ricorso n. 58 del 6 maro 2012 (Presidente del Consiglio dei Ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 6 marzo 2012 (del Presidente del Consiglio dei
ministri).
(GU n. 18 del 02.05.2012 )
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso cui e'
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Contro Provincia Autonoma di Trento in persona del Presidente pro
tempore della Giunta provinciale per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale della legge provinciale 27 dicembre
2011, n. 18, pubblicata sul BUR n. 52 del 28 dicembre 2011, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
2012-2014 della Provincia autonoma di Trento (legge finanziaria
2012), relativamente alle seguenti disposizioni: art. 9, comma 5;
art. 16, comma 1; art. 17, comma 1; art. 21, comma 11; art. 27, comma
4; art. 27, comma 6, lettera c.); art. 51, commi 4, 5 lettera a), 9,
12, 18; 57 commi 4 e 5: 77 (delibera del Consiglio dei ministri del
14 febbraio 2012).
1. L'art. 9 comma 5 della legge provinciale di Trento n. 18/2011
(legge finanziaria provinciale 2012) dispone: «5. L'aliquota
dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita' civile
derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i
ciclomotori, al netto del contributo previsto dall'articolo 18, comma
1, lettera a), della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni
concernenti il fondo di solidarieta' per le vittime delle richieste
estorsive e dell'usura), e' ridotta di tre punti percentuali per i
versamenti effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2012.».
L'art. 17 commi 1 e 2 d.lgs. n. 68/2011, recante norme
sull'autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario, dispone:
«1. A decorrere dall'anno 2012 l'imposta sulle assicurazioni contro
la responsabilita' civile derivante dalla circolazione dei veicoli a
motore, esclusi i ciclomotori, costituisce tributo proprio derivato
delle province. Si applicano le disposizioni dell'articolo 60, commi
1, 3 e 5, del citato decreto legislativo n. 446 del 1997.
2. L'aliquota dell'imposta di cui al comma 1 e' pari al 12,5 per
cento. A decorrere dall'anno 2011 le province possono aumentare o
diminuire l'aliquota in misura non superiore a 3,5 punti
percentuali.».
Originariamente nell'art. 17 ora citato figurava anche un comma 5
del seguente tenore: «5. La decorrenza e le modalita' di applicazione
delle disposizioni di cui al presente articolo nei confronti delle
province ubicate nelle regioni a statuto speciale e delle province
autonome sono stabilite, in conformita' con i relativi statuti, con
le procedure previste dall'articolo 27 della citata legge n. 42 del
2009.».
Tale comma e' stato tuttavia abrogato dall'art. 28, comma 11-bis,
d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 dicembre 2011, n. 214.
La disciplina delle aliquote dell'imposta sulle assicurazioni
contro la responsabilita' civile per la circolazione automobilistica
e' quindi tuttora regolata dall'art. 60, commi 1, 3 e 5 del d.lgs. n.
446/1997, i quali dispongono: «1. Il gettito dell'imposta sulle
assicurazioni contro la responsabilita' civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, al netto
del contributo di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del
decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito, con
modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172, e' attribuito
alle provincie dove hanno sede i pubblici registri automobilistici
nei quali i veicoli sono iscritti ovvero, per le macchine agricole,
alle province nel cui territorio risiede l'intestatario della carta
di circolazione.
3. Con decreti del Ministro delle finanze, di concerto con i
Ministri dell'interno e del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica, nonche' del Ministro dell'industria, del
commercio e dell'artigianato limitatamente alle previsioni di cui al
comma 1, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto, sono stabilite le modalita' per
l'assegnazione alle provincie delle somme ad esse spettanti a norma
del comma 1, salvo quanto disposto nel comma 4.
5. Le disposizioni del presente articolo hanno effetto dal 1°
gennaio 1999 e si applicano con riferimento all'imposta dovuta sui
premi ed accessori incassati a decorrere dalla predetta data».
L'art. 17 commi 1 e 2 d.lgs. n. 68/2011, dunque, non richiama il
comma 4 dell'art. 60 d.lgs. n. 446/1997 ora citato, giusta il quale
«4. Le regioni Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Valle
d'Aosta, nonche' le province autonome di Trento e di Bolzano
provvedono, in conformita' dei rispettivi statuti, all'attuazione
delle disposizioni del comma 1; contestualmente sono disciplinati i
rapporti finanziari tra lo Stato, le autonomie speciali e gli enti
locali al fine di mantenere il necessario equilibrio finanziario.».
Dal mancato richiamo al comma 4 dell'art. 60 d.lgs. n. 446/1997,
e dall'abrogazione dell'originario comma 5 dell'art. 17 d.lgs. n.
68/2011 si ricava quindi che il legislatore statale ha inteso
disciplinare, sotto il profilo della possibilita' di aumentarne o
diminuirne le aliquote, l'imposta in questione soltanto relativamente
alle Regioni a statuto ordinario, e piu' precisamente relativamente
alla provincie in queste comprese.
Secondo un tipico procedimento di finanza derivata, infatti, il
tributo in questione e' istituito con legge dello Stato e il suo
gettito e' dalla stessa legge statale attribuito agli enti locali
destinatari (le province delle regioni a statuto ordinario); in
questo contesto, la legge statale consente a tali enti locali di
variare entro limiti predeterminati le aliquote dell'imposta.
Questo meccanismo non e' stato esteso alle regioni a statuto
speciale e alle province autonome. In considerazione della
particolare autonomia finanziaria di cui questi enti sono titolari,
la legge statale (art. 60 comma 5 d.lgs. n. 446/1997) prevede che
essi, fino a quando i loro rapporti finanziari con lo Stato non
saranno regolati in modo da assicurare il necessario equilibrio,
rimangano titolari del gettito dell'imposta, come previsto dal comma
1 dell'art. 60 cit., senza poter intervenire sulle aliquote.
La disposizione dell'art. 9 comma 5 della legge provinciale
impugnata, invece, riduce unilateralmente di tre punti l'aliquota
dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita' civile.
In tal modo essa contrasta con l'attuale assetto del
coordinamento tra la finanza statale e la finanza delle regioni a
statuto speciale e province autonome, quale delineato dalle
disposizioni statali sopra illustrate. Interventi sulle aliquote ad
iniziativa provinciale saranno infatti possibili solo quando, e a
condizione che, siano contestualmente regolati i complessivi rapporti
finanziari tra lo Stato e tali enti territoriali.
Cio' comporta la violazione innanzitutto dell'art. 73, comma
1-bis dello Statuto provinciale adottato con d.P.R. n. 670/1972, il
quale dispone che «1-bis. Le province, relativamente ai tributi
erariali per i quali lo Stato ne prevede la possibilita', possono in
ogni caso modificare aliquote e prevedere esenzioni, detrazioni e
deduzioni purche' nei limiti delle aliquote superiori definite dalla
normativa statale».
Si e' visto infatti che nella fattispecie la legge statale non
consente alle province autonome di Trento e Bolzano di modificare le
aliquote dell'imposta in questione. Il che, del resto, e' coerente
con la previsione dell'art. 75, lettere a) e g) dello Statuto, giusta
la quale spettano alle province autonome i nove decimi del gettito
dell'imposta. Ridurre unilateralmente l'aliquota da parte della
Provincia, comporta quindi che venga ridotto anche il gettito del
decimo di spettanza statale; cio' che non e' consentito appunto fino
a quando non sia stato compiutamente disciplinato il coordinamento
della finanza statale e di quella delle province autonome.
La disposizione provinciale impugnata viola poi l'art. 117, comma
2, lettera e) Cost., nella parte in cui riserva alla competenza
statale esclusiva la disciplina del sistema tributario dello Stato:
la disposizione impugnata modifica infatti l'aliquota di un'imposta
statale al di fuori dei limiti consentiti dalla legislazione statale
stessa. E viola l'art. 117 comma 3 Cost. nella parte in cui prevede
che rientri nella legislazione concorrente il coordinamento della
finanza pubblica ai vari livelli di Governo: la Provincia e' infatti
intervenuta sulla materia prima che venissero dettate le norme di
coordinamento prefigurate dall'art. 60, comma 4, d.lgs. n. 446/1997,
e comunque in contrasto con i principi che attualmente la
legislazione statale detta in materia di coordinamento tra Stato e
Regioni a statuto speciale e provincie autonome in materia di
aliquote dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita'
civile automobilistica. Si e' infatti visto che tali principi
attualmente escludono un potere regionale o provinciale di intervento
normativo sulle aliquote.
Proprio in materia di agevolazioni fiscali incidenti su imposta
regolate da legge dello Stato (li', credito di imposta; qui,
riduzione di tre punti dell'aliquota) introdotte con legge da regioni
a statuto speciale, codesta Corte ha recentemente chiarito (sent. n.
30/2012) che «La giurisprudenza costituzionale ha, anche
recentemente, sottolineato che "allo stato attuale della normativa
regionale, non risultano sussistere tributi regionali propri (nel
senso di tributi istituiti e disciplinati dalla Regione) che possano
essere considerati ai fini dell'agevolazione in questione", e,
quindi, "deve ritenersi che detta agevolazione si riferisce a tributi
erariali, compresi i tributi regionali cosiddetti derivati, cioe'
[...] istituiti e disciplinati con legge statale, il cui gettito sia
attribuito alle Regioni" (sentenza n. 123 del 2010).
