Ricorso n.60 del 21 maggio 2019 (del Presidente del Consiglio dei Ministri)
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 21 maggio 2019 (del Presidente del Consiglio dei ministri).
(GU n. 26 del 2019-06-26)
Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri (codice fiscale n. 80188230587) rappresentato e difeso per
legge dall'Avvocatura generale dello Stato (codice fiscale n.
80124030587), presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, manifestando la volonta' di ricevere le
comunicazioni all'indirizzo PEC: ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it,
nei confronti della Regione Basilicata, in persona del presidente
della giunta regionale pro tempore per la dichiarazione di
illegittimita' costituzionale degli articoli 2, comma 7, 5, 8, 9, 10,
12, 13, commi 1 e 3, e 27 della legge regionale Basilicata n. 4 del
13 marzo 2019, recante «Ulteriori disposizioni urgenti in vari
settori d'intervento della Regione Basilicata», pubblicata nel B.U.R.
n. 12 del 14 marzo 2019, giusta delibera del Consiglio dei ministri
in data 8 maggio 2019.
Con la legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 indicata in
epigrafe, che consta di ventinove articoli, la Regione Basilicata ha
emanato «Ulteriori disposizioni urgenti in vari settori di
intervento».
Le norme indicate in epigrafe eccedono dalle competenze regionali
e invadono competenze esclusive statali in materia di ordine pubblico
e sicurezza, ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato,
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, di cui all'art. 117, comma 2,
lettere g), h) e s) della Costituzione, oltre a contrastare con norme
statali che costituiscono principi fondamentali in materia di tutela
della salute e produzione trasporto di energia, in violazione del
terzo comma dell'art. 117 della Costituzione.
E', pertanto, avviso del Governo che, con le norme denunciate in
epigrafe, la Regione Basilicata abbia ecceduto dalla propria
competenza in violazione della normativa costituzionale come si
confida di dimostrare con l'illustrazione dei seguenti
Motivi
1. L'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019
citata viola l'art. 117, comma 2, lettera g), della Costituzione.
L'art. 2, comma 7, della legge regionale n. 4 del 2019 citata
modifica l'art. 28, comma 2, della legge regionale n. 2 del 1995,
come modificato dall'art. 13, comma 2, della legge regionale n.
37/2018, in materia di controllo della fauna selvatica.
La disposizione risulta, quindi, cosi' modificata: «La regione in
caso di ravvisata inefficacia, verificata da parte dell'ISPRA, degli
interventi ecologici di cui al comma 1, autorizza piani di
abbattimento con modalita' di intervento compatibili con le diverse
caratteristiche ambientali e faunistiche delle aree interessate. Tali
piani sono attuati dal corpo della Polizia provinciale, che potra'
avvalersi del personale dell'Arma dei carabinieri forestali e della
Polizia locale purche' munito di licenza per l'esercizio venatorio.
Per la realizzazione dei piani la regione puo' altresi' autorizzare i
proprietari o conduttori dei fondi nei quali si attuano i piani di
abbattimento, purche' muniti di licenza per l'esercizio venatorio».
La previgente normativa prevedeva che la regione, per la
realizzazione dei piani di abbattimento dei cinghiali, potesse
avvalersi «dei proprietari o dei conduttori dei fondi nei quali si
attuano i piani di abbattimento, delle guardie forestali e del
personale di vigilanza dei comuni nonche' delle guardie di cui
all'art. 45, purche' i soggetti in questione siano in possesso della
licenza di caccia».
La norma regionale impugnata attribuisce, invece, alla Polizia
provinciale la facolta' di avvalersi per i piani di abbattimento del
personale dell'Arma dei carabinieri forestali istituiti con decreto
legislativo 19 agosto 2016, n. 177, recante «Disposizioni in materia
di razionalizzazione delle funzioni di Polizia e assorbimento del
Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lettera
a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione
delle amministrazioni pubbliche.».
Il Corpo di nuova istituzione svolge funzioni di Polizia e allo
stesso sono attribuite funzioni anche in materia forestale, ma la
norma regionale censurata attribuisce agli stessi nuovi compiti in
relazione ad iniziative - piani di abbattimento - adottate dalla
regione stessa.
Con la norma censurata, dunque, la regione, esorbitando dalle
proprie attribuzione, consente alla Polizia locale di utilizzare il
personale specializzato dell'Arma dei carabinieri nel settore del
patrimonio agro-forestale.
La norma presuppone una attribuzione di competenza regionale che
rientra, invece, nella disciplina dell'«ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali»,
riservata in via esclusiva alla legislazione statale, in base
all'art. 117, comma 2, lettera g), della Costituzione, peraltro,
ponendo, di fatto, il personale dell'Arma dei carabinieri del settore
agro-alimentare in posizione servente rispetto alla Polizia
provinciale che potrebbe impiegarlo per l'attuazione dei piani
predisposti dalla regione.
La disposizione regionale, pertanto, cosi' come formulata,
determina uno sconfinamento nell'ambito riservato alla competenza
legislativa dello Stato nella materia «Ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» che
l'art. 117, comma 2, lettera g), della Costituzione, riserva alla
potesta' legislativa esclusiva dello Stato, in quanto pone il
personale di una Forza di Polizia, per definizione statuale, al
servizio della Polizia provinciale per il perseguimento di obiettivi
individuati dalla regione.
