Ricorso n, 58 del 29 maggio 2015 (Regione Lombardia)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 29 maggio 2015 (della Regione Lombardia).
(GU n. 28 del 2015-07-15)
Ricorso della Regione Lombardia (C.F. ….), con sede in
Milano (20124), Piazza Citta' di Lombardia, n. 1, in persona del
Presidente pro tempora, Roberto Maroni, rappresentata e difesa, in
forza di procura a margine del presente atto ed in virtu' della
Deliberazione di Giunta regionale n. X/3565 del 14 maggio 2015 dagli
avv.ti Piera Pujatti (…) e Pio Dario Vivone
(…) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del
Prof. Avv. Francesco Saverio Marini del foro di Roma (CF.
…;
pec:francescosaveriomarini@ordineavvocatiroma.orgfax. …),
presso il cui studio in Roma, via dei Monti Parioli, 48, ha eletto
domicilio, ricorrente;
Contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del
Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma (00187), Palazzo
Chigi - Piazza Colonna, 370, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, con domicilio in Roma (00186), via dei
Portoghesi, 12, resistente;
Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1
del DL 24 gennaio 2015, n. 3, «Misure urgenti per il sistema bancario
e gli investimenti», pubblicato su G.U. 24 gennaio 2015, n. 19 e
convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2015, n. 33,
pubblicata su GU Serie Generale n. 70 del 25 marzo 2015 - Suppl.
Ordinario n. 15
1. Il DL 24 gennaio 2015, n. 3, «Misure urgenti per il sistema
bancario e gli investimenti», pubblicato su G.U. 24 gennaio 2015, n.
19 e convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2015, n. 33,
pubblicata su GU Serie Generale n. 70 del 25 marzo 2015 - Suppl.
Ordinario n. 15, riforma il sistema bancario italiano, prevedendo,
per quanto di interesse per il presente ricorso, una penetrante
modifica dell'assetto delle banche popolari.
2. L'art. 1, appunto, reca la rubrica «Banche popolari» e risulta
cosi' formulato:
«. Al testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all' art. 28, dopo il comma 2-bis, e' aggiunto il
seguente:
«2-ter. Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel
caso di recesso, anche a seguito di trasformazione o di esclusione
del socio, e' limitato secondo quanto previsto dalla Banca d'Italia,
anche in deroga a norme di legge, laddove cio' e' necessario ad
assicurare la computabilita' delle azioni nel patrimonio di vigilanza
di qualita' primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d'Italia
puo' limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di
capitale emessi.»;
b) alt art. 29:
1) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti:
«2-bis. L'attivo della banca popolare non puo' superare 8
miliardi di euro. Se la banca e' capogruppo di un gruppo bancario, il
limite e' determinato a livello consolidato.
2-ter. In caso di superamento del limite di cui al comma 2-bis,
l'organo di amministrazione convoca l'assemblea per le determinazioni
del caso. Se entro un anno dal superamento del limite l'attivo non e'
stato ridotto al di sotto della soglia ne' e' stata deliberata la
trasformazione in societa' per azioni ai sensi dell'art. 31 o la
liquidazione, la Banca d'Italia, tenuto conto delle circostanze e
dell'entita' del superamento, puo' adottare il divieto di
intraprendere nuove operazioni ai sensi dell'art. 78, o i
provvedimenti previsti nel titolo IV, capo I, sezione I, o proporre
alla Banca centrale europea la revoca dell'autorizzazione
all'attivita' bancaria e al Ministro dell'economia e delle finanze la
liquidazione coatta amministrativa. Restano fermi i poteri di
intervento e sanzionatori attribuiti alla Banca d'Italia dal presente
decreto legislativo.
2-quater. La Banca d'Italia detta disposizioni di attuazione del
presente articolo.»;
2) il comma 3 e' abrogato;
c) l'art. 31 e' sostituito dal seguente:
«Art. 31 (Trasformazioni e fusioni). - 1. Le trasformazioni di
banche popolari in societa' per azioni o le fusioni a cui prendano
parte banche popolari e da cui risultino societa' per azioni le
relative modifiche statutarie nonche' le diverse determinazioni di
cui all'art. 29, comma 2-ter, sono deliberate:
a) in prima convocazione, con la maggioranza dei due terzi
dei voti espressi, purche' all'assemblea sia rappresentato almeno un
decimo dei soci della banca;
b) in seconda convocazione, con la maggioranza di due terzi
dei voti espressi, qualunque sia il numero dei soci intervenuti
all'assemblea.
2. In caso di recesso resta fermo quanto previsto dall'art. 28,
comma 2-ter.
3. Si applicano gli articoli 56 e 57.»;
d) all art. 150-bis:
1) al comma 1, le parole: "banche popolari e alle" sono soppresse;
2) il comma 2 e' sostituito dal seguente: "2. Alle banche popolari
non si applicano le seguenti disposizioni del codice civile: 2349,
secondo comma, 2512, 2513, 2514, 2519, secondo comma, 2522, 2525,
primo, secondo, terzo e quarto comma, 2527, secondo e terzo comma,
2528, terzo e quarto comma, 2530, primo, secondo, terzo, quarto e
quinto comma, 2538, secondo comma, secondo periodo, e quarto comma,
2540, secondo comma, 2542, secondo e quarto comma, 2543, primo e
secondo comma, 2545-bis, 2545-quater, 2545-quinquies, 2545-octies,
2545-decies, 2545-undecies, terzo comma, 2545-terdecies,
2545-quinquiesdecies, 2545-sexiesdecies, 2545-septiesdecies e
2545-octiesdecies.»;
3) il comma 2-bis e' sostituito dal seguente: «2-bis. In deroga a
quanto previsto dall'art. 2539, primo comma, del codice civile, gli
statuti delle banche popolari determinano il numero massimo di
deleghe che possono essere conferite ad un socio; in ogni caso,
questo numero non e' inferiore a 10 e non e' superiore a 20.»;
2. In sede di prima applicazione del presente decreto, le banche
popolari autorizzate al momento dell'entrata in vigore del presente
decreto si adeguano a quanto stabilito ai sensi dell'art. 29, commi
2-bis e 2-ter, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385,
introdotti dal presente articolo, entro 18 mesi dalla data di entrata
in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca
d'Italia ai sensi del medesimo art. 29.