Da tale considerazione, essendo "innegabile che la previsione di
un'agevolazione tributaria nella firma del credito di imposta
applicabile a tributi erariali costituisce un'integrazione della
disciplina dei medesimi tributi erariali" (sentenza n. 123 del 2010),
deriva l'affermazione della illegittimita' costituzionale della
disposizione in scrutinio per violazione dell'art. 117, secondo
comma, lettera e), della Costituzione, dato che, in assenza di
specifica autorizzazione contenuta in una legge statale, detta
normativa viene a violare la competenza accentrata in materia di
"sistema tributario dello Stato". Infatti "la disposizione censurata,
non limitando in maniera espressa l'efficacia dell'agevolazione
fiscale all'ambito dei soli tributi regionali, consente
l'applicazione di detta agevolazione, nella forma del credito
d'imposta, anche ai tributi statali".
Si tratta di una affermazione che, anche se espressa in una
sentenza relativa ad una Regione a statuto ordinario, si estende a
tutti quei tributi statali che, ai sensi dell'art. 8 dello statuto di
autonomia della Sardegna, costituiscono una sua entrata, in quanto
una loro modifica esula dalle competenze legislative attribuite alla
Regione ai sensi degli artt. 3 e 4 del medesimo statuto.».
La disposizione denunciata va quindi dichiarata
costituzionalmente illegittima.
2. L'art. 16, comma 1 della legge provinciale n. 18/2011 dispone:
«1. Ai sensi dell'articolo 63 della legge provinciale 3 aprile 1997,
n. 7 (legge sul personale della Provincia), la spesa sui bilanci
degli esercizi finanziari 2012, 2013 e 2014 per tutto il personale
appartenente al comparto autonomie locali e al comparto ricerca e'
fissata in 218.266.010 euro per l'anno 2012, in 218.266.010 euro per
l'anno 2013 e in 218.266.010 euro per l'anno 2014 e per gli anni
successivi. Questa spesa e' aumentata delle somme previste
dall'articolo 3, comma 2, della legge provinciale n. 27 del 2010.
Nella spesa non rientrano gli oneri relativi al personale assunto con
contratto di diritto privato per la realizzazione di lavori,
interventi o attivita' sulla base di particolari norme di settore.».
Questa previsione va coordinata con l'art. 63 comma 1, legge
provinciale 28 marzo 2009, n. 2 (Assestamento del bilancio annuale
2009 e pluriennale 2009-2011), secondo cui «1. Ferma restando la
dotazione complessiva di personale stabilita dall'articolo 58, anche
allo scopo di garantire, con caratteri di adeguatezza e di
continuita', il regolare espletamento delle finzioni svolte dalle
strutture provinciali previste dall'articolo 28, comma 1, della legge
provinciale n. 3 del 2006, e in particolare delle funzioni svolte da
soggetti con contratto di collaborazione ai sensi dell'articolo
39-duodecies della legge sui contratti e sui beni provinciali, la
Provincia puo' procedere, mediante concorsi pubblici per titoli ed
esami, all'assunzione di sessanta unita' al massimo di personale
equivalente a tempo pieno con contratto di lavoro a tempo
indeterminato. La Giunta provinciale ne definisce il numero con
riferimento a ciascuna figura professionale. Ai fini della
partecipazione ai concorsi costituiscono titoli valutabili anche i
periodi di lavoro prestati con contratto di collaborazione a partire
dal 1° gennaio 2001 e fino all'ultimo giorno del mese di entrata in
vigore di questa legge presso le strutture previste dall'articolo 28,
comma 1, della legge provinciale n. 3 del 2006. I periodi di
collaborazione sono computati secondo criteri di calcolo determinati
nel bando per la conversione in termini temporali dei corrispettivi
spettanti.».
Il mancato richiamo, nel limite della spesa per il personale
fissato dall'art. 16 comma 1, legge provinciale n. 18/2001, della
spesa per i contratti di lavoro a tempo indeterminato stipulati ai
sensi della disposizione ora trascritta (l'art. 16, comma 1,
riferisce testualmente il limite in questione alla sola spesa per il
personale di ruolo, vale a dire inserito nel comparto «autonomie
locali» e nel comparto «ricerca», e quindi esclude i contrattisti),
comporta che tale spesa sia sottratta a limiti predeterminati.
Lo stesso art. 16, comma 1, poi, espressamente esclude dal limite
in questione la spesa per il personale assunto con contratto di
diritto privato per la realizzazione di lavori, interventi o
attivita' sulla base di particolari norme di settore.
Quindi, la spesa complessiva per il personale a contratto, sia
assunto in base alla norma generale di cui all'art. 63 comma 1, legge
provinciale n. 2/2009 sopra trascritta, sia assunto in base a
particolari norme di settore, non sottosta' al limite complessivo di
spesa per il personale.
In sede di coordinamento dei bilanci e della finanza pubblica, di
cui all'art. 117, comma 3 Cost., il legislatore statale ha dettato
l'art. 9-bis del d.l. n. 78/2010 convertito in legge n. 102/2010 il
cui comma 5 prevede che «5. Sono esclusi dal patto di stabilita'
interno delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano i pagamenti che vengono effettuati a valere sui residui
passivi di parte corrente a fronte di corrispondenti residui attivi
degli enti locali.
Sempre in sede di coordinamento della finanza statale e delle
regioni a statuto speciale e delle province autonome, l'art. 32,
legge n. 183/2011 (legge di stabilita' 2012) ha previsto nei commi
10, 11 e 12:
«10. Il concorso alla manovra finanziaria delle regioni a statuto
speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, di cui
all'articolo 20, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111,
come modificato dall'articolo 1, comma 8, del decreto-legge 13 agosto
2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre
2011, n. 148, aggiuntivo rispetto a quella disposta dall'articolo 14,
comma 1, lettera b), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e'
indicato, per ciascuno degli anni 2012, 2013 e successivi, nella
seguente tabella.
Parte provvedimento in formato grafico
11. Al fine dl assicurare il concorso agli obiettivi di finanza
pubblica, le regioni a statuto speciale, escluse la regione
Trentino-Alto Adige e te province autonome di Trento e di Bolzano,
concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il
Ministro dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni 2012,
2013 e successivi, il livello complessivo delle spese correnti e in
conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, determinato riducendo
gli obiettivi programmatici del 2011 della somma degli importi
indicati dalla tabella di cui al comma 10. A tale fine, entro il 30
novembre di ciascun anno precedente, il presidente dell'ente
trasmette la proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle
finanze. Con riferimento all'esercizio 2012, il presidente dell'ente
trasmette la proposta di accordo entro il 31 marzo 2012. In caso di
mancato accordo, si applicano le disposizioni stabilite per le
regioni a statuto ordinario.
12. Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza
pubblica, la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di
Trento e di Bolzano concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno
precedente, con il Ministro dell'economia e delle finanze, per
ciascuno degli anni 2012, 2013 e successivi, il saldo programmatico
calcolato in termini di competenza mista, determinato migliorando il
saldo programmatico dell'esercizio 2011 della somma degli importi
indicati dalla tabella di cui al comma 10. A tale fine, entro il 30
novembre di ciascun anno precedente, il presidente dell'ente
trasmette la proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle
finanze. Con riferimento all'esercizio 2012, il presidente dell'ente
trasmette la proposta di accordo entro il 31 marzo 2012. In caso di
mancato accordo, si applicano le disposizioni stabilite per le
regioni a statuto ordinario.».
L'art. 14, comma 7 del citato d.l. n. 78/2010 convertito in legge
n. 102/2010 ha poi specificamente disposto che «7. L'art. 1, comma
557, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e successive modificazioni
e' sostituito dai seguenti:
"557. Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al
rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al
patto di stabilita' interno assicurano la riduzione delle spese di
personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle
amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai
rinnovi contrattuali, garantendo il contenimento della dinamica
retributiva e occupazionale, con azioni da modulare nell'ambito della
propria autonomia e rivolte, in termini di principio, ai seguenti
ambiti prioritari di intervento:
a) riduzione dell'incidenza percentuale delle spese di
personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso
parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il
lavoro flessibile;
b) razionalizzazione e snellimento delle strutture
burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici
con l'obiettivo di ridurre l'incidenza percentuale delle posizioni
dirigenziali in organico;
c) contenimento delle dinamiche di crescita della
contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti
disposizioni dettate per le amministrazioni statali.
557-bis. Ai fini dell'applicazione del comma 557, costituiscono
spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa, per la somministrazione di
lavoro, per il personale di cui all'articolo 110 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche' per tutti i soggetti a
vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico
impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o
comunque facenti capo all'ente.".
Dall'insieme di queste disposizioni si ricava che nel limite di
spesa per il personale rilevante ai fini del rispetto del patto di
stabilita' interno debbono essere comprese tutte le spese di
personale, a qualsiasi titolo sostenute. Non sono quindi consentite
disposizioni che, come l'art. 16 comma 1 della legge provinciale n.
