Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in

cancelleria il  6  marzo  2012  (del  Presidente  del  Consiglio  dei

ministri).

 

 

(GU n. 18 del 02.05.2012 ) 

 

 

 

    Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato

e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  presso   cui   e'

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

    Contro Provincia Autonoma di Trento in persona del Presidente pro

tempore  della   Giunta   provinciale   per   la   dichiarazione   di

illegittimita' costituzionale della  legge  provinciale  27  dicembre

2011, n. 18, pubblicata sul BUR n. 52 del 28 dicembre  2011,  recante

«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale

2012-2014 della  Provincia  autonoma  di  Trento  (legge  finanziaria

2012), relativamente alle seguenti disposizioni:  art.  9,  comma  5;

art. 16, comma 1; art. 17, comma 1; art. 21, comma 11; art. 27, comma

4; art. 27, comma 6, lettera c.); art. 51, commi 4, 5 lettera a),  9,

12, 18; 57 commi 4 e 5: 77 (delibera del Consiglio dei  ministri  del

14 febbraio 2012).

    1. L'art. 9 comma 5 della legge provinciale di Trento n.  18/2011

(legge  finanziaria  provinciale  2012)   dispone:   «5.   L'aliquota

dell'imposta sulle assicurazioni  contro  la  responsabilita'  civile

derivante  dalla  circolazione  dei  veicoli  a  motore,  esclusi   i

ciclomotori, al netto del contributo previsto dall'articolo 18, comma

1, lettera a), della legge 23  febbraio  1999,  n.  44  (Disposizioni

concernenti il fondo di solidarieta' per le vittime  delle  richieste

estorsive e dell'usura), e' ridotta di tre punti  percentuali  per  i

versamenti effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2012.».

    L'art.  17  commi  1  e  2  d.lgs.  n.  68/2011,  recante   norme

sull'autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario, dispone:

«1. A decorrere dall'anno 2012 l'imposta sulle  assicurazioni  contro

la responsabilita' civile derivante dalla circolazione dei veicoli  a

motore, esclusi i ciclomotori, costituisce tributo  proprio  derivato

delle province. Si applicano le disposizioni dell'articolo 60,  commi

1, 3 e 5, del citato decreto legislativo n. 446 del 1997.

    2. L'aliquota dell'imposta di cui al comma 1 e' pari al 12,5  per

cento. A decorrere dall'anno 2011 le  province  possono  aumentare  o

diminuire  l'aliquota  in  misura   non   superiore   a   3,5   punti

percentuali.».

    Originariamente nell'art. 17 ora citato figurava anche un comma 5

del seguente tenore: «5. La decorrenza e le modalita' di applicazione

delle disposizioni di cui al presente articolo  nei  confronti  delle

province ubicate nelle regioni a statuto speciale  e  delle  province

autonome sono stabilite, in conformita' con i relativi  statuti,  con

le procedure previste dall'articolo 27 della citata legge n.  42  del

2009.».

    Tale comma e' stato tuttavia abrogato dall'art. 28, comma 11-bis,

d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito,  con  modificazioni,  dalla

legge 22 dicembre 2011, n. 214.

    La disciplina delle  aliquote  dell'imposta  sulle  assicurazioni

contro la responsabilita' civile per la circolazione  automobilistica

e' quindi tuttora regolata dall'art. 60, commi 1, 3 e 5 del d.lgs. n.

446/1997, i quali  dispongono:  «1.  Il  gettito  dell'imposta  sulle

assicurazioni  contro  la  responsabilita'  civile  derivante   dalla

circolazione dei veicoli a motore, esclusi i  ciclomotori,  al  netto

del contributo di cui  all'articolo  6,  comma  1,  lettera  a),  del

decreto-legge   31   dicembre   1991,   n.   419,   convertito,   con

modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n.  172,  e'  attribuito

alle provincie dove hanno sede i  pubblici  registri  automobilistici

nei quali i veicoli sono iscritti ovvero, per le  macchine  agricole,

alle province nel cui territorio risiede l'intestatario  della  carta

di circolazione.

    3. Con decreti del Ministro delle  finanze,  di  concerto  con  i

Ministri  dell'interno  e  del   tesoro,   del   bilancio   e   della

programmazione economica, nonche' del  Ministro  dell'industria,  del

commercio e dell'artigianato limitatamente alle previsioni di cui  al

comma 1, da emanare entro novanta giorni dalla  data  di  entrata  in

vigore  del  presente  decreto,  sono  stabilite  le  modalita'   per

l'assegnazione alle provincie delle somme ad esse spettanti  a  norma

del comma 1, salvo quanto disposto nel comma 4.

    5. Le disposizioni del presente articolo  hanno  effetto  dal 

gennaio 1999 e si applicano con riferimento  all'imposta  dovuta  sui

premi ed accessori incassati a decorrere dalla predetta data».

    L'art. 17 commi 1 e 2 d.lgs. n. 68/2011, dunque, non richiama  il

comma 4 dell'art. 60 d.lgs. n. 446/1997 ora citato, giusta  il  quale

«4. Le regioni  Sicilia,  Sardegna,  Friuli-Venezia  Giulia  e  Valle

d'Aosta,  nonche'  le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano

provvedono, in conformita'  dei  rispettivi  statuti,  all'attuazione

delle disposizioni del comma 1; contestualmente sono  disciplinati  i

rapporti finanziari tra lo Stato, le autonomie speciali  e  gli  enti

locali al fine di mantenere il necessario equilibrio finanziario.».

    Dal mancato richiamo al comma 4 dell'art. 60 d.lgs. n.  446/1997,

e dall'abrogazione dell'originario comma 5  dell'art.  17  d.lgs.  n.

68/2011 si  ricava  quindi  che  il  legislatore  statale  ha  inteso

disciplinare, sotto il profilo della  possibilita'  di  aumentarne  o

diminuirne le aliquote, l'imposta in questione soltanto relativamente

alle Regioni a statuto ordinario, e piu'  precisamente  relativamente

alla provincie in queste comprese.

    Secondo un tipico procedimento di finanza derivata,  infatti,  il

tributo in questione e' istituito con legge  dello  Stato  e  il  suo

gettito e' dalla stessa legge statale  attribuito  agli  enti  locali

destinatari (le province  delle  regioni  a  statuto  ordinario);  in

questo contesto, la legge statale consente  a  tali  enti  locali  di

variare entro limiti predeterminati le aliquote dell'imposta.

    Questo meccanismo non e' stato  esteso  alle  regioni  a  statuto

speciale  e  alle  province   autonome.   In   considerazione   della

particolare autonomia finanziaria di cui questi enti  sono  titolari,

la legge statale (art. 60 comma 5 d.lgs.  n.  446/1997)  prevede  che

essi, fino a quando i loro  rapporti  finanziari  con  lo  Stato  non

saranno regolati in modo  da  assicurare  il  necessario  equilibrio,

rimangano titolari del gettito dell'imposta, come previsto dal  comma

1 dell'art. 60 cit., senza poter intervenire sulle aliquote.

    La disposizione dell'art.  9  comma  5  della  legge  provinciale

impugnata, invece, riduce unilateralmente  di  tre  punti  l'aliquota

dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita' civile.

    In  tal  modo  essa   contrasta   con   l'attuale   assetto   del

coordinamento tra la finanza statale e la  finanza  delle  regioni  a

statuto  speciale  e  province  autonome,   quale   delineato   dalle

disposizioni statali sopra illustrate. Interventi sulle  aliquote  ad

iniziativa provinciale saranno infatti possibili  solo  quando,  e  a

condizione che, siano contestualmente regolati i complessivi rapporti

finanziari tra lo Stato e tali enti territoriali.

    Cio' comporta la  violazione  innanzitutto  dell'art.  73,  comma

1-bis dello Statuto provinciale adottato con d.P.R. n.  670/1972,  il

quale dispone che  «1-bis.  Le  province,  relativamente  ai  tributi

erariali per i quali lo Stato ne prevede la possibilita', possono  in

ogni caso modificare aliquote e  prevedere  esenzioni,  detrazioni  e

deduzioni purche' nei limiti delle aliquote superiori definite  dalla

normativa statale».

    Si e' visto infatti che nella fattispecie la  legge  statale  non

consente alle province autonome di Trento e Bolzano di modificare  le

aliquote dell'imposta in questione. Il che, del  resto,  e'  coerente

con la previsione dell'art. 75, lettere a) e g) dello Statuto, giusta

la quale spettano alle province autonome i nove  decimi  del  gettito

dell'imposta.  Ridurre  unilateralmente  l'aliquota  da  parte  della

Provincia, comporta quindi che venga ridotto  anche  il  gettito  del

decimo di spettanza statale; cio' che non e' consentito appunto  fino

a quando non sia stato compiutamente  disciplinato  il  coordinamento

della finanza statale e di quella delle province autonome.

    La disposizione provinciale impugnata viola poi l'art. 117, comma

2, lettera e) Cost., nella  parte  in  cui  riserva  alla  competenza

statale esclusiva la disciplina del sistema tributario  dello  Stato:

la disposizione impugnata modifica infatti l'aliquota  di  un'imposta

statale al di fuori dei limiti consentiti dalla legislazione  statale

stessa. E viola l'art. 117 comma 3 Cost. nella parte in  cui  prevede

che rientri nella legislazione  concorrente  il  coordinamento  della

finanza pubblica ai vari livelli di Governo: la Provincia e'  infatti

intervenuta sulla materia prima che venissero  dettate  le  norme  di

coordinamento prefigurate dall'art. 60, comma 4, d.lgs. n.  446/1997,

e  comunque  in  contrasto  con  i  principi   che   attualmente   la

legislazione statale detta in materia di coordinamento  tra  Stato  e

Regioni a  statuto  speciale  e  provincie  autonome  in  materia  di

aliquote dell'imposta sulle assicurazioni contro  la  responsabilita'

civile  automobilistica.  Si  e'  infatti  visto  che  tali  principi

attualmente escludono un potere regionale o provinciale di intervento

normativo sulle aliquote.

    Proprio in materia di agevolazioni fiscali incidenti  su  imposta

regolate  da  legge  dello  Stato  (li',  credito  di  imposta;  qui,

riduzione di tre punti dell'aliquota) introdotte con legge da regioni

a statuto speciale, codesta Corte ha recentemente chiarito (sent.  n.

