Ricorso n. 55 del 26 maggio 2015 (Presidente del Consiglio dei ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 26 maggio 2015 (del Presidente del Consiglio dei
ministri).
(GU n. 25 del 2015-06-24)
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato codice fiscale
…, fax … e pec …,
presso i cui uffici ex lege domicilia in Roma, via dei Portoghesi n.
12;
Nei confronti della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in
persona del presidente della giunta regionale pro tempore per la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge regionale
Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 13 marzo 2015, recante «Istituzione
del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipata di
trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta
delle volonta' di donazione degli organi e dei tessuti», pubblicata
nel B.U.R. n. 8 del 18 marzo 2015, giusta delibera del Consiglio dei
ministri in data 18 maggio 2015.
Con la legge regionale n. 4 del 13 marzo 2015 indicata in
epigrafe, che consta di nove articoli, la regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia ha emanato le disposizioni in tema di
«Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni
anticipata di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire
la raccolta delle volonta' di donazione degli organi e dei tessuti».
La legge della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 4 del
2015 citata presenta profili d'incostituzionalita' per violazione sia
dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., per contrasto con le
regole in materia di ordinamento civile e penale, sia dell'art. 117,
terzo comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali in
materia di tutela della salute, nonche' per violazione del principio
di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
Al riguardo appare opportuno premettere i contenuti della legge
regionale in esame.
La legge regionale n. 4/2015 citata prevede l'istituzione di un
registro regionale che raccolga le dichiarazioni anticipate di
volonta' relative ai trattamenti sanitari, nonche' la possibilita' di
rendere esplicita la volonta' in merito alla donazione post mortem
dei propri organi e tessuti, contestualmente al deposito nel registro
regionale delle predette dichiarazioni anticipate di trattamento
sanitario (art. 1, commi 3 e 5).
In particolare, l'art. 2 della legge regionale n. 4/2015 citata
stabilisce che il cittadino residente o che ha eletto domicilio in
Friuli-Venezia Giulia puo' richiedere l'annotazione della propria
dichiarazione anticipata di trattamento sanitario all'interno del
registro regionale (comma 1). Inoltre ai suddetti cittadini e'
garantita la possibilita' di registrare la dichiarazione anticipata
di trattamento sanitario sulla propria Carta regionale dei servizi,
nonche' in forma codificata, sulla tessera sanitaria (comma 2). La
dichiarazione anticipata di trattamento e' presentata dal cittadino
all'Azienda per l'assistenza sanitaria territorialmente competente
che la inserisce nella banca dati e a richiesta della persona la
registra sulla Carta regionale dei servizi nonche' in forma
codificata, sulla tessera sanitaria personale (commi 3 e 4).
Quanto ai contenuti delle suddette dichiarazioni, l'art. 2, comma
5, prevede che esse hanno ad oggetto «la volonta' del singolo di
essere o meno sottoposto a trattamenti sanitari in caso di malattia o
lesione cerebrale che cagioni una perdita di coscienza e volonta'
definibile come permanente e irreversibile secondo i protocolli
scientifici riconosciuti a livello internazionale».
L'art. 2, al comma 6, inoltre, prevede che il soggetto
dichiarante puo' rilasciare l'autorizzazione a comunicare a chiunque
ne faccia richiesta o a determinati soggetti l'esistenza della
dichiarazione anticipata di trattamento sanitario e il suo contenuto.
L'art. 3 disciplina la possibilita' per il cittadino di nominare
uno o piu' fiduciari o un amministratore di sostegno ai sensi
dell'art. 408 del codice civile, con il compito di controllare il
rispetto della volonta' dal medesimo espressa nella dichiarazione e
di contribuire a realizzare la volonta'.
Sono, altresi', disciplinati all'art. 4 la validita', la revoca e
la modifica delle suddette dichiarazioni anticipate di trattamento
sanitario, prevedendo che esse producono effetti dal momento in cui
interviene lo stato di incapacita' decisionale del predisponente e
perdono validita' solo su richiesta del dichiarante; possono,
inoltre, essere revocate in qualunque momento dal dichiarante.
All'art. 5 e' prevista l'esenzione da oneri finanziari inerente
la procedura di registrazione della dichiarazione anticipata di
trattamento.
