Ricorso n.54 del 3 maggio 2019 (del Presidente del Consiglio dei Ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 3 maggio 2019 (del Presidente del Consiglio dei ministri).
(GU n. 25 del 2019-06-19)
Ricorso ex art. 127 Costituzione per la Presidenza del Consiglio
dei ministri (codice fiscale n. 80188230587), in persona del
Presidente pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege
dall'Avvocatura Generale dello Stato (Codice fiscale n. 80224030587;
pec: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it; fax 06/96514000) ed
elettivamente domiciliata presso i suoi Uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12; ricorrente;
Contro Regione Sicilia in persona del Presidente pro tempore,
dott. Nello Musumeci, con sede in Palermo, piazza Indipendenza, n. 21
resistente;
per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
della Regione Sicilia n. 1 del 22 febbraio 2019, pubblicata nel
B.U.R. n. 9 del 26 febbraio 2019, recante «Disposizioni
programmatiche e correttive per l'anno 2019.
Legge di stabilita' regionale».
La legge della Regione Sicilia 22 febbraio 2019, n. 1, recante
«Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019. Legge di
stabilita' regionale», e' censurabile in alcune sue disposizioni, in
quanto viola i principi di cui agli articoli 3, 51, comma 1, 81, 97,
comma 4, e 117, commi 2, lettera l e s) e 3 della Costituzione per i
seguenti:
Motivi
La legge indicata in epigrafe ha carattere eterogeneo; per tale
ragione si indicheranno le specifiche disposizioni che appaiono
adottate in violazione dei precetti costituzionali sopra indicati.
Art. 33, in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
Preliminarmente si evidenzia che la vigente normativa in materia
di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio e'
contenuta nella legge quadro 11 febbraio 1992, n. 157, concernente
«Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il
prelievo venatoria», ritenuta dalla Corte costituzionale disciplina
recante, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., il
nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, il cui rispetto
deve essere assicurato sull'intero territorio nazionale (Corte Cost.
n. 233/2010).
La stessa giurisprudenza della Corte costituzionale ha, in
materia, affermato che «spetta allo Stato, nell'esercizio della
potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema, prevista dall'art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost, stabilire standard minimi e uniformi di tutela della fauna,
ponendo regole che possono essere modificate dalle Regioni,
nell'esercizio della loro potesta' legislativa in materia di caccia,
esclusivamente nella direzione dell'innalzamento del livello di
tutela» (ex plurimis, sentenze n. 303 del 2103, n. 278. n. 116 e n.
106 del 2012).
Cio' posto, l'esame, in punto di legittimita' costituzionale,
della norma regionale che si contesta impone una preliminare
ricostruzione delle previsioni legislative statali suscettibili di
assumere in materia la valenza di parametri interposti, in quanto
espressione della competenza esclusiva dello Stato a porre standard
uniformi di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema non derogabili in
pejus dalle regioni.
In questa prospettiva, occorre tener conto, anzitutto, dell'art.
19, comma 2 della suddetta legge n. 157 del 1992, il quale intesta
alle regioni il controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle
zone vietate alla caccia.
Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di
norma mediante metodi ecologici su parere dell'istituto nazionale per
la fauna selvatica (oggi: ISPRA). Solo laddove ISPRA verifichi
l'inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare
piani di abbattimento, i quali devono essere attuati dalle guardie
venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali, che potranno
a propria volta avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui
quali si attuano i piani medesimi, purche' provvisti di licenza per
l'esercizio venatorio, nonche' delle guardie forestali e delle
guardie comunali munite della stessa licenza.
Nell'ambito di tale cornice normativa primaria statale, l'art. 33
della legge in parola, sotto la rubrica «Utilizzo personale per
attivita' di controllo faunistico», al comma 4 dell'art. 1
della legge regionale 11 agosto 2015, n. 18, dopo le parole «legge 11
febbraio 1992, n. 157», aggiunge la seguente previsione: «e all'art.
22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394». Quest'ultima disposizione
stabilisce, al comma 6, che: «6. Nei parchi naturali regionali e
nelle riserve naturali regionali l'attivita' venatoria e' vietata,
salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi
necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed
abbattimenti devono avvenire in conformita' al regolamento del parco
o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e
sotto la diretta responsabilita' e sorveglianza dell'organismo di
gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso
dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra
cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni corsi
di formazione a cura dello stesso Ente».
La disposizione regionale in parola, attraverso il testuale
richiamo all'art. 22 della legge n. 394 del 1991, prevede, al
ritenuto fine di ricomporre gli squilibri ecologici, la possibilita'
che all'interno delle aree protette i prelievi e gli abbattimenti
faunistici siano effettuati dal personale dipendente dall'organismo
di gestione del parco o da persone da esso autorizzate, scelte con
preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco.
La precedente legge regionale n. 18 dell'11 agosto 2015 (che
viene modificata con la norma che qui si impugna), recante «Norme in
materia di gestione del patrimonio faunistico allo stato di
naturalita'» (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale Reg. Sic. 28 agosto
2015, n. 35), era intervenuta a disciplinare il controllo della fauna
sull'intero territorio regionale, fissando i seguenti punti salienti:
per le aree naturali protette, la competenza all'attuazione
dei piani di controllo e' correttamente affidata agli enti gestori
(comma 4 dell'art. 1);
per il rimanente territorio regionale (al di fuori quindi
delle aree naturali protette) la competenza e' attribuita alle
ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio, che sono
degli uffici della regione (comma 9 dell'art. 1);
soggetti da utilizzare in entrambe le fattispecie (comma 4
dell'art. 1) risultano essere esclusivamente il personale dell'ente e
quelli previsti dall'art. 19 della legge n. 157 dell'11 febbraio
1992.
Prima, quindi, della modifica recata dall'art. 33 della legge di
cui trattasi, nella Regione siciliana l'unico personale che poteva
essere destinato al controllo del patrimonio faunistico era quello
previsto dall'art. 19 della legge n. 157 del 1992, con la differenza
che nelle aree protette provvedevano gli enti gestori, mentre nel
rimanente territorio (comprese le aree precluse a fini venatori) le
ripartizioni faunistico venatorie.
Con l'art. 33, quindi, modificando il comma 4 dell'art. 1 della
preesistente legge regionale n. 18 del 2015, si consente di
utilizzare sull'intero territorio regionale (ed anche da parte delle
ripartizioni faunistico venatorie) il personale previsto dall'art. 22
della legge 6 dicembre 1991, n. 394, che riguarda solo le aree
naturali protette.