18/2011 qui impugnata, esonerino la spesa per il personale
contrattista dal rispetto del limite necessario a garantire il
rispetto del patto di stabilita' interno.
Ne consegue che la disposizione in esame viola innanzitutto
l'art. 117 comma 3 Cost., nella parte in cui attribuisce alla
competenza concorrente il coordinamento dei bilanci e della finanza
pubblica ai vari livelli di Governo. In questo ambito, le province
autonome, come tutti gli altri enti territoriali, sono infatti tenuti
ad uniformarsi ai principi dettati dal legislatore statale; e tali
principi, come si e' visto, includono senza dubbio la spesa per il
personale assunto a qualsiasi titolo nell'aggregato complessivo di
spesa dell'ente rilevante ai fini del rispetto del patto di
stabilita'.
Essa viola poi l'art. 8, comma 1, n. 1 dello Statuto della
Regione Trentino Alto Adige (d.P.R. n. 670/1972), nella parte in cui
attribuisce alla provincia autonoma di Trento la competenza esclusiva
a legiferare in materia di personale provinciale. Infatti, la
disciplina del personale non puo' mai svolgersi in contrasto con i
principi fondamentali che regolano l'equilibrio finanziario dell'ente
interessato e della finanza pubblica in generale. Non a caso, l'art.
8 cit. richiama come limiti alla potesta' normativa provinciale in
materia quelli previsti dall'art. 4 del medesimo Statuto. Qui si
indicano come limiti della potesta' normativa esclusiva quelli
derivanti dalla "Costituzione, [dai] principi dell'ordinamento
giuridico della Repubblica e [dal] rispetto degli obblighi
internazionali e degli interessi nazionali - tra i quali e' compreso
quello della tutela delle minoranze linguistiche locali - nonche'
delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della
Repubblica".».
Attualmente tra tali principi rientra senza dubbio anche il
divieto generale di incremento della spesa per il personale,
stabilito per tutte le pubbliche amministrazioni dall'art. 9, comma
1, d.l. n. 78/2010 citato, giusta il quale «1. Per gli anni 2011,
2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli
dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il
trattamento accessorio, previsto dai rispettivi ordinamenti delle
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato
della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto
nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non puo' superare, in ogni
caso, il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010».
La possibilita' che la disposizione qui impugnata (art. 16, comma
1, legge provinciale n. 18/2011) lascia di incrementare la spesa per
il personale assunto a contratto, e' quindi chiaramente contraria ai
principi generali che regolano la materia della spesa di personale.
Donde l'illegittimita' costituzionale della disposizione per
contrasto con gli artt. 117 comma 3 Cost. nella parte in cui
attribuisce alla competenza concorrente di Stato e Regioni e province
autonome la materia del coordinamento dei bilanci pubblici; e 8 comma
1, n. 1 statuto, nella parte in cui, attraverso il rinvio all'art. 4
del medesimo statuto, vincola la potesta' normativa provinciale al
rispetto dei principi generali dell'ordinamento.
3. L'art. 17, comma 1, della legge provinciale n. 18/2011
dispone: «1. Alla fine della lettera a) del comma 1 dell'articolo 3
della legge provinciale n. 27 del 2010 sono inserite le parole; ",
compatibilmente con le risorse messe a disposizione e fermo restando
il rispetto degli obiettivi programmati di finanza pubblica
provinciale, per il solo anno 2010, al personale del comparto ricerca
sono riconosciute le progressioni di carriera, comunque denominate,
maturate nel corso del 2010, analogamente a quanto riconosciuto al
corrispondente personale degli enti nazionali di ricerca; le
progressioni di carriera dello stesso personale, comunque denominate,
disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per gli anni in
questione, a fini esclusivamente giuridici; alla spesa di cui al
presente periodo si fa fronte con le somme previste dall'articolo 17
della legge finanziaria 2012 e con gli stanziamenti previsti in
bilancio per gli enti di ricerca".».
Questa disposizione, come si vede, attribuisce effetti non solo
giuridici ma anche economici incidenti sugli anni 2011, 2012 e
successivi alle progressioni di carriera del personale del comparto
ricerca maturate nel corso del 2010. Solo per quelle maturate negli
anni successivi la disposizione prevede, invece, che tali
progressioni abbiano effetti solamente giuridici.
Nella parte in cui consente a partire dal 2011 effetti economici
delle progressioni, la disposizione in esame e' viziata da violazione
dell'art. 117 comma 3 Cost., nella parte in cui attribuisce alla
legislazione concorrente la disciplina del coordinamento dei bilanci
pubblici, cosi' assoggettando la legislazione regionale e provinciale
al rispetto dei principi generali della materia posti con legge
statale; e dell'art. 8 n. 1 statuto (d.P.R. n. 670/1972), che
subordina l'esercizio della competenza legislativa esclusiva
provinciale in materia di personale al rispetto dei principi generali
dell'ordinamento (richiamati dall'art. 4 comma 1 statuto, a sua volta
richiamato dall'art. 8, comma 1 cit.).
Attualmente, infatti, il principio generale della materia degli
avanzamenti di carriera del personale pubblico di qualsiasi titolo e'
posto dall'art. 9, comma 21, d.l. n. 78/2010 convertito in legge n.
102/2010, giusta il quale «Per il personale di cui all'articolo 3 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni
le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente
disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti
anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale
contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed
i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e
2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente
giuridici.».
Evidente e' il contrasto tra la disposizione provinciale
impugnata e questo principio, il quale puo' compendiarsi nel divieto
di produzione di effetti economici delle progressioni di carriera
negli anni a partire dal 2011.
E' ormai pacifico, poi, che la materia del pubblico impiego
contrattualizzato rientra nella materia «ordinamento civile», di cui
all'art. 117, comma 2, lettera l) Cost., ogniqualvolta vengano in
considerazione gli aspetti essenziali del rapporto contrattuale.
Codesta Corte, invero, nella sentenza n. 151/2010 ha da ultimo
ribadito, a proposito della disciplina dei controlli dell'ente datore
di lavoro sulle assenze per malattia, che «Trattandosi di uno dei
poteri principali che l'ordinamento attribuisce ad una delle parti di
un rapporto contrattuale (quello di lavoro subordinato), la relativa
disciplina deve essere uniforme sul territorio nazionale e imporsi
anche alle Regioni a statuto speciale, cosi' come gia' affermato da
questa Corte con riferimento a norme concernenti altri istituti del
rapporto di pubblico impiego "contrattualizzato" (sentenze n. 189 e
n. 95 del 2007)».
A maggior ragione questa conclusione dovra' allora valere per una
normativa, come quella qui impugnata, che disciplina l'aspetto
retributivo del rapporto contrattuale, ammettendo che gli avanzamenti
di carriera possano avere per effetto incrementi della retribuzione,
quando la legislazione statale sullo stesso oggetto esclude invece
tali effetti.
La disposizione impugnata e' quindi contraria, altresi', all'art.
117, comma 2, lettera l) Cost., poiche' invade la competenza
esclusiva statale in materia di ordinamento civile, capovolgendo la
disciplina che la legge dello Stato detta in materia di effetti degli
avanzamenti di carriera sulla retribuzione.
4. L'art. 21 comma 11 della legge provinciale qui impugnata
prevede che «11. Dopo il comma 5 dell'articolo 57 della legge sul
personale della Provincia e' inserito il seguente: "5-bis. La Giunta
provinciale definisce i criteri e le caratteristiche professionali
richieste per la costituzione, presso le strutture di primo livello
della Provincia e della direzione generale, di posizioni
professionali alla cui copertura si provvede con personale di
categoria D o con qualifica di direttore cui sono affidati incarichi
caratterizzati anche con riferimento al raggiungimento di specifici
obiettivi. A questo scopo la Giunta provinciale costituisce uno
specifico fondo nell'ambito della spesa prevista dall'articolo 63,
comma 1.".».
La previsione contrasta con i principi generali in tema di
pubblico impiego dettati dal d.lgs. n. 165/2011 e con il principio
del pubblico concorso, quale presidio della par condicio tra i
concorrenti. Essa, infatti, non specifica ne' i presupposti al
ricorrere dei quali e' consentito attribuire gli incarichi, ne' di
quali incarichi dovrebbe trattarsi, ne' le modalita' di selezione del
personale che vi e' chiamato. In tal modo la disposizione impupata
vanifica il principio desumibile dall'art. 35, comma 1, lettera a),
d.lgs. n. 165/2001, giusta il quale «1. L'assunzione nelle
amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di
lavoro:
a) tramite procedure selettive, conformi ai principi del
comma 3, volte all'accertamento della professionalita' richiesta, che
garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno;» «; e i
criteri fissati correlativamente dal comma 3 della medesima
disposizione, ove si prevede che "3. Le procedure di reclutamento
nelle pubbliche amministrazioni si conformano ai seguenti principi:
a) adeguata pubblicita' della selezione e modalita' di
svolgimento che garantiscano l'imparzialita' e assicurino
economicita' e celerita' di espletamento, ricorrendo, ove e'
opportuno, all'ausilio di sistemi automatizzati, diretti anche a
realizzare forme di preselezione;
b) adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a
verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali
richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;
c) rispetto delle pari opportunita' tra lavoratrici e
lavoratori".».