30/2012)   che   «La   giurisprudenza   costituzionale   ha,    anche

recentemente, sottolineato che "allo stato  attuale  della  normativa

regionale, non risultano sussistere  tributi  regionali  propri  (nel

senso di tributi istituiti e disciplinati dalla Regione) che  possano

essere  considerati  ai  fini  dell'agevolazione  in  questione",  e,

quindi, "deve ritenersi che detta agevolazione si riferisce a tributi

erariali, compresi i tributi  regionali  cosiddetti  derivati,  cioe'

[...] istituiti e disciplinati con legge statale, il cui gettito  sia

attribuito alle Regioni" (sentenza n. 123 del 2010).

    Da tale considerazione, essendo "innegabile che la previsione  di

un'agevolazione  tributaria  nella  firma  del  credito  di   imposta

applicabile a  tributi  erariali  costituisce  un'integrazione  della

disciplina dei medesimi tributi erariali" (sentenza n. 123 del 2010),

deriva  l'affermazione  della  illegittimita'  costituzionale   della

disposizione in  scrutinio  per  violazione  dell'art.  117,  secondo

comma, lettera e),  della  Costituzione,  dato  che,  in  assenza  di

specifica  autorizzazione  contenuta  in  una  legge  statale,  detta

normativa viene a violare la  competenza  accentrata  in  materia  di

"sistema tributario dello Stato". Infatti "la disposizione censurata,

non  limitando  in  maniera  espressa  l'efficacia  dell'agevolazione

fiscale   all'ambito   dei   soli   tributi    regionali,    consente

l'applicazione  di  detta  agevolazione,  nella  forma  del   credito

d'imposta, anche ai tributi statali".

    Si tratta di una affermazione  che,  anche  se  espressa  in  una

sentenza relativa ad una Regione a statuto ordinario,  si  estende  a

tutti quei tributi statali che, ai sensi dell'art. 8 dello statuto di

autonomia della Sardegna, costituiscono una sua  entrata,  in  quanto

una loro modifica esula dalle competenze legislative attribuite  alla

Regione ai sensi degli artt. 3 e 4 del medesimo statuto.».

    La    disposizione    denunciata     va     quindi     dichiarata

costituzionalmente illegittima.

    2. L'art. 16, comma 1 della legge provinciale n. 18/2011 dispone:

«1. Ai sensi dell'articolo 63 della legge provinciale 3 aprile  1997,

n. 7 (legge sul personale della  Provincia),  la  spesa  sui  bilanci

degli esercizi finanziari 2012, 2013 e 2014 per  tutto  il  personale

appartenente al comparto autonomie locali e al  comparto  ricerca  e'

fissata in 218.266.010 euro per l'anno 2012, in 218.266.010 euro  per

l'anno 2013 e in 218.266.010 euro per l'anno  2014  e  per  gli  anni

successivi.  Questa  spesa  e'   aumentata   delle   somme   previste

dall'articolo 3, comma 2, della legge provinciale  n.  27  del  2010.

Nella spesa non rientrano gli oneri relativi al personale assunto con

contratto  di  diritto  privato  per  la  realizzazione  di   lavori,

interventi o attivita' sulla base di particolari norme di settore.».

    Questa previsione va coordinata con  l'art.  63  comma  1,  legge

provinciale 28 marzo 2009, n. 2 (Assestamento  del  bilancio  annuale

2009 e pluriennale 2009-2011), secondo  cui  «1.  Ferma  restando  la

dotazione complessiva di personale stabilita dall'articolo 58,  anche

allo  scopo  di  garantire,  con  caratteri  di  adeguatezza   e   di

continuita', il regolare espletamento  delle  finzioni  svolte  dalle

strutture provinciali previste dall'articolo 28, comma 1, della legge

provinciale n. 3 del 2006, e in particolare delle funzioni svolte  da

soggetti con  contratto  di  collaborazione  ai  sensi  dell'articolo

39-duodecies della legge sui contratti e  sui  beni  provinciali,  la

Provincia puo' procedere, mediante concorsi pubblici  per  titoli  ed

esami, all'assunzione di sessanta  unita'  al  massimo  di  personale

equivalente  a  tempo  pieno  con  contratto  di   lavoro   a   tempo

indeterminato. La Giunta  provinciale  ne  definisce  il  numero  con

riferimento  a  ciascuna  figura   professionale.   Ai   fini   della

partecipazione ai concorsi costituiscono titoli  valutabili  anche  i

periodi di lavoro prestati con contratto di collaborazione a  partire

dal 1° gennaio 2001 e fino all'ultimo giorno del mese di  entrata  in

vigore di questa legge presso le strutture previste dall'articolo 28,

comma 1, della  legge  provinciale  n.  3  del  2006.  I  periodi  di

collaborazione sono computati secondo criteri di calcolo  determinati

nel bando per la conversione in termini temporali  dei  corrispettivi

spettanti.».

    Il mancato richiamo, nel limite  della  spesa  per  il  personale

fissato dall'art. 16 comma 1, legge  provinciale  n.  18/2001,  della

spesa per i contratti di lavoro a tempo  indeterminato  stipulati  ai

sensi  della  disposizione  ora  trascritta  (l'art.  16,  comma   1,

riferisce testualmente il limite in questione alla sola spesa per  il

personale di ruolo, vale a  dire  inserito  nel  comparto  «autonomie

locali» e nel comparto «ricerca», e quindi esclude  i  contrattisti),

comporta che tale spesa sia sottratta a limiti predeterminati.

    Lo stesso art. 16, comma 1, poi, espressamente esclude dal limite

in questione la spesa per  il  personale  assunto  con  contratto  di

diritto  privato  per  la  realizzazione  di  lavori,  interventi   o

attivita' sulla base di particolari norme di settore.

    Quindi, la spesa complessiva per il personale  a  contratto,  sia

assunto in base alla norma generale di cui all'art. 63 comma 1, legge

provinciale n.  2/2009  sopra  trascritta,  sia  assunto  in  base  a

particolari norme di settore, non sottosta' al limite complessivo  di

spesa per il personale.

    In sede di coordinamento dei bilanci e della finanza pubblica, di

cui all'art. 117, comma 3 Cost., il legislatore  statale  ha  dettato

l'art. 9-bis del d.l. n. 78/2010 convertito in legge n.  102/2010  il

cui comma 5 prevede che «5. Sono  esclusi  dal  patto  di  stabilita'

interno delle regioni e  delle  province  autonome  di  Trento  e  di

Bolzano i pagamenti che  vengono  effettuati  a  valere  sui  residui

passivi di parte corrente a fronte di corrispondenti  residui  attivi

degli enti locali.

    Sempre in sede di coordinamento della  finanza  statale  e  delle

regioni a statuto speciale e  delle  province  autonome,  l'art.  32,

legge n. 183/2011 (legge di stabilita' 2012) ha  previsto  nei  commi

10, 11 e 12:

    «10. Il concorso alla manovra finanziaria delle regioni a statuto

speciale e delle province autonome di Trento e  di  Bolzano,  di  cui

all'articolo 20, comma 5, del decreto-legge 6  luglio  2011,  n.  98,

convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio  2011,  n.  111,

come modificato dall'articolo 1, comma 8, del decreto-legge 13 agosto

2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre

2011, n. 148, aggiuntivo rispetto a quella disposta dall'articolo 14,

comma 1, lettera  b),  del  decreto-legge  31  maggio  2010,  n.  78,

convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e'

indicato, per ciascuno degli anni  2012,  2013  e  successivi,  nella

seguente tabella.

 

 

              Parte  provvedimento in formato grafico

 

 

     11. Al fine dl assicurare il concorso agli obiettivi di  finanza

pubblica,  le  regioni  a  statuto  speciale,  escluse   la   regione

Trentino-Alto Adige e te province autonome di Trento  e  di  Bolzano,

concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente,  con  il

Ministro dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni 2012,

2013 e successivi, il livello complessivo delle spese correnti  e  in

conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, determinato riducendo

gli obiettivi  programmatici  del  2011  della  somma  degli  importi

indicati dalla tabella di cui al comma 10. A tale fine, entro  il  30

novembre  di  ciascun  anno  precedente,  il   presidente   dell'ente

trasmette la proposta di accordo al Ministro  dell'economia  e  delle

finanze. Con riferimento all'esercizio 2012, il presidente  dell'ente

trasmette la proposta di accordo entro il 31 marzo 2012. In  caso  di

mancato accordo,  si  applicano  le  disposizioni  stabilite  per  le

regioni a statuto ordinario.

    12. Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi  di  finanza

pubblica, la regione Trentino-Alto Adige e le  province  autonome  di

Trento e di Bolzano concordano, entro il 31 dicembre di ciascun  anno

precedente, con  il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  per

ciascuno degli anni 2012, 2013 e successivi, il  saldo  programmatico

calcolato in termini di competenza mista, determinato migliorando  il

saldo programmatico dell'esercizio 2011  della  somma  degli  importi

indicati dalla tabella di cui al comma 10. A tale fine, entro  il  30

novembre  di  ciascun  anno  precedente,  il   presidente   dell'ente

trasmette la proposta di accordo al Ministro  dell'economia  e  delle

finanze. Con riferimento all'esercizio 2012, il presidente  dell'ente

trasmette la proposta di accordo entro il 31 marzo 2012. In  caso  di

mancato accordo,  si  applicano  le  disposizioni  stabilite  per  le

regioni a statuto ordinario.».

    L'art. 14, comma 7 del citato d.l. n. 78/2010 convertito in legge

n. 102/2010 ha poi specificamente disposto che «7.  L'art.  1,  comma

557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive  modificazioni

e' sostituito dai seguenti:

    "557. Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali  al

rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti  al

patto di stabilita' interno assicurano la riduzione  delle  spese  di

personale,  al  lordo   degli   oneri   riflessi   a   carico   delle

amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri  relativi  ai

rinnovi  contrattuali,  garantendo  il  contenimento  della  dinamica

retributiva e occupazionale, con azioni da modulare nell'ambito della

propria autonomia e rivolte, in termini  di  principio,  ai  seguenti

ambiti prioritari di intervento:

        a)  riduzione  dell'incidenza  percentuale  delle  spese   di

personale rispetto al  complesso  delle  spese  correnti,  attraverso

parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il

lavoro flessibile;

        b)   razionalizzazione   e   snellimento   delle    strutture

burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti  di  uffici

con l'obiettivo di ridurre l'incidenza  percentuale  delle  posizioni

dirigenziali in organico;

        c)   contenimento   delle   dinamiche   di   crescita   della

contrattazione integrativa, tenuto anche conto  delle  corrispondenti

disposizioni dettate per le amministrazioni statali.

    557-bis. Ai fini dell'applicazione del comma  557,  costituiscono

spese  di  personale  anche  quelle  sostenute  per  i  rapporti   di

collaborazione coordinata e continuativa, per la somministrazione  di

lavoro,  per  il  personale  di  cui  all'articolo  110  del  decreto

legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' per tutti  i  soggetti  a

vario titolo utilizzati, senza estinzione del  rapporto  di  pubblico

impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o

comunque facenti capo all'ente.".

