministrazione pubblica  di  personale  di  societa'  in  house,

ovvero  di  societa'  o  associazioni  private;  e'  stato   altresi'

specificato che il trasferimento da una  societa'  partecipata  dalla

Regione alla Regione stessa o ad altro soggetto pubblico regionale si

risolve in un privilegio indebito per i soggetti  beneficiari  di  un

siffatto meccanismo, in violazione dell'art. 97, quarto comma,  della

Costituzione (sentenze n. 7 del 2015, n. 134 del  2014,  n.  227  del

2013, n. 62 del 2012, n. 310 e n. 299 del 2011, n. 267 del  2010,  n.

363 e n. 205 del 2006).

    La previsione di cui all'art. 23 -  passaggio  dei  dipendenti  a

tempo  determinato  anche  degli  enti  territoriali  alla   societa'

regionale Resais S.p.a. e trasformazione del  rapporto  di  lavoro  a

tempo indeterminato - risulta quindi  incompatibile  con  il  dettato

costituzionale.

    Infatti, l'art. 23 consente, da un lato,  il  transito  di  detto

personale previo esperimento  di  procedure  integralmente  riservate

espletata ai sensi del comma 6 dell'art. 26 della legge  regionale  8

maggio 2018, n. 8 (che, in  base  all'interpretazione  contenuta  nel

comma 2 dell'art. 22 della legge regionale in oggetto sono  procedure

«che prescindono dalle procedure rivolte all'esterno») e, dall'altro,

prevede  la  costituzione  di  un'area  transitoria  ad   esaurimento

all'interno della societa' regionale Resais S.p.a. a  prescindere  da

qualsivoglia valutazione in ordine all'effettivo fabbisogno di  detto

personale.

    Orbene, e' noto che, con specifico riguardo  alle  c.d.  societa'

pubbliche, la Corte di cassazione ha ripetutamente evidenziato (Cass.

Sez. Lav. n. 4897/2018) che:

    «Corte costituzionale gia' a partire dalla sentenza  n.  466/1993

[...] ha osservato  che  il  solo  mutamento  della  veste  giuridica

dell'ente non e' sufficiente a giustificare  la  totale  eliminazione

dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione  non  assuma  anche

"connotati sostanziali, tali da determinare l'uscita  delle  societa'

derivate dalla sfera della finanza pubblica".

    La   giurisprudenza   costituzionale   distingue,   dunque,    la

privatizzazione sostanziale da quella meramente formale (Corte  Cost.

nn. 29/2006, 209 / 2015, 55 I 2017) e sottolinea che in detta seconda

ipotesi  viene  comunque  in  rilievo  l'art.  97  Cost.,  del  quale

il decreto-legge n. 112 del 2008  costituisce  attuazione,  tanto  da

vincolare  il  legislatore  regionale  ex  art.  117   Cost.   (Corte

Costituzionale n. 68/2011).

    ....valgono le considerazioni gia' espresse da  questa  Corte  in

merito al rapporto fra procedura concorsuale decreto  legislativo  n.

165 del 2001, ex art. 35 e contratto di lavoro, in relazione al quale

si e' osservato che "sussiste un inscindibile legame fra la procedura

concorsuale ed il rapporto di lavoro con l'amministrazione  pubblica,

poiche'  la  prima  costituisce  l'atto  presupposto  del   contratto

individuale, del quale condiziona la  validita',  posto  che  sia  la

assenza  sia  la  illegittimita'  delle  operazioni  concorsuali   si

risolvono nella  violazione  della  norma  inderogabile  dettata  dal

decreto legislativo n. 165 del 2001, art. 35 attuativo del  principio

costituzionale  affermato  dall'art.  97,  compra  4,   della   Carta

fondamentale." (Cass. n. 13884/2016).

    Va, quindi, esclusa la portata innovativa del decreto legislativo

n. 175 del 2016, art. 19, comma 4, che, nel  prevedere  espressamente

la nullita' dei contratti stipulati in violazione delle procedure  di

reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza gia'  desumibile

dai principi sopra richiamati in tema di nullita' virtuali.

