Ricorso n. 6 del 18 gennaio 2010 (Regione Puglia)
RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 18 gennaio 2010 , n. 6
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 18 gennaio 2010 (della Regione Puglia).
(GU n. 8 del 24-2-2010)
Ricorso della Regione Puglia, in persona del presidente pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 2479 del 15 dicembre 2009, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dal prof. avv. Nicola Colaianni e dall'avv. Adriana Shiroka dell'Avvocatura Regionale, elettivamente domiciliata in Roma presso la Delegazione Regione Puglia - Via Barberini, 36, contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge 20 novembre 2009, n. 166 per violazione dell'art. 117, terzo comma della Costituzione. Sulla Gazzetta Ufficiale n. 274 del 24 novembre 2009 - suppl. ordinario n. 215 e' stata pubblicata la legge n. 166/2009, che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 recante: «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunita' europee». L'art. 15 della legge citata, recante «Adeguamento alla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica», e' lesiva delle competenze regionali per il seguente motivo di D i r i t t o Illegittimita' costituzionale dell'art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, convertito in legge 20 novembre 2009, n. 166 per violazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione. 1. - La disposizione impugnata modifica in modo significativo l'art. 23-bis del decreto-legge n. 112/2008, convertito in legge n. 133 del 6 agosto 2008, che a sua volta aveva radicalmente modificato ed in parte abrogato l'art. 113 del TUEL, di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in materia di modalita' di gestione dei servizi pubblici locali. L'art. 15 prevede un ampliamento dei settori esclusi dall'applicabilita' della normativa. Il comma 1 infatti conferma l'esclusione dalle norme del servizio di distribuzione del gas e la estende all'energia elettrica ed al trasporto ferroviario regionale. La nuova disposizione al comma 2 stabilisce che in via ordinaria l'affidamento dei servizi pubblici locali deve avvenire con gara, a favore di imprenditori o societa' in qualunque forma costituite, nel rispetto della normativa comunitaria oppure anche a favore di «societa' a partecipazione mista pubblica e privata a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a) del presente comma, le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento». Il terzo comma invece disciplina il caso della gestione c.d. in house, da considerarsi eccezionale e derogatoria rispetto alle forme di gestione ordinaria del secondo comma. Dispone il terzo comma che «In deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'affidamento puo' avvenire a favore di societa' a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta "in house" e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulle societa' e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano». Quindi, l'art. 15 esplicitamente assimila le due forme di gestione dell'affidamento in concessione a terzi e dell'affidamento a societa' mista - purche' il partner privato sia stato scelto con determinate modalita' - considerandole entrambe forme ordinarie di gestione. Ne segue che il ricorso all'una o all'altra di queste forme di gestione non dovrebbe richiedere alcuna motivazione. Anche relativamente al servizio idrico integrato il nuovo comma 1-ter, in deroga a quanto in generale previsto dal comma 2, sembra delineare una posizione di assoluta parita' tra tutti i modelli di gestione contemplati dall'ordinamento generale, con conseguente piena autonomia degli enti locali nella scelta della forma di gestione ritenuta piu' adeguata sul territorio, ancorche' nel rispetto del principio di piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche e garantendo il diritto alla universalita' e accessibilita' del servizio. Per la forma di gestione per cosi' dire «derogatoria», cioe' quella c.d. in house, l'art. 15 ricalca i commi 3 e 4 del vecchio art. 23-bis, e prevede presupposti stringenti ed un pesante onere di istruttoria e motivazione, nonche' il parere obbligatorio dell'Autorita' Garante della concorrenza e del mercato sulla base di una previa analisi del mercato. Il legislatore statale dunque riconosce che entrambe le forme di gestione ed affidamento dei servizi pubblici sono conformi all'ordinamento europeo ed in particolare alla disciplina della concorrenza, ma con la norma nazionale giunge sino ad individuare come forma preferenziale «ordinaria» l'affidamento del servizio ad imprese terze, mentre relega la possibilita' dell'affidamento in house ai soli casi ivi espressi in via d'eccezione, superando la stessa disciplina comunitaria in materia di concorrenza. 