Al riguardo, occorre tenere presente che, a livello nazionale e
per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, il controllo
della fauna e' sottoposto al rispetto di rigorose disposizioni
statali non derogabili dal legislatore regionale, le quali, in
particolare, prevedono rigorose distinzioni per l'utilizzo del
personale per il controllo venatorio e gli abbattimenti, tenuto
conto, nello specifico:
che in tutto il territorio diverso dalle aree naturali
protette, ai sensi del comma 2 dell'art. 19 della legge 157/1992,
operano esclusivamente le «guardie venatorie dipendenti dalle
amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresi'
avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano
i piani medesimi, purche' muniti di licenza per l'esercizio
venatorio, nonche' delle guardie forestali e delle guardie comunali
munite di licenza per l'esercizio venatorio»;
che nelle aree naturali protette, ai sensi del comma 22 della
legge n. 394/1991, i controlli devono essere attuati esclusivamente
dal personale dipendente dall'ente gestore o da persone da esso
autorizzate;
che ai sensi dell'art. 2 comma 33 della legge 9 dicembre
1998, n. 426 (che ha modificato il comma 22 della legge n. 394/1991)
le persone autorizzate dall'ente gestore vanno scelte «con preferenza
tra cacciatori residenti nel territorio del parco».
Cio' posto, non appare chiaro, dunque, se il richiamo operato
dall'art. 33 vada riferito al (solo) testo dell'originario art. 22
della legge n. 394/1991 (come recita testualmente la norma regionale)
o debba riferirsi anche alla modifica successiva dell'art. 22 operata
dall'art. 2 comma 33 della legge n. 426/1998: cio' in quanto non e'
precisato dalla legge regionale se il recepimento delle norme
nazionali abbia carattere statico e recepimento dinamico.
Da siffatta ricostruzione del quadro normativo di riferimento
possono discendere due distinte prospettazioni:
1) ove l'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019 si
riferisca solo al testo originario dell'art. 22 della legge n. 394
del 1991, la censura che si muove e' quella che l'art. 33 della legge
regionale n. 1 del 2019, prevedendo per il controllo della fauna
quanto disposto dall'art. 22 della legge n. 394/1991, in ragione
dell'applicazione delle suddette norme al resto del territorio
regionale da parte delle ripartizioni faunistico venatorie (comma 9
dell'art. 1 della legge regionale n. 18 del 2015) consentirebbe a
queste di utilizzare il personale degli enti gestori delle aree
naturali protette al di fuori delle aree stesse da cui dipende e,
soprattutto, consentirebbe alle ripartizioni faunistico venatorie di
individuare (ulteriori) personale da autorizzarsi al di fuori di
quanto tassativamente previsto dall'art. 19 della legge n. 157/1992.
2) ove l'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019 si
riferisca al testo dell'art. 22 della legge n. 394/1991, come
modificato dalla legge 426/1998, ritiene l'intestata Presidenza che
l'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019, prevedendo per il
controllo della fauna quanto disposto dall'art. 22 della legge n.
394/1991 come modificato dall'art. 2 comma 33 della legge n.
426/1998, in ragione dell'applicazione delle suddette norme al resto
del territorio regionale da parte delle ripartizioni faunistico
venatorie (comma 9 dell'art. 1 della legge regionale n. 18/2015)
consentirebbe di utilizzare anche i cacciatori nel controllo della
fauna nel rimanente territorio regionale e nelle aree interdette
dalla normativa venatoria (oasi, zone di ripopolamento e cattura,
demani forestali, ecc.) al di fuori di quanto previsto tassativamente
dall'art. 19 della legge n. 157/1992.
Per altro verso, si osserva altresi' che, essendo unica per
l'intero territorio regionale la disposizione che individua il
personale da utilizzare nelle attivita' di controllo della fauna
(art. 1, comma 4, legge regionale n. 18 del 2015, come integrato
dall'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019) sia nelle aree
protette (a cura dell'ente gestore ai sensi del comma 4 dell'art. 1
della legge regionale n. 18/2015), sia nel rimanente territorio
regionale (a cura delle ripartizioni faunistico venatorie ai sensi
del comma 9 dell'art. 1 della legge regionale n. 18 del 2015), la
norma e' affetta da irragionevolezza e profili di incostituzionalita'
in riferimento alle disposizioni nazionali che distinguono
rigorosamente i soggetti che possono essere utilizzati nelle
attivita' di controllo nelle aree protette rispetto al resto del
territorio e viola altresi' i canoni che presiedono alla corretta
legiferazione, ponendosi in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione, atteso che non si comprende se l'art. 33 della legge
regionale n. 1 del 2019 si riferisca al testo originario dell'art. 22
della legge n. 394 del 1991 o a quello successivamente modificato
dall'art. 2, comma 33 della legge n. 426 del 1998 e come possa
applicarsi il criterio di «cacciatori residenti nel territorio del
parco» al rimanente territorio regionale.
In entrambi i casi, chiaramente con maggiore gravita' per il
secondo scenario (ossia riferimento all'art. 22 della legge n. 394
del 1991 come modificato dall'art. 2 comma 33 della legge n. 426 del
1998), si amplierebbe la platea dei soggetti (arrivando a prevedere i
cacciatori) che potrebbero essere utilizzati nelle attivita' di
controllo della fauna, in violazione delle rigide disposizioni
dettate dal legislatore nazionale che rappresentano il nucleo minimo
di tutela, non derogabile in pejus dal legislatore regionale.
E' incontestabile, exfacto, che i cacciatori non possono essere
utilizzati nelle attivita' di controllo della fauna selvatica
sull'intero territorio regionale e nelle aree precluse dalla
normativa venatoria, oltre alle aree naturali protette.
Univoca e rigorosa e' stata in questi anni l'azione del Governo
volta alla declaratoria di incostituzionalita' di disposizioni simili
contenute in altre leggi regionali.
E' sufficiente fare riferimento al ricorso del Presidente del
Consiglio del 3 marzo 2016 contro la legge regionale della Liguria n
29/2015, definito con la sentenza n. 139/2017.
Da tanto discende che l'illegittimita' della norma regionale in
questione e, soprattutto, il pregiudizio per la corretta gestione del
patrimonio faunistico regionale al di fuori del rigoroso quadro
definito dallo Stato e dalla Corte costituzionale, risiedono nel
fatto che dal combinato disposto della preesistente legge regionale
n. 18 del 2015 e dell'integrazione di cui all'art. 33 della legge
regionale n. 1 del 2019 e' possibile applicare l'art. 22 della legge
394 del 1991 anche nei Siti Natura 2000 (SIC, ZPS e ZSC al di fuori
delle aree protette) e con particolare pregiudizio per quelli
sottoposti a divieto di caccia dal vigente Piano Regionale Faunistico
Venatorio.
In particolare, ai sensi del comma 9 dell'art. 1 della legge
regionale n. 18 del 2015, le ripartizioni faunistico venatorie
applicano il comma 4 dell'art. 1 della medesima legge regionale (come
integrato dall'art. 33 della legge regionale n. 1 del 2019) e quindi
possono applicare l'introdotto art. 22 della legge n. 394/1991 in
aree diverse dalle aree protette e, quindi, anche nei Siti Natura
2000 (SIC, ZPS e ZSC) ed in particolare anche in quelli sottratti
alla caccia dal piano regionale faunistico venatorio, in violazione
delle tassative disposizioni dell'art. 19 della legge n. 157 del 1992
sul controllo della fauna selvatica al di fuori delle aree protette
(diversamente disciplinato proprio dall'art. 22 della legge n. 394
del 1991).