    Dall'insieme di queste disposizioni si ricava che nel  limite  di

spesa per il personale rilevante ai fini del rispetto  del  patto  di

stabilita'  interno  debbono  essere  comprese  tutte  le  spese   di

personale, a qualsiasi titolo sostenute. Non sono  quindi  consentite

disposizioni che, come l'art. 16 comma 1 della legge  provinciale  n.

18/2011  qui  impugnata,  esonerino  la  spesa   per   il   personale

contrattista dal  rispetto  del  limite  necessario  a  garantire  il

rispetto del patto di stabilita' interno.

    Ne consegue che  la  disposizione  in  esame  viola  innanzitutto

l'art. 117 comma  3  Cost.,  nella  parte  in  cui  attribuisce  alla

competenza concorrente il coordinamento dei bilanci e  della  finanza

pubblica ai vari livelli di Governo. In questo  ambito,  le  province

autonome, come tutti gli altri enti territoriali, sono infatti tenuti

ad uniformarsi ai principi dettati dal legislatore  statale;  e  tali

principi, come si e' visto, includono senza dubbio la  spesa  per  il

personale assunto a qualsiasi titolo  nell'aggregato  complessivo  di

spesa  dell'ente  rilevante  ai  fini  del  rispetto  del  patto   di

stabilita'.

    Essa viola poi l'art. 8,  comma  1,  n.  1  dello  Statuto  della

Regione Trentino Alto Adige (d.P.R. n. 670/1972), nella parte in  cui

attribuisce alla provincia autonoma di Trento la competenza esclusiva

a  legiferare  in  materia  di  personale  provinciale.  Infatti,  la

disciplina del personale non puo' mai svolgersi in  contrasto  con  i

principi fondamentali che regolano l'equilibrio finanziario dell'ente

interessato e della finanza pubblica in generale. Non a caso,  l'art.

8 cit. richiama come limiti alla potesta'  normativa  provinciale  in

materia quelli previsti dall'art. 4  del  medesimo  Statuto.  Qui  si

indicano  come  limiti  della  potesta'  normativa  esclusiva  quelli

derivanti  dalla  "Costituzione,  [dai]   principi   dell'ordinamento

giuridico  della  Repubblica  e   [dal]   rispetto   degli   obblighi

internazionali e degli interessi nazionali - tra i quali e'  compreso

quello della tutela delle minoranze  linguistiche  locali  -  nonche'

delle  norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali   della

Repubblica".».

    Attualmente tra tali  principi  rientra  senza  dubbio  anche  il

divieto  generale  di  incremento  della  spesa  per  il   personale,

stabilito per tutte le pubbliche amministrazioni dall'art.  9,  comma

1, d.l. n. 78/2010 citato, giusta il quale «1.  Per  gli  anni  2011,

2012  e  2013  il  trattamento  economico  complessivo  dei   singoli

dipendenti,  anche  di  qualifica  dirigenziale,  ivi   compreso   il

trattamento accessorio, previsto  dai  rispettivi  ordinamenti  delle

amministrazioni pubbliche inserite nel  conto  economico  consolidato

della  pubblica  amministrazione,  come   individuate   dall'Istituto

nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo  1

della legge 31 dicembre 2009, n. 196,  non  puo'  superare,  in  ogni

caso, il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010».

    La possibilita' che la disposizione qui impugnata (art. 16, comma

1, legge provinciale n. 18/2011) lascia di incrementare la spesa  per

il personale assunto a contratto, e' quindi chiaramente contraria  ai

principi generali che regolano la materia della spesa  di  personale.

Donde  l'illegittimita'   costituzionale   della   disposizione   per

contrasto con gli  artt.  117  comma  3  Cost.  nella  parte  in  cui

attribuisce alla competenza concorrente di Stato e Regioni e province

autonome la materia del coordinamento dei bilanci pubblici; e 8 comma

1, n. 1 statuto, nella parte in cui, attraverso il rinvio all'art.  4

del medesimo statuto, vincola la potesta'  normativa  provinciale  al

rispetto dei principi generali dell'ordinamento.

    3. L'art.  17,  comma  1,  della  legge  provinciale  n.  18/2011

dispone: «1. Alla fine della lettera a) del comma 1  dell'articolo  3

della legge provinciale n. 27 del 2010 sono inserite  le  parole;  ",

compatibilmente con le risorse messe a disposizione e fermo  restando

il  rispetto  degli  obiettivi  programmati   di   finanza   pubblica

provinciale, per il solo anno 2010, al personale del comparto ricerca

sono riconosciute le progressioni di carriera,  comunque  denominate,

maturate nel corso del 2010, analogamente a  quanto  riconosciuto  al

corrispondente  personale  degli  enti  nazionali  di   ricerca;   le

progressioni di carriera dello stesso personale, comunque denominate,

disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per gli anni  in

questione, a fini esclusivamente giuridici;  alla  spesa  di  cui  al

presente periodo si fa fronte con le somme previste dall'articolo  17

della legge finanziaria 2012  e  con  gli  stanziamenti  previsti  in

bilancio per gli enti di ricerca".».

    Questa disposizione, come si vede, attribuisce effetti  non  solo

giuridici ma anche  economici  incidenti  sugli  anni  2011,  2012  e

successivi alle progressioni di carriera del personale  del  comparto

ricerca maturate nel corso del 2010. Solo per quelle  maturate  negli

anni  successivi  la   disposizione   prevede,   invece,   che   tali

progressioni abbiano effetti solamente giuridici.

    Nella parte in cui consente a partire dal 2011 effetti  economici

delle progressioni, la disposizione in esame e' viziata da violazione

dell'art. 117 comma 3 Cost., nella  parte  in  cui  attribuisce  alla

legislazione concorrente la disciplina del coordinamento dei  bilanci

pubblici, cosi' assoggettando la legislazione regionale e provinciale

al rispetto dei principi  generali  della  materia  posti  con  legge

statale; e dell'art.  8  n.  1  statuto  (d.P.R.  n.  670/1972),  che

subordina  l'esercizio   della   competenza   legislativa   esclusiva

provinciale in materia di personale al rispetto dei principi generali

dell'ordinamento (richiamati dall'art. 4 comma 1 statuto, a sua volta

richiamato dall'art. 8, comma 1 cit.).

    Attualmente, infatti, il principio generale della  materia  degli

avanzamenti di carriera del personale pubblico di qualsiasi titolo e'

posto dall'art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010 convertito in  legge  n.

102/2010, giusta il quale «Per il personale di cui all'articolo 3 del

decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive  modificazioni

le  progressioni  di  carriera  comunque   denominate   eventualmente

disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per  i  predetti

anni,  ai   fini   esclusivamente   giuridici.   Per   il   personale

contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate  ed

i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e

2013 hanno effetto, per  i  predetti  anni,  ai  fini  esclusivamente

giuridici.».

    Evidente  e'  il  contrasto  tra  la   disposizione   provinciale

impugnata e questo principio, il quale puo' compendiarsi nel  divieto

di produzione di effetti economici  delle  progressioni  di  carriera

negli anni a partire dal 2011.

    E' ormai pacifico, poi,  che  la  materia  del  pubblico  impiego

contrattualizzato rientra nella materia «ordinamento civile», di  cui

all'art. 117, comma 2, lettera l)  Cost.,  ogniqualvolta  vengano  in

considerazione gli  aspetti  essenziali  del  rapporto  contrattuale.

Codesta Corte, invero,  nella  sentenza  n.  151/2010  ha  da  ultimo

ribadito, a proposito della disciplina dei controlli dell'ente datore

di lavoro sulle assenze per malattia, che  «Trattandosi  di  uno  dei

poteri principali che l'ordinamento attribuisce ad una delle parti di

un rapporto contrattuale (quello di lavoro subordinato), la  relativa

disciplina deve essere uniforme sul territorio  nazionale  e  imporsi

anche alle Regioni a statuto speciale, cosi' come gia'  affermato  da

questa Corte con riferimento a norme concernenti altri  istituti  del

rapporto di pubblico impiego "contrattualizzato" (sentenze n.  189  e

n. 95 del 2007)».

    A maggior ragione questa conclusione dovra' allora valere per una

normativa,  come  quella  qui  impugnata,  che  disciplina  l'aspetto

retributivo del rapporto contrattuale, ammettendo che gli avanzamenti

di carriera possano avere per effetto incrementi della  retribuzione,

quando la legislazione statale sullo stesso  oggetto  esclude  invece

tali effetti.

    La disposizione impugnata e' quindi contraria, altresi', all'art.

117,  comma  2,  lettera  l)  Cost.,  poiche'  invade  la  competenza

esclusiva statale in materia di ordinamento civile,  capovolgendo  la

disciplina che la legge dello Stato detta in materia di effetti degli

avanzamenti di carriera sulla retribuzione.

    4. L'art. 21 comma  11  della  legge  provinciale  qui  impugnata

prevede che «11. Dopo il comma 5 dell'articolo  57  della  legge  sul

personale della Provincia e' inserito il seguente: "5-bis. La  Giunta

provinciale definisce i criteri e  le  caratteristiche  professionali

richieste per la costituzione, presso le strutture di  primo  livello

della  Provincia   e   della   direzione   generale,   di   posizioni

professionali  alla  cui  copertura  si  provvede  con  personale  di

categoria D o con qualifica di direttore cui sono affidati  incarichi

caratterizzati anche con riferimento al raggiungimento  di  specifici

obiettivi. A questo  scopo  la  Giunta  provinciale  costituisce  uno

specifico fondo nell'ambito della spesa  prevista  dall'articolo  63,

comma 1.".».