2-bis. Gli statuti delle societa' per azioni risultanti dalla
trasformazione delle banche popolari di cui al comma 2 o da una
fusione cui partecipino una o piu' banche popolari di cui al medesimo
comma 2 possono prevedere che fino al termine indicato nello statuto,
in ogni caso non successivo a ventiquattro mesi dalla data di entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto, nessun
soggetto avente diritto al voto puo' esercitarlo, ad alcun titolo,
per un quantitativo di azioni superiore al 5 per cento del capitale
sociale avente diritto al voto, salva la facolta' di prevedere limiti
piu' elevati. A tal fine, si considerano i voti espressi in relazione
ad azioni possedute direttamente e indirettamente, tramite societa'
controllate, societa' fiduciarie o interposta persona e quelli
espressi in ogni altro caso in cui il diritto di voto sia attribuito,
a qualsiasi titolo, a soggetto diverso dal titolare delle azioni; le
partecipazioni detenute da organismi di investimento collettivo del
risparmio, italiani o esteri, non sono mai computate ai fini del
limite. Il controllo ricorre nei casi previsti dall'art. 23 del testo
unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e
successive modificazioni. In caso di violazione delle disposizioni
del presente comma, la deliberazione assembleare eventualmente
assunta e' impugnabile ai sensi dell'art. 2377 del codice civile, se
la maggioranza richiesta non sarebbe stata raggiunta senza tale
violazione. Le azioni per le quali non puo' essere esercitato il
diritto di voto non sono computate ai fini della regolare
costituzione dell'assemblea»
3. In sostanza, la novella legislativa attua una penetrante
riforma della disciplina delle banche popolari, portando cosi' a
snaturare la loro attuale configurazione e funzione. Le banche
popolari hanno rappresentato sino ad oggi lo schema tipico del
credito cooperativo, finalizzato - proprio grazie al peculiare
sistema di voto e delle maggioranze - allo svolgimento di attivita'
bancaria con carattere mutualistico. Attivita' che, come e' noto e
meglio si dira' oltre, si colloca tradizionalmente nel contesto
geografico delle comunita' locali a beneficio di famiglie, PMI e
consumatori.
4. Tutto cio' premesso, con il presente ricorso, la Regione
Lombardia, come in atti rappresentata e difesa, impugna il DL n.
3/2015, convertito in L n. 33/2015 e in particolare l'art. 1, in
quanto lesivo delle proprie attribuzioni e comunque del proprio
interesse, costituzionalmente garantito, alla partecipazione al
procedimento finalizzato all'approvazione di una legislazione che
incide grandemente su ambiti di propria spettanza e sugli interessi
della comunita' amministrata e del territorio regionale.
Diritto
Prima di esporre i singoli motivi di gravame, appare opportuno
formulare brevi cenni sulla storia e la peculiarita' dell'istituzione
bancaria oggetto dell'avversata riforma prendendo spunto dal
documento redatto da Assopopolari (doc. n. 2)
Le banche popolari nascono nella seconda meta' del XIX secolo in
Lombardia - con la fondazione della prima Banca Popolare a Lodi nel
1864 - sul modello della Volksbank tedesca, introdotto in Italia da
Luigi Luzzatti e successivamente si rafforzano con la fondazione
della Banca Popolare di Milano nel 1865 e la Banca Popolare di
Sondrio nel 1871.
Grazie al caratteristico assetto cooperativo e alla particolare
attenzione rivolta al territorio ed in particolare alla piccola
imprenditoria e alle famiglie, le banche popolari conoscono, fin dal
momento della loro costituzione, un successo immediato, conquistando
nell'arco di pochi anni un quarto del mercato creditizio italiano.
Le banche popolari hanno superato difficolta' e congiunture
economiche negative per 150 anni, compresa la crisi finanziaria del
2008 causata da operazioni sui derivati da parte di operatori
finanziari internazionali e di banche S.p.A. Anche in questo
frangente infatti le banche popolari sono riuscite a resistere e a
garantire la loro opera e missione di banche territoriali,
finalizzate alla raccolta del risparmio, da destinare principalmente
al credito verso le famiglie e le imprese, specie medio piccole, del
medesimo territorio.
Attualmente sono 70 le banche popolari in Italia e piu' di 1
milione di soci, con piu' di 12 milioni di clienti; danno lavoro a
81.700 dipendenti (dati al 30 giugno 2014), hanno un totale attivo
complessivo di 450 miliardi di euro, provviste per 425 miliardi di
euro, impieghi per 385 miliardi di euro; hanno 9.300 sportelli in
Italia al servizio di PMI e famiglie per una percentuale del 28 per
cento del sistema bancario italiano cosi' suddivisa: 25,3 per cento
per provviste, 24,6 per cento per impieghi e ben il 29,3 per cento
per sportelli.
Per quanto riguarda la presenza e le attivita' delle banche
popolari in Lombardia, esse sono ancora piu' incidenti, in
percentuale, rispetto al quadro italiano: i crediti ricoprono il 35
per cento del totale delle quote di mercato in Lombardia e ben il 43
per cento della quota di mercato relativa ai crediti alle PMI. I
depositi coprono il 34 per cento del totale. E infine gli sportelli
delle banche popolari in Lombardia, che sono 2.531 su un totale di
6.100, coprono il 41 per cento del totale.
Le banche popolari distribuiscono utili al territorio in misura
considerevole per lodevoli finalita' di carattere socio-sanitario,
scientifico e culturale: donazioni a strutture sanitarie pubbliche e
private, contributi alla ricerca medico scientifica, interventi per
la difesa e il recupero del patrimonio artistico; interventi di
interesse
collettivo quali la partecipazione alla realizzazione,
ripristino, ampliamento di infrastrutture di pubblica utilita' come
ospedali, universita', strade e altri; contributi per manifestazioni
e avvenimenti, sponsorizzazioni sportive e di altri eventi sociali,
culturali, artistici; iniziative legate alla tradizione dei territori
di insediamento quali feste patronali e religiose; altri interventi
come borse di studio ed altri riconoscimenti ai giovani meritevoli,
contributi all'associazionismo sociale e culturale, contributi alla
ricerca ed alla formazione in campi diversi. L'ammontare di tali
interventi e' di 140 milioni di euro in Italia, dei quali ben 85
milioni sono destinati ad attivita' e opere in Lombardia e
rappresentano quindi per il territorio regionale una risorsa
insostituibile anche per materie, quali la sanita', che sono di
competenza regionale.
