Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in cancelleria il 21 maggio  2019  (del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri).

(GU n. 26 del 2019-06-26)

 

    Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei

ministri (codice fiscale n. 80188230587) rappresentato e  difeso  per

legge  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  (codice  fiscale   n.

80124030587),  presso  i  cui  uffici  domicilia  in  Roma,  via  dei

Portoghesi  n.  12,  manifestando  la   volonta'   di   ricevere   le

comunicazioni all'indirizzo PEC:  ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it,

nei confronti della Regione Basilicata,  in  persona  del  presidente

della  giunta  regionale  pro  tempore  per   la   dichiarazione   di

illegittimita' costituzionale degli articoli 2, comma 7, 5, 8, 9, 10,

12, 13, commi 1 e 3, e 27 della legge regionale Basilicata n.  4  del

13 marzo  2019,  recante  «Ulteriori  disposizioni  urgenti  in  vari

settori d'intervento della Regione Basilicata», pubblicata nel B.U.R.

n. 12 del 14 marzo 2019, giusta delibera del Consiglio  dei  ministri

in data 8 maggio 2019.

    Con la legge regionale  n.  4  del  13  marzo  2019  indicata  in

epigrafe, che consta di ventinove articoli, la Regione Basilicata  ha

emanato  «Ulteriori  disposizioni  urgenti   in   vari   settori   di

intervento».

    Le norme indicate in epigrafe eccedono dalle competenze regionali

e invadono competenze esclusive statali in materia di ordine pubblico

e sicurezza, ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato,

tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di cui all'art. 117, comma 2,

lettere g), h) e s) della Costituzione, oltre a contrastare con norme

statali che costituiscono principi fondamentali in materia di  tutela

della salute e produzione trasporto di  energia,  in  violazione  del

terzo comma dell'art. 117 della Costituzione.

    E', pertanto, avviso del Governo che, con le norme denunciate  in

epigrafe,  la  Regione  Basilicata  abbia  ecceduto   dalla   propria

competenza in  violazione  della  normativa  costituzionale  come  si

confida di dimostrare con l'illustrazione dei seguenti

 

                                         Motivi

 

1. L'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 4 del  13  marzo  2019

citata viola l'art. 117, comma 2, lettera g), della Costituzione.

    L'art. 2, comma 7, della legge regionale n.  4  del  2019  citata

modifica l'art. 28, comma 2, della legge regionale  n.  2  del  1995,

come modificato dall'art. 13,  comma  2,  della  legge  regionale  n.

37/2018, in materia di controllo della fauna selvatica.

    La disposizione risulta, quindi, cosi' modificata: «La regione in

caso di ravvisata inefficacia, verificata da parte dell'ISPRA,  degli

interventi  ecologici  di  cui  al  comma  1,  autorizza   piani   di

abbattimento con modalita' di intervento compatibili con  le  diverse

caratteristiche ambientali e faunistiche delle aree interessate. Tali

piani sono attuati dal corpo della Polizia  provinciale,  che  potra'

avvalersi del personale dell'Arma dei carabinieri forestali  e  della

Polizia locale purche' munito di licenza per  l'esercizio  venatorio.

Per la realizzazione dei piani la regione puo' altresi' autorizzare i

proprietari o conduttori dei fondi nei quali si attuano  i  piani  di

abbattimento, purche' muniti di licenza per l'esercizio venatorio».

    La  previgente  normativa  prevedeva  che  la  regione,  per   la

realizzazione  dei  piani  di  abbattimento  dei  cinghiali,  potesse

avvalersi «dei proprietari o dei conduttori dei fondi  nei  quali  si

attuano i piani  di  abbattimento,  delle  guardie  forestali  e  del

personale di vigilanza  dei  comuni  nonche'  delle  guardie  di  cui

all'art. 45, purche' i soggetti in questione siano in possesso  della

licenza di caccia».

    La norma regionale impugnata attribuisce,  invece,  alla  Polizia

provinciale la facolta' di avvalersi per i piani di abbattimento  del

personale dell'Arma dei carabinieri forestali istituiti  con  decreto

legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in  materia

di razionalizzazione delle funzioni di  Polizia  e  assorbimento  del

Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'art. 8, comma  1,  lettera

a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione

delle amministrazioni pubbliche.».

    Il Corpo di nuova istituzione svolge funzioni di Polizia  e  allo

stesso sono attribuite funzioni anche in  materia  forestale,  ma  la

norma regionale censurata attribuisce agli stessi  nuovi  compiti  in

relazione ad iniziative - piani  di  abbattimento  -  adottate  dalla

regione stessa.

    Con la norma censurata, dunque,  la  regione,  esorbitando  dalle

proprie attribuzione, consente alla Polizia locale di  utilizzare  il

personale specializzato dell'Arma dei  carabinieri  nel  settore  del

patrimonio agro-forestale.

    La norma presuppone una attribuzione di competenza regionale  che

rientra, invece, nella disciplina dell'«ordinamento e  organizzazione

amministrativa  dello  Stato  e  degli  enti   pubblici   nazionali»,

riservata  in  via  esclusiva  alla  legislazione  statale,  in  base

all'art. 117, comma 2,  lettera  g),  della  Costituzione,  peraltro,

ponendo, di fatto, il personale dell'Arma dei carabinieri del settore

agro-alimentare  in  posizione   servente   rispetto   alla   Polizia

provinciale  che  potrebbe  impiegarlo  per  l'attuazione  dei  piani

predisposti dalla regione.

    La  disposizione  regionale,  pertanto,  cosi'  come   formulata,

determina uno sconfinamento  nell'ambito  riservato  alla  competenza

legislativa dello Stato nella materia «Ordinamento  e  organizzazione

amministrativa dello Stato  e  degli  enti  pubblici  nazionali»  che

l'art. 117, comma 2, lettera g),  della  Costituzione,  riserva  alla

potesta'  legislativa  esclusiva  dello  Stato,  in  quanto  pone  il

personale di una Forza  di  Polizia,  per  definizione  statuale,  al

servizio della Polizia provinciale per il perseguimento di  obiettivi

individuati dalla regione.

