Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il  5  marzo  2012  (del  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri) .

 

 

(GU n. 17 del 26.04.2012 ) 

 

 

 

    Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri,  rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato  presso  i  cui uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi, 12;

    Contro la Regione Marche, in persona del Presidente della  Giunta Regionale pro-tempore;

    Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli  artt. 10 e 22 della legge regionale Marche 28 dicembre 2011, n. 28, come da delibera del Consiglio dei Ministri in data 24 febbraio 2012.

    Sul B.U.R. Marche 30 dicembre 2011, n. 116 e' stata pubblicata la legge regionale 28 dicembre 2011, n. 28, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e  pluriennale  2012/2014  della Regione (Legge Finanziaria 2012)».

    Il  Governo  ritiene  che  tale  legge  sia   censurabile   nelle disposizioni contenute negli artt. 10 e  22  per  contrasto  con  gli artt. 117 e 119 Cost. ed in particolare:

        a) l'art. 10  per  contrasto  con  l'art.  5,  comma  36  del decreto-legge n. 953/1983, nonche' con gli artt. 117, comma 2,  lett. e), e 119, comma 2, della Costituzione;

        b) l'art. 22 per  contrasto  con  l'art.  12,  comma  3,  del decreto del Presidente della Repubblica n. 357/97, nonche' con l'art. 117, comma 2, lett. s) Cost.

    Propone pertanto  questione  di  legittimita'  costituzionale  ai sensi dell'art. 127, comma 1 Cost. per i seguenti

 

                               Motivi

 

    1) L'Art. 10  della  legge  regionale  Marche  n.  28/2011  cosi' dispone: «A decorrere dall'anno di imposta 2012, la disposizione  del fermo amministrativo o giudiziario  di  beni  mobili  registrati  non esenta  dall'obbligo  del  pagamento  della   tassa   automobilistica regionale».

    Si premette, al riguardo, che la predetta tassa  automobilistica, disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica  5  febbraio 1953, n. 39 (Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche), e successive modificazioni,  e'  stata  «attribuita»  per  intero  alle

Regioni a statuto  ordinario  dall'art.  23,  comma  1,  del  decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino  della  finanza  degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4  della  legge  23  ottobre 1992, n. 421), assumendo contestualmente la  denominazione  di  tassa

automobilistica  regionale,  e  che  l'art.  17,  comma   10,   della successiva  legge  27  dicembre  1997,  n.   449   (Misure   per   la stabilizzazione della finanza pubblica), ha, altresi', demandato alle Regioni «la riscossione, l'accertamento,  il  recupero,  i  rimborsi,

l'applicazione  delle  sanzioni  ed  il  contenzioso   amministrativo relativo» alla suddetta tassa.

    Tra l'altro, il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  504  ha attribuito a ciascuna Regione la facolta' di determinare, con propria legge, gli importi della tassa in argomento. Infatti, l'art.  24  del citato decreto prescrive che: «Entro il  10  novembre  di  ogni  anno ciascuna Regione puo' determinare con propria legge gli  importi  dei

tributi regionali di cui all'articolo 23, con effetto  dai  pagamenti da eseguire dal primo gennaio successivo e relativi a  periodi  fissi posteriori a tale data, nella misura compresa tra il 90 ed il 110 per cento degli stessi importi vigenti nell'anno precedente».

    Dal suesposto quadro  normativo  generale  di  riferimento  della tassa automobilistica, da ultimo integrato con il decreto legislativo n. 68/2011 (il cui art. 8, comma 2, prescrive che «Fermi  restando  i limiti massimi di manovrabilita' previsti dalla legislazione statale, le Regioni disciplinano la tassa automobilistica regionale»),  emerge la natura di tributo derivato delle Regioni  (ex  art.  7,  comma  1, lett. b) n. 1 della legge 5 maggio 2009, n. 42,  recante  «Delega  al Governo  in   materia   di   federalismo   fiscale,   in   attuazione dell'articolo 119 della Costituzione»).

    Cio' premesso, l'art. 10 nell'escludere l'esenzione  dall'obbligo di pagamento della tassa automobilistica regionale per i beni  mobili registrati sottoposti a fermo amministrativo o giudiziario, contrasta con l'art. 5,  comma  36,  del  decreto-legge  n.  953/1982  (recante

«Misure in materia tributaria»), il quale dispone che «La perdita del possesso del veicolo o dell'autoscafo per forza maggiore o per  fatto di  terzo  o  la   indisponibilita'   conseguente   a   provvedimento dell'autorita' giudiziaria o della pubblica amministrazione, annotate nei registri indicati  nel  trentaduesimo  comma,  fanno  venir  meno l'obbligo  del  pagamento  del  tributo  per  i   periodi   d'imposta successivi a quello in cui e' stata effettuata l'annotazione.».