Il Consiglio dei ministri ha deliberato il decreto-legge del 24
gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli
investimenti) che stabilisce tra l'altro che le banche popolari che
rientrano nel parametro dell'attivo superiore agli 8 miliardi di euro
dovranno abbandonare il principio del «voto capitano» e dovranno
trasformarsi in S.p.A..
Con la l. 33/2015, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 25 marzo
2015 (SO n. 15, G.U. 25 marzo 2015, n. 70), il Parlamento ha
convertito in legge il d.l. 3/2015, dettando una disciplina che puo'
essere applicata da questi istituti per un periodo transitorio, in
ordine a limitazioni del diritto di voto, permettendo di superare
temporaneamente l'articolo piu' contestato, quello relativo al «voto
capitano» e garantendo quindi al Governo di chiudere con l'operazione
di riforma, calata dall'alto, delle banche popolari.
Le principali banche popolari presenti in Lombardia sono: UBI,
Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio, Credito
Valtellinese.
Tanto esposto a meri fini di inquadramento, si procede
all'esposizione dei motivi di ricorso.
1) Illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117, terzo
comma Cost.: per violazione della competenza legislativa regionale
concorrente in materia di casse di risparmio, casse ruralii aziende
di credito a carattere regionale.
La competenza regionale concorrente in materia di casse di
risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale e'
stata, come noto, individuata solo dalla novella del 2001 (L Cost n.
3/2001).
La novella e' intervenuta dopo che, il Dlgs 385/93 ha introdotto
nel nostro ordinamento creditizio il modello della cd banca
universale a quegli stessi fini ora posti a base dal governo del DL
3/15: limitare la frammentazione dei regimi giuridici a favore della
formazione di societa' per azioni o societa' cooperative per azioni.
La riforma costituzionale del 2001, invece, ha attribuito ex novo
alle regioni ordinarie la competenza legislativa relativa alle casse
di risparmio, rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti
di credito fondiario agrario a carattere regionale.
In verita' il nostro ordinamento conosceva gia' la competenza
delle regioni, ma a statuto speciale, in materia di aziende di
credito a carattere regionale. Non solo, ma il DPR n. 616/77 aveva
affidato anche alle regioni a statuto ordinario alcune funzioni
amministrative in materia di agevolazioni per l'accesso al credito e
disciplina dei rapporti con gli istituti di credito.
La novella del 2001 interviene ad armonizzare le competenze fra
le regioni a statuto speciale e quelle a statuto ordinario, anche in
ossequio ad un richiamo di codesta Ecc.ma Corte (Corte Cost. n.
525/1990). Tra l'altro quest'ultima sentenza individua la
ripartizione di competenza per le - all'epoca sole - autonomie
speciali, «in base alla quale, mentre la competenza dell'ente
autonomo si esercita nella pienezza della sua consistenza
costituzionale soltanto nei confronti degli istituti crediti aventi
carattere regionale, al contrario, rispetto agli altri istituti, le
competenze si esprimono in atti di collaborazione (essenzialmente in
pareri) rispetto all'esercizio di attribuzioni che spettano allo
Stato in quanto in esse domina l'interesse nazionale»: La medesima
sentenza delimita il concetto di istituto di credito di interesse
regionale, in assenza di norme legislative o statutarie definitorie,
secondo un criterio meramente e rigorosamente spaziale, ritenendoli
naturalmente delimitati dai confini dell'interesse regionale o
provinciale sotteso alle competenze legislative e amministrative
delle stesse e, dunque, in via di principio, con i limiti del
rispettivo territorio.
Le competenze regionali vengono rese omogenee, sotto il profilo
in esame, dilla L Cost. n. 3/2001, che introduce, fra le materie di
legislazione concorrente, «casse di risparmio, casse rurali, aziende
di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario
a carattere regionale».
Le difficolta' interpretative concernenti i limiti entro i quali
un'attivita' creditizia possa ritenersi di carattere regionale sono
state affrontate dalla L. n. 171/2006 «Ricognizione dei principi
fondamentali in materia di casse di risparmio, casse rurali, aziende
di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario
a carattere regionale».
L'art. 2 della L n. 171/06 definisce le Banche a carattere
regionale. In particolare, sono indici della «regionalita'» di una
banca: l'ubicazione della sede e delle succursali nel territorio
della stessa regione (pur se una limitata presenza in altre regioni
non esclude il carattere regionale); la localizzazione regionale
della sua operativita'; ove la banca appartenga ad un gruppo
bancario, la circostanza che anche le altre componenti bancarie del
gruppo e la capogruppo presentino carattere regionale in base ai
precedenti indicatori.
In sostanza, dopo la L. n. 171/06, l'esercizio di operativita' al
di fuori del territorio regionale non fa venir meno la regionalita',
che si connota per l'operativita' dell'istituto prevalentemente nel
territorio di una stessa regione.
Le disposizioni della novella legislativa statale non sono
relative a «moneta, tutela del credito e mercati finanziari; tutela
della concorrenza, sistema valutario», materie rientranti nella
potesta' esclusiva dello Stato; ma costituiscono la disciplina di
banche di interesse regionale, dunque rientranti nella potesta'
concorrente della regione. La gran parte delle banche popolari,
oggetto della disciplina, infatti (Ubi, Banco Popolare, Bpm, Bper,
Creval, Popolare di Sondrio, Banca Etruria, Popolare di Vicenza,
Veneto Banca, Popolare di Bari) si connotano per la regionalita'.
Fra quelle sopra indicate la Banca Popolare di Milano e la Banca
Popolare di Sondrio hanno la gran parte delle filiali in Lombardia ed
operano prevalentemente in territorio lombardo oltre ad avere la
sede, rispettivamente, a Milano e a Sondrio. E cio' a tacere del
gruppo UBI, del quale fanno parte la Banca della Valle Camonica, la
Banca Popolare di Bergamo, il Banco di Brescia, la Banca Popolare
Commercio e Industria. Trattasi di istituti di credito aventi un
fortissimo radicamento regionale come puo' evincersi da una semplice
ricerca online:
La Banca popolare di Milano (con sede in Milano) su 641
filiali ne ha 396 in Lombardia;
La Banca Popolare di Sondrio (con sede in Sondrio) su 327
filiali ne ha 250 in Lombardia;
La Banca Popolare Commercio e Industria (con sede in Milano)
su 210 filiali ne ha 158 in Lombardia;
La Banca della Valle Camonica (con sede in Breno) su 66
filiali ne ha 66 in Lombardia.