    Come affermato dalla Corte costituzionale,  infatti,  le  regioni

non possono porre a carico di organi e  amministrazioni  dello  Stato

compiti ulteriori rispetto a quelli individuati con legge  statale  e

non  possono  disciplinare  unilateralmente,  nemmeno  nell'esercizio

della  loro  potesta'  legislativa,  forme  di  collaborazione  e  di

coordinamento  che  coinvolgono  attribuzioni   di   organi   statali

(sentenza n. 134 del 2004).

2. L'art. 5 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata viola

l'art. 117, comma 2, lettera  s),  della  Costituzione  in  relazione

all'art. 41 del decreto-legge 28 settembre 2018, n.  109,  convertito

con modificazioni con la legge 16 novembre 2018, n. 130.

    L'art. 5, rubricato «Disposizioni sulla gestione  dei  fanghi  di

depurazione», al comma 1 prevede che «Sul  territorio  della  Regione

Basilicata, nelle more di una revisione organica della  normativa  di

settore, ai fini dell'utilizzo  in  agricoltura  dei  fanghi  di  cui

all'art. 2, comma 1, lettera a) del decreto  legislativo  27  gennaio

1992, n. 99, vigono i limiti dell'allegato 113 del  predetto  decreto

nonche', per la concentrazione di  idrocarburi  e  fenoli,  i  valori

limite sanciti dalla tabella 1, allegato 5, titolo V,  parte  IV  del

decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».

    La  norma  nella  sua  attuale  formulazione,   ai   fini   dello

spandimento  dei  fanghi  di  depurazione  delle  acque   reflue   in

agricoltura, prevede, dunque, non soltanto il rispetto dei limiti  di

concentrazione dei metalli pesanti e degli altri  parametri  previsti

dal vigente decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, ma introduce,

per la concentrazione degli idrocarburi e dei fenoli, il rispetto dei

valori limite di C.S.C. (Concentrazione soglia di contaminazione) nel

suolo e nel sottosuolo stabiliti nella tabella 1, allegato 5,  titolo

V, parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

    Detti valori tabellari, previsti dal decreto legislativo  n.  152

del 2006 citato, sono finalizzati alle verifiche analitiche di  esame

del suolo per la destinazione d'uso dei siti  da  bonificare  e  sono

distinti in relazione dell'utilizzazione a seconda che si  tratti  di

siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale ovvero siti ad uso

commerciale e industriale. Si tratta, dunque, di valori elaborati  in

relazione  ad  una  diversa  tipologia   di   intervento   ampiamente

restrittivi e, pertanto, non richiamabili nella fattispecie  relativa

allo smaltimento di rifiuti mediante spandimento su terreni agricoli.

    La norma  regionale  e'  costituzionalmente  illegittima  poiche'

richiama i valori tabellari di cui al decreto legislativo n. 152/2006

citato in  modo  non  conferente  per  la  mancata  analogia  tra  le

finalita' di  bonifica,  per  le  quali  detti  valori  costituiscono

parametro, e le finalita' di smaltimento dei rifiuti con  spargimento

in aree agricole.

    I valori degli idrocarburi riscontrati nei fanghi di  depurazione

sono piu' elevati. In particolare il decreto-legge 28 settembre 2018,

n. 109, citato, recante le «Disposizioni urgenti  per  la  Citta'  di

Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e  dei

trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e  le  altre

emergenze», convertito con modificazioni con  la  legge  16  novembre

2018, n. 130, all'art.  41,  rubricato  «Disposizioni  urgenti  sulla

gestione  dei  fanghi  di  depurazione»,   ha   previsto   specifiche

disposizioni per taluni analiti non  previsti  nel  decreto-legge  n.

99/1992, tra cui proprio  gli  idrocarburi,  introducendo  un  valore

limite di 1000 mg/kg di sostanza secca per gli idrocarburi CI  0-C40,

corrispondente a quanto indicato nella classificazione in  base  alla

normativa  eurounitaria  dei  rifiuti  come  limite  massimo  per  la

determinazione dei rifiuti pericolosi.

    La predetta disposizione regionale, pertanto, nell'introdurre  il

rispetto dei piu' restrittivi valori limite per gli idrocarburi e per

i fenoli, come previsti per il suolo e per il sottosuolo dei siti  da

sottoporre a bonifica, oltre a porsi in conflitto  con  il  parametro

interposto statale costituito dal suddetto art. 41 del  decreto-legge

n. 109 del 2018 citato, che ha stabilito i valore limite da  assumere

per gli idrocarburi e  per  altri  composti  (IPA,  PCB,  diossine  e

furani, selenio, toluene), ha quale ulteriore  conseguenza  l'obbligo

di  dover  conferire  in  discarica  o   presso   gli   impianti   di

incenerimento/coincenerimento i fanghi  di  depurazione  delle  acque

reflue  vista   l'impossibilita'   del   recupero   in   agricoltura,

determinando un conseguente aggravio  sulla  filiera  gestionale  del

rifiuto stesso.

    La norma eccede, pertanto, dalla competenza regionale, poiche' la

disciplina della gestione dei rifiuti rientra nella  materia  «Tutela

dell'ambiente e dell'ecosistema»  riservata  in  base  all'art.  117,

comma 2, lettera s), della  Costituzione  alla  competenza  esclusiva

dello Stato (ex multis sentenze n. 285 del 2013; n. 54 del  2012;  n.

244 e n. 33 del 2011; n. 331 e n. 278 del 2010; n. 61  e  n.  10  del

2009).

    Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro  normativo

eurounitario e statale,  la  norma  regionale  impugnata  risulta  in

contrasto con il parametro costituzionale di cui  al  secondo  comma,

lettera s), dell'art. 117 della Costituzione, nel  quale  rientra  la

disciplina della gestione dei rifiuti (sentenza n. 249/2009, punto 11

del considerato in diritto) anche se la disciplina  interferisce  con

altri interessi e competenze, di modo che deve  intendersi  riservato

allo  Stato  il  potere  di  fissare  livelli  di   tutela   uniforme

sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza  delle

regioni alla cura di interessi funzionalmente  collegati  con  quelli

propriamente ambientali (ex multis sentenze n. 67 del  2014;  n.  285

del 2013; n. 54 del 2012; n. 244 del 2011; n. 225 e n. 164 del  2009;

e n. 437 del 2008).