Come affermato dalla Corte costituzionale, infatti, le regioni
non possono porre a carico di organi e amministrazioni dello Stato
compiti ulteriori rispetto a quelli individuati con legge statale e
non possono disciplinare unilateralmente, nemmeno nell'esercizio
della loro potesta' legislativa, forme di collaborazione e di
coordinamento che coinvolgono attribuzioni di organi statali
(sentenza n. 134 del 2004).
2. L'art. 5 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata viola
l'art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione in relazione
all'art. 41 del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, convertito
con modificazioni con la legge 16 novembre 2018, n. 130.
L'art. 5, rubricato «Disposizioni sulla gestione dei fanghi di
depurazione», al comma 1 prevede che «Sul territorio della Regione
Basilicata, nelle more di una revisione organica della normativa di
settore, ai fini dell'utilizzo in agricoltura dei fanghi di cui
all'art. 2, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 27 gennaio
1992, n. 99, vigono i limiti dell'allegato 113 del predetto decreto
nonche', per la concentrazione di idrocarburi e fenoli, i valori
limite sanciti dalla tabella 1, allegato 5, titolo V, parte IV del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».
La norma nella sua attuale formulazione, ai fini dello
spandimento dei fanghi di depurazione delle acque reflue in
agricoltura, prevede, dunque, non soltanto il rispetto dei limiti di
concentrazione dei metalli pesanti e degli altri parametri previsti
dal vigente decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, ma introduce,
per la concentrazione degli idrocarburi e dei fenoli, il rispetto dei
valori limite di C.S.C. (Concentrazione soglia di contaminazione) nel
suolo e nel sottosuolo stabiliti nella tabella 1, allegato 5, titolo
V, parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
Detti valori tabellari, previsti dal decreto legislativo n. 152
del 2006 citato, sono finalizzati alle verifiche analitiche di esame
del suolo per la destinazione d'uso dei siti da bonificare e sono
distinti in relazione dell'utilizzazione a seconda che si tratti di
siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale ovvero siti ad uso
commerciale e industriale. Si tratta, dunque, di valori elaborati in
relazione ad una diversa tipologia di intervento ampiamente
restrittivi e, pertanto, non richiamabili nella fattispecie relativa
allo smaltimento di rifiuti mediante spandimento su terreni agricoli.
La norma regionale e' costituzionalmente illegittima poiche'
richiama i valori tabellari di cui al decreto legislativo n. 152/2006
citato in modo non conferente per la mancata analogia tra le
finalita' di bonifica, per le quali detti valori costituiscono
parametro, e le finalita' di smaltimento dei rifiuti con spargimento
in aree agricole.
I valori degli idrocarburi riscontrati nei fanghi di depurazione
sono piu' elevati. In particolare il decreto-legge 28 settembre 2018,
n. 109, citato, recante le «Disposizioni urgenti per la Citta' di
Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei
trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre
emergenze», convertito con modificazioni con la legge 16 novembre
2018, n. 130, all'art. 41, rubricato «Disposizioni urgenti sulla
gestione dei fanghi di depurazione», ha previsto specifiche
disposizioni per taluni analiti non previsti nel decreto-legge n.
99/1992, tra cui proprio gli idrocarburi, introducendo un valore
limite di 1000 mg/kg di sostanza secca per gli idrocarburi CI 0-C40,
corrispondente a quanto indicato nella classificazione in base alla
normativa eurounitaria dei rifiuti come limite massimo per la
determinazione dei rifiuti pericolosi.
La predetta disposizione regionale, pertanto, nell'introdurre il
rispetto dei piu' restrittivi valori limite per gli idrocarburi e per
i fenoli, come previsti per il suolo e per il sottosuolo dei siti da
sottoporre a bonifica, oltre a porsi in conflitto con il parametro
interposto statale costituito dal suddetto art. 41 del decreto-legge
n. 109 del 2018 citato, che ha stabilito i valore limite da assumere
per gli idrocarburi e per altri composti (IPA, PCB, diossine e
furani, selenio, toluene), ha quale ulteriore conseguenza l'obbligo
di dover conferire in discarica o presso gli impianti di
incenerimento/coincenerimento i fanghi di depurazione delle acque
reflue vista l'impossibilita' del recupero in agricoltura,
determinando un conseguente aggravio sulla filiera gestionale del
rifiuto stesso.
La norma eccede, pertanto, dalla competenza regionale, poiche' la
disciplina della gestione dei rifiuti rientra nella materia «Tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» riservata in base all'art. 117,
comma 2, lettera s), della Costituzione alla competenza esclusiva
dello Stato (ex multis sentenze n. 285 del 2013; n. 54 del 2012; n.
244 e n. 33 del 2011; n. 331 e n. 278 del 2010; n. 61 e n. 10 del
2009).
Alla luce di quanto fin qui rappresentato e del quadro normativo
eurounitario e statale, la norma regionale impugnata risulta in
contrasto con il parametro costituzionale di cui al secondo comma,
lettera s), dell'art. 117 della Costituzione, nel quale rientra la
disciplina della gestione dei rifiuti (sentenza n. 249/2009, punto 11
del considerato in diritto) anche se la disciplina interferisce con
altri interessi e competenze, di modo che deve intendersi riservato
allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme
sull'intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle
regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli
propriamente ambientali (ex multis sentenze n. 67 del 2014; n. 285
del 2013; n. 54 del 2012; n. 244 del 2011; n. 225 e n. 164 del 2009;
e n. 437 del 2008).