L'interpretazione dell'esatto riparto di competenze tra Stato e
Regioni, cosi' come emerge dalla giurisprudenza di codesta Ecc.ma
Corte, si serve di alcuni strumenti tra i quali, soprattutto, quello
che discerne tra i vari livelli di interesse, nazionale o regionale.
Si veda, a tale proposito, la pronuncia della Corte Cost. n.
14/04.
Orbene in considerazione di quanto sopra e in considerazione
dell'esistenza di un ambito legislativo regionale in materia di
istituti di credito di interesse regionale, non si puo' non rilevare
come il legislatore statale abbia previsto una disciplina che
semplicemente dimentica l'esistenza delle regioni, non sottoponendone
l'applicazione alla benche' minima forma di concertazione con le
regioni medesime, senza neppure una ricognizione circa il carattere
regionale di alcune di essi.
Si consideri che il comma 1 lettera b), n. 1 della norma
impugnata, dopo aver previsto la riduzione dell'attivo della banca
popolare entro il limite degli otto miliardi di euro ovvero la
trasformazione in societa' per azioni, prevede che le disposizioni di
attuazione saranno dettate dalla Banca d'Italia.
Ne' e' prevista, in alcuna parte della norma, alcuna forma di
concertazione con le regioni.
La norma prevede delle disposizioni di dettaglio, stabilendo il
limite di attivo ovvero la trasformazione giuridica dell'istituto; in
pratica, il regime cooperativo e' totalmente cancellato. E' pur vero
che le banche popolari potranno fissare un tetto del 5% del diritto
di voto in assemblea - con cio' mantenendo quel principio democratico
di rappresentanza che ne costituisce una delle caratteristiche e che
comportava che nessun socio potesse detenere piu' dell'1 per cento
del capitale - ma cio' potra' essere solo per i prossimi ventiquattro
mesi (comma 2-bis).
Inoltre non prevede alcuna concertazione con le regioni circa le
disposizioni di attuazione.
Per i motivi sopra esposti, pertanto, si chiede che l'art. 1 del
DL n. 3/2015, convertito in legge n. 33/2015, venga dichiarato
incostituzionale per contrasto con l'art 117, comma 3, Cost.
2) Illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 117,
secondo comma, Cost. lett. E), e dell'art. 3 Cost. per violazione del
principio di leale collaborazione di cui agli att. 5 e 120
Costituzione.
Col primo motivo si e' sostenuto che la disciplina delle banche
popolari, aziende di credito a carattere regionale, non compete allo
Stato in via esclusiva. Il carattere regionale degli istituti bancari
deve desumersi, secondo l'insegnamento di codesta Ecc.ma Corte da due
elementi: l'ubicazione territoriale e la natura degli interessi
perseguiti (sentenze nn. 525/90 e 1147 e 1141/1988). Peraltro
dobbiamo notare come l'ubicazione territoriale ha nel tempo visto
diminuire la sua rilevanza per effetto dell'erogazione dei servizi
bancari con modalita' telematiche. Resta dunque il secondo criterio
declinato dalla giurisprudenza costituzionale nello svolgimento
dell'attivita' creditizia prevalentemente nei confronti di una
specifica comunita' territoriale, venendosi cosi' a determinare un
legame, non solo di fatto, tra l'attivita' bancaria e le attribuzioni
e i fini istituzionali delle regioni (cfr Corte Cost. nn. 50 e 58 del
1958).
E questo e' certamente il caso che ci occupa, ove solo si
consideri l'attivita' della Banca Popolare di Milano, di Sondrio etc.
Ne consegue che, anche a prescindere dalla pur sussistente
lesione di competenze proprie delle regioni, in ogni caso la
competenza statale in subiecta materia abbia chiara natura
trasversale, incidendo sulla competenza regionale in materia di
«casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere
regionale».
Lo Stato, dunque, avrebbe dovuto non solo attenersi ai canoni di
proporzionalita' e ragionevolezza (del tutto violati: per quale
ragione, ad es. si e' fissato il limite di 8 miliardi di
conservazione dell'attuale status giuridico?), ma anche garantire
alle regioni, in sede di formazione del decreto o almeno in sede di
conversione, una utile partecipazione al procedimento.
In via gradata, nel caso in cui non si dovesse aderire a tale
prospettazione, si sottopone al vaglio di codesta Ecc.ma Corte la
violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art. 120
Cost., in ragione della omessa considerazione nel procedimento
legislativo de quo delle attribuzioni, prerogative e interessi
regionali.
Il vigente art. 118 Cost., di impronta federalista, opera un
riparto delle competenze ispirato dal principio di sussidiarieta', in
forza del quale le funzioni amministrative vengono assegnate agli
enti direttamente e immediatamente esponenziali degli interessi e
delle idealita' delle comunita' insediate su un determinato
territorio.
Per poter operare concretamente tale principio deve declinarsi
sia in senso orizzontale - concorso di enti e soggetti equi ordinati
- sia verticalmente, con riguardo ad enti e soggetti operanti a
livelli differenti di potesta' e responsabilita' e l'operativita' da
moduli concertativi quali le intese e gli accordi.
La concertazione non e' finalizzata solo a prevenire possibili
controversie amministrative, ma anche e forse soprattutto, a
costruire interventi, anche legislativi, nel massimo grado efficaci
in quanto adeguati alle specifiche esigenze rilevate.
La cooperazione non e', ai sensi dell'art. 120 Cost., una mera
possibilita', una facolta', bensi' un vero e proprio obbligo che
giustifica e legittima un'organizzazione pluralistica dello Stato,
qual e' quello italiano.
Uno dei «luoghi» deputati alla ricerca di intese ed accordi e' la
Conferenza unificata Stato-regioni e Autonomie locali, in specie di
quegli (accordi) finalizzati all'armonizzazione delle finalita' della
programmazione statale, di cui la politica creditizia e del risparmio
e' parte non insignificante, con quella regionale e degli enti
locali.