    Tale disciplina, «in  quanto  appunto  rientrante  principalmente

nella tutela dell'ambiente, e dunque  in  una  materia  che,  per  la

molteplicita'  dei  settori  di  intervento,  assume  una   struttura

complessa, riveste un carattere di pervasivita' rispetto  anche  alle

attribuzioni regionali» (sentenza n. 249 del 2009,  ibidem),  con  la

conseguenza che, avendo riguardo alle diverse  fasi  e  attivita'  di

gestione del ciclo dei  rifiuti  e  agli  ambiti  materiali  ad  esse

connessi, la disciplina statale  «costituisce,  anche  in  attuazione

degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si  impone

sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina  che

le regioni e le province autonome dettano in altre  materie  di  loro

competenza, per evitare che  esse  deroghino  al  livello  di  tutela

ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze  n.

58 del 2015; n. 314 del 2009; n. 62 del 2008; e n. 378 del 2007).

3. L'art. 8 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata viola

l'art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione.

    L'art.  8,  rubricato  «Processi  di  controllo  del  territorio»

dispone che:

    «1. La Regione Basilicata, al fine di migliorare  i  processi  di

controllo del territorio e fornire maggiore  sicurezza  ai  cittadini

lucani, utilizza il Fondo unico autonomie locali di  cui  alla  legge

regionale 19 settembre 2018, n. 23.

    2. I comuni interessati da ricorrenti e significativi episodi  di

attentati  alla  proprieta'  privata  possono  avvalersi  dei   fondi

indicati al comma 1 della  presente  norma  finalizzati  a  forme  di

vigilanza del territorio ad integrazione di  quelle  gia'  in  essere

stipulando a tal fine apposite convenzioni con le imprese private  di

vigilanza.

    3. La Regione Basilicata adotta apposito regolamento attuativo.».

    La norma prevede, dunque, che la regione utilizzi il Fondo  unico

autonomie locali, di cui alla legge regionale 19 settembre  2018,  n.

23, al fine di migliorare i processi di controllo  del  territorio  e

fornire maggiore sicurezza ai cittadini e che i comuni interessati da

significativi e  ricorrenti  episodi  di  attentati  alla  proprieta'

privata possano avvalersi dei fondi citati  finalizzati  a  forme  di

vigilanza del territorio, stipulando a tal fine apposite  convenzioni

con le imprese di privata vigilanza.

    Cosi' come formulata la  norma  per  l'utilizzo  della  locuzione

«Controllo del territorio» richiama l'attivita'  di  prevenzione  dei

reati  tipica  della  funzione  di  pubblica  sicurezza,   attivita',

riservata  allo  Stato,  primariamente  diretta   a   tutelare   beni

fondamentali, come l'integrita' fisica o psichica delle  persone,  la

sicurezza di possessi  e  ogni  altro  bene  che  assume  prioritaria

importanza per l'esistenza stessa dell'ordinamento (sentenza  n.  407

del 2002).

    Ai sensi dell'art. 17 della legge 26  marzo  2001,  n.  128,  che

disciplina gli «Interventi legislativi in materia  di  sicurezza  dei

cittadini», il  Ministro  dell'Interno  emana  le  direttive  per  la

realizzazione a livello provinciale dei piani coordinati di controllo

del territorio, attuati, in via prioritaria, dalle Forze di Polizia a

competenza generale, Polizia di Stato e Arma dei  carabinieri,  sotto

il coordinamento dell'Autorita' di pubblica sicurezza ed ai quali  la

Polizia locale e' chiamata a  concorrere  nell'ambito  delle  proprie

competenze (comma 1, del predetto art. 17).

    Ferma restando la competenza esclusiva, dello Stato nella materia

dell'ordine e della sicurezza pubblica, il legislatore, in attuazione

dell'art. 118, comma 3, della Costituzione, con il  decreto-legge  20

febbraio 2017, n. 14, convertito con modificazioni con  la  legge  18

aprile 2017, n. 48, recante le «Disposizioni urgenti  in  materia  di

sicurezza  delle   citta'»,   ha   introdotto   misure   volte   alla

realizzazione di un efficace coordinamento di azioni integrate  dello

Stato, delle regioni, delle Province autonome di  Trento  e  Bolzano,

degli enti locali e di altri  soggetti  istituzionali,  al  fine  del

concorso,   ciascuno   nell'ambito   delle   proprie   competenze   e

responsabilita', all'attuazione di un sistema unitario e integrato di

sicurezza per il benessere delle comunita' locali e  per  contrastare

il degrado delle aree urbane.

    A tale scopo, il legislatore nazionale ha individuato quali piani

d'intervento la sicurezza integrata e la sicurezza urbana,  definendo

gli enti e i modelli nei quali si  sviluppa  la  cooperazione  tra  i

soggetti coinvolti nella gestione della sicurezza.

    L'art. 8 della legge regionale eccede dalle competenze  conferite

alle regioni nell'ottica  di  una  sicurezza  integrata,  sconfinando

nella materia della tutela  della  sicurezza  in  senso  stretto,  di

esclusiva competenza dello Stato ex art. 117, comma  2,  lettera  h),

della Costituzione.

    La materia «Ordine pubblico e  sicurezza»  comprende  il  settore

dell'ordinamento riferito all'«adozione delle  misure  relative  alla

prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico  e  tale

materia e' stata intesa in termini ampi rientrandovi le misure  e  le

funzioni pubbliche preposte a tutelare i  beni  fondamentali  e  ogni

altro bene che ha prioritaria importanza per l'ordinamento  giuridico

sociale (sentenze n. 33 del 2015; n. 118 del 2013; n. 35 del 2012; n.

129 del 2009; n. 50 del 2008; n. 105 del 2006; n. 313  del  2003;  n.

290 del 2001; n. 218 del 1988).

    La norma eccede dalle  competenze  attribuite  alla  regione  nel

prevedere la stipula di convenzioni tra i comuni e le imprese private

di vigilanza  per  le  finalita'  di  vigilanza  del  territorio.  La

competenza degli istituti di vigilanza privata si  risolve,  infatti,

esclusivamente nella sorveglianza di beni mobili e  immobili,  mentre

e' compito delle Forze di Polizia  dello  stato  il  controllo  delle

persone, essendo la tutela di quest'ultime compito solo ed  esclusivo

delle Forze di Polizia dello Stato.