A tal riguardo si rileva che la materia del controllo venatorio
e' stato oggetto di disciplina da parte del legislatore statale con
la suddetta, successiva, legge n. 157 del 1992 - qualificabile,
secondo giurisprudenza costituzionale, come norma fondamentale di
riforma economico-sociale - la quale, all'art. 19, comma 2, fornisce
un'elencazione dei soggetti ad esso deputati, definita dalla Corte
costituzionale tassativa, oltre che vincolante per le Regioni, in
quanto espressione della competenza esclusiva dello Stato sulla
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; di talche' una sua
integrazione da parte della legge regionale riduce il livello minimo
e uniforme di tutela dell'ambiente (sent. n. 139/2017 e, da ultimo,
sentenza n. 217/2018). La Consulta ha avuto altresi' modo di rilevare
che la suddetta disposizione primaria statale non attiene alla
caccia, poiche' disciplina un'attivita', il controllo faunistico, che
non e' svolta per fini venatori, ma a fini di tutela dell'ecosistema
(sentenza n. 392 del 2005), com'e' dimostrato dal fatto che e' presa
in considerazione dalla norma statale solo come extrema ratio, ove i
metodi ecologici non risultino efficaci.
Nella parte in cui, dunque, l'art. 19 della legge n. 157 del 1992
ha introdotto un elenco tassativo di soggetti autorizzati al
controllo venatorio in cui non sono compresi i cacciatori che non
siano proprietari o conduttori dei fondi interessati dai piani
medesimi, essa mira a «evitare che la tutela degli interessi
(sanitari, di selezione biologica, di proiezione delle produzioni
zootecniche, ecc.) perseguiti trasmodi nella compromissione della
sopravvivenza di alcune specie faunistiche ancorche' nocive» (sent.
n. 392 del 2005), in linea, peraltro, con la piu' rigorosa normativa
europea in tema di protezione delle specie selvatiche (direttiva
74/409/CEE del Consiglio, concernente la conservazione degli uccelli
selvatici).
Pertanto, la norma regionale della Sicilia, nella parte in cui
estende, secondo la modifica apportata al comma 4 dell'articolo i
della legge regionale 11 agosto 2015, n. 18, il novero dei soggetti
autorizzati al controllo faunistico ai cacciatori, viola la sfera di
competenza statale alterando, altresi', il contemperamento di
interessi delineato dal legislatore nell'art. 19, comma 2, della
legge n. 157 del 1992, che, nella parte in cui disciplina i poteri
regionali di controllo faunistico, realizza uno standard minimo
uniforme di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, rappresentando un
limite invalicabile anche per l'autonomia regionale (Corte Cost.
sentenza n. 44/2012).
Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro normativo
eurounitario e statale in cui si colloca la tutela delle specie
oggetto della disposizione censurata, si rileva il contrasto della
norma regionale con il secondo comma, lettera s), dell'art. 117
Cost., poiche' tendente a ridurre inpdus il livello di tutela della
fauna selvatica stabilito dalla legislazione nazionale, invadendo
illegittimamente la competenza legislativa esclusiva dello Stato in
materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, in riferimento
all'art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, nonche' con il
parametro di ragionevolezza della legislazione desumibile dall'art. 3
Cost.
Profili di incostituzionalita' presentano gli articoli 24 e 25.
L'art. 24 stabilisce:
una disciplina transitoria, a livello regionale «nelle more
del recepimento delle disposizioni di cui all'art. 1, commi da 675 a
684, della legge 30 dicembre 2018, n. 145», per il rilascio di nuove
concessioni demaniali marittime, fissandone modalita', termini, casi
di revoca (comma 1, lettera a);
l'utilizzo di procedure amministrative semplificate per il
«rilascio di autorizzazioni di durata breve per l'occupazione e l'uso
di limitate porzioni di aree demaniali marittime e di specchi acquei,
comunque non superiori a complessivi metri quadrati mille e per un
periodo massimo di novanta giorni, non prorogabili e non
riproponibili nello stesso anno solare, allo scopo di svolgere
attivita' turistico ricreative, commerciali o sportive, anche
attraverso la collocazione di manufatti, purche' precari e facilmente
amovibili» (comma 1, lettera b), demandando, per tali fattispecie, a
un decreto dell'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente la
disciplina concernente le modalita' di presentazione delle richieste
e le procedure amministrative, nonche' le modalita' per il rilascio
della concessione (comma 2).
L'art. 25 prevede che:
«1. Ai sensi dell'art. 32 del decreto-legge 12 settembre 2014, n.
133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n.
164, le prestazioni delle strutture di marina resort sono assimilate
a quelle delle strutture ricettive all'aria aperta e pertanto sono
soggette all'applicazione del tributo di cui al decreto del
Presidente della Repubblica n. 633/1972 e successive modifiche ed
integrazioni, nella medesima misura come determinata ai sensi della
Tabella A, parte III, n. 120 dello stesso decreto del Presidente
della Repubblica n. 63311972.
2. Le strutture dedicate alla nautica da diporto, che rientrano
nella categoria degli imbullonati ai sensi dell'art. 1, comma 21,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208, sono escluse dal calcolo della
rendita catastale. La disposizione di cui al presente comma non
comporta minori entrate per il bilancio della Regione.»
Preme evidenziare, in via preliminare, che i commi da 675 a 684
della legge 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il
triennio 2019-2021», delineano un'articolata procedura per la
generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime,
che prevede l'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri che ne fissi i termini e le modalita', nonche'
successive attivita' di implementazione da parte delle
Amministrazioni competenti, tra cui una consultazione pubblica al
termine della quale saranno assegnate le aree concedibili che
attualmente non sono date in concessione.
In particolare, il comma 675 dispone l'emanazione di un decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri che fissi i termini e le
modalita' per la generale revisione del sistema delle concessioni
demaniali marittime. La finalita' indicata nella norma e' quella di
tutelare, valorizzare e promuovere il bene demaniale delle coste
italiane, che rappresenta un elemento strategico per il sistema
economico, di attrazione turistica e di immagine del Paese, in
un'ottica di armonizzazione delle normative europee.
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dovra'
essere adottato su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti e del Ministro per le politiche agricole, alimentari,
forestali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia e
delle finanze, sentito il Ministro dello sviluppo economico, il
Ministro degli affari europei, il Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, il Ministro per gli affari
regionali e la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
Si ricorda che sulla materia delle concessioni demaniali
marittime interviene anche il comma 246, che consente ai titolari di
concessioni demaniali marittime e punti di approdo con finalita'
turistico ricreative di mantenere installati i manufatti amovibili
fino al 31 dicembre 2020 data di scadenza della proroga delle
concessioni in essere al 31 dicembre 2015 - nelle more del riordino
della materia.