Essa, pertanto, viola l'art. 8, comma 1, n. 1 statuto, nella
parte in cui, rinviando all'art. 4, assoggetta la legislazione
esclusiva provinciale in materia di pubblico impiego provinciale ai
principi generali dell'ordinamento; e gli artt. 3 e 97 Cost., nella
parte in cui dispongono che, salvo situazioni eccezionali
specificamente motivate, non e' consentito derogare alla regola del
pubblico concorso aperto anche agli esterni per attribuire le diverse
posizioni lavorative all'interno dell'amministrazione.
5. L'art. 27 comma 4 della legge provinciale impugnata (legge
provinciale n. 18/2011) dispone: «4. Dopo il comma 10 dell'articolo
44 della legge provinciale sulla tutela della salute e' inserito il
seguente:
"10-bis. Per favorire la partecipazione del proprio personale a
progetti di solidarieta' internazionale approvati o sostenuti dalla
Provincia, la Giunta provinciale formula specifiche direttive
all'Agenzia provinciale per la rappresentanza negoziale (APRAN) per
consentire all'azienda, valutate le proprie esigenze funzionali e
organizzative, di concedere un'aspettativa non retribuita e utile a
ogni altro fine, per un periodo massimo di novanta giorni ogni
biennio, con oneri previdenziali a carico del datore di lavoro e del
dipendente versati dall'azienda.".».
Anche questa disposizione viola l'art. 8, comma 1, n. 1 statuto,
nella parte in cui, rinviando all'art. 4, assoggetta la legislazione
esclusiva provinciale in materia di pubblico impiego provinciale ai
principi generali dell'ordinamento. Stando alla contrattazione
collettiva del comparto sanitario adottata alla stregua del titolo
III del d.lgs. n. 165/2001 (legge statale di principio in materia di
pubblico impiego), questa tipologia di aspettativa (per «progetti di
solidarieta'») e' infatti del tutto ignota. Essa non poteva dunque
essere introdotta unilateralmente dalla Provincia, in violazione del
principio di contrattazione collettiva che regge l'intero settore del
lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione (art. 40, comma
1, d.lgs. n. 165/2001: «1. La contrattazione collettiva determina i
diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro,
nonche' le materie relative alle relazioni sindacali.»).
La materia della contrattazione collettiva del rapporto di
pubblico impiego attiene, inoltre, all'ordinamento civile: soltanto
la legge dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lettera l),
potrebbe quindi intervenire a mutare o integrare le decisioni assunte
in sede collettiva in punto di aspettative e relative cause
giustificatrici.
L'art. 27 comma 4 della legge provinciale impugnata viola quindi
anche l'art. 117 comma 2 lettera l).
6. L'art. 27, comma 6, lettera c) della legge provinciale
impugnata dispone che «6. All'articolo 56 della legge provinciale
sulla tutela della salute sono apportate le seguenti modificazioni:
... c) dopo il comma 4 e' inserito il seguente:
"4-bis. Fino alla sottoscrizione del nuovo contratto collettivo
del comparto sanita', area della dirigenza sanitaria, professionale,
tecnica e amministrativa, in relazione a quanto previsto
dall'articolo 44, comma 2, di questa legge e dall'articolo 15 della
legge sul personale della Provincia, per l'attribuzione degli
incarichi dirigenziali previsti dallo stesso articolo 44, comma 2,
per le strutture di primo e secondo livello dell'azienda, anche
derivanti dalla riorganizzazione delle strutture stesse, si applicano
i seguenti criteri:
a) la durata degli incarichi relativi a strutture di primo
livello e dei contratti dirigenziali a tempo determinato non puo'
essere superiore a quella dell'incarico del direttore generale
dell'azienda ai sensi degli articoli 26 e 28 della legge sul
personale della Provincia".».
Come si vede, in tal modo la dirigenza del servizio sanitario
provinciale viene assoggettata al c.d. spoil system, riferito alla
durata in carica del direttore generale dell'azienda sanitaria.
Senonche' i principi della legislazione statale sono diversi. Infatti
l'art. 19 comma 1-ter del d.lgs. n. 165/2001 dispone che «1-ter. Gli
incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei
casi e con le modalita' di cui all'articolo 21, comma 1, secondo
periodo». Tra tali casi e modalita' non rientra la cessazione
dall'incarico del direttore generale dell'azienda sanitaria
provinciale. Si deve quindi escludere che la dirigenza del servizio
sanitario provinciale possa essere assoggettata a forme di spoil
system. Del resto, l'art. 14 del d.lgs. n. 165/2001 limita tale
possibilita' (comma 2) ai soli «uffici di diretta collaborazione [con
il vertice dell'ente], aventi esclusive competenze di supporto e di
raccordo con l'amministrazione», e tali non sono i dirigenti del
servizio sanitario provinciale.
Ampliando le possibilita' di cessazione anticipata ope legis di
rapporti di incarico dirigenziale nel comparto sanitario, la
disposizione in esame ha quindi violato l'art. 8, comma 1, n. 1
statuto, nella parte in cui, rinviando all'art. 4, assoggetta la
legislazione esclusiva provinciale in materia di pubblico impiego
provinciale ai principi generali dell'ordinamento. Stando al d.lgs.
n. 165/2001 (legge statale di principio in materia di pubblico
impiego), questa tipologia di spoil system e' infatti del tutto
ignota. Essa non poteva dunque essere introdotta unilateralmente
dalla Provincia.
La materia della cessazione del rapporto di pubblico impiego
attiene, inoltre, all'ordinamento civile: soltanto la legge dello
Stato, ai sensi dell'art. 117 comma 2 lettera l), potrebbe quindi
intervenire a mutare o integrare la disciplina vigente di questo
delicato aspetto del rapporto contrattuale. Legiferando in materia,
la Provincia ha quindi violato anche la competenza esclusiva statale
in materia di ordinamento civile.
7. L'art. 51 comma 4 della legge provinciale n. 18/2011 qui
impugnata dispone: «4. Il comma 5-bis dell'articolo 30 della legge
provinciale sui lavori pubblici e' sostituito dal seguente:
"5-bis. Le amministrazioni aggiudicatrici prevedono nel bando di
gara l'obbligo, per i concorrenti, di produrre le analisi dei prezzi
mediante procedure telematiche. In tal caso, il bando di gara indica
la percentuale di incidenza del costo complessivo del personale
sull'importo dei lavori comprensivo degli oneri della sicurezza, che
costituisce il minimo inderogabile per i concorrenti a pena di
esclusione, nonche' l'importo complessivo del costo del personale,
desunti dal progetto. Per lavori di importo inferiore alla soglia
comunitaria, qualora dalle analisi prodotte dal concorrente che ha
presentato la migliore offerta risulti un importo complessivo del
costo del personale inferiore a quello di progetto, l'amministrazione
aggiudicatrice verifica l'anomalia dell'offerta con le modalita'
dell'articolo 58.29. E' fatta salva in ogni caso l'applicazione
dell'articolo 58.29, comma 3. Per le finalita' di questo comma, le
amministrazioni mettono a disposizione dei concorrenti idonei mezzi
informatici predisposti dalla Provincia. Le analisi dei prezzi
prodotte dall'aggiudicatario sono parte integrante del contratto. Le
modalita' e la decorrenza di applicazione, anche in via sperimentale,
di questo comma sono stabilite con deliberazione della Giunta
provinciale.".».
Come si vede, con questa disposizione la Provincia ha introdotto
una nuova causa di esclusione obbligatoria delle imprese partecipanti
alle gare pubbliche provinciali, costituita dall'offrire un prezzo
nel quale la percentuale di incidenza del costo del personale sia
inferiore a quella minima indicata dal bando. Per le sole gare di
importo inferiore alla soglia comunitaria, inoltre, la disposizione
qui impugnata ha introdotto l'obbligo di sottoporre a verifica di
anomalia le offerte nelle quali il costo del personale sia inferiore
a quello indicato nel progetto posto a base di gara.
Questa disposizione viola l'art. 8 n. 17 dello statuto della
regione Trentino-Alto Adige, che nell'attribuire alla Provincia di
Trento la potesta' legislativa esclusiva in materia di lavori
pubblici provinciali, assoggetta la Provincia, tramite il rinvio
all'art. 4 dello statuto contenuto nel medesimo art. 8, al rispetto
dei principi generali dell'ordinamento interno e comunitario.
In materia di esclusione delle imprese partecipanti dalle gare
pubbliche, i principi generali sono desumibili dal codice dei
contratti pubblici, adottato con d.lgs. n. 163/2006. L'art. 2 del
codice prevede nei commi 1 e 2 che le gare per l'affidamento dei
contratti pubblici siano basate sul principio di concorrenza e su
quello di economicita', e che a tale principio le regioni anche a
statuto speciale e le province autonome possano derogare per esigenze
sociali solo «entro i limiti in cui sia espressamente consentito
dalle norme vigenti e dal presente codice».