    La norma citata contrasta, pertanto, con  l'art.  117,  comma  2,

lettera  h),  della  Costituzione   che   riserva   alla   competenza

legislativa esclusiva dello Stato la materia dell'ordine  pubblico  e

sicurezza, della quale il controllo del  territorio  e'  espressione,

generando interferenze potenziali con  la  disciplina  statale  della

prevenzione e repressone dei reati (sentenza n. 325 del 2011).

4. Gli articoli 9 e 10 della legge regionale n. 4 del 13  marzo  2019

citata violano l'art. 117, comma 3, della Costituzione  in  relazione

all'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre  2003,  n.

387,  e  al  paragrafo  1.2.  delle   linee   guida   nazionali   per

l'autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile di cui al decreto

ministeriale 10 settembre 2010.

    L'art.   9,   rubricato   «Modifiche   al    paragrafo    1.2.1.4

dell'appendice A del P.I.E.A.R.  approvato  con  legge  regionale  19

gennaio 2010, n. 1», dispone:

    «1. Al paragrafo 1.2.1.4 "Requisiti di  sicurezza"  alla  lettera

a-bis) il numero "2,5" sostituito dal numero "2,0".».

    L'art. 10, recante «Modifiche all'art. 38 della  legge  regionale

22 novembre 2018, n. 38», dispone:

    «1. Al comma 1 dell'art. 38 alla  lettera  d-ter)  le  parole  "e

comunque non inferiore a 200 m²"  sono  sostituite  dalle  parole  "e

comunque non inferiore a 150 m".».

    Le predette norme che intervengono  in  materia  di  impianti  di

energia a fonte rinnovabile, nel modificare la precedente disciplina,

pongono condizioni relative alla distanza degli aerogeneratori  dalle

abitazioni e dalle strade. Tali disposizioni  presentano  profili  di

incostituzionalita' in  riferimento  all'art.  117,  comma  3,  della

Costituzione, per contrasto con l'art.  12,  comma  10,  del  decreto

legislativo n. 387  del  2003  citato,  «Attuazione  della  direttiva

2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia  elettrica  prodotta

da   fonti    energetiche    rinnovabili    nel    mercato    interno

dell'elettricita'» e con il paragrafo 1.2 delle linee guida nazionali

per l'autorizzazione degli  impianti  a  fonte  rinnovabile  (decreto

ministeriale 10 settembre 2010) che rinvia al  paragrafo  17  per  le

modalita' di individuazione delle aree non idonee.

    Si ricorda che il legislatore statale attraverso la disciplina di

autorizzazione degli impianti  di  produzione  di  energia  da  fonti

rinnovabili ha introdotto principi che  non  tollerano  eccezioni  in

quanto espressione della potesta' legislativa concorrente in  materia

di energia di cui  all'art.  117,  comma  3,  della  Costituzione  in

materia  di   «Produzione   trasporto   e   distribuzione   nazionale

dell'energia».

    La  norma  regionale,  nello  stabilire  in  via  generale  senza

istruttoria e valutazione in concreto,  in  sede  procedimentale,  di

distanze minime non previste dalla normativa statale  non  garantisce

il rispetto dei principi fissati dalla legislazione statale.

    La fattispecie e' analoga ad altre gia' portate  all'esame  della

Corte (sentenze n. 13 del 2014 e n. 69 del 2018) che hanno dichiarato

l'illegittimita' costituzionale di normative analoghe.

    Gia'  con  la  sentenza   n.   380/2011   era   stata   affermata

l'illegittimita' costituzionale di disposizioni  che  prevedevano  un

divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di  localizzazione

di impianti di produzione di energia da  fonti  rinnovabili.  Con  la

sentenza n. 69/2018, richiamata la predetta sentenza n. 380/2011,  e'

stato precisato che «il principio di  derivazione  comunitaria  della

massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile puo'

trovare eccezione in presenza di esigenze  di  tutela  della  salute,

paesaggistico-ambientale e dell'assetto  urbanistico  del  territorio

(sentenze n. 13 del 2014 e n. 224 del 2012), ma  la  compresenza  dei

diversi interessi coinvolti, tutti costituzionalmente  rilevanti,  ha

come luogo elettivo di composizione il  procedimento  amministrativo,

come previsto al paragrafo 17.1 dalle linee guida, secondo cui «[...]

l'individuazione della  non  idoneita'  dell'area  e'  operata  dalle

regioni attraverso  un'apposita  istruttoria  avente  ad  oggetto  la

ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente,  del

paesaggio, del  patrimonio  storico  e  artistico,  delle  tradizioni

agroalimentari locali, della biodiversita' e del paesaggio rurale che

identificano   obiettivi   di   protezione   non   compatibili    con

l'insediamento, in determinate  aree,  di  specifiche  tipologie  e/o

dimensioni di  impianti,  i  quali  determinerebbero,  pertanto,  una

elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede  di

autorizzazione (...)» (punto 6 del considerato in diritto).

    E' nella sede procedimentale, dunque, che puo' e deve avvenire la

valutazione  sincronica  degli   interessi   pubblici   coinvolti   e

meritevoli di tutela, a confronto sia con  l'interesse  del  soggetto

privato operatore  economico,  sia  ancora,  e  non  da  ultimo,  con

ulteriori  interessi  di  cui  sono  titolari  singoli  cittadini   e

comunita',  e  che  trovano  nei  principi  costituzionali  la   loro

previsione e tutela. La struttura  del  procedimento  amministrativo,

infatti, rende possibili  l'emersione  di  tali  interessi,  la  loro

adeguata prospettazione, nonche'  la  pubblicita'  e  la  trasparenza

della loro valutazione, in attuazione dei principi di cui all'art.  1

della  legge  7  agosto  1990,  n.  241,  efficacia,   imparzialita',

pubblicita' e trasparenza. Viene in  tal  modo  garantita,  in  primo

luogo, l'imparzialita' della scelta, alla stregua dell'art. 97  della

Costituzione, ma poi anche il perseguimento, nel modo  piu'  adeguato

ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del

buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 della

Costituzione  (sentenza  n.  69  del  2018  citata  punto   6.1   del

considerato in diritto).