    La previsione contrasta  con  i  principi  generali  in  tema  di

pubblico impiego dettati dal d.lgs. n. 165/2011 e  con  il  principio

del pubblico concorso,  quale  presidio  della  par  condicio  tra  i

concorrenti. Essa,  infatti,  non  specifica  ne'  i  presupposti  al

ricorrere dei quali e' consentito attribuire gli  incarichi,  ne'  di

quali incarichi dovrebbe trattarsi, ne' le modalita' di selezione del

personale che vi e' chiamato. In tal modo  la  disposizione  impupata

vanifica il principio desumibile dall'art. 35, comma 1,  lettera  a),

d.lgs.  n.  165/2001,  giusta  il  quale   «1.   L'assunzione   nelle

amministrazioni  pubbliche  avviene  con  contratto  individuale   di

lavoro:

        a) tramite procedure  selettive,  conformi  ai  principi  del

comma 3, volte all'accertamento della professionalita' richiesta, che

garantiscano in misura  adeguata  l'accesso  dall'esterno;»  «;  e  i

criteri  fissati  correlativamente  dal  comma   3   della   medesima

disposizione, ove si prevede che "3.  Le  procedure  di  reclutamento

nelle pubbliche amministrazioni si conformano ai seguenti principi:

        a)  adeguata  pubblicita'  della  selezione  e  modalita'  di

svolgimento   che   garantiscano   l'imparzialita'    e    assicurino

economicita'  e  celerita'  di  espletamento,  ricorrendo,   ove   e'

opportuno, all'ausilio di  sistemi  automatizzati,  diretti  anche  a

realizzare forme di preselezione;

        b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti,  idonei  a

verificare il possesso dei  requisiti  attitudinali  e  professionali

richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;

        c)  rispetto  delle  pari  opportunita'  tra  lavoratrici   e

lavoratori".».

    Essa, pertanto, viola l'art. 8, comma  1,  n.  1  statuto,  nella

parte in  cui,  rinviando  all'art.  4,  assoggetta  la  legislazione

esclusiva provinciale in materia di pubblico impiego  provinciale  ai

principi generali dell'ordinamento; e gli artt. 3 e 97  Cost.,  nella

parte  in  cui   dispongono   che,   salvo   situazioni   eccezionali

specificamente motivate, non e' consentito derogare alla  regola  del

pubblico concorso aperto anche agli esterni per attribuire le diverse

posizioni lavorative all'interno dell'amministrazione.

    5. L'art. 27 comma 4 della  legge  provinciale  impugnata  (legge

provinciale n. 18/2011) dispone: «4. Dopo il comma  10  dell'articolo

44 della legge provinciale sulla tutela della salute e'  inserito  il

seguente:

    "10-bis. Per favorire la partecipazione del proprio  personale  a

progetti di solidarieta' internazionale approvati o  sostenuti  dalla

Provincia,  la  Giunta  provinciale  formula   specifiche   direttive

all'Agenzia provinciale per la rappresentanza negoziale  (APRAN)  per

consentire all'azienda, valutate le  proprie  esigenze  funzionali  e

organizzative, di concedere un'aspettativa non retribuita e  utile  a

ogni altro fine, per  un  periodo  massimo  di  novanta  giorni  ogni

biennio, con oneri previdenziali a carico del datore di lavoro e  del

dipendente versati dall'azienda.".».

    Anche questa disposizione viola l'art. 8, comma 1, n. 1  statuto,

nella parte in cui, rinviando all'art. 4, assoggetta la  legislazione

esclusiva provinciale in materia di pubblico impiego  provinciale  ai

principi  generali  dell'ordinamento.  Stando   alla   contrattazione

collettiva del comparto sanitario adottata alla  stregua  del  titolo

III del d.lgs. n. 165/2001 (legge statale di principio in materia  di

pubblico impiego), questa tipologia di aspettativa (per «progetti  di

solidarieta'») e' infatti del tutto ignota. Essa  non  poteva  dunque

essere introdotta unilateralmente dalla Provincia, in violazione  del

principio di contrattazione collettiva che regge l'intero settore del

lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione (art. 40, comma

1, d.lgs. n. 165/2001: «1. La contrattazione collettiva  determina  i

diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro,

nonche' le materie relative alle relazioni sindacali.»).

    La  materia  della  contrattazione  collettiva  del  rapporto  di

pubblico impiego attiene, inoltre, all'ordinamento  civile:  soltanto

la legge dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma  2,  lettera  l),

potrebbe quindi intervenire a mutare o integrare le decisioni assunte

in  sede  collettiva  in  punto  di  aspettative  e  relative   cause

giustificatrici.

    L'art. 27 comma 4 della legge provinciale impugnata viola  quindi

anche l'art. 117 comma 2 lettera l).

    6. L'art.  27,  comma  6,  lettera  c)  della  legge  provinciale

impugnata dispone che «6. All'articolo  56  della  legge  provinciale

sulla tutela della salute sono apportate le  seguenti  modificazioni:

... c) dopo il comma 4 e' inserito il seguente:

    "4-bis. Fino alla sottoscrizione del nuovo  contratto  collettivo

del comparto sanita', area della dirigenza sanitaria,  professionale,

tecnica  e   amministrativa,   in   relazione   a   quanto   previsto

dall'articolo 44, comma 2, di questa legge e dall'articolo  15  della

legge  sul  personale  della  Provincia,  per  l'attribuzione   degli

incarichi dirigenziali previsti dallo stesso articolo  44,  comma  2,

per le strutture di  primo  e  secondo  livello  dell'azienda,  anche

derivanti dalla riorganizzazione delle strutture stesse, si applicano

i seguenti criteri:

        a) la durata degli incarichi relativi a  strutture  di  primo

livello e dei contratti dirigenziali a  tempo  determinato  non  puo'

essere  superiore  a  quella  dell'incarico  del  direttore  generale

dell'azienda ai  sensi  degli  articoli  26  e  28  della  legge  sul

personale della Provincia".».

    Come si vede, in tal modo la  dirigenza  del  servizio  sanitario

provinciale viene assoggettata al c.d. spoil  system,  riferito  alla

durata in  carica  del  direttore  generale  dell'azienda  sanitaria.

Senonche' i principi della legislazione statale sono diversi. Infatti

l'art. 19 comma 1-ter del d.lgs. n. 165/2001 dispone che «1-ter.  Gli

incarichi dirigenziali possono  essere  revocati  esclusivamente  nei

casi e con le modalita' di cui  all'articolo  21,  comma  1,  secondo

periodo». Tra  tali  casi  e  modalita'  non  rientra  la  cessazione

dall'incarico   del   direttore   generale   dell'azienda   sanitaria

provinciale. Si deve quindi escludere che la dirigenza  del  servizio

sanitario provinciale possa essere  assoggettata  a  forme  di  spoil

system. Del resto, l'art. 14  del  d.lgs.  n.  165/2001  limita  tale

possibilita' (comma 2) ai soli «uffici di diretta collaborazione [con

il vertice dell'ente], aventi esclusive competenze di supporto  e  di

raccordo con l'amministrazione», e tali  non  sono  i  dirigenti  del

servizio sanitario provinciale.

    Ampliando le possibilita' di cessazione anticipata ope  legis  di

rapporti  di  incarico  dirigenziale  nel  comparto   sanitario,   la

disposizione in esame ha quindi violato  l'art.  8,  comma  1,  n.  1

statuto, nella parte in cui,  rinviando  all'art.  4,  assoggetta  la

legislazione esclusiva provinciale in  materia  di  pubblico  impiego

provinciale ai principi generali dell'ordinamento. Stando  al  d.lgs.

n. 165/2001 (legge  statale  di  principio  in  materia  di  pubblico

impiego), questa tipologia di  spoil  system  e'  infatti  del  tutto

ignota. Essa non  poteva  dunque  essere  introdotta  unilateralmente

dalla Provincia.

    La materia della cessazione  del  rapporto  di  pubblico  impiego

attiene, inoltre, all'ordinamento civile:  soltanto  la  legge  dello

Stato, ai sensi dell'art. 117 comma 2  lettera  l),  potrebbe  quindi

intervenire a mutare o integrare  la  disciplina  vigente  di  questo

delicato aspetto del rapporto contrattuale. Legiferando  in  materia,

la Provincia ha quindi violato anche la competenza esclusiva  statale

in materia di ordinamento civile.

    7. L'art. 51 comma 4  della  legge  provinciale  n.  18/2011  qui

impugnata dispone: «4. Il comma 5-bis dell'articolo  30  della  legge

provinciale sui lavori pubblici e' sostituito dal seguente:

    "5-bis. Le amministrazioni aggiudicatrici prevedono nel bando  di

gara l'obbligo, per i concorrenti, di produrre le analisi dei  prezzi

mediante procedure telematiche. In tal caso, il bando di gara  indica

la percentuale di  incidenza  del  costo  complessivo  del  personale

sull'importo dei lavori comprensivo degli oneri della sicurezza,  che

costituisce il minimo  inderogabile  per  i  concorrenti  a  pena  di

esclusione, nonche' l'importo complessivo del  costo  del  personale,

desunti dal progetto. Per lavori di  importo  inferiore  alla  soglia

comunitaria, qualora dalle analisi prodotte dal  concorrente  che  ha

presentato la migliore offerta risulti  un  importo  complessivo  del

costo del personale inferiore a quello di progetto, l'amministrazione

aggiudicatrice verifica  l'anomalia  dell'offerta  con  le  modalita'

dell'articolo 58.29. E'  fatta  salva  in  ogni  caso  l'applicazione

dell'articolo 58.29, comma 3. Per le finalita' di  questo  comma,  le

amministrazioni mettono a disposizione dei concorrenti  idonei  mezzi

informatici  predisposti  dalla  Provincia.  Le  analisi  dei  prezzi

prodotte dall'aggiudicatario sono parte integrante del contratto.  Le

modalita' e la decorrenza di applicazione, anche in via sperimentale,

di  questo  comma  sono  stabilite  con  deliberazione  della  Giunta

provinciale.".».

    Come si vede, con questa disposizione la Provincia ha  introdotto

una nuova causa di esclusione obbligatoria delle imprese partecipanti

alle gare pubbliche provinciali, costituita  dall'offrire  un  prezzo

nel quale la percentuale di incidenza del  costo  del  personale  sia

inferiore a quella minima indicata dal bando. Per  le  sole  gare  di

importo inferiore alla soglia comunitaria, inoltre,  la  disposizione

qui impugnata ha introdotto l'obbligo di  sottoporre  a  verifica  di

anomalia le offerte nelle quali il costo del personale sia  inferiore

a quello indicato nel progetto posto a base di gara.

    Questa disposizione viola l'art. 8  n.  17  dello  statuto  della

regione Trentino-Alto Adige, che nell'attribuire  alla  Provincia  di

Trento  la  potesta'  legislativa  esclusiva  in  materia  di  lavori

pubblici provinciali, assoggetta  la  Provincia,  tramite  il  rinvio

all'art. 4 dello statuto contenuto nel medesimo art. 8,  al  rispetto

dei principi generali dell'ordinamento interno e comunitario.

    In materia di esclusione delle imprese  partecipanti  dalle  gare

pubbliche,  i  principi  generali  sono  desumibili  dal  codice  dei

contratti pubblici, adottato con d.lgs. n.  163/2006.  L'art.  2  del

codice prevede nei commi 1 e 2 che  le  gare  per  l'affidamento  dei

contratti pubblici siano basate sul principio  di  concorrenza  e  su

quello di economicita', e che a tale principio  le  regioni  anche  a

statuto speciale e le province autonome possano derogare per esigenze

sociali solo «entro i limiti  in  cui  sia  espressamente  consentito

dalle norme vigenti e dal presente codice».