Necessita' di un raccordo nel caso di specie reso palese dalla
ridondanza della introdotta disciplina a regime su attribuzioni e
interessi locali e regionali. Nella sentenza 22/2012 (p.3.1 del
Considerato in diritto) la Corte costituzionale ha, sulla base di una
giurisprudenza costante «ritenuto ammissibili le questioni di
legittimita' costituzionale prospettate da una regione, nell'ambito
di un giudizio principale, in riferimento a parametri diversi da
quelli, contenuti nel titolo V della parte seconda della
Costituzione, riguardanti il riparto delle competenze tra lo stato e
le regioni, quando sia possibile rilevare la ridondanza delle
asserite violazioni su tale riparto e la ricorrente abbia indicato le
specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata
lesione».
Ora, non pare dubitabile che la disciplina impugnata incida in
modo notevole su plurime attribuzioni regionali:
a. sia in materie (valorizzazione beni culturali e ambientali
e organizzazione attivita' culturali, sostegno dell'innovazione per
i' settori produttivi, welfare, etc.) nelle quali il sostegno
economico e promozionale delle banche popolari e' stato ed e'
notevole e legato proprio a quella vocazione localistica che la
riforma stravolge;
b. sia in materie (armonizzazione bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario,
aziende di credito a carattere regionale) che hanno piu' diretta
connessione sull'attivita' creditizia legata al territorio, alla
promozione del risparmio da parte delle famiglie, al sostegno delle
PMI e dunque e complessivamente all'economia reale di una regione.
La scelta dello Stato di imporre, di fatto, un modello unico di
sistema bancario, contrasta con la storia e la realta' plurale del
sistema bancario italiano e lombardo in particolare, dove il modello
mutualistico, prevalente o meno, rilascia cospicue quote dei propri
profitti a favore di investimenti sui territori di insediamento, come
giustamente osservato dai rappresentanti della federazione italiana
bancari assicurativi nel corso della audizione alla camera dei
deputati: le banche popolari erogano il 66% del credito alla piccola
e media impresa e, anche dopo la crisi globale del 2008, hanno
garantito il credito a famiglie e piccole imprese (+15%), mentre le
banche spa retrocedevano (-4,9%) (doc.4).
Il rischio, denunziato nel corso di quella audizione, che
"speculatori e operatori stranieri si impossessino di una parte
rilevante del sistema bancario, riducendone la vocazione al sostegno
delle economie locali», non puo' che preoccupare un ente, come la
Regione Lombardia, che ha la responsabilita' di governo su un
territorio in cui fortissima e' la presenza delle PMI e delle
famiglie produttrici. "il modello di credito cooperativo e'
incardinato in tali comunita', raccoglie e reinveste in esse, opera
in prevalenza coi soci, predilige conseguentemente rapporti stabili
fondati sulla conoscenza reciproca e la continuita'...".
3) Illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 118, quarto
comma Cost in combinato disposto con gli artt 45 e 47 Cost., nonche'
in combinato disposto con gli artt 2, 18 e 41 Cost. per violazione
del principio di sussidiarieta' orizzontale
Il vigente art 118 Cost. opera un riparto delle competenze
ispirato al principio di sussidiarieta', in base al quale le funzioni
amministrative vengono assegnate agli enti direttamente e
immediatamente esponenziali degli interessi e anche idealita' delle
comunita' insediate su un determinato territorio.
Il IV comma dell'art. 118 definisce la cd sussidiarieta'
orizzontale, attribuendo funzioni promozionali non solo allo Stato,
ma anche alle Regioni e agli Enti locali.
Tutti i predetti enti sono pertanto legittimati ad operare per
l'attuazione delle attivita' di interesse generale; e nel contempo a
non impedire il dispiegarsi delle attivita' di sostegno da parte
degli enti diversi dallo Stato.
In virtu' di tale principio il Legislatore non potrebbe sottrarre
attivita' di interesse generale agli enti individuati dalla
Costituzione, in particolare dall'art. 118, IV comma, Cost.
«L'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati per lo
svolgimento di attivita' di interesse generale», si svolge dunque, ai
sensi del citato art 118, IV comma, in base al principio di
sussidiarieta'.
Fra le attivita' di interesse generale tutelate dalla
Costituzione vi e' la cooperazione, riconosciuta dall'art 45 Cost.
come attivita' di carattere sociale. Si noti che l'art. 45 afferma
che la «Repubblica» favorisce la cooperazione; il che significa che
tutti i livelli istituzionali sono chiamati a realizzare la
previsione costituzionale.
Ugualmente, come si vedra' in seguito, dispone l'art. 47 Cost.
per il risparmio.
Dunque la cooperazione mutualistica, l'accesso al credito
popolare, le forme di organizzazione di piccoli risparmiatori e delle
PMI sono attivita' appartenenti anche e soprattutto alla sfera dello
spontaneismo sociale, esplicabili sotto le guarentigie incrociate di
molteplici liberta' costituzionali (di associazione, di iniziativa
economica, contrattuale) e tutte espressive del fondamentale spirito
solidaristico che permea l'intera Carta costituzionale e,
segnatamente, l'art. 118, comma 4, che consacra il principio della
sussidiarieta' orizzontale. La Carta, dunque, conferma
l'incomprimibile diritto di autoorganizzazione dei singoli e della
societa' civile per lo svolgimento di attivita' di interesse
generale, e pone espressamente in capo a tutti gli enti costitutivi
della Repubblica il compito di promuovere siffatte iniziative.
Le banche popolari italiane sono delle societa' cooperative e
sono enti creditizi, destinatarie di specifica legislazione che ne ha
confermato (cfr L n. 385/1993, nonche' il d.lgs. n. 6/03 e 310/04) la
natura cooperativa e mutualistica (oltre che l'assoggettamento ad una
gestione di mercato e trasparente).
La cancellazione della forma cooperativa, con un colpo di spugna,
portera' a cancellare, in pratica, l'istituto della cooperazione nel
nostro sistema bancario o a limitarlo fortemente alle aziende
creditizie con un capitale al di sotto di otto miliardi di euro.
Siffatta scelta appare arbitraria e irrazionale, considerata
anche l'eterogeneita' delle situazioni disciplinate dalla legge, ed
e' in contrasto con il riconoscimento costituzionale della funzione
sociale della cooperazione sancito dall'art 45.
Non solo, ma la Costituzione, all'art. 47 prevede che la
Repubblica, incoraggi e tuteli il risparmio e il credito.