    In definitiva  viene  in  tal  modo  garantito  il  rispetto  del

principio di legalita' -  anch'esso  desumibile  dall'art.  97  della

Costituzione - in senso non solo formale, come attribuzione normativa

del potere, ma anche sostanziale, come esercizio del potere  in  modo

coerente con la fonte normativa di attribuzione. Difatti, a  chiusura

del sistema, vi e' la possibilita' di sottoporre le scelte compiute e

le relative modalita' di adozione al vaglio giurisdizionale.

    Esula, pertanto, dalla competenza della regione  la  prescrizione

di limiti generali, specie nella forma di  distanze  minime,  perche'

cio' contrasterebbe con il principio di derivazione comunitaria della

massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile.

    Viene in tal modo garantita l'imparzialita'  della  scelta,  alla

stregua dell'art. 97 della Costituzione e il perseguimento, nel  modo

piu' adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del

principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso

art. 97 della Costituzione e il rispetto del principio di legalita' -

anch'esso desumibile dall'art. 97 della Costituzione - in  senso  non

solo formale,  come  attribuzione  normativa  del  potere,  ma  anche

sostanziale, come esercizio del potere in modo coerente con la  fonte

normativa di attribuzione. Difatti, a chiusura del sistema, vi e'  la

possibilita' di sottoporre le scelte compiute e le relative modalita'

di adozione al vaglio giurisdizionale.

    La soluzione legislativa adottata dalla Regione Basilicata, nello

stabilire  in  via  generale,  senza  istruttoria  e  valutazione  in

concreto  nella  sede  procedimentale  dei  siti  di  localizzazione,

distanze minime per la collocazione degli impianti non previste dalla

disciplina statale, non garantisce il  rispetto  di  questi  principi

fondamentali e non  permette  un'adeguata  tutela  dei  molteplici  e

rilevanti interessi coinvolti.

    Le linee guida  nazionali  di  cui  al  decreto  ministeriale  10

settembre 2010, all'allegato 4  (Impianti  eolici:  elementi  per  il

corretto inserimento nel paesaggio e  sul  territorio)  prevedono  in

qualche caso le distanze ma poiche' si tratta di possibili misure  di

mitigazione dell'impatto ambientale e non di condizioni perentorie  o

prescrizioni generali.

    La materia delle distanze  non  e'  contemplata  nella  normativa

statale, se non nei limiti e nei termini  contenuti  nelle  succitate

linee guida, come enucleati dalla giurisprudenza  costituzionale  che

ritiene che  assurgano,  in  settori  squisitamente  tecnici,  seppur

integranti norme di  natura  regolamentare,  al  rango  di  normativa

interposta, cui e' affidato il  compito  di  individuare  appunto  le

specifiche caratteristiche della  fattispecie  tecnica  che,  proprio

perche' frutto di conoscenze periferiche  o  addirittura  estranee  a

quelle di carattere giuridico (le quali necessitano  di  applicazione

uniforme in tutto il territorio nazionale), mal si conciliano con  il

diretto contenuto di un atto legislativo (sentenza n. 11 del 2014).

    Le  disposizioni  regionali,  dunque,   presentano   profili   di

incostituzionalita', in riferimento all'art. 117, comma 3, Cost., per

contrasto con l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del

2003 citato e con il paragrafo 1.2 delle linee  guida  nazionali  per

l'autorizzazione  degli  impianti  a   fonte   rinnovabile   (decreto

ministeriale 10 settembre 2010) che rinvia al  paragrafo  17  per  le

modalita' di individuazione delle aree non idonee.

5. L'art. 12 della legge regionale n. 4  del  13  marzo  2019  citata

viola  gli  articoli  3,  97  e  117,  comma  2,  lettera  s),  della

Costituzione in relazione  all'art.  27-bis,  comma  5,  del  decreto

legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

    L'art.  12,  rubricato  «Modifiche  all'art.  3-bis  della  legge

regionale 26  aprile  2012,  n.  8,  e  successive  modificazioni  ed

integrazioni» dispone che «Dopo il  comma  1  dell'art.  3-bis  della

legge regionale 26 aprile 2012, n. 8, introdotto dall'art.  34  della

legge regionale 22 novembre 2018 aggiunge il seguente comma:

    "1-bis. Il termine di novanta giorni previsto al comma 1  per  la

presentazione della documentazione prescritta  dall'appendice  A  del

P.I.E.A.R. per  il  rilascio  dell'autorizzazione  regionale  di  cui

all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 puo' essere prorogato

per motivi indipendenti dalla volonta' dell'istante, su richiesta  di

parte, per un periodo massimo di sessanta giorni."».

    La norma, dunque,  stabilisce  la  proroga  del  termine  per  la

presentazione della  documentazione  prevista  dal  Piano  energetico

regionale (P.I.E.A.R.) ai fini dell'autorizzazione regionale  di  cui

all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 citato per un periodo

massimo di sessanta giorni. La proroga puo' essere  riconosciuta,  su

istanza dell'interessato, solo quando il ritardo e' dovuto  a  motivi

indipendenti dalla volonta' di quest'ultimo.

    La predetta previsione, per i progetti assoggettati a Valutazione

di impatto ambientale (VIA), non e'  conforme  all'art.  27-bis,  del

decreto legislativo n. 152/2006, introdotto dall'art.  16,  comma  2,

del  decreto  legislativo  16  giugno   2017,   n.   104,   rubricato

«Provvedimento autorizzatorio unico regionale», che prevede, al comma

5, che «Su richiesta motivata del proponente  l'autorita'  competente

puo' concedere, per una sola volta, la sospensione dei termini per la

presentazione della documentazione integrativa  per  un  periodo  non

superiore a  centottanta  giorni.».  La  previsione  regionale  cosi'

formulata, oltre che porsi in contrasto  con  il  suddetto  parametro

statale interposto, contrasta con l'esigenza di uniformita' normativa

sul territorio nazionale, in aperta  antitesi  con  il  parametro  di

ragionevolezza  della  legislazione  desumibile  dall'art.  3   della

Costituzione   nonche'   con   il   principio   di   buon   andamento

dell'amministrazione sancito dall'art. 97 della Costituzione.