    L'art. 4 del codice prevede  inoltre  nel  comma  1  che  «1.  Le

regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano  esercitano  la

potesta' normativa nelle materie  oggetto  del  presente  codice  nel

rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario  e  delle

disposizioni  relative  a  materie  di  competenza  esclusiva   dello

Stato.»; e nel comma 5 che «5. Le regioni a  statuto  speciale  e  le

province  autonome  di  Trento  e   Bolzano   adeguano   la   propria

legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e  nelle

relative norme di attuazione.».

    Cio' premesso, deve  aggiungersi  che  il  codice  dei  contratti

pubblici non prevede tra  le  cause  di  esclusione  dei  concorrenti

l'offerta di un prezzo nel quale l'incidenza del costo del  personale

sia  inferiore  a  quella  prestabilita  dal  bando.  Alla  luce  del

principio  di  concorrenza  di  cui  all'art.  2  del  codice,   deve

concludersi che l'enumerazione delle  cause  di  esclusione  in  esso

operata  costituisca  un  «numero   chiuso»   non   suscettibile   di

ampliamento.

    Introducendo una causa di esclusione  obbligatoria  non  prevista

dal codice, la  Provincia  ha  quindi  oltrepassato  i  limiti  della

propria legislazione esclusiva in materia di lavori pubblici, perche'

non ha osservato il principio  generale  dell'ordinamento  statale  e

comunitario costituito dal principio di concorrenza, che vuole che le

cause di esclusione siano limitate al minimo indispensabile, e  siano

le medesime in tutti i mercati locali in cui  le  imprese  presentano

offerte, onde prevenire distorsioni di concorrenza determinate  dalle

diversita' delle  discipline  locali  in  materia.  La  Provincia  ha

altresi'  violato  il   principio   di   economicita',   perche'   la

disposizione in esame finisce con l'imporre  alle  imprese  un  costo

minimo del lavoro, impedendo loro di  perseguire  (nel  rispetto  dei

vincoli inderogabili inerenti  alla  sicurezza  e  alle  retribuzioni

contrattuali) la massima economicita' dell'offerta.

    Per quanto esposto,  non  potrebbe  valere  l'autorizzazione  che

l'art. 2 del codice da' alle regioni e province autonome  a  derogare

al principio di economicita' per finalita' sociali. Il  perseguimento

di finalita' sociali attraverso la  disciplina  dei  procedimenti  di

aggiudicazione, oltre che  eccezionale  perche'  non  specifico  agli

scopi propri di tale disciplina, non puo' infatti  comunque  avvenire

prevedendo casi di esclusione  obbligatoria,  attesa  la  loro,  gia'

sottolineata, necessaria  tassativita'  e  uniformita'  territoriale.

Opera quindi, in argomento, il divieto di deroga previsto dall'art. 2

comma 2 del codice.

    Sotto altro aspetto, la disposizione in esame  viola  l'art.  117

comma 2 lettera e), nella parte in cui questo attribuisce allo  Stato

la legislazione esclusiva in materia di tutela della concorrenza.  E'

infatti dato ormai acquisito alla giurisprudenza di codesta Corte che

la  tutela  della  concorrenza  costituisce   una   tipica   «materia

trasversale»,  per  cui  lo  Stato  ha  la  potesta'   esclusiva   di

disciplinare  gli  aspetti  delle  procedure  di  aggiudicazione  dei

contratti pubblici che tocchino in modo  immediato  l'interesse  alla

concorrenzialita' del sistema economico. Relativamente a tali aspetti

non possono operare le  clausole,  come  quella  dell'art.  8  n.  17

statuto cit., che attribuiscono alle regioni e provincie autonome  la

competenza legislativa esclusiva in materia  di  lavori  pubblici  di

proprio interesse.

    Le cause di esclusione obbligatoria, traducendosi in  limitazioni

immediate delle possibilita' di  partecipazione  delle  imprese  alle

gare pubbliche,  toccano  palesemente  in  modo  diretto  l'interesse

all'efficienza concorrenziale  del  sistema.  La  loro  previsione  e

disciplina di applicazione appartiene quindi in  via  esclusiva  allo

Stato, ed e' sottratta alla sfera normativa delle regioni e  province

autonome.

    Vizi   analoghi   a   quelli   ora    denunciati    relativamente

all'esclusione obbligatoria delle imprese che abbiano offerto  prezzi

espressivi di una incidenza del costo del lavoro inferiore  a  quella

minima imposta dal bando, sussistono poi in  relazione  alla  seconda

previsione  contenuta  nella  disposizione  impugnata,  che   prevede

l'obbligatoria verifica di anomalia per le offerte che presentino  un

costo del lavoro inferiore a quello di progetto.

    La materia delle verifiche di anomalia attiene, come e' evidente,

al principio di economicita' delle procedure  di  aggiudicazione  dei

contratti  pubblici:  tale  verifica  tende  infatti   a   garantire,

contemporaneamente, che le imprese possano competere  nell'offrire  i

prezzi piu' convenienti per l'amministrazione appaltante, e che  tale

forma di concorrenza non si traduca  in  pregiudizio  della  qualita'

delle prestazioni offerte.

    Occorre quindi verificare come il codice dei  contratti  pubblici

regoli la materia delle verifiche di anomalia, cosi' dando attuazione

al principio di economicita'.

    I principi della materia si trovano nell'art. 86, commi 1,  2,  3

del codice, giusta i quali «1.  Nei  contratti  di  cui  al  presente

codice, quando il criterio di aggiudicazione  e'  quello  del  prezzo

piu' basso, le  stazioni  appaltanti  valutano  la  congruita'  delle

offerte che  presentano  un  ribasso  pari  o  superiore  alla  media

aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte  ammesse,  con

esclusione del dieci per  cento,  arrotondato  all'unita'  superiore,

rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di quelle di minor

ribasso, incrementata  dello  scarto  medio  aritmetico  dei  ribassi

percentuali che superano la predetta media.

    2. Nei contratti di cui al presente codice, quando il criterio di

aggiudicazione   e'   quello   dell'offerta    economicamente    piu'

vantaggiosa, le stazioni  appaltanti  valutano  la  congruita'  delle

offerte in relazione alle quali sia i punti relativi al  prezzo,  sia

la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione,  sono

entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti  punti

massimi previsti dal bando di gara.

    3. In ogni  caso  le  stazioni  appaltanti  possono  valutare  la

congruita' di ogni altra offerta che, in base ad elementi  specifici,

appaia anormalmente bassa.».

    Si vede quindi che il codice prevede  nei  primi  due  commi  due

tassative ipotesi di anomalia, allorche' le offerte superino i limiti

aritmetici ivi indicati. I  soli  casi  nei  quali  l'amministrazione

appaltante puo' ravvisare un'anomalia al di fuori del superamento  di

tali limiti aritmetici sono quelli  previsti  dal  terzo  comma,  che

rimette l'individuazione dell'anomalia alla discrezionalita'  tecnica

della stazione appaltante,  da  esercitare  sulla  base  di  elementi

specifici.

    La disposizione provinciale qui impugnata viola quindi i principi

generali in materia  di  individuazione  delle  offerte  anomale  ora

ricostruiti, nella misura in cui impone alle stazioni  appaltanti  di

ravvisare una determinata ragione (o elemento specifico) di  anomalia

nella circostanza che  e'  stato  offerto  un  prezzo  nel  quale  la

componente costo del  lavoro  e'  inferiore  a  quella  prevista  nel

progetto posto  a  base  di  gara.  Potrebbe  infimi  ben  darsi  che

un'offerta che  quoti  la  componente  costo  del  lavoro  in  misura

inferiore a quella prefigurata  nel  progetto  a  base  di  gara  sia

nondimeno  complessivamente  economica,  grazie  all'incidenza  delle

altre componenti  (si  pensi  ad  opere  o  servizi  nelle  quali  la

componente tecnologica e' preponderante, e nelle  quali,  quindi,  la

componente costo del lavoro e' piu' agevolmente riducibile).

    Tale restrizione della discrezionalita'  tecnica  delle  stazioni

appaltanti si traduce in una violazione del principio di economicita'

e del principio di concorrenza, poiche'  impedisce  alle  imprese  di

proporre l'offerta piu' economica loro possibile tutte  le  volte  in

cui la massima economicita' possa derivare dal superamento al ribasso

del limite minimo di costo del lavoro previsto dal progetto a base di

gara, e determina una evidente distorsione della concorrenza su  base

territoriale, poiche' configura una  circostanza  limitante  che  non

opera in altri mercati locali dei contratti pubblici.

    Prevedendola, la Provincia ha quindi oltrepassato il  limite  del

rispetto dei principi generali dell'ordinamento a cui, in  forza  del

congiunto disposto degli artt. 4 e 8 n. 17 statuto,  e'  soggetta  la

sua legislazione esclusiva in materia di lavori pubblici provinciali;

e ha violato altresi' la competenza esclusiva dello Stato a porre  la

disciplina di tutela della concorrenza ex art. 117  comma  2  lettera

e).  Si  e'  infatti  ora  dimostrata  l'immediata  incidenza   sulla

concorrenza che ha la disciplina del codice riguardante i casi in cui

le stazioni appaltanti possono ravvisare offerte anomale.

    Da quanto esposto discende infine che la  norma  provinciale  qui

censurata,  in  entrambe  le  sue  disposizioni  limita  la  liberta'

contrattuale delle imprese  partecipanti  di  presentare  le  proprie

offerte. Poiche' l'offerta presentata in una gara  pubblica  ha,  dal

punto di vista privatistico,  natura  di  proposta  contrattuale,  e'

evidente che la normativa impugnata impinge  anche  nella  competenza

esclusiva dello Stato  a  regolare  l'ordinamento  civile,  ai  sensi

dell'art. 117 comma 2 lettera  l)  Cost.  I  limiti  all'esplicazione

dell'autonomia privata nel presentare proposte contrattuali in  forma

di offerte a gare pubbliche  possono  quindi  essere  posti  soltanto

dalla legge dello Stato.  E  la  previsione  per  legge  di  casi  di

anomalia costituisce senza dubbio un limite di tale specie.

    I vizi complessivamente qui denunciati  si  trasmettono  poi  per

derivazione anche ai commi 9 e 18 dell'art. 51 legge  provinciale  n.

18/2011, che rinviano al comma 4 (o meglio, all'art. 30, comma  5-bis

della  legge  provinciale  sui  lavori  pubblici   come   da   questo

modificato).