    La ratio della predetta normativa statale  e'  da  rinvenire  nel presupposto dell'applicazione del tributo che, ai sensi  dell'art.  1 del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  39/1953   (come modificato dall'art. 10, comma 1, legge 23 dicembre 2000, n. 388), e' «la circolazione sulle strade ed aree pubbliche degli  autoveicoli  e dei relativi rimorchi».

    Pertanto, la previsione dell'obbligo di  pagamento  del  tributo, anche in caso di perdita di possesso del veicolo per effetto di fermo amministrativo o giudiziario pone la norma regionale in contrasto con la normativa statale di riferimento e conseguentemente con i principi generali del sistema tributario nazionale.

    Occorre infatti considerare che in  base  all'art.  119  comma  2 Cost. «I Comuni, le Province, le Citta' metropolitane  e  le  Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi  ed  entrate propri, in armonia con  la  Costituzione  e  secondo  i  principi  di

coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario.

Dispongono  di  compartecipazioni  al  gettito  di  tributi  erariali

riferibile al loro territorio».

    A sua volta l'art. 117 Cost. al comma  2  lett.  e),  attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato le materie «moneta, tutela  del risparmio e mercati finanziari;  tutela  della  concorrenza;  sistema valutario; sistema tributario e contabile  dello  Stato»,  mentre  al successivo comma  3  attribuisce  alla  legislazione  concorrente  la materia «armonizzazione dei bilanci pubblici  e  coordinamento  della finanza pubblica e del sistema tributario».

    Si ritiene dunque che l'art. 10 violi l'art. 117, comma 2,  lett. e), della Costituzione che riserva allo Stato la materia del  sistema tributario e l'art. 119, comma 2, Cost. che subordina la possibilita' per le Regioni e gli enti locali di stabilire ed applicare tributi ed entrate proprie al rispetto dei  principi  statali  di  coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

    2) Ulteriori illegittimita' presenta l'art. 22,  comma  1,  della stessa legge regionale n. 28/2011  che  reca  modifiche  all'art.  18 («Tutela della biodiversita'»), comma  1,  della  legge  regionale  3 giugno 2003, n. 11 («Norme per l'incremento e la tutela  della  fauna ittica e disciplina della pesca nelle acque interne»).

    La disposizione prevede che «Al comma l  dell'articolo  18  della legge regionale 3 giugno 2003, n. 11 (Norme  per  l'incremento  e  la tutela della fauna  ittica  e  disciplina  della  pesca  nelle  acque interne) dopo le parole: «carpa erbivora» sono aggiunte le  seguenti:

«e della trota iridea»», per cui il testo attuale dell'art. 18, comma 1,  della  legge  regionale  n.  11/2003  e'  il  seguente:  «Non  e' consentita l'immissione nei corsi d'acqua di specie o popolazioni non autoctone, con la sola eccezione della carpa erbivora e  della  trota iridea».

    Dunque l'articolo in questione nonostante vieti l'immissione  nei corsi d'acqua  di  specie  o  popolazioni  non  autoctone,  consente, tuttavia, l'immissione (oltre che della carpa erbivora)  della  trota iridea.

    E' noto pero' che la trota iridea «Oncorhynchus  mykiss»  non  e' una specie autoctona, essendo  originaria  della  costa  pacifica  di tutto il continente nordamericano, espandendosi lungo lo  stretto  di Bering, talvolta fino  alle  coste  siberiane,  giapponesi  e  cinesi (http://it.wikipedia.org/wiki/Trota_iridea).

    La norma statale violata e' contenuta nell'art. 12, comma 3,  del decreto del Presidente della Repubblica n. 357/97, il quale prescrive che:  «Sono  vietate   la   reintroduzione,   l'introduzione   e   il ripopolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone».

    Tale  disposizione  costituisce  espressione   della   competenza esclusiva  dello  Stato  in  materia  di   ambiente   e   di   tutela dell'ecosistema, di  cui  all'art.  117,  comma  2,  lett.  s)  Cost. («tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni  culturali»).

Competenza  che  risulta  violata  dalla  norma  regionale,  che  nel consentire l'introduzione di una particolare specie di  trota  (trota iridea appunto) che non  puo'  considerarsi  autoctona,  si  pone  in contrasto con la normativa statale di riferimento.

    Tra l'altro e' opportuno notare che la  normativa  contenuta  del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  357/1997  costituisce «attuazione della direttiva n. 92/43/CEE relativa alla  conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonche' della  flora  e  della fauna selvatiche».