    Nello stabilire un ulteriore termine di proroga del  procedimento

la norma regionale ne dilata la relativa durata, seppure  per  motivi

indipendenti dalla volonta' dell'istante a su richiesta dello stesso,

immotivatamente  aggravando  in  modo  arbitrario   il   procedimento

autorizzativo,  cosi'  confliggendo  con  i  canoni   di   efficacia,

efficienza  ed  economicita'  che  devono  presiedere   all'esercizio

dell'azione amministrativa.

    Sotto altro profilo la norma regionale de qua  contrasta  con  il

parametro  costituzionale  di  cui  al  secondo  comma,  lettera  s),

dell'art. 117 della Costituzione, in quanto interviene nella  materia

«Tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», attribuita in via esclusiva

alla competenza legislativa dello Stato (ex multis,  sentenze  n.  54

del 2012; n. 244 e n. 33 del 2011; n. 331 e n. 278 del 2010; n. 61  e

n. 10 del  2009),  nella  quale  rientra  la  disciplina  della  VIA,

nell'ambito della quale  deve  intendersi  riservato  allo  Stato  il

potere di fissare, anche in  attuazione  degli  obblighi  comunitari,

livelli  di  tutela  uniforme   sull'intero   territorio   nazionale,

imponendosi come un limite  alla  disciplina  che  le  regioni  e  le

province autonome dettano in altre materie di  loro  competenza,  per

evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale  stabilito

dallo Stato, ovvero lo peggiorino.

    La  tutela  dell'ambiente,  peraltro,  implica  che  l'intervento

regionale previsto dalla legislazione statale «avvenga  nel  rispetto

del modulo procedimentale e dei criteri  fissati  dalla  legislazione

stessa,  motivando  la  scelta  compiuta  in  modo  da  garantire  la

controllabilita'  della  discrezionalita'   esercitata   nelle   sedi

giurisdizionali (sentenza n. 173 del 2017  nonche'  in  termini  piu'

generali sentenza n. 85 del 2013)» (sentenza 28 febbraio 2019, n. 28,

punto 2.3 del considerata in diritto).

    La norma impugnata introduce una modifica del procedimento che ne

appesantisce  la  struttura  oltre  ad  introdurre   una   differente

disciplina della fattispecie  nel  territorio  nazionale,  mentre  e'

obiettivo del legislatore statale in ambito procedimentale evitare la

differenziazione dei procedimenti.

    L'art. 12 citato viola, pertanto, gli articoli 3, 97 e 117, comma

2, lettera  s),  della  Costituzione,  in  riferimento  ai  parametri

statali interposti dianzi citati.

6. L'art. 13, commi 1 e 3, della legge regionale n. 4  del  13  marzo

2019 citata viola  gli  articoli  41  e  117,  commi  1  e  3,  della

Costituzione in relazione all'art. 12, commi  4  e  10,  del  decreto

legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e le  linee  guida  di  cui  al

decreto ministeriale 10 settembre 2010.

    6.1. L'art.  13,  recante  «Modifiche  all'art.  11  della  legge

regionale 26 aprile 2012, n. 8» al comma 1 dispone che:

    «1. Il comma 2 dall'art. 11 della legge regionale 26 aprile 2012,

n. 8, e' sostituito dal seguente:

    "2. La disposizione di cui al comma 1, lettera b)  si  applica  a

condizione che l'istanza di autorizzazione soggetta a PAS rispetti  i

limiti e le condizioni stabiliti dall'art. 6."».

    Dalla complessiva lettura della norma, come modificata, ne deriva

la previsione di  ulteriori  condizioni  per  l'autorizzazione  degli

impianti a fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a  200

kW perche' gli stessi non concorrano al raggiungimento delle  potenze

installabili di cui alla parte III, paragrafo 1.2.3, tabella 1-4  del

P.I.E.A.R.

    Le ulteriori condizioni, attraverso una serie di rinvii ad  altre

disposizioni, sono indicate all'art. 32 della legge regionale  n.  38

del 2018 (che ha modificato l'art. 6 della legge regionale n.  8/2012

citata). Tale disposizione va letta in relazione a quanto disposto al

comma  3  che  prevede:  «Nelle  more  della  adozione  della   nuova

pianificazione energetica  ambientale  della  regione,  ai  fini  del

rilascio  delle  autorizzazioni  di  cui  all'art.  12  del   decreto

legislativo n. 387/2003 i limiti massimi della produzione di  energia

da fonte rinnovabile stabiliti dalla tab. 1-4 del vigente  P.I.E.A.R.

approvato con legge regionale n. 1 del 19 gennaio 2010 sono aumentati

per singola fonte rinnovabile in misura non  superiore  a  due  volte

l'obiettivo stabilito per la fonte eolica e per la  fonte  solare  di

conversione fotovoltaica e termodinamica e in misura non superiore  a

1,5 volte gli obiettivi stabiliti per le altre fonti  rinnovabili  in

essa previste.».

    L'applicazione della richiamata normativa  diminuisce  il  numero

degli impianti da calcolare per verificare il rispetto dei limiti  di

potenza elettrica installabile in relazione alle diverse tipologie di

fonte  rinnovabile  (comma  1)  e,  in  via  transitoria,  stabilisce

l'aumento della potenza installabile, differenziato  sempre  in  base

alla tipologia di fonte rinnovabile (comma 3).

    In particolare, per quanto concerne il comma 1,  il  rinvio  alle

condizioni di cui al citato art. 32 della legge regionale n.  38  del

2018, che abroga e sostituisce l'art. 6 della legge  regionale  n.  8

del 26 aprile  2012,  comporta  che  siano  ribadite  le  censure  di

incostituzionalita' dello stesso art. 32, gia' impugnato dal  Governo

(ricorso R.R. 7/2019).