    8. L'art. 51 comma 12 della  legge  provinciale  n.  18/2011  qui

impugnata prevede: «12. Il  comma  1  dell'articolo  44  della  legge

provinciale sui lavori pubblici e' sostituito dal seguente:

    "1. I  prezzi  di  progetto  devono  essere  conformi  all'elenco

prezzi, previsto dall'articolo 13, vigente alla data di adozione  del

provvedimento a contrarre. In ogni caso,  al  momento  dell'indizione

dell'appalto i prezzi  devono  essere  aggiornati  all'ultimo  elenco

prezzi vigente se il coefficiente medio di rivalutazione  dei  prezzi

previsto dall'articolo 10, comma 2, lettera d), risulta superiore  al

2,5 per cento rispetto all'anno precedente.".».

    Come si vede, la Provincia  ha  subordinato  l'aggiornamento  dei

prezzi di progetto al superamento della percentuale  di  aumento  del

2,5 dei medesimi prezzi, quali risultanti dagli  elenchi  ufficiali,

intervenuto tra la data del provvedimento che delibera di contrarre e

la data del provvedimento di indizione dell'appalto.

    Il principio desumibile dal  codice  dei  contratti  pubblici  si

trova nell'art. 133, comma 8, il quale prevede che  «8.  Le  stazioni

appaltanti provvedono ad aggiornare annualmente  i  propri  prezzari,

con particolare riferimento alle voci  di  elenco  correlate  a  quei

prodotti destinati alle  costruzioni,  che  siano  stati  soggetti  a

significative variazioni di prezzo legate a particolari condizioni di

mercato. I prezzari cessano di avere validita' il 31 dicembre di ogni

anno e possono essere transitoriamente utilizzati fino al  30  giugno

dell'anno  successivo  per  i  progetti  a  base  di  gara   la   cui

approvazione sia intervenuta entro tale data. In caso di inadempienza

da parte dei predetti soggetti, i prezzari possono essere  aggiornati

dalle  competenti  articolazioni  territoriali  del  Ministero  delle

infrastrutture di concerto con le regioni interessate».

    Come si vede, alla stregua del principio statale  l'aggiornamento

dei prezzi posti a base di  gara,  salvo  il  periodo  «di  comporto»

esteso tino al 30 giugno dell'anno successivo, deve essere  continuo.

Si prevede infatti che tutti gli  elenchi  prezzi  cessino  di  avere

validita' con il 31 dicembre dell'anno di riferimento, e  si  prevede

il potere ministeriale  e  regionale  di  surroga  nell'aggiornamento

delle  amministrazioni  appaltanti   inadempienti   all'aggiornamento

continuo su base annuale.

    L'introduzione del  requisito  dell'incremento  minimo  del  2,5

affinche' l'elenco prezzi previgente cessi di avere effetto contrasta

con l'illustrato principio di adeguamento continuo, e  quindi  eccede

dai limiti della  potesta'  legislativa  provinciale  in  materia  di

lavori pubblici provinciali come  delimitata  dall'art.  8  n.  17  e

dall'art. 4 dello statuto.

    La disposizione provinciale in esame  invade  poi  la  competenza

statale esclusiva in materia di ordinamento civile (art.  117,  comma

2, lettera l) Cost.). Essa, infatti, impedisce alle imprese di tenere

conto nelle proprie offerte degli incrementi di costo fino  a  quando

questi non abbiano superato il 2,5 rispetto  all'elenco  vigente  al

momento della deliberazione di contrarre. In tal  modo,  essa  limita

l'autonomia negoziale  relativamente  all'offerta  del  prezzo  della

prestazione dedotta in appalto, e quindi  incide  direttamente  sulla

materia dell'«ordinamento civile»,  essendo  il  prezzo  un  elemento

essenziale di qualsiasi proposta contrattuale.

    9. L'art. 57 comma 4  della  legge  provinciale  n.  18/2011  qui

impugnata  dispone:  «4.  Dopo  l'articolo  86-bis  del  testo  unico

provinciale sulla tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e' inserito

il seguente:

    "Art. 86-ter (Regolarizzazione dello smaltimento di  rifiuti).  -

1. Indipendentemente  dalle  sanzioni  penali  e  amministrative,  lo

smaltimento   di    rifiuti    non    pericolosi    in    difformita'

dall'autorizzazione dell'impianto prevista  dalla  normativa  vigente

puo' essere regolarizzato sotto  l'aspetto  autorizzativo,  da  parte

dell'autorita'  competente,  se  si  verifica  una   delle   seguenti

condizioni:

        a) i rifiuti posseggono i requisiti previsti dalla  normativa

vigente per l'ammissibilita' nella specifica tipologia di impianto,

        b) sia accertato, mediante analisi di rischio, che non esiste

rischio per  l'ambiente  e  la  salute  pubblica  in  relazione  alla

destinazione  urbanistica  dell'area  interessata;  in  tal  caso  la

prosecuzione    dell'esercizio    dell'impianto    e'     subordinata

all'osservanza  delle  prescrizioni,  anche  di  adeguamento   e   di

conformazione, stabilite dal provvedimento autorizzativo.

    2. Se e' attivata la regolarizzazione autorizzativa ai sensi  del

comma 1 l'autorita' competente, anche su richiesta  dell'interessato,

sospende gli effetti del  provvedimento  ripristinatorio  emanato  ai

sensi della parte III o delle  disposizioni  da  essa  richiamate  ed

eventualmente revoca il provvedimento alla conclusione  positiva  del

procedimento di regolarizzazione.

    3. Questo articolo si  applica  anche  alle  violazioni  commesse

prima della sua entrata in vigore, se sussistono  le  condizioni  per

attivare la regolarizzazione autorizzativa.".».

    In sostanza, con la disposizione ora riportata  la  Provincia  ha

introdotto una sanatoria per le violazioni  commesse  in  materia  di

smaltimento di rifiuti non pericolosi,  consentendo  l'autorizzazione

«a posteriori» di attivita' svolte in carenza del  prescritto  titolo

autorizzativo;  in  particolare,  si  tratta   dell'esercizio   senza

autorizzazione di impianti di smaltimento (discariche e simili).

    La disciplina provinciale contrasta chiaramente  con  l'art.  117

comma 1 Cost. nella parte in cui subordina l'esercizio della potesta'

legislativa anche delle province autonome  al  rispetto  dei  vincoli

comunitari, e con l'art. 117 comma 2 lettera s) nella  parte  in  cui

attribuisce alla competenza statale esclusiva la disciplina a  tutela

dell'ambiente e dell'ecosistema.

    Dal punto di vista comunitario rilevano le  direttive  2008/98/CE

in materia di rifiuti,  e  2008/1/CE  in  materia  di  prevenzione  e

riduzione dell'inquinamento.

    L'art.  23  della  direttiva  2008/98/CE  dispone  che  «Art.  23

(Rilascio delle Autorizzazioni).

    1. Gli Stati membri impongono a  qualsiasi  ente  o  impresa  che

intende  effettuare  il   trattamento   dei   rifiuti   di   ottenere

l'autorizzazione  dell'autorita'  competente.   Tali   autorizzazioni

precisano almeno quanto segue:

        a) i tipi e i quantitativi  di  rifiuti  che  possono  essere

trattati;

        b) per ciascun tipo di operazione  autorizzata,  I  requisiti

tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato;

        c) le misure precauzionali e di sicurezza da prendere;

        d) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione;

        e) le operazioni  di  monitoraggio  e  dl  controllo  che  si

rivelano necessarie;

        f) le disposizioni relative alla chiusura e  agli  interventi

ad essa successivi che si rivelano necessarie.

    2. Le autorizzazioni  possono  essere  concesse  per  un  periodo

determinato ed essere rinnovate.

    3. L'autorita' competente nega l'autorizzazione  qualora  ritenga

che il metodo di trattamento previsto sia inaccettabile dal punto  di

vista della protezione dell'ambiente, in particolare quando  non  sia

conforme all'articolo 13.

    4.   Le   autorizzazioni   concernenti   l'Incenerimento   o   il

coincenerimento  con  recupero  di  energia  sono  subordinate   alla

condizione  che  il  recupero  avvenga  con  un  livello  elevato  di

efficienza energetica.

    5. A condizione che le prescrizioni del presente  articolo  siano

rispettate,  l'autorizzazione  rilasciata  in  virtu'   di   un'altra

normativa  nazionale  o  comunitaria  puo'   essere   combinata   con

l'autorizzazione di cui al paragrafo 1  in  un'unica  autorizzazione,

qualora tale formato permetta  di  evitare  una  ripetizione  inutile

delle  Informazioni  e  dei  lavori   effettuati   dall'operatore   o

dall'autorita' competente.».

    L'art.   24   prevede:   «Art.   24   (Deroghe   all'obbligo   di

autorizzazione).

    Gli  Stati  membri  possono  dispensare   dall'obbligo   di   cui

all'articolo 23, paragrafo 1, gli enti o le imprese che effettuano le

seguenti operazioni:

        a) smaltimento dei propri rifiuti non pericolosi  nei  luoghi

di produzione; o

        b) recupero dei rifiuti.».

    L'art. 25 prevede: «Art. 25 (Condizioni delle deroghe).

    1. Gli Stati membri che intendono autorizzare una deroga a  norma

dell'articolo 24 adottano, per  ciascun  tipo  dl  attivita',  regole

generali che stabiliscano i tipi e  i  quantitativi  di  rifiuti  che

possono essere oggetto di deroga, nonche' il metodo di trattamento da

utilizzare. Tali regole sono finalizzate a garantire  un  trattamento

dei rifiuti conforme all'articolo 13. Nel caso  delle  operazioni  di

smaltimento  di  cui  all'articolo  24,  lettera  a),   tali   regole

dovrebbero tenere in considerazione le migliori tecniche disponibili.

    2. Oltre alle regole generali di cui al paragrafo  1,  gli  Stati

membri stabiliscono condizioni specifiche per le deroghe  riguardanti

i rifiuti pericolosi, compresi i tipi  di  attivita',  e  ogni  altra

prescrizione necessaria per procedere alle varie forme di recupero e,

se del caso, i valori limite per il contenuto di sostanze  pericolose

presenti nei rifiuti nonche' i valori limite di emissione.

    3.  Gli  Stati  membri  informano  la  Commissione  delle  regole

generali adottate in applicazione dei paragrafi 1 e 2.».

    L'art. 36 prevede: «Art. 36 (Applicazione e sanzioni).

    1. Gli Stati membri adottano le  misure  necessarie  per  vietare

l'abbandono, lo scarico e la gestione incontrollata del rifiuti.