2. - Censurabili sotto il profilo della legittimita' costituzionale appaiono gli artt. 2, 3 e 4 in violazione dell'art. 117 in quanto limitano la potesta' legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento del servizio pubblico da parte dell'ente e di gestire in proprio i servizi pubblici. Occorre ricordare che i servizi pubblici non ricadono, in alcuna potesta' legislativa statale, ma che lo Stato puo' intervenire in essa, come codesta Ecc.ma Corte ha stabilito con le sentenze n. 272 del 2004 e n. 29 del 2006, a titolo di tutela della concorrenza, ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. e) Cost., e che pertanto non sono censurabili tutte e solo quelle norme che «garantiscono, in forme adeguate e proporzionate, la piu' ampia liberta' di concorrenza nell'ambito dei rapporti - come quelli relativi al regime delle gare o delle modalita' di gestione e conferimento dei servizi - i quali per la loro diretta incidenza sul mercato appaiono piu' meritevoli di essere preservati da pratiche anticoncorrenziali». Le disposizioni dei commi 2, 3, e 4 risultano illegittime in violazione dell'art. 117, in quanto limitano la potesta' legislativa regionale di disciplinare il normale svolgimento del servizio pubblico da parte dell'ente, sottoponendo tale scelta a vincoli sia sostanziali («le peculiari caratteristiche economiche sociali ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato») che procedurali («l'onere di trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all'Autorita' Garante della concorrenza e del mercato e alle autorita' di regolazione di settore, ove costituite, per l'espressione di un parere sui profili di competenza»). In tal modo esse impediscono una previa valutazione comparativa da parte dell'amministrazione fra tutte le possibili opzioni di scelta della forma di gestione, cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta delle prestazioni di servizio pubblico. Tali innovazioni, contrariamente alla finalita' dichiarata nella rubrica della disposizione («Adeguamento alla disciplina comunitaria»), non sono imposte dalla normativa comunitaria. Come, invero, stabilito dalla Corte di giustizia C.E. con sent. 6 aprile 2006, in causa C-410/04 (ANAV), «una normativa nazionale che riprenda testualmente il contenuto delle condizioni indicate al punto precedente, come fa l'art. 113, comma 5, del d.lgs. n. 267/2000, come modificato dall'art. 14 del decreto-legge n. 269/2003, e' in linea di principio conforme al diritto comunitario, fermo restando che l'interpretazione di tale disciplina deve a sua volta essere conforme alle esigenze del diritto comunitario». Di conseguenza, gli obiettivi che, con le previsioni dell'art. 15 legge cit., illegislatore italiano intende perseguire sono ammissibili (salvo a valutarne la non incostituzionalita'), giacche' gli stati membri possono oltrepassare la soglia minima comunitaria, ma non giustificabili come necessario adeguamento agli obblighi comunitari. Sia la esternalizzazione dei servizi pubblici locali con rilevanza economica sia la riattribuzione con la messa in gara delle attuali concessioni prima della scadenza originariamente prevista costituiscono entrambe misure non imposte dal diritto comunitario. 3. - La giurisprudenza della Corte di Giustizia - proprio al fine di assicurare il rispetto di tali regole e sul presupposto che il sistema dell'affidamento in house costituisca un'eccezione ai principi generali del diritto comunitario - ha imposto l'osservanza di talune condizioni legittimanti l'attribuzione diretta della gestione di determinati servizi a soggetti «interni» alla compagine organizzativa dell'autorita' pubblica. Nella prospettiva europea, (Corte costituzionale 23 dicembre 2008, n. 439) la pubblica amministrazione puo' decidere di erogare direttamente prestazioni di servizi a favori degli utenti mediante proprie strutture organizzative senza dover ricorrere, per lo svolgimento di tali prestazioni, ad operatori economici attraverso il mercato (Corte di giustizia delle Comunita' europee, sentenza Stadt Halle dell'11 gennaio 2005, in causa C-26/03, punto 48). I magistrati europei hanno precisato che «un'autorita' pubblica, che sia amministrazione aggiudicatrice, ha la possibilita' di adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti, amministrativi, tecnici, e di altro tipo, senza essere obbligata a far ricorso ad entita' esterne non appartenenti ai propri servizi», e che «in tal caso, non si puo' parlare di contratto a titolo oneroso concluso con un'entita' giuridicamente distinta dall'amministrazione aggiudicatrice» e «non sussistono dunque i presupposti per applicare le norme comunitarie in materia di appalti pubblici». Tale giurisprudenza della Corte di giustizia e' sempre rimasta ferma e costante, dalla sentenza Teckal (18 novembre 1999, in causa C-107/98) alla recente sentenza Sea srl (10 settembre 2009, in causa C-573/07, punto 57). Ora questo diritto delle amministrazioni e' pienamente riconosciuto dalla Corte di giustizia ed e' invece negato dai commi 2, 3 e 4 dell'art. 15 della legge cit. qui impugnato. Ad avviso della Regione Puglia, tale limitazione della capacita' delle amministrazioni regionali e locali di gestire in proprio i servizi pubblici risulta costituzionalmente illegittima e lesiva della potesta' legislativa regionale in materia, poiche' nega illegittimamente l'autonomia costituzionale di tali enti (art. 114 Cost.), riconosciuta anche dall'Unione europea (art. 5, Trattato), nel suo nucleo imprescindibile della capacita' di darsi una organizzazione idonea a soddisfare i bisogni sociali nel suo territorio, cioe' della popolazione residente che ne e' l'elemento costitutivo. Un problema di tutela della concorrenza, in effetti, puo' iniziare solo dopo che e' stata presa la decisione di gestire il servizio attraverso il mercato, anziche' in proprio. Al contrario, la decisione di mantenere il servizio nell'ambito della propria organizzazione diretta, o della propria organizzazione in house, non restringe e non altera in alcun modo la concorrenza. Nel quadro della gestione in proprio, invece, abbiamo semplicemente lo svolgimento dell'attivita' amministrativa da parte dell'ente responsabile davanti alla propria comunita'. Sicche', le regole di concorrenza riprenderanno pienamente il loro vigore ogni volta che l'amministrazione responsabile del servizio si debba rivolgere al mercato per l'acquisto di beni o servizi. Ma essa non puo' invece essere costretta ad affidare il servizio in quanto tale ad entita' esterne, con le quali essa non ha un rapporto di pieno controllo ma esclusivamente un vincolo contrattuale. L'invasione nella sfera di competenza regionale e degli enti territoriali minori e' addirittura enfatizzata dalla precisazione che le indicate disposizioni - commi 2, 3, 4, art. 23-bis, modificato dall'art. 15 cit. - «prevalgono su tutte le discipline di settore con esse incompatibili», dunque su tutte le discipline di settore regionali, ivi comprese quelle della Regione Puglia (servizio idrico integrato). 4. - Pertanto, le disposizioni indicate, nel disciplinare la scelta della forma di gestione del servizio e le procedure di affidamento dello stesso, non si limitano a stabilire principi fondamentali della materia ma dettano una disciplina articolata e specifica, invasiva delle competenze regionali anche in materia di regolazione del servizio idrico integrato. Vero e' che il comma 1-ter legge cit., riproduttivo della norma di principio stabilita nel d.lgs. n. 152/2006 (t.u. ambiente), non mette in discussione la fondamentale natura pubblica del bene acqua e della proprieta' delle reti. Alla sua stregua le nuove regole si applicano per quanto di ragione, cioe' nel rispetto non solo della «autonomia gestionale del soggetto gestore» ma anche del governo della «piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche», in particolare con riferimento alla qualita' e al prezzo del servizio, da parte delle istituzioni pubbliche nonche' della garanzia del «diritto alla universalita' ed accessibilita' del servizio». Senonche', proprio il rispetto di questi fattori di interesse pubblico, se non li si vuol ridurre a meri orpelli retorici, mal si concilia con una disciplina cosi' dettagliata e favoritiva della concorrenza sul libero mercato, come quella contenuta nelle disposizioni impugnate. Vero e' che codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 246/2009 ha osservato che l'art. 117, terzo comma, Cost., «il quale contiene l'elenco delle materie di competenza legislativa concorrente, non contempla la materia» del servizio idrico integrato. Ma questa osservazione di carattere generale non toglie, a parere di questa Regione, che implicitamente essa vi rientri almeno nella misura in cui quel servizio sia funzionalizzato e