L'art. 4 del codice prevede inoltre nel comma 1 che «1. Le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la
potesta' normativa nelle materie oggetto del presente codice nel
rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e delle
disposizioni relative a materie di competenza esclusiva dello
Stato.»; e nel comma 5 che «5. Le regioni a statuto speciale e le
province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria
legislazione secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle
relative norme di attuazione.».
Cio' premesso, deve aggiungersi che il codice dei contratti
pubblici non prevede tra le cause di esclusione dei concorrenti
l'offerta di un prezzo nel quale l'incidenza del costo del personale
sia inferiore a quella prestabilita dal bando. Alla luce del
principio di concorrenza di cui all'art. 2 del codice, deve
concludersi che l'enumerazione delle cause di esclusione in esso
operata costituisca un «numero chiuso» non suscettibile di
ampliamento.
Introducendo una causa di esclusione obbligatoria non prevista
dal codice, la Provincia ha quindi oltrepassato i limiti della
propria legislazione esclusiva in materia di lavori pubblici, perche'
non ha osservato il principio generale dell'ordinamento statale e
comunitario costituito dal principio di concorrenza, che vuole che le
cause di esclusione siano limitate al minimo indispensabile, e siano
le medesime in tutti i mercati locali in cui le imprese presentano
offerte, onde prevenire distorsioni di concorrenza determinate dalle
diversita' delle discipline locali in materia. La Provincia ha
altresi' violato il principio di economicita', perche' la
disposizione in esame finisce con l'imporre alle imprese un costo
minimo del lavoro, impedendo loro di perseguire (nel rispetto dei
vincoli inderogabili inerenti alla sicurezza e alle retribuzioni
contrattuali) la massima economicita' dell'offerta.
Per quanto esposto, non potrebbe valere l'autorizzazione che
l'art. 2 del codice da' alle regioni e province autonome a derogare
al principio di economicita' per finalita' sociali. Il perseguimento
di finalita' sociali attraverso la disciplina dei procedimenti di
aggiudicazione, oltre che eccezionale perche' non specifico agli
scopi propri di tale disciplina, non puo' infatti comunque avvenire
prevedendo casi di esclusione obbligatoria, attesa la loro, gia'
sottolineata, necessaria tassativita' e uniformita' territoriale.
Opera quindi, in argomento, il divieto di deroga previsto dall'art. 2
comma 2 del codice.
Sotto altro aspetto, la disposizione in esame viola l'art. 117
comma 2 lettera e), nella parte in cui questo attribuisce allo Stato
la legislazione esclusiva in materia di tutela della concorrenza. E'
infatti dato ormai acquisito alla giurisprudenza di codesta Corte che
la tutela della concorrenza costituisce una tipica «materia
trasversale», per cui lo Stato ha la potesta' esclusiva di
disciplinare gli aspetti delle procedure di aggiudicazione dei
contratti pubblici che tocchino in modo immediato l'interesse alla
concorrenzialita' del sistema economico. Relativamente a tali aspetti
non possono operare le clausole, come quella dell'art. 8 n. 17
statuto cit., che attribuiscono alle regioni e provincie autonome la
competenza legislativa esclusiva in materia di lavori pubblici di
proprio interesse.
Le cause di esclusione obbligatoria, traducendosi in limitazioni
immediate delle possibilita' di partecipazione delle imprese alle
gare pubbliche, toccano palesemente in modo diretto l'interesse
all'efficienza concorrenziale del sistema. La loro previsione e
disciplina di applicazione appartiene quindi in via esclusiva allo
Stato, ed e' sottratta alla sfera normativa delle regioni e province
autonome.
Vizi analoghi a quelli ora denunciati relativamente
all'esclusione obbligatoria delle imprese che abbiano offerto prezzi
espressivi di una incidenza del costo del lavoro inferiore a quella
minima imposta dal bando, sussistono poi in relazione alla seconda
previsione contenuta nella disposizione impugnata, che prevede
l'obbligatoria verifica di anomalia per le offerte che presentino un
costo del lavoro inferiore a quello di progetto.
La materia delle verifiche di anomalia attiene, come e' evidente,
al principio di economicita' delle procedure di aggiudicazione dei
contratti pubblici: tale verifica tende infatti a garantire,
contemporaneamente, che le imprese possano competere nell'offrire i
prezzi piu' convenienti per l'amministrazione appaltante, e che tale
forma di concorrenza non si traduca in pregiudizio della qualita'
delle prestazioni offerte.
Occorre quindi verificare come il codice dei contratti pubblici
regoli la materia delle verifiche di anomalia, cosi' dando attuazione
al principio di economicita'.
I principi della materia si trovano nell'art. 86, commi 1, 2, 3
del codice, giusta i quali «1. Nei contratti di cui al presente
codice, quando il criterio di aggiudicazione e' quello del prezzo
piu' basso, le stazioni appaltanti valutano la congruita' delle
offerte che presentano un ribasso pari o superiore alla media
aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con
esclusione del dieci per cento, arrotondato all'unita' superiore,
rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di quelle di minor
ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico dei ribassi
percentuali che superano la predetta media.
2. Nei contratti di cui al presente codice, quando il criterio di
aggiudicazione e' quello dell'offerta economicamente piu'
vantaggiosa, le stazioni appaltanti valutano la congruita' delle
offerte in relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo, sia
la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, sono
entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti
massimi previsti dal bando di gara.
3. In ogni caso le stazioni appaltanti possono valutare la
congruita' di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici,
appaia anormalmente bassa.».
Si vede quindi che il codice prevede nei primi due commi due
tassative ipotesi di anomalia, allorche' le offerte superino i limiti
aritmetici ivi indicati. I soli casi nei quali l'amministrazione
appaltante puo' ravvisare un'anomalia al di fuori del superamento di
tali limiti aritmetici sono quelli previsti dal terzo comma, che
rimette l'individuazione dell'anomalia alla discrezionalita' tecnica
della stazione appaltante, da esercitare sulla base di elementi
specifici.
La disposizione provinciale qui impugnata viola quindi i principi
generali in materia di individuazione delle offerte anomale ora
ricostruiti, nella misura in cui impone alle stazioni appaltanti di
ravvisare una determinata ragione (o elemento specifico) di anomalia
nella circostanza che e' stato offerto un prezzo nel quale la
componente costo del lavoro e' inferiore a quella prevista nel
progetto posto a base di gara. Potrebbe infimi ben darsi che
un'offerta che quoti la componente costo del lavoro in misura
inferiore a quella prefigurata nel progetto a base di gara sia
nondimeno complessivamente economica, grazie all'incidenza delle
altre componenti (si pensi ad opere o servizi nelle quali la
componente tecnologica e' preponderante, e nelle quali, quindi, la
componente costo del lavoro e' piu' agevolmente riducibile).
Tale restrizione della discrezionalita' tecnica delle stazioni
appaltanti si traduce in una violazione del principio di economicita'
e del principio di concorrenza, poiche' impedisce alle imprese di
proporre l'offerta piu' economica loro possibile tutte le volte in
cui la massima economicita' possa derivare dal superamento al ribasso
del limite minimo di costo del lavoro previsto dal progetto a base di
gara, e determina una evidente distorsione della concorrenza su base
territoriale, poiche' configura una circostanza limitante che non
opera in altri mercati locali dei contratti pubblici.
Prevedendola, la Provincia ha quindi oltrepassato il limite del
rispetto dei principi generali dell'ordinamento a cui, in forza del
congiunto disposto degli artt. 4 e 8 n. 17 statuto, e' soggetta la
sua legislazione esclusiva in materia di lavori pubblici provinciali;
e ha violato altresi' la competenza esclusiva dello Stato a porre la
disciplina di tutela della concorrenza ex art. 117 comma 2 lettera
e). Si e' infatti ora dimostrata l'immediata incidenza sulla
concorrenza che ha la disciplina del codice riguardante i casi in cui
le stazioni appaltanti possono ravvisare offerte anomale.
Da quanto esposto discende infine che la norma provinciale qui
censurata, in entrambe le sue disposizioni limita la liberta'
contrattuale delle imprese partecipanti di presentare le proprie
offerte. Poiche' l'offerta presentata in una gara pubblica ha, dal
punto di vista privatistico, natura di proposta contrattuale, e'
evidente che la normativa impugnata impinge anche nella competenza
esclusiva dello Stato a regolare l'ordinamento civile, ai sensi
dell'art. 117 comma 2 lettera l) Cost. I limiti all'esplicazione
dell'autonomia privata nel presentare proposte contrattuali in forma
di offerte a gare pubbliche possono quindi essere posti soltanto
dalla legge dello Stato. E la previsione per legge di casi di
anomalia costituisce senza dubbio un limite di tale specie.
I vizi complessivamente qui denunciati si trasmettono poi per
derivazione anche ai commi 9 e 18 dell'art. 51 legge provinciale n.