Tale disciplina, «in quanto appunto rientrante principalmente
nella tutela dell'ambiente, e dunque in una materia che, per la
molteplicita' dei settori di intervento, assume una struttura
complessa, riveste un carattere di pervasivita' rispetto anche alle
attribuzioni regionali» (sentenza n. 249 del 2009, ibidem), con la
conseguenza che, avendo riguardo alle diverse fasi e attivita' di
gestione del ciclo dei rifiuti e agli ambiti materiali ad esse
connessi, la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione
degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone
sull'intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che
le regioni e le province autonome dettano in altre materie di loro
competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela
ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenze n.
58 del 2015; n. 314 del 2009; n. 62 del 2008; e n. 378 del 2007).
3. L'art. 8 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata viola
l'art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione.
L'art. 8, rubricato «Processi di controllo del territorio»
dispone che:
«1. La Regione Basilicata, al fine di migliorare i processi di
controllo del territorio e fornire maggiore sicurezza ai cittadini
lucani, utilizza il Fondo unico autonomie locali di cui alla legge
regionale 19 settembre 2018, n. 23.
2. I comuni interessati da ricorrenti e significativi episodi di
attentati alla proprieta' privata possono avvalersi dei fondi
indicati al comma 1 della presente norma finalizzati a forme di
vigilanza del territorio ad integrazione di quelle gia' in essere
stipulando a tal fine apposite convenzioni con le imprese private di
vigilanza.
3. La Regione Basilicata adotta apposito regolamento attuativo.».
La norma prevede, dunque, che la regione utilizzi il Fondo unico
autonomie locali, di cui alla legge regionale 19 settembre 2018, n.
23, al fine di migliorare i processi di controllo del territorio e
fornire maggiore sicurezza ai cittadini e che i comuni interessati da
significativi e ricorrenti episodi di attentati alla proprieta'
privata possano avvalersi dei fondi citati finalizzati a forme di
vigilanza del territorio, stipulando a tal fine apposite convenzioni
con le imprese di privata vigilanza.
Cosi' come formulata la norma per l'utilizzo della locuzione
«Controllo del territorio» richiama l'attivita' di prevenzione dei
reati tipica della funzione di pubblica sicurezza, attivita',
riservata allo Stato, primariamente diretta a tutelare beni
fondamentali, come l'integrita' fisica o psichica delle persone, la
sicurezza di possessi e ogni altro bene che assume prioritaria
importanza per l'esistenza stessa dell'ordinamento (sentenza n. 407
del 2002).
Ai sensi dell'art. 17 della legge 26 marzo 2001, n. 128, che
disciplina gli «Interventi legislativi in materia di sicurezza dei
cittadini», il Ministro dell'Interno emana le direttive per la
realizzazione a livello provinciale dei piani coordinati di controllo
del territorio, attuati, in via prioritaria, dalle Forze di Polizia a
competenza generale, Polizia di Stato e Arma dei carabinieri, sotto
il coordinamento dell'Autorita' di pubblica sicurezza ed ai quali la
Polizia locale e' chiamata a concorrere nell'ambito delle proprie
competenze (comma 1, del predetto art. 17).
Ferma restando la competenza esclusiva, dello Stato nella materia
dell'ordine e della sicurezza pubblica, il legislatore, in attuazione
dell'art. 118, comma 3, della Costituzione, con il decreto-legge 20
febbraio 2017, n. 14, convertito con modificazioni con la legge 18
aprile 2017, n. 48, recante le «Disposizioni urgenti in materia di
sicurezza delle citta'», ha introdotto misure volte alla
realizzazione di un efficace coordinamento di azioni integrate dello
Stato, delle regioni, delle Province autonome di Trento e Bolzano,
degli enti locali e di altri soggetti istituzionali, al fine del
concorso, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e
responsabilita', all'attuazione di un sistema unitario e integrato di
sicurezza per il benessere delle comunita' locali e per contrastare
il degrado delle aree urbane.
A tale scopo, il legislatore nazionale ha individuato quali piani
d'intervento la sicurezza integrata e la sicurezza urbana, definendo
gli enti e i modelli nei quali si sviluppa la cooperazione tra i
soggetti coinvolti nella gestione della sicurezza.
L'art. 8 della legge regionale eccede dalle competenze conferite
alle regioni nell'ottica di una sicurezza integrata, sconfinando
nella materia della tutela della sicurezza in senso stretto, di
esclusiva competenza dello Stato ex art. 117, comma 2, lettera h),
della Costituzione.
La materia «Ordine pubblico e sicurezza» comprende il settore
dell'ordinamento riferito all'«adozione delle misure relative alla
prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico e tale
materia e' stata intesa in termini ampi rientrandovi le misure e le
funzioni pubbliche preposte a tutelare i beni fondamentali e ogni
altro bene che ha prioritaria importanza per l'ordinamento giuridico
sociale (sentenze n. 33 del 2015; n. 118 del 2013; n. 35 del 2012; n.
129 del 2009; n. 50 del 2008; n. 105 del 2006; n. 313 del 2003; n.
290 del 2001; n. 218 del 1988).
La norma eccede dalle competenze attribuite alla regione nel
prevedere la stipula di convenzioni tra i comuni e le imprese private
di vigilanza per le finalita' di vigilanza del territorio. La
competenza degli istituti di vigilanza privata si risolve, infatti,
esclusivamente nella sorveglianza di beni mobili e immobili, mentre
e' compito delle Forze di Polizia dello stato il controllo delle
persone, essendo la tutela di quest'ultime compito solo ed esclusivo
delle Forze di Polizia dello Stato.