    In merito e' utile evidenziare  che  sugli  effetti  del  mancato

rispetto degli obblighi imposti del decreto-legge n.  112  del  2008,

art. 18 la  giurisprudenza  di  merito  aveva  espresso  orientamenti

opposti,  sicche'  la  nuova  normativa  assume  anche  una   valenza

chiarificatrice della disciplina previgente (sulla  possibilita'  che

la norma sopravvenuta,  seppure  non  di  interpretazione  autentica,

possa non essere innovativa cfr. in motivazione  Cassazione  S.U.  n.

18353/2014 e Cassazione n. 20327/2016.

    Una volta affermato che per le societa' a partecipazione pubblica

il  previo  esperimento  delle  procedure  concorsuali  e   selettive

condiziona la validita' del contratto di lavoro, non puo' che operare

il principio richiamato al punto 2 secondo cui  anche  peri  soggetti

esclusi dall'ambito di applicazione del decreto  legislativo  n.  165

del  2001,  art.  36  la  regola  della  concorsualita'  imposta  dal

legislatore, nazionale  o  regionale,  impedisce  la  conversione  in

rapporto a tempo indeterminato  del  contratto  a  termine  metto  da

nullita'. Diversamente opinando si finirebbe per eludere  il  divieto

posto dalla norma imperativa che, come gia' evidenziato, tiene  conto

della  particolare  natura  delle  societa'   partecipate   e   della

necessita', avvertita dalla Corte  costituzionale,  di  non  limitare

l'attuazione dei precetti dettati dall'art. 97 Cost. ai soli soggetti

formalmente pubblici, bensi' di  estendente  l'applicazione  anche  a

quelli  che,  utilizzando  risorse   pubbliche,   agiscono   per   il

perseguimento di interessi di carattere generale»  (cosi',  Corte  di

cassazione, sezione lavoro, 1° marzo 2018, n. 4897).

    Ne deriva che, anche con riguardo  alle  societa'  pubbliche,  le

modalita'  di  reclutamento   devono   avvenire   secondo   modalita'

compatibili con le previsioni di cui all'art. 97, quarto comma, della

Costituzione e, per quanto qui rileva, con il principio dell'adeguato

accesso dall'esterno.

    Conclusivamente tutte le disposizioni richiamate sono censurabili

per violazione degli articoli 51,  97,  quarto  comma,  117,  secondo

comma, lettera 1) e  117,  terzo  comma,  della  Costituzione  e  del

decreto legislativo n. 75/2017.

    A cio' aggiungasi che la costituzione di  un  ruolo  speciale  ad

esaurimento  (art.  23),  che  prescinde  del  tutto  dal  piano  dei

fabbisogni, appare difficilmente compatibile con la previsione di cui

all'art. 19 del decreto legislativo n. 175 del 2016 che, ai commi 5 e

6, impone alle amministrazioni pubbliche socie di fissare, con propri

provvedimenti,  obiettivi  specifici,  annuali  e  pluriennali,   sul

complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese  quelle  per  il

personale,  delle  societa'   controllate,   «anche   attraverso   il

contenimento  degli  oneri  contrattuali  e   delle   assunzioni   di

personale», e alle societa' partecipate di  perseguire  concretamente

gli obiettivi assegnati.

    In questo senso la previsione di  cui  all'art.  23  della  legge

regionale n. 1 del 2019 non e' quindi  compatibile  con  l'art.  117,

terzo comma, della Costituzione che riserva allo Stato la  disciplina

dei principi generali  in  materia  di  coordinamento  della  finanza

pubblica, nonche' con l'art. 117, lettera l) della Costituzione,  che

riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e,

quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile.