Anche sotto questo profilo il principio va messo in relazione con
l'art. 118, IV comma, e con il principio di sussidiarieta'.
Attraverso le banche popolari, come si e' detto fortemente radicate
nel territorio regionale, le regioni e gli enti locali, in attuazione
del citato principio di sussidiarieta' orizzontale, favoriscono
iniziative dei cittadini per attivita' di interesse generale.
Si e' detto nelle premesse come l'attivita' della banche popolari
distribuisca utili al territorio in misura considerevole per
finalita' di carattere socio-sanitario, scientifico e culturale.
L'ammontare di tali interventi rappresenta per il territorio
regionale una risorsa insostituibile per materie, quali la sanita',
che sono di competenza regionale.
Consentono cosi' alla regione e gli enti locali di attuare
concrete politiche di attuazione degli artt. 45 e 47 Cost.
Su questo contesto, virtuoso e radicato, lo Stato e' dunque
intervenuto in modo unilaterale, irragionevole e sproporzionato, in
un ambito, s'e' detto, la cui cura spetta a tutti gli enti
costitutivi della Repubblica.
Non solo. Tale intervento ha imposto l'impiego di schemi
giuridici (quello squisitamente lucrativo delle societa' per azioni)
ed ha eliminato i tratti essenziali della precedente disciplina (voto
capitarlo, limiti alle quote detenibili da ogni socio, vocazione
mutualistico-cooperativa dell'attivita', largo impiego di maggioranze
qualificate), che consentivano di preservare sia la dimensione
territoriale della banca popolare sia il suo diretto rapporto con la
comunita' di riferimento. Si produce, cosi', un vero e proprio
sradicamento degli enti creditizi interessati dalla nuova disciplina
rispetto al proprio tradizionale contesto operativo e alla fitta rete
di relazioni intessute col territorio, con la conseguenza di privare
le Regioni e gli enti locali di un fondamentale motore di sviluppo
economico e sociale.
In totale violazione delle prescrizioni costituzionali, il
legislatore nazionale ha imposto alle banche popolari - che ai sensi
dei previgenti artt. 29 ss.T.U.B. e dell'art. 2545 cod.civ. hanno
carattere mutualistico, ancorche' non necessariamente prevalente -
l'assunzione di forme giuridiche e regole tipicamente speculative e
lucrative.
Ugualmente, attraverso la promozione di modelli e regole
tipicamente speculative, lo Stato ha frustrato la finalita' di cui
all'art. 47 Cost., cancellando le principali strutture mediante cui
avviene «l'accesso del risparmio popolare alla proprieta'
dell'abitazione, alla proprieta' diretta coltivatrice e al diretto e
indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del
Paese».
Infine, le norme impugnate conculcano i diritti di liberta', le
iniziative solidaristiche e le legittime aspettative dei
cittadini-investitori.
Come e' evidente, infatti, l'intervento statale: i) incide sulla
liberta' contrattuale e di iniziativa economica, le quali comprendono
anche la liberta' di scegliere il modello organizzativo attraverso
cui svolgere l'impresa economica; ii) frustra gli scopi solidaristici
dei soggetti che si erano associati per perseguire legittime
finalita' mutualistiche, obbligandoli a trasformare natura e
finalita' dell'ente collettivo cui hanno dotato vita o partecipano;
iii) lede il legittimo affidamento dell'ampia platea dei piccoli soci
che contraddistinguono l'azionariato diffuso delle banche popolari, i
quali hanno inteso sottoscrivere le azioni di una banca cooperativa
fidando nella peculiare stabilita' e garanzia della situazione
giuridica del socio.
La riforma del Testo Unico Bancario in tal modo limita
l'iniziativa economica privata e contraddice anche il secondo comma
del citato art. 41, nella parte in cui vuole l'iniziativa economica
privata soggetta ai fini sociali: la novella legislativa, infatti,
non solo non va nella direzione di dirigere l'iniziativa economica ai
fini sociali, ma, anzi, si obbligano praticamente le banche
cooperative, che hanno per statuto e tradizione proprio i fini
sociali, a diventare societa' di capitale con fini prevalentemente di
profitto.
Le disposizioni impugnate si riverberano necessariamente sulla
competenza regionale in merito alla possibilita' di favorire quelle
iniziative economiche di interesse generale da parte dei cittadini,
in ossequio al principio di sussidiarieta' consacrato dall'art. 118,
IV comma, Cost.
Per tutti i motivi sopraesposti si chiede a codesta Ecc.ma Corte
di voler dichiarare illegittime le norme impugnate per contrasto con
gli artt. 2, 18, 41, 45, 47 e 118, comma 4, della Costituzione
4) Illegittimita' costituzionale della legge 33/2015, di conversione
del DL n. 3/2015. per violazione degli artt. 77 e 117 Cost., anche in
combinato disposto con l'art. 3 Cost., per l'insussistenza dei
presupposti per la decretazione di urgenza, causativa di una
invasione della sfera di attribuzioni costituzionalmente riservata
alle regioni.
Il preambolo del DL 24 gennaio 2015, n. 3 recita: «Ritenuta la
straordinaria necessita' ed urgenza di avviare il processo di
adeguamento al sistema bancario agli indirizzi europei per renderlo
competitivo ed elevare il livello di tutela dei consumatori e di
favorire lo sviluppo dell'economia del paese, promovendo una maggior
patrimonializzazione delle imprese italiane ed il concorso delle
piccole e medie imprese nei processi di innovazione del sistema
produttivo».
Se, ora, gli indirizzi europei di cui si fa gratuita menzione si
fossero effettivamente sostanziati in atti vincolanti, in termini di
recepimento o causativi di obblighi di disapplicazione di norme
interne incompatibili, l'urgenza generante la necessita' di
intervenire mediante decretazione si sarebbe potuta capire.
Niente di tutto cio' e' pero' evidenziato nell'atto, e neppure
era evocabile. Gli indirizzi europei in materia si svolgono, anzi,
nel senso opposto a quello assunto dal governo, vale a dire nel senso
della salvaguardia e promozione della struttura pluralista del
mercato bancario.