La norma citata contrasta, pertanto, con l'art. 117, comma 2,
lettera h), della Costituzione che riserva alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato la materia dell'ordine pubblico e
sicurezza, della quale il controllo del territorio e' espressione,
generando interferenze potenziali con la disciplina statale della
prevenzione e repressone dei reati (sentenza n. 325 del 2011).
4. Gli articoli 9 e 10 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019
citata violano l'art. 117, comma 3, della Costituzione in relazione
all'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n.
387, e al paragrafo 1.2. delle linee guida nazionali per
l'autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile di cui al decreto
ministeriale 10 settembre 2010.
L'art. 9, rubricato «Modifiche al paragrafo 1.2.1.4
dell'appendice A del P.I.E.A.R. approvato con legge regionale 19
gennaio 2010, n. 1», dispone:
«1. Al paragrafo 1.2.1.4 "Requisiti di sicurezza" alla lettera
a-bis) il numero "2,5" sostituito dal numero "2,0".».
L'art. 10, recante «Modifiche all'art. 38 della legge regionale
22 novembre 2018, n. 38», dispone:
«1. Al comma 1 dell'art. 38 alla lettera d-ter) le parole "e
comunque non inferiore a 200 m²" sono sostituite dalle parole "e
comunque non inferiore a 150 m".».
Le predette norme che intervengono in materia di impianti di
energia a fonte rinnovabile, nel modificare la precedente disciplina,
pongono condizioni relative alla distanza degli aerogeneratori dalle
abitazioni e dalle strade. Tali disposizioni presentano profili di
incostituzionalita' in riferimento all'art. 117, comma 3, della
Costituzione, per contrasto con l'art. 12, comma 10, del decreto
legislativo n. 387 del 2003 citato, «Attuazione della direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta
da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell'elettricita'» e con il paragrafo 1.2 delle linee guida nazionali
per l'autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile (decreto
ministeriale 10 settembre 2010) che rinvia al paragrafo 17 per le
modalita' di individuazione delle aree non idonee.
Si ricorda che il legislatore statale attraverso la disciplina di
autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili ha introdotto principi che non tollerano eccezioni in
quanto espressione della potesta' legislativa concorrente in materia
di energia di cui all'art. 117, comma 3, della Costituzione in
materia di «Produzione trasporto e distribuzione nazionale
dell'energia».
La norma regionale, nello stabilire in via generale senza
istruttoria e valutazione in concreto, in sede procedimentale, di
distanze minime non previste dalla normativa statale non garantisce
il rispetto dei principi fissati dalla legislazione statale.
La fattispecie e' analoga ad altre gia' portate all'esame della
Corte (sentenze n. 13 del 2014 e n. 69 del 2018) che hanno dichiarato
l'illegittimita' costituzionale di normative analoghe.
Gia' con la sentenza n. 380/2011 era stata affermata
l'illegittimita' costituzionale di disposizioni che prevedevano un
divieto arbitrario, generalizzato e indiscriminato di localizzazione
di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Con la
sentenza n. 69/2018, richiamata la predetta sentenza n. 380/2011, e'
stato precisato che «il principio di derivazione comunitaria della
massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile puo'
trovare eccezione in presenza di esigenze di tutela della salute,
paesaggistico-ambientale e dell'assetto urbanistico del territorio
(sentenze n. 13 del 2014 e n. 224 del 2012), ma la compresenza dei
diversi interessi coinvolti, tutti costituzionalmente rilevanti, ha
come luogo elettivo di composizione il procedimento amministrativo,
come previsto al paragrafo 17.1 dalle linee guida, secondo cui «[...]
l'individuazione della non idoneita' dell'area e' operata dalle
regioni attraverso un'apposita istruttoria avente ad oggetto la
ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del
paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni
agroalimentari locali, della biodiversita' e del paesaggio rurale che
identificano obiettivi di protezione non compatibili con
l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o
dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una
elevata probabilita' di esito negativo delle valutazioni, in sede di
autorizzazione (...)» (punto 6 del considerato in diritto).
E' nella sede procedimentale, dunque, che puo' e deve avvenire la
valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e
meritevoli di tutela, a confronto sia con l'interesse del soggetto
privato operatore economico, sia ancora, e non da ultimo, con
ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e
comunita', e che trovano nei principi costituzionali la loro
previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo,
infatti, rende possibili l'emersione di tali interessi, la loro
adeguata prospettazione, nonche' la pubblicita' e la trasparenza
della loro valutazione, in attuazione dei principi di cui all'art. 1
della legge 7 agosto 1990, n. 241, efficacia, imparzialita',
pubblicita' e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo
luogo, l'imparzialita' della scelta, alla stregua dell'art. 97 della
Costituzione, ma poi anche il perseguimento, nel modo piu' adeguato
ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del principio del
buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso art. 97 della
Costituzione (sentenza n. 69 del 2018 citata punto 6.1 del
considerato in diritto).
In definitiva viene in tal modo garantito il rispetto del
principio di legalita' - anch'esso desumibile dall'art. 97 della
Costituzione - in senso non solo formale, come attribuzione normativa
del potere, ma anche sostanziale, come esercizio del potere in modo
coerente con la fonte normativa di attribuzione. Difatti, a chiusura
del sistema, vi e' la possibilita' di sottoporre le scelte compiute e
le relative modalita' di adozione al vaglio giurisdizionale.