Il comma 676 definisce piu' in dettaglio i contenuti del decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, che dovra' stabilire le
condizioni e le modalita' per procedere:
a) alla ricognizione e mappatura del litorale e del demanio
costiero-marittimo;
b) all'individuazione della reale consistenza dello stato dei
luoghi, della tipologia e del numero di concessioni attualmente
vigenti nonche' delle aree libere e concedibili;
c) all'individuazione della tipologia e numero di imprese
concessionarie e sub-concessionarie;
d) alla ricognizione degli investimenti effettuati
nell'ambito delle concessioni stesse e delle tempistiche di
ammortamento connesse, nonche' dei canoni attualmente applicati in
relazione alle diverse concessioni;
e) all'approvazione dei metodi, indirizzi generali e criteri
per la programmazione, pianificazione e gestione integrata degli
interventi di difesa delle coste e degli abitati costieri di cui
all'art. 89, primo comma, lettera h), del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 112.
Il comma 677 prevede inoltre che il decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri contenga altresi' i criteri per strutturare:
a) un nuovo modello di gestione delle imprese
turistico-ricreative e ricettive che operano sul demanio marittimo
secondo schemi e forme di partenariato pubblico-privato, atto a
valorizzare la tutela e la piu' proficua utilizzazione del demanio
marittimo, tenendo conto delle singole specificita' e caratteristiche
territoriali secondo criteri di: sostenibilita' ambientale; qualita'
e professionalizzazione dell'accoglienza e dei servizi,
accessibilita'; qualita' e modernizzazione delle infrastrutture;
tutela degli ecosistemi marittimi coinvolti; sicurezza e vigilanza
delle spiagge;
b) un sistema di rating ditali imprese e della qualita'
balneare;
c) la revisione organica delle norme connesse alle
concessioni demaniali marittime, con particolare riferimento alle
disposizioni in materia di demanio marittimo contenute nel Codice
della navigazione o in leggi speciali in materia;
d) il riordino delle concessioni ad uso residenziale e
abitativo, tramite individuazione di criteri di gestione, modalita'
di rilascio e termini di durata della concessione nel rispetto di
quanto previsto dall'art. 37, primo comma, del Codice della
Navigazione e dei principi di imparzialita', trasparenza, adeguata
pubblicita' e tenuto conto, in termini di premialita', dell'idonea
conduzione del bene demaniale e della durata della concessione.
e) la revisione e l'aggiornamento dei canoni demaniali a
carico dei concessionari, che tenga conto delle peculiari attivita'
svolte dalle imprese del settore, della tipologia dei beni oggetto di
concessione anche con riguardo alle pertinenze, della valenza
turistica.
In base al comma 678, le amministrazioni competenti per materia,
che saranno individuate nel decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, dovranno provvedere entro due anni dall'adozione del
decreto, ciascuna per la propria competenza, all'esecuzione delle
attivita' indicate nei due precedenti commi. Sulla base delle
risultanze di tali lavori svolti sara' avviata una procedura di
consultazione pubblica, nel rispetto dei principi e delle previsioni
della legge n. 241 del 1990, sulle priorita' e modalita' di azione e
intervento per la valorizzazione turistica delle aree insistenti sul
demanio marittimo che dovra' concludersi nel termine massimo
di centottanta giorni dalla data di conclusione dei lavori da parte
delle Amministrazioni (comma 679).
Tanto premesso, in disparte la circostanza (sulla quale preme
comunque richiamare l'attenzione) che il decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri attuativo delle specifiche previsioni della
legge di Bilancio 2019, e' in corso di avanzata definizione, si
rileva che le richiamate previsioni regionali, sovrapponendosi alla
predetta disciplina statale emanata in materia, dalla quale con ogni
evidenza si discostano sostanzialmente, generano dubbi interpretativi
e incertezze riguardo alla chiara individuazione delle norme di legge
applicabili e presentano significativi profili di
incostituzionalita'.
Al riguardo si sottolinea il consolidato orientamento della Corte
costituzionale secondo il quale i criteri e le modalita' di
affidamento delle concessioni sui beni del demanio marittimo
appartengono ad ambiti riservati alla competenza esclusiva statale
dall'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di
«tutela della concorrenza» , nella quale le pur concorrenti
competenze regionali trovano «un limite insuperabile» (cfr. da
ultimo, sentenza n. 221 del 2018 e sentenza n. 1 del 2019) e
dall'art. 97, primo comma, Cost. (principio di buon andamento
dell'amministrazione), laddove si censura per le richiamate
disposizioni la sovrapposizione alla disciplina statale emanata in
materia e la conseguente incertezza riguardo alla chiara
individuazione delle norme di legge applicabili (statali o
regionali).
Evidenti, dunque, sono i profili di censura delle disposizioni
citate.
Articoli 11, 14, 22, commi 2 e 3, e 23.
Ad analoghe censure sono soggette le disposizioni in questione,
tutte in materia di personale.
L'art. 11 della legge regionale in esame (Personale ASU
Assessorato Beni Culturali) stabilisce che: «Al fine di garantire la
continuita' dei servizi prestati presso gli uffici dell'assessorato
regionale dei beni culturali e dell'identita' siciliana i soggetti di
cui all'art. 1 della legge regionale 5 novembre 2001, n. 17 e
successive modifiche ed integrazioni, utilizzati fino alla data di
entrata in vigore della presente legge in tali uffici, transitano in
utilizzazione presso gli stessi».
L'art. 14, pur nella genericita' del testo normativo, dispone che
personale forestale possa essere utilizzato con un inquadramento
riservato.
Tale pare l'unico senso logico attribuibile alla disposizione,
che letteralmente prevede che tale personale «e' mantenuto nelle
medesime mansioni»; cio' in mancanza di qualsiasi termine finale e
senza alcuna limitazione numerica.
Quanto all'art. 22, comma 2, si osserva che dal quadro normativo
di riferimento (art. 20, commi 1 e 2, del decreto legislativo n.
75/2017, art. 3 della legge regionale siciliana n. 27 del 2016 e art.
26, comma 6 della legge regionale siciliana n. 8 del 2018) emerge una
contrapposizione tra la disciplina di cui all'art. 20, comma 2, del
decreto legislativo n. 75 del 2017 (che prevede, nelle procedure di
stabilizzazione, la garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno) e
quella contenuta nell'art. 22, secondo comma, della legge regionale
all'esame, laddove si prevede che le procedure di cui all'art. 3,
comma 6, della legge regionale n. 27 del 2016 e di cui all'art. 26,
comma 6, della legge regionale n. 8 del 2018 sono da intendere come
procedure di stabilizzazione del personale precario «interamente
riservate» a detto personale.