utilizzato a fini di alimentazione e di tutela della salute: materie espressamente indicate come soggette alla legislazione concorrente dall'art. 117, comma 3, Cost. Sotto questo profilo il servizio idrico integrato e' da considerare servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, la cui disciplina non e' riconducibile al titolo di legittimazione trasversale «tutela della concorrenza», di cui - come ha insegnato codesta ecc.ma Corte nella citata sentenza n. 272 del 2004 - e' titolare il legislatore statale con esclusivo riferimento a quei profili di disciplina che appaiono strettamente indispensabili, proporzionati e adeguati al raggiungimento dell'obiettivo di garantire condizioni concorrenziali uniformi nei mercati di riferimento. Invero, con riferimento alla funzione di tutela della salute e di alimentazione propria dell'acqua, non esiste un mercato concorrenziale ed il ruolo riservato dal titolo V della Costituzione al legislatore regionale si riespande in tutte le sue potenzialita', si' da inglobare le forme di gestione e le modalita' di affidamento del servizio pubblico locale «acqua». Se, invero, l'acqua e' un bene comune, di proprieta' collettiva, essenziale e insostituibile per la vita; se, pertanto, la sua accessibilita' costituisce un diritto universale, cioe' inviolabile e inalienabile, ne consegue che - in quanto funzionalizzato al diritto di ciascun individuo al minimo vitale giornaliero - il servizio idrico integrato e' da considerarsi servizio pubblico locale di interesse generale, privo di rilevanza economica e sottratto alla regola della concorrenza. Esso deve essere realizzato, infatti, secondo forme e modalita' di gestione che garantiscano un governo pubblico partecipato e un finanziamento attraverso meccanismi perequativi e di equita' sociale: senza finalita' lucrativa e nel rispetto dei diritti delle generazioni future e degli equilibri ecologici. Anche con riferimento alla Carta europea di Nizza, cui gia' codesta ecc.ma Corte ha fatto diverse volte riferimento nella sua giurisprudenza e che con il trattato di Lisbona acquista ora forza giuridicamente vincolante, come riconosciuto nella prima dichiarazione allegata all'atto finale della conferenza intergovernativa che ha adottato quel trattato, questi obiettivi, irraggiungibili nel libero mercato, appaiono impreteribili. L'art. 36, infatti, pur confermando la regola comunitaria della concorrenza in settori strategici dell'economia, tuttavia la collega alla promozione della coesione sociale e territoriale dell'Europa. Se il concetto di coesione rimanda a quello di omogeneita' e, in definitiva, di eguaglianza, i servizi di interesse economico generale non dovrebbero essere sottoposti alla regola della concorrenza e del libero mercato tutte le volte in cui essi non siano in grado di perseguire in tal modo il valore della coesione, cosi' inteso. La coesione sociale opera, cioe', come principio-limite della regola della concorrenza. 5. - L'indicata disposizione transitoria posta dal nuovo comma 8 dell'art. 23-bis, per il servizio idrico integrato e' del pari incostituzionale per violazione dell'autonomia costituzionale della Regione Puglia nella parte riferita agli affidamenti gia' effettuati dagli enti locali in conformita' all'art. 113, comma 5, lettera c) del decreto legislativo n. 267 del 2000 dedicato alla societa' a totale capitale pubblico in house providing. Tale disposizione, stabilendo che cessano al 31 dicembre 2010 gli affidamenti rilasciati con procedure diverse dall'evidenza pubblica salvo quelli conformi ai vincoli ulteriori di istruttoria e motivazione previsti dalla nuova disciplina, parrebbe determinare per l'effetto la cessazione di tutti gli affidamenti attribuiti secondo la disciplina previgente (d.lgs. n. 267 del 2000 art. 113, comma 5, lettera c), ponendo nell'incertezza l'attuazione dei piani gestionali e di investimento, nonche' i relativi piani tariffari, travolgendo rapporti giuridici perfezionati ed in via di esecuzione che le parti vogliono vedere procedere secondo la loro scadenza naturale.
P. Q. M. Chiede che la Corte costituzionale voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge 20 novembre 2009, n. 166, recante «Adeguamento alla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica» e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 24 novembre 2009 - suppl. ordinario n. 215, per violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. Bari-Roma, addi' 23 dicembre 2009 Prof. avv. Nicola Colaianni - Avv. Adriana Shiroka