Esula, pertanto, dalla competenza della regione la prescrizione
di limiti generali, specie nella forma di distanze minime, perche'
cio' contrasterebbe con il principio di derivazione comunitaria della
massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabile.
Viene in tal modo garantita l'imparzialita' della scelta, alla
stregua dell'art. 97 della Costituzione e il perseguimento, nel modo
piu' adeguato ed efficace, dell'interesse primario, in attuazione del
principio del buon andamento dell'amministrazione, di cui allo stesso
art. 97 della Costituzione e il rispetto del principio di legalita' -
anch'esso desumibile dall'art. 97 della Costituzione - in senso non
solo formale, come attribuzione normativa del potere, ma anche
sostanziale, come esercizio del potere in modo coerente con la fonte
normativa di attribuzione. Difatti, a chiusura del sistema, vi e' la
possibilita' di sottoporre le scelte compiute e le relative modalita'
di adozione al vaglio giurisdizionale.
La soluzione legislativa adottata dalla Regione Basilicata, nello
stabilire in via generale, senza istruttoria e valutazione in
concreto nella sede procedimentale dei siti di localizzazione,
distanze minime per la collocazione degli impianti non previste dalla
disciplina statale, non garantisce il rispetto di questi principi
fondamentali e non permette un'adeguata tutela dei molteplici e
rilevanti interessi coinvolti.
Le linee guida nazionali di cui al decreto ministeriale 10
settembre 2010, all'allegato 4 (Impianti eolici: elementi per il
corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio) prevedono in
qualche caso le distanze ma poiche' si tratta di possibili misure di
mitigazione dell'impatto ambientale e non di condizioni perentorie o
prescrizioni generali.
La materia delle distanze non e' contemplata nella normativa
statale, se non nei limiti e nei termini contenuti nelle succitate
linee guida, come enucleati dalla giurisprudenza costituzionale che
ritiene che assurgano, in settori squisitamente tecnici, seppur
integranti norme di natura regolamentare, al rango di normativa
interposta, cui e' affidato il compito di individuare appunto le
specifiche caratteristiche della fattispecie tecnica che, proprio
perche' frutto di conoscenze periferiche o addirittura estranee a
quelle di carattere giuridico (le quali necessitano di applicazione
uniforme in tutto il territorio nazionale), mal si conciliano con il
diretto contenuto di un atto legislativo (sentenza n. 11 del 2014).
Le disposizioni regionali, dunque, presentano profili di
incostituzionalita', in riferimento all'art. 117, comma 3, Cost., per
contrasto con l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del
2003 citato e con il paragrafo 1.2 delle linee guida nazionali per
l'autorizzazione degli impianti a fonte rinnovabile (decreto
ministeriale 10 settembre 2010) che rinvia al paragrafo 17 per le
modalita' di individuazione delle aree non idonee.
5. L'art. 12 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata
viola gli articoli 3, 97 e 117, comma 2, lettera s), della
Costituzione in relazione all'art. 27-bis, comma 5, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
L'art. 12, rubricato «Modifiche all'art. 3-bis della legge
regionale 26 aprile 2012, n. 8, e successive modificazioni ed
integrazioni» dispone che «Dopo il comma 1 dell'art. 3-bis della
legge regionale 26 aprile 2012, n. 8, introdotto dall'art. 34 della
legge regionale 22 novembre 2018 aggiunge il seguente comma:
"1-bis. Il termine di novanta giorni previsto al comma 1 per la
presentazione della documentazione prescritta dall'appendice A del
P.I.E.A.R. per il rilascio dell'autorizzazione regionale di cui
all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 puo' essere prorogato
per motivi indipendenti dalla volonta' dell'istante, su richiesta di
parte, per un periodo massimo di sessanta giorni."».
La norma, dunque, stabilisce la proroga del termine per la
presentazione della documentazione prevista dal Piano energetico
regionale (P.I.E.A.R.) ai fini dell'autorizzazione regionale di cui
all'art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 citato per un periodo
massimo di sessanta giorni. La proroga puo' essere riconosciuta, su
istanza dell'interessato, solo quando il ritardo e' dovuto a motivi
indipendenti dalla volonta' di quest'ultimo.
La predetta previsione, per i progetti assoggettati a Valutazione
di impatto ambientale (VIA), non e' conforme all'art. 27-bis, del
decreto legislativo n. 152/2006, introdotto dall'art. 16, comma 2,
del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104, rubricato
«Provvedimento autorizzatorio unico regionale», che prevede, al comma
5, che «Su richiesta motivata del proponente l'autorita' competente
puo' concedere, per una sola volta, la sospensione dei termini per la
presentazione della documentazione integrativa per un periodo non
superiore a centottanta giorni.». La previsione regionale cosi'
formulata, oltre che porsi in contrasto con il suddetto parametro
statale interposto, contrasta con l'esigenza di uniformita' normativa
sul territorio nazionale, in aperta antitesi con il parametro di
ragionevolezza della legislazione desumibile dall'art. 3 della
Costituzione nonche' con il principio di buon andamento
dell'amministrazione sancito dall'art. 97 della Costituzione.
Nello stabilire un ulteriore termine di proroga del procedimento
la norma regionale ne dilata la relativa durata, seppure per motivi
indipendenti dalla volonta' dell'istante a su richiesta dello stesso,
immotivatamente aggravando in modo arbitrario il procedimento
autorizzativo, cosi' confliggendo con i canoni di efficacia,
efficienza ed economicita' che devono presiedere all'esercizio
dell'azione amministrativa.