L'art. 6 prevede che la banca dati contenente le dichiarazioni
anticipate di trattamento sia tenuta a cura dell'azienda per
l'assistenza sanitaria e ne disciplina le modalita' di accesso.
L'art. 7 disciplina le iniziative finalizzate a favorire la
registrazione della volonta' in merito alla donazione post mortem
degli organi o tessuti.
Tanto premesso in ordine ai contenuti della legge, si ritiene che
essa, avente contenuto omogeneo e recante disposizioni strettamente
connesse tra loro, si configuri come costituzionalmente illegittima,
in quanto esorbitante, a vario titolo, dalle competenze legislative
regionali costituzionalmente riconosciute. Le disposizioni di cui si
compone, infatti, involgono diverse materie, a seconda dei casi
riservate alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato o
concorrente Stato-regioni, integrando, tuttavia, in quest'ultimo
caso, principi fondamentali della materia, rimessi, dunque, alla
legislazione statale.
In linea generale, infatti, occorre evidenziare come la
disciplina del c.d. «fine vita» non possa tollerare regolamentazioni
differenziate sul territorio nazionale, attenendo ai diritti
fondamentali dell'individuo, rispetto ai quali sono evidenti le
esigenze di unitarieta' dell'ordinamento. Essa, dunque, e' da
intendersi rimessa alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato.
Va, inoltre, sottolineato che il registro regionale istituito dalla
legge in esame, avendo la finalita' di attribuire certezza giuridica
a specifiche situazioni, con il conseguente condizionamento dei
diritti soggettivi fondamentali, necessita di una disciplina statale
che regolamenti le dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario,
i loro contenuti, i loro limiti, le loro modalita' di manifestazione
e i loro effetti, analogamente a quanto avviene per i registri
istituti presso pubbliche amministrazioni che certificano i dati
identificativi di una persona, o la provenienza e la data di deposito
di un determinato documento (cfr. gli articoli da 449 a 445 del
codice civile per quanto riguarda gli atti di stato civile).
E' avviso del Governo che, con le norme denunciate in epigrafe,
la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia abbia ecceduto dalla
propria competenza in violazione della normativa costituzionale, come
si confida di dimostrare in appresso con l'illustrazione dei
seguenti;
Motivi
1. L'art. 1, comma 3, della legge regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia n. 4/2015 viola gli articoli 3, 117, comma 2, lettera l) e
l'art. 117, comma 3, della Costituzione.
L'art. 1, comma 3, della legge in esame, che istituisce il
registro delle DAT, e le disposizioni ad esso collegate, sono
destinate a registrare una tipologia del tutto speciale di atti,
cioe' le dichiarazioni di volonta' concernenti il consenso o dissenso
dei cittadini rispetto a determinati trattamenti sanitari. Pertanto,
detto registro coinvolge, in primo luogo, la materia dell'ordinamento
civile, in quanto attinente a vere e proprie dichiarazioni di
volonta' - quindi atti manifestazione di autonomia privata - e ai
loro possibili limiti, alle loro modalita' di espressione, alla loro
efficacia nel rapporto con i terzi.
Si tratta, dunque, di materia rimessa, ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, lettera l), della Costituzione, alla potesta'
legislativa esclusiva dello Stato.
D'altra parte, la circostanza che nel settore delle dichiarazioni
anticipate di trattamento vengano in rilievo istituti tipici
dell'ordinamento civile, e' testimoniata anche dall'art. 3 della
legge regionale in esame, la quale prevede che nella dichiarazione
anticipata di trattamento il soggetto interessato possa nominare uno
o piu' fiduciari o un amministratore di sostegno. Basti pensare che,
ai sensi dell'art. 408 del codice civile, l'amministratore di
sostegno puo' essere designato dallo stesso interessato, in
previsione della propria eventuale futura incapacita', «mediante atto
pubblico o scrittura privata autenticata». Le dichiarazioni
anticipate di trattamento previste dalla legge regionale in esame non
configurano ne' un atto pubblico ne' una scrittura privata
autenticata; il che e' sufficiente a rilevare, anche sotto questo
profilo, la lesione della competenza statale in materia di
ordinamento civile.
La norma in esame e le disposizioni della legge regionale in
esame ad esso collegate, inoltre, attenendo all'eventuale consenso a
(o rifiuto di) determinati trattamenti sanitari, incide certamente
anche sulla materia «tutela della salute».
