Ricorso n. 57 del 28 maggio 2015 (Presidente del Consiglio dei ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 28 maggio 2015 (del Presidente del Consiglio dei
ministri).
(GU n. 27 del 2015-07-08)
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui
uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12, contro la Regione
Puglia, in persona del Presidente della Giunta p.t., per la
declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 7, commi 1, 3 e 5, e
dell'art. 8, commi 1 e 3, della legge regionale 23 marzo 2015, n. 12,
pubblicata nel B.U.R. n. 43 del 27 marzo 2015, avente ad oggetto
"Promozione della cultura della legalita', della memoria e
dell'impegno", giusta delibera del Consiglio dei ministri 18 maggio
2015.
La legge in epigrafe indicata contiene talune disposizioni che
eccedono dalle competenze regionali ed invadono quelle statali,
ponendosi in contrasto con i principi costituzionali di cui agli
artt. 3, 97 e 117, comma 2, della Costituzione, nelle materie oggetto
degli articoli 7 e 8, come andiamo ad argomentare in dettaglio.
1. L'art. 7 disciplina il diritto di collocamento obbligatorio
delle vittime della mafia, della criminalita' organizzata, del
terrorismo e del dovere, materia che e' regolata dalla normativa
primaria statale e, per quel che rileva in questa sede, dalle leggi
20 ottobre 1990, n. 302 e 23 novembre 1998, n. 407.
1.1. L'art. 7, comma 1, cosi' recita: "La Regione Puglia da'
attuazione al diritto al collocamento obbligatorio di cui
all'articolo 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407 (Nuove norme in
favore delle vittime del terrorismo e della criminalita'
organizzata), assumendo nei propri ruoli per chiamata diretta e
personale e con livello contrattuale e qualifica corrispondenti al
titolo di studio posseduto"; si prevede, quindi, l'assunzione nei
ruoli regionali delle vittime del terrorismo e della criminalita'
organizzata per semplice chiamata diretta e personale, senza
alcun'altra condizione e prescrizione. Tale disposizione contrasta
con quanto disposto dall'art. 1 della legge n. 407/1998 - cui si dice
di voler dare attuazione - e, in particolare, con quanto disposto dal
suo comma 2, il quale prevede che, ai fini dell'assunzione del
personale avente diritto al collocamento obbligatorio, sia espletata
di una prova di idoneita' e sia rispettato il limite del dieci per
cento del numero di vacanze nell'organico (penultimo periodo del
comma 2, come successivamente modificato e attualmente vigente:
"Ferme restando le percentuali di assunzioni previste dalle vigenti
disposizioni, per i livelli retributivi dal sesto all'ottavo le
assunzioni, da effettuarsi previo espletamento della prova di
idoneita' di cui all'articolo 32 del decreto del Presidente della
Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, come sostituito dall'articolo 4 del
decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1997, n. 246, non
potranno superare l'aliquota del 10 per cento del numero di vacanze
nell'organico.").
L'art. 7, comma 3, cosi' recita: "Il diritto al collocamento di
cui al comma 1 viene attuato su apposita domanda dei soggetti aventi
le qualita' e le condizioni... sulla base del seguente ordine: a)
vittima sopravvissuta; b) coniuge superstite; c) convivente more
uxorio; d) figli della vittima; e) genitori della vittima; f) germani
della vittima."; si individuano cosi', quali beneficiari del diritto
al collocamento, soggetti ulteriori rispetto a quelli individuati dal
predetto art. 1, comma 2, della legge n. 407/1998, che nel primo
periodo indica quali destinatari del beneficio, oltre i soggetti
direttamente colpiti, il coniuge, i figli superstiti e i fratelli
conviventi e a carico dei soggetti deceduti [primo periodo come
modificato e vigente: "I soggetti di cui all'articolo 1 della legge
20 ottobre 1990, n. 302, come modificato dal comma 1 del presente
articolo, nonche' il coniuge e i figli superstiti, ovvero i fratelli
conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti, dei
soggetti deceduti o resi permanentemente invalidi"].