A titolo di esempio si menzionano:
a. la Risoluzione del Parlamento europeo del 5 giugno 2008
(«la struttura pluralista del mercato bancario europeo... permette
agli istituti finanziari di assumere varie forme giuridiche in
funzione dei loro obiettivi commerciali, rappresenta una grande
risorsa per l'economia sociale di mercato europea»);
b. la Risoluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009
sull'economia sociale;
c. la Risoluzione del Parlamento europeo sulla crisi
finanziaria del 2010 («essenziale che l'Unione europea tenga conto,
nel definire nuove norme, della necessita' di mantenere e sviluppare
la diversita' strutturale del suo settore finanziario... l'economia
europea necessiti di una solida rete di banche regionali e locali,
come le casse di risparmio e le banche cooperative...Rileva [il
Parlamento] che la pluralita' si e' dimostrata utile nella crisi
finanziaria ed ha apportato stabilita', e che l'uniformita' puo'
condurre ad una fragilita' sistemica»).
d. La Risoluzione del Parlamento europeo del 3 luglio 2013,
che incita gli stati membri a favorire le imprese cooperative, anche
al fine di incoraggiare il credito di relazione.
Trattasi, dunque e in realta', di una libera e non ponderata
iniziativa del Governo che finisce per incidere in un settore
strategico nazionale (non a caso il T.U.B. fu definito dalla Corte
Costituzionale nel 2004 legge di «grande riforma economico sociale»)
con un'azione che avrebbe dovuto consentire una seria ponderazione
degli interessi istituzionali coinvolti, ad iniziare da quelli
pertinenti all'azione di governo delle comunita' locali, e ai
risparmiatori, del tutto pretermesse, realizzandosi quel vulnus
descritto dalla Corte costituzionale nella sentenza 22/2012:
«l'approvazione di una nuova disciplina a "regime", attraverso la
corsia accelerata della legge di conversione, pregiudicherebbe la
possibilita' per le regioni di rappresentare le proprie esigenze nel
procedimento legislativo».
Col DL impugnato, poi convertito, insomma si introduce una
normativa a «regime» del tutto slegata da contingenze particolari,
non potendo certo considerarsi una contingenza tale da determinare
uno stato di necessita', il generico rinvio a supposti «indirizzi»
europei o alla tutela dei consumatori e della economia generale,
evocazione che assume un palese carattere programmatico e di
principio.
Peraltro gli scopi enunziati dal governo a giustificazione del
suo intervento d'urgenza sono connessi a problematiche di cui si
dibatte da decenni e che dunque si sarebbero ben potute affrontare
con la via della legge ordinaria. Senza dire che l'intero decreto e'
caratterizzato da disposizioni non auto applicative, bensi'
necessitanti di interventi futuri, peraltro in assenza di termini e
con «trasferimenti» di poteri integrativi a soggetti estranei al
potere legislativo: ad es. l'art. 1, comma 1, lettera a) «2-ter.
Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel caso di
recesso, anche a seguito di trasformazione o esclusione del socio, e'
limitato secondo quanto previsto dalla Banca d'Italia, anche in
deroga a norme di legge, laddove cio' e' necessario ad assicurare la
computabilita' delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualita'
primaria della banca».
Una vera e propria delega in bianco, derogatoria peraltro della
legge, che concretizza un abnorme caso di delegificazione operata con
decreto legge, una vera e propria contraddizione in termini.
Contraddizioni e limiti, peraltro, puntualmente rilevate dalla
commissione Affari Costituzionali della Camera in sede di esame della
legge di conversione (seduta del 4 marzo 2015): «trattandosi di una
disciplina organica che incide, con effetti differiti nel tempo,
sulla natura degli enti (banche popolari) non limitandosi a
correggere alcune gravi e puntuali distorsioni, la fonte del
decreto-legge in cui e' contenuta non appare la piu' ragionevole e
coerente con la natura stessa della decretazione d'urgenza cosi' come
configurata dall'art. 77 della Cost.».
Forti dubbi, inoltre, possono nutrirsi anche riguardo al rispetto
del canone di omogeneita' delle disposizioni contenute nel DL poi
convertito (cfr. Corte costituzionale 171/2007 e 22/2012)
rinvenendosi nel testo le norme piu' disparate (dal sostegno alle PMI
innovative al trasferimento dei servizi a pagamento, dal prestito
indiretto per investitori istituzionali esteri alla riforma, appunto
delle banche popolari).
La «evidente mancanza» dei presupposti di necessita' ed urgenza
consente il relativo sindacato nonostante l'avvenuta conversione in
legge del decreto (Corte Cost. n. 341/2003, 299/2004 e 272/2005),
secondo i principi contenuti nella sentenza della Corte Cost. n.
171/2007, e a salvaguardia della legittimita' della disciplina delle
fonti, in quanto tesa anche alla tutela dei valori e dei diritti
fondamentali.
L'affermazione della sindacabilita', in concreto, di tale
ricorrenza (dei presupposti di contingenza) e' stata poi dalla Corte
estesa dal caso di assenza di omogeneita' delle disposizioni a quello
di assenza (in quanto solo apoditticamente affermato nel preambolo,
con una mera clausola di stile) dei presupposti di necessita' ed
urgenza.
Con la sentenza n. 128/2008 (relativa all'esproprio del teatro
Petruzzelli di Bari), la Corte ha addirittura accertato direttamente
l'insussistenza della contingenza alla stregua delle finalita'
indicate nella norma.
E tanto con riferimento a tutti i parametri tradizionalmente
utilizzati dalla Corte per un tale scrutinio (preambolo, relazione
governativa di accompagnamento del disegno di legge di conversione,
contesto normativo).
Nel nostro caso, la relazione accompagnatoria apporta argomenti
spesso non condivisibili nel merito, in ogni caso nulla che dimostri
la contingenza legittimante l'intervento straordinario.
a. Anzitutto non e' corretto sostenere - come ha anche sostenuto
il direttore generale della Banca d'Italia nella sua audizione alla
Camera dei Deputati - che le banche popolari abbiano solo forma ma
non la sostanza della cooperativa e che dunque sarebbero
incompatibili col regime comunitario.
Sul tema era stata aperta un'apposita procedura di infrazione da
parte della Commissione europea che pero' - come ricordato dal
Presidente dell'associazione banche popolari nel corso dell'audizione
alla camera dei deputati il 19 febbraio 2015 - ne ha disposto
l'archiviazione, attestando:
che le banche popolari sono cooperative de jure e de facto;
che la loro disciplina e' compatibile col trattato UE;
che le banche popolari sono legittima espressione di quella
forma di liberta' di impresa che consiste nella liberta' di scegliere
liberamente i modelli tra quelli ammessi dall'ordinamento;
che non sussiste incompatibilita' tra la forma giuridica di
societa' cooperativa e la dimensione rilevante o la quotazione in
borsa.