Come noto, la tutela della salute e' rimessa alla potesta'
legislativa concorrente Stato-regioni, in virtu' dell'art. 117, terzo
comma, della Costituzione.
A tal riguardo, tuttavia, si deve considerare che l'eventuale
previsione di atti attraverso i quali le persone possano disporre il
proprio anticipato consenso o dissenso a determinati trattamenti
sanitari, nonche' la previsione delle relative modalita' di
manifestazione e degli effetti, costituiscono, per la loro rilevanza,
aspetti che certamente integrano principi fondamentali della materia,
non profili di dettaglio o meramente organizzativi.
La legge regionale in esame, pertanto, regolamenta profili che,
in base alla giurisprudenza costituzionale, sono da configurarsi come
attinenti ai principi fondamentali della legislazione statale in
materia di tutela della salute. Cio' vale, in particolare, con
riferimento alla necessita' di garantire che ogni determinazione in
ordine al consenso o al dissenso rispetto a determinati trattamenti
sanitari, avvenga sulla base di una scelta davvero libera,
consapevole e informata. In altri termini, nella materia delle
dichiarazioni anticipate di trattamento assume eminente importanza il
principio del «consenso informato». Anche in tal caso, tuttavia, la
delicatezza dei profili coinvolti fa si' che la relativa disciplina
sia dettata in maniera uniforme sul territorio nazionale, senza
differenziazioni che sarebbero certamente suscettibili di incidere
sul principio di uguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione.
Viene in rilievo, a tal riguardo, la sentenza della Corte
costituzionale n. 438/2008, che ha precisato che «il consenso
informato [...] si configura quale vero e proprio diritto della
persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 della
Costituzione, che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e
negli articoli 13 e 32 della Costituzione, i quali stabiliscono,
rispettivamente, che "la liberta' personale e' inviolabile", e che
"nessuno puo' essere obbligato a un determinato trattamento sanitario
se non per disposizione di legge"».
La Corte ha, altresi', precisato che «il consenso informato trova
il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione»,
sottolineandone la funzione di «sintesi di due diritti fondamentali
della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in
quanto, se e' vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato,
egli ha, altresi', il diritto di ricevere le opportune informazioni
in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso
terapeutico cui puo' essere sottoposto, nonche' delle eventuali
terapie alternative; informazioni che devono essere le piu'
esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e
consapevole da parte del paziente e, quindi, la sua stessa liberta'
personale, conformemente all'art. 32, secondo comma, della
Costituzione.».
Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha tratto la
conclusione che «il consenso informato deve essere considerato un
principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui
conformazione e' rimessa alla legislazione statale».
In particolare, la Corte ha osservato come l'individuazione dei
soggetti legittimati al rilascio del consenso informato, nonche' le
modalita' con le quali esso deve essere prestato e acquisito,
costituiscono aspetti di primario rilievo dell'istituto del consenso
informato, non potendosi, dunque, configurare quali norme di
dettaglio, attuative dei principi fondamentali della legislazione
statale.
Si tratta, dunque, di aspetti che non possono ammettere
regolamentazioni differenziate sul territorio nazionale, come,
appunto, sottolineato nella citata sentenza della Corte
costituzionale n. 438/2008.
Sul punto, si evidenzia come l'art. 2, comma 3, della legge
regionale in esame si limiti a prevedere che il cittadino possa
presentare alle ASL una dichiarazione anticipata di trattamento,
«acquisita una compiuta informazione», senza chiarire, nemmeno in
generale, in cosa consista tale informazione. Cio' rende davvero poco
plausibile che il consenso reso dal cittadino si qualifichi come
«informato», fermo restando che, in ogni caso, tali aspetti attengono
ai principi fondamentali della materia «tutela della salute» e,
pertanto, non possono essere disciplinati dalla regione.
Nell'ambito delle dichiarazioni anticipate di trattamento,
dunque, va osservato come le materie «ordinamento civile» e «tutela
della salute» si intersechino inscindibilmente, specialmente con
riguardo alla definizione degli eventuali limiti al possibile
contenuto delle dichiarazioni stesse. Tali limiti, infatti,
circoscrivendo le dichiarazioni di volonta' - che costituiscono, come
si e' detto, espressione di autonomia privata - rientrerebbero, per
cio' stesso, nella materia «ordinamento civile», ma potrebbero essere
stabiliti, in ipotesi, proprio per finalita' di tutela della salute.