Si evidenzia che, in proposito, con deliberazione n. 28/2019, la
Corte dei Conti, Sezione di Controllo per la Regione siciliana,
chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione degli articoli
20, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017, 3, comma 6,
della legge regionale n. 27 del 2016 e 26, comma 6, della legge
regionale n. 8 del 2018, ha avuto modo di precisare quanto segue:
«[...] il Collegio non ravvisa alcuna antinomia tra la norma di cui
all'art. 20, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017, che
prevede la garanzia dell'adeguato accesso dall'esterno, in relazione
alla disposizione recata dall'art. 26, comma 6 della legge regionale
n. 8 del 2018, che introduce la possibilita' di stabilizzare il
personale precario mediante concorsi «interamente riservati». Il
decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, infatti, e' immediatamente
applicabile in Sicilia, da una parte perche' introduce disposizioni
attinenti l'ordinamento civile sottratte alla potesta' legislativa
delle regioni e, dall'altra, in quanto contiene norme in tema di
stabilizzazione dei lavoratori precari che, secondo l'insegnamento
della Corte costituzionale, costituiscono principi fondamentali di
coordinamento della finanza pubblica (Sentenze n. 310 del 2011, n. 18
e n. 277 del 2013) e, come tali, non possono essere derogati da norme
regionali. In tal senso, peraltro, e' intervenuta anche la circolare
n. 16042 del 5 novembre 2018 dell'Assessorato regionale delle
autonomie locali e della funzione pubblica. La disposizione di cui
all'art. 26, comma 6 della legge regionale n. 8 del 2018, va intesa,
invero, nel senso che nell'ambito degli spazi assunzionali
disponibili per le stabilizzazioni di personale precario ( che non
possono superare il cinquanta per cento della complessiva
disponibilita' dell'ente) - al netto di quelli destinati ad essere
coperti mediante procedure concorsuali aperte all'esterno, le
relative procedure concorsuali possano essere interamente
«riservate», senza che cio' contrasti con l'art. 20, comma 2, del
decreto legislativo n. 75 del 2017. La «ratio» della garanzia della
riserva dei posti all'esterno, infatti, non riguarda la singola
procedura selettiva, nell'ambito della quale sia prevista una riserva
di posti a favore dei precari da stabilizzare, bensi' risulta
assicurata dal generale obbligo per gli enti di bandire procedure
concorsuali aperte a tutti per la copertura del fabbisogno,
nell'ambito degli spazi finanziari disponibili (ovvero nel rispetto
di tutte le disposizioni vincolistiche sulturn-over), destinando
risorse non superiori al cinquanta per cento di detto plafond
all'espletamento di procedure concorsuali ad hoc tra il personale
precario da stabilizzare, al fine di selezionare le unita' previste
nel piano del fabbisogno del personale. In altri termini, il
reclutamento del personale attraverso procedure concorsuali per la
stabilizzazione dei precari non puo' in ogni caso assorbire risorse
finanziarie superiori al cinquanta per cento (possono essere anche
inferiori) di quello da reclutare attraverso ordinarie procedure
concorsuali aperte all'esterno. [...] Ferma restando la natura non
derogatoria della disciplina regionale rispetto all'obbligo di
garantire l'adeguato accesso dall'esterno, come sopra evidenziato,
per rispondere al secondo quesito il Collegio, richiamando le
disposizioni della circolare n. 3 del 2017 del Ministro per la
semplificazione e la Pubblica amministrazione (§ 3.2.2. nota 4),
precisa che nell'ambito della individuazione degli «spazi
assunzionali» il concetto di «posti disponibili» non deve essere
inteso in relazione alla dotazione organica dell'ente, che e'
rimodulabile, ma quale «spago finanziario disponibile», ovvero
riferito alle risorse finanziarie complessivamente utilizzabili
dall'ente per le assunzioni di personale, sul cui coacervo calcolare
la quota (che non puo' in ogni caso superare il cinquanta per cento
del totale) da destinare alle stabilizzazioni del personale precario.
Detta interpretazione fornita dalla citata circolare consente agli
enti, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, di
utilizzare al meglio le risorse finanziarie per la copertura degli
oneri per il personale, i citi costi a carico degli enti variano in
relazione alla qualifica ed alla natura del contratto di lavoro (a
tempo pieno o parziale): il riferimento ai «posti» da coprire,
infatti, risulta troppo stringente e di difficile applicazione in
concreto, mentre il concetto di «risorse finanziarie» disponibili,
pur rispettando i vincoli di bilancio per la spesa del personale,
consente una effettiva autonomia nell'organizzazione delle risorse
umane. Il Collegio ritiene che le risorse finanziarie assegnate ai
comuni dalla citata legge regionale n. 8 del 2018, ai sensi dell'art.
26, comma 7, abbiano la finalita' di garantire la possibilita' (non
prevista dal comma 4 dell'art. 20 del decreto legislativo n. 75 del
2017) di elevare i complessivi spazi assunzionali mediante risorse
aggiuntive regionali anche in caso di stabilizzazioni da attuarsi ai
sensi dell'art. 20, comma 2, del decreto legislativo citato; in tal
senso, «il 50 per cento dei posti disponibili» quale limite imposto
alle procedure di stabilizzazione dal predetto art. 20, comma 2, deve
calcolarsi considerando la possibilita' di elevare con risorse
aggiuntive regionali gli spazi assunzionali ordinari ovvero, come
prospettato dall'Amministrazione richiedente, con «riflesso solo
sulla determinazione degli spazi assunzionali complessivamente
disponibili, ferma restando, in ogni caso, la necessita' di
rispettare l'adeguato accesso dall'esterno fissato nella misura del
50% delle risorse (sia comunali che regionali) utilizzabili». Ne
consegue che, dato il vincolo di destinazione delle risorse regionali
alle procedure di stabilizzazione, l'entita' di dette risorse
aggiuntive, affinche' possa dirsi garantito l'adeguato accesso
dall'esterno, non potrebbe in ogni caso superare l'importo di quelle
a carico del bilancio e destinate al reclutamento ordinario».
Orbene, la legge regionale in oggetto, approvata in data
successiva alla pubblicazione del parere della Corte dei Conti,
laddove stabilisce che «le disposizioni di cui all'articolo 3 della
legge regionale n. 27/2016 e di citi all'art. 26, comma 6, della
legge regionale 8 maggio 2018, n. 8 sono da intendersi relative a
procedure di reclutamento straordinario volte al superamento del
precariato storico, che prescindono dalle procedure rivolte
all'esterno e sono interamente riservate ai soggetti richiamati nel
medesimo art. 26», attua un'interpretazione ed applicazione delle
previsioni de quibus del tutto incompatibile sia con la disciplina
contenuta nell'art. 20 del decreto legislativo n. 75 del 2017, sia
con il principio dell'adeguato accesso dall'esterno, che costituisce
un precipitato della previsione di cui all'art. 97, quarto comma,
della Costituzione, secondo cui «agli impieghi nelle Pubbliche
Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti
dalla legge».