    L'art. 26, comma 2 prevede l'abrogazione dell'art. 13 della legge

regionale 17 marzo 2016, n. 3, il quale stabiliva che il Fondo per la

retribuzione di posizione e di risultato del personale con  qualifica

dirigenziale della  Regione  siciliana,  come  determinato  ai  sensi

dell'art. 49, comma 27, della legge regionale n. 9/2015, era ridotto,

a decorrere dall'esercizio finanziario 2016,  della  somma  di  1.843

migliaia di euro e,  a  decorrere  dall'esercizio  finanziario  2017,

dell'ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro.

    Al riguardo, si evidenzia che l'abrogazione di tale  norma  tende

la materia priva di riferimenti e di vincoli, in  considerazione  del

mancato richiamo della  norma  recata  dall'art.  23,  comma  2,  del

decreto legislativo n. 75/2017.

    Tale disposizione rappresenta una cornice cui tutte le  pubbliche

amministrazioni devono fare riferimento e definisce  un  limite  alla

contrattazione integrativa che la Regione, pur nella  sua  autonomia,

non e' legittimata a superare.

    Pertanto, la norma in esame si pone in conflitto con l'art.  117,

comma 2, lettera l) della Costituzione, che riserva  alla  competenza

esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i  rapporti  di

diritto privato regolabili dal Codice civile (contratti collettivi) e

comunque con il principio generalissimo  di  cui  all'art.  81  della

Costituzione, che comportano nuovi e significativi oneri.

Art. 31.

    La norma in esame reca disposizioni in materia di stabilizzazione

del personale della sanita' penitenziaria.

    Al comma 1 viene disposto che,  fermo  restando  quanto  previsto

dall'art. 75 della legge regionale n. 8/2018, tutto il  personale  di

sanita' penitenziaria trasferito ai sensi  dell'art.  3  del  decreto

legislativo n. 222/2015 ed  ancora  in  servizio  alla  data  del  31

dicembre 2018 viene inquadrato secondo specifiche modalita' stabilite

con decreto dell'Assessore regionale per la salute, con l'istituzione

di un ruolo ad esaurimento fino ai raggiunti limiti di eta'  previsti

dalla legge n. 740/1970 in atto vigenti.

    Al comma 2 si stabilisce che  le  aziende  sanitarie  provinciali

sono autorizzate ad avviare selezioni pubbliche per  l'immissione  in

ruolo del personale sanitario infermieristico di cui  alla  legge  n.

740/1970, in  essere  alla  data  del  28  febbraio  2015  ed  ancora

esistenti alla  data  di  entrata  in  vigore  del  predetto  decreto

legislativo n. 222/2015 e trasferito a decorrere dalla medesima  data

di  entrata   in   vigore   dal   Dipartimento   dell'amministrazione

penitenziaria e  dal  Dipartimento  per  la  giustizia  minorile  del

Ministero della giustizia alle aziende  sanitarie  provinciali  della

Regione. Al riguardo, si  osserva  che  la  norma  in  parola  sembra

riprodurre  i  medesimi  profili  di  illegittimita'  sollevati   con

riguardo al suddetto art. 75 della  legge  regionale  n.  8/2018,  in

ordine al quale il Consiglio  dei  Ministri  del  6  luglio  2018  ha

disposto l'impugnativa davanti alla Corte costituzionale.

    Cio',  dal  momento  che  i  rapporti  di  lavoro  del  personale

sanitario instaurati ai sensi della richiamata legge n. 740 del 1970,

come evidenziato in sede di esame della  citata  legge  regionale  n.

8/2018, continuano ad essere disciplinati  dalla  stessa  legge  fino

alla relativa scadenza, e ove a tempo determinato, sono prorogati per

la durata di dodici mesi. Decorso  tale  termine  i  rapporti  devono

ritenersi esauriti.

    Pertanto, le previsioni di cui all'art.  31  in  esame  ampliano,

sostanzialmente, il limite temporale stabilito al  31  dicembre  2017

dall'art. 3, comma 7, del decreto legislativo n. 222/2015 e  dall'art

3, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2016, ricomprendendo  nel

processo di stabilizzazione anche i rapporti di lavoro gia'  oggetto,

come innanzi detto, di impugnativa.