    2.  Gli  Stati  membri  emanano  le  disposizioni  relative  alle

sanzioni da irrogare in caso di violazione delle  disposizioni  della

presente  direttiva  e  adottano  tutte  le  misure  necessarie   per

assicurarne  l'applicazione.  Le  sanzioni  previste  sono  efficaci,

proporzionate e dissuasive.».

    L'art.   4   della   direttiva   1/2008/CE   prevede:   «Art.   4

(Autorizzazione di nuovi impianti).

    Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire  che

nessun nuovo impianto funzioni senza autorizzazione,  a  norma  della

presente direttiva, fatte salve le eccezioni previste dalla direttiva

2001/80/CE del Parlamento europeo e del  Consiglio,  del  23  ottobre

2001, concernente la limitazione delle  emissioni  nell'atmosfera  di

taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione.».

    Si vede quindi che le direttive comunitarie di settore  impongono

senza  possibili  eccezioni  (salvo  i  limitati   casi   considerati

dall'art. 24 della  direttiva  2008/98/CE)  che  tutte  le  attivita'

inerenti  alla  gestione  del  ciclo   dei   rifiuti,   compreso   lo

smaltimento,  siano  soggette  ad   autorizzazione   preventiva   che

verifichi il possesso da parte dell'operatore dei  requisiti  tecnici

necessari allo svolgimento dell'attivita'. Esse prevedono poi che  il

sistema sia presidiato da sanzioni efficaci e dissuasive.

    La sanatoria prevista dalla norma provinciale  in  esame  per  le

attivita' di smaltimento non autorizzate contrasta  frontalmente  con

questi semplici principi.

    Da un  lato,  la  previsione  di  una  sanatoria  sostanzialmente

generalizzata, perche' basata sul riscontro a posteriori (magari dopo

anni) del fatto che i rifiuti smaltiti siano conformi ai  criteri  di

autorizzazione allo smaltimento di rifiuti non pericolosi, e che  non

vi sia  rischio  ambientale,  vanifica  l'efficacia  delle  sanzioni.

L'accertamento che nella  discarica  non  autorizzata  furono  sempre

smaltiti  rifiuti  «conformi»  puo'  rivelarsi  infatti  impossibile,

soprattutto nei casi in cui lo smaltimento abusivo si  sia  protratto

per lungo tempo; e d'altra parte l'assenza di rischio  ambientale  e'

circostanza  irrilevante,  poiche'  tale   assenza   costituisce   un

presupposto permanente  di  qualsiasi  attivita'  di  smaltimento  di

rifiuti, anche di  quelle  autorizzate,  che  ben  possono  venire  a

determinare un rischio ambientale per effetto  di  sopravvenienze  di

fatto successive all'autorizzazione.

    Dall'altro,  come  appena  detto,  si  tratta  di  una  sanatoria

sostanzialmente  generalizzata,  perche'  i   criteri   «restrittivi»

previsti per concederla lo sono solo in apparenza, ma in realta'  non

garantiscono  affatto  che   nella   discarica   o   altro   impianto

abusivamente attivato non siano mai stati smaltiti rifiuti pericolosi

o  comunque  non  conformi.  La  procedura   prevista   dalla   norma

provinciale e' quindi inidonea ad assicurare il soddisfacimento degli

interessi pubblici ai quali il  sistema  autorizzativo  voluto  dalle

direttive illustrate e' informato.

    Oltre al contrasto con i vincoli comunitari, sussiste, come si e'

premesso, la violazione della competenza statale esclusiva in materia

di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.

    Il d.lgs. n. 152/2006 negli artt. 208 e ss.  ha  dato  attuazione

alle direttive comunitarie sopra illustrate, prevedendo  in  perfetta

conformita'  al   dettato   di   esse   l'obbligo   inderogabile   di

autorizzazione  integrata  ambientale  preventiva.   E'   sufficiente

riportare  l'art.  208  comma  1,   giusta   il   quale   «Art.   208

(Autorizzazione unica per  i  nuovi  impianti  di  smaltimento  e  di

recupero dei rifiuti).

    1. I soggetti che intendono realizzare e gestire  nuovi  impianti

di smaltimento o di recupero di  rifiuti,  anche  pericolosi,  devono

presentare apposita domanda alla regione competente  per  territorio,

allegando il progetto definitivo dell'impianto  e  la  documentazione

tecnica prevista per  la  realizzazione  del  progetto  stesso  dalle

disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di

salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica.  Ove  l'impianto

debba essere sottoposto alla  procedura  di  valutazione  di  impatto

ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda e' altresi'

allegata la comunicazione del progetto  all'autorita'  competente  ai

predetti fini; i termini di cui ai commi 3 e 8 restano  sospesi  fino

all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilita'  ambientale  ai

sensi della parte seconda del presente decreto.».

    Codesta Corte in materia ha gia' chiarito (sent. n. 249/2009) che

«la disciplina dei rifiuti si colloca, per giurisprudenza  di  questa

Corte, nell'ambito della tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema,  di

competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117,  secondo  comma,

lettera s), Cost.,  anche  se  interferisce  con  altri  interessi  e

competenze, di modo che  deve  intendersi  riservato  allo  Stato  il

potere di fissare livelli di tutela uniforme  sull'intero  territorio

nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni  alla  cura  di

interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali

(ex multis, sentenze n. 62 del 2008).

    Pertanto, anche nel settore dei  rifiuti,  accanto  ad  interessi

inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente, possono venire in

rilievo  interessi  sottostanti  ad  altre  materie,   per   cui   la

"competenza statale non esclude la concomitante possibilita'  per  le

Regioni di intervenire [...]", ovviamente nel  rispetto  dei  livelli

uniformi di tutela apprestati dallo Stato (sentenza n. 62  del  2005,

altresi', sentenze n. 247 del 2006, n. 380 e n. 12 del 2007).

    La disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio  di  tale

competenza esclusiva dello Stato, viene a funzionare come  un  limite

alla disciplina che le Regioni e  le  Province  autonome  dettano  in

altre materie di loro competenza, per cui queste ultime  non  possono

in alcun modo peggiorare il livello di  tutela  ambientale  stabilito

dallo Stato (sentenza n. 378 del 2007).».

    Pare evidente, nel caso  in  esame,  che  la  previsione  di  una

sanatoria delle piu'  gravi  violazioni  del  sistema  autorizzatorio

(quale  l'esercizio  non  autorizzato  di  impianti  di  smaltimento)

peggiora il livello di tutela assicurato dalla normativa  statale,  e

non fa emergere alcun apprezzabile interesse provinciale rispetto  al

quale  la  disposizione  qui  impugnata  possa   essere   considerata

«funzionale».

    La disciplina provinciale in esame invade quindi indebitamente la

sfera esclusiva di cui all'art. 117  comma  2  lettera  s),  e  nella

sostanza, viste le sue caratteristiche di  sanatoria  sostanzialmente

indiscriminata,  viola  comunque  anche  il   principio   di   tutela

dell'ambiente desumibile dall'art. 9 Cost.

    10. L'art. 57 comma 5 della  legge  provinciale  n.  18/2011  qui

impugnata  dispone:  «5.  Dopo  l'articolo  86-ter  del  testo  unico

provinciale sulla tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e' inserito

il seguente:

    "Art. 86-quater (Regolarizzazione della gestione di terre e rocce

da scavo).

    1. Indipendentemente dalle sanzioni penali e  amministrative,  la

gestione delle terre e rocce da scavo effettuata in difformita' dalle

direttive della Provincia emanate ai sensi  delle  norme  provinciali

vigenti per l'applicazione dell'articolo 186 del decreto  legislativo

n. 152 del 2006, purche'  sia  rispettata  la  normativa  statale  in

materia, puo' essere oggetto di  regolarizzazione  autorizzativa,  ai

sensi dell'articolo 84, da  parte  dell'Agenzia  provinciale  per  la

protezione dell'ambiente se:

        a) trattandosi di difformita'  consistenti  in  irregolarita'

rispetto a obblighi formali o documentali previsti  unicamente  dalla

disciplina provinciale, il  soggetto  interessato  comprovi  di  aver

successivamente adempiuto a tali obblighi;

        b) trattandosi di  difformita'  diverse  da  quelle  indicate

nella lettera a),  sia  accertato  -  mediante  analisi  di  rischio,

effettuata  sulla  base  della  caratterizzazione  prevista   per   i

sottoprodotti - che non esiste rischio per  l'ambiente  e  la  salute

pubblica; in  tal  caso  l'arca  interessata,  compresi  i  risultati

dell'analisi  di  rischio,  e'  indicata   in   un'apposita   sezione

dell'anagrafe dei siti da bonificare.

    2. Se e' attivata la regolarizzazione autorizzativa ai sensi  del

comma 1, l'autorita' competente, anche su richiesta dell'interessato,

sospende gli effetti del  provvedimento  ripristinatorio  emanato  ai

sensi della parte III o delle  disposizioni  da  essa  richiamate  ed

eventualmente revoca il provvedimento alla conclusione  positiva  del

procedimento di regolarizzazione.

    3. La  regolarizzazione  autorizzativa  ai  sensi  del  comma  1,

lettera a),  esclude  l'applicazione  del  tributo  speciale  per  il

deposito in discarica e per altre forme di smaltimento dei rifiuti ed

estingue i relativi procedimenti eventualmente in corso.

    4. Quest'articolo si applica anche alle violazioni commesse prima

della sua entrata in vigore, se sussistono le condizioni per attivare

la regolarizzazione autorizzativa, salvo,  per  quanto  previsto  dal

comma 3, che il provvedimento di accertamento dell'imposta  dovuta  o

di irrogazione, delle relative sanzioni sia divenuto definitivo.".».

    Come e' evidente, con la disposizione riportata la  Provincia  ha

introdotto per lo specifico settore dello smaltimento delle  terre  e

rocce di scavo una sanatoria del tutto analoga  a  quella  introdotta

con la disposizione  di  cui  al  motivo  precedente  in  materia  di

smaltimento di rifiuti non pericolosi.

    A questo riguardo e' sufficiente ricordare che l'art. 186,  comma

5, d.lgs. n. 152/2006 prevede che «5. Le  terre  e  rocce  da  scavo,

qualora non utilizzate  nel  rispetto  delle  condizioni  di  cui  al

presente articolo, sono sottoposte alle disposizioni  in  materia  di

rifiuti di cui alla parte quarta del presente decreto.».

    Anche le terre e rocce da scavo, quindi, costituiscono  in  linea

di principio dei rifiuti, e per la gestione e lo smaltimento di  esse

debbono valere le medesime regole di tutela e di distribuzione  delle

competenze normative illustrate nel motivo che precede.