Sotto altro profilo la norma regionale de qua contrasta con il
parametro costituzionale di cui al secondo comma, lettera s),
dell'art. 117 della Costituzione, in quanto interviene nella materia
«Tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», attribuita in via esclusiva
alla competenza legislativa dello Stato (ex multis, sentenze n. 54
del 2012; n. 244 e n. 33 del 2011; n. 331 e n. 278 del 2010; n. 61 e
n. 10 del 2009), nella quale rientra la disciplina della VIA,
nell'ambito della quale deve intendersi riservato allo Stato il
potere di fissare, anche in attuazione degli obblighi comunitari,
livelli di tutela uniforme sull'intero territorio nazionale,
imponendosi come un limite alla disciplina che le regioni e le
province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per
evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito
dallo Stato, ovvero lo peggiorino.
La tutela dell'ambiente, peraltro, implica che l'intervento
regionale previsto dalla legislazione statale «avvenga nel rispetto
del modulo procedimentale e dei criteri fissati dalla legislazione
stessa, motivando la scelta compiuta in modo da garantire la
controllabilita' della discrezionalita' esercitata nelle sedi
giurisdizionali (sentenza n. 173 del 2017 nonche' in termini piu'
generali sentenza n. 85 del 2013)» (sentenza 28 febbraio 2019, n. 28,
punto 2.3 del considerata in diritto).
La norma impugnata introduce una modifica del procedimento che ne
appesantisce la struttura oltre ad introdurre una differente
disciplina della fattispecie nel territorio nazionale, mentre e'
obiettivo del legislatore statale in ambito procedimentale evitare la
differenziazione dei procedimenti.
L'art. 12 citato viola, pertanto, gli articoli 3, 97 e 117, comma
2, lettera s), della Costituzione, in riferimento ai parametri
statali interposti dianzi citati.
6. L'art. 13, commi 1 e 3, della legge regionale n. 4 del 13 marzo
2019 citata viola gli articoli 41 e 117, commi 1 e 3, della
Costituzione in relazione all'art. 12, commi 4 e 10, del decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, e le linee guida di cui al
decreto ministeriale 10 settembre 2010.
6.1. L'art. 13, recante «Modifiche all'art. 11 della legge
regionale 26 aprile 2012, n. 8» al comma 1 dispone che:
«1. Il comma 2 dall'art. 11 della legge regionale 26 aprile 2012,
n. 8, e' sostituito dal seguente:
"2. La disposizione di cui al comma 1, lettera b) si applica a
condizione che l'istanza di autorizzazione soggetta a PAS rispetti i
limiti e le condizioni stabiliti dall'art. 6."».
Dalla complessiva lettura della norma, come modificata, ne deriva
la previsione di ulteriori condizioni per l'autorizzazione degli
impianti a fonti rinnovabili di potenza nominale non superiore a 200
kW perche' gli stessi non concorrano al raggiungimento delle potenze
installabili di cui alla parte III, paragrafo 1.2.3, tabella 1-4 del
P.I.E.A.R.
Le ulteriori condizioni, attraverso una serie di rinvii ad altre
disposizioni, sono indicate all'art. 32 della legge regionale n. 38
del 2018 (che ha modificato l'art. 6 della legge regionale n. 8/2012
citata). Tale disposizione va letta in relazione a quanto disposto al
comma 3 che prevede: «Nelle more della adozione della nuova
pianificazione energetica ambientale della regione, ai fini del
rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 12 del decreto
legislativo n. 387/2003 i limiti massimi della produzione di energia
da fonte rinnovabile stabiliti dalla tab. 1-4 del vigente P.I.E.A.R.
approvato con legge regionale n. 1 del 19 gennaio 2010 sono aumentati
per singola fonte rinnovabile in misura non superiore a due volte
l'obiettivo stabilito per la fonte eolica e per la fonte solare di
conversione fotovoltaica e termodinamica e in misura non superiore a
1,5 volte gli obiettivi stabiliti per le altre fonti rinnovabili in
essa previste.».
L'applicazione della richiamata normativa diminuisce il numero
degli impianti da calcolare per verificare il rispetto dei limiti di
potenza elettrica installabile in relazione alle diverse tipologie di
fonte rinnovabile (comma 1) e, in via transitoria, stabilisce
l'aumento della potenza installabile, differenziato sempre in base
alla tipologia di fonte rinnovabile (comma 3).
In particolare, per quanto concerne il comma 1, il rinvio alle
condizioni di cui al citato art. 32 della legge regionale n. 38 del
2018, che abroga e sostituisce l'art. 6 della legge regionale n. 8
del 26 aprile 2012, comporta che siano ribadite le censure di
incostituzionalita' dello stesso art. 32, gia' impugnato dal Governo
(ricorso R.R. 7/2019).
L'art. 32 della legge regionale n. 38/2018 citato, infatti, ha
previsto una distanza minima tra un impianto FER - Fonti di energia
rinnovabili, e un altro, non prevista in alcuna norma di rango
statale e, quindi, in contrasto con l'art. 117, comma 3, della
Costituzione, in relazione alla materia oggetto di potesta'
legislativa concorrente «Produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia», con riferimento al parametro interposto
statale costituito dall'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29
dicembre 2003, n. 387, recante «Attuazione della direttiva 2001/77/CE
relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita'», e con
il paragrafo 1.2 e 17.1 delle discendenti linee guida nazionali
approvate con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10
settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti
alimentati da fonti rinnovabili), recanti specifici indirizzi in
merito alla individuazione delle aree non idonee.