Si consideri, a titolo di esempio, che nella precedente
legislatura e' stato presentato, in materia, il ddl 2350, il quale
statuiva che «l'alimentazione e l'idratazione, nelle diverse forme in
cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme
di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le
sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare
oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento». E' evidente come
tali aspetti non possano essere rimessi all'autonoma iniziativa delle
regioni o, tanto meno, degli enti locali, necessitando, invece, di
una disciplina uniforme sul territorio nazionale.
Il fatto che una determinata disciplina riguardi contestualmente
due materie diverse non e', peraltro, una ipotesi nuova. Basti
pensare che la norma che vieta gli atti di disposizione del proprio
corpo qualora determinino una menomazione permanente dell'integrita'
fisica - divieto che certamente attiene anche a profili di tutela
della salute - e' contenuta nel libro I del codice civile, cioe', la
principale fonte di disciplina dell'ordinamento civile.
Del resto, se considerate in astratto (e in assenza di
un'apposita disciplina, come nella situazione attuale) le DAT
riguardano situazioni in cui il dissenso a determinati trattamenti
sanitari potrebbe risolversi in un vero e proprio atto di
disposizione del proprio corpo, fino a determinare la morte. Vengono
quindi coinvolti profili concernenti i diritti c.d. «personalissimi»,
rientranti nell'ambito dell'ordinamento civile.
Le dichiarazioni anticipate di trattamento, inoltre, essendo
rivolte al consenso o al rifiuto di determinati trattamenti sanitari,
potrebbero incidere sul bene «vita» e potrebbero richiedere un
comportamento «attivo» da parte dei medici chiamati a rispettarle (si
pensi, come nell'esempio gia' fatto, all'atto di interrompere
l'idratazione e l'alimentazione). Una disciplina in materia di
dichiarazioni anticipata di trattamento, dunque, richiederebbe un
coordinamento con le norme del codice penale che prevedono
determinati reati: omicidio, omicidio del consenziente, istigazione o
aiuto al suicidio.
Viene, pertanto, in rilievo anche la materia dell'«ordinamento
penale», anch'essa rimessa alla potesta' legislativa esclusiva dello
Stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera l), della
Costituzione.
Alla luce di quanto sopra, deve ritenersi, pertanto, che l'art.
1, comma 3, della legge regione Friuli-Venezia Giulia n. 4/2015
citata violi gli articoli 3, 117, comma 2, lettera l) e l'art. 117,
comma 3, della Costituzione.
2. L'art. 1, comma 5, e l'art. 7 della legge regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia n. 4/2015 violano l'art. 3, l'art. 117, comma
2, lettera l), e l'art. 117, comma 3, della Costituzione.
L'art. 7 e l'art. 1, comma 5, nonche' le disposizioni ad essi
collegate, disciplinano la registrazione della volonta' in merito
alla donazione post mortem degli organi o tessuti, prevedendo che le
aziende per l'assistenza sanitaria ricordino alla persona
interessata, contestualmente alla registrazione delle dichiarazione
anticipate di trattamento sanitario, la possibilita' di effettuare
liberamente anche la dichiarazione di volonta' in merito alla
donazione post mortem di organi del proprio corpo o tessuti
conformemente alle procedure gia' in corso nei termini, forme e
modalita' definite dalla legge 1° aprile 1999, n. 91 e dal decreto
del Ministro della sanita' 8 aprile 2000.
Al riguardo, occorre considerare che anche la donazione degli
organi, oltre che attenere alla materia «tutela della salute»
(essendo finalizzata a curare coloro i quali necessitano degli organi
medesimi), costituisce certamente un atto di disposizione del proprio
corpo, tanto che le diverse fonti che ne recano la disciplina si
pongono in rapporto di specialita' rispetto al generale divieto di
cui all'art. 5 del codice civile.
Essa, pertanto, attiene, anche, alla materia dell'ordinamento
civile, rimessa, come piu' volte ribadito, alla potesta' legislativa
esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera l),
della Costituzione. E', peraltro, da ritenere che anche alla predetta
materia siano connessi i profili concernenti le modalita' di
espressione del consenso alla donazione di organi, quale atto di
disposizione del proprio corpo. Anche in tal caso, dunque, assume
primario rilievo la tematica del consenso informato, la cui
disciplina, come evidenziato, integra i principi fondamentali in
materia di tutela della salute, riservati alla potesta' legislativa
statale.