    Una sanatoria indifferenziata come quella  ipotizzata  nel  comma

qui in esame, integra quindi le medesime violazioni gia' denunciate a

proposito  del  comma  precedente.  Richiamate   integralmente   tali

censure, qui si aggiunge nello specifico che si tratta  di  sanatoria

indifferenziata perche' la distinzione tra violazioni «documentali  o

formali» e violazioni «sostanziali» su cui la disposizione si basa e'

generica e priva di criteri applicativi. Non si comprende quindi alla

luce  di  quali  regole  dovrebbe  esplicarsi   la   discrezionalita'

dell'amministrazione nel qualificare come «documentale o formale»,  o

invece come «sostanziale»,  una  violazione  di  cui  e'  chiesta  la

regolarizzazione. In definitiva, tale discrezionalita' e' destinata a

rimanere  incontrollata,  il  che,  considerata  la  gravita'   delle

conseguenze (se una violazione  viene  qualificata  come  «formale  o

documentale» la sanatoria viene concessa  senza  alcuna  verifica  di

rischio ambientale),  comporta  senza  dubbio  un  peggioramento  del

livello di tutela fissato dalla legge dello Stato,  non  giustificato

da apprezzabili interessi provinciali a cui la disposizione in  esame

possa essere considerata «funzionale».

    Quanto alle violazioni  comunque  qualificate  «sostanziali»,  si

deve poi ribadire anche a loro  proposito  che  la  previsione  della

previa  analisi  di  rischio  per  concedere  la   sanatoria   appare

irrilevante, poiche' l'insussistenza di  rischio  ambientale  e'  una

condizione preliminare che deve sussistere sempre anche in  relazione

alle attivita' autorizzate.

    Le terre e  rocce  da  scavo  costituiscono  rifiuti  anche  alla

stregua della Direttiva 2008/98/CE. Questa infatti  nel  considerando

14 e nell'art. 7 rinvia all'elenco dei rifiuti di cui alla  Decisione

della  Commissione  2000/532/CE,  la  quale  contiene   la   seguente

definizione:

        17 05 -  terra  (compreso  il  terreno  proveniente  da  siti

contaminati), rocce e fanghi di dragaggio

        17 05 03* - terra e rocce, contenenti sostanze pericolose

        17 05 04 - terra e rocce, diverse da quelle di cui alla  voce

17 05 03

        17  05  05*  -  fanghi  di  dragaggio,  contenente   sostanze

pericolose

        17 05 06 - fanghi di dragaggio, diversa da quella di cui alla

voce 17 05 05

        17 05 07* - pietrisco per massicciate ferroviarie, contenente

sostanze pericolose

        17 05 08 - pietrisco per massicciate ferroviarie, diverso  da

quello di cui alla voce 17 05 07

    Prevedere  sanatorie  in  materia  di  terre  e  rocce  da  scavo

abusivamente smaltite contrasta quindi anche con l'art. 117, comma  1

Cost. nella parte in cui sottopone  la  legislazione  delle  province

autonome  al  rispetto   dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento

comunitario.

    Nell'ambito  del  precedente  motivo,  con  argomenti   che   qui

integralmente si  richiamano,  si  sono  illustrate  le  norme  della

direttiva 2008/98/CE (artt. 23, 24, 25, 36)  dalle  quali  si  desume

l'inammissibilita' dal punto di vista dell'ordinamento comunitario di

sanatorie in materia di  gestione  non  autorizzata  dei  rifiuti  di

qualsiasi natura.

    Anche la disposizione provinciale  qui  esaminata  dovra'  quindi

essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

    11. L'art. 77 della legge provinciale n.  18/2011  qui  impugnata

dispone: «Modificazione dell'articolo 8-bis della  legge  provinciale

31 agosto 1987, n. 18,  in  materia  di  funzionamento  dell'Istituto

timbro.

    1. Dopo il comma 1 dell'articolo 8-bis della legge provinciale n.

18 del 1987 e' inserito il seguente:

    "1-bis. Lo statuto puo' prevedere che le  funzioni  di  direttore

possano essere affidate con incarico  a  tempo  determinato,  per  la

durata in  carica  del  consiglio  di  amministrazione,  a  personale

dell'ente oppure a personale messo a disposizione dalla  Provincia  o

dai sui enti funzionali. L'incarico puo'  essere  conferito  anche  a

persone non in  possesso  dei  requisiti  richiesti  dalla  normativa

provinciale  per  ricoprire  l'incarico  di  dirigente,  purche'   in

possesso di professionalita' e attitudine alla direzione.".».

    Premesso  che  le  finalita'  dell'Istituto  cimbro  di   Luserna

riguardano la salvaguardia, la promozione  e  la  valorizzazione  del

patrimonio etnografico e culturale della  minoranza  germanofona  del

comune  di  Luserna,  con  particolare  attenzione  alle  espressioni

storiche e linguistiche, alla tutela dell'ambiente ed  allo  sviluppo

economico-culturale del territorio di  insediamento  della  comunita'

cimbra, si deve rilevare l'evidente  contrasto  della  previsione  in

questione con i principi  generali  dell'ordinamento  in  materia  di

dirigenza pubblica.

    La disposizione riportata, nella parte in cui consente che  venga

nominato  direttore  dell'Istituto  anche  un  soggetto   privo   dei

requisiti per la nomina a  dirigente,  purche'  in  possesso  di  non

meglio determinate «professionalita' e  attitudine  alla  direzione»,

contrasta con i principi desumibili dagli art. 19 comma 6 e 28 d.lgs.

n. 165/2001. Nell'art. 19 comma 6 si prevede: «6.  Gli  incarichi  di

cui ai  commi  da  1  a  5  possono  essere  conferiti,  da  ciascuna

amministrazione, entro il limite del 10  per  cento  della  dotazione

organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia  dei  ruoli  di

cui all'articolo 23 e dell'8 per cento della  dotazione  organica  di

quelli appartenenti alla  seconda  fascia,  a  tempo  determinato  ai

soggetti indicati dal presente comma. La durata  di  tali  incarichi,

comunque,  non  puo'  eccedere,  per  gli   incarichi   di   funzione

dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre  anni,  e,  per

gli altri incarichi di finzione dirigenziale  il  termine  di  cinque

anni.   Tali   incarichi   sono   conferiti,   fornendone   esplicita

motivazione, a persone di  particolare  e  comprovata  qualificazione

professionale, non rinvenibile nei  ruoli  dell'Amministrazione,  che

abbiano svolto attivita' in organismi  ed  enti  pubblici  o  privati

ovvero aziende pubbliche  o  private  con  esperienza  acquisita  per

almeno  un  quinquennio  in  funzioni  dirigenziali,  o  che  abbiano

conseguito una particolare specializzazione professionale,  culturale

e   scientifica   desumibile   dalla   formazione   universitaria   e

postuniversitaria,  da  pubblicazioni  scientifiche  e  da   concrete

esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso

amministrazioni statali, ivi comprese  quelle  che  conferiscono  gli

incarichi,  in  posizioni  funzionali  previste  per  l'accesso  alla

dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della  docenza

universitaria, delle  magistrature  e  dei  ruoli  degli  avvocati  e

procuratori  dello  Stato.  Il  trattamento  economico  puo'   essere

integrato da una indennita' commisurata alla specifica qualificazione

professionale, tenendo conto della temporaneita' del rapporto e delle

condizioni   di   mercato   relative   alle   specifiche   competenze

professionali. Per il periodo di durata dell'incarico,  i  dipendenti

delle pubbliche amministrazioni sono collocati in  aspettativa  senza

assegni, con riconoscimento dell'anzianita' di servizio».

    Nell'art. 28 si prevede  che  per  l'accesso  alla  dirigenza  di

seconda fascia (fascia iniziale) sia necessario il  possesso  per  lo

meno del diploma di laurea.

    La  generica  previsione  della  disposizione   provinciale   qui

impugnata,  con  l'oscuro   riferimento   alla   professionalita'   e

all'attitudine alla  direzione,  non  garantisce  ovviamente  che  la

persona designata integri i requisiti di capacita'  e  di  esperienza

che l'art. 19, comma 6,  d.lgs.  n.  165/2001  fissa  con  chiarezza,

facendo riferimento a pregresse attivita' dirigenziali, a  comprovata

specializzazione professionale derivante da formazione universitaria,

alla produzione scientifica.

    La disposizione impugnata eccede quindi i limiti  della  potesta'

legislativa esclusiva  provinciale  in  materia  di  personale  della

Provincia e degli enti correlati, che l'art. 8 n.  1  statuto  (norma

violata) vincola comunque, rinviando all'art. 8 dello statuto stesso,

al rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento statale, quali

risultanti dalle riportate disposizioni del d.lgs. n. 165/2001.

    In ogni caso, consentendo che  persone  non  dotate  di  adeguata

preparazione  ed  esperienza,  vengano  preposte   ad   un   incarico

dirigenziale, la disposizioni impugnata viola palesemente gli artt. 3

e 97 della Costituzione sotto i profili della ragionevolezza,  intesa

come congruita' tra disciplina dettata  e  finalita'  perseguita  (la

mera richiesta di professionalita' e attitudine  alla  direzione  non

idonea a perseguire  la  finalita'  di  assicurare  all'Istituto  una

direzione    efficiente),    e     della     buona     organizzazione

dell'amministrazione (che presuppone, come e' ovvio, innanzitutto  la

qualificazione professionale adeguata di chi e' preposto  ai  compiti

dirigenziali).

 

 

                               P.Q.M.

 

    Cio' premesso, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  come

sopra rapp.to e difeso ricorre a codesta Ecc.ma Corte  costituzionale

affinche'  voglia  dichiarare   per   i   motivi   sopra   illustrati

l'illegittimita' costituzionale della legge provinciale  27  dicembre

2011, n. 18, pubblicata sul BUR n. 52 del 28 dicembre  2011,  recante

«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale

2012-2014 della  Provincia  autonoma  di  Trento  (legge  finanziaria

2012), relativamente alle seguenti disposizioni:  art.  9,  comma  5;

art. 16, comma 1; art. 17, comma 1; art. 21, comma 11; art. 27, comma

4; art. 27, comma 6 lettera c); art. 51, commi 4, 5  lettera  a),  9,

12, 18; 57 commi 4 e 5; 77.

    Si producono la  delibera  del  Consiglio  dei  ministri  del  14

febbraio 2012 (in  copia  autentica  e  per  estratto),  e  la  legge

provinciale impugnata.

        Roma, 27 febbraio 2012

 

                   L'avvocato dello Stato: Gentili

  

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