18/2011, che rinviano al comma 4 (o meglio, all'art. 30, comma 5-bis
della legge provinciale sui lavori pubblici come da questo
modificato).
8. L'art. 51 comma 12 della legge provinciale n. 18/2011 qui
impugnata prevede: «12. Il comma 1 dell'articolo 44 della legge
provinciale sui lavori pubblici e' sostituito dal seguente:
"1. I prezzi di progetto devono essere conformi all'elenco
prezzi, previsto dall'articolo 13, vigente alla data di adozione del
provvedimento a contrarre. In ogni caso, al momento dell'indizione
dell'appalto i prezzi devono essere aggiornati all'ultimo elenco
prezzi vigente se il coefficiente medio di rivalutazione dei prezzi
previsto dall'articolo 10, comma 2, lettera d), risulta superiore al
2,5 per cento rispetto all'anno precedente.".».
Come si vede, la Provincia ha subordinato l'aggiornamento dei
prezzi di progetto al superamento della percentuale di aumento del
2,5 dei medesimi prezzi, quali risultanti dagli elenchi ufficiali,
intervenuto tra la data del provvedimento che delibera di contrarre e
la data del provvedimento di indizione dell'appalto.
Il principio desumibile dal codice dei contratti pubblici si
trova nell'art. 133, comma 8, il quale prevede che «8. Le stazioni
appaltanti provvedono ad aggiornare annualmente i propri prezzari,
con particolare riferimento alle voci di elenco correlate a quei
prodotti destinati alle costruzioni, che siano stati soggetti a
significative variazioni di prezzo legate a particolari condizioni di
mercato. I prezzari cessano di avere validita' il 31 dicembre di ogni
anno e possono essere transitoriamente utilizzati fino al 30 giugno
dell'anno successivo per i progetti a base di gara la cui
approvazione sia intervenuta entro tale data. In caso di inadempienza
da parte dei predetti soggetti, i prezzari possono essere aggiornati
dalle competenti articolazioni territoriali del Ministero delle
infrastrutture di concerto con le regioni interessate».
Come si vede, alla stregua del principio statale l'aggiornamento
dei prezzi posti a base di gara, salvo il periodo «di comporto»
esteso tino al 30 giugno dell'anno successivo, deve essere continuo.
Si prevede infatti che tutti gli elenchi prezzi cessino di avere
validita' con il 31 dicembre dell'anno di riferimento, e si prevede
il potere ministeriale e regionale di surroga nell'aggiornamento
delle amministrazioni appaltanti inadempienti all'aggiornamento
continuo su base annuale.
L'introduzione del requisito dell'incremento minimo del 2,5
affinche' l'elenco prezzi previgente cessi di avere effetto contrasta
con l'illustrato principio di adeguamento continuo, e quindi eccede
dai limiti della potesta' legislativa provinciale in materia di
lavori pubblici provinciali come delimitata dall'art. 8 n. 17 e
dall'art. 4 dello statuto.
La disposizione provinciale in esame invade poi la competenza
statale esclusiva in materia di ordinamento civile (art. 117, comma
2, lettera l) Cost.). Essa, infatti, impedisce alle imprese di tenere
conto nelle proprie offerte degli incrementi di costo fino a quando
questi non abbiano superato il 2,5 rispetto all'elenco vigente al
momento della deliberazione di contrarre. In tal modo, essa limita
l'autonomia negoziale relativamente all'offerta del prezzo della
prestazione dedotta in appalto, e quindi incide direttamente sulla
materia dell'«ordinamento civile», essendo il prezzo un elemento
essenziale di qualsiasi proposta contrattuale.
9. L'art. 57 comma 4 della legge provinciale n. 18/2011 qui
impugnata dispone: «4. Dopo l'articolo 86-bis del testo unico
provinciale sulla tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e' inserito
il seguente:
"Art. 86-ter (Regolarizzazione dello smaltimento di rifiuti). -
1. Indipendentemente dalle sanzioni penali e amministrative, lo
smaltimento di rifiuti non pericolosi in difformita'
dall'autorizzazione dell'impianto prevista dalla normativa vigente
puo' essere regolarizzato sotto l'aspetto autorizzativo, da parte
dell'autorita' competente, se si verifica una delle seguenti
condizioni:
a) i rifiuti posseggono i requisiti previsti dalla normativa
vigente per l'ammissibilita' nella specifica tipologia di impianto,
b) sia accertato, mediante analisi di rischio, che non esiste
rischio per l'ambiente e la salute pubblica in relazione alla
destinazione urbanistica dell'area interessata; in tal caso la
prosecuzione dell'esercizio dell'impianto e' subordinata
all'osservanza delle prescrizioni, anche di adeguamento e di
conformazione, stabilite dal provvedimento autorizzativo.
2. Se e' attivata la regolarizzazione autorizzativa ai sensi del
comma 1 l'autorita' competente, anche su richiesta dell'interessato,
sospende gli effetti del provvedimento ripristinatorio emanato ai
sensi della parte III o delle disposizioni da essa richiamate ed
eventualmente revoca il provvedimento alla conclusione positiva del
procedimento di regolarizzazione.
3. Questo articolo si applica anche alle violazioni commesse
prima della sua entrata in vigore, se sussistono le condizioni per
attivare la regolarizzazione autorizzativa.".».
In sostanza, con la disposizione ora riportata la Provincia ha
introdotto una sanatoria per le violazioni commesse in materia di
smaltimento di rifiuti non pericolosi, consentendo l'autorizzazione
«a posteriori» di attivita' svolte in carenza del prescritto titolo
autorizzativo; in particolare, si tratta dell'esercizio senza
autorizzazione di impianti di smaltimento (discariche e simili).
La disciplina provinciale contrasta chiaramente con l'art. 117
comma 1 Cost. nella parte in cui subordina l'esercizio della potesta'
legislativa anche delle province autonome al rispetto dei vincoli
comunitari, e con l'art. 117 comma 2 lettera s) nella parte in cui
attribuisce alla competenza statale esclusiva la disciplina a tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema.
Dal punto di vista comunitario rilevano le direttive 2008/98/CE
in materia di rifiuti, e 2008/1/CE in materia di prevenzione e
riduzione dell'inquinamento.
L'art. 23 della direttiva 2008/98/CE dispone che «Art. 23
(Rilascio delle Autorizzazioni).
1. Gli Stati membri impongono a qualsiasi ente o impresa che
intende effettuare il trattamento dei rifiuti di ottenere
l'autorizzazione dell'autorita' competente. Tali autorizzazioni
precisano almeno quanto segue:
a) i tipi e i quantitativi di rifiuti che possono essere
trattati;
b) per ciascun tipo di operazione autorizzata, I requisiti
tecnici e di altro tipo applicabili al sito interessato;
c) le misure precauzionali e di sicurezza da prendere;
d) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione;
e) le operazioni di monitoraggio e dl controllo che si
rivelano necessarie;
f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi
ad essa successivi che si rivelano necessarie.
2. Le autorizzazioni possono essere concesse per un periodo
determinato ed essere rinnovate.
3. L'autorita' competente nega l'autorizzazione qualora ritenga
che il metodo di trattamento previsto sia inaccettabile dal punto di
vista della protezione dell'ambiente, in particolare quando non sia
conforme all'articolo 13.
4. Le autorizzazioni concernenti l'Incenerimento o il
coincenerimento con recupero di energia sono subordinate alla
condizione che il recupero avvenga con un livello elevato di
efficienza energetica.
5. A condizione che le prescrizioni del presente articolo siano
rispettate, l'autorizzazione rilasciata in virtu' di un'altra
normativa nazionale o comunitaria puo' essere combinata con
l'autorizzazione di cui al paragrafo 1 in un'unica autorizzazione,
qualora tale formato permetta di evitare una ripetizione inutile
delle Informazioni e dei lavori effettuati dall'operatore o
dall'autorita' competente.».
L'art. 24 prevede: «Art. 24 (Deroghe all'obbligo di
autorizzazione).
Gli Stati membri possono dispensare dall'obbligo di cui
all'articolo 23, paragrafo 1, gli enti o le imprese che effettuano le
seguenti operazioni:
a) smaltimento dei propri rifiuti non pericolosi nei luoghi
di produzione; o
b) recupero dei rifiuti.».
L'art. 25 prevede: «Art. 25 (Condizioni delle deroghe).
1. Gli Stati membri che intendono autorizzare una deroga a norma
dell'articolo 24 adottano, per ciascun tipo dl attivita', regole
generali che stabiliscano i tipi e i quantitativi di rifiuti che
possono essere oggetto di deroga, nonche' il metodo di trattamento da
utilizzare. Tali regole sono finalizzate a garantire un trattamento
dei rifiuti conforme all'articolo 13. Nel caso delle operazioni di
smaltimento di cui all'articolo 24, lettera a), tali regole
dovrebbero tenere in considerazione le migliori tecniche disponibili.
2. Oltre alle regole generali di cui al paragrafo 1, gli Stati
membri stabiliscono condizioni specifiche per le deroghe riguardanti
i rifiuti pericolosi, compresi i tipi di attivita', e ogni altra
prescrizione necessaria per procedere alle varie forme di recupero e,
se del caso, i valori limite per il contenuto di sostanze pericolose
presenti nei rifiuti nonche' i valori limite di emissione.