Lo stesso art. 32, nel prevedere quale ulteriore condizione per
l'istallazione degli impianti la «disponibilita' di un suolo la cui
estensione sia pari o superiore a tre volte la superficie del
generatore fotovoltaico, sul quale non potra' essere realizzato altro
impianto di produzione di energia da qualunque tipo di fonte
rinnovabile», contrasta con l'art. 12 del decreto legislativo 29
dicembre 2003, n. 387, citato che, per l'autorizzazione unica, cioe',
per un regime abilitativo piu' complesso prevede al comma 4-bis «la
disponibilita' del suolo su cui realizzare l'impianto».
Cio' comporta la violazione di un principio fondamentale della
materia della massima diffusione degli impianti, con un aggravamento
ingiustificato degli oneri a carico dell'operatore anche sotto il
profilo del divieto di altre iniziative nell'area, per contrasto con
l'art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387 del 2003, e del
paragrafo 1.2 delle linee guida nazionali per l'autorizzazione degli
impianti a fonte rinnovabile (decreto ministeriale 10 settembre 2010)
che rinvia al paragrafo 17 per le modalita' di individuazione delle
aree non idonee, rilevandosi, altresi', il contrasto con l'art. 41
della Costituzione sulla liberta' di iniziativa economica privata e
dell'art. 117, comma primo, della Costituzione (cfr. art. 1 del
decreto legislativo n. 79/1999 che sancisce, in attuazione della
direttiva 96/92/CE, la liberalizzazione del mercato elettrico, ivi
compresa dell'attivita' di produzione di energia elettrica).
6.2. L'art. 13, comma 3, aggiunge il comma 7 all'art. 11 della
legge regionale n. 8/2012 citata, disponendo che «Nelle more della
adozione della nuova pianificazione energetica ambientale della
regione, ai fini del rilascio delle autorizzazioni di cui all'art. 12
del decreto legislativo n. 387/2003 i limiti massimi della produzione
di energia da fonte rinnovabile stabiliti dalla tab. 1-4 del vigente
P.I.E.A.R. approvato con legge regionale n. 1 del 19 gennaio 2010
sono aumentati per singola fonte rinnovabile in misura non superiore
a due volte l'obiettivo stabilito per la fonte eolica e per la fonte
solare di conversione fotovoltaica e termodinamica e in misura non
superiore a 1,5 volte gli obiettivi stabiliti per le altre fonti
rinnovabili in essa previste».
La norma esula, quindi, dalla competenza della regione. L'art. 1,
comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, citato dispone
che la produzione di energia elettrica (da qualunque fonte) e'
attivita' libera e non e' pertanto condizionata dall'entita' dei
consumi in ambito regionale. Le linee guida statali, in coerenza con
tale principio, prevedono che l'eventuale superamento di limitazioni
programmatiche contenute nel Piano energetico regionale o delle quote
minime di incremento dell'energia elettrica da FER non preclude
comunque l'avvio e la conclusione favorevole del procedimento di
rilascio dell'autorizzazione unica (paragrafo 14.5). Il riferimento
alle quote minime di incremento di energia da FER e' stato introdotto
nelle linee guida in relazione all'obiettivo nazionale del 17% di
consumo finale lordo da FER al 2020, stabilito dalla direttiva
europea 2009/28/CE sulla promozione delle fonti rinnovabili.
In base al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, e' stato
emanato il decreto ministeriale 15 marzo 2012 (cosiddetto Burden
Sharing), che ha ripartito detto obiettivo fra le regioni, in
considerazione del loro potenziale tecnico-economico e delle
disponibilita' di risorse energetiche locali. Le regioni perseguono i
rispettivi obiettivi con l'utilizzo di FER ed interventi di
efficienza energetica, la cui combinazione e' rimessa alla loro
discrezionalita'. Sebbene la Regione Basilicata sia in linea con la
traiettoria intermedia degli obiettivi fissati dal Burden Sharing, la
fissazione di tetti di produzione di energia elettrica non deve in
ogni caso rappresentare un ostacolo o la compressione della liberta'
di iniziativa economica in materia di produzione di energia elettrica
di cui al citato art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 79/1999,
che e' di derivazione comunitaria (direttiva 96/92/CE recante norme
comuni per il mercato interno dell'energia elettrica).
I predetti limiti massimi di produzione per le singole fonti, che
le regioni possono fissare, non possono inibire l'avvio e la
conclusione favorevole del procedimento di rilascio
dell'autorizzazione unica o di altri titoli abilitativi la cui
procedura e' scandita da termini perentori.
Il decreto legislativo n. 387/2003 citato, recante «Attuazione
della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione della energia
elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno»,
all'art. 12 detta una specifica disciplina per la razionalizzazione e
semplificazione delle procedure autorizzatorie che costituisce
principio fondamentale della materia (sentenze n. 364 del 2006; n.
282 del 2009; e n. 124 del 2010) e che riserva la disciplina del
procedimento autorizzatorio alla competenza legislativa statale a
mente dell'art. 117, comma 3, della Costituzione. L'art. 12 citato al
comma 4 prevede il termine di perentorio di novanta giorni per la
conclusione del procedimento.