    In particolare, ampliando  il  limite  temporale  di  durata  dei

predetti contratti cosi' come delineato dall'art.  3,  comma  7,  del

citato decreto legislativo n. 222/2015, emanato ai sensi del  decreto

del Presidente del Consiglio dei  ministri  1°  aprile  2008  recante

«Modalita' e criteri  per  il  trasferimento  al  servizio  sanitario

nazionale delle funzioni sanitarie, dei  rapporti  di  lavoro,  delle

risorse finanziarie  e  delle  attrezzature  e  beni  strumentali  in

materia di sanita' penitenziaria», le disposizioni sono  suscettibili

di  configurare  una  violazione  dell'art.  117,  comma   3,   della

Costituzione. Ed invero, il contenuto del decreto del Presidente  del

Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 - adottato ai  sensi  dell'art.

22 comma  283  della  legge  24  dicembre  2007,  n.  244  (legge  di

stabilita'  2008)  -   costituisce   principio   fondamentale   della

legislazione  statale  in  materia  di  coordinamento  della  finanza

pubblica,  nell'ambito  del  trasferimento  del  personale  sanitario

penitenziario al Servizio sanitario regionale.

    Non e' chiaro inoltre se le procedure selettive previste al comma

2 siano a valere su risorse riconducibili al limite di spesa  di  cui

all'art. 9, comma 282 del  decreto-legge  n.  78/2010.  Si  rammenta,

infatti, che il  piano  di  reclutamento  speciale  previsto  in  via

transitoria  dal  richiamato  art.  20  del  decreto  legislativo  n.

75/2017, consente di utilizzare, in deroga all'ordinario regime delle

assunzioni e per finalita' volte esclusivamente  al  superamento  del

precariato, le risorse dell'art. 9, comma 28,  del  decreto-legge  n.

78/2010, calcolate in misura corrispondente al loro  ammontare  medio

nel triennio 2015-2017. Tali risorse,  quindi,  possono  elevare  gli

ordinari limiti finanziari per le assunzioni  a  tempo  indeterminato

previsti dalle norme vigenti, purche' siano destinate per intero alle

assunzioni a  tempo  indeterminato  del  personale  in  possesso  dei

requisiti  previsti  dall'art.  20  e  nel  rispetto  delle  relative

procedure.

    Le  previsioni  di  cui  ai  suddetti  commi  2,  3  e   4   sono

suscettibili,  dunque,  di  avere  risvolti  onerosi  che  potrebbero

risultare  non  compatibili  con  la  cornice   economico-finanziaria

programmata nel Piano di  rientro  dal  disavanzo  sanitario  cui  la

Regione siciliana  e'  sottoposta,  che  peraltro  prevede  specifici

interventi a riguardo, e, conseguentemente, di porsi in contrasto con

l'art. 81 della Costituzione nonche'  con  il  successivo  art.  117,

comma  3,  atteso  che  le  vigenti  disposizioni   in   materia   di

contenimento  della  spesa  di  personale  degli  enti  del  SSN   si

configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica.»

    Per quanto precede, evidenti sono dunque i molteplici profili per

i quali l'art. 31 viola altresi' gli articoli 3, 51, primo comma,  81

e  97  della  Costituzione,  del  tutto  prescindendo  dal   pubblico

concorso.

    Tanto premesso, la Presidenza del Consiglio dei ministri, come in

epigrafe rappresentata, difesa e domiciliata,  chiede  l'accoglimento

delle seguenti conclusioni.

    

                                       P.Q.M.

 

    Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita accogliere il presente

ricorso e per l'effetto  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale

degli articoli 11, 14, 22, commi 2 e 3, 23, 24, 25, 26, comma 2, 31 e

33 della legge della Regione  Sicilia  n. 1  del  22  febbraio  2019,

pubblicata  nel  B.U.R.  n.  9  del   26   febbraio   2019,   recante

«Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019.  Legge  di

stabilita' regionale».

 

Roma, 24 aprile 2019

L'Avvocato dello Stato: Nunziata

 

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