3. Gli Stati membri informano la Commissione delle regole
generali adottate in applicazione dei paragrafi 1 e 2.».
L'art. 36 prevede: «Art. 36 (Applicazione e sanzioni).
1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare
l'abbandono, lo scarico e la gestione incontrollata del rifiuti.
2. Gli Stati membri emanano le disposizioni relative alle
sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni della
presente direttiva e adottano tutte le misure necessarie per
assicurarne l'applicazione. Le sanzioni previste sono efficaci,
proporzionate e dissuasive.».
L'art. 4 della direttiva 1/2008/CE prevede: «Art. 4
(Autorizzazione di nuovi impianti).
Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che
nessun nuovo impianto funzioni senza autorizzazione, a norma della
presente direttiva, fatte salve le eccezioni previste dalla direttiva
2001/80/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre
2001, concernente la limitazione delle emissioni nell'atmosfera di
taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione.».
Si vede quindi che le direttive comunitarie di settore impongono
senza possibili eccezioni (salvo i limitati casi considerati
dall'art. 24 della direttiva 2008/98/CE) che tutte le attivita'
inerenti alla gestione del ciclo dei rifiuti, compreso lo
smaltimento, siano soggette ad autorizzazione preventiva che
verifichi il possesso da parte dell'operatore dei requisiti tecnici
necessari allo svolgimento dell'attivita'. Esse prevedono poi che il
sistema sia presidiato da sanzioni efficaci e dissuasive.
La sanatoria prevista dalla norma provinciale in esame per le
attivita' di smaltimento non autorizzate contrasta frontalmente con
questi semplici principi.
Da un lato, la previsione di una sanatoria sostanzialmente
generalizzata, perche' basata sul riscontro a posteriori (magari dopo
anni) del fatto che i rifiuti smaltiti siano conformi ai criteri di
autorizzazione allo smaltimento di rifiuti non pericolosi, e che non
vi sia rischio ambientale, vanifica l'efficacia delle sanzioni.
L'accertamento che nella discarica non autorizzata furono sempre
smaltiti rifiuti «conformi» puo' rivelarsi infatti impossibile,
soprattutto nei casi in cui lo smaltimento abusivo si sia protratto
per lungo tempo; e d'altra parte l'assenza di rischio ambientale e'
circostanza irrilevante, poiche' tale assenza costituisce un
presupposto permanente di qualsiasi attivita' di smaltimento di
rifiuti, anche di quelle autorizzate, che ben possono venire a
determinare un rischio ambientale per effetto di sopravvenienze di
fatto successive all'autorizzazione.
Dall'altro, come appena detto, si tratta di una sanatoria
sostanzialmente generalizzata, perche' i criteri «restrittivi»
previsti per concederla lo sono solo in apparenza, ma in realta' non
garantiscono affatto che nella discarica o altro impianto
abusivamente attivato non siano mai stati smaltiti rifiuti pericolosi
o comunque non conformi. La procedura prevista dalla norma
provinciale e' quindi inidonea ad assicurare il soddisfacimento degli
interessi pubblici ai quali il sistema autorizzativo voluto dalle
direttive illustrate e' informato.
Oltre al contrasto con i vincoli comunitari, sussiste, come si e'
premesso, la violazione della competenza statale esclusiva in materia
di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
Il d.lgs. n. 152/2006 negli artt. 208 e ss. ha dato attuazione
alle direttive comunitarie sopra illustrate, prevedendo in perfetta
conformita' al dettato di esse l'obbligo inderogabile di
autorizzazione integrata ambientale preventiva. E' sufficiente
riportare l'art. 208 comma 1, giusta il quale «Art. 208
(Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di
recupero dei rifiuti).
1. I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti
di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono
presentare apposita domanda alla regione competente per territorio,
allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione
tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle
disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di
salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. Ove l'impianto
debba essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto
ambientale ai sensi della normativa vigente, alla domanda e' altresi'
allegata la comunicazione del progetto all'autorita' competente ai
predetti fini; i termini di cui ai commi 3 e 8 restano sospesi fino
all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilita' ambientale ai
sensi della parte seconda del presente decreto.».
Codesta Corte in materia ha gia' chiarito (sent. n. 249/2009) che
«la disciplina dei rifiuti si colloca, per giurisprudenza di questa
Corte, nell'ambito della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di
competenza esclusiva statale ai sensi dell'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., anche se interferisce con altri interessi e
competenze, di modo che deve intendersi riservato allo Stato il
potere di fissare livelli di tutela uniforme sull'intero territorio
nazionale, restando ferma la competenza delle Regioni alla cura di
interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali
(ex multis, sentenze n. 62 del 2008).
Pertanto, anche nel settore dei rifiuti, accanto ad interessi
inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente, possono venire in
rilievo interessi sottostanti ad altre materie, per cui la
"competenza statale non esclude la concomitante possibilita' per le
Regioni di intervenire [...]", ovviamente nel rispetto dei livelli
uniformi di tutela apprestati dallo Stato (sentenza n. 62 del 2005,
altresi', sentenze n. 247 del 2006, n. 380 e n. 12 del 2007).
La disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio di tale
competenza esclusiva dello Stato, viene a funzionare come un limite
alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in
altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono
in alcun modo peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito
dallo Stato (sentenza n. 378 del 2007).».
Pare evidente, nel caso in esame, che la previsione di una
sanatoria delle piu' gravi violazioni del sistema autorizzatorio
(quale l'esercizio non autorizzato di impianti di smaltimento)
peggiora il livello di tutela assicurato dalla normativa statale, e
non fa emergere alcun apprezzabile interesse provinciale rispetto al
quale la disposizione qui impugnata possa essere considerata
«funzionale».
La disciplina provinciale in esame invade quindi indebitamente la
sfera esclusiva di cui all'art. 117 comma 2 lettera s), e nella
sostanza, viste le sue caratteristiche di sanatoria sostanzialmente
indiscriminata, viola comunque anche il principio di tutela
dell'ambiente desumibile dall'art. 9 Cost.
10. L'art. 57 comma 5 della legge provinciale n. 18/2011 qui
impugnata dispone: «5. Dopo l'articolo 86-ter del testo unico
provinciale sulla tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e' inserito
il seguente:
"Art. 86-quater (Regolarizzazione della gestione di terre e rocce
da scavo).
1. Indipendentemente dalle sanzioni penali e amministrative, la
gestione delle terre e rocce da scavo effettuata in difformita' dalle
direttive della Provincia emanate ai sensi delle norme provinciali
vigenti per l'applicazione dell'articolo 186 del decreto legislativo
n. 152 del 2006, purche' sia rispettata la normativa statale in
materia, puo' essere oggetto di regolarizzazione autorizzativa, ai
sensi dell'articolo 84, da parte dell'Agenzia provinciale per la
protezione dell'ambiente se:
a) trattandosi di difformita' consistenti in irregolarita'
rispetto a obblighi formali o documentali previsti unicamente dalla
disciplina provinciale, il soggetto interessato comprovi di aver
successivamente adempiuto a tali obblighi;
b) trattandosi di difformita' diverse da quelle indicate
nella lettera a), sia accertato - mediante analisi di rischio,
effettuata sulla base della caratterizzazione prevista per i
sottoprodotti - che non esiste rischio per l'ambiente e la salute
pubblica; in tal caso l'arca interessata, compresi i risultati
dell'analisi di rischio, e' indicata in un'apposita sezione
dell'anagrafe dei siti da bonificare.
2. Se e' attivata la regolarizzazione autorizzativa ai sensi del
comma 1, l'autorita' competente, anche su richiesta dell'interessato,
sospende gli effetti del provvedimento ripristinatorio emanato ai
sensi della parte III o delle disposizioni da essa richiamate ed
eventualmente revoca il provvedimento alla conclusione positiva del
procedimento di regolarizzazione.
3. La regolarizzazione autorizzativa ai sensi del comma 1,
lettera a), esclude l'applicazione del tributo speciale per il
deposito in discarica e per altre forme di smaltimento dei rifiuti ed
estingue i relativi procedimenti eventualmente in corso.
4. Quest'articolo si applica anche alle violazioni commesse prima
della sua entrata in vigore, se sussistono le condizioni per attivare
la regolarizzazione autorizzativa, salvo, per quanto previsto dal
comma 3, che il provvedimento di accertamento dell'imposta dovuta o
di irrogazione, delle relative sanzioni sia divenuto definitivo.".».
Come e' evidente, con la disposizione riportata la Provincia ha
introdotto per lo specifico settore dello smaltimento delle terre e
rocce di scavo una sanatoria del tutto analoga a quella introdotta
con la disposizione di cui al motivo precedente in materia di
smaltimento di rifiuti non pericolosi.
A questo riguardo e' sufficiente ricordare che l'art. 186, comma
5, d.lgs. n. 152/2006 prevede che «5. Le terre e rocce da scavo,
qualora non utilizzate nel rispetto delle condizioni di cui al
presente articolo, sono sottoposte alle disposizioni in materia di
rifiuti di cui alla parte quarta del presente decreto.».