Cio' in quanto si prevede che il reclutamento straordinario
finalizzato all'eliminazione del precariato storico prescinde da
quello ordinario, con la conseguenza, in assenza di una
specificazione in tal senso, che esso ben puo' riguardare la
totalita' degli spazi assunzionali disponibili.
L'art. 22, terzo comma, della legge regionale in oggetto prevede
che le procedure seguite per l'assunzione del personale precario
costituiscono requisito utile all'applicazione del primo comma,
lettera b) dell'art. 20 del decreto legislativo n. 75/2017.
In altri termini, la diposizione in esame qualifica come
procedure concorsuali quelle seguite per il reclutamento del
personale a tempo determinato.
Sul punto, appare necessario ribadire che la procedura selettiva
di tipo concorsuale rimane la regola per l'accesso al pubblico
impiego, nonostante il carattere speciale riconosciuto alle norme in
materia di stabilizzazione.
Del resto, il requisito di cui alla lettera b) dell'art. 20,
comma 1, del decreto legislativo n. 75 del 2017 e' predicabile
esclusivamente con riguardo ai c.d. precari che, in quanto gia'
scelti all'esito di un precedente pubblico concorso, garantiscono
comunque un'elevata professionalita' all'Amministrazione presso la
quale prestano servizio.
Il successivo art. 23 modifica il comma 18 dell'art. 3 della
legge regionale 29 dicembre 2016, n. 27, nei seguenti termini: «I
soggetti titolari di contratti di lavoro subordinato a tempo
determinato che prestano servizio presso gli enti in dissesto, gli
enti deficitari con piano di riequilibrio gia' approvato dall'organo
consiliare, i liberi Consorzi comunali e le Citta' metropolitane alla
data del 31 dicembre 2018, inseriti nell'elenco di cui all'art. 30,
comma 1, della legge regionale n. 5/2014 e successive modifiche ed
integrazioni, che ne facciano richiesta entro il 30 giugno 2019
all'Amministrazione in cui prestano servizio e ai competenti
dipartimenti regionali delle autonomie locali o del lavoro,
dell'impiego, dell'orientamento, dei servizi e delle attivita'
formative che ne attestano rispettivamente i costi relativi al
trattamento economico fondamentale complessivo e agli oneri riflessi
e l'inserimento nell'elenco di cui all'art. 30, comma 1, della legge
regionale n. 5/2014 al 31 dicembre 2015, transitano in apposita area
speciale transitoria ad esaurimento istituita presso la Resais S.p.A.
(..). 3. Le procedure di transito speciale di cui al presente
articolo sono regolate con contratto di lavoro a tempo indeterminato
previa espletamento delle procedure di ari al comma 6 dell'art. 26
della legge regionale 8 maggio 2018, n. 8, anche parziale, che, per
singola unita' lavorativa, in termini di costo complessivo annuo e di
giornate lavorative nonche' per gli aspetti connessi
all'inquadramento giuridico ed economico, e' uguale a quello relativo
al contratto a tempo determinato in essere al 31 dicembre 2015. Il
personale assunto ai sensi del presente comma e' utilizzato
prioritariamente presso gli enti di originaria provenienza e conserva
il diritto alla riserva di cui all'art. 4, comma 6, del decreto-legge
31 agosto 2013, n. 101 convertito, con modificazioni, dalla legge 30
ottobre 2013, n. 125 e successive modifiche e integrazioni,
nell'ipotesi di avvio delle procedure di stabilizzazione da parte
degli enti di originaria assegnazione ai sensi della medesima
disciplina».
Orbene, tutte le disposizioni richiamate presentano analoghi
profili di incostituzionalita'.
Per orientamento consolidato della giurisprudenza costituzionale,
il principio del pubblico concorso per l'accesso agli impieghi nelle
pubbliche amministrazioni, quando l'intento e' di valorizzare
esperienze professionali maturate all'interno dell'amministrazione,
puo' andare incontro a deroghe ed eccezioni, attraverso la previsione
di trasformazione delle posizioni di lavoro a tempo determinato, gia'
ricoperte da personale precario dipendente. Ma, affinche' «sia
assicurata la generalita' della regola del concorso pubblico disposta
dall'art. 97 Cost.», e' necessario che «l'area delle eccezioni» alla
regola sancita dal suo primo comma sia «delimitata in modo rigoroso»
(sentenze n. 363 del 2006, n. 215 del 2009 e n. 9 del 2010). In
particolare, e' indispensabile che le eccezioni al principio del
pubblico concorso siano numericamente contenute in percentuali
limitate, rispetto alla globalita' delle assunzioni poste in essere
dall'amministrazione; che l'assunzione corrisponda a una specifica
necessita' funzionale dell'amministrazione stessa; e, soprattutto,
che siano previsti adeguati accorgimenti per assicurare comunque che
il personale assunto abbia la professionalita' necessaria allo
svolgimento dell'incarico (sentenza n. 215 del 2009).
Tale principio non e' destinato a subire limitazioni neppure nel
caso in cui il personale da stabilizzare abbia fatto ingresso, in
forma precaria, nell'amministrazione con procedure di evidenza
pubblica, e neppure laddove la selezione a suo tempo svolta sia
avvenuta con pubblico concorso, dato che la necessita' del concorso
per le assunzioni a tempo indeterminato discende non solo dal
rispetto del principio di buon andamento della pubblica
amministrazione di cui all'art. 97 Cost., ma anche dalla necessita'
di consentire a tutti i cittadini l'accesso alle funzioni pubbliche,
in base all'art. 51 Cost.
Invero, «la natura comparativa e aperta della procedura e' [...]
elemento essenziale del concorso pubblico», sicche' deve escludersi
la legittimita' costituzionale di procedure selettive riservate, che
escludano o riducano irragionevolmente la possibilita' di accesso
dall'esterno», violando il carattere pubblico del concorso (in tal
senso, sentenze n. 293 del 2009 e n. 100 del 2010).
D'altra parte, come pure e' stato esplicitamente affermato nelle
citate decisioni di codesta Corte, «il previa superamento di una
qualsiasi «selezione pubblica», presso qualsiasi «ente pubblico», e'
requisito troppo generico per autorizzare una successiva
stabilizzazione senza concorso», perche' esso «non garantisce che la
previa selezione avesse natura concorsuale e fosse riferita alla
tipologia e al livello delle funzioni che il personale
successivamente stabilizzato e' chiamato a svolgere» (Corte
costituzionale, 24 giugno 2010, n. 225).
Deve quindi ritenersi non conforme al quadro normativo delineato
la possibilita', per chiunque ed anche per i precari assunti a tempo
determinato con modalita' alternative al pubblico concorso, di
accedere, senza previo espletamento di una procedura concorsuale, ai
benefici della stabilizzazione ogniqualvolta per quelle specifiche
mansioni sia possibile un'assunzione nei ruoli del pubblico impiego
(non potendosi ritenere che l'attingere alle graduatorie di cui alla
legge regionale n. 85 del 1995 e alla legge regionale n. 21 del 2003
possa essere assimilato all'espletamento di prove selettive
concorsuali).