Sul punto, peraltro, si osserva che il citato art. 7 della legge
regionale n. 4/2015 citata, pur disponendo l'acquisizione delle
volonta' secondo le procedure statali gia' in corso, non prevede
l'invio delle suddette dichiarazioni al Sistema informativo
trapianti, come previsto dalla legge n. 91/1999 citata.
Per questi profili, dunque, esso viola anche l'art. 117, terzo
comma, della Costituzione, in quanto contrastante con i principi
fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della
salute.
Con riferimento alle disposizioni della legge regionale indicate
non varrebbe obiettare che, non sussistendo una normativa statale in
materia di DAT, non potrebbe ritenersi sussistente la violazione
dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto
mancherebbe, nel caso di specie, «il paradigma alla luce del quale
valutare cosa e' principio e cosa e' dettaglio».
In disparte ogni considerazione circa la prevalenza della materia
«ordinamento civile» rispetto a quella della tutela della salute - di
cui si dira' piu' avanti - non puo', infatti, ritenersi che, ove
manchi una disciplina statale regolante un determinato settore, le
regioni potrebbero comunque legiferare, dettando esse stesse norme
aventi requisiti di «principio».
Invero tale ricostruzione, ove declinata in termini assoluti,
vanificherebbe la ratio stessa della potesta' legislativa
concorrente, di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Essa consiste nella necessita' di garantire che, nelle materie
sottoposte a tale tipologia di potesta' legislativa, la
differenziazione delle regolamentazioni tra le regioni, derivante
dall'esercizio della relativa potesta', non possa coinvolgere anche
gli aspetti fondamentali delle materie medesime, in quanto questi
ultimi devono essere regolamentati in maniera uniforme sull'intero
territorio nazionale, appunto, mediante l'emanazione, da parte del
legislatore statale, in via esclusiva, dei principi fondamentali.
La potesta' legislativa concorrente, dunque, e' a presidio
dell'uniformita' di trattamento e di disciplina in ordine ai principi
fondamentali, nel presupposto che questi ultimi, appunto, in quanto
«fondamentali», non possano essere regolati in materia differenziata
dalle regioni.
La circostanza che una determinata materia non sia regolamentata
a livello statale, non giustifica, automaticamente, l'esercizio della
potesta' legislativa regionale concorrente, perche', al di la' del
contenuto specifico delle norme eventualmente emanate dalle regioni a
tale titolo, cio' farebbe, comunque, venire meno quell'esigenza di
uniformita' di disciplina, sul territorio nazionale, relativamente
agli aspetti fondamentali della materia di volta in volta
interessata. Del resto, anche l'inerzia del legislatore statale in
ordine ad un determinato settore, puo' essere espressione di una
precisa scelta, nel senso di non consentire determinati atti o
rapporti. D'altra parte, se non si tenesse conto di tali esigenze di
uniformita', la potesta' legislativa concorrente finirebbe col
coincidere, in gran parte, con quella residuale/esclusiva. Ma se il
legislatore costituente ha inteso inserire determinate materie
nell'elenco di quelle rimesse alla potesta' concorrente,
evidentemente, ha voluto assicurare, rispetto alle stesse, un certo
livello di uniformita' di disciplina sull'intero territorio
nazionale.
Cio', peraltro, appare ancora piu' evidente quando l'oggetto
della disciplina involge strettamente i diritti della persona
costituzionalmente riconosciuti.
Appare opportuno richiamare, nuovamente, la sentenza della Corte
costituzionale n. 438/2008 citata, con la quale e' stata dichiarata
l'incostituzionalita' di una norma della regione Piemonte, che
prevedeva che il trattamento con determinate sostanze psicotrope su
bambini e adolescenti potesse essere praticato solo a seguito
dell'espressione del consenso informato da parte dei genitori o
tutori. Consenso informato di cui la legge regionale disciplinava
alcuni profili, rimettendo altri aspetti ad un provvedimento di
giunta.
Ebbene, in tale circostanza - analoga, quanto all'assenza di una
disciplina generale statale in materia, a quella interessata dalla
legge regionale in esame - la Corte costituzionale ha precisato che
«il consenso informato», che ha una funzione di sintesi di due
diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e
delle regioni. Ma se il legislatore costituente ha inteso inserire
quello alla salute, «deve essere considerato un principio
fondamentale in materia di tutela della salute», la cui disciplina e'
rimessa alla legislazione statale.