Anche le terre e rocce da scavo, quindi, costituiscono in linea
di principio dei rifiuti, e per la gestione e lo smaltimento di esse
debbono valere le medesime regole di tutela e di distribuzione delle
competenze normative illustrate nel motivo che precede.
Una sanatoria indifferenziata come quella ipotizzata nel comma
qui in esame, integra quindi le medesime violazioni gia' denunciate a
proposito del comma precedente. Richiamate integralmente tali
censure, qui si aggiunge nello specifico che si tratta di sanatoria
indifferenziata perche' la distinzione tra violazioni «documentali o
formali» e violazioni «sostanziali» su cui la disposizione si basa e'
generica e priva di criteri applicativi. Non si comprende quindi alla
luce di quali regole dovrebbe esplicarsi la discrezionalita'
dell'amministrazione nel qualificare come «documentale o formale», o
invece come «sostanziale», una violazione di cui e' chiesta la
regolarizzazione. In definitiva, tale discrezionalita' e' destinata a
rimanere incontrollata, il che, considerata la gravita' delle
conseguenze (se una violazione viene qualificata come «formale o
documentale» la sanatoria viene concessa senza alcuna verifica di
rischio ambientale), comporta senza dubbio un peggioramento del
livello di tutela fissato dalla legge dello Stato, non giustificato
da apprezzabili interessi provinciali a cui la disposizione in esame
possa essere considerata «funzionale».
Quanto alle violazioni comunque qualificate «sostanziali», si
deve poi ribadire anche a loro proposito che la previsione della
previa analisi di rischio per concedere la sanatoria appare
irrilevante, poiche' l'insussistenza di rischio ambientale e' una
condizione preliminare che deve sussistere sempre anche in relazione
alle attivita' autorizzate.
Le terre e rocce da scavo costituiscono rifiuti anche alla
stregua della Direttiva 2008/98/CE. Questa infatti nel considerando
14 e nell'art. 7 rinvia all'elenco dei rifiuti di cui alla Decisione
della Commissione 2000/532/CE, la quale contiene la seguente
definizione:
17 05 - terra (compreso il terreno proveniente da siti
contaminati), rocce e fanghi di dragaggio
17 05 03* - terra e rocce, contenenti sostanze pericolose
17 05 04 - terra e rocce, diverse da quelle di cui alla voce
17 05 03
17 05 05* - fanghi di dragaggio, contenente sostanze
pericolose
17 05 06 - fanghi di dragaggio, diversa da quella di cui alla
voce 17 05 05
17 05 07* - pietrisco per massicciate ferroviarie, contenente
sostanze pericolose
17 05 08 - pietrisco per massicciate ferroviarie, diverso da
quello di cui alla voce 17 05 07
Prevedere sanatorie in materia di terre e rocce da scavo
abusivamente smaltite contrasta quindi anche con l'art. 117, comma 1
Cost. nella parte in cui sottopone la legislazione delle province
autonome al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario.
Nell'ambito del precedente motivo, con argomenti che qui
integralmente si richiamano, si sono illustrate le norme della
direttiva 2008/98/CE (artt. 23, 24, 25, 36) dalle quali si desume
l'inammissibilita' dal punto di vista dell'ordinamento comunitario di
sanatorie in materia di gestione non autorizzata dei rifiuti di
qualsiasi natura.
Anche la disposizione provinciale qui esaminata dovra' quindi
essere dichiarata costituzionalmente illegittima.
11. L'art. 77 della legge provinciale n. 18/2011 qui impugnata
dispone: «Modificazione dell'articolo 8-bis della legge provinciale
31 agosto 1987, n. 18, in materia di funzionamento dell'Istituto
timbro.
1. Dopo il comma 1 dell'articolo 8-bis della legge provinciale n.
18 del 1987 e' inserito il seguente:
"1-bis. Lo statuto puo' prevedere che le funzioni di direttore
possano essere affidate con incarico a tempo determinato, per la
durata in carica del consiglio di amministrazione, a personale
dell'ente oppure a personale messo a disposizione dalla Provincia o
dai sui enti funzionali. L'incarico puo' essere conferito anche a
persone non in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa
provinciale per ricoprire l'incarico di dirigente, purche' in
possesso di professionalita' e attitudine alla direzione.".».
Premesso che le finalita' dell'Istituto cimbro di Luserna
riguardano la salvaguardia, la promozione e la valorizzazione del
patrimonio etnografico e culturale della minoranza germanofona del
comune di Luserna, con particolare attenzione alle espressioni
storiche e linguistiche, alla tutela dell'ambiente ed allo sviluppo
economico-culturale del territorio di insediamento della comunita'
cimbra, si deve rilevare l'evidente contrasto della previsione in
questione con i principi generali dell'ordinamento in materia di
dirigenza pubblica.
La disposizione riportata, nella parte in cui consente che venga
nominato direttore dell'Istituto anche un soggetto privo dei
requisiti per la nomina a dirigente, purche' in possesso di non
meglio determinate «professionalita' e attitudine alla direzione»,
contrasta con i principi desumibili dagli art. 19 comma 6 e 28 d.lgs.
n. 165/2001. Nell'art. 19 comma 6 si prevede: «6. Gli incarichi di
cui ai commi da 1 a 5 possono essere conferiti, da ciascuna
amministrazione, entro il limite del 10 per cento della dotazione
organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di
cui all'articolo 23 e dell'8 per cento della dotazione organica di
quelli appartenenti alla seconda fascia, a tempo determinato ai
soggetti indicati dal presente comma. La durata di tali incarichi,
comunque, non puo' eccedere, per gli incarichi di funzione
dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per
gli altri incarichi di finzione dirigenziale il termine di cinque
anni. Tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita
motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione
professionale, non rinvenibile nei ruoli dell'Amministrazione, che
abbiano svolto attivita' in organismi ed enti pubblici o privati
ovvero aziende pubbliche o private con esperienza acquisita per
almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano
conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale
e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e
postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete
esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso
amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli
incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla
dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza
universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e
procuratori dello Stato. Il trattamento economico puo' essere
integrato da una indennita' commisurata alla specifica qualificazione
professionale, tenendo conto della temporaneita' del rapporto e delle
condizioni di mercato relative alle specifiche competenze
professionali. Per il periodo di durata dell'incarico, i dipendenti
delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza
assegni, con riconoscimento dell'anzianita' di servizio».
Nell'art. 28 si prevede che per l'accesso alla dirigenza di
seconda fascia (fascia iniziale) sia necessario il possesso per lo
meno del diploma di laurea.
La generica previsione della disposizione provinciale qui
impugnata, con l'oscuro riferimento alla professionalita' e
all'attitudine alla direzione, non garantisce ovviamente che la
persona designata integri i requisiti di capacita' e di esperienza
che l'art. 19, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 fissa con chiarezza,
facendo riferimento a pregresse attivita' dirigenziali, a comprovata
specializzazione professionale derivante da formazione universitaria,
alla produzione scientifica.
La disposizione impugnata eccede quindi i limiti della potesta'
legislativa esclusiva provinciale in materia di personale della
Provincia e degli enti correlati, che l'art. 8 n. 1 statuto (norma
violata) vincola comunque, rinviando all'art. 8 dello statuto stesso,
al rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento statale, quali
risultanti dalle riportate disposizioni del d.lgs. n. 165/2001.
In ogni caso, consentendo che persone non dotate di adeguata
preparazione ed esperienza, vengano preposte ad un incarico
dirigenziale, la disposizioni impugnata viola palesemente gli artt. 3
e 97 della Costituzione sotto i profili della ragionevolezza, intesa
come congruita' tra disciplina dettata e finalita' perseguita (la
mera richiesta di professionalita' e attitudine alla direzione non
idonea a perseguire la finalita' di assicurare all'Istituto una
direzione efficiente), e della buona organizzazione
dell'amministrazione (che presuppone, come e' ovvio, innanzitutto la
qualificazione professionale adeguata di chi e' preposto ai compiti
dirigenziali).
P.Q.M.
Cio' premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri come
sopra rapp.to e difeso ricorre a codesta Ecc.ma Corte costituzionale
affinche' voglia dichiarare per i motivi sopra illustrati
l'illegittimita' costituzionale della legge provinciale 27 dicembre
2011, n. 18, pubblicata sul BUR n. 52 del 28 dicembre 2011, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
2012-2014 della Provincia autonoma di Trento (legge finanziaria
2012), relativamente alle seguenti disposizioni: art. 9, comma 5;
art. 16, comma 1; art. 17, comma 1; art. 21, comma 11; art. 27, comma
4; art. 27, comma 6 lettera c); art. 51, commi 4, 5 lettera a), 9,
12, 18; 57 commi 4 e 5; 77.
Si producono la delibera del Consiglio dei ministri del 14
febbraio 2012 (in copia autentica e per estratto), e la legge
provinciale impugnata.
Roma, 27 febbraio 2012
L'avvocato dello Stato: Gentili