    La direttiva in questione intende promuovere «la salvaguardia, la protezione e il miglioramento della qualita' dell'ambiente,  compresa la  conservazione  degli  habitat  naturali  e   della   flora»   (1° «considerando»), avendo come scopo principale (3° «considerando»)  di «promuovere il mantenimento della  biodiversita',  tenendo  conto  al tempo  stesso  delle  esigenze  economiche,  sociali,   culturali   e regionali», tenuto conto che (4° «considerando») «gli  habitat  e  le specie minacciati fanno parte del patrimonio naturale della Comunita' e che i  pericoli  che  essi  corrono  sono  generalmente  di  natura

transfrontaliera, per cui e' necessario  adottare  misure  a  livello comunitario per la loro conservazione».

    In particolare, l'art. 22 della direttiva n. 92/43/CEE:

        alla lettera a)  prevede  che  gli  Stati  membri  «esaminano l'opportunita'  di  reintrodurre  delle  specie   locali   del   loro territorio di  cui  all'allegato  IV,  qualora  questa  misura  possa contribuire  alla  loro  conservazione,  sempreche',  da  un'indagine condotta anche sulla scorta delle esperienze acquisite in altri Stati membri o altrove, risulti che  tale  reintroduzione  contribuisce  in modo efficace a ristabilire tali specie in uno stato di conservazione soddisfacente,  e  purche'  tale  reintroduzione  sia  preceduta   da un'adeguata consultazione del pubblico interessato»;

        alla lettera b) dispone che gli Stati membri «controllano che l'introduzione intenzionale nell'ambiente naturale di una specie  non locale del  proprio  territorio  sia  disciplinata  in  modo  da  non arrecare alcun pregiudizio agli habitat naturali nella loro  area  di ripartizione naturale ne' alla fauna e alla flora selvatiche  locali, e, qualora lo ritengano necessario, vietano siffatta introduzione».

    Ed e' proprio in attuazione di  tale  ultima  previsione  che  lo Stato, con l'art. 12,  comma  3  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica  n.  357/1997   ha   previsto   che   «Sono   vietate   la reintroduzione, l'introduzione e il ripopolamento in natura di specie e popolazioni non autoctone».

    La Corte si e' peraltro gia' occupata  della  questione,  in  una decisione riguardante proprio l'immissione di particolari  specie  di fauna ittica (nella Regione Veneto).

    Nella sentenza n. 30/2009  si  e'  statuito  che  «la  disciplina dell'introduzione, della reintroduzione e del ripopolamento di specie animali rientra nella esclusiva competenza statale  di  cui  all'art. 117, secondo comma, lettera s), della  Costituzione,  trattandosi  di regole di tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema  e  non  solo  di

discipline d'uso della risorsa ambientale-faunistica».

    Si e' precisato poi che «tale disciplina  detta,  dunque,  limiti inderogabili alla competenza normativa regionale e  questi  risultano violati dalla deliberazione impugnata, stante la non autoctonia,  nel senso descritto, delle quattro specie ittiche di  cui  si  discute  e considerato che il provvedimento regionale impugnato deroga in  senso peggiorativo ad un divieto dettato da ragioni di cautela a protezione e tutela dell'ecosistema».

    Per tali motivi si concluse che «non spettava alla regione Veneto stabilire che le specie ittiche carpa, pesce gatto,  trota  iridea  e lavarello debbono essere considerate come "specie  para-autoctone'', con  equiparazione  al  regime  di  quelle  autoctone  e   deve,   di conseguenza, essere annullata la deliberazione della giunta regionale Veneto 4 marzo 2008, n. 438, relativamente ai punti 1,  2  e  3,  che autorizza i piani provinciali a prevederne l'immissione, ai  fini  di pesca sportiva o professionale e, con le  cautele  prescritte,  nelle acque di competenza regionale».

    Anche la normativa  della  Regione  Marche,  laddove  prevede  la possibilita' di immettere nei corsi d'acqua della Regione stessa  una specie non autoctona come la trota iridea, viene pertanto a ledere le competenze   statali   in   materia   di   tutela   dell'ambiente   e dell'ecosistema di cui all'art. 117, comma 2, lett. s), Cost.

 

 

                                P.Q.M.

 

    Si  chiede  che  codesta  Ecc.ma  Corte   costituzionale   voglia dichiarare   costituzionalmente   illegittimi   e    conseguentemente annullare gli artt. 10 e 22 della legge regionale Marche 28  dicembre 2011, n. 28 per i motivi illustrati nel presente ricorso.

    Con l'originale notificato del ricorso si depositeranno:

        1. estratto della delibera  del  Consiglio  dei  Ministri  24 febbraio 2012.

          Roma, 28 febbraio 2012

 

                  L'avvocato dello Stato: De Bellis

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