La citata pronuncia della Corte costituzionale evidenzia come,
laddove un determinato profilo, inerente ad una materia di potesta'
legislativa concorrente, sia strettamente connesso alla conformazione
di diritti fondamentali costituzionalmente fondati - e questo e'
certamente anche il caso degli aspetti disciplinati dalla legge
regionale in esame, che interviene in materia delicata come il «fine
vita» - tale profilo assurge di per se' al rango di «principio
fondamentale», «la cui conformazione e' rimessa alla legislazione
statale».
In tali casi, pertanto, come pure e' stato rilevato, una legge
regionale che intervenisse su tali profili non sarebbe
incostituzionale per il modo in cui li ha disciplinati, ma per il
fatto stesso di averli disciplinati.
La predetta sentenza, peraltro, appare particolarmente pregnante
rispetto alla legge regionale in esame, in quanto anche quest'ultima
coinvolge, a vario titolo, come gia' osservato supra, proprio il tema
del consenso informato.
Non si puo', comunque, negare che la legge regionale in esame
incida pienamente anche sulla materia dell'ordinamento civile, in
quanto essa prevede una particolare categoria di atti espressione di
autonomia privata, quali, appunto, le dichiarazioni anticipate di
trattamento, disciplinandone:
i contenuti e l'oggetto (ovvero, all'art. 1, comma 5, citato, «la
volonta' del singolo di essere o meno sottoposto a trattamenti
sanitari in caso di malattia o lesione cerebrale che cagioni una
perdita di coscienza e volonta' definibile come permanente e
irreversibile secondo i protocolli scientifici riconosciuti a livello
internazionale»);
le modalita' con cui possono essere portate a conoscenza di terzi
(prevedendo, all'art. 2, comma 6, citato che «il soggetto dichiarante
puo' rilasciare l'autorizzazione a comunicare a chiunque ne faccia
richiesta o a determinati soggetti l'esistenza della dichiarazione
anticipata di trattamento sanitario e il suo contenuto»);
la validita', la revoca e la modifica (prevedendo, all'art. 4,
commi 1 e 2, citato, che le dichiarazioni in questione producono
effetti dal momento in cui interviene lo stato di incapacita'
decisionale del predisponente e perdono validita' solo su richiesta
del dichiarante e che possono essere revocate in qualunque momento
dal dichiarante);
la possibilita', all'art. 3 citato, per il cittadino di nominare,
con le dichiarazioni anticipate di trattamento, uno o piu' fiduciari
o un amministratore di sostegno, con il compito di controllare il
rispetto della volonta' dal medesimo espressa nella dichiarazione e
di contribuire a realizzare la volonta'.
Si tratta, dunque, di una disciplina che, attenendo ai contenuti,
ai limiti e alle modalita' di esternazione di atti tipicamente di
autonomia privata, in quanto concernenti la disposizione del proprio
corpo mediante l'adesione o meno a determinati trattamenti sanitari,
rientra, inequivocabilmente, nella materia dell'ordinamento civile,
che e' riservata, in via esclusiva, alla potesta' legislativa
statale.
Anche sotto questo profilo assume rilievo la giurisprudenza
costituzionale, in particolare, la sentenza della Corte
costituzionale n. 253/2006, che ha dichiarato l'incostituzionalita',
per interferenza nella materia dell'ordinamento civile, di una norma
della regione Toscana, la quale prevedeva che «Ciascuno ha diritto di
designare la persona a cui gli operatori sanitari devono riferirsi
per riceverne il consenso a un determinato trattamento terapeutico,
qualora l'interessato versi in condizione di incapacita' naturale e
il pericolo di un grave pregiudizio alla sua salute o alla sua
integrita' fisica giustifichi l'urgenza e indifferibilita' della
decisione», nonche' disciplinano. La medesima legge regionale
disciplinava il procedimento per rendere operative le relative
dichiarazioni di volonta'.