L'art. 7, comma 5, cosi' recita: "Il diritto al collocamento
obbligatorio di cui al presente articolo viene altresi' attuato dagli
enti e agenzie istituiti o comunque dipendenti o controllati dalla
Regione Puglia, dalle societa' di capitale dalla stessa interamente
partecipate nonche' dalle aziende e unita' sanitarie locali"; si
prevede, quindi, che il collocamento obbligatorio sia attuato anche
nei confronti di soggetti ulteriori rispetto a quelli individuati
dalle vigenti disposizioni legislative cui fa richiamo il citato art.
1, comma 2, legge 407/98 [primo periodo: "diritto al collocamento
obbligatorio di cui alle vigenti disposizioni legislative"], cioe'
"tutte le pubbliche amministrazioni cosi' come specificatamente
individuate dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165" - come specificato con la circolare del Dipartimento
della funzione pubblica 14 novembre 2003, n. 2 (applicativa anche
della legge n. 407/1998) in materia di "Vittime del terrorismo e
della criminalita' organizzata. Assunzioni obbligatorie presso
amministrazioni pubbliche" - e non anche gli enti e agenzie istituiti
o comunque dipendenti o controllati dalla Regione Puglia, le societa'
di capitale dalla stessa interamente partecipate e le aziende e
unita' sanitarie locali.
1.2. Pertanto l'art. 7, commi 1, 3 e 5, della legge regionale in
esame, nel derogare alle disposizioni statali recate dalla suddetta
legge n. 407/1998, viola l'art. 117, secondo comma, lettere 1) e o),
della Costituzione, che attribuisce - rispettivamente - le materie
dell'ordinamento civile e della previdenza sociale, nei cui ambiti
rientra il collocamento obbligatorio, alla competenza esclusiva dello
Stato.
E' indiscutibile che la disciplina del rapporto di lavoro nelle
pubbliche amministrazioni, sia per la sua costituzione sia per la sua
disciplina e regolazione giuridica ed economica, attenga alla materia
dell'ordinamento civile di esclusiva competenza statale; ex plurimis,
Corte Cost. 31 gennaio 2014, n. 7, la quale ritiene che qualunque
ipotesi di regolamentazione del rapporto di lavoro dipendente
pubblico e' da ricomprendere nella "dinamica del rapporto di lavoro e
del relativo regime ed e', quindi, riconducibile in modo piano alla
materia dell'«ordinamento civile»", con la conseguenza che
"l'inosservanza della disciplina di legge statale e di derivazione
contrattuale collettiva ... rende, dunque, ancora piu' evidente la
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera 1), Cost. denunciata
in capo alla disposizione in oggetto.".
Sotto altro profilo, considerando che la materia del collocamento
obbligatorio attiene a quella generale della previdenza sociale, le
disposizioni censurate invadono la competenza esclusiva statale
indicata nell'art. 117, comma 2, lett. o), della Costituzione; tanto
e' eccepito sia sotto il profilo generale sia sotto quello specifico
del limite del 10 per cento del numero di vacanze dell'organico che,
non ribadito nella legge regionale, verrebbe ad essere superato
illegittimamente, anche in pregiudizio dell'intero sistema del
collocamento obbligatorio ed in danno delle altre categorie di
beneficiari (ad esempio i disabili, a proposito dei quali si veda la
legge 11 marzo 2011, n. 25).
La gravita' della violazione delle competenze legislative statali
qui eccepita e' di tutta evidenza!
1.3. Le norme regionali in esame violano, inoltre, i principi di
uguaglianza, buon andamento e imparzialita' della pubblica
amministrazione di cui gli articoli 3 e 97 della Costituzione.
La violazione dell'art. 3 Cost. e' palese, laddove semplicemente
si consideri che persone nell'identica situazione (legate, cioe', da
rapporti di parentela con vittime del terrorismo e della criminalita'
organizzata) potrebbero essere beneficiarie del collocamento
obbligatorio in Puglia e non in altre parti del territorio nazionale:
"i principi fissati dalla legge statale in materia costituiscono
tipici limiti di diritto privato, fondati sull'esigenza, connessa al
precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l'uniformita'
nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che
disciplinano i rapporti fra privati" (Corte Cost. n. 189/2007 e
211/2014).
Altrettanto palese e' la violazione dell'art. 97 Cost. in quanto
le disposizioni censurate dispongono l'assunzione in ruolo di
personale senza la preventiva selezione concorsuale.