Parimenti e conseguentemente incondivisibile e' l'affermazione,
contenuta nella relazione accompagnatoria, per la quale le banche
popolari non sarebbero tutelate dall'art. 45 Cost., al contrario
delle banche di credito cooperativo (a mutualita' prevalente). Tale
distinzione in realta' opera solo ai fini fiscali, avendo entrambe le
categorie di enti medesima funzione sociale (l'impresa mutualistica).
Le banche popolari, e' stato sempre ricordato nella menzionata
audizione, sono tutte regolate da statuti che indirizzano l'attivita'
a favore delle economie locali, «nell'ambito di un disegno di
incentivazione e sviluppo delle economie individuali dei soci che ha
gia' in se' i caratteri della mutualita'». Le banche popolari
destinano mediamente il 5% dell'utile netto a finalita' sociali,
spesso coincidenti con azioni rientranti nelle attribuzioni regionali
(ad es. il welfare).
b. Altra ragione di supposta urgenza e', nella relazione,
rinvenuta nella non rispondenza della disciplina delle banche
popolari nel «mutato quadro europeo» alle esigenze di finanziamento e
adeguata patrimonializzazione delle banche.
In disparte la non comprensione delle ragioni di contingenza,
l'assunto e' errato in fatto, in quanto, come esposto
dall'associazione nel corso dell'audizione, tutte le banche popolari
sottoposte agli Asset Quality Review e agli stress test sono
risultate adeguatamente patrimonializzate (poco importa se in limine
o meno), con eccedenze che variano da un minimo di 30 milioni ad un
massimo di 1.750 milioni di euro.
La dimostrazione della funzionalita' del modello e' attestata da
alcuni semplici dati: tra il 2008 e il 2014 le banche popolari hanno
erogato alle PMI finanziamenti per 250 miliardi di euro; nello stesso
periodo le risorse impiegate sono aumentate del 15%, durante il
credit crunh (2011-2013) l'erogazione di credito e' aumentata del
15,4% e negli anni della crisi hanno offerto alle comunita' locali
circa 1 miliardo di euro.
Con cio' non si vuol minimamente sostenere che le banche popolari
non possano e debbano essere riformate e la loro disciplina adeguata
alle nuove esigenze, ma cio' deve avvenire con strumenti legislativi
adeguati, che assicurino il coinvolgimento di tutti i soggetti
istituzionali coinvolti, ad iniziare dalle regioni. Con la
decretazione d'urgenza e la scorciatoia della legge di conversione
una tale auto riforma e' stata impedita, per favorire,
oggettivamente, mediante le trasformazioni (delle banche popolari
piu' capitalizzate in Spa) logiche puramente lucrative che
avvantaggiano solo i grandi investitori sui mercati internazionali.
Non a caso ben 163 economisti ed accademici hanno sentito la
necessita' ed il dovere di intervenire pubblicamente (sui maggiori
quotidiani) con un Appello, per segnalare come il governo si stesse
muovendo in direzione contraria alla letteratura bancaria, che non
identifica alcuna correlazione tra rischiosita' di una banca e voto
capitario, essendo la maggiore o minore rischiosita' legata ad altri
fattori, quali la volatilita' degli utili, la diversificazione del
portafogli crediti etc. Nei Paesi europei dove e' piu' significativa
la presenza di banche cooperative (Olanda, Finlandia, Austria,
Germania e Francia) l'abolizione del voto capitario, effetto della
riforma avversata col presente ricorso, non e' neppure ipotizzato.
Non esiste, concludono gli esperti, un modello di banca superiore ad
un altro, ma «il principio di biodiversita' stabilisce pero' che il
sistema finanziario, come ogni ecosistema, ha bisogno di modelli
diversi che assolvono diverse funzioni, lasciando decidere al mercato
quale sistema debba essere piu' o meno diffuso».
In conclusione, sul punto, si puo' ritenere che ne' il contesto
normativo, interno e comunitario, ne' la relazione accompagnatoria al
disegno di legge di conversione del DL, ne' tantomeno il preambolo
dello stesso provvedimento di urgenza, rendono minimamente evidenti
le ragioni di intervenire con la misura straordinaria della
decretazione d'urgenza.
L'atto adottato, con la procedura d'urgenza e la speciale
scorciatoia della legge di conversione, incide su varie materie di
attribuzione regionale, dal welfare alla cultura allo sport, in
ragione del forte sostegno alle relative politiche concesso dalle
banche popolari in forza della propria mission cooperativa, nonche'
sul destino delle aziende di credito a carattere regionale, nel cui
alveo non e' irragionevole, come detto, ricondurre le banche
popolari, stante il fortissimo legame tra tali enti e lo specifico
territorio, che ha storicamente favorito, in particolare in
Lombardia, la crescita delle comunita' di riferimento, dalla P.M.I.
alle famiglie.
Quello che qui si fa valere non e' un qualsiasi vizio
costituzionale, bensi' un vizio che incide grandemente sulla
salvaguardia della legittimita' della disciplina delle fonti, con
ridondanza sulle attribuzioni costituzionalmente attribuite alle
regioni e, ancor prima, con incidenza diretta sulla competenza
concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost..
P. Q. M.
Voglia l'Ecc.ma Corte costituzionale adita, ogni contraria
istanza eccezione e deduzione disattesa, accogliere il presente
ricorso e per l'effetto dichiarare l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 1 del DL 24 gennaio 2015, n. 3, «Misure urgenti per il
sistema bancario e gli investimenti» pubblicato su G.U. 24 gennaio
2015, n. 19 e convertito con modificazioni nella legge 24 marzo 2015,
n. 33, pubblicata su GU Serie Generale n. 70 del 25 marzo 2015 -
Suppl. Ordinario n. 15, per violazione degli articoli 117, primo,
secondo e terzo comma, 3, 5, 120, 77, 118, quarto comma, 2, 18, 41,
45, 47, della Costituzione, sotto i profili e per le ragioni
suesposte.
Milano, 20 maggio 2015
Avv. Piera Pujatti
Avv. Pio Dario Vivone