La Corte costituzionale, nello scrutinare la predetta legge
regionale, ha statuito che «la regione ha cosi' disciplinato la
possibilita' per il soggetto, in vista di un'eventuale e futura
situazione di incapacita' naturale e al ricorrere delle condizioni
indicate dall'art. 7, di delegare ad altra persona, liberamente
scelta, il consenso ad un trattamento sanitario. Cosi' operando il
legislatore regionale ha ecceduto dalle proprie competenze, regolando
l'istituto della rappresentanza che rientra nella materia
dell'ordinamento civile, riservata allo Stato, in via esclusiva,
dall'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione».
Si tratta, come si vede, di fattispecie del tutto analoga a
quella disciplinata dalla legge della regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia n. 4/2015 citata, rispetto alla quale, pertanto, sono fondati
i rilievi di incostituzionalita' gia' formulati.
Sembra opportuno, infine, svolgere qualche considerazione in
ordine alle difficolta' attuative della legge regionale in esame.
Essa, infatti, non garantisce che le DAT possano concretamente
esplicare effetto - e prima ancora essere conosciute - al di fuori
del territorio della regione. E' previsto, infatti, che possa avere
accesso alla banca dati delle DAT solamente il personale autorizzato
dell'azienda in cui le DAT sono depositate. Non e' garantito, dunque,
che le predette dichiarazioni siano conosciute e possano esplicare
effetti ove lo stato di incapacita' del dichiarante intervenga fuori
dal territorio della regione, ad esempio a seguito di un incidente
occorso altrove.
Non e' disciplinato neanche a chi spetti verificare l'esistenza
delle DAT, in quanto la legge regionale si limita a stabilire che il
fiduciario ha il compito di controllare che le volonta' del
dichiarante vengano eseguite, ma non sono in alcun modo disciplinati
(ne', d'altra parte, la regione avrebbe potuto farlo), sia le
procedure per comunicare a terzi (ad esempio all'ospedale, ove
eventualmente sia ricoverato l'interessato, fuori dal territorio
regionale), sia l'esistenza stessa della DAT, i soggetti legittimati
e/o tenuti a dare tale comunicazione, e quelli legittimati a
riceverla (un funzionario, un direttore generale, un primario, un
infermiere).
Tutte queste criticita' applicative dimostrano, ove mai ve ne
fosse bisogno, le esigenze di unitarieta' che rendono illegittimo
l'intervento regionale su tali temi ed evidenziano che un'eventuale
disciplina in materia puo' essere dettata solo a livello statale.
Alla luce delle precedenti considerazioni, deve ritenersi che
l'art. 1, comma 5, e l'art. 7 della legge regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia n. 4/2015 violino l'art. 3, l'art. 117, comma
2, lettera l), e l'art. 117, comma 3, della Costituzione.
3. L'art. 2, commi 3 e 4, e gli articoli 6 e 9 della legge
regione Friuli-Venezia Giulia n. 4/2015 violano l'articolo l'art.
117, comma 2, lettera l) e l'art. 117, comma 3, della Costituzione.
Come gia' osservato supra, le criticita' applicative dimostrano
l'esistenza delle esigenze di unitarieta' che rendono illegittimo
l'intervento regionale su tali temi ed evidenziano che un'eventuale
disciplina in materia puo' essere dettata solo a livello statale.
La disciplina recata dalla legge regionale n. 4/2015 citata e, in
particolare, l'art. 2, commi 3 e 4, e gli articoli 6 e 9 citati, che
prevedono che l'azienda per l'assistenza sanitaria inserisca le DAT
della banca dati e ne curi la tenuta, coinvolgono anche direttamente
la materia della protezione dei dati personali ed hanno importanti
implicazioni sulla e sulla tutela della riservatezza, che - come noto
- rientrano nell'ambito dell'ordinamento civile, che e' riservato
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art.
117, comma 2, lettera l), Cost. (cfr., per tutte, la sentenza della
Corte costituzionale n. 271/2005).
Come noto, la predetta competenza e' stata esercitata dal
legislatore statale segnatamente attraverso il decreto legislativo n.
196/2003 (Codice in materia di protezione dei personali, in
prosieguo: il «Codice»).
In proposito, va sottolineato, da un lato, che la tipologia di
informazioni contenute nella DAT e' per la maggior parte
esplicitamente collegata a dati sanitari e a informazioni relative
alla salute; dall'altro, che la DAT trascende inevitabilmente
l'ambito prettamente sanitario e finisce per coinvolgere delicati
aspetti della vita umana di carattere etico, religioso, filosofico e
di altro genere.