In tale contesto e' illegittima, perche' invasiva della
competenza legislativa statale, la previsione che consente alle
regione di introdurre una moratoria ad libitum in violazione del
predetto termine perentorio per la conclusione del procedimento di
autorizzazione.
Si ritiene violato anche l'art. 117, comma 1, della Costituzione,
che impone la conformita' della legislazione regionale
all'ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali, tra cui
si segnalano, in particolare, quelli assunti dall'Italia e
conseguenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici, ratificato con legge 18 giugno 2002, n. 120,
cosiddetto Protocollo di Kyoto.
E' noto, infatti, il favor accordato alle fonti rinnovabili dagli
accordi internazionali e dalle direttive comunitarie in materia
(direttive 2001/77/CE e 2009/28/CE, attuate nell'ordinamento
italiano, rispettivamente, con i citati decreto legislativo n.
387/2003 e n. 28/2011).
Si ricorda che con direttiva 2018/2001 dell'11 dicembre 2018
sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili sono
stati posti nuovi e piu' sfidanti obiettivi al 2030 e che l'Italia,
con la proposta del Piano per l'energia e il clima (inviata alla
Commissione europea a fine dicembre 2018), si e' impegnata a
raggiungere il 30% dei consumi di energia da fonte rinnovabile sul
totale dei consumi energetici.
La norma impugnata viola, pertanto, l'art. 117, commi 1 e 3,
della Costituzione.
7. L'art. 27 della legge regionale n. 4 del 13 marzo 2019 citata
viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione.
L'art. 27 (in origine art. 28, poi cosi' rinumerato a seguito
dell'avviso di rettifica pubblicato nel BUR regionale n. 14 del 21
marzo 2019), recante «Strutture socio sanitarie», dispone che «Al
fine di garantire la continuita' dei servizi sociali e socio-sanitari
essenziali, nelle more del perfezionamento dell'iter procedurale in
materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424 del 17 maggio
2018 le aziende sanitarie locali ed i comuni sono autorizzati a
proseguire i contratti in corso con i gestori delle strutture
socio-sanitarie e dei servizi socio-assistenziali, socio-educativi e
socio-sanitari, gia' in possesso di autorizzazione, anche
provvisoria, sulla base della normativa previgente».
La norma regionale autorizza la prosecuzione dei contratti gia'
in essere con i gestori delle strutture socio-sanitarie e dei servizi
socio-assistenziali, socio-educativi e socio-sanitari gia'
autorizzate, nelle more del perfezionamento dell'iter procedurale in
materia di autorizzazione di cui alla D.G.R. n. 424 del 17 maggio
2018. non subordinandola all'accreditamento istituzionale di cui
all'art. 8-quater del decreto legislativo n. 502/1992 e successive
modificazioni ed integrazioni.
Il rapporto di accreditamento si pone quale istituto intermedio
tra la concessione e l'abilitazione tecnica nell'ambito del servizio
pubblico essenziale che obbedisce non gia' a criteri di mercato, ma a
necessita' di pubblico interesse, quali l'erogazione di prestazioni
sanitarie o assistenziali.
Tale rapporto impone al privato abilitato specifici obblighi di
leale collaborazione. La norma regionale censurata esonerando la
prosecuzione dei rapporti in essere all'accreditamento professionale
eccede dalla competenza concorrente della regione in materia di
tutela della salute.
Il detto accreditamento e' condizione necessaria per poter
stipulare gli accordi contrattuali previsti dall'art. 8-quinquies del
medesimo decreto e, dunque, anche per consentirne la proroga,
dovendosi ricordare che il decreto legislativo n. 502/1992 e
successive modificazioni ed integrazioni detta principi fondamentali
in materia di tutela della salute nell'alveo dei quali deve svolgersi
la potesta' legislativa della regione come esplicitamente previsto
dall'art. 19, comma 1, il quale stabilisce che «Le disposizioni del
presente decreto costituiscono principio fondamentale ai sensi
dell'art. 117 della Costituzione».
E', del resto, principio affermato che «la competenza regionale
in materia di autorizzazione e vigilanza sulle istituzioni sanitarie
private debba senz'altro essere inquadrata nella piu' generale
potesta' legislativa concorrente in materia di tutela della salute,
che vincola le regioni al rispetto dei principi fondamentali
stabiliti dalle leggi dello Stato (sentenze n. 134 del 2006 e n. 200
del 2005)» (sentenza n. 292 del 2012 e, nello stesso senso, sentenza
n. 260 del 2012). Ne consegue che, ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, Cost., le scelte del legislatore regionale devono svolgersi
nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione
dello Stato (sentenze n. 162 del 2004 e n. 282 del 2002, ordinanza n.
323 del 2010) (sentenza n. 59 del 2015, punto 2.2 del considerato in
diritto).
La norma regionale, pertanto, si pone in contrasto con le norme
del decreto legislativo n. 502/1992 e successive modificazioni ed
integrazioni, e viola l'art. 117, comma 3, della Costituzione.
P.Q.M.
Per i suesposti motivi si conclude perche' gli articoli 2, comma
7; 5, 8, 9, 10, 12, 13 commi 1 e 3; e 27 della legge regionale
Basilicata n. 4 del 13 marzo 2019 indicata in epigrafe siano
dichiarati costituzionalmente illegittimi.
Si produce l'attestazione della deliberazione del Consiglio dei
ministri in data 8 maggio 2019.
Roma 13 maggio 2019
Il Vice Avvocato Generale dello Stato: Palmieri