Per venire a quanto disposto dall'art. 23, oltra a quanto sopra
rilevato, occorre aggiungere che la necessita' del concorso pubblico
e' stata ribadita con specifico riferimento a disposizioni
legislative che prevedevano il passaggio automatico
all'amministrazione pubblica di personale di societa' in house,
ovvero di societa' o associazioni private; e' stato altresi'
specificato che il trasferimento da una societa' partecipata dalla
Regione alla Regione stessa o ad altro soggetto pubblico regionale si
risolve in un privilegio indebito per i soggetti beneficiari di un
siffatto meccanismo, in violazione dell'art. 97, quarto comma, della
Costituzione (sentenze n. 7 del 2015, n. 134 del 2014, n. 227 del
2013, n. 62 del 2012, n. 310 e n. 299 del 2011, n. 267 del 2010, n.
363 e n. 205 del 2006).
La previsione di cui all'art. 23 - passaggio dei dipendenti a
tempo determinato anche degli enti territoriali alla societa'
regionale Resais S.p.a. e trasformazione del rapporto di lavoro a
tempo indeterminato - risulta quindi incompatibile con il dettato
costituzionale.
Infatti, l'art. 23 consente, da un lato, il transito di detto
personale previo esperimento di procedure integralmente riservate
espletata ai sensi del comma 6 dell'art. 26 della legge regionale 8
maggio 2018, n. 8 (che, in base all'interpretazione contenuta nel
comma 2 dell'art. 22 della legge regionale in oggetto sono procedure
«che prescindono dalle procedure rivolte all'esterno») e, dall'altro,
prevede la costituzione di un'area transitoria ad esaurimento
all'interno della societa' regionale Resais S.p.a. a prescindere da
qualsivoglia valutazione in ordine all'effettivo fabbisogno di detto
personale.
Orbene, e' noto che, con specifico riguardo alle c.d. societa'
pubbliche, la Corte di cassazione ha ripetutamente evidenziato (Cass.
Sez. Lav. n. 4897/2018) che:
«Corte costituzionale gia' a partire dalla sentenza n. 466/1993
[...] ha osservato che il solo mutamento della veste giuridica
dell'ente non e' sufficiente a giustificare la totale eliminazione
dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche
"connotati sostanziali, tali da determinare l'uscita delle societa'
derivate dalla sfera della finanza pubblica".
La giurisprudenza costituzionale distingue, dunque, la
privatizzazione sostanziale da quella meramente formale (Corte Cost.
nn. 29/2006, 209 / 2015, 55 I 2017) e sottolinea che in detta seconda
ipotesi viene comunque in rilievo l'art. 97 Cost., del quale
il decreto-legge n. 112 del 2008 costituisce attuazione, tanto da
vincolare il legislatore regionale ex art. 117 Cost. (Corte
Costituzionale n. 68/2011).
....valgono le considerazioni gia' espresse da questa Corte in
merito al rapporto fra procedura concorsuale decreto legislativo n.
165 del 2001, ex art. 35 e contratto di lavoro, in relazione al quale
si e' osservato che "sussiste un inscindibile legame fra la procedura
concorsuale ed il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica,
poiche' la prima costituisce l'atto presupposto del contratto
individuale, del quale condiziona la validita', posto che sia la
assenza sia la illegittimita' delle operazioni concorsuali si
risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dal
decreto legislativo n. 165 del 2001, art. 35 attuativo del principio
costituzionale affermato dall'art. 97, compra 4, della Carta
fondamentale." (Cass. n. 13884/2016).
Va, quindi, esclusa la portata innovativa del decreto legislativo
n. 175 del 2016, art. 19, comma 4, che, nel prevedere espressamente
la nullita' dei contratti stipulati in violazione delle procedure di
reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza gia' desumibile
dai principi sopra richiamati in tema di nullita' virtuali.
In merito e' utile evidenziare che sugli effetti del mancato
rispetto degli obblighi imposti del decreto-legge n. 112 del 2008,
art. 18 la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti
opposti, sicche' la nuova normativa assume anche una valenza
chiarificatrice della disciplina previgente (sulla possibilita' che
la norma sopravvenuta, seppure non di interpretazione autentica,
possa non essere innovativa cfr. in motivazione Cassazione S.U. n.
18353/2014 e Cassazione n. 20327/2016.
Una volta affermato che per le societa' a partecipazione pubblica
il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive
condiziona la validita' del contratto di lavoro, non puo' che operare
il principio richiamato al punto 2 secondo cui anche peri soggetti
esclusi dall'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 165
del 2001, art. 36 la regola della concorsualita' imposta dal
legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in
rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine metto da
nullita'. Diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto
posto dalla norma imperativa che, come gia' evidenziato, tiene conto
della particolare natura delle societa' partecipate e della
necessita', avvertita dalla Corte costituzionale, di non limitare
l'attuazione dei precetti dettati dall'art. 97 Cost. ai soli soggetti
formalmente pubblici, bensi' di estendente l'applicazione anche a
quelli che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il
perseguimento di interessi di carattere generale» (cosi', Corte di
cassazione, sezione lavoro, 1° marzo 2018, n. 4897).
Ne deriva che, anche con riguardo alle societa' pubbliche, le
modalita' di reclutamento devono avvenire secondo modalita'
compatibili con le previsioni di cui all'art. 97, quarto comma, della
Costituzione e, per quanto qui rileva, con il principio dell'adeguato
accesso dall'esterno.
Conclusivamente tutte le disposizioni richiamate sono censurabili
per violazione degli articoli 51, 97, quarto comma, 117, secondo
comma, lettera 1) e 117, terzo comma, della Costituzione e del
decreto legislativo n. 75/2017.
A cio' aggiungasi che la costituzione di un ruolo speciale ad
esaurimento (art. 23), che prescinde del tutto dal piano dei
fabbisogni, appare difficilmente compatibile con la previsione di cui
all'art. 19 del decreto legislativo n. 175 del 2016 che, ai commi 5 e
6, impone alle amministrazioni pubbliche socie di fissare, con propri
provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul
complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il
personale, delle societa' controllate, «anche attraverso il
contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di
personale», e alle societa' partecipate di perseguire concretamente
gli obiettivi assegnati.
In questo senso la previsione di cui all'art. 23 della legge
regionale n. 1 del 2019 non e' quindi compatibile con l'art. 117,
terzo comma, della Costituzione che riserva allo Stato la disciplina
dei principi generali in materia di coordinamento della finanza
pubblica, nonche' con l'art. 117, lettera l) della Costituzione, che
riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e,
quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal Codice civile.