    L'art. 32 della legge regionale n. 38/2018  citato,  infatti,  ha

previsto una distanza minima tra un impianto FER - Fonti  di  energia

rinnovabili, e un altro,  non  prevista  in  alcuna  norma  di  rango

statale e, quindi, in  contrasto  con  l'art.  117,  comma  3,  della

Costituzione,  in  relazione  alla  materia   oggetto   di   potesta'

legislativa  concorrente  «Produzione,  trasporto   e   distribuzione

nazionale dell'energia»,  con  riferimento  al  parametro  interposto

statale costituito dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29

dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE

relativa alla promozione dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti

energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'», e con

il paragrafo 1.2 e  17.1  delle  discendenti  linee  guida  nazionali

approvate con decreto del Ministero dello sviluppo economico  del  10

settembre 2010  (Linee  guida  per  l'autorizzazione  degli  impianti

alimentati da fonti  rinnovabili),  recanti  specifici  indirizzi  in

merito alla individuazione delle aree non idonee.

    Lo stesso art. 32, nel prevedere quale ulteriore  condizione  per

l'istallazione degli impianti la «disponibilita' di un suolo  la  cui

estensione sia pari  o  superiore  a  tre  volte  la  superficie  del

generatore fotovoltaico, sul quale non potra' essere realizzato altro

impianto  di  produzione  di  energia  da  qualunque  tipo  di  fonte

rinnovabile», contrasta con l'art.  12  del  decreto  legislativo  29

dicembre 2003, n. 387, citato che, per l'autorizzazione unica, cioe',

per un regime abilitativo piu' complesso prevede al comma  4-bis  «la

disponibilita' del suolo su cui realizzare l'impianto».

    Cio' comporta la violazione di un  principio  fondamentale  della

materia della massima diffusione degli impianti, con un  aggravamento

ingiustificato degli oneri a carico  dell'operatore  anche  sotto  il

profilo del divieto di altre iniziative nell'area, per contrasto  con

l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003,  e  del

paragrafo 1.2 delle linee guida nazionali per l'autorizzazione  degli

impianti a fonte rinnovabile (decreto ministeriale 10 settembre 2010)

che rinvia al paragrafo 17 per le modalita' di  individuazione  delle

aree non idonee, rilevandosi, altresi', il contrasto  con  l'art.  41

della Costituzione sulla liberta' di iniziativa economica  privata  e

dell'art. 117, comma primo,  della  Costituzione  (cfr.  art.  1  del

decreto legislativo n. 79/1999  che  sancisce,  in  attuazione  della

direttiva 96/92/CE, la liberalizzazione del  mercato  elettrico,  ivi

compresa dell'attivita' di produzione di energia elettrica).

    6.2. L'art. 13, comma 3, aggiunge il comma 7  all'art.  11  della

legge regionale n. 8/2012 citata, disponendo che  «Nelle  more  della

adozione  della  nuova  pianificazione  energetica  ambientale  della

regione, ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 12

del decreto legislativo n. 387/2003 i limiti massimi della produzione

di energia da fonte rinnovabile stabiliti dalla tab. 1-4 del  vigente

P.I.E.A.R. approvato con legge regionale n. 1  del  19  gennaio  2010

sono aumentati per singola fonte rinnovabile in misura non  superiore

a due volte l'obiettivo stabilito per la fonte eolica e per la  fonte

solare di conversione fotovoltaica e termodinamica e  in  misura  non

superiore a 1,5 volte gli obiettivi  stabiliti  per  le  altre  fonti

rinnovabili in essa previste».

    La norma esula, quindi, dalla competenza della regione. L'art. 1,

comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, citato dispone

che la produzione  di  energia  elettrica  (da  qualunque  fonte)  e'

attivita' libera e non  e'  pertanto  condizionata  dall'entita'  dei

consumi in ambito regionale. Le linee guida statali, in coerenza  con

tale principio, prevedono che l'eventuale superamento di  limitazioni

programmatiche contenute nel Piano energetico regionale o delle quote

minime di incremento  dell'energia  elettrica  da  FER  non  preclude

comunque l'avvio e la  conclusione  favorevole  del  procedimento  di

rilascio dell'autorizzazione unica (paragrafo 14.5).  Il  riferimento

alle quote minime di incremento di energia da FER e' stato introdotto

nelle linee guida in relazione all'obiettivo  nazionale  del  17%  di

consumo finale lordo  da  FER  al  2020,  stabilito  dalla  direttiva

europea 2009/28/CE sulla promozione delle fonti rinnovabili.

    In base al decreto legislativo 3 marzo  2011,  n.  28,  e'  stato

emanato il decreto ministeriale  15  marzo  2012  (cosiddetto  Burden

Sharing), che  ha  ripartito  detto  obiettivo  fra  le  regioni,  in

considerazione  del  loro  potenziale   tecnico-economico   e   delle

disponibilita' di risorse energetiche locali. Le regioni perseguono i

rispettivi  obiettivi  con  l'utilizzo  di  FER  ed   interventi   di

efficienza energetica, la  cui  combinazione  e'  rimessa  alla  loro

discrezionalita'. Sebbene la Regione Basilicata sia in linea  con  la

traiettoria intermedia degli obiettivi fissati dal Burden Sharing, la

fissazione di tetti di produzione di energia elettrica  non  deve  in

ogni caso rappresentare un ostacolo o la compressione della  liberta'

di iniziativa economica in materia di produzione di energia elettrica

di cui al citato art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 79/1999,

che e' di derivazione comunitaria (direttiva 96/92/CE  recante  norme

comuni per il mercato interno dell'energia elettrica).

    I predetti limiti massimi di produzione per le singole fonti, che

le  regioni  possono  fissare,  non  possono  inibire  l'avvio  e  la

conclusione    favorevole    del     procedimento     di     rilascio

dell'autorizzazione unica  o  di  altri  titoli  abilitativi  la  cui

procedura e' scandita da termini perentori.

    Il decreto legislativo n. 387/2003  citato,  recante  «Attuazione

della direttiva 2001/77/CE relativa  alla  promozione  della  energia

elettrica  prodotta  da  fonti  rinnovabili  nel  mercato   interno»,

all'art. 12 detta una specifica disciplina per la razionalizzazione e

semplificazione  delle  procedure  autorizzatorie   che   costituisce

principio fondamentale della materia (sentenze n. 364  del  2006;  n.

282 del 2009; e n. 124 del 2010) e  che  riserva  la  disciplina  del

procedimento autorizzatorio alla  competenza  legislativa  statale  a

mente dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. L'art. 12 citato al

comma 4 prevede il termine di perentorio di  novanta  giorni  per  la

conclusione del procedimento.