Sotto entrambi i menzionati profili, pertanto, la DAT implica
anche il trattamento di dati sensibili, tra i quali sono ricompresi i
dati idonei a rivelare «le convinzioni religiose, filosofiche e di
altro genere» dell'individuo, «nonche' i dati personali idonei a
rivelare lo stato salute» (cfr. l'art. 4, comma 1, lettera d), del
Codice).
Per operare il trattamento di dati personali, comuni e sensibili,
implicato dalla DAT occorre che il trattamento inerisca allo
svolgimento delle funzioni istituzionali delle aziende per
l'assistenza sanitaria (art. 18, comma 2, del Codice) e che una norma
di rango statale individui le finalita' di rilevante interesse
pubblico alla base dello stesso, secondo quanto previsto dall'art.
20, comma 1, del Codice.
Ne' appare possibile effettuare l'individuazione della rilevante
finalita' di intesse pubblico con un regolamento regionale (a cui
rinvia l'art. 9 della legge regionale in oggetto), occorrendo a tal
uopo una fonte di rango statale; la normativa secondaria regionale
puo' svolgere un ruolo di tipo integrativo, disciplinando differenti
profili del trattamento, come l'individuazione dei tipi di dati e di
operazioni eseguibili, nel caso in cui il trattamento da parte del
soggetto pubblico (qui, le aziende per l'assistenza sanitaria)
riguardi dati sensibili (cfr. art. 20, comma 2, Codice).
Secondo quanto stabilito dalla Corte con la richiamata sentenza
n. 271/2005, infatti, il predetto art. 20, comma 2, del Codice,
ammette «solo l'integrazione delle prescrizioni legislative statali
che siano incomplete in relazione al trattamento di dati sensibili da
parte di pubbliche amministrazioni (poiche' non determinano tipi di
dati sensibili e di operazioni eseguibili) operata tramite appositi
regolamenti a cura dei soggetti che ne effettuano il trattamento,
seppure in conformita' al parere espresso dal Garante ai sensi
dell'art. 154, comma 1, lettera g), anche su schemi tipo. In questi
ambiti possono quindi essere adottati anche leggi e regolamenti
regionali, ma solo in quanto e nella misura in cui cio' sia appunto
previsto legislazione statale».
Ne' valgono a fugare i dubbi di un possibile contrasto con il
dettato costituzionale le affermazioni presenti nella legge regionale
circa il «rispetto delle vigenti disposizioni a tutela della
riservatezza dei dati sanitari e dei provvedimenti del Garante per la
protezione dei dati personali (cfr. art. 9), quando invece la legge
regionale in concreto contraddice sotto molteplici profili la
legislazione statale vigente in materia di protezione dei dati
personali (nonche' le stesse direttive europee che ne sono
all'origine) (cfr. la sentenza della Corte costituzionale n. 271/2005
citata).
Allo stato, la materia della DAT non trova disciplina nella
legislazione statale; risultano solo presentati in Parlamento alcuni
disegni di legge il cui esame, peraltro, non e' stato ancora avviato
(AS 433 e AC 1432, entrambi recanti «Disposizioni in materia di
consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento
sanitario»).
Pertanto, in assenza di disposizioni statali che includano tra i
compiti istituzionali delle aziende sanitarie tale specifica funzione
e che affermino la rilevante finalita' di interesse pubblico
perseguita, la legge regionale in esame contrasta con la disciplina
ed i principi della legislazione statale in materia di protezione dei
dati personali, con specifico riferimento, quali «norme interposte»,
alle disposizioni del Codice indicate in motivazione e viola,
pertanto, l'art. 3, l'art. 117, comma 2, lettera l), e l'art. 117,
comma 3, della Costituzione.
P.Q.M.
Per i suesposti motivi si conclude perche' la legge della regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 13 marzo 2015, recante
«Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni
anticipata di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire
la raccolta delle volonta' di donazione degli organi e dei tessuti»,
avente contenuto omogeneo e recante disposizioni strettamente
connesse tra loro e, comunque, gli articoli specificamente indicati e
le disposizioni ad essi collegate indicate in epigrafe, siano
dichiarati costituzionalmente illegittimi.
Si produce l'estratto della deliberazione del Consiglio dei
ministri del 18 maggio 2015.
Roma, 18 maggio 2015
L'avvocato dello Stato: Palmieri