L'art. 26, comma 2 prevede l'abrogazione dell'art. 13 della legge
regionale 17 marzo 2016, n. 3, il quale stabiliva che il Fondo per la
retribuzione di posizione e di risultato del personale con qualifica
dirigenziale della Regione siciliana, come determinato ai sensi
dell'art. 49, comma 27, della legge regionale n. 9/2015, era ridotto,
a decorrere dall'esercizio finanziario 2016, della somma di 1.843
migliaia di euro e, a decorrere dall'esercizio finanziario 2017,
dell'ulteriore somma di 1.843 migliaia di euro.
Al riguardo, si evidenzia che l'abrogazione di tale norma tende
la materia priva di riferimenti e di vincoli, in considerazione del
mancato richiamo della norma recata dall'art. 23, comma 2, del
decreto legislativo n. 75/2017.
Tale disposizione rappresenta una cornice cui tutte le pubbliche
amministrazioni devono fare riferimento e definisce un limite alla
contrattazione integrativa che la Regione, pur nella sua autonomia,
non e' legittimata a superare.
Pertanto, la norma in esame si pone in conflitto con l'art. 117,
comma 2, lettera l) della Costituzione, che riserva alla competenza
esclusiva dello Stato l'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di
diritto privato regolabili dal Codice civile (contratti collettivi) e
comunque con il principio generalissimo di cui all'art. 81 della
Costituzione, che comportano nuovi e significativi oneri.
Art. 31.
La norma in esame reca disposizioni in materia di stabilizzazione
del personale della sanita' penitenziaria.
Al comma 1 viene disposto che, fermo restando quanto previsto
dall'art. 75 della legge regionale n. 8/2018, tutto il personale di
sanita' penitenziaria trasferito ai sensi dell'art. 3 del decreto
legislativo n. 222/2015 ed ancora in servizio alla data del 31
dicembre 2018 viene inquadrato secondo specifiche modalita' stabilite
con decreto dell'Assessore regionale per la salute, con l'istituzione
di un ruolo ad esaurimento fino ai raggiunti limiti di eta' previsti
dalla legge n. 740/1970 in atto vigenti.
Al comma 2 si stabilisce che le aziende sanitarie provinciali
sono autorizzate ad avviare selezioni pubbliche per l'immissione in
ruolo del personale sanitario infermieristico di cui alla legge n.
740/1970, in essere alla data del 28 febbraio 2015 ed ancora
esistenti alla data di entrata in vigore del predetto decreto
legislativo n. 222/2015 e trasferito a decorrere dalla medesima data
di entrata in vigore dal Dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria e dal Dipartimento per la giustizia minorile del
Ministero della giustizia alle aziende sanitarie provinciali della
Regione. Al riguardo, si osserva che la norma in parola sembra
riprodurre i medesimi profili di illegittimita' sollevati con
riguardo al suddetto art. 75 della legge regionale n. 8/2018, in
ordine al quale il Consiglio dei Ministri del 6 luglio 2018 ha
disposto l'impugnativa davanti alla Corte costituzionale.
Cio', dal momento che i rapporti di lavoro del personale
sanitario instaurati ai sensi della richiamata legge n. 740 del 1970,
come evidenziato in sede di esame della citata legge regionale n.
8/2018, continuano ad essere disciplinati dalla stessa legge fino
alla relativa scadenza, e ove a tempo determinato, sono prorogati per
la durata di dodici mesi. Decorso tale termine i rapporti devono
ritenersi esauriti.
Pertanto, le previsioni di cui all'art. 31 in esame ampliano,
sostanzialmente, il limite temporale stabilito al 31 dicembre 2017
dall'art. 3, comma 7, del decreto legislativo n. 222/2015 e dall'art
3, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2016, ricomprendendo nel
processo di stabilizzazione anche i rapporti di lavoro gia' oggetto,
come innanzi detto, di impugnativa.
In particolare, ampliando il limite temporale di durata dei
predetti contratti cosi' come delineato dall'art. 3, comma 7, del
citato decreto legislativo n. 222/2015, emanato ai sensi del decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 recante
«Modalita' e criteri per il trasferimento al servizio sanitario
nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle
risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in
materia di sanita' penitenziaria», le disposizioni sono suscettibili
di configurare una violazione dell'art. 117, comma 3, della
Costituzione. Ed invero, il contenuto del decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri 1° aprile 2008 - adottato ai sensi dell'art.
22 comma 283 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge di
stabilita' 2008) - costituisce principio fondamentale della
legislazione statale in materia di coordinamento della finanza
pubblica, nell'ambito del trasferimento del personale sanitario
penitenziario al Servizio sanitario regionale.
Non e' chiaro inoltre se le procedure selettive previste al comma
2 siano a valere su risorse riconducibili al limite di spesa di cui
all'art. 9, comma 282 del decreto-legge n. 78/2010. Si rammenta,
infatti, che il piano di reclutamento speciale previsto in via
transitoria dal richiamato art. 20 del decreto legislativo n.
75/2017, consente di utilizzare, in deroga all'ordinario regime delle
assunzioni e per finalita' volte esclusivamente al superamento del
precariato, le risorse dell'art. 9, comma 28, del decreto-legge n.
78/2010, calcolate in misura corrispondente al loro ammontare medio
nel triennio 2015-2017. Tali risorse, quindi, possono elevare gli
ordinari limiti finanziari per le assunzioni a tempo indeterminato
previsti dalle norme vigenti, purche' siano destinate per intero alle
assunzioni a tempo indeterminato del personale in possesso dei
requisiti previsti dall'art. 20 e nel rispetto delle relative
procedure.
Le previsioni di cui ai suddetti commi 2, 3 e 4 sono
suscettibili, dunque, di avere risvolti onerosi che potrebbero
risultare non compatibili con la cornice economico-finanziaria
programmata nel Piano di rientro dal disavanzo sanitario cui la
Regione siciliana e' sottoposta, che peraltro prevede specifici
interventi a riguardo, e, conseguentemente, di porsi in contrasto con
l'art. 81 della Costituzione nonche' con il successivo art. 117,
comma 3, atteso che le vigenti disposizioni in materia di
contenimento della spesa di personale degli enti del SSN si
configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica.»
Per quanto precede, evidenti sono dunque i molteplici profili per
i quali l'art. 31 viola altresi' gli articoli 3, 51, primo comma, 81
e 97 della Costituzione, del tutto prescindendo dal pubblico
concorso.
Tanto premesso, la Presidenza del Consiglio dei ministri, come in
epigrafe rappresentata, difesa e domiciliata, chiede l'accoglimento
delle seguenti conclusioni.
P.Q.M.
Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita accogliere il presente
ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale
degli articoli 11, 14, 22, commi 2 e 3, 23, 24, 25, 26, comma 2, 31 e
33 della legge della Regione Sicilia n. 1 del 22 febbraio 2019,
pubblicata nel B.U.R. n. 9 del 26 febbraio 2019, recante
«Disposizioni programmatiche e correttive per l'anno 2019. Legge di
stabilita' regionale».
Roma, 24 aprile 2019
L'Avvocato dello Stato: Nunziata