Sul punto, la giurisprudenza costituzionale e' vasta e granitica;
a conforto della censura bastera' richiamare, fra le tante, la
sentenza 7/ 7/2010, n. 235, con la quale la Corte costituzionale ha
dichiarato illegittime norme della legge regionale sarda 7 agosto
2009, n. 3, in quanto disponevano "in modo indiscriminato lo stabile
inserimento di lavoratori nei ruoli delle pubbliche amministrazioni
sarde, senza condizionare tali assunzioni al previo superamento di
alcun tipo di prova selettiva pubblica da parte degli interessati.
Pertanto, esse si pongono in aperto contrasto con l'art. 97 Cost.,
che impone il concorso quale modalita' di reclutamento del personale
delle pubbliche amministrazioni"; principio anche recentemente
ribadito da Corte Cost. 30 gennaio 2015, n. 7, in termini che,
siccome validi a decidere anche il presente caso, riportiamo per
esteso: "3. E' nota la copiosa giurisprudenza di questa Corte secondo
cui il pubblico concorso e' forma generale e ordinaria di
reclutamento del personale della pubblica amministrazione (si vedano,
tra le piu' recenti, le sentenze n. 134 del 2014; n. 277, n. 137, n.
28 e n. 3 del 2013; n. 212, n. 177 e n. 99 del 2012; n. 293 del
2009), cui si puo' derogare solo in presenza di peculiari e
straordinarie esigenze di interesse pubblico (sentenze n. 134 del
2014; n. 217 del 2012; n. 310 del 2011; n. 9 del 2010; n. 293 e n.
215 del 2009; n. 81 del 2006).
Il principio della necessita' del pubblico concorso e' stato di
recente ribadito con specifico riferimento a disposizioni legislative
che prevedevano il passaggio automatico di personale di societa' in
house, ovvero societa' o associazioni private, all'amministrazione
pubblica (sentenze n. 134 del 2014; n. 227 del 2013; n. 62 del 2012;
n. 310 e n. 299 del 2011; n. 267 del 2010).
Questa Corte ha ritenuto, infatti, che "il trasferimento da una
societa' partecipata dalla Regione alla Regione o ad altro soggetto
pubblico regionale si risolve in un privilegio indebito per i
soggetti beneficiari di un siffatto meccanismo, in violazione
dell'art. 97 cost. (sentenza n. 62 del 2012; nello stesso senso,
sentenze n. 310 e n. 299 del 2011, nonche' sentenza n. 267 del 2010)"
(sentenza n. 227 del 2013) ... .
4. La fondatezza della questione di costituzionalita' con
riferimento all'art. 97, terzo comma, Cost. comporta l'assorbimento
dell'ulteriore censura di violazione dell'art. 117 secondo comma,
lettera l), Cost.".
2. L'art. 8 della legge regionale in esame, a completamento della
disciplina dell'art. 7, regola i permessi retribuiti dei lavoratori
subordinati assunti in quanto vittime della mafia, della criminalita'
organizzata, del terrorismo e del dovere.
2.1. L'art. 8, comma 1, cosi' recita: "Ai lavoratori subordinati
assunti in base all'articolo 7 della presente legge e' riconosciuto
il diritto di assentarsi dal posto di lavoro per un numero massimo di
cento ore annue al fine di partecipare a iniziative pubbliche, anche
presso scuole e istituzioni, finalizzate alla diffusione della
cultura della legalita' e della memoria delle vittime della mafia,
della criminalita' organizzata, del terrorismo e del dovere".
Il comma 3 del medesimo articolo 8 stabilisce, altresi', che: "Le
ore di assenza per la partecipazione alle iniziative pubbliche di cui
al comma 1 sono retribuite quali normali ore di lavoro, anche ai fini
previdenziali".
2.2. La materia delle assenze dal posto di lavoro, nel cui ambito
rientrano i permessi retribuiti concessi dalle disposizioni in esame,
e' riservata alla contrattazione collettiva, ai sensi del titolo III
(Contrattazione collettiva e rappresentanza sindacale) del d.lgs. n.
165/2001, che indica le procedure da seguire in sede di
contrattazione e l'obbligo del rispetto della normativa contrattuale.