    In  tale  contesto  e'  illegittima,   perche'   invasiva   della

competenza legislativa  statale,  la  previsione  che  consente  alle

regione di introdurre una moratoria  ad  libitum  in  violazione  del

predetto termine perentorio per la conclusione  del  procedimento  di

autorizzazione.

    Si ritiene violato anche l'art. 117, comma 1, della Costituzione,

che   impone   la   conformita'    della    legislazione    regionale

all'ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali,  tra  cui

si  segnalano,  in  particolare,   quelli   assunti   dall'Italia   e

conseguenti  alla  Convenzione  quadro  delle   Nazioni   Unite   sui

cambiamenti climatici, ratificato con legge 18 giugno 2002,  n.  120,

cosiddetto Protocollo di Kyoto.

    E' noto, infatti, il favor accordato alle fonti rinnovabili dagli

accordi internazionali  e  dalle  direttive  comunitarie  in  materia

(direttive  2001/77/CE   e   2009/28/CE,   attuate   nell'ordinamento

italiano,  rispettivamente,  con  i  citati  decreto  legislativo  n.

387/2003 e n. 28/2011).

    Si ricorda che con  direttiva  2018/2001  dell'11  dicembre  2018

sulla promozione dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili  sono

stati posti nuovi e piu' sfidanti obiettivi al 2030 e  che  l'Italia,

con la proposta del Piano per l'energia  e  il  clima  (inviata  alla

Commissione  europea  a  fine  dicembre  2018),  si  e'  impegnata  a

raggiungere il 30% dei consumi di energia da  fonte  rinnovabile  sul

totale dei consumi energetici.

    La norma impugnata viola, pertanto, l'art.  117,  commi  1  e  3,

della Costituzione.

7. L'art. 27 della legge regionale n. 4  del  13  marzo  2019  citata

viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione.

    L'art. 27 (in origine art. 28, poi  cosi'  rinumerato  a  seguito

dell'avviso di rettifica pubblicato nel BUR regionale n.  14  del  21

marzo 2019), recante «Strutture socio  sanitarie»,  dispone  che  «Al

fine di garantire la continuita' dei servizi sociali e socio-sanitari

essenziali, nelle more del perfezionamento dell'iter  procedurale  in

materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n.  424  del  17  maggio

2018 le aziende sanitarie locali  ed  i  comuni  sono  autorizzati  a

proseguire i  contratti  in  corso  con  i  gestori  delle  strutture

socio-sanitarie e dei servizi socio-assistenziali, socio-educativi  e

socio-sanitari,   gia'   in   possesso   di   autorizzazione,   anche

provvisoria, sulla base della normativa previgente».

    La norma regionale autorizza la prosecuzione dei  contratti  gia'

in essere con i gestori delle strutture socio-sanitarie e dei servizi

socio-assistenziali,   socio-educativi    e    socio-sanitari    gia'

autorizzate, nelle more del perfezionamento dell'iter procedurale  in

materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n.  424  del  17  maggio

2018. non  subordinandola  all'accreditamento  istituzionale  di  cui

all'art. 8-quater del decreto legislativo n.  502/1992  e  successive

modificazioni ed integrazioni.

    Il rapporto di accreditamento si pone quale  istituto  intermedio

tra la concessione e l'abilitazione tecnica nell'ambito del  servizio

pubblico essenziale che obbedisce non gia' a criteri di mercato, ma a

necessita' di pubblico interesse, quali l'erogazione  di  prestazioni

sanitarie o assistenziali.

    Tale rapporto impone al privato abilitato specifici  obblighi  di

leale collaborazione. La  norma  regionale  censurata  esonerando  la

prosecuzione dei rapporti in essere all'accreditamento  professionale

eccede dalla competenza  concorrente  della  regione  in  materia  di

tutela della salute.

    Il  detto  accreditamento  e'  condizione  necessaria  per  poter

stipulare gli accordi contrattuali previsti dall'art. 8-quinquies del

medesimo  decreto  e,  dunque,  anche  per  consentirne  la  proroga,

dovendosi  ricordare  che  il  decreto  legislativo  n.  502/1992   e

successive modificazioni ed integrazioni detta principi  fondamentali

in materia di tutela della salute nell'alveo dei quali deve svolgersi

la potesta' legislativa della regione  come  esplicitamente  previsto

dall'art. 19, comma 1, il quale stabilisce che «Le  disposizioni  del

presente  decreto  costituiscono  principio  fondamentale  ai   sensi

dell'art. 117 della Costituzione».

    E', del resto, principio affermato che «la  competenza  regionale

in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni  sanitarie

private  debba  senz'altro  essere  inquadrata  nella  piu'  generale

potesta' legislativa concorrente in materia di tutela  della  salute,

che  vincola  le  regioni  al  rispetto  dei  principi   fondamentali

stabiliti dalle leggi dello Stato (sentenze n. 134 del 2006 e n.  200

del 2005)» (sentenza n. 292 del 2012 e, nello stesso senso,  sentenza

n. 260 del 2012). Ne consegue che,  ai  sensi  dell'art.  117,  terzo

comma, Cost., le scelte del legislatore  regionale  devono  svolgersi

nel rispetto dei principi fondamentali  riservati  alla  legislazione

dello Stato (sentenze n. 162 del 2004 e n. 282 del 2002, ordinanza n.

323 del 2010) (sentenza n. 59 del 2015, punto 2.2 del considerato  in

diritto).

    La norma regionale, pertanto, si pone in contrasto con  le  norme

del decreto legislativo n. 502/1992  e  successive  modificazioni  ed

integrazioni, e viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione.

 

                                      P.Q.M.

 

    Per i suesposti motivi si conclude perche' gli articoli 2,  comma

7; 5, 8, 9, 10, 12, 13 commi 1  e  3;  e  27  della  legge  regionale

Basilicata n.  4  del  13  marzo  2019  indicata  in  epigrafe  siano

dichiarati costituzionalmente illegittimi.

    Si produce l'attestazione della deliberazione del  Consiglio  dei

ministri in data 8 maggio 2019.

 

Roma 13 maggio 2019

Il Vice Avvocato Generale dello Stato: Palmieri

 

 

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