Pertanto, le norme regionali in esame, sia quanto alla
determinazione del diritto al permesso retribuito per il numero
massimo di cento ore annue sia quanto alla previsione della loro
retribuzione piena, anche ai fini previdenziali, violano l'art. 117,
secondo comma, lettere l) e o), della Costituzione, che riservano
alla competenza esclusiva dello Stato - rispettivamente - la materia
dell'ordinamento civile e, quindi, la regolamentazione dei rapporti
di lavoro pubblico privatizzati, regolati dal codice civile e dai
contratti collettivi, e la materia della previdenza sociale.
In proposito, la giurisprudenza della Corte costituzionale e'
chiarissima; oltre alle sentenze gia' citate, si vedano, fra le
tante: Corte cost. 28 marzo 2014, n. 61 ("Infatti tale disposizione,
attenendo alla retribuzione spettante a lavoratori ... il cui
rapporto e' contrattualizzato, e' riconducibile alla materia
dell'«ordinamento civile»."); Corte cost. 3 dicembre 2014, n. 269 e
Corte cost. 18 luglio 2014, n. 211 ("Secondo il costante orientamento
di questa Corte, a seguito della privatizzazione del rapporto di
pubblico impiego - operata dall'art. 2 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione
delle discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di
previdenza e di finanza territoriale), dall'art. 11, comma 4, della
legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di
funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della
Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e
dai decreti legislativi emanati in attuazione di dette leggi delega -
la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica
amministrazione e' retta dalle disposizioni del codice civile e dalla
contrattazione collettiva.
Con specifico riguardo al trattamento economico, l'art. 2, comma
3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche), stabilisce che «L'attribuzione di trattamenti economici
puo' avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi» e l'art.
45 dello stesso decreto ribadisce che «Il trattamento economico
fondamentale ed accessorio [...] e' definito dai contratti
collettivi». Ancora, il citato art. 2, comma 3, prevede che «Le
disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che
attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti
cessano di avere efficacia a far data dall'entrata in vigore del
relativo rinnovo contrattuale».
Proprio a seguito di tale privatizzazione, questa Corte ha
affermato che «i principi fissati dalla legge statale in materia
costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati
sull'esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di
garantire l'uniformita' nel territorio nazionale delle regole
fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e,
come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale»
(sentenza n. 189 del 2007).
In particolare, dall'art. 2, comma 3, terzo e quarto periodo,
della legge n. 421 del 1992, emerge il principio per cui il
trattamento economico dei dipendenti pubblici e' affidato ai
contratti collettivi, di tal che la disciplina di detto trattamento,
e, piu' in generale, la disciplina del rapporto di impiego pubblico
rientra nella materia dell'«ordinamento civile» riservata alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 61 del 2014,
n. 286 e n. 225 del 2013, n. 290 e n. 215 del 2012, n. 339 e n. 77
del 2011, n. 332 e n. 151 del 2010).")
2.3. Le disposizioni regionali in esame violano, altresi', il
principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione in
quanto il personale avente le medesime caratteristiche, collocato
presso altre amministrazioni pubbliche, si troverebbe di fronte a una
diversa e deteriore posizione rispetto alla possibilita' di fruire
dei predetti permessi, con i benefici economici e previdenziali
concessi dalla Regione Puglia ai suoi assunti.
Sul punto, si richiamano i principi piu' volte espressi dalla
Corte costituzionale ed invocati anche in riferimento alla dedotta
illegittimita' dell'art. 7 della legge regionale de qua.
Tanto Premesso e considerato, giusta la delibera del Consiglio
dei ministri in epigrafe indicata.
P. Q. M.
Si chiede che la Corte costituzionale adita voglia dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 1, 3 e 5, e
dell'art. 8, commi 1 e 3, della legge regionale 23 marzo 2015, n. 12,
pubblicata nel B.U.R. n. 43 del 27 marzo 2015, avente ad oggetto
"Promozione della cultura della legalita', della memoria e
dell'impegno", per violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma 2,
lett. l) e o), della Costituzione.
Si produrra' copia della delibera del Consiglio dei ministri.
Roma, 23 maggio 2015
L'avv dello Stato